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Rivista Madonna dello Splendore n° 32 del 22 Aprile 2013
“Sempre affezionatissimi” Gli Acquaviva d’Aragona, i Cappuccini e la fondazione del convento di Giulianova
di Sandro Galantini
Tale era la condizione de’ cappuccini, che nulla pareva per loro troppo basso, né troppo
elevato. Servir gl’infimi, ed esser servito da’ potenti, entrar ne’ palazzi e ne’ tuguri, con lo stesso contegno d’umiltà e di sicurezza,[…] chieder l’elemosina per tutto, e farla a tutti quelli
che la chiedevano al convento, a tutto era avvezzo un cappuccino. Alessandro Manzoni, Promessi Sposi
1. Il “protagonismo” cappuccino nel Meridione adriatico: genesi e diffusione degli
insediamenti pugliesi e molisani. Che i molteplici e puntiformi stanziamenti cappuccini in quella vastissima plaga che si distende
dai contrafforti montuosi degli Abruzzi e poi giù, verso i meno accidentati luoghi molisani e, ancora, lungo tutta la fascia orientale adriatica ben oltre il Gargano, che questi stanziamenti,
dicevamo, segnalino nei Cappuccini i “nuovi protagonisti indiscussi della presenza regolare cinquecentesca”, per usare le parole di Raffaele Colapietra(1), non può dubitarsi.
Un protagonismo, chiamiamolo così, che oltretutto in questi territori - ma ovviamente anche
altrove – riflette in modo fedele, sebbene in presenza di epifenomeni comunque da tenere in debita considerazione, il diagramma dell’effusione dell’intero Ordine, riproponendo in ambito
periferico i ‘passaggi’ salienti della macrovicenda della nuova famiglia francescana insieme con quelli che pertengono alla storia di tutta la Chiesa.
Non è certamente casuale che proprio nei trentaquattro anni compresi tra il 1566 e la fine del secolo, periodo percorso da quella sinusoidale e tutta tridentina linea rigoristica che da
Tommaso da Città di Castello giunge a Girolamo da Montefiore e nel corso del quale si assiste alla ‘conquista’ mediterranea dell’Ordine, la presenza cappuccina in Puglia - limitandoci ad un
esempio - registri il suo momento di massima effervescenza con 43 nuovi conventi. Come non
sorprende che all’indomani dell’apostasia di Bernardino Ochino, il riformatore e predicatore avvicinatosi al luteranesimo dopo essere stato generale dei Cappuccini sino al 1538, si assista
per contro ad una decisa contrazione nella creazione di nuovi romitori. Cronologicamente, l’abbrivo ad un’espansione che, prima di risalire verso le terre abruzzesi
(dove la “bella e santa Riforma” attecchisce con difficoltà nel 1540, per poi generare, dal 1574 al 1600, ben 19 insediamenti), è destinata a ramificarsi rapidamente a meridione del Trigno e,
in un certo senso, a sovrapporsi alle pregresse fondazioni osservanti - quelle della grande e spontanea fioritura quattrocentesca soprattutto, ma anche le altre dei primi decenni del
Cinquecento(2) - data a partire dal 1530, in una temperie caratterizzata certamente dal
dinamismo che alla congregazione ha saputo imprimere il battagliero e grande organizzatore Ludovico Tenaglia da Fossombrone, ma anche dalle misure inibenti nei confronti dell’Ordine
volute dal generale degli Osservanti Paolo Pisotti. Il quale ultimo, è d’uopo rammentarlo, proprio nel maggio del 1530 era riuscito ad ottenere da papa Clemente VII, col breve Cum
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sicut accepimus, la revoca di tutte le concessioni fatte dalla Penitenzieria al forsempronese
Ludovico ed a suo fratello Raffaele(3). Dunque è nel 1530 che due predicatori cappuccini venuti dall’Osservanza, il marchigiano Paolo
da Sestino e p. Sante da Castelluccio Acquaborrana, partendo da Vasto scendono nel Contado di Molise e qui, nella patria di p. Sante, appunto Castelluccio Acquaborrana (oggi
Castelmauro), un “paese di molto traffico” a ridosso delle pertinenze feudali dei De Capua e ubicato nel territorio diocesano di Guardialfiera, fondano il primo convento cappuccino del
Molise e, quindi, delle regioni dell’Adriatico centro-meridionale(4). Le connotazioni di questo precocissimo insediamento - che potremmo definire ‘sperimentale’,
se non altro per la decisione venuta a maturare nei frati, a causa di “controversie avute con
quel pubblico”(5), di abbandonare il “romitaggio” che hanno costruito ad oriente del paese per trasferirsi appena cinque anni dopo, su istanza e a spese del ricco Adriano Morselino, nella
Larino dell’armentario Ettore Pappacoda - valgono in buona misura a caratterizzare, con le dovute eccezioni, l’espansione della giovane famiglia francescana nei territori del Mezzogiorno
adriatico per tutto il corso del Cinquecento, delineando il quadro entro cui la presenza cappuccina acquista valore e significato.
La prima connotazione è di carattere topografico, più evidente nell’ultimo trentennio del secolo XVI, con le dislocazioni conventuali sintomaticamente diffuse negli ambiti di pertinenza dei
flussi armentizi, quasi a ribadire, almeno per la Capitanata ed il Molise, un
coinvolgimento dell’intera famiglia francescana nell’atmosfera di
riassestamento strutturale che caratterizza le due regioni nella prospettiva del primo massiccio exploit pastorale, che si sarebbe verificato appunto agli
ultimissimi del secolo, con connessa impetuosa impennata, soprattutto economica, ma anche spirituale ed assistenziale, delle confraternite(6)
Provincia d’Abruzzo nella prima produzione cartografica dell’Ordine cappuccino, 1632.
Da Atlante Cappuccino opera inedita di Silvestro da Panicale 1632 a cura di Serius Gieben, Roma, Istituto Storico dei Cappuccini, 1990
L’esempio più vistoso è dato da Foggia, col suo convento cappuccino - voluto dal facoltoso Cola Zuccaro nel 1579, non casualmente l’anno in cui tanto la Dogana quanto la fiera conoscono
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una condizione di particolare splendore - che viene pour cause ubicato in una zona nevralgica
come il Piano della Croce(7), e la cui chiesa, troppo angusta per accogliere “il gran popolo che ogn’anno nel tempo della Fiera vi concorre ad ascoltar le Messe”, sarà ampliata insieme con
l’annesso convento nel 1618 per volere della “generalità de gli Abruzzesi”, come rileva il cronista Filippo Bernardi.
L’altra non meno significativa connotazione è data dalla speciale ricorrenza della etero-sollecitazione nella genesi degli insediamenti cappuccini in questi territori, intendendo con ciò
l’atto d’impulso proveniente aliunde. I soggetti proponenti, dunque, possono essere - e comunemente sono - il feudatario locale, l’università quale organo rappresentativo della
comunità cittadina, l’ordinario diocesano o, ancora, qualche ricco possidente; attori, questi, il
più delle volte attivi autonomamente ma - come si avrà modo di verificare - non raramente coinvolti in azione combinata ed integrata.
Questa etero-sollecitazione, nelle sue molteplici tipologie, è possibile riscontrare in numerosissimi casi di insediamenti cappuccini e con sorprendente continuità per tutto il secolo
decimosesto. Se della principessa Andronica Del Balzo, moglie di Ferdinando de Capua, e quindi
esclusivamente feudale e d’impronta verticistica, è l’iniziativa che consente l’apertura del convento cappuccino a Serracapriola nel 1536(8), il romitorio sorto due anni dopo a Rodi
Garganico ha invece la sua scaturigine nell’invito proveniente dal “popolo divoto della
medesima Terra”(9). Da un’azione sinergica che vede protagonisti l’università da una parte, e, dall’altra, colui che il
7 febbraio 1550 sarà eletto papa col nome di Giulio III, cioè l’ancora arcivescovo di Siponto Giovanni Maria Ciocchi del Monte, ha la sua origine, nel 1540, l’insediamento di San Giovanni
Rotondo(10), mentre torna ad essere esclusivamente feudale (con la petizione anche qui di una nobildonna, la duchessa Violante di Sangro, che peraltro assume in proprio le spese
relative alla costruzione del complesso conventuale) la genesi dell’insediamento di Torremaggiore, di un decennio posteriore(11).
È la comunità cittadina che ha ruolo decisivo nell’edificazione del convento di Termoli (Maria
Ss. della Vittoria, 1545), mentre è un aristocratico, il marchese Cola Antonio Caracciolo, a consentire la nascita, nel 1566, dell’insediamento cappuccino di Vico del Gargano. A Lucera,
invece, il locale convento trae la sua scaturigine nel 1569, mercé l’istanza avanzata dalla comunità con l’importante appoggio garantito dal vescovo diocesano Pietro De Petris, essendo
questi “molto entusiasta e devoto dell’abito cappuccino”(12). Nel caso di Trivento l’istanza e le spese necessarie per l’edificazione del romitorio (2 mila ducati) si debbono al barone Domenico
Di Blasio, mentre torna ad essere la comunità, non di rado supportata da una pluralità di benefattori, a rendere possibile la realizzazione dei conventi di Manfredonia (S. Maria della
Vittoria, 1571), di Venafro (1573), di Isernia (Immacolata Concezione, 1577(13)), di Frosolone
(1580), Apricena (1583), Campobasso (S. Maria della Pace, 1589), Gesualdo (1592), Monte S. Angelo (1595), con il ritorno sulla scena di un appartenente all’aristocrazia più blasonata,
Giovanni Battista Gaetano Pignatelli, come istante e sostenitore dell’insediamento cappuccino di San Marco la Catola (1585).
E il quadro sostanzialmente non muta se da queste aree comprese tra il Trigno ed il Gargano - che, seguendo il capitolo generale del 1555 e per volontà del superiore generale dell’Ordine
Eusebio da Ancona, saranno svincolate dalla Vicaria della Provincia romana per essere incluse nella nuova Provincia religiosa di Foggia o di S. Angelo(14) - si scende ancor più a meridione,
cioè nei territori che, scorporati dall’unica, grande e antica provincia pugliese di S. Nicola,
daranno vita nel 1590 a due nuove province, rispettivamente di San Nicola in Terra di Bari(15) e di S. Maria in finibus terrae, altrimenti detta di Lecce (Liciensis) o, più comunemente, di
Otranto. Anche in questa propaggine meridionale della Puglia, infatti, gli insediamenti che si succedono
a ritmo sostenutissimo nel segmento cronologico successivo alla prima fase del concilio postridentino - quindi a partire dal 1546 e per i decenni a seguire - rappresentano la risultante
di una volontà comune. Quella, anzitutto, del popolo, che, “commosso” dalle fervorose predicazioni e coinvolto
nell’impegnata opera di proselitismo dispiegata efficacemente da Giacomo Paniscotti da
Molfetta e da Tullio da Potenza(16), sollecita “con molta premura” - per dirla alla maniera di Filippo Bernardi - l’erezione del convento per gli zelanti frati che hanno aderito al nuovo Ordine
ed accettato la Regola cappuccina, spessissimo concorrendo fattivamente alla sua costruzione,
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sia con la prestazione di opere manuali e sia raccogliendo le elemosine nel territorio
dell’erigendo convento. In secondo luogo quella dei vescovi, il cui favor verso i Cappuccini certamente trae alimento
dall’efficacissima azione da costoro posta in essere contro tutti i razionalismi eversori, ma anche dal fervente recupero in chiave controriformistica dell’ambiente soprattutto pugliese
contro gli attacchi d’un protestantesimo qua e là serpeggiante anche in certe frange di clero secolare e religioso(17).
Non è quindi senza significato che tale favor si manifesti con più evidenza proprio nell’ultimo periodo del Concilio di Trento, allorché molti tra gli ordinari diocesani assumono con le loro
iniziative un ruolo determinante nella genesi delle fondazioni conventuali, di molto superando,
quindi, l’adempimento del mero requisito formale dell’approvazione o “licentia” che pure costituisce - a mente delle ancora vigenti costituzioni cappuccine del 1536 - la condicio sine
qua non per l’erezione di un nuovo convento. Ed infatti ampia e variamente articolata è la latitudine delle iniziative di provenienza vescovile,
potendo concretarsi in un semplice invito che però pone le precondizioni necessarie per la nascita del futuro insediamento, come avviene a Mesagne nel 1539 o a Bari diciassette anni
dopo. Oppure, e più frequentemente, assumendo i connotati dell’impegno diretto all’apertura di nuovi romitori mediante la cessione di terreni, come accade nel 1586 a Taranto con
l’arcivescovo Lelio Brancaccio(18);
ovvero nel mettere a disposizione edifici di proprietà, donde la nascita dell’insediamento cappuccino di Brindisi, nel 1566, con l’offerta di un suo immobile da parte dell’arcivescovo
Giovanni Carlo Bovio. In altri casi è promuovendo la raccolta di elemosine che si realizza il sospirato insediamento,
secondo una modalità che troviamo, tra gli altri, documentata a Molfetta, dove i frati, già presenti nel 1545, edificano la loro seconda dimora nel 1571 appunto grazie alle risorse
finanziarie reperite dall’attivo vescovo Maiorano Maiorani. In ultimo rimane da dire del ruolo concretamente svolto dalla grande, media e piccola
aristocrazia. Ecco allora il patrocinio del potente duca Carlo Caracciolo per l’insediamento di
Martina Franca del 1546, o l’autorevole e significativa presenza di un Orsini, il duca Ferdinando, affiancarsi il 28 dicembre 1570 al vescovo meneghino Francesco Bossi nella posa
della prima pietra del convento di Gravina, mentre la mecenatesca protezione della grande famiglia Carafa trova espressione dapprima ad Andria, con il duca Fabrizio ed il fratello
Vincenzo priore d’Ungheria, i quali nel 1577 rendono possibile la venuta dei Cappuccini(19), e quindi, nel 1589, a Noia, poi Noicattaro, dove invece è il duca Pompeo l’artefice del locale
insediamento(20). Si deve a due Pignatelli, il marchese Marzio ed il fratello Luzio, il convento di Spinazzola del
1570, e ad un membro di un’altra potente famiglia feudale destinata a decussarsi con gli
Acquaviva d’Aragona, Galeazzo Spinelli, se Copertino nel 1590 beneficia di una stabile presenza di frati dell’Ordine, mentre il convento di Bitonto, uno dei più antichi in terra barese,
viene fondato nel 1548 a richiesta “dei Signori del Governo e da gli altri nobili e popolo della Città” grazie anche al beneplacito del vescovo Cornelio Musso, proveniente dalle fila dei
Conventuali(21). Ancora più a sud, ad Otranto, è un esponente del patriziato locale, il “gentiluomo” Francesco
Antonio Molle, ad impegnarsi in prima persona elargendo “due mila ducati de’ proprii” per “compra del fondo e fabrica” del locale convento, la cui prima pietra verrà benedetta e
interrata, il 22 luglio 1594, dall’arcivescovo Marcello Acquaviva d’Aragona, che del nuovo
insediamento era stato - e continuerà ad essere - deciso patrocinatore(22).
2. “Sempre affezionatissimi”. Gli Acquaviva d’Aragona e i Cappuccini Monsignor Marcello Acquaviva d’Aragona, ordinario di Otranto dal 25 febbraio 1586(23), è
d’altronde il figlio di quel Baldassarre, 1° marchese di Bellante e signore di Caserta, a sua volta nipote di Andrea Matteo III e cugino del X duca d’Atri, il Giangirolamo I col quale presto
c’imbatteremo, che proprio nella città campana, in località Puccianello, si era accollato l’onere economico – astenendosi peraltro da ogni patto di riservato dominio – per la realizzazione, a
partire dal 1570, del locale convento cappuccino(24).
Alle iniziative della potentissima famiglia Acquaviva d’Aragona, che attraverso le sue filiazioni dinastiche spesseggia per buona parte della Puglia peucezia e messapica25, è peraltro
ascrivibile la genesi degli insediamenti cappuccini presenti in gran parte delle località soggette alla loro gestione feudale.
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È il conte di Conversano Adriano I Acquaviva d’Aragona(26), “la cui posterità - secondo Filippo
Bernardi - si è mostrata sempre affezionatissima verso i Cappuccini”, a patrocinare la fondazione del locale convento nel 1572 ottenendone dichiarazione formale di erezione, “con
provisione di Guardiano e di famiglia”, nel 1580, a distanza quindi di quattro anni dal matrimonio celebrato con Isabella Caracciolo, erede del signore di Tocco Gian Andrea, e a
cinque dalla autonomia del feudo, comprendente anche Castellana, la terra di Noci e la ‘difesa’ di Alberobello(27), conseguente al definitivo distacco dai possedimenti abruzzesi disposto da
suo padre Giangirolamo I, X duca d’Atri(28). Quest’ultimo d’altronde, sin dal 1536 marchese di Acquaviva delle Fonti, mosso da particolare “divozione” si farà parte attiva nella realizzazione
del locale romitorio cappuccino, le cui fondamenta vengono poste il 1 ottobre 1589.
Provincia dei Cappuccini d’Abruzzo 1712. Da Chorographica descriptio Provinciarum, et Conventuum FF. Min. S. Francisci Capucinorum, olim quorumdam Fratrum labore, industria, delineata, sculpta, impressa
iussu A.R.P. Ioannis a Montecalerio, nunc vero F.io Baptistae a Cassinis prov. Mediolanensis Concionatoris capucini iterata delineatione super novissimas orbium coelestium observationes de A.R.P. Augustini a Tisana Ministri Generalis mandato communi utilitati in lucem prodita, Mediolani, 1712.
Emblematica poi, perché tutta acquaviviana, è la vicenda, risalente all’anno 1569,
dell’insediamento neritino, col quarto duca di Nardò Giovanni Bernardino II, figlio di Francesco Acquaviva d’Aragona e di donna Isabella Castriota Granai(29), che, mosso dall’“ardente
desiderio di fondare detta religione dei Cappuccini nella sua città”, acquista per 80 ducati dallo stesso vescovo di Nardò, lo zio in terzo grado Giovan Battista Acquaviva d’Aragona(30)
(insieme col quale, peraltro, l’anno prima aveva assegnato ai carmelitani la chiesa dell’Annunziata), il sito occorrente per donarlo al provinciale Andrea della Terza onde “in dictis
terris possit istruire Monasterium Ordinis Divi Francisci Capuccinorum”(31).
Le attenzioni riservate a questi frati, coriféi ed osservanti rigorosi della precettistica tridentina che non casualmente, alle più settentrionali latitudini molisane, avevano incontrato il deciso
sostegno di un severo correttore della condotta del clero sia secolare che regolare come il vescovo di Venafro Andrea Matteo Acquaviva d’Aragona(32), fratello del duca Giangirolamo I,
queste benevoli attenzioni, dicevamo, assodano d’altronde una propensione al francescanesimo che la “serenissima” casa Acquaviva vanta almeno dalla primavera del 1456, con le nozze tra
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Giulio Antonio, artefice della fondazione della Giulianova rinascimentale, e Caterina Orsini del
Balzo. È infatti quest’ultima, figlia naturale del potente principe di Taranto Giovanni Antonio, ad
innestare nella rigogliosa pianta dei duchi d’Atri e conti di San Flaviano una tradizione familiare nella quale i francescani sono onorati e rispettati. Si deve infatti a suo padre e al nonno
Raimondello, avventuriero spregiudicato non meno che combattente valoroso ma pure munifico patrono della Serafica Riforma pugliese, la consegna, agli Osservanti, di S. Caterina a
Galatina e di S. Antonio di Padova a Taranto(33) nonché, alla Vicaria galatinese, della dimora di S. Francesco d’Assisi a Gallipoli(34).
Un avviluppo di fede e devozione d’altronde rilevabile anche nei del Balzo, essendo non a caso
un francescano, Antonio de Jodice, beneficato poi con la donazione di volumi di gran pregio e dottrina(35), il confessore ed esecutore testamentario di quel Francesco I la cui moglie
Margherita di Taranto e la figlia Antonia sono inoltre le committenti della cripta di S. Francesco a Irsina.
Ed è ancora un osservante, Antonello de Ioannocto, già ministro provinciale e poi vescovo di Andria e Montepeloso, a godere i favori e la considerazione dell’umanista Francesco II Del
Balzo(36). Non sorprende perciò che il fondatore di Giulianova, suggellato ormai, ma con alcune
significative eccezioni, “l’abbandono definitivo della grande eredità benedettina tardomedievale
del Teramano e – aggiunge Raffaele Colapietra - la conversione decisa ed integrale al francescanesimo”(37), ad un quindicennio circa dall’innalzamento della chiesa di S. Maria
dell’Isola a Conversano con annesso convento per gli Osservanti(38), nel settembre 1477 disponga l’acquisto di un tomolo di sale a beneficio ancora dei Minori Osservanti ma di
Campli(3)9, dando così l’abbrivo ad un vigoroso mecenatismo che oltre un secolo dopo persiste a privilegiare i francescani dell’Osservanza.
È infatti a loro che nel 1580 un brillante studente prossimo al dottorato in utroque iure e vocato alla porpora cardinalizia, Ottavio I seniore, figlio del duca Giangirolamo I e fratello
quindi del conte di Conversano Adriano (ma anche, tra gli altri, del volitivo e ruvido Orazio, che
giungerà nel 1592, dopo l’iniziale esperienza tra i Cappuccini, alla cattedrale vescovile di Caiazzo mediante una nomina “politica” sollecitata proprio da Ottavio al papa Clemente
VIII(40)), affida, col consenso del padre, l’abbazia già benedettina di Propezzano, che del prestigio secolare degli Acquaviva è il simbolo più insigne e vistoso essendo una Prelatura
Nullius, appannaggio - si sa - della potente famiglia feudale. Ed è ancora Ottavio che nel 1583, l’anno funestissimo del martirio dell’altro fratello Rodolfo, gesuita come lo zio Claudio,
consegna sempre agli Osservanti il complesso dei Santi Sette Fratelli nella “Terra” di Mosciano, anch’esso originariamente monastero benedettino(41).
Si tratta di una dedizione obiettivamente vigorosa cui certo non nuoce l’insinuarsi di eventuali
coefficienti motivazionali che, di volta in volta, possono avere nella preoccupazione di assicurare un ulteriore prestigio alla propria dinastia, ovvero nella paura per la perdizione
eterna, oppure e finanche nell’egolatria, la loro scaturigine. E parimenti non opacizza la testimonianza di un impegno comunque assiduo a beneficio dei
francescani, e tra costoro dei frati Cappuccini, la consapevolezza
della portata sociale della rivoluzione francescana che, secondo lo spirito del fondatore, voleva garantire la povertà evangelica anche dei conventi: essi
[scil. Gli Acquaviva] erano dei feudatari e non potevano non favorire una
ideologia evangelica che imponeva la povertà per le strutture ecclesiastiche e andava di conseguenza a vantaggio delle proprietà feudali(42).
3. Gli Acquaviva d’Aragona e la fondazione del Convento dei Cappuccini di Giulianova
Post hoc ergo propter hoc rimane da dire del ruolo degli Acquaviva d’Aragona nella vicenda relativa alla genesi del convento cappuccino di Giulianova, il cui abbrivo è nell’atto di liberalità
- reso pubblico il 7 giugno 1595 nella pubblica piazza innanzi alla porta urbica meridionale di S. Giovanni Battista, quindi nell’area signoreggiata dal palazzo ducale dei potenti feudatari
Acquaviva d’Aragona e all’ombra della militaresca mole della collegiata di San Flaviano - di un
dovizioso proprietario locale, il sessantaquattrenne “Magnifico” Giovanni Filippo Di Giovanni. Il quale, animato dal “sommo desiderio” di veder eretto un “monastero” di Cappuccini, verso la
cui “religione” si dichiara da sempre devotissimo, ma anche preoccupato di assicurare a sé ed ai suoi posteri la salute e la “consolazione” dell’anima, spontaneamente e solennemente si
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impegna a cedere per lo scopo un suo appezzamento di terra de jure longobardorum - cioè
soggetto alla divisione fra tutti i discendenti, maschi e femmine(43) - ubicato strategicamente a un buon piede di distanza dalla chiesa di S. Flaviano, nella contrada di San Rocco, i cui
confini sono delimitati ad occidente dal prato reale e ad oriente dalla strada pubblica. Oltre al terreno, che risulta ubertoso di vigne, folto di essenze arboree e sul quale insiste una
pregressa “fabbrica”, il generoso donante s’impegna anche all’elargizione di una consistente “elemosina”, necessaria per l’avvio dei primi lavori e per la realizzazione della chiesa che si
vuole annessa all’edificio conventuale(44). Atto di donazione di terreni per la costruzione del convento cappuccino da parte di Filippo Giovanni di
Filippo, 7 giugno 1595, particolare. (Archivio Provinciale dei Cappuccini de L’Aquila)
A raccogliere le dichiarazioni del Nostro, che rende irrevocabile e non sottoposto a vincolo
alcuno l’atto di donazione, sono, insieme col giudice regio Domenico Nelli de fascella ed al
notaio Santo di Lente de terranuori, gli
esponenti di quel velleitario ed economicamente dovizioso ceto cittadino che,
disponendo di cospicui patrimoni in buona parte derivanti dalla terra e dalle sue colture
oppure dall’esercizio delle professioni mediche e giuridiche, ambisce ad imporsi sulle altre
componenti sociali spessissimo giovandosi dei meccanismi del potere locale. È sintomatico in
proposito che nel locale Reggimento, a partire
almeno dal 1576 e senza soluzione di continuità per i decenni a venire, occhieggi
uno tra i maggiori proprietari cerealicoli in ambito locale, Ciccio Brandimarte(45), il cui
nome peraltro frequentemente si alterna al vertice dell’organo esecutivo dell’Università
con quello del quasi coetaneo Giovanni Angelo Spina, qui nelle vesti di rappresentante dei Cappuccini ed anch’egli spesseggiante nella vita
pubblica giuliese essendo già dal gennaio 1577 “consiliare” con funzioni di impositore di tributi
nonché compilatore del bilancio dell’Università ed inoltre, nei successivi anni ottanta, magna pars delle vicende affaristiche cittadine(46).
A noi ignoti invece sono gli altri personaggi che troviamo citati nella formale obbligazione assunta dal Di Giovanni, cioè Costantino Mazza, Giovanni Paolo Fracassa, Costanzo de lancio,
Cola Antonelli de assaneta, Gimesio Bernardi e Domenico Previnunzio, gli ultimi due col predicato de Iulia a sottolinearne rispetto ai precedenti l’origine autoctona. Tutti comunque,
come postula il coinvolgimento in un atto solenne, appartenenti a famiglie di buona estimazione sociale e con tutta probabilità di solide fortune patrimoniali, forse approdate in
tempi recenti - e magari a seguito di mobilità infracetuale - ad una agiata condizione
economica e quindi ad un evidente protagonismo pubblico. Proviene dunque da un esponente del ceto privilegiato locale il primo atto d’impulso relativo
alla fondazione dell’insediamento cappuccino di Giulianova, nel quale è sin troppo agevole ravvisare, difettando ogni calcolo di ordine materiale, quel coefficiente motivazionale
squisitamente e sinceramente religioso che - come è stato altrove rilevato - connota con altissima frequenza gran parte delle vicende genetiche degli insediamenti di questa famiglia
francescana. Il primo intervento di un Acquaviva d’Aragona, nello specifico il mite, religioso e moderato
Alberto, fratello del già incontrato Adriano conte di Conversano e subentrato nel 1592, alla
morte del padre Giangirolamo I, nella titolarità di quello che rimaneva certo uno dei più ampi possessi feudali della regione ma anche nei numerosissimi rapporti passivi, tanto da essere
non poco angustiato da parte dei creditori e vivendo egli stesso con un miserrimo appannaggio nonostante la pingue dote di 60mila ducati portati dalla moglie Beatrice de Lannoy, si esplica in
occasione di un sopralluogo, successivo ovviamente alla donazione del Di Giovanni, relativa al
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sito prescelto per la edificazione del convento. È proprio l’undicesimo duca d’Atri e decimo
conte di San Flaviano a ricevere ed accompagnare il Generale dei Cappuccini, il giurista napoletano Ascanio Stefani, in religione Girolamo da Sorbo(47), insieme con una ben folta
“compagnia di vinticinque frati cappuccini”, nella ricognizione riguardante però non l’originario appezzamento messo a disposizione dal “Magnifico” Giovanni Filippo Di Giovanni, bensì uno
viciniore in grado, rispetto all’altro, di soddisfare le condizioni relative agli insediamenti contenute nelle vigenti Costituzioni dell’Ordine del 1575. Queste, ribadendo in parte le
disposizioni della normativa costituzionale del 1536 e del 1552, contemplavano infatti nel capitolo sesto, oltre al rispetto di precise tipologie edilizie e architettoniche per i conventi(48),
la distanza minima degli insediamenti, dagli agglomerati urbani, di circa un miglio, così da
salvaguardare il necessario raccoglimento a favore dei frati senza tuttavia precludere la possibilità di instaurare un adeguato rapporto di prossimità con le comunità civili,
coerentemente all’energico tentativo di nuova ruralizzazione da parte dei Cappuccini che viene peraltro confermato dall’importanza della localizzazione boschiva del convento, in ossequio alla
pratica iniziale, prettamente anacoretica, della storia di questa famiglia francescana(49). L’area prescelta, situata ad ovest della strada pubblica, nella contrada S. Angelo, toponimo
derivante da una omonima chiesa forse benedettina, S. Angelo in Cryptis, realizzata in
età medievale probabilmente su preesistenze
romane(50), in effetti rispetta in pieno le prescrizioni capitolari essendo estesa circa otto
tomoli pressoché interamente pianeggianti, sita ad “un quinto di miglio in circa” a
meridione dell’abitato, dotata di “cerqueto grande”, essenza talmente diffusa nei domini
acquaviviani da poter quasi essere ascritta “nel loro stemma nobiliare”, come sostiene
Gennaro Incarnato(51), e, soprattutto, di una
sorgente di acqua potabile. Atto datato 17 novembre 1595 riguardante il terreno per l’edifiicazione del Convento cappuccino, particolare.
(Archivio Provinciale dei Cappuccini de L’Aquila).
Epperò, principiati i lavori del convento, per i
quali Adriano Acquaviva d’Aragona, in
predicato ormai di ricevere il titolo ducale di Noci e salito in fama per i successi conseguiti
contro il brigantaggio “sociale” ap penninico di Marco Sciarra, aveva messo a disposizione,
non deflettendo dal suo favor per i Cappuccini, consistenti “elemosine”, mentre il fratello duca
Alberto, stanti le sfasciate finanze che pure non gli avevano impedito di erigere nel 1593 la Cappella dei Santi Bartolomeo e Igino nella
chiesa “Maiore” della sua Giulianova, si era dovuto limitare ad autorizzare l’apprensione del
legname necessario “per cocere calge” e fare mattoni in alcune vicine fornaci, oltre che per farne “tavole, sommasse et altri decorrenti e travi per servitio di detto convento”, iniziati i
lavori, si diceva, questi tuttavia dovevano necessariamente arrestarsi a causa di un breve pontificio di Clemente VIII, emanato con tutta probabilità il 15 ottobre 1596, che, novellando
tutta la materia, fissava come composizione personale minima dei nuovi insediamenti religiosi il numero di dodici frati. Si trattava di una disposizione particolarmente restrittiva mirante a
contenere - anche a fronte della sorprendente forza di espansione dei Cappuccini sul finire del XVI secolo(52) – la proliferazione delle piccole fraternità mendicanti, così da assolvere ad una
duplice esigenza: da un lato quella di garantire ai frati, ritenendo appunto che il numero
duodenario dei membri fosse il minimun di una comunità, la possibilità di una degna esistenza e dell’osservanza regolare, e, dall’altro lato, di scongiurare potenziali conflitti e situazioni di
concorrenzialità tra le varie famiglie religiose. Logico corollario ne era l’effettuazione di quei veri e propri processi informativi sul territorio - di norma demandati dalla Sacra Congregazione
dei Vescovi e Regolari(53), organo titolare del potere autorizzatorio, agli ordinari diocesani -
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tesi a verificare la reale necessità dei nuovi insediamenti e la possibilità di reperire in loco
sufficienti mezzi di sussistenza per la nuova fraternità(54). La nuova disposizione nel mentre - come detto – paralizzava i lavori del convento, attivava al
contempo il relativo processo informativo per Giulianova, il primo ad essere istruito in Italia. A disporlo era il cardinale piemontese Michele Bonelli(55), prefetto della Sacra Congregazione dei
Vescovi e Regolari, che con sua missiva del 4 dicembre 1596 indirizzata al dotto e preparato vicario generale di Teramo, il marchigiano Mario Antonini, lo invitava a recarsi appunto a
Giulianova per raccogliere le necessarie informazioni, atteso che quella università
ha supplicato la sacra congregatione per la licenza di condurre al fine la
fabbrica del monastero, ch’alcuni anni sono principiò per li frati capucini. Però questi miei signori illustrissimi - aggiunge il cinquantacinquenne porporato
riferendosi agli altri componenti della Sacra Congregazione - non hanno voluto concedergliela se prima non sono informati da voi della qualità del luogo, se in
esso possi[no] vivere comodamente dodici frati, et se vi sono altri regolari mendicanti, di che Ordine et il numero d’essi(56).
Per l’adempimento del non poco impegnativo compito il vicario Antonini, nella sua qualità di
commissario “specialiter” della Sacra Congregazione, il successivo 17 dicembre convocava
dunque a Giulianova, presso la casa dell’arciprete Muzio Boccalari (nominato appena tre giorni prima dal duca Alberto Acquaviva d’Aragona in sostituzione del deceduto Aurelio Mentovati),
alcuni appartenenti al locale ceto benestante e in ascesa, cioè gli “illustrissimi signori” Giovanni Angelo Spina, Pasquale Manaro (o Manari), Galeazzo Mostacci e quel Giovanni Filippo Di
Giovanni che ben conosciamo(57), raccogliendo ogni utile informazione su caratteristiche, consistenza demografica e risorse economiche di Giulianova, oltre che sulla presenza di altri
ordini religiosi e confraternite, chiudendo quindi la pratica informativa il 20 dicembre seguente. Gli esiti della attenta ricognizione, autenticata da un notaio teramano assai avvezzo agli
ambienti ecclesiastici essendo “Maestro d’atti” alla corte episcopale, il Pompeo Giraldi che
torneremo ad incontrare avendo questi rogato appena un mese innanzi uno strumento per il vescovo di Teramo(58), venivano quindi compiegati ad una lettera che l’Antonini trasmetteva
con premura al cardinale Bonelli non mancando di attestare che Giulianova, secondo quanto egli aveva potuto constatare “ocularmente”,
per la qualità sua, degl’habitanti et territorio, non solo è bastante a sostentare
un convento de dodici padri cappuccini comodamente, ma anchora de venti padri.
A tanta sollecitudine non corrispondeva però lo zelo del Bonelli né l’attivismo della Sacra Congregazione da lui presieduta giacché le fasi ulteriori del procedimento, necessarie per la
concessione della sospirata “licentia”, pativano infatti - pur a fronte di una “informatione” doviziosa e densa di rassicuranti cifre - sospetti ritardi e, forse,
dolose trascuratezze. Ottavio Acquaviva d’Aragona (seniore), cardinale, arcivescovo di Napoli. Da Giovanna Manetta Sabatini, Albero genealogico della Famiglia Acquaviva d’Aragona, Bellante, Paper’s World, 2009
Sicché, quando ormai non residuano più dubbi sul destino della
pratica, fagocitata dall’apparato amministrativo o comunque scivolata negli infiniti meandri della Sacra Congregazione dei Vescovi
e Regolari, il capo “Regimento”, forse il Ciccio Brandimarte già
incontrato, in nome e per conto della “comunità” di Giulianova faceva giungere alla medesima Congregazione, il 3 giugno del 1597,
una “supplica” nella quale, dopo aver lamentato con toni ossequiosi ma non remissivi che “essendosi cinque mesi sono data detta informatione, et essendo hora il
tempo da poter fare la fabbrica, che non patisce più dilazione per non perdere le provisioni fatte”, domandava al Bonelli ed agli altri membri della Sacra Congregazione di “degnarsi
d’ordinare che si metta in esecuzione detta santa opra”, avvertendo che in caso di ritardo sarebbe stato non potenziale bensì reale il rischio di perdere “una devozione tanto grande” e
generalmente diffusa nella popolazione locale.
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A supportare autorevolmente l’istanza è - ça va sans dire - un Acquaviva d’Aragona, il fratello
del duca Alberto e del conte di Conversano Adriano che abbiamo incontrati nelle vesti di zelantissimi patrocinatori dell’insediamento cappuccino giuliese, cioè il cardinale Ottavio I
seniore(59), in questo periodo residente a Roma pur essendo Legato pontificio ad Avignone. Espressione di un apparato familiare potentissimo all’interno della Chiesa romana (un fratello,
Giulio, creato cardinale nel 1570, un altro fratello, il gesuita Rodolfo, martirizzato a Goa nel 1583 e destinato alla beatificazione(60), non dimenticando il già incontrato Orazio,
presentemente vescovo di Caiazzo, nonché gli zii Andrea Matteo, da noi incontrato come vescovo di Venafro e spentosi come vescovo di Cosenza nel 1576, e Claudio, quinto generale
della Compagnia di Gesù), tanto da rendere gli Acquaviva - per dirla con Angelantonio
Spagnoletti - “una vera e propria casa cardinalizia, come ben poche nell’Italia meridionale”, il nostro Ottavio I precede solo di qualche mese, nell’azione di sostegno alle ragioni dei ‘naturali’
di Giulianova per la realizzazione del locale convento cappuccino, il nipote Giosia II. Sono infatti sue le accorate espressioni contenute in una missiva per il solito cardinale
alessandrino spedita il 23 ottobre 1597 dal palazzo di Morro d’Oro, sede operativa delle operazioni acquaviviane contro i banditi infestanti i territori valligiani del medio Vomano, e
firmata genericamente “il duca d’Atri” avendo egli acquisito il titolo a seguito della morte del padre Alberto che, già gravemente malato a settembre (come si apprende da una lettera
scritta il 16 di quel mese proprio da Giosia), era spirato nella dimora avita di Giulianova
esattamente venti giorni prima, il 3 ottobre(61).
Illustrissimo et reverendissimo signor mio osservandissimo. Sono molti mesi che questa mia terra di Giulia, mossa dalla devotione
particolare che ha alla religione de capuccini, diede principio alle provisioni necessarie per fabricarvi un monasterio, con ferma speranza d’ottenere
licenza di poterlo fare. Et di già s’è condotta al luogo tanta monitione, che basta poco meno a tutta la fabrica. Et se ben col mezzo dell’essamine s’è fatto
costare che posson viverci comodamente i dodeci padri et n’è stata altre volte
supplicata vostra signoria illustrissima, non essendosi fin hora havuta resolutione, restano con gli animi questi cittadini con molta confusione, et la
spesa che s’è fatta - che importa più di 600 ducati - impedita. Onde vengo con questa a supplicar vostra signoria illustrissima et cotesta
sacra congregatione a voler consolar questa mia terra et me di questa gratia, assicurandola che per le comodità et facultà che c’è non solo ci possono vivere
dodeci padri, ma ce ne potriano vivere trenta; oltre che io me obligo a mantenerli del mio proprio, per maggior soddisfazione et per l’aumento che
desidero vedere del culto divino, conforme al buon zelo che universalmente ne
mostra tutta questa gente, che tanto desidera mandare ad effetto questa buon’opra.
La cartina riguarda l’originario convento dei
Cappuccini di S. Angelo in Giulianova, attuale Casa Maria Immacolata. Da Atlante geografico del Regno di Napoli.
La ossequiosa “supplica” di Giosia II, ormai XII
duca d’Atri, tendeva con tutta evidenza a sottrarre dall’impaludamento la pratica relativa
all’auspicato insediamento cappuccino nella sua Giulianova, in linea con i desideri del padre
Alberto. Il cui nome, peraltro, veniva rievocato - sgomberando ulteriormente il campo da ogni
residuale dubbio in ordine al giorno del suo decesso(62) – in una precedente missiva,
datata 21 ottobre 1597, stavolta a firma del
vescovo aprutino Vincenzo Bugiatti di Montesanto e da questi affidata brevi manu al guardiano dei Cappuccini di Teramo, il marchigiano p. Giustino da Monterubbiano, per il cardinale Bonelli.
Impegnato anch’egli a perorare la causa dell’erigendo convento di Giulianova, il presule aprutino rammentava infatti al suo interlocutore come Alberto Acquaviva d’Aragona
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prima che morisse, ragionò meco a lungo del dessiderio grande che teneva di
vedere che Giulia avesse un convento de padri cappuccini, dolendosi che si facesse difficoltà che s’edificasse. E restai seco in appuntamento di scriverne
insieme a vostra signoria illustrissima e supplicarla di questo, come faccio da me solo, essendo mancato detto signore, dal quale - se viveva – speravo gran
bene per la chiesa, parendomi che fosse amatore di chi li diceva il vero, amatore per l’anima sua.
Il testo della missiva, dunque, nell’evidenziare – come s’è detto - il sincero e deciso
apprezzamento del duca Alberto da poco scomparso nei confronti dei Cappuccini, ci consente
anche di riflettere, in maniera incidentale, sul rapporto instaurato dagli Acquaviva con i vescovi teramani. I quali - come esattamente rileva Adelmo Marino - se da un lato li riprovavano non
lesinando, a volte, toni persino acrimoniosi e “ricorrevano al papa per le loro continue prevaricazioni, dall’altra li rispettavano profondamente per il sostegno che davano agli ordini
mendicanti, su cui essi facevano grande affidamento, per l’applicazione del Concilio”(63). Ciò è tanto più vero considerando che, al pari del predecessore Giulio Ricci, vescovo di Teramo
dal 1582 al 1591, anche mons. Bugiatti era costretto a patire la mortificante e incoercibile erosione della giurisdizione vescovile determinata, nel caso di specie, dalla pretesa di
patronato da parte degli Acquaviva su tutti i benefici semplici e su molti curati(64).
Emblematica, in proposito, la vicenda riguardante l’antichissima chiesa giuliese di S. Maria a Mare che il vescovo Bugiatti, dopo aver denunciato l’11 dicembre 1594 la sua usurpazione da
parte del duca Alberto “sotto pretesto di juspatronato”(65), si era poi impegnato a recuperare al Capitolo: seguendo, infatti, lo strumento rogato dal notaio Pompeo Giraldi il 6 novembre
1596 con la cessione a suo favore, da parte del Capitolo, di ogni diritto pro manutentione juris Cathedralis Ecclesiae Aprutinae implicatus reperitur, aveva istruito una apposita pratica,
doviziosa di documenti fatti estrarre dal Cartulario dallo stesso Giraldi, tesa evidentemente a confutare l’immemorabile possesso vantato dagli Acquaviva sui ricchi benefici di quella
prepositura(66).
Tornando al quia del nostro discorso, la combinata azione del cardinale Orazio I Acquaviva d’Aragona, di suo nipote Giosia II e del vescovo aprutino, proveniente come il cardinale Bonelli
dall’Ordine domenicano, consentiva di ottenere finalmente, il 15 dicembre 1597, quattro mesi prima della morte del prefetto della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, la sperata
“licentia”. Sicché i devoti giuliesi, guidati dal già incontrato p. Giustino da Monterubbiano(67) e con la collaborazione, tra gli altri, di frà Celidonio da Colledonico, potevano riprendere di buona
lena i lavori per la “fabbrica del monastero”, che, realizzato con mirabile sollecitudine nella ricorrente “povera forma” cappuccina(68), entrava in funzione nel 1599 sotto il titolo di S.
Michele Arcangelo, in omaggio all’antico culto micaelico praticato nella zona e rimasto
cristallizzato - come sappiamo - nella toponomastica di questa contrada di Giulianova. Per uno di quei singolari intrecci che non di rado la storia congegna, in questo stesso anno
1599, a Roma, l’oratoriano Scipione Dentice dedicava a S. Maria dello Splendore - culto mariano, si sa, caro agli Acquaviva e da questi decisamente patrocinato, ma anche, e
significativamente, titolo della chiesa fondata a Napoli nel 1592 da Lucia Caracciolo con l’annesso Conservatorio - una delle sue composizioni musicali(69): iniziativa, questa, alla quale
non era probabilmente estraneo il cardinale Ottavio seniore, tra i mecenati della musica a Roma in quel periodo(70).
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NOTE 1 Raffaele Colapietra, Insediamenti ambientali e funzione socioculturale degli ordini religiosi in
Abruzzo, Molise e Capitanata fra Quattro e Settecento, in Ordini religiosi e società nel Mezzogiorno moderno, Atti del seminario di Studio (Lecce, 29-31 gennaio 1986), a cura di
Bruno Pellegrino e Francesco Gaudioso, vol. I, Galatina, Congedo Editore, 1987, p. 15.
2 Sulla presenza osservante in Puglia, e specificamente sulla vicaria di S. Angelo in Puglia,
eretta nel 1431 e che nel 1495 annoverava 18 conventi e 200 religiosi, cfr. Clemente Schmitt, Appunti dal «Regestum Observantiae cismontanae» per la storia degli osservanti in Puglia nella
seconda metà del sec. XV, in I Francescani in Capitanata, Atti del convegno di studi, Convento
~ xii ~
di S. Matteo - S. Marco in Lamis 24-25 ottobre 1980, a cura di Tommaso Nardella, Mario
Villani, Nicola De Michele, Bari, Mario Adda Editore, 1982, vol. I, pp. 87-97. Per altri rilievi cfr. utilmente Doroteo Forte, Testimonianze francescane nella Puglia Dauna, San Severo,
Organizzazione Dauna Arti Grafiche, 1967.
3 Si rimanda in proposito a Ludovico da Fossombrone e l’Ordine dei Cappuccini, a cura di Vincenzo Criscuolo, Roma, Istituto Storico dei Cappuccini, 1994.
4 Cfr. in argomento p. Eduardo Di Iorio, I Cappuccini nel Molise. 1530-1975. Arte e ricordi
storici nelle loro Chiese e Conventi, Campobasso, Arti Grafiche “La Regione” Editrice, 1975, p.
20 e ss.
5 Di questa controversia accennata da Lorenzo Giustiniani nel suo ben noto Dizionario Geografico Ragionato del Regno di Napoli (tomo III, Napoli, Manfredi, 1797, p. 344), v’è tutta
una minuziosa descrizione contenuta nel Libro antiquarum notitiarum Provinciae Cappuccinorum [sic] S. Angeli, del quale alcuni passi - quelli pertinenti le cause del
trasferimento da Castelluccio - sono pubblicati in p. Eduardo Di Iorio, I Cappuccini nel Molise. 1530-1975, cit., pp. 25-29. Sembra che alla base della decisione vi fosse stato il “grandissimo
disturbo e dispiacere” arrecato a quei frati da una “scelerata donna” convivente more uxorio
col prete principale del paese, suo protettore.
6 Raffaele Colapietra, Insediamenti ambientali e funzione socioculturale degli Ordini religiosi, cit., p. 16.
7 Id., Francescanesimo quattro-cinquecentesco tra Aquila e Foggia: aspetti sociali ed
urbanistici degli insediamenti, in 5° Convegno sulla Preistoria - Protostoria - Storia della Daunia. San Severo, 9-10-11 dicembre 1983, Atti a cura di Benito Mundi e Armando Gravina,
tomo secondo (Storia), San Severo, Biblioteca Comunale “A. Minuziano” - Archeoclub d’Italia,
Sezione di San Severo, 1988, p. 110. Circa il convento foggiano cfr. Gaetano Spirito, Foggia e l’antico convento dei cappuccini nella storia e nella tradizione, Foggia, Libreria Leone, 1988.
8 Sulla genesi di questo e di altri insediamenti nella primissima fase d’espansione cappuccina
nel territorio pugliese cfr. Mariano da Alatri, I primi insediamenti dei cappuccini in Puglia, in “L’Italia Francescana”, a. LXII [1987], n. 4-5, pp. 471-484.
9 Cfr. in argomento Filippo Bernardi, I Frati Minori Cappuccini di Puglia e di Basilicata (1530-
1716), a cura di Tommaso Pedìo, Bari, Società di Storia Patria per la Puglia [Grafica Rossi],
1985, p. 64.
10 Circa le vicende di questo insediamento cfr. Sandro da Ripa, I Cappuccini a San Giovanni Rotondo (appunti storici: 1540-1909), Foggia, Stabilimento Tipolitografico Cav. L. Cappetta &
F., 1967.
11 Cfr. Leonardo Triggiani, I conventi dei cappuccini di Foggia. Storia e cronaca, San Giovanni Rotondo, Edizioni Voce di Padre Pio - Convento S. Maria delle Grazie, 1979, p. 178.
12 Sulla chiesa e convento S. Maria di Costantinopoli, quest’ultimo successivamente ampliato a proprie spese da Ascanio D’Elia, cfr. Vincenzo Di Sabato, Storia ed arte nelle chiese e conventi
di Lucera, Foggia, Stab. Tip. L. Cappetta & F., 1971, p. 410 e ss.
13 Leonardo Triggiani, I conventi dei cappuccini di Foggia, cit., p. 192 e ss.
14 Sul punto si rimanda a Eduardo Di Iorio, I cappuccini della religiosa provincia di Foggia o di S. Angelo in Puglia (1530-1986). (Arte e ricordi storici delle loro chiese e conventi),
Campobasso, L’Economica, 1986, e a Leonardo Triggiani, I conventi dei cappuccini di Foggia.
Storia e cronaca, cit., pp. 11-14. Altri utili rilievi in Bonaventura Massa, L’origine della provincia cappuccina di Foggia, in “Bollettino Ufficiale della Provincia di Foggia dei Frati Minori
Cappuccini”, numero speciale dell’anno 1979, Foggia, Curia dei Frati Minori Cappuccini - Convento “Immacolata”, s.d. [ma 1980], pp. 25-56. Cfr. anche la cronaca storica di Antonio
~ xiii ~
Dalla Serra, Memorie storiche dei cappuccini della provincia di Sant’Angelo, a cura di
Alessandro da Ripabottoni, Foggia, Curia Provinciale dei Cappuccini, 1988.
15 Per un ampio quadro relativo alla presenza cappuccina in Terra di Bari cfr. Fara Sforza, I cappuccini in terra di Bari nei secoli XVI-XVII, in Cultura e società a Bitonto nel sec. XVII, Atti
del Seminario di studi (Bitonto, dicembre 1978 - maggio 1979), Bitonto, Centro Ricerche di Storia e Arte Bitontina, 1980.
16 Circa il quale cfr., oltre a p. Emanuele Martina da Francavilla, Cronaca dei frati minori
Cappuccini di Puglia. Pubblicata dal p. Antonio da Stigliano, O.F.M. Cap., Bari, “L’Aurora
Serafica”, 1941, pp. 17-28, anche Vincenzo Criscuolo, Tullio da Potenza, pioniere della riforma cappuccina in Basilicata, in Francescanesimo in Basilicata. Atti del convegno di Rionero in
Vulture 7-10 maggio 1987, a cura di Gennaro Bove, Carlo Palestina, Francesco L. Pietrafesa, Rionero in Vulture, Centro Studi “Conoscere il Vulture”, s.d. [ma 1989], pp. 165-172.
17 Per un inquadramento generale cfr. Raffaele Colapietra, Omogeneità e differenziazione nella
società religiosa post-tridentina nel Mezzogiorno medio-adriatico, in “Ricerche di storia sociale e religiosa”, a. XVI [1987], n. 31-32, pp. 65-95. Utili rilievi anche in Gigliola Fragnito, Gli
Ordini religiosi tra Riforma e Controriforma, in Clero e società nell’età moderna, a cura di Mario
Rosa, Roma-Bari, Editori Laterza, 1992, pp. 115-205. È opportuno rilevare che il problema degli eretici sembra investire solo incidentalmente le diocesi di Capitanata. Nella diocesi di
Troia il fenomeno investe alcune comunità di “Narbonenses”, ossia di Provenzali di Celle e Faeto, località nelle quali si erano diffuse alcune non meglio identificate tendenze ereticali,
peraltro prestamente perseguite dal vescovo Prospero Rebiba intorno al 1563 e dal suo successore Giacomo Aldobrandini. Sul punto cfr. Tommaso Nardella, Fonti archivistiche per una
storia delle diocesi di Capitanata dalla seconda metà del XVI sec. al sacco turco di Manfredonia del 1620, in “Archivio Storico Pugliese”, a. IL [1987], fasc. I-IV, p. 77.
18 Sulla genesi del convento di Taranto Chiese e Conventi Cappuccini di Taranto. Testo di Roberto Caprara, Taranto, Il Comune - Assessorato Promozione Culturale, 1980, pp. 21-26.
19 Circa l’insediamento di Andria cfr. Giacinto Borsella, Andria Sacra, a cura di Raffaele Sgarra,
Napoli, Tip. Francesco Rossignoli, 1918, p 239 e ss.
20 Si rimanda in proposito a Nicola Rotundo, I Cappuccini e Noicattaro. Uomini e vicende, Cassano Murge, Messaggi, 1992.
21 Oltre al Bernardi, cfr. in proposito il recente lavoro di Antonio Amico, Bitonto. Presenza dei Cappuccini, Galatina, Congedo, 1991.
22 Cfr. Salvatore da Valenzano, I Cappuccini nelle Puglie. Memorie storiche 1530-1926, Bari,
La Tipografia, 1926, p. 140 e I conventi cappuccini nell’inchiesta del 1650, a cura di Mariano da Alatri, vol. III, Roma, Istituto Storico dei Cappuccini, 1985, p. 143. Emblematica l’iniziativa
presa dall’arcivescovo di Otranto di dotare la chiesa conventuale di una campana sottratta dalla chiesa della Madonna della Sete nel casale di Cursi, donde le “suppliche” di reintegra della
comunità rivolte nel 1609 allo stesso Marcello Acquaviva d’Aragona e poi alla Sacra
congregazione. Per questa vicenda si veda I Cappuccini e la Congregazione Romana dei Vescovi e Regolari, vol. VIII. 1624 - 1629, a cura di Vincenzo Criscuolo, Roma, Istituto Storico
dei Cappuccini, 1991, pp. 54, 432-434, 466 ss.
23 Marcello Acquaviva d’Aragona nacque a Napoli nel 1553 e si spense a Sant’Omero il 18 marzo 1617. Patrizio Napoletano, Arcivescovo di Otranto dal 25 febbraio 1586, nunzio presso
la repubblica di Venezia e poi, nel 1590, presso i duchi di Savoia. Cfr. Francesco Barberini, Religiosi della famiglia dei duchi Acquaviva, in “La voce pretuziana”, a. IX [1980], n. 2, p. 19
ed Emma Santovito, Acquaviva, Marcello, in Enciclopedia Cattolica, vol. I, Città del Vaticano,
Ente per l’Enciclopedia Cattolica e per il libro cattolico, 1948, col. 244.
24 In argomento Lucia Giorgi, Edilizia religiosa a Caserta dal dopoguerra ad oggi, in Caserta e la sua Diocesi in età moderna e contemporanea, a cura di Giuseppe De Nitto, Giuseppe
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Tescione, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1995, p. 228, ora in Ead., Caserta e gli
Acquaviva, Caserta, Spring, 2004. Si v. altresì Michele Diglio, Il convento dei Cappuccini di Caserta dalla fondazione all’abbandono, Caserta, Quintessenza, 1997. È opportuno
rammentare che Baldassarre (+ 13 luglio 1577), patrizio napoletano e signore di Caserta, secondogenito di Anna Gambacorta e di Giulio Antonio (conte di Conversano dal 1529 al 1530
e morto in Francia, dove era esulato, nel 1539), aveva preso in moglie Geronima Gaetani dell’Aquila d’Aragona. Dal loro matrimonio erano nati Giulio Antonio (2° marchese di Bellante
e, dal 1579, 1° principe di Caserta), Vincenzo (chierico napoletano beneficiato della rettoria abruzzese di S. Maria a Ripoli), Francesco e, appunto, Marcello.
25 Per una ricognizione ad ampio spettro relativa ai feudi degli Acquaviva in Puglia nei secoli XVI e XVII cfr. Maria Sirago, Il feudo acquaviviano in Puglia (1575-1665), in “Archivio Storico
Pugliese”, a. XXXVII [1984], fasc. I-IV, pp. 73-122. Per le successive vicende - non sempre edificanti, per vero - di questo ramo pugliese degli Acquaviva, cfr. pure di Maria Sirago, Il
feudo acquaviviano in Puglia (1665-1710), in “Archivio Storico Pugliese”, a. XXXIX [1986], fasc. I-IV, pp. 215-254. Un ampio affresco relativo al ruolo degli Acquaviva in questi territori è
efficacemente tratteggiato nei contributi confluiti nel volume Territorio e feudalità nel Mezzogiorno rinascimentale: il ruolo degli Acquaviva tra XV e XVI secolo. Atti del Primo
Convegno Internazionale di studi su La Casa Acquaviva d’Atri e di Conversano (Conversano-
Atri 13-16 settembre 1991), a cura di Caterina Lavarra, Galatina, Congedo, 1995, ai quali contributi è da aggiungere il nitido lavoro di Gennaro Incarnato, Cacce, crisi militare,
intraprendenza contadina nella prima metà del ‘500. Una nobiltà assediata: il caso Acquaviva d’Aragona, duchi d’Atri conti di Conversano, in Don Giulio Di Francesco. Sacerdote Insegnante
e Storico teramano. Testimonianze e contributi, a cura di Adelmo Marino, Teramo, Centro Abruzzese di Ricerche Storiche - Edigrafital, 1994, pp. 53-98, ora in Id., La maledizione della
terra (1500-1848). Per una storia, non solo agraria, dell’Italia meridionale, Napoli, Loffredo, 2000.
26 Se ne veda la “voce” di Costanza Lorenzetti nel Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 1, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1960, p. 185. Sulle vicende relative all’ascesa del
ramo conversanese degli Acquaviva si rimanda al documentato lavoro di Maria Sirago, Due esempi di ascensione signorile: i Vaaz conti di Mola e gli Acquaviva conti di Conversano tra
‘500 e ‘600 (Terra di Bari), in La rifeudalizzazione nei secoli dell’età moderna: mito o problema storiografico? Atti della Terza Giornata di Studio sugli Antichi Stati Italiani, a cura di Giorgio
Borelli, in “Studi Storici Luigi Simeoni”, a. XXXVI [1986], p. 169 e ss.
27 Cfr. in proposito Gennaro Incarnato, L’evoluzione del possesso feudale in Abruzzo Ultra dal
1500 al 1670, in “Archivio storico per le province napoletane”, a. LXXXIX [1971], p. 275 e il classico ma inesatto Giorgio Bolognini, Storia di Conversano da tempi più remoti al 1865, Bari,
Canfora e C., 1935, pp. 129-130.
28 Una ampia e istruttiva ricostruzione delle vicende snodatesi durante la signoria di Giangirolamo è in Raffaele Colapietra, Giangerolamo Acquaviva Duca d’Atri 1521-1592
protagonista di una transizione politico-culturale, in “Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria”, a. LXXXIII [1993], pp. 5- 97.
29 Riguardo al quale cfr. Roberto Filograna, Castelli, fortificazioni ed antichi privilegi della città di Nardò, Lecce, Editore Conte, 1999, pp. 375-381 e Luigi Antonio Montefusco, Le successioni
feudali in Terra d’Otranto: la provincia di Lecce, Lecce, Istituto araldico salentino “Amilcare Foscarini” [Novoli, Tipografia A. Rizzo], 1994, p. 315.
30 Sul vescovo Giovan Battista (1513-1569), terzogenito del 1° duca di Nardò Belisario, nipote
quindi del fondatore di Giulianova Giulio Antonio, cfr., oltre alla scheda biografica contenuta in Emilio Mazzarella, La sede vescovile di Nardò, Galatina, Editrice Salentina, 1972, pp. 109-112,
l’interessante studio di Salvatore Palese, Vescovi di Terra d’Otranto prima e dopo il Concilio di
Trento. La vicenda dei vescovi della famiglia Acquaviva di Nardò, in “Rivista di scienze religiose”, a. I [1987], n. 1, pp. 88 ss. Vedasi anche Pius Bonifacius Gams, Series Episcoporum
Ecclesiae Catholicae, rist. Graz, Akademische Druck, 1957, p. 903.
~ xv ~
31 Cfr. in proposito il dovizioso lavoro di Rosi Fracella, I Cappuccini a Nardò. Storia di
un’impronta (1569-1866), Galatina, Congedo, 2004, pp. 48-54.
32 Interessanti sono in proposito i rilievi di Gennaro Morra, Mezzo secolo di spirito tridentino nell’azione di alcuni vescovi di Venafro, in Il Concilio di Trento nella vita spirituale e culturale
del Mezzogiorno tra XVI e XVII secolo. Atti del Convegno di Maratea. 19-21 giugno 1986, a cura di Gabriele De Rosa, Antonio Cestaro, volume secondo, Venosa, Edizioni Osanna, 1988,
pp. 427-431. Per notizie più dettagliate sulla complessa personalità e sull’opera del vescovo Andrea Matteo Acquaviva d’Aragona cfr. ancora Gennaro Morra, Un vescovo riformatore di
Venafro, in “Campania Sacra”, a. XIII-XIV [1982-1983], pp. 107-148.
33 Oltre al risalente ma sempre interessante Cosimo De Giorgi, La chiesa di Santa Caterina in
Galatina e la torre quadrata di Soleto (Note e documenti), in “Rivista Storica Salentina”, a. I [1903], pp. 286-307 ed ora in Id., Natura e civiltà di Terra d’Otranto. Antologia degli scritti a
cura di Michele Paone, Galatina, Editrice Salentina, 1982, vol. II, spec. 297-301, cfr. Franco Silvestri, Introduzione a Michele Montinari, La basilica caterinana di Galatina. Con acquerelli di
Pietro Cavuoti, Galatina, Editrice Salentina, 1978, p. XVI.
34 Cfr. Benigno F. Perrone, Storia della Serafica Riforma di S. Nicolò di Puglia. Saggio sulle
correnti religiose culturali e artistiche nell’estremo Mezzogiorno (1590-1835), vol. II (Linee di sviluppo, La svolta dell’Illuminismo e la crisi), Bari, Società di Storia Patria per la Puglia
[Grafica Bigiemme], 1982, p. 487.
35 Per queste notizie cfr. il classico Riccardo D’Urso, Storia della città di Andria dalla sua origine sino al corrente anno 1841, Napoli, Tip. Varana, 1842, p. 101.
36 Giuseppe Brescia, Andria francescana: problemi, testimonianze, figure, in “Archivio Storico
Pugliese”, a. XXXVI [1983], fasc. I-IV, p. 274.
37 Raffaele Colapietra, Cornice politica e correnti di spiritualità religiosa nel Quattrocento
abruzzese, in Andrea Delitio. I luoghi e le opere. Atti del convegno in memoria di Enzo Carli. Celano 30 settembre 2000, a cura di Lorenzo Lorenzi, Roberto Mastrostefano, Pescara, Zip
Editore, 2002, p. 39.
38 Cfr. Conversano, a cura di Giovanni Ramunni, Fasano di Puglia, Schena Editore, 20042, p. 50. È nota la presenza, nella parte absidale della navata primitiva della chiesa, del fastoso
cenotafio per Giulio Antonio realizzato dallo scultore Nuzzo Barba da Galatina. L’opera mostra il
conte e sua moglie defunti in posizione orizzontale e vestiti, non senza significato, col saio francescano.
39 Mario Bevilacqua, Giulianova. La costruzione di una città ideale del Rinascimento, Napoli,
Electa, 2000, p. 36.
40 L’espressione appartiene a Nicola Santacroce, Aspetti della successione feudale a Caiazzo tra il 1322 ed il 1593, in “Archivio storico del Caiatino”, a. XI [1981-1992], vol. I, p. 30, il
quale rammenta, peraltro, che la destinazione di Orazio Acquaviva d’Aragona fu probabilmente
favorita, oltre che dalla Sede Apostolica e dalla Corte di Napoli, anche dal feudatario del luogo, il principe Ercole de’ Rossi, la cui sorella Ippolita aveva sposato Alberto Pio di Savoia, cugino
della madre di Orazio. Per Michelangelo da Rossiglione (Cenni biografici e ritratti di padri illustri dell’Ordine cappuccino, t. I, Roma, nello Stabilimento di G.A. Bertinelli, 1850, pp. 31-33) fu
invece decisivo l’intervento del cardinale Ottavio, il quale, ritenendo troppo austera per il fratello - novizio dal 1572 ma con un passato di ufficiale della cavalleria della repubblica
Veneta - la vita tra i Cappuccini, chiese ed ottenne dal pontefice la sede vescovile di Caiazzo, allora vacante.
41 Cfr. in proposito Giulio Di Francesco, I Francescani a Mosciano S. Angelo, a cura di p. Carmine Serpetti, s.l., s.e. [ma Mosciano S. Angelo, Comunità dei Santi Sette Fratelli], 1993, e
Giuseppe Battestini, Il Monastero-Convento “Santi Sette Fratelli” di Mosciano Sant’Angelo, s.l. [ma Colledara], Andromeda, 1997.
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42 Giulio Di Francesco, I Francescani a Mosciano S. Angelo, cit., p. 25.
43 In argomento si rimanda al volume di Nicola Santamaria, I feudi, il diritto feudale e la loro storia nell’Italia meridionale, Napoli, Marghieri, 1881.
44 Archivio Provinciale dei Cappuccini d’Abruzzo - L’Aquila, Conventi, cartella Giulianova. È
appena il caso di precisare che le indicazioni archivistiche sono antecedenti al terremoto aquilano del 2009.
45 Cfr. Ottavio Di Stanislao, Sindaci di Giulianova, in “La Madonna dello Splendore”, 22/2003, p. 143 e Riccardo Cerulli, Un codice cartaceo giuliese della fine del Cinquecento, in “Bullettino
della Deputazione Abruzzese di Storia Patria”, a. LXIV [1974], pp. 164-165
46 A riprova dell’assunto si consideri che nell’aprile del 1584 è dato incontrare Giovanni Angelo Spina quale “parte” (insieme con Simone Piermarino) di un contratto stipulato con Fedele ed
Orazio Delfico per l’acquisto da costoro di 1500 tomoli di grano, giudice ai contratti Agostino De Dominicis. Cfr. opportunamente Donatella Striglioni Ne’ Tori, L’inventario del Fondo Delfico.
Archivio di Stato di Teramo, Teramo, Centro Abruzzese di Ricerche Storiche, 1994, p. 79.
47 Su Girolamo Stefani da Sorbo († 1602) si veda il Lexicon capuccinum. Promptuarium
historico-bibliographicum Ordinis fratrum minorum capuccinorum (1525-1950), Romæ, Bibliotheca Collegii Internationalis S. Laurentii Brundusini, 1951, col. 751 e ss.
48 Sull’architettura cappuccina del ‘500 cfr. utilmente, oltre ad Agostino Colli, Un trattato di
architettura cappuccina e le “Instructiones fabricae” di San Carlo, in San Carlo e il suo tempo. Atti del Convegno internazionale nel IV centenario della morte (Milano, 21-26 maggio 1984),
Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1986, pp. 663-668, anche Tommaso Scalesse, Note
sull’architettura dei Cappuccini nel Cinquecento, in I Francescani in Europa tra Riforma e Controriforma. Atti del XIII Convegno Internazionale. Assisi, 17-18-19 ottobre 1985, Perugia,
Università degli Studi di Perugia - Centro di studi Francescani, 1987, pp. 199-221. In argomento altre utili indicazioni nella sezione dedicata alla “Architettura cappuccina”
nell’Appendice I, Architettura cappuccina, arte “minore”, “cultura materiale”, a cura di Francesco Calloni, Agostino Colli, Servus Gieben, Cassiano da Langasco, in I Frati Cappuccini.
Documenti e testimonianze del primo secolo, a cura di Costanzo Cargnoni, vol. IV, Perugia, EFI - Edizioni Frate Indovino, 1992, pp. 1469-1633, nonché in Architettura cappuccina. Atti della
giornata di studi storici sull’architettura cappuccina. Trento Biblioteca Provinciale Cappuccini 28
maggio 1993, a cura di p. Lino Monatti OFM Cap., Silvana Chisté, Trento, Edizioni Autem, 1995. Un recente saggio sull’architettura cappuccina originaria, con esclusivo riferimento al
territorio marchigiano e in relazione ai materiali “poveri”, è quello di Gianni Volpe, La vil materia, ovvero l’architettura cappuccina delle origini nelle Marche, in “Picenum Seraphicum”,
nuova serie, a. XXII-XXIII [2003-2004], pp. 203-241. Per altri rilievi si veda il contributo di Franco Giovanazzi, I luoghi nelle costituzioni e nelle cronache cappuccine, in “Civis. Studi e
Testi”, a. XVI [1992], n. 46, pp. 7-23.
49 Così Valerio Merlo, La selvetta cappuccina, in “Notiziario Cappuccini Abruzzo”, a. 15 [1998],
n. 72, pp. 32-34, già in Id., I boschi nella storia e leggenda francescana, in “Frate Francesco”, a. LXIII [1996], n. 1.
50 Della chiesa di S. Angelo era Preposto nel 1330 il Canonico aprutino Buongiovanni de Valle.
Cfr. in proposito Vincenzo Bindi, Monumenti storici ed artistici degli Abruzzi, Napoli, Tip. F. Giannini & Figli, 1876, vol. I, p. 68.
51 Gennaro Incarnato, Cacce, crisi militare, intraprendenza contadina nella prima metà del
‘500, cit., p. 88.
52 Nel solo 1599 si ebbero 7.868 frati in 689 conventi, più del doppio rispetto al 1578, anno in
cui si contarono 3.746 religiosi dislocati in 325 insediamenti. Cfr. Mariano da Alatri, I
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Cappuccini. Storia d’una famiglia francescana, Roma, Istituto Storico dei Cappuccini, 1994, p.
36.
53 Sull’origine e l’attività della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari si rimanda a L.[ajos] Pásztor, S.C. dei Vescovi e Regolari (1570?), in Dizionario degli Istituti di Perfezione,
vol. VIII, Roma, Edizioni Paoline,1988, coll. 188-192.
54 Cfr. in proposito i rilievi di Vincenzo Criscuolo, Le fondazioni dei conventi cappuccini nel ‘500, Roma, Conferenza Italiana Superiori Provinciali Cappuccini, 1990, e soprattutto I
Cappuccini e la Congregazione Romana dei Vescovi Regolari. Vol. II. 1596 - 1605, a cura di
Vincenzo Criscuolo, vol. II, Roma, Istituto Storico dei Cappuccini, 1990, p. 12. Su quest’ultima opera cfr. i rilievi di Gian Ludovico Masetti Zannini, Nuove fonti documentarie sui cappuccini
nel fondo vaticano dei vescovi e regolari, in “Collectanea Franciscana”, vol. 61 [1991], fasc. 1-2, pp. 311-315.
55 Su Michele Bonelli, nato Carlo (Bosco Marengo, Alessandria, 1541 - Roma, 1598), pronipote
ex sorore di papa Pio V, entrato nel 1559 nell’Ordine dei frati predicatori, creato cardinale nel concistoro del 6 marzo 1566, si rimanda alla densa “voce” approntata da Adriano Prosperi e
pubblicata nel Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 11, Roma, Istituto della Enciclopedia
Italiana, 1966, pp. 766-774.
56 I Cappuccini e la Congregazione Romana dei Vescovi Regolari. 1596 - 1605, cit., p. 97.
57 Si tratta evidentemente di un appartenente a quella famiglia Mostacci, Mustacci o Mostaccio, protagonista delle vicende giuliesi nel ‘500 ed oltre - risale all’inoltrato Settecento,
infatti, la sua estinzione - della quale erano prestigiosi membri Giovan Antonio, dal 14 agosto 1553 rettore del beneficio di San Giovanni in Piano o in Tricoli, e l’ecclesiastico Gian Andrea,
pur’esso titolare di quel beneficio e dell’altro di Santa Maria de Loreto extra muros, detta
piccirilla, sempre in Giulianova. Cfr. Riccardo Cerulli, Un codice cartaceo giuliese della fine del Cinquecento, in “Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria”, a. LXIV [1974], p.
186.
58 Il notaio Giraldi, che pure redigerà gli atti del parlamento generale del 1602 e quelli del Parlamento di Rocca S. Maria del 1 agosto 1607, singolarmente non viene menzionato né in
Camillo Rodomonte, L’archivio notarile di Teramo. Prospetto generale dei notai e degli ex giudici a contratti. Inventario cronologico degli atti, Teramo, Fabbri, 1901, né nel Catalogus
neapolitanorum graduatorum, ab anno 1400 usque 1607, magna diligentia et labore, ab
antiquis notamentis collectus del giureconsulto Muzio Recco, edito in appendice a Carlo De Frede, Studenti e uomini di legge a Napoli nel Rinascimento. Contributo alla storia della
borghesia intellettuale nel Mezzogiorno, Napoli, Arte Tipografica, 1957, e nemmeno nell’attentissimo repertorio approntato da Benedetto Carderi, Carrellata notarile dai protocolli
dell’archivio di Stato di Teramo, Teramo, Cattedra Cateriniana, 1973.
59 Ottavio I seniore (1560-1612), figlio del X duca d’Atri Giangirolamo I e di Margherita Pio, fu elevato alla porpora da Gregorio XIV in occasione del concistoro del 6 marzo 1591 e, il
successivo 5 aprile, nominato diacono col titolo di S. Giorgio al Velabro. Legato in Avignone tra
il 1593 e il 1601, quindi arcivescovo di Napoli dal 1 aprile 1605 al 5 dicembre 1612, giorno della sua morte. Cfr. in proposito le Memorie storiche de’ cardinali della santa romana Chiesa
scritte da Lorenzo Cardella parroco de’ ss. Vincenzo, e Anastasio alla Regola, vol. V, Roma, nella Stamperia Pagliarini, 1793, pp. 317-320, nonché il classico Conradus Eubel, Guglielmus
van Gulik, Hierarchia Catholica Medii et Recientoris Aevi, vol. III, Padova, Il Messaggero di S. Antonio, 1960, vol. III, pp. 54, 73 (rist. dell’ediz. Münich, Sumptibus et Typis Librariae
Regensbergianae, 1935). Di interessante consultazione è anche la breve scheda, ricca di date e di precisi riferimenti genealogici, compilata da Josè Garcìa del Pinto, addetto nella prima metà
del Settecento all’archivio dell’Ambasciata di Spagna in Roma: la pubblicazione del
manoscritto, inedito, si deve a Giorgio Morelli, Gli Acquaviva d’Aragona duchi d’Atri in un manoscritto del secolo XVIII, in Gli Acquaviva d’Aragona. Duchi di Atri e Conti di S. Flaviano, I
tomo, Teramo, Centro Abruzzese di Ricerche Storiche, 1985, p. 69.
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60 Riguardo al quale si rimanda alla relativa “voce” approntata da Pietro Pirri nel Dizionario
Biografico degli Italiani, vol. 1, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1960, pp. 183-184.
61 Sulla data del decesso di Alberto cfr. Luigi Sorricchio, Hatria-Atri. Dal regno di Luigi XII alla morte di Filippo di Spagna (1501- 1598), a cura di Bruno Trubiani, vol. III, Parte II, Teramo,
Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo, 1981, p. 627. L’indicazione è confortata da un dispaccio spedito il 18 ottobre 1597 al duca Francesco Maria II della Rovere con il quale
Giacomo Sorbolongo, che cinque giorni prima si era recato dal cardinale Ottavio a presentare le sue condoglianze, dava notizia della morte del duca Alberto. Cfr. Giovanni Murano, P.
Claudio Acquaviva generale della Compagnia di Gesù: carteggio con Francesco Maria II Della
Rovere duca di Urbino (1593-1613), in Deputazione Abruzzese di Storia Patria, Lo Stato degli Acquaviva d’Aragona duchi d’Atri. Atti del Convegno. Atri - palazzo Ducale 18-19 giugno 2005,
a cura di Roberto Ricci, L’Aquila, Edizioni Libreria Colacchi, 2012, p. 298 e nota 143.
62 Indica, infatti, il 3 novembre 1597 come data del decesso del duca Alberto, Giovanna Manetta Sabatini, Albero genealogico della Famiglia Acquaviva d’Aragona, Bellante, Paper’s
World, 2009, p. 88.
63 Cfr. Adelmo Marino, Il rilancio tridentino di San Berardo vescovo e protettore della diocesi
aprutina, in Il Concilio di Trento nella vita spirituale e culturale del Mezzogiorno tra XVI e XVII secolo, cit., p. 423.
64 Sulla questione cfr. Luigi Donvito, Chiesa e società negli Abruzzi e Molise nel periodo post-
tridentino, in Luigi Donvito, Bruno Pellegrino, L’organizzazione ecclesiastica degli Abruzzi e Molise e della Basilicata nell’età postridentina, Firenze, Sansoni, 1973, p. 7 e ss.; Benedetto
Carderi, Fermenti tridentini nella diocesi aprutina, in “Aprutium”, a. VII [1989], n. 2-3, p. 8 e ss., Adelmo Marino, Il rilancio tridentino di San Berardo, cit., pp. 402-403 e Danilo Marrara,
L’episcopato aprutino sotto Vincenzo Montesanto, “princeps comesque Bisemnii”, in “Annali
della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia”, serie III, vol. V[1975], fasc. 3, pp. 1075-1077. È appena il caso di rilevare che seppure ormai vistosamente
indebitata, tuttavia la “Illustrissima et Eccellentissima Casa d’Acquaviva” conservava ancora una eccezionale vigoria almeno relativamente al monopolio laico dei benefici. Ce lo testimonia
un elenco di inizio ‘600 relativo alle chiese di competenza ducale presenti nel loro estesissimo “Stato d’Atri”, ben 262, tra le quali anche le undici di Giulianova. Ma la cifra, senza dubbio
ragguardevole, è tuttavia in difetto, essendo escluso dal computo le chiese e cappelle esistenti nella Montagna di Roseto. Cfr. Bruno Trubiani, Gli Acquaviva nelle carte della biblioteca di
Nicola Sorricchio, in Gli Acquaviva d’Aragona. Duchi di Atri e Conti di S. Flaviano, cit., tomo I,
pp. 85-86. I dati sono tratti da una “Nota di tutti i benefizj che possedeva la Casa dei Duchi d’Atri nel principio del 1600 sopra molti luoghi in Abruzzo, il tutto ricavato da un Libro di
Registro dell’Archivio di Giulia; e da un Libro per molti benefizj ricavate le prime provviste. La serie dei benefizj dentro e fuori lo Stato d’Atri, secondo le presentate e Bolle esistenti
nell’Archivio di Giulia, incomincia dall’anno 1131 in avanti e sarà qui sotto nell’Ordine alfabetico secondo la denominazione de’ luoghi registrata”. Il documento, rinvenuto dal Sorricchio nel
corso delle operazioni di riordino dell’archivio ducale, venne annotato nei suoi Monumenti Adriani.
65 Cfr. Mario Martella, Morro d’Oro. Memorie-Luoghi-Persone, Morro d’Oro, Amministrazione Comunale di Morro d’Oro, s.d. [ma 1988], p. 114 nota 30.
66 Niccola Palma, Storia ecclesiastica e civile della regione più settentrionale del Regno di
Napoli. Detta dagli antichi Praetutium, ne’ bassi tempi Aprutium oggi città di Teramo e Diocesi Aprutina, vol. III, Presso Ubaldo Angeletti Stampatore dell’Intendenza, 1833, p. 101.
67 P. Giustino da Monterubbiano, che ebbe benemerenze nella Provincia degli Abruzzi in
qualità di guardiano, maestro dei novizi e definitore, mentre sovrintendeva alla costruzione del
convento giuliese, e poiché vennero a mancare le pietre occorrenti, “confortò i confratelli predicendo che le pietre sarebbero venute di Schiavonia. Difatti - ricorda Paolino da Bagno –
un grosso battello che aveva caricata molta pietra per resistere a furiosa tempesta, appena approdato, fece dono ai cappuccini di quel materiale ormai inutile. A causa di questa fabbrica
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ebbe a sopportare non poche contrarietà”. Cfr. p. Paolino da Bagno, Necrologio dei Frati Minori
Cappuccini d’Abruzzo, secondo semestre, Amatrice, Scuola Tipografica dell’Orfanotrofio Maschile, 1941, p. 327.
68 Per un’analisi architettonica del convento cappuccino di Giulianova, da mettere in relazione
con le tipologie presenti nel territorio provinciale, cfr. M.[aurizio] Pizzi, Insediamenti cappuccini nel Teramano, Tesi di laurea, a.a. 1985-86, rel. Tommaso Scalesse, Pescara, s.n. Sul convento
cappuccino di Montorio al Vomano cfr. Tommaso Scalesse, Note sull’architettura dei Cappuccini nel Cinquecento, cit., p. 208 e figg. 1-2-3-4-5, nonché Cristina Di Sabatino, Insediamenti
domenicani e cappuccini nel Teramano, Tesi di laurea, a.a. 1985-86, rel. Tommaso Scalesse,
Pescara, s.n., p. 58 e ss.
69 Titolo: Vorrei Vergine bella / ché l «a S. Maria dello Splendore». Musica di Scipione Dentice. Canto (in chiave di Do sul primo rigo) Mezzo canto (in chiave di Do sul secondo rigo) Tenore.
1599. Cfr. Giancarlo Rostirolla, La musica a Roma al tempo del Baronio: l’oratorio e la produzione laudistica in ambiente romano, estr. da Baronio e l’arte. Atti del Convegno
internazionale di studi Sora, 10-13 ottobre 1984, s.l. [ma Sora], Centro di studi sorani “V. Patriarca”, s.d. [1984?], sub 461.
70 Cfr. in proposito Marco Della Sciucca, Il mecenatismo musicale del cardinale Ottavio Acquaviva, arcivescovo di Napoli, in Stato e baronaggio, cultura e società nel Mezzogiorno: la
casa Acquaviva nella crisi del Seicento. Atti del terzo Convegno di studi su La casa Acquaviva di Atri e di Conversano, Napoli-Conversano- Alberobello, 26-28 ottobre 2000, a cura di
Caterina Lavarra, Galatina, Congedo, 2008, p. 211 e ss.