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~ i ~ Associazione Culturale "Giulianova sul Web" - C.F. 91040070673 Rivista Madonna dello Splendore n° 33 del 22 Aprile 2014 L’enigma dell’imperatrice Galla e lo scempio di San Flaviano nel territorio di Giulianova di Luigi Girolami Del castello di S. Flaviano, osservando le fonti medievali, è possibile ritenere che nessun altro centro contermine ha avuto una citazione così ricca di fatti e personaggi che trainarono la fama del luogo nei vasti ambiti delle diplomazie ascolane, fermane e “regnicule”. Il nome del luogo aveva origine agionimica corrispondente cioè al santo patrono e all’intitolazione a S. Flaviano della chiesa battesimale della comunità, detta dai naturali anche “Cattedrale”(1) nella convinzione “fuisse olim Sedem Episcopalem”(2). La chiesa aveva radici antichissime e ci sono tutte le prove: il testo di un placido giudiziario tenuto nell’897 “in Castro a S. Flabiano”, ricorda la donazione fatta dall’imperatore Carlo III al vescovo di Teramo dell’intera corte di Montone, con S. Maria “et Sancto Flaviano pro mercede animae suae”(3). Altro placito del 1065 fu dato “in territorio Aprutiensi in loco qui dicitur ad castro in Sancto Flaviano” per la restituzione al vescovo di Teramo del castello di Civitella a Mare(4). Alla luce di tali elementi, non può essere messa in alcun dubbio l’esistenza pregressa della chiesa di S. Flaviano, gelosa custode delle reliquie dell’omonimo patriarca di Costantinopoli. Il tempio flavianeo, attorniato dai ruderi del potente castello, emergeva “fuori distante da Giulia circa un terzo di miglio”(5), segnatamente presso la fontana “sotto Giulianova”(6). Il patriarca S. Flaviano di Costantinopoli con gli indumenti e le insegne del potere episcopale (particolare dello scrignoreliquiaro della Collegiata di Giulianova). Foto arch. Osvaldo De Fabiis Struttura del tempio sacro Grazie ad una descrizione proveniente dall’Archivio Storico della Curia Vescovile di Teramo, non è più un’impresa disperata ricomporre l’impianto architettonico della chiesa di S. Flaviano, la quale “erat magna et proportionata”(7), cioè di tono altisonante e quindi abbagliante nei suoi caratteri più compiuti, capaci di impressionare fortemente forestieri e pellegrini. L’aspirazione alla monumentalità, in sintonia con i tratti caratteristici delle basiliche e delle cattedrali, aveva determinato l’impianto a tre navate (“cum tribus navibus”)(8) di grande fascino spaziale nei suoi alzati, con colonne marmoree alte e massicce sostenenti file di archi atti a dividere la navata centrale da quelle laterali, tanto da conferire all’ambiente un’atmosfera pienamente suggestiva. I capitelli illustravano decorazioni lussuosamente complesse, partorite dall’abilità dei migliori scalpellini attivi in Abruzzo: tra i

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Associazione Culturale "Giulianova sul Web" - C.F. 91040070673

Rivista Madonna dello Splendore n° 33 del 22 Aprile 2014

L’enigma dell’imperatrice Galla e lo scempio di San Flaviano nel

territorio di Giulianova

di Luigi Girolami

Del castello di S. Flaviano, osservando le fonti medievali, è possibile ritenere che nessun altro

centro contermine ha avuto una citazione così ricca di fatti e personaggi che trainarono la fama

del luogo nei vasti ambiti delle diplomazie ascolane, fermane e “regnicule”.

Il nome del luogo aveva origine agionimica corrispondente cioè al santo patrono e

all’intitolazione a S. Flaviano della chiesa battesimale della comunità, detta dai naturali anche

“Cattedrale”(1) nella convinzione “fuisse olim Sedem Episcopalem”(2).

La chiesa aveva radici antichissime e ci sono tutte le prove: il testo di un placido giudiziario

tenuto nell’897 “in Castro a S. Flabiano”, ricorda la donazione fatta dall’imperatore Carlo III al

vescovo di Teramo dell’intera corte di Montone, con S. Maria “et Sancto Flaviano pro mercede

animae suae”(3).

Altro placito del 1065 fu dato “in territorio Aprutiensi in loco qui dicitur ad castro in Sancto

Flaviano” per la restituzione al vescovo di Teramo del castello di Civitella a Mare(4). Alla luce di

tali elementi, non può essere messa in alcun dubbio l’esistenza pregressa della chiesa di S.

Flaviano, gelosa custode delle reliquie dell’omonimo patriarca di Costantinopoli. Il tempio

flavianeo, attorniato dai ruderi del potente castello, emergeva “fuori distante da Giulia circa un

terzo di miglio”(5), segnatamente presso la fontana “sotto Giulianova”(6).

Il patriarca S. Flaviano di Costantinopoli con gli indumenti e le insegne del potere episcopale (particolare dello scrignoreliquiaro della Collegiata di Giulianova). Foto arch. Osvaldo De Fabiis

Struttura del tempio sacro

Grazie ad una descrizione proveniente dall’Archivio Storico

della Curia Vescovile di Teramo, non è più un’impresa

disperata ricomporre l’impianto architettonico della chiesa di

S. Flaviano, la quale “erat magna et proportionata”(7), cioè di

tono altisonante e quindi abbagliante nei suoi caratteri più

compiuti, capaci di impressionare fortemente forestieri e

pellegrini. L’aspirazione alla monumentalità, in sintonia con i

tratti caratteristici delle basiliche e delle cattedrali, aveva

determinato l’impianto a tre navate (“cum tribus navibus”)(8)

di grande fascino spaziale nei suoi alzati, con colonne

marmoree alte e massicce sostenenti file di archi atti a

dividere la navata centrale da quelle laterali, tanto da

conferire all’ambiente un’atmosfera pienamente suggestiva. I capitelli illustravano decorazioni

lussuosamente complesse, partorite dall’abilità dei migliori scalpellini attivi in Abruzzo: tra i

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manufatti spiccavano “due capitelli bellamente lavorati, ed adorni di rosoni a fogliami con

lunghi e spessi petali, lavoro squisitissimo, in uno de’ quali si ammira scolpita, a piccolo rilievo,

come in un quadretto, la immagine della Vergine, in soave e casto atteggiamento”(9). Altri

esemplari colpivano invece per la qualità dell’arcaico modellato.

La tribuna, o presbiterio della chiesa, era absidata con l’altare maggiore rivolto ad oriente, cioè

verso il sole nascente che per i primi cristiani simboleggiava il Cristo, la vera luce del mondo;

mentre l’uscita dei fedeli era orientata ad occidente, equivalente al buio e alla fine della

vita(10).

Dei portali non abbiamo comunque descrizioni architettoniche, ma è lecito pensare a

decorazioni scolpite nella facciata anteriore con varietà di temi e figure.

Di notevole suggestione era inoltre l’offerta degli imponenti cicli pittorici, che sappiamo

composti da “multe immagines ab antiquo tempore factis, ut ex opera videntur sub grossa

forma” (cioè da molte immagini risalenti a tempo antico, come risulta dall’opera in forma

grossolana)(11). Tali affreschi, col gioco diuturno della luce, esprimevano tutta lo loro

funzionalità policroma ed agiografica.

L’urna di San Flaviano e la lapide celebrativa

Ma il Sancta Sanctorum dell’organismo religioso era costituito dalla cripta o “grupta

subterranea” sviluppata sotto la pavimentazione con colonne marmoree di sostegno, nel cui

ambiente era conservata l’urna col corpo di S. Flaviano di Costantinopoli. La “cassa di pietra”

rimaneva a destra della tribuna centrale (presbiterio absidato inferiore) cioè nel coro, in cui

erano l’altare maggiore e una lapide celebrativa sotto l’affresco del venerato patrono(12), di

cui riportiamo la più antica trascrizione epigrafica inclusiva dei segni abbreviativi, eseguita nel

1610 dal vescovo di Teramo Giambattista Visconti, controllore della fede e delle chiese giuliesi.

La scoperta costituisce il superamento dei vecchi interrogativi sull’attendibilità delle varie

redazioni trasmesse nel passato dalla penna di vari autori(13). La lapide c’era, eccome! Ed

ecco l’esatta verseggiatura:

INDUPERATRIX(14) GALLA.HUC ME FLAVIANUM CONDUXIT PER MARE

PATARCHAM(15) INTUS RECLUSUM IN ARCAM ET DUDUM FUIT QUANDO

QUARTOQUE MILLESIMO ANNO(16) ET ECCE SUM VOBISCUM, ET IUSTUM.

TENEO FISCUM. PRO VOBIS ALTISSIMUM ROGO CAVETE NE DECIPIAR.

EGO(17).

Traduzione letterale: “L’imperatrice Galla condusse qui per mare me Flaviano patriarca

rinchiuso in un’arca. E fu da lungo tempo quando nell’anno 1004 ecco sono con voi e reggo il

giusto fisco prego per voi l’altissimo e state attenti che io non mi inganni”.

Trascrizione della lapide flavianea eseguita nel 1610 dal vescovo di Teramo Giambattista Visconti. (Archivio Storico della Curia Vescovile di Teramo)

Il “fiscum” del santo, nel contesto devozionale

e nell’immaginario cristiano, è riferibile al

tesoro(18) o fisco divino al quale devolvere

tributi di venerazione in un’adesione d’amore e fiducia, che avrebbero assicurato ai fedeli

l’intercessione del glorioso patriarca presso il Signore per la conquista della beatitudine eterna

da godere in un posto sicuro nel paradiso, dopo la cancellazione dei peccati. Gesù di Nazaret,

rispondendo ai malevoli provocatori, esortò a versare all’erario romano quel che era

dell’Imperatore e all’erario divino quel che era di Dio, in fedeltà assoluta al suo primato e in

conformità al suo volere.

L’enigma della data

Ciò che a prima vista non quadra nella lapide flavianea è la citazione dell’imperatrice Galla

associata alla data 1004, che ha ingenerato anacronismi e fatto dubitare non pochi studiosi

sulla validità dell’iscrizione. Lo storico Niccola Palma, nel 1832, smantellò la tradizione

dell’imperatrice Galla accusando gli storici di una “superficiale riflessione” nella lettura

dell’iscrizione del patriarca bizantino giacché, facendo i calcoli, nell’anno 1004 l’imperatrice

risultava estinta da diversi secoli e non poteva aver “trasportato il corpo di S. Flaviano in

Castro”. L’anacronismo è lapalissiano, ma nei pensieri del Palma non balenò il sospetto

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dell’errore cronologico compiuto dal lapicida oppure dalla dettatura di un committente

ecclesiastico poco informato sugli aspetti agiografici del santo. E neppure valutò l’eventualità

dei due tempi diversi riassunti malamente nel contenuto arcaico della lapide, ma comprensibile

ai primi destinatari forniti dell’adatto decodificatore. I due tempi, con attenta valutazione,

appaiono evidenti nell’impiego di “fuit” (passato remoto) e “sum” (indicativo presente),

mediante i quali è possibile ipotizzare un ragionevole assunto: la traslazione iniziale del

patriarca a Castro Novo (primo tempo), e la scultura della lapide commemorativa collocata

nella cripta nel 1004 nell’ambito di un probabile rifacimento della chiesa (secondo tempo) di

cui, si badi, non abbiamo riscontri archivistici e non possiamo effettuare rilievi architettonici

per la scomparsa dell’organismo sacro.

La confutazione del Palma

Passando ora all’atteggiamento critico del Palma, va osservato che l’esimio canonico non

consultò gli atti pastorali di mons. Visconti; per la sua confutazione ricorse alla trascrizione

epigrafica di un manoscritto del gesuita Rodolfo Acquaviva contenenti errori rispetto alla

trascrizione del Visconti, che evidenzieremo entro parentesi quadre per agevolare la

differenziazione ai lettori:

Induperatrix Galla / Huc me Flavianum conduxit / Per mare Patrarcam [Patarcham] / Intus

reclusum in Arcam / Et dudum erat [fuit] quanno / Quartoque millesimo anno / Et nunc [Ecce]

sum vobiscum / et juxta [iustum] teneo Fiscum / Pro vobis Altissimum rogo / Cavete ne

decipiar ego.”(19).

Quindi l’autore si affanna nella ricerca di similitudini letterarie per dare nuovi significati alle

parole cardini dell’impianto epigrafico:

Induperatrix = imperiale (anziché imperatrice).

Galla = nave, galea(20) (anziché Galla Placidia).

Fiscum = residenza ecclesiastica e proprietà religiose non

colpite dal fisco(21) (anziché tesoro celeste o erario divino).

Justum = vicino (anziché giusto)(22).

Tutto ciò gli permise di strutturare una riflessione esplosiva ma di scarso rapporto col

significato originario trasmesso dalla tradizione: “Ecco come io spiego l’iscrizione. Una nave

imperiale Greca salpata da Costantinopoli, trasportò per mare me Flaviano Patriarca, cioè il

mio corpo, racchiuso entro un’Arca qua in Castro: e ciò da gran tempo; allorchè in quest’anno

mille e quattro è stato il mio deposito cinto di marmi, e vi si è apposta iscrizione. Ed ecco che

ora sono con Voi. Qui ho fisso il mio domicilio: qui ove tengo vicina l’abitazione addetta agli

Ecclesiastici impiegati al mio culto, e vicini i fondi a tal uopo necessari”(23).

In tale interpretazione, con l’omissis degli ultimi versi, il Palma non trovò impresentabile la

negazione della tradizione perpetuata nei secoli e, soprattutto, non ritenne fuori luogo che in

una epigrafe votiva si parlasse della casa addetta ai religiosi del santuario e dei benefici di

sussistenza, anziché del tesoro o fisco divino al quale versare oboli di preghiera legati al

patrocinio del santo, che ci sembra più consono al contesto epigrafico e alla fede di quei tempi.

Il rivoluzionario intervento del Palma, demolitore di secolari credenze, causò grandissima

impressione all’arciprete Andrea Castorani di Giulianova, tenace custode della tradizione e

sostenitore della tesi dell’Appiani come dettagliatamente vedremo più avanti. L’arciprete,

preoccupato per gli sbocchi negativi della vicenda, l’11 aprile 1836 trasmise al frate teologo

Stanislao Melchiorri, che stava licenziando uno studio su S. Flaviano, le conoscenze storiche in

possesso della collegiata presentate dal religioso come patrimonio di credibilità spirituale: “S.

Flaviano di Costantinopoli è Titolare della nostra insigne Real Collegiata, e Parrocchiale Chiesa,

e principal Protettore di Giulia; per cui due volte all’anno gli si celebra con gran solennità la

festa, cioè li 24 novembre, giorno anniversario della venuta del suo S. Corpo nell’antichissima

Città di Castro; e li 18 Febbraio giorno del suo glorioso Martirio […]. Esiste in questa Collegiata

una memoria, la quale dice, che prima della venuta di S. Flaviano vi esisteva una Collegiata

insigne sotto il Titolo di Santa Maria in platea; e questa stessa anche per la venerazione verso

del Santo fu dedicata a di Lui onore, e la Città fu chiamata Castrum Sancti Flaviani. Nella

venuta di S. Flaviano era questa Città soggetta al Vescovo d’Ascoli per nome Lucenzio (mentre

vacava da molto tempo la Sede Vescovile Aprutina) il quale venne in Castro con vari Canonici,

e Cavalieri Ascolani a ricevere il S. Corpo, e lo ripose sotto l’Altare Maggiore del Tempio

Massimo detto Santa Maria in platea. Esso corpo era involto in un fazzoletto grande di seta di

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color cremesi attualmente esistente incorrotto dentro una Cassetta d’Argento, come si è

osservato da’ Vescovi Aprutini pro tempore in Santa Visita; fazzoletto, io dico, incorrotto fino

da oggi”(24).

I problemi della tradizione

Non sappiamo se la lapide flavianea raccolse in qualche modo l’episodio della traslazione

effettivamente avvenuta, ma è certo che nel Medioevo la tradizione ebbe la sua genesi soltanto

nella stesura originaria della lapide: “L’imperatrice Galla condusse qui per mare me Flaviano

patriarca”.

L’iscrizione flavianea di Giulianova edita da Ferdinando Ughelli nella monumentale Italia Sacra.

(Biblioteca Comunale di Ascoli Piceno)

I versi dell’iscrizione, letti e commentati per secoli

dal clero carismatico alle masse dei fedeli con

parole vicine alla loro sensibilità, consentono di

cogliere idealmente quanto d’insopprimibile pulsava

nella fede di quella gente che si inginocchiava

devotamente sull’urna del patriarca. Era

impensabile, in quei tempi, la modificazione della

credenza popolare affermata e radicata nella valle

del Tordino.

Ma chi era questa imperatrice sopravvissuta alla morte di S. Flaviano ed artefice della

traslazione a Castro Novo per la promozione del suo culto nel Piceno? Molti pensano a Galla

Placidia, figlia di Teodosio il Grande, che nel 414 sposò il barbaro Ataulfo re dei Visigoti.

Rimasta vedova nel 415, fu riconsegnata all’imperatore Onorio che la fece rimaritare col

vecchio generale Costanzo. Dalla coppia nacque Valentiniano III, che dopo la morte di Onorio

fu posto sul trono d’occidente sotto la reggenza della madre e l’alta tutela della corte

costantinopolitana(25). Per questo motivo Galla fu detta imperatrice come esattamente attesta

l’iscrizione di S. Flaviano in Castro carica di potenza ancestrale ma con elementi temporali di

natura anacronistica, cioè discordanti inesorabilmente col quadro storico e cronologico della

drammatica catena delle lotte eretiche nello scenario dell’impero d’oriente, che coinvolse il

protettore di Giulianova. Galla Placidia morì infatti il 27 novembre 450, mentre nel 452 il corpo

di S. Flaviano, sepolto assieme ai vescovi bizantini, era ancora oggetto di particolare culto e

lodi pubbliche nella basilica dei Santi Apostoli di Costantinopoli(26); ragion per cui non ha

alcun fondamento l’intervento di Galla Placidia presso l’imperatore Marciano e sua moglie

Pulcheria di Costantinopoli per prelevare le ossa del martire e traslarle in un tranquillo luogo

dell’impero d’occidente, di cui Castro Novo costituiva un vitale centro portuale raggiungibile dai

pellegrini di entrambi gli imperi.

Galla Placidia e i suoi figli riprodotti nel tondo di vetro incastonato nella croce di Desiderio, conservata nel Museo Romano di Brescia. (da Storia d’Italia, II, Fabbri, Milano, 1965, p. 430)

Quello che è possibile abbozzare, considerando che non si hanno

testimonianze relative a traslazioni posteriori, è che dopo le

comunicazioni di Teodosio II a Ravenna sulla destituzione e

scomparsa del vescovo Flaviano(27), l’imperatrice Galla Placidia

muovesse istanza a Costantinopoli per ottenere il corpo dello

stimato e martirizzato patriarca: richiesta che sarebbe stata

accolta soltanto dopo la sua morte nell’acuirsi delle drammatiche

tensioni tra la chiesa e gli irriducibili monofisisti che mal sopportavano il deposito del corpo del

vescovo Flaviano (destituito e scomunicato) accanto ai sepolcri dei suoi predecessori (non

destituiti)(28). Ma, sia chiaro, è solo un’illazione gratuita in favore della leggenda immortalata

dalla lapide millenaria di S. Flaviano in Castro.

Padre Antonio Appiani (1639-1700), notati gli elementi dissonanti della morte dell’imperatrice

Galla (450) e delle reliquie di S. Flaviano osannate a Costantinopoli (452), nel XVII secolo

arrischiò un espediente tirando in ballo la nipote Placidia, cioè la figlia di Valentiniano III ed

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Eudosia che chiamò Galla Placidia(29). Nel 454 Placidia sposò il patrizio Olibrio Anicio che nel

472 fu imperatore d’Occidente per alcuni mesi. Nelle visioni dell’Appiani, che ritenne di

ricostruire i fatti nella loro oggettività, questa donna avrebbe stivato in una nave il corpo di S.

Flaviano per condurlo a Castro Novo su richiesta del vescovo Lucenzio di Ascoli(30), avente

all’epoca giurisdizione nel Piceno(31). L’evento si sarebbe verificato alla vigilia

dell’incoronazione di Olibrio, allorquando l’impero d’occidente consumava i suoi ultimi giorni.

Ecco il racconto del gesuita: Placidia, partita da Costantinopoli verso l’Italia “per l’Elezione del

suo sposo in Imperadore, ad istanza del celebrato Lucenzio Vescovo d’Ascoli portò seco il

Beato Corpo del Martire S. Flaviano, alla cui memoria Lucenzio, che l’aveva vigorosamente

difeso nel Sinodo di Calcedone professava particolare venerazione. Giunta Galla Placidia per

l’Adriatico a Castro Novo, antica Città maritima del Piceno, ed allora della sua Diocesi quattro

miglia distante dal Porto d’Ascoli; e quivi accolta con sagra Pompa dal nostro Vescovo

consegnogli il Santo Deposito, che da Lui fu serbato onorevolmente nel maggior Tempio di

quella Terra, dove cominciò subito il Santo ad operare tanti Miracoli, ed i Popoli a riverirlo con

tal concetto, che Castro novo, perduto a poco a poco il suo Nome passò in quel di S. Flaviano”.

Per quanto concerne la documentazione di riferimento, l’Appiani blinda il suo racconto

dichiarando di aver consultato “fedeli antiche Memorie Ascolane”(32), che allo stato, almeno

per quello che ci hanno tramandato le fonti, non si conoscono. La sua tesi, comunque, ebbe

vasta eco e fu accettata dal clero giuliese che la inserì in una “memoria” citata dall’arciprete

Castorani.

A partire dal XVII secolo non mancarono purtroppo studi carichi di equivoci e invenzioni che si

rivelarono devastanti sul piano storico ed agiografico, tanto da mettere a rischio, con la

ripetizione deleteria delle confusioni, le componenti originarie del culto e della tradizione

flavianea. E non vi fu congettura, possiamo dire, che non ebbe i suoi sostenitori fino alle

dissertazioni dei nostri giorni.

Nei quattro punti che seguono, a beneficio dei lettori, cercheremo di raccapezzare i tratti

narrativi più salienti delle varie influenze interpretative.

1. Confusione col patriarca di Antiochia

Nel 1645 i curatori degli Atti dei Santi confusero il patrono di Giulianova (erroneamente posta

in diocesi di Chieti) con S. Flaviano II di Antiochia, dalla cui città fu condotto a Castro Novo

dall’imperatrice Galla Placidia (“licet hic requeiscat in Julia-nova Teatine dioecesis, illuc

Antiochia advectus à Galla Placidia Imperatrice”)(33).

L’errore fu ripetuto con altre inesattezze nel 1657 da uno storico teatino, allorché espose

clamorosamente che il venerabile protettore di Giulianova aveva la sua festa il 4 luglio e “si

tiene essere stato Patriarca di Antiochia trasferito per mare in quella riva da una tale

Imperatrice Galla nel 1004”(34).

Similmente Ferdinando Ughelli, nel 1720, dichiarava che nel Martirologio Romano del 4 luglio

“(tradotto) si ricorda Flaviano Secondo Vescovo di Antiochia, il cui corpo gli abitanti del castello

di Giulianova del ducato di Atri, un tempo chiamato di S. Flaviano, fu trasportato nell’anno

1004 presso la riva del fiume Tordino per mare con una nave, e venerato con l’onore di un

tempio”(35).

Sappiamo, invece, che gli antichi giuliesi, per ravvivare l’energia protettrice del santo

bizantino, s’imposero la pratica delle processioni votive col simulacro del santo:

“una cioè a 18 febraro giorno del di lui martirio” e l’altra il “24 novembre giorno della

traslazione delle di lui reliquie” secondo la consuetudine restituita dai documenti(36). In

entrambi gli uffici divini delle due festività, il clero annunciava: “S. Flaviani triumphus a Graecis

die 18 Februarii celebratur; quo die sacrum ejus Corpus Costantinopolim honorifice traslatum

est”(37) (Il trionfo di S. Flaviano è celebrato dai Greci il 18 febbraio, giorno nel quale il suo

sacro corpo fu trasportato con tutti gli onori a Costantinopoli).

2. Confusione col vescovo di Chieti

Poi dobbiamo sgombrare il campo dagli equilibrismi compiuti in passato per affermare che S.

Flaviano di Giulianova (patriarca, vescovo e martire) coinciderebbe con S. Flaviano di Chieti

(vescovo e confessore), festeggiato egualmente il 24 novembre (donde la confusione). Il nome

del presule, specificava Girolamo Nicolino, nel 1657 figurava nel Cathalogo de’ Vescovi

esistente nella “sala Arcivescovale dell’istessa Città”(38). Il suo corpo riposava nella chiesa di

S. Giustino sotto l’altare della famiglia Cantera con l’iscrizione “Hic etiam requiescit Corpus

Sancti Flaviani Episcopi, et Confessoris”. Più tardi le “sante Reliquie” furono riposte “dentro una

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cassa posta nel Thesoro della Chiesa Metropolitana” e in suo onore la famiglia Cantera vi

eresse una cappella; “et se bene quivi non si dice di che Città San Flaviano fusse Vescovo, si

deve per intendere che fusse di Chieti […]; ne pare che si possa dire che questo sia il

medesimo S. Flaviano, il cui corpo hoggi si conserva in Giulianova […]. Et questo è quanta

memoria si trova di questi dui Santi Flaviani”(39). Pertanto è chiaro, secondo dichiarazioni

oggettivamente valide, che nessuna tradizione associava il vescovo-confessore di Chieti al

patriarca-martire di Costantinopoli. L’idea fascinosa che le due reliquie di Chieti e Giulianova

ricomponessero assieme il corpo di S. Flaviano, deve la sua origine alla mente di Ferdinando

Ughelli, che nel 1720 si espresse con queste parole: “(tradotto) In questo castello si

conservano il capo e parte del corpo del vescovo Flaviano, la parte restante venerano

amorevolmente nella città di Chieti”(40). Più avanti l’Ughelli palesò comunque i suoi dubbi

dichiarandosi neutrale: “(tradotto) Potrei dubitare della validità di questa congettura che parte

del corpo di Flaviano fosse traslato dalle rovine del castello di Flaviano a Chieti e che,

nell’iscrizione [della cripta], fosse annotato il tutto per la parte [del corpo]; tuttavia non oserei

affermare ciò e ne approvo ne respingo la sopradetta storia della traslazione di Flaviano”(41).

Tutto inutile: una nuova strada era stata spianata verso l’ennesima alternativa santorale non

suffragata dalle fonti e dalla tradizione.

3. Confusione col vescovo di Castro

Il titolo pastorale patriarca inciso nella lapide, inteso come capo di una chiesa orientale, non ci

permette di dare alcuna considerazione alla tesi ingegnosa e revisionista secondo la quale il

culto di S. Flaviano non ha nulla a che fare col patriarca di Costantinopoli, in quanto le reliquie

venerate a Giulianova apparterrebbero a un certo Flavianus vescovo della discussa diocesi di

Castro(42).

Già al tempo dell’Ughelli vi erano persone piuttosto povere di raziocinio, che nelle loro opinioni

si allontanavano dalla “tradizione continuativa degli antichi” ignorando il contenuto della lapide.

Scriveva infatti l’abate circestense: “(tradotto) E non mancarono coloro che sostenevano che

S. Flaviano fu vescovo di quel castello per un certo periodo di tempo e che, l’episcopato

flavianense, nei primi tempi fu chiamato così dal nome del santo; ma coloro che scrissero degli

antichi episcopati di questa provincia ritengono che ciò sia stato affermato gratuitamente”(43).

E ancora: “Come credono i naturali, questo S. Flaviano poteva essere il vescovo dello stesso

luogo in onore del quale chiamarono il castello”.

Descrivendo il complesso delle macerie, l’Ughelli aggiunse: “a due stadi di distanza dal castello

di Giulianova della diocesi aprutina, riferiscono vi siano le vestigia di un tempio molto ampio, e

tutto intorno molte rovine di edifici, dove gli abitanti affermano vi fosse un tempo una sede

vescovile ma non hanno nessun fondamento per provare che li vi fosse un episcopato. Potrei

credere, invece, che fossero le macerie dell’antico castello di S. Flaviano”(44).

4. La favola della nave fantasma

Nel XVIII secolo altre visioni fantastiche elaborarono l’approdo di S. Flaviano a “Castrum

Novum” con taglio misterioso e senza l’interessamento del vescovo di Ascoli e dell’imperatrice

Galla: “In questo Castro dicono che approdasse dall’Oriente il Sacro Corpo di S. Flaviano

Patriarca di Costantinopoli senza che il legno fosse diretto dalla mano degli uomini”(45).

L’episodio della nave fantasma, non attestato dall’epigrafe e quindi di matrice gratuita

(“fanfaluca” per alcuni(46)), viene interpretato dagli studiosi moderni come conseguenza di

una tempesta che non diede scampo all’equipaggio, donde l’abbandono del legno alle correnti

marine fino alla spiaggia di Castro Novo. La pezza non regge: se nella nave casualmente

approdata non vi erano sopravvissuti a bordo, come fecero i soccorritori a sapere dell’iniziativa

benefica dell’imperatrice e a identificare il corpo impacchettato del santo sì da scolpirli nella

lapide sepolcrale?

Fondazione di Giulianova e traslazione delle reliquie di S. Flaviano nella collegiata

Con la fondazione della nuova città di Giulianova, voluta nella seconda metà del XV secolo dal

celebre Giulio Antonio Acquaviva e già in piedi nel 1474(47), la chiesa di S. Flaviano fu

risparmiata nel rispetto delle sacre pietre e dei sepolcri contenenti le ossa degli antichi abitatori

del castello, nonché per gli usi liturgici di transizione dalla vecchia alla nuova chiesa sotto la

medesima titolatura. Le reliquie del santo, particolarmente venerate, furono tolte dall’arca e

riposte in uno scrigno d’argento appositamente commissionato dal duca d’Atri e conte di S.

Flaviano; quindi, con una solenne processione, il reliquiario fu trasferito nella nuova

Page 7: Rivista Madonna dello Splendore n° 33 del 22 Aprile 2014 · animae suae”(3). Altro placito del 1065 fu dato “in territorio Aprutiensi in loco qui dicitur ad castro in Sancto

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“venerabilis Ecclesia Sancti Flaviani de platea Jiulie Nove” dotata di fonte battesimale(48).

Secondo i calcoli del Vogel, sguarniti di documentazione probante, Giulio Antonio Acquaviva si

sarebbe occupato del trasbordo “circa annum 1455”(49). Più tardi, in relazione ai fatti narrati,

il patrizio ascolano Giuseppe Rilucenti, ben fornito di cognizioni letterarie, ricopiò su

pergamena la lapide di S. Flaviano aggiornandola con opportuni elementi complementari di

contestualizzazione storica non presenti nella stesura originaria del manufatto:

- il 451, quale anno di approdo (anacronistico) dell’imperatrice Galla a Castro Novo;

- la costernazione dell’imperatrice per la morte del patriarca (“luxit”);

- l’azione di Giulio Antonio nella traslazione delle reliquie dalla vecchia chiesa alla nuova

collegiata;

- il sostantivo “Castrum” riferibile alla comunità castrense della foce del Tordino.

Frontale del quattrocentesco scrigno-reliquiario di S. Flaviano martire e patriarca di Costantinopoli (Collegiata di Giulianova). Foto arch. Osvaldo De Fabiis

L’ascolano, ci sembra evidente, non intese creare

un’iscrizione alternativa a quella ufficiale facente

bella mostra di sé tra i ruderi di S. Flaviano (e nota

a vescovi e studiosi): il suo contributo, del tutto

personale, tendeva a mettere assieme le migliori

informazioni basate sugli espliciti riferimenti della

tradizione dall’imperatrice Galla alla traslazione delle reliquie del santo patrono nella collegiata

di Giulianova; ma il Vogel, avutoli fra le mani, dichiarò quei versi “merce insulsa” rispetto ad

altre trascrizioni che gli capitò di consultare nell’ambito del suo volume De Ecclesiis

Recanatensi et Lauretana commentarius historicus (stampato a Recanati nel 1859): da qui la

nota accusa di “falsario ascolano”.

“Carmen hoc insulsum, atque Cicarellianis mercibus adnumerandum

secundum exemplum Asculanum hoc est:

Anno Dei quatricenteno / atque primo quinquageno / Imperatrix Galla Luxit, /

quae huc Flavianum conduxit / per mare patriarcham / interclusum in Arcam /

et dudum fui, quando / quarto (et) millesimo ando (anno, idest annis 1004

post 451) / Julius inde me asportavit. / Et ecce sum vobiscum / et iuxta teneo

fiscum / nomine castrum rego / cavete ne decipiar ego”(50).

(nell’anno del Signore 451 l’imperatrice Galla si addolorò e condusse qui

Flaviano il patriarca per mare rinchiuso in un’arca… Giulio poi mi portò via ed

ecco sono con voi, ecc.).

Per quanto siamo in grado di dire, nelle visite pastorali non emergono prove sulla collocazione

di questa iscrizione artefatta nella collegiata di Giulianova, ma è certo che lo Sternion, nel

1964, prese un grossa cantonata nel ritenerla il testo originale della lapide (quella cioè

trascritta dal vescovo Visconti e dagli storici): errore che lo indusse a classificare il nostro

manufatto “non antico” e ad attribuirlo allo scalpello di “un falsario del sec. XV”(51). Noi

conosciamo una realtà sostanzialmente diversa: la rozza lapide, recante l’anno 1004, aveva

radici medievali ed esisteva accanto all’urna di S. Flaviano posta nella cripta del più importante

centro religioso dell’omonimo castello, che cessò ogni funzione liturgica a cavallo del XV e XVI

secolo.

L’argenteria di S. Flaviano

Ora dedichiamo un tributo di particolare attenzione allo scrigno delle reliquie del santo patrono,

annunciate ai fedeli con l’iscrizione “SACRUM DIVI FLAVIANI M[artiris] ET P [atriarchae]”,

conforme la tradizione immortalata dalla lapide del sepolcro di provenienza.

Nel 1533 l’argenteria liturgica di S. Flaviano di Piazza, autentico patrimonio votivo della cultura

popolare giuliese, fu oggetto di una scrupolosa inventariazione su disposizione del vescovo

Ludovico Chierigatto, indice della funzionalità della nuova parrocchia che aveva soppiantato la

vecchia cattedrale nella cura pastorale delle anime. In tale circostanza furono descritti cimeli

veramente pregiati come piviali, pianete, reliquiari, croci, calici, patene, coppe, turiboli e

tabernacoli di cristallo, di cui è bene mettere in risalto la trascrizione.

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In primis una crux argentea tota cum duobus crucifixis argenteis(52).

Item una crux argentea minor predicta.

Item unus calix cum coppa argentea aurata et pede eris aurati.

Item unus calix totus argenteus auratus cum patena argentea aurata.

Item unus calix cum coppa argentea aurata cum pede eiris aurati.

Item unus thurribulum magnum ruptum et argenteum.

Item unus scrineus argenteus in quo resident reliquie Sancti Flavianj.

Item bracchium Sancti Blasii cum capsa argentea(53).

Item una crucetta argentea cum reliquiis et tabernaculum cristalli cum

reliquiis […].

Item unum tabernaculum cristalli cum summitate seu cohoperimento

argenteo aurato et pede eris aurati.

Item unum turribulum de cupro cum navicella de stagno;

item septem patene eiris aurati et una stagni(54).

A sinistra il nobile committente di casa Acquaviva

(Giulio Antonio secondo la tradizione, il figlio Andrea Matteo III secondo alcuni studi); a destra lo scudo araldico contrinquartato del personaggio

riprodotto, col leone degli acquavivi e gli emblemi reali aragonesi concessi a Giulio Antonio nel 1477 (particolari dello scrigno-reliquiario di S. Flaviano). Foto arch. Osvaldo De Fabii

Nel 1731, tra i preziosi votivi della collegiata,

troviamo ancora il braccio di S. Biagio, “la

crocetta con molte reliquie dentro” e la “cassetta d’argento, dentro della quale vi è un grosso

pezzo di cranio con molte altre ossa e carboni le quali son tenute e venerate per reliquie di S.

Flaviano”(55). Lo stile dello scrigno e i costumi dei soggetti raffigurati sembrano suggerire la

seconda metà del XV secolo, datazione peraltro confortata dai fatti che stiamo oggettivamente

riesumando. Al centro del coperchio, campeggia lo stemma del nobile committente circondato

da un serto di alloro legato ai lati con nastri svolazzanti. Lo scudo araldico, tipico del XV

secolo(56), è a testa di cavallo con otto lati e decorazioni vegetali laterali uscenti dalla punta.

L’arma si offre contrinquartata cioè divisa in quattro quarti di cui il secondo e il terzo col leone

degli Acquaviva e il primo e il quarto ulteriormente inquartati con gli emblemi reali aragonesi,

concessi nel 1477 dal re Ferdinando all’intrepido Giulio Antonio(57).

L’immagine del santo, proposta frontalmente con statica ieraticità sul vuoto dello sfondo,

adotta soluzioni figurative con gli indumenti e le insegne del potere episcopale (piviale, stola,

mitra e pastorale); la sua destra è benedicente per rendere ai fedeli il concetto di

protezione(58).

Ai fianchi del patriarca riempiono lo spazio il committente e la consorte genuflessi in orazione

nel pieno del loro vigore. La tradizione li identifica con Giulio Antonio Acquaviva (deceduto nel

1481) e sua moglie Caterina Orsini artefici della traslazione, ma non mancano direzioni

interpretative verso il figlio Andrea Matteo III e sua moglie Isabella Piccolomini(59).

Ora cerchiamo di vedere un po’ più chiaro il destino che si compì in maniera straziante per

l’antica sede cultuale di S. Flaviano.

La cattedrale abbandonata

L’antica cattedrale di S. Flaviano di Terra Vecchia fu oggetto di ripetute visite ispettive da parte

dei presuli aprutini, che certamente la ritennero una pietra miliare nella storia della diocesi

senza però riservargli attenzioni restaurative. Così l’incuria e le intemperie iniziarono ad

insediarla con esiti nefasti circa la resistenza della struttura e dell’altare maggiore.

Nel 1546 il vicario generale aprutino Pietro Michelini, in visita a Giulianova, si fermò “ad

ecclesiam Sancti Flaviani de Terra Veteri diruta prope terram Iulie nove, nove, et dictam

ecclesiam de more visitavit aram reperiit semidirutam et fractam atque ex omni parte

minantem ruinam”(60), cioè si recò nell’antica chiesa di S. Flaviano di Terra Vecchia, da anni

diruta presso Giulianova, per visitarla secondo il solito; al suo interno rinvenne l’altare

semidistrutto e danneggiato, minacciante rovina da ogni parte: indice dell’avanzato stato di

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degrado determinato dal trasferimento del clero e del fonte battesimale nella nuova collegiata

di S. Flaviano di Piazza.

Nel 1590 il vescovo Giulio Ricci di Teramo, in un soggiorno pastorale a Giulianova, descrisse lo

stato della cattedrale venerata come un sacro ricordo da ogni giuliese: “Di fuori distante da

Giulia circa un terzo di miglio se vedono le reliquie d’un gran tempio, che era di San Flaviano,

Avvocato di questa terra, et se dice esser’stata Cathedrale(61), et intorno posta Giulia Città

vecchia, alcune macerie sparse per quel contorno dimostrano che vi fusse

grand’habitationi”(62), chiaramente appartenenti al primigenio castello di S. Flaviano. Per

“reliquie” non è comunque da intendere lo stato desolante di un esteso accumulo di rovine

semisepolte, ma la decadenza strutturale dell’organismo diroccato oramai prossimo alla sua

completa disgregazione, che si annuncerà e manifesterà con veemenza nell’ambito del

progetto edificatorio di un nuovo chiostro per la vita monastica.

Fondazione del convento cappuccino e distruzione di S. Flaviano

Nell’ultimo decennio del XVI secolo le diverse componenti sociali del tessuto demografico

giuliese desideravano la presenza dei frati cappuccini, i quali, insediatisi sul posto, lasciarono il

duplice marchio di spiritualità francescana e flagello distruttore dell’antica cattedrale di S.

Flaviano, di cui è necessario offrire un piccolo corredo di episodi.

Nel 1595, convocato nel palazzo comunale(63), il magnifico Giovanni di Filippo di Giovanni,

devoto di S. Francesco e rispettoso della spiritualità cappuccina, asserì davanti agli uomini del

reggimento municipale e ai procuratori dell’ordine fratesco, di “tenere et possedere” un certa

possessione con alberi, viti e costruzioni (“cum domo et fabrica”) in contrada S. Rocco(64) e di

essere disposto a lanciarsi nell’avventura del baratto per la salvezza della propria anima. Egli,

infatti, allorché il Comune e la pietà dei benestanti avessero dato impulso alla fondazione di un

nucleo cappuccino (“Magnifica Universitas terre Iulie nove aut alii particulares cives dicte terre

Iulie Nove construi facere monasterium Capucinorum in territorio Iulie”), avrebbe messo a

disposizione la sua possessione “pro loco situ, et erectione ecclesie et monasterii predicti in

puram elemosinam pro salute anime sue ipsorum posterum”(65).

Altri benefattori manifestarono la loro solidarietà e perfino i beni della chiesa di S. Angelo

“furno permutati con li beni che furno donati per fare detto convento, cioè dalla parte avanti al

rimpetto di detto convento verso occidente”(66).

Nei mesi successivi, per farla breve, intoppi e congiunture ritardarono l’esecuzione dei lavori

fortemente agognati dal duca Alberto Acquaviva d’Aragona, che poco prima di morire aveva

confidato al vescovo Vincenzo da Montesanto il suo grande desiderio “di vedere che Giulia

avesse un convento di padri cappuccini, dolendosi che si facesse difficoltà che

s’edificasse”(67). E così, perorata la causa, le pastoie burocratiche si sbloccarono il 15

dicembre 1597 allorquando la sospirata licenza sbaragliò le ultime attese(68), avviando il

cantiere presso la chiesa di S. Maria di Loreto(69) e nell’area di S. Angelo acquista dai

frati(70).

Ma attenzione: fiutato il pericolo di un imminente smantellamento dell’antica cattedrale di S.

Flaviano in favore del nascente chiostro cappuccino, il vescovo Montesanto impose la sua

protezione sentenziando “che non si toccasse veruna cosa” e minacciando di scagliare la

terribile arma della scomunica contro i predatori dei manufatti sacri(71) (ovviamente conci,

colonne, cornici, sculture, altari, cappelle, portali, pavimentazione e quant’altro ancora esisteva

nell’area di S. Flaviano).

Parole comunque inutili alla filosofia del potere ducale e patronale degli Acquaviva, che con

beffarda indifferenza autorizzò i figli di S. Francesco di ridurre in cava di pietra la monumentale

e gloriosa cattedrale di S. Flaviano di Costantinopoli: un atto barbaro e sacrilego compiuto con

grave detrimento dell’architettura religiosa e dell’arte sacra abruzzese. I padri cappuccini,

infatti, abbatterono il campanile e le pareti della chiesa per costruire il loro nucleo conventuale

a Giulianova. E possiamo anche dire, nell’ambito di quel cantiere, che non passava giorno in

cui l’ex cattedrale non venisse razziata della sua lussuosa ornamentazione. Molti affreschi si

ridussero in calcinacci e non si ebbe rispetto neppure per i materiali più strettamente

devozionali della fede giuliese, come l’arca in pietra di S. Flaviano che, per tanti secoli, aveva

custodito le reliquie del patrono ed era stata sfiorata dalla venerazione popolare nell’esperienza

cultuale, personale e collettiva. L’urna del santo fu difatti trasportata nel chiostro del nuovo

convento per essere destinata, grazie alla sua qualità impermeabile di vasca monolitica, alla

lavatura delle tovaglie e degli indumenti francescani, con sommo scandalo del clero e dei fedeli

per antonomasia depositari della memoria storica dei loro antenati in virtù dell’ancestrale

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trasmissione orale circa il sacro rispetto del luogo iniziale della conservazione e della pratica

cultuale del glorioso protettore.

Scempi e scandali a parte, per restituire idealmente l’immagine festosa dell’inaugurazione del

cantiere del convento cappuccino di Giulianova, può essere valido rifarsi alla cultura religiosa e

folcloristica di una parrocchia marchigiana della diocesi di Teramo. Tempi e pastore sono infatti

gli stessi. Nel 1594, come da lapide murata nell’ingresso del chiostro conventuale di

Monsampolo del Tronto (AP), il vescovo Vincenzo Montesanto autorizzò l’edificazione del nuovo

cenobio e, nel 1601, ne pose personalmente la prima pietra con applausi e ovazioni. Seguirono

fiaccolate e fuochi d’artificio con musiche festose e riti religiosi, magnificati dall’abilità omiletica

del presule proveniente dall’Ordine dei Predicatori, il quale, per accrescere la fede, concesse 40

giorni di indulgenza ai visitatori della struttura cenobitica che volle dedicata a S.

Francesco(72). E, difatti, nel primo sigillo conventuale commissionato dai Minori Osservanti,

campeggia la figura mistica del poverello di Assisi circondata dalla leggenda “+ CONVENTUS •

SANCTI FRANCISCI • MONTIS • DIVI • PAULI”(73).

L’ispezione del nuovo vescovo di Teramo

Nel novembre del 1610 il nuovo vescovo aprutino Giambattista Visconti, nell’ambito della sua

visita pastorale, volle recarsi assieme all’arcipresbitero don Muzio Boccalario e ai canonici di

Giulianova “ad venerabilem ecclesiam Sancti Flaviani extra terram Iulie”, allo scopo di

prendere atto della situazione e descrivere quanto di misero era scampato alla brutale

distruzione. Lo spettacolo gli apparve raccapricciante, nel senso più pieno che al termine si

poteva dare: dell’antica chiesa restavano in piedi soltanto le muraglie verso oriente e

mezzogiorno, “cum columnis et lapidibus marmoreis magnis udique per terram” (con colonne e

pietre di marmo grandi da ogni parte in terra).

La voragine apertasi sotto il piano di calpestio, a causa dell’asportazione delle lastre

pavimentali e dei coperchi sepolcrali, offrirono lo spettacolo della parte sotterranea della chiesa

adorna parimenti di affreschi e di colonne marmoree ben denotanti il capolavoro geniale delle

origini. Gli alzati del presbiterio superiore della zona absidale, ostentavano affreschi sacri di

chissà quale inventiva artistica, ma che il vescovo Visconti seppe riconoscere e distinguere

senza indugio nelle diverse proposte agiografiche: sulla tribuna centrale egli colse il

travolgente trionfo del Salvatore attorniato da uno stuolo di santi, tra i quali, a sinistra, il

precursore S. Giovanni Battista; al di sotto riempivano gli spazi il gruppo degli Apostoli con la

scena del Purgatorio. Nella tribuna sinistra osservò i Magi offrenti doni al Bambino di Betlemme

e in quella destra le scene della Passione di Gesù di Nazaret.

Dopo l’ispezione del rudere, il vescovo volle conoscere l’esatta cronaca dello scempio e i nomi

dei famelici predatori. I convisitatori, vale a dire i membri più autorevoli del clero giuliese,

raccontarono senza alcun riserbo i fatti che oramai erano sulla bocca di tutti, anche per

cautelarsi dall’eventuale accusa di colpe non commesse: “Monsignore questa chiesa è andata a

terra, et in rovina da diec’anni in qua, et li Padri Capuccini l’hanno mandata in terra per fare il

loro convento con l’autorità delli Acquavivi [i famigerati mandanti dell’atto criminoso], se bene

frate Vincenzo Montesanto Vescovo Aprutino ci mese la scomunica che non si toccasse veruna

cosa. Anzi che la cassa di Pietra dove fu trovato, et che anticamente stava il corpo di S.

Flaviano in lo coro dove sono li detti versi, se la portorno li detti padri capuccini, quali la

tengono a lavare li panni nello claustro di loro convento, quale convento è fatto quasi tutto

delle pietre di questa chiesa”(74).

I ruderi di S. Flaviano di Terra Vecchia a tre navate come si presentarono al vescovo Visconti nel 1610

(ricostruzione dell’architetto e prof. Luigi Neroni)

I giuliesi non aggiunsero altro e neppure

furono comminate punizioni spirituali (peraltro

stabilite dal vescovo Montesanto e

probabilmente mai applicate), ai famigerati

mandanti della riprovevole distruzione, vale a

dire gli Acquaviva, uomini forti e potenti da

non inimicarsi con inutili censure. Mons.

Visconti dimostrò di avere ben altro per la

testa: accompagnato dall’arciprete don Muzio

Boccalario, dal canonico aprutino e da altri

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ragguardevoli personaggi, l’11 novembre 1610 riprese il suo itinerario pastorale “versus villa

Colonie comitatus dicte terre Iulie“ per visitare la chiesa di S. Nicola e le opere religiose

generate dalla pietà degli “homini di Cologna, quali sono tutti schiavoni, se bene tra di loro ci

sono alcuni italiani che stanno alle massarie convicine”(75).

Gli “schiavoni” erano immigrati slavi provenienti dalla Dalmazia, organizzati in colonie più o

meno cospicue sin dal principio del XV secolo. “Tutte le città della Marca avevano nel ’400 una

colonia, più o meno cospicua, di questi uomini dell’altra sponda, che avevano attraversato

l’Adriatico in cerca di pane o per sottrarsi alle scorrerie dei turchi”(76). Una curiosità etnica

avvolge dunque le origini di Cologna, un tempo nel distretto di Giulianova, posta “vicina al

mare, tutta abitata in pagliari da Schiavoni, che nascendo ivi hanno la lingua nativa, et

italiana”(77).

La scomparsa della lapide millenaria

La lapide flavianea, contrariamente a quanto asserisce il Palma, non andò “perduta nella

traslocazione degli abitanti del castello di S. Flaviano all’odierna Giulianova”(78), cioè nella

seconda metà del XV secolo, ma scomparve nella prima metà del Settecento per il crollo totale

della cripta o per l’azione dei vandali che avrebbero depredato i resti della gloriosa cattedrale.

L’inconsistenza della convinzione del Palma, sia detto per inciso, viene dimostrata allorché si

leggono gli autorevoli scritti del vescovo Visconti, che nel 1610, ispezionando i pietosi lacerti

della cripta di S. Flaviano, osservò la lapide ricopiandone fedelmente il testo. L’iscrizione,

ovviamente, non faceva bella mostra di sé nella tomba dismessa di S. Flaviano, vale a dire

nell’arca di pietra già asportata da mani sacrileghe (vedi più avanti), ma insisteva presso

l’altare maggiore della tribuna centrale, come appresso illustrarono i sacerdoti giuliesi al

pastore aprutino: “in questa grotta stava una cassa di pietra dove stava il corpo di S. Flaviano,

et in particolare era da lato destro della tribuna di mezzo, dove era l’altare magiore, et ivi in

quel mezzo sono anchora le lettere in versi”(79).

Il manufatto epigrafico resisteva “in loco” ancora al tempo del dottor Girolamo Nicolino (1657)

e del gesuita Antonio Appiani deceduto nel 1700, che nei suoi studi si arrese alla complicatezza

dell’iscrizione “difficile ad intendersi e barbara a maggior segno secondo la qualità dei

tempi”(80). L’Ughelli, parimenti, la pubblicò nel 1720 fornendo un dettaglio d’immensa

importanza: “in dicta veteri Ecclesia Sancti Flaviani” la lapide aveva il suo spazio votivo “sub

imagine eiudem Sancti”(81), comprovando così il prosieguo dei cicli pittorici nella tribuna della

cripta.

Ma oramai la tinta rosa del crepuscolo era scesa per sempre sui gloriosi resti di S. Flaviano,

che da lì a poco sarebbero stati rasi al suolo e ingoiati dall’inesorabile oblio. Difatti, nel 1757,

la lapide era già sparita assieme alla cripta che la ospitava. Il dott. Giovanni Panelli, a seguito

di una ricognizione sul territorio, attestava con rimprovero: “giovami eziando di far sapere,

come la sopra riferita barbara iscrizione col Ritmo usato di quei tempi, e che quindi diè motivo

ai Poeti Italiani di crearne le rime, non si trova di presente per tutte le diligenze da me usate

potendo sospettarsi, che sia perita nelle ruine del vicino Castello di S. Flaviano, o per

negligenza di Coloro che non hanno saputo tener conto di siffatti giojelli dei secoli Barbari”(82).

Termina con questi dati il dossier su S. Flaviano, un lavoro impegnativo ma molto appagante

per l’esposizione accurata delle fonti.

Appendice. Verbale ispettivo dei ruderi di S. Flaviano redatto nel 1610 dal vescovo di Teramo

Giambattista Visconti, trascritto e tradotto in collaborazione con la dott. Laura Ciotti

dell’Archivio di Stato di Ascoli Piceno.

Die 18 mensis. Santo Flaviano.

Idem Illustrissimus ac Reverendissimus Dominus Episcopus et visitator de mane associuatus a

non nullis contulit se ad venerabilem ecclesiam Sancti Flaviani extra terram Iuliam animo

continuandi visitationem … (lo stesso illustrissimo e reverendissimo vescovo e visitatore, di

mattina, accompagnato da alcune persone, si recò a visitare la chiesa di S. Flaviano fuori della

terra di Giulia, per continuare la visita).

Invenit illam dirutam, et solum ad sunt menia a parte orientis ubi erat altare maius, et

videmtur ibi depicte multe immagines ab antiquo tempore factis, ut ex opera videntur sub

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grossa forma (trovò la chiesa diruta e rimangono solo le mura dalla parte orientale dove era

l’altare maggiore e vi appaiono dipinte molte immagini risalenti a tempo antico, come risulta

dall’opera in forma grossolana).

Videtur ibi fuisse etiam a dicta parte grupta subterranea cum columnis marmoreis, prout in

parte adhuc videtur existere, et pro alia parte est diruta (Sembra esservi stata anche da detta

parte una grotta sotterranea con colonne di marmo come in parte ancora appare e per il resto

è distrutta).

Astantes dixerunt (i presenti dissero) che in questa grotta stava una cassa di pietra dove stava

il corpo di S. Flaviano, et in particolare era da lato destro della tribuna di mezzo, dove era

l’altare magiore, et ivi in quel mezzo sono anchora le lettere in versi, et sunt videlicet (e sono

le seguenti):

INDUPERATRIX GALLA HUC ME FLAVIANUM CONDUXIT / PER MARE PATARCHAM INTUS

RECLUSUM IN ARCAM / ET DUDUM FUIT QUANDO QUARTOQUE MILLESIMO ANNO / ET ECCE

SUM VOBISCUM, ET IUSTUM TENEO FISCUM / PRO VOBIS ALTISSIMUM ROGO CAVETE NE

DECIPIAR. EGO

(L’imperatrice Galla condusse qui per mare me Flaviano patriarca rinchiuso in un’arca. E fu da

lungo tempo quando nell’anno 1004 ecco sono con voi e reggo il giusto fisco prego per voi

l’altissimo e state attenti che io non inganni).

Ecclesia erat magna, et proportionata cum tribus navibus, et ad presens videtur diruta, cum

columnis et lapidibus marmoreis magnis undique per terram, et tantum adest murus versus

orientem, et partim versus meridiem (La chiesa era grande e proporzionata con tre navate e

attualmente appare diruta con colonne e pietre di marmo grandi da ogni parte in terra e

rimane solo il muro verso oriente con parte verso meridione).

Astantes dixerunt (i presenti dissero): Monsignore questa chiesa è andata a terra, et in rovina

da diec’anni in qua, et li Padri Capuccini l’hanno mandata in terra per fare il loro convento con

l’autorità delli Acquavivi, se bene frate Vincenzo Montesanto Vescovo Aprutino ci mese la

scomunica che non si toccasse veruna cosa.

Anzi che la cassa di Pietra dove fu trovato, et che anticamente stava il corpo di S. Flaviano in

lo coro dove sono li detti versi, se la portorno li detti padri capuccini, quali la tengono a lavare

li panni nello claustro di loro convento, quale convento è fatto quasi tutto delle pietre di questa

chiesa.

Nella tribuna di mezzo dalla parte di sopra sta depinto il Salvatore con altri santi in particolare

a sinistris vi sta S. Giovanni Battista et sotto vi sta il Purgatorio, et vi stanno depinti tutti li

Apostoli.

Nella tribuna della nave a destris verso settentrione vi sta depinta la passione del Signore.

Nella tribuna della parte sinistra vi stanno depinti li Magi che offeriscono al Signore83.

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NOTE

1 O. Di Stanislao, Visite Pastorali a Giulianova nel corso dei secoli, 1590-1918, Giulianova,

1998, p. 19.

2 F. Ughelli, Italia Sacra sive de Episcopi Italiae et insularum adiacentium, vol. VI, Venezia,

1720, pp. 668. All’autore, comunque, non risulta l’esistenza di un episcopato in quel di

Giulianova, ma è probabile che la credenza popolare dei suoi abitanti conservasse almeno il

ricordo di quanto, nel 1835, l’arciprete Andrea Castorani trasmise a un teologo francescano

sulla collegiata di cui era rettore: “La suddetta era la più antica della Diocesi Aprutina, e la

seconda Sede Vescovile immediatamente dopo Teramo, e ciò in forza della preeminenza che

godeva, allorché la Collegiata stessa era situata nell’antica Città di Castro, che poi si conservò

nell’attuale Chiesa rieretta nella novella Città; come con atto pubblico dichiarò, e confermò

Monsig. Barba nel 1549. Nella distruzione della Città di Teramo, fatta dai Normanni nel 1149,

la nostra antica Collegiata fu la Sede Vescovile Aprutina di Mons. Guidone” (S. Melchiorri,

Memorie istorico-critiche delle gloriose gesta di S. Flaviano Martire arcivescovo e patriarca di

Costantinopoli protettore del clero e città di Recanati e di Giulia, Fermo, 1836, p. 161).

3 F. Ughelli, Italia Sacra, cit., vol. I, Venezia, 1717, pp. 347-348; N. Palma, Storia della Città e

Diocesi di Teramo, vol. I, Terza Edizione Tercas, 1978, pp. 215-216.

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4 Archivio Storico della Curia Vescovile di Teramo, Codice Membranaceo del Cartulario, c. 15;

F. Savini, Cartulario della Chiesa Teramana, n. XIX, marzo 1065, Roma, 1910, p. 42.

5 O. Di Stanislao, Visite Pastorali a Giulianova cit., p. 19.

6 G. Nicolino, Historia della città di Chieti metropoli delle Provincie d’Abruzzo, Chieti, 1657, p.

103, che riferisce del sepolcro di S. Flaviano ubicato “nella chiesa di S. Flaviano nel Castello del

medesimo nome, di cui ancora si veggono i vestigii nella fontana sotto Giulianova”.

7 Archivio Storico della Curia Vescovile di Teramo, Serie Sante Visite, Settore II B, F. 3, doc. 4,

Visita Pastorale di mons. Giambattista Visconti ai ruderi di S. Flaviano di Giulianova, anno

1610, c. 94.

8 Ivi.

9 O. Di Stanislao, L’ubicazione dell’antico tempio di San Flaviano, in “La Madonna dello

Splendore”, 25, 2013, pp. 104-105, con le foto dei capitelli.

10 Sugli interessanti aspetti della teologia della luce, cfr. M. Rolandozegna, La dimora della

luce, in “Amadeus”, numero speciale dedicato alla “Musica dei Crociati”, n. 2, Marzo 2000, De

Agostini Rizzoli Periodici, pp. 6-10.

11 Archivio Storico della Curia Vescovile di Teramo, Serie Sante Visite, Settore II B, F. 3, doc.

4, Visita Pastorale di mons. Giambattista Visconti ai ruderi di S. Flaviano di Giulianova, anno

1610, c. 94.

12 F. Ughelli, Italia Sacra, cit., tomo VI, p. 745: “De translatione hujusmodi praeter

antiquorum loci continuata traditionem, extare ajunt in dicta veteri Ecclesia Sancti Flaviani sub

imagine ejusdem Sancti Memoria tenoris sequentis: Induperatrix Galla, Huc me Flavianus

conduxit” ecc.

13 G. Nicolino, Historia della città di Chieti, cit., p. 104; F. Ughelli, Italia Sacra, cit., vol. VI, p.

745; G. Panelli d’Acquaviva, Memorie degli uomini illustri e chiari in medicina del Piceno o sia

della Marca d’Ancona, tomo primo, Ascoli, 1757, p. 198. Il gesuita Antonio Appiani (1639-

1700), in un manoscritto sulla storia della Marca, cita la trascrizione della lapide che ne fece

l’erudito collega “Padre Ridolfo Acquaviva della Compagnia del Gesù, che l’ha esposta con un

discorso in verità meritevole della pubblica luce e della sua nobilissima Penna” (G. Panelli, cit.,

p. 197). Anche Francesco Brunetti di Campli si occupò della lapide di S. Flaviano (N. Palma,

Storia della città cit., p. 238). Il Vogel, scomparso nel 1817, dichiarava di aver consultato la

dizione del patrizio ascolano Giuseppe Rilucenti elaborata in pergamena e, nella sede dei

gonfalonieri di Recanati, altra trascrizione inserita in un codice manoscritto che, per stile e

interpolazioni, gli parve eseguito nel tramonto del XVI secolo (per il brano del Vogel cfr. M.

Montebello, L’antico culto di S. Flaviano a Giulianova e l’episcopio ignorato di Castrum, in

“Bollettino della Deputazione Abbruzzese di Storia Patria”, Annata LXXIX, 1989, p. 241).

14 È forma arcaica di imperatrice, come “Induperator” per imperatore nelle opere di Ennio;

così anche nei paralleli intercettati da Palma (Storia della città, cit., vol. I, p. 240).

15 Dai suggerimenti inviatimi dall’epigrafista Antonio Salvi della Città del Vaticano, è possibile

ritenere che sopra la “T” del termine ci sarebbe stato un segno abbreviativo per indicare “ri”

(“Pat(ri) archam”), non evidenziato nella trascrizione del Visconti.

16 Tra “quartoque” e “millesimo” il vescovo aggiunse “quarto” per indicare quattro. La riga,

suggerisce Antonio Salvi, è molto complicata perche dopo “quando” non segue il verbo.

“Quartoque” sarebbe “et Quarto” e quindi gli elementi numerici andrebbero uniti al verbo

precedente. L’anomalia fu riscontrata nel 1657 anche dal dottor Girolamo Nicolino, che nella

sua trascrizione mise un punto interrogativo dopo il “quando” (Historia della Città di Chieti, cit.,

p. 104).

Page 14: Rivista Madonna dello Splendore n° 33 del 22 Aprile 2014 · animae suae”(3). Altro placito del 1065 fu dato “in territorio Aprutiensi in loco qui dicitur ad castro in Sancto

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17 Archivio Storico della Curia Vescovile di Teramo, Serie Sante Visite, Settore II B, F. 3, doc.

4, Visita Pastorale di mons. Giambattista Visconti ai ruderi di S. Flaviano di Giulianova, anno

1610, c. 94.

18 Così anche la traduzione inviatami dal latinista A. Salvi: “Ed ecco sono con voi e tengo il

giusto tesoro, per voi l’Altissimo prego: fate attenzione che io non mi inganni”. Salvi è autore

di splendidi volumi sull’epigrafia ascolana: Iscrizioni Medievali di Ascoli, Ascoli Piceno, 1999;

Iscrizioni medievali nel territorio ascolano, Roma, 2010.

19 N. Palma, Storia della Città cit., p. 238. L’ultimo verso, avvisa l’autore, non fu preso in

considerazione dal “diligentissimo” Francesco Brunetti (ivi, p. 241).

20 Ivi, pp. 239-240.

21 Ivi, pp. 238-239.

22 Ivi, p. 238. Il Palma all’esatto “Justum” (giusto) riportato dal gesuita Acquaviva, dall’Ughelli

e dal vescovo Visconti, preferisce l’arbitrio del Brunetti che riporta “Juxta” (vicino).

23 Ivi, p. 240. Il traduttore dei brani in latino presenti nell’opera, seguendo l’interpretazione

dell’autore, offre questa traduzione: “Un vascello imperiale - ha fatto arrivare, - ben racchiuso

in un’arca, - ed attraverso il mare, - me Flaviano patriarca. - E da allora è trascorso - gran

tempo, veramente. - Ma ora, nel presente, nell’anno millequattro, - mi trovo qui con voi – e

sono ben contento - di avere accanto a me - i fratelli e la Chiesa - e i beni del Convento” (ivi,

p. 238).

24 S. Melchiorri, Memorie istorico-critiche delle gloriose gesta di S. Flaviano, cit., pp. 159-160.

Precisiamo che la sintesi dell’arciprete Castorani verrà ripresa dallo Stiernon, che citerà

soltanto il Melchiorri (Flaviano, vescovo di Castro, cit., p. 886).

25 P. Bianchi - M. Chierici - E. Pirella - B. Rossi, Storia d’Italia, vol. II, Fratelli Fabbri Editori,

Milano, 1965, pp. 425-427.

26 Almeno in nota dobbiamo ricordare che in quei tempi, nello scenario dell’impero d’oriente,

imperversavano le lotte eretiche sulla negazione delle due nature umana e divina del Cristo e

sulla maternità divina di Maria in quanto madre di Dio. Nel 448 il patriarca Flaviano di

Costantinopoli, che operava in regime di comunione con la chiesa cattolica e difendeva le due

nature di Gesù coesistenti dopo l’incarnazione, radunò un sinodo che condannò il monaco

archimandrita Eutiche per posizioni scelleratamente eretiche. Ma la politica dello scomunicato,

influente alla corte di Teodosio II, intorbidì le acque fino al capovolgimento della situazione.

Nel concilio generale di Efeso, pilotato nel 449 dall’ambizioso patriarca Dioscuro di Alessandria,

Eutiche fu infatti riabilitato e Flaviano deposto da vescovo di Costantinopoli per presunte

speculazioni teologiche: menzogne che gli costarono la comunione con la Chiesa e crudeli

violenze corporali che arrestarono il suo cuore sulla via dell’esilio, non prima di “aver

presentato un inutile appello al papa contro l’iniqua sentenza” (Appellatio) (K. Bihlmeyer - H.

Tuechle, Storia della Chiesa, vol. I, L’antichità cristiana, Brescia, 1960, pp. 332-333; Dopo

Gesù. Il trionfo del Cristianesimo, Selezione dal Reader’s Digest, Milano, 1993, .pp. 250-260, I

fatti di Efeso avevano dunque ribaltato la dottrina cristologica con palese affronto alla fede

cattolica (“latrocinium Ephesinum”); ma il corso della vicenda cambiò il 28 luglio 450 con la

morte di Teodosio, in quanto la sorella Pulcheria scelse per marito il generale Marciano

elevandolo ad imperatore d’oriente (25 agosto 450) e schierandosi a favore del pontefice. Il

primo atto dei regnanti fu il recupero del corpo di Flaviano da Ipepa, per trasferirlo nella

basilica dei Santi Apostoli di Costantinopoli, “ove fu sempre in uso seppellirvi i Vescovi suoi

predecessori”. Il dato si ricava dalle notizie trasmesse il 22 novembre 450 da Pulcheria al

pontefice Leone Magno, cinque giorni prima della scomparsa dalla scena politica

dell’imperatrice Galla Placidia (S. Melchiorri, Memorie istorico-critiche cit., pp. 143-144; P.

Bianchi - M. Chierici - E. Pirella - B. Rossi, Storia d’Italia, cit., pp. 430-431). Il 6 luglio 452,

dopo il quarto concilio ecumenico di Calcedonia, che aveva ripristinato le due nature del Cristo,

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gli imperatori Marciano d’oriente e Valentiniano d’occidente promulgarono il celebre editto con

lo scopo di rendere giustizia alla memoria di S. Flaviano, indegnamente violata da Teodosio II.

A tutti i dignitari dell’impero, fra l’altro, essi comunicarono che l’imperiale città di

Costantinopoli aveva fortemente desiderato ed accolto “nel suo seno le di Lui sacre reliquie,

per cui ad Essa sembrò esser Egli fortunato più di qualunque vivente” (S. Melchiorri, Memorie

istorico-critiche cit., pp. 137 e 223; D. Stiernon, Flaviano, patriarca di Costantinopoli, santo, in

Biblioteca Sanctorum, vol. V, Roma, Istituto Giovanni XXIII della Pontificia Università

Lateranense 1964, p. 903).

27 I contatti sono documentati: nell’aprile del 450 l’imperatore Teodosio II, fautore e

protettore dell’eresia eutichiana, comunicò a Galla Placidia “che la deposizione di Flaviano

decretata ed eseguita nel Concilio Efesino aveva ridonata la pace alle Chiese d’Oriente, perché

erasi tolto di mezzo il principale autore della discordia” (S. Melchiorri, Memorie istorico-critiche,

cit., p. 125). Galla Placidia e Valentiniano III, su richiesta di papa Leone, “intervennero a

favore di Flaviano presso la corte di Costantinopoli” (D. Stiernon, Flaviano, patriarca di

Costantinopoli, cit., p. 898).

28 Un punto di sostegno al contesto storico è offerto dallo Stiernon, quando afferma: “in

complesso, il culto di Flaviano è rimasto nell’ombra a Bisanzio, forse perché esaltare troppo la

vittima di Dioscoro avrebbe servito ad alienare maggiormente le simpatie alessandrine e

antiochene nei tempi in cui si cercava di restaurare l’unità religiosa dell’impero infranta dalle

dispute cristologiche. Perciò a S. Sofia, tra i diciotto patriarchi di Costantinopoli che godettero

un culto speciale non compare il nome di Flaviano” (D. Stiernon, Flaviano, patriarca di

Costantinopoli, cit., p. 904). Su questo punto la lapide di Giulianova, posta un tempo nel

sepolcro del patriarca, potrebbe offrire un ulteriore elemento di riflessione sulla quasi

indifferenza nei confronti del culto flavianeo in oriente.

29 Sul nome usato dall’Appiani, il Panelli osserva: “non so se [Placidia] avesse, e portasse il

nome anche di Galla, come lo portava la sua Avola Madre di Valentiniano” (G. Panelli, Memorie

degli uomini illustri, cit., p. 199).

30 Briciole di conoscenza si hanno sulla figura di questo presule. F. A. Marcucci, che tace sulla

vicenda di Galla Placidia, riferisce che Lucenzio partecipò come delegato pontificio al quarto

Concilio Ecumenico di Calcedonia, ordinato da papa Leone Magno contro il monofisismo di

Eutiche e Dioscoro (Saggio delle cose ascolane e de’ vescovi di Ascoli nel Piceno, Teramo,

1766, p. 203).

31 Consideriamo comunque discutibile che la diocesi di Ascoli comprendesse all’epoca l’attuale

territorio di Giulianova posto al di là della diocesi di Truento, che costituiva una barriera di

potere spirituale tra “Castrum Novum” e “Asculum”.

32 G. Panelli, Memorie degli uomini illustri, cit., pp. 195-197.

33 G. Henschenio - D. Papebrocchio - F. Bertio - C. Janningo, Acta Sanctorum Iunii, ex Latini

set Graecis aliarumque gentium antiquis Monumentis ..., tomo I, Anversa 1645, p. 619.

34 G. Nicolino, Historia della città di Chieti, cit., p. 103.

35 F. Ughelli, Italia Sacra, cit., p. 745.

36 O. Di Stanislao, Visite Pastorali a Giulianova, cit., p. 22.

37 S. Melchiorri, Memorie istorico-critiche, cit., p. 145. Diego Calcagni, sul culto di S. Flaviano

“Julia Vetus”, aggiunge: “(tradotto) Il suo corpo e le reliquie del corpo furono traslate da

Costantinopoli a Giulia Vecchia; a Giulia Nova il giorno 24 novembre e il 18 febbraio si

venerano con grande afflusso di popolo (“magno Populorum concursu venerantur”)” (Memorie

istoriche della città di Recanati nella Marca d’Ancona, Messina 1711, p. 122).

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38 Anche G. Cappelletti colloca S. Flaviano al secondo posto della “progressiva

amministrazione dei vescovi e degli arcivescovi” che governarono la diocesi di Chieti (Le chiese

d’Italia dalla loro origine sino ai nostri giorni, vol. XXI, Venezia, 1870, p. 96).

39 G. Nicolino, Historia della Città di Chieti, cit., pp. 103-104. Del vescovo e confessore

d’Abruzzo si interessò anche il contemporaneo Tillemont (vedi M. Montebello, L’antico culto,

cit., pp. 240-241).

40 F. Ughelli, Italia Sacra, cit., vol. VI., p. 668. L’autore, ignorando il Cathalogo de’ Vescovi

esistente nell’arcivescovado teatino, aggiunge: “(tradotto) non avendo trovato alcuna parola

su questo vescovo Flaviano in un elenco abbastanza antico di vescovi di Chieti, potrei credere

che abbiano preso un abbaglio coloro che ritengono Flaviano vescovo di Chieti” (ivi, p. 745).

L’espediente gli servì per accostare le reliquie del “vescovo confessore” di Chieti col patriarca di

Costantinopoli venerato a Giulianova, di cui non vi erano tradizioni in entrambe le città. A

Giulia, addirittura, una nuova corrente di pensiero identificava il corpo di S. Flaviano col

primigenio vescovo di Castro Novo (e non di Chieti).

41 Ivi, p. 745.

42 D. Stiernon, Flaviano, vescovo di Castro, santo, in Bibliotheca Sanctorum, cit., pp. 886-887.

L’autore (ed anche l’Ughelli) ritiene che “l’ipotesi di una diocesi esistente ab antiquo alla foce

del Tordino, poi trasferita a Teramo, è del tutto gratuita”. Di diverso avviso è lo studio di M.

Montebello, L’antico culto di S. Flaviano, cit., pp. 237-280.

43 F. Ughelli, Italia Sacra, cit., vol. IV, p. 745.

44 Ivi, p. 668.

45 L. Ercole, Dizionario topografico alfabetico portatile, in cui sono descritte tutte le città terre

e ville regie, e baronali, giurisdizioni, e Diocesi della Provincia di Teramo, Teramo, 1804, p. 51.

46 G. Ciaffardoni, Breve cenno di Castro e Giulia, Teramo, 1861, pp. 69-70; M. Montebello,

L’antico culto di S. Flaviano, cit., p. 239.

47 Difatti, nel privilegio del 26 settembre 1474 firmato dal vescovo aprutino Giovanni Antonio

Campano (1463-1478), è ricordata la fondazione della confraternita di Santa Maria della

Misericordia “in terra Iulie noviter constructa ab hominibus, et conterrigenis in dicta terra

commorantibus sit ad onorem Dei Onnipotentis, et sub vocabulo Sancte Marie della

Misericordia erecta et costituita, atque ordinata quidam Fraternitas, seu Societas” ecc.

(Archivio Storico della Curia Vescovile di Teramo, Serie Sante Visite, Settore II B, F. 3, doc. 4,

Visita Pastorale di mons. Giambattista Visconti a Giulianova, anno 1610, c. 86).

48 Per l’inquadramento storico documentato della nuova collegiata, vedi O. Di Stanislao, La

chiesa di San Flaviano a Giulianova dalle origini al restauro del 1838, in “Bullettino della

Deputazione Abruzzese di storia patria”, Annata CII (2011) [CXXIII dell’intera collezione], pp.

119-153.

49 M. Montebello, L’antico culto, cit., p. 241.

50 Vedi la trascrizione del Vogel in M. Montebello, L’antico culto, cit., pp. 241-243 e, per

l’analisi dell’autore, pp. 252-254.

51 D. Stiernon, Flaviano, patriarca di Costantinopoli, cit., p. 905 che, citando il Vogel e il

Benedettucci, afferma: “Secondo una iscrizione certamente non antica ed ora perduta (si

vedeva ancora sulla tomba di Flaviano a Giulianova al tempo del padre A. Appiani, morto nel

1700), opera probabilmente di un falsario del XV, “nell’anno 451, lì imperatrice Galla”

(Placidia?) avrebbe “condotto per mare il patriarca Flaviano, racchiuso in un’arca” fino

all’antica città di Castro, donde sarebbe stato trasferito 1004 anni dopo da Giulio di Acquaviva

nella sua città chiamata appunto Giulianova.

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52 Dalla descrizione risulta che la croce astile di S. Flaviano, completamente d’argento, aveva

il Cristo crocifisso su entrambi i lati, mentre la croce della beata vergine Maria della stessa

città, “que dicitur la Nunciata de terra vecchia” aveva “deo patre ab uno latere et cum crucifixo

argenteo ab alio latere cum pede de eris aurato” (Archivio Storico della Curia Vescovile di

Teramo, Serie Sante Visite, Settore II B, F O, doc. 1, mons. Chierigatto ed altri Vicari

Episcopali (1531-1554), c. 24, primo ottobre 1533, inventario “Ecclesie Sanctissime

Annunciate de Julia nova”).

53 Il reliquiario a forma di braccio, originariamente conservato in una cassa d’argento e tuttora

in ambiente protetto, è un lavoro del 1394 eseguito dell’orefice teramano Bartolomeo di Paolo

su commissione dell’arciprete di S. Flaviano don Antonio di Corropoli (A. Putaturo Murano,

Reliquiari nel Duomo di San Flaviano a Giulianova, in “Teramo e la valle del Tordino”,

Fondazione Tercas, 2006, p. 566).

54 Archivio Storico della Curia Vescovile di Teramo, Serie Sante Visite, Settore II B, F O, doc.

1, mons. Chierigatto ed altri Vicari Episcopali (1531-1554), cc. 23-23v, primo ottobre 1533,

inventario “Ecclesie Sancti Flaviani de Julia nova”.

55 O. Di Stanislao, Visite Pastorali a Giulianova, cit., pp. 33-34.

56 Per gli scudi quattrocenteschi a testa di cavallo, vedi gli esempi datati in L. Borgia, Gli

stemmi del Palazzo d’Arnolfo di San Giovanni Valdarno, Firenze, Cantini, 1986, pp. 35

(esemplare del 1475), 40 (del 1489), 63 (del 1423 e 1488), 69 (del 1441 e 1481), 81 (del

1453), 115 (del 1489), 119 (del 1491), 123 (del 1499), 141 (del 1511), 149 (del 1516), 157

(del 1523), ecc.

57 F. Campanile, Delle armi overo insegne dei nobili, terza edizione, Napoli, 1681, p. 38, che

attesta: “Sono Armi della Famiglia Acquaviva un Leone Azzurro in campo d’oro […]. Inquartano

i Signori Acquavivi le loro antiche Armi con quelle de’ Re Aragonesi, o vogliam dire della Casa

d’Aragona, che dominò nel Regno di Napoli, e ciò per privilegio del Re Ferdinando conceduto a

Giulio Antonio Duca d’Atri, e suoi descendenti nell’anno 1477”.

58 L’iconografia, con la variante della mano destra che regge il simbolo della città, fu invece

adottata dall’arciprete nei suggelli “della Venerabile Collegiata Chiesa di Santo Flaviano della

Terra di Giulia nova” apposti tra il XVII e XVIII secolo, recante l’iscrizione “S. FLAVIANI ORA

PRO NOBIS”. Per scorgere l’attributo della palma del martirio, che soppiantò il simbolo

topografico della città turrita, occorre attendere le sigillature del XX secolo fornite della dicitura

“ECCL[esie] COLL[egiate] ET PARROCH[ialis] S. FLAVIANI M[artiris] CIV[itate] IULIAE NOVAE”

(Archivio Storico della Curia Vescovile di Teramo, Atti delle Ordinazioni, III B 63 (1500-1600),

b. 82, Giulianova, pratiche dal 1586 al 1660, cartella “Egidio Piermarino, 1640-1641”,

certificazione battesimale del 13 dicembre 1638; b. 89, fasc. 2, cartella Giuseppe Castagna

(1758-1759), 31 marzo 1758; b. 92, fasc. 11, certificazione dell’economo curato di S.

Flaviano, 14 dicembre 1863). Ringrazio lo storico Ottavio di Stanislao per la segnalazione del

prezioso fondo archivistico ricco di valori araldici e sfragistici.

59 A. Putaturo Murano, Reliquiari nel Duomo di San Flaviano, cit., pp. 568 e 569; P. Rasicci,

Giulianova. Storia - Arte – Cultura - Economia - Turismo, Colonnella, 1997, p. 23.

60 Archivio Storico della Curia Vescovile di Teramo, Serie Sante Visite, Settore II B, F O, doc.

1, mons. Chierigatto ed altri Vicari Episcopali (1531-1554), c. 121, 3 ottobre 1546; O. Di

Stanislao, L’ubicazione dell’antico tempio di S. Flaviano cit., p. 105, che ringrazio per avermi

trasmesso il documento.

61 La tradizione, in questo caso, sembra avvalorare la tesi di un antico vescovado nell’area del

Tordino. Però l’Ughelli, due secoli dopo, raccolse la memoria dei naturali intorno ai ruderi di S.

Flaviano e alle rovine circostanti “fuit olim Sedem Episcopalem, sed nullum habent

fundamentum, ad probandum quod ibi fuerit episcopatus” (F. Ughelli, Italia Sacra cit., tomo

sesto, p. 668). Dobbiamo altresì aggiungere che le prepositure di una certa dignità ed

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importanza primaria rispetto alle altre chiese del territorio, erano parimenti definite cattedrali:

nel 1624, ad esempio, il notaio Paris Sacripante rogava un atto “in domo ecclesie Catredali

Castri Monti Sancti Poli”, cioè nella canonica della prepositura o cattedrale dei Santi Maria e

Paolo di Monsampolo del Tronto, soggetta al vescovo di Teramo (Archivio di Stato di Ascoli

Piceno, Archivio Notarile di Ascoli, reg. 1925, atto del 21 agosto 1624).

62 O. Di Stanislao, Visite Pastorali a Giulianova, cit., p. 19; O. Di Stanislao, L’ubicazione, cit. p.

105.

63 L’atto notarile, con abbreviazioni e cassature iniziali di topografia urbana, fu redatto nel

palazzo comunale affacciato sulla piazza tra la via pubblica e la bottega di un certo Mauro:

“Actum in terra Iulie et proprie in domo magnifice Universitatis dicte terre iuxta plateam

publicam, apotecam Mauli, iuxta stratas publicas aliosque fines”, come si legge nel documento

del 7 giugno 1795 edito da S. Galantini, “Sempre affezionatissimi”. Gli Acquaviva d’Aragona, i

Cappuccini e la fondazione del convento di Giulianova, in “La Madonna dello Splendore”, 32,

2012, p. 11.

64 La descrizione circostanziata dei confini colloca la proprietà “in territorio dicte terre Julie in

contrata de Santo Rocco iuxta ab uno latere versus montem stratam realem, ab alio latere

versus marem stratam publicam, a pede bona ecclesie Sancti Flaviani, a capite res et bona

commende Santi Iohannis et alios fines“ (doc. S. Galantini, cit.).

65 Ivi.

66 Archivio Storico della Curia Vescovile di Teramo, Serie Sante Visite, Settore II B, F. 3, doc.

4, Visita Pastorale di mons. Giambattista Visconti a Giulianova, anno 1610, c. 108, visita a S.

Angelo.

67 S. Galantini, Sempre affezionatissimi, cit., p. 14.

68 Di cui si rinvia al citato studio di S. Galantini, pp. 6-17.

69 Archivio Storico della Curia Vescovile di Teramo, Serie Sante Visite, Settore II B, F. 3, doc.

4, Visita Pastorale di mons. Giambattista Visconti a Giulianova, anno 1610, cc. 107v, visita a S.

Maria di Loreto con la seguente specificazione: “questa è una chiesa fuori di Giulia Nova, et

proprio vicino il convento de Capuccini”.

70 Ivi, c. 108, visita alla cappella di S. Angelo in cui il vescovo Giambattista Visconti chiese al

rettore De Franchi Napolitano lumi sulle sorti del beneficio: “la chiesa di S. Angelo cioè

quest’istessa, era quella che ora possedono li Padri capuccini, dove sta fabricato il convento di

detti Padri, et li beni che furno di detta chiesa furno permutati, con li beni che furno donati per

fare detto convento, cioè dalla parte avanti al rimpetto di detto convento verso occidente, et

Monsignor Montesanto ordinò che il Rettore di detta chiesa pro tempore havesse il detto peso

d’una messa la settimana qua in questa chiesa, sino che ci fusse il loco per fare l’altare”.

71 Ivi, c. 94, visita ai ruderi di S. Flaviano.

72 A. Talamonti, Cronistoria dei Frati Minori della Provincia Lauretana delle Marche. Monografie

dei Conventi, vol. IV, Sassoferrato, 1945, pp. 30, 34, 35 e 372; L. Girolami, Uno scempio a

Monsampolo del Tronto, in “Flash”, il mensile di vita picena, n. 94, gennaio 1986, pp. 24-26.

73 L. Girolami, La Prepositura di Monsampolo: un millennio di riti, usi e tradizioni, Acquaviva

Picena, 2012, p. 42. Tale sigillo, oramai logoro e inservibile, nel 1807 veniva impiegato dal

padre guardiano per certificare le inumazioni nei sepolcri conventuali.

74 Archivio Storico della Curia Vescovile di Teramo, Serie Sante Visite, Settore II B, F. 3, doc.

4, Visita Pastorale di mons. Giambattista Visconti ai ruderi di S. Flaviano, anno 1610, cc. 94-

94v.

Page 19: Rivista Madonna dello Splendore n° 33 del 22 Aprile 2014 · animae suae”(3). Altro placito del 1065 fu dato “in territorio Aprutiensi in loco qui dicitur ad castro in Sancto

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75 Archivio Storico della Curia Vescovile di Teramo, Serie Sante Visite, Settore II B, F. 3, doc.

4, c. 98, Visita Pastorale di mons. Giambattista Visconti a Cologna.

76 G. Fabiani, Ascoli nel Quattrocento, vol. I, seconda edizione, Roma, 1975, p. 364. I notai,

nell’esercizio della loro attività, definivano questa gente oriunda “de Sclavonia”, “de partibus

Scalavonie”, “de Dalmatia”, “de Bosnia de Sclavonia”, ecc. (G. Gagliardi, Schiavoni e albanesi

ad Ascoli nel XV-XVI secolo, in Atti del “2° Seminario sulle Fonti per la Storia della Civiltà

Marinara Picena”, S. Benedetto del Tronto, 8/9 dicembre 2000, pp. 101-110).

77 N. Palma, Storia della città, cit., vol. IV, p. 178; O. Di Stanislao, Visite Pastorali a

Giulianova, cit., p. 19.

78 N. Palma, Storia della Città, cit., vol. I, p. 238.

79 Archivio Storico della Curia Vescovile di Teramo, Serie Sante Visite, Settore II B, F. 3, doc.

4, Visita Pastorale di mons. Giambattista Visconti ai ruderi di S. Flaviano di Giulianova, anno

1610, c. 94.

80 M. Montebello, L’antico culto, cit., p. 244.

81 F. Ughelli, Italia Sacra, cit., tomo VI, p. 745.

82 G. Panelli, Memorie degli uomini illustri, cit., p. 200.

83 Archivio Storico della Curia Vescovile di Teramo, Serie Sante Visite, Settore II B, F. 3, doc.

4, Visita Pastorale di mons. Giambattista Visconti ai ruderi di S. Flaviano di Giulianova, anno

1610, cc. 94-94v.

L’autore desidera ringraziare il prof. Michele Vello di Feltre (BL), Ottavio Di Stanislao e Cinzia

Falini di Giulianova per aver contribuito alla ricerca del materiale documentario esposto nel

presente contributo.