Post on 18-Feb-2019
Pablo De Santis
IL RAGAZZO CHE SCRISSE
L’ENCICLOPEDIA DI SE STESSO
Romanzo
Traduzione di Elena Rolla
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Titolo dell’originale:
enciclopedia en la hoguera
ISBN 978-88-8451-972-6
Coordinamento grafi co
di Andrea Balconi
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Copyright © Pablo De Santis
c/o Guillermo Schavelzon & Asoc., Agencia Literaria
info@schavelzon.com
Copyright © 2010 Adriano Salani Editore S.p.A.
dal 1862Gruppo editoriale Mauri Spagnol
Milano
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Alcuni pensano che si scriva ciò che si è vissuto, conosciuto e compreso. Ma c’è anche chi pensa
che si scriva ciò che non si è potuto vivere, le parole non dette, tutto quello
che non si è mai riusciti a comprendere.
Gabriel De María
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Prologo
La prima edizione dell’Enciclopedia fu un fi asco. Ne
trovai una copia in una biblioteca di quartiere alla
quale la gente regalava i libri più vecchi, quelli di-
menticati, che nessuno avrebbe mai più letto. Ero il
bibliotecario; spolveravo i libri con uno straccio e
poi li sistemavo sugli scaffali, classifi candoli secon-
do criteri spesso in contraddizione tra loro. L’atto
di ricevere i libri e di collocarli ricordava vagamen-
te un funerale. Quando avevo riempito del tutto
uno dei ripiani più alti, dall’ultimo gradino della
scala di metallo leggevo ad alta voce i titoli dei libri,
come per salutarli prima di consegnarli all’insensa-
ta attesa di lettori impossibili e alla polvere che pre-
sto li avrebbe ricoperti.
Non ricordo la faccia della persona che venne a
portare l’Enciclopedia. Mi sembra che fosse una don-
na; sì, ricordo che quel giorno pioveva e che la pro-
prietaria del libro non l’aveva protetto durante il
tragitto, perché il volume, pubblicato qualche an-
no prima, arrivò con le pagine espanse per l’umidi-
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tà. Era insieme a un paio di romanzi polizieschi e
un manuale di storia antica. Sistemai subito questi
libri sugli scaffali più bassi; ma appena vidi la co-
pertina di cuoio logoro del l’al tro volume e il nome
dell’autore – uno sconosciuto – pensai che fossero
gli scaffali superiori, quel cimitero di libri, il suo
destino. In copertina si leggeva solo la parola Enci-clopedia in lettere gotiche e il nome dell’autore: Ga-
briel De María. All’inizio non capii quale fosse l’ar-
gomento di quel libro enorme, con le parole in or-
dine alfabetico (bastava un’occhiata per sospettare
che non si trattasse di un’enciclopedia tradiziona-
le). Ben presto scoprii che era un trattato sulla vita
del suo autore. Ma a chi poteva importare la vita di
uno sconosciuto?
A quell’epoca ero nuovo in quella città (non per
niente mi identifi cavo un po’ nei libri abbandonati
sugli scaffali superiori) e avevo un unico amico, Ar-
turo Lagos, che mi aveva trovato il lavoro in biblio-
teca. Avevo ventitré anni, lui aveva superato i tren-
ta. Arturo collezionava libri rari; quando ricevevo
una donazione con qualche volume che poteva in-
teressargli, camminavo per un paio di isolati e glie-
lo lasciavo in tipografi a. Aveva ereditato dal padre
una Minerva con cui stampava inviti di nozze e a
volte libri di poesie pagati dagli stessi autori. Lagos
sognava di diventare un vero editore di libri e aveva
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ipotecato la tipografi a per comprare nuovi macchi-
nari. Quando gli diedi il volume lo guardò senza
interesse, ma i giorni passarono e non me lo resti-
tuì. Gli dissi che, se avesse voluto tenerlo, almeno
avrebbe potuto donarne un altro alla biblioteca,
come risarcimento. (Io mi prendevo cura di tutti i
libri che arrivavano nelle mie mani, consapevole
che in ciascuno di essi c’era un mondo in cui vivere
fi nché durava la lettura: a volte racchiudevano un
paese costruito così male che le pareti sembravano
di cartone, un sogno falso al quale si assiste solo
per vedere dove comincerà il crollo; altri invece
erano perfetti come trappole da cui non si riusciva
più a uscire.) Alla fi ne me lo restituì due mesi do-
po, ma era un volume nuovo. Lagos aveva stampato
una seconda edizione del libro. Cinquecento esem-
plari in carta economica. Per la copertina, aveva
scelto il disegno di un pallone aerostatico con un
occhio enorme. L’occhio guardava verso l’alto, ver-
so l’infi nito. Gli dissi che era pazzo, che non ne
avrebbe mai venduta nemmeno una copia. Ma
l’edizione andò esaurita in breve tempo, e dopo
pochi mesi aveva venduto tremila copie. Oggi sono
decine di migliaia le copie pubblicate, quelle lette,
quelle bruciate.
Arturo Lagos limitò la pubblicità del libro a un
annuncio. Non parlava bene del libro né racconta-
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va false meraviglie, chiedeva solo informazioni sul-
l’au to re dell’Enciclopedia. Prometteva di pagare una
cospicua somma a chi avesse saputo dirgli chi era,
dove si trovava. Lì cominciò tutto: l’enigma attirò
l’attenzione e Gabriel De María – l’uomo che aveva
deciso di cancellarsi dal mondo per lasciare al suo
posto un libro – divenne un personaggio cui era
bastato aver parlato di se stesso perché tutti parlas-
sero di lui. Bisognava trovarlo. Sulla scrivania di La-
gos cominciarono ad ammucchiarsi dossier infor-
mativi, lettere confi denziali, libri di altri autori che
assicuravano di essere stati loro a scrivere l’Enciclo-pedia: era tutto falso.
Più strano ancora del suo successo e delle rozze
imitazioni che ne derivarono, è il modo in cui l’En-ciclopedia si attirò alcuni nemici accaniti. Si formò
un gruppo numeroso e composito di persone che
condividevano l’odio per l’Enciclopedia e per il suo
autore. Così ebbero inizio i periodici roghi di libri,
che ormai fanno parte del ricco patrimonio cultu-
rale del nostro paese.
Ma chi era davvero De María? Non lo so: tutte le
carte non contenute nel libro (le lettere, il diario
intimo, le istruzioni dell’autore per l’uso dell’Enci-clopedia) sono risultate false come le prime infor-
mazioni arrivate sulla scrivania di Lagos. Per questo
la mia intenzione non era quella di rivelare l’iden-
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tità di De María, che forse non è importante, ma
piuttosto di scrivere la sua prima biografi a.
Il compito non è stato facile: l’ordine alfabetico
inganna il lettore e impedisce di organizzare gli
eventi nel tempo. De María non scrive nemmeno
una data: tutto sembra accadere allo stesso tempo,
come se la sua vita fosse un presente perpetuo, uno
spazio da percorrere in ogni direzione più che una
successione di avvenimenti. Ho passato due anni
chiuso in casa a investigare su quella confusione di
pagine trasparenti che costituiscono l’Enciclopedia:
mi muovevo alla cieca tra i diversi episodi per spez-
zare l’ordine alfabetico e scoprire come accaddero
i fatti nel tempo. La mia modesta ma febbrile inda-
gine ha dato origine alle pagine che seguono, che
forse potranno far luce su qualcuno dei punti più
oscuri dell’Enciclopedia.
Quanto all’unica fotografi a esistente dell’autore,
non ci dice quasi nulla. Gabriel deve avere all’incir-
ca cinque anni ed è mascherato da Zorro; forse la
spiaggia alle sue spalle è quella di Mar del Plata, du-
rante un carnevale di trent’anni fa. Il bambino sor-
ride perplesso all’obiettivo, una donna passa veloce
sullo sfondo. Il suo libro racconta che a quel l’età
Gabriel era solito riunire nella sua stanza gruppi di
oggetti secondo un criterio segreto che i genitori
non riuscivano a decifrare. Cominciarono a pensa-
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re che avesse qualche grave disturbo mentale. Dalla
porta socchiusa osservavano terrorizzati come Ga-
briel passasse ore a classifi care gli oggetti che aveva
scelto: macchinine, una forchetta, un soldatino di
plastica, un orologio rotto, libri, una chiave.
Un giorno, in occasione di una festa in maschera,
arrivò a casa una bambina travestita da fata. Si offrì
di indovinare qualunque cosa le avessero domanda-
to; i genitori di Gabriel, con un’improvvisa fi ducia
nell’impossibile di cui furono i primi a stupirsi, le
chiesero una risposta sulle tribù di oggetti che il lo-
ro fi glio metteva insieme. L’indovina entrò nella
stanza, guardò ogni cosa avvolta nella leggera pe-
nombra e rispose: « Non sono cose, sono parole ».
I genitori accesero la luce e scoprirono che Ga-
briel aveva ordinato gli oggetti secondo le iniziali.
Aveva sempre fatto così; il segreto del suo gioco era
l’alfabeto. Quella fu la prima versione dell’Enciclo-pedia.
E adesso passiamo alla storia, così come io l’ho
intesa.
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I.
Il piano
Gabriel adorava le enciclopedie. Poteva starsene
per ore a sfogliarne le pagine, soffermandosi sulle
illustrazioni che mostravano i pesci degli abissi, la
muraglia cinese, gli intrighi della Roma imperiale,
le montagne del l’A fri ca.
Le enciclopedie, così come i mappamondi e qua-
lunque altro oggetto costruito per riassumere il
multiplo e l’enorme, fanno venire a chi guarda la
voglia di viaggiare, di allontanarsi dal focolare e di
conoscere con i propri occhi quello che prometto-
no le immagini. In Gabriel, invece, risvegliavano il
desiderio di rinchiudersi nella sua stanza e non
uscire per ore, per scrivere la sua enciclopedia.
Le passioni racchiudono sempre un mistero. Ga-
briel non sapeva cosa fosse a piacergli di quei libri.
A volte si domandava se il motivo del suo entusia-
smo non fosse la somiglianza delle enciclopedie
con i suoi sogni: le une e gli altri mescolavano tut-
to, ma i libri lo facevano con metodo. L’ordine alfa-
betico era così artifi ciale che obbligava a convivere
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paesi e insetti, padri della patria e malattie o alberi
o elementi chimici, stabilendo relazioni strane, av-
vicinando l’estraneo al conosciuto, e rivestendo
con un alone d’inquietudine ciò che era familiare
(i nomi in latino bastavano a rendere esotico un
semplice geranio; l’illustrazione degli occhi della
mosca obbligava a guardare gli insetti con un certo
rispetto).
Gabriel scoprì che le enciclopedie potevano es-
sere universali o dedicate a un unico tema partico-
lare. In ogni modo, anche quando i libri si concen-
travano su un paese o su una scienza, la trattazione
era così esauriente perché ogni enciclopedia si av-
valeva di una legione di studiosi. Non c’era mai un
unico autore. E Gabriel, che già si preparava a rea-
lizzare l’opera, era solo.
Gli sarebbe piaciuto scrivere un’enciclopedia su
tutto, in cui non mancasse nessun oggetto, nessuna
persona al mondo (be’, arrivati alla Cina, pensava,
si poteva riassumere un po’ per alleviare il lettore).
Ma le enciclopedie universali erano al di là delle
sue possibilità; doveva trovare un argomento che
gli fosse così familiare e vicino da poterlo affronta-
re fi no a esaurirlo, fi nché non rimanesse altro da
dire. E l’unica cosa che conosceva bene, fi nì per
ammettere, era ciò che lo circondava. Al centro del
cerchio c’era lui.
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E così, in uno degli ultimi giorni d’autunno,
chiuso nella sua stanza dalle pareti celesti, Gabriel
cominciò a scrivere l’enciclopedia di se stesso.
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