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10 righe dai libri
Timbro
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Pablo De Santis

IL RAGAZZO CHE SCRISSE

L’ENCICLOPEDIA DI SE STESSO

Romanzo

Traduzione di Elena Rolla

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Titolo dell’originale:

enciclopedia en la hoguera

ISBN 978-88-8451-972-6

Coordinamento grafi co

di Andrea Balconi

Visita www.Infi niteStorie.it

il grande portale del romanzo

Copyright © Pablo De Santis

c/o Guillermo Schavelzon & Asoc., Agencia Literaria

[email protected]

Copyright © 2010 Adriano Salani Editore S.p.A.

dal 1862Gruppo editoriale Mauri Spagnol

Milano

www.salani.it

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detoni
Casella di testo
Sono qui di seguito riprodotte alcune pagine dal romanzo di Pablo De Santis, "Il ragazzo che scrisse l'enciclopedia di se stesso". Riproduzione vietata se non per uso personale.

Alcuni pensano che si scriva ciò che si è vissuto, conosciuto e compreso. Ma c’è anche chi pensa

che si scriva ciò che non si è potuto vivere, le parole non dette, tutto quello

che non si è mai riusciti a comprendere.

Gabriel De María

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Prologo

La prima edizione dell’Enciclopedia fu un fi asco. Ne

trovai una copia in una biblioteca di quartiere alla

quale la gente regalava i libri più vecchi, quelli di-

menticati, che nessuno avrebbe mai più letto. Ero il

bibliotecario; spolveravo i libri con uno straccio e

poi li sistemavo sugli scaffali, classifi candoli secon-

do criteri spesso in contraddizione tra loro. L’atto

di ricevere i libri e di collocarli ricordava vagamen-

te un funerale. Quando avevo riempito del tutto

uno dei ripiani più alti, dall’ultimo gradino della

scala di metallo leggevo ad alta voce i titoli dei libri,

come per salutarli prima di consegnarli all’insensa-

ta attesa di lettori impossibili e alla polvere che pre-

sto li avrebbe ricoperti.

Non ricordo la faccia della persona che venne a

portare l’Enciclopedia. Mi sembra che fosse una don-

na; sì, ricordo che quel giorno pioveva e che la pro-

prietaria del libro non l’aveva protetto durante il

tragitto, perché il volume, pubblicato qualche an-

no prima, arrivò con le pagine espanse per l’umidi-

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tà. Era insieme a un paio di romanzi polizieschi e

un manuale di storia antica. Sistemai subito questi

libri sugli scaffali più bassi; ma appena vidi la co-

pertina di cuoio logoro del l’al tro volume e il nome

dell’autore – uno sconosciuto – pensai che fossero

gli scaffali superiori, quel cimitero di libri, il suo

destino. In copertina si leggeva solo la parola Enci-clopedia in lettere gotiche e il nome dell’autore: Ga-

briel De María. All’inizio non capii quale fosse l’ar-

gomento di quel libro enorme, con le parole in or-

dine alfabetico (bastava un’occhiata per sospettare

che non si trattasse di un’enciclopedia tradiziona-

le). Ben presto scoprii che era un trattato sulla vita

del suo autore. Ma a chi poteva importare la vita di

uno sconosciuto?

A quell’epoca ero nuovo in quella città (non per

niente mi identifi cavo un po’ nei libri abbandonati

sugli scaffali superiori) e avevo un unico amico, Ar-

turo Lagos, che mi aveva trovato il lavoro in biblio-

teca. Avevo ventitré anni, lui aveva superato i tren-

ta. Arturo collezionava libri rari; quando ricevevo

una donazione con qualche volume che poteva in-

teressargli, camminavo per un paio di isolati e glie-

lo lasciavo in tipografi a. Aveva ereditato dal padre

una Minerva con cui stampava inviti di nozze e a

volte libri di poesie pagati dagli stessi autori. Lagos

sognava di diventare un vero editore di libri e aveva

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ipotecato la tipografi a per comprare nuovi macchi-

nari. Quando gli diedi il volume lo guardò senza

interesse, ma i giorni passarono e non me lo resti-

tuì. Gli dissi che, se avesse voluto tenerlo, almeno

avrebbe potuto donarne un altro alla biblioteca,

come risarcimento. (Io mi prendevo cura di tutti i

libri che arrivavano nelle mie mani, consapevole

che in ciascuno di essi c’era un mondo in cui vivere

fi nché durava la lettura: a volte racchiudevano un

paese costruito così male che le pareti sembravano

di cartone, un sogno falso al quale si assiste solo

per vedere dove comincerà il crollo; altri invece

erano perfetti come trappole da cui non si riusciva

più a uscire.) Alla fi ne me lo restituì due mesi do-

po, ma era un volume nuovo. Lagos aveva stampato

una seconda edizione del libro. Cinquecento esem-

plari in carta economica. Per la copertina, aveva

scelto il disegno di un pallone aerostatico con un

occhio enorme. L’occhio guardava verso l’alto, ver-

so l’infi nito. Gli dissi che era pazzo, che non ne

avrebbe mai venduta nemmeno una copia. Ma

l’edizione andò esaurita in breve tempo, e dopo

pochi mesi aveva venduto tremila copie. Oggi sono

decine di migliaia le copie pubblicate, quelle lette,

quelle bruciate.

Arturo Lagos limitò la pubblicità del libro a un

annuncio. Non parlava bene del libro né racconta-

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va false meraviglie, chiedeva solo informazioni sul-

l’au to re dell’Enciclopedia. Prometteva di pagare una

cospicua somma a chi avesse saputo dirgli chi era,

dove si trovava. Lì cominciò tutto: l’enigma attirò

l’attenzione e Gabriel De María – l’uomo che aveva

deciso di cancellarsi dal mondo per lasciare al suo

posto un libro – divenne un personaggio cui era

bastato aver parlato di se stesso perché tutti parlas-

sero di lui. Bisognava trovarlo. Sulla scrivania di La-

gos cominciarono ad ammucchiarsi dossier infor-

mativi, lettere confi denziali, libri di altri autori che

assicuravano di essere stati loro a scrivere l’Enciclo-pedia: era tutto falso.

Più strano ancora del suo successo e delle rozze

imitazioni che ne derivarono, è il modo in cui l’En-ciclopedia si attirò alcuni nemici accaniti. Si formò

un gruppo numeroso e composito di persone che

condividevano l’odio per l’Enciclopedia e per il suo

autore. Così ebbero inizio i periodici roghi di libri,

che ormai fanno parte del ricco patrimonio cultu-

rale del nostro paese.

Ma chi era davvero De María? Non lo so: tutte le

carte non contenute nel libro (le lettere, il diario

intimo, le istruzioni dell’autore per l’uso dell’Enci-clopedia) sono risultate false come le prime infor-

mazioni arrivate sulla scrivania di Lagos. Per questo

la mia intenzione non era quella di rivelare l’iden-

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tità di De María, che forse non è importante, ma

piuttosto di scrivere la sua prima biografi a.

Il compito non è stato facile: l’ordine alfabetico

inganna il lettore e impedisce di organizzare gli

eventi nel tempo. De María non scrive nemmeno

una data: tutto sembra accadere allo stesso tempo,

come se la sua vita fosse un presente perpetuo, uno

spazio da percorrere in ogni direzione più che una

successione di avvenimenti. Ho passato due anni

chiuso in casa a investigare su quella confusione di

pagine trasparenti che costituiscono l’Enciclopedia:

mi muovevo alla cieca tra i diversi episodi per spez-

zare l’ordine alfabetico e scoprire come accaddero

i fatti nel tempo. La mia modesta ma febbrile inda-

gine ha dato origine alle pagine che seguono, che

forse potranno far luce su qualcuno dei punti più

oscuri dell’Enciclopedia.

Quanto all’unica fotografi a esistente dell’autore,

non ci dice quasi nulla. Gabriel deve avere all’incir-

ca cinque anni ed è mascherato da Zorro; forse la

spiaggia alle sue spalle è quella di Mar del Plata, du-

rante un carnevale di trent’anni fa. Il bambino sor-

ride perplesso all’obiettivo, una donna passa veloce

sullo sfondo. Il suo libro racconta che a quel l’età

Gabriel era solito riunire nella sua stanza gruppi di

oggetti secondo un criterio segreto che i genitori

non riuscivano a decifrare. Cominciarono a pensa-

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re che avesse qualche grave disturbo mentale. Dalla

porta socchiusa osservavano terrorizzati come Ga-

briel passasse ore a classifi care gli oggetti che aveva

scelto: macchinine, una forchetta, un soldatino di

plastica, un orologio rotto, libri, una chiave.

Un giorno, in occasione di una festa in maschera,

arrivò a casa una bambina travestita da fata. Si offrì

di indovinare qualunque cosa le avessero domanda-

to; i genitori di Gabriel, con un’improvvisa fi ducia

nell’impossibile di cui furono i primi a stupirsi, le

chiesero una risposta sulle tribù di oggetti che il lo-

ro fi glio metteva insieme. L’indovina entrò nella

stanza, guardò ogni cosa avvolta nella leggera pe-

nombra e rispose: « Non sono cose, sono parole ».

I genitori accesero la luce e scoprirono che Ga-

briel aveva ordinato gli oggetti secondo le iniziali.

Aveva sempre fatto così; il segreto del suo gioco era

l’alfabeto. Quella fu la prima versione dell’Enciclo-pedia.

E adesso passiamo alla storia, così come io l’ho

intesa.

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I.

Il piano

Gabriel adorava le enciclopedie. Poteva starsene

per ore a sfogliarne le pagine, soffermandosi sulle

illustrazioni che mostravano i pesci degli abissi, la

muraglia cinese, gli intrighi della Roma imperiale,

le montagne del l’A fri ca.

Le enciclopedie, così come i mappamondi e qua-

lunque altro oggetto costruito per riassumere il

multiplo e l’enorme, fanno venire a chi guarda la

voglia di viaggiare, di allontanarsi dal focolare e di

conoscere con i propri occhi quello che prometto-

no le immagini. In Gabriel, invece, risvegliavano il

desiderio di rinchiudersi nella sua stanza e non

uscire per ore, per scrivere la sua enciclopedia.

Le passioni racchiudono sempre un mistero. Ga-

briel non sapeva cosa fosse a piacergli di quei libri.

A volte si domandava se il motivo del suo entusia-

smo non fosse la somiglianza delle enciclopedie

con i suoi sogni: le une e gli altri mescolavano tut-

to, ma i libri lo facevano con metodo. L’ordine alfa-

betico era così artifi ciale che obbligava a convivere

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paesi e insetti, padri della patria e malattie o alberi

o elementi chimici, stabilendo relazioni strane, av-

vicinando l’estraneo al conosciuto, e rivestendo

con un alone d’inquietudine ciò che era familiare

(i nomi in latino bastavano a rendere esotico un

semplice geranio; l’illustrazione degli occhi della

mosca obbligava a guardare gli insetti con un certo

rispetto).

Gabriel scoprì che le enciclopedie potevano es-

sere universali o dedicate a un unico tema partico-

lare. In ogni modo, anche quando i libri si concen-

travano su un paese o su una scienza, la trattazione

era così esauriente perché ogni enciclopedia si av-

valeva di una legione di studiosi. Non c’era mai un

unico autore. E Gabriel, che già si preparava a rea-

lizzare l’opera, era solo.

Gli sarebbe piaciuto scrivere un’enciclopedia su

tutto, in cui non mancasse nessun oggetto, nessuna

persona al mondo (be’, arrivati alla Cina, pensava,

si poteva riassumere un po’ per alleviare il lettore).

Ma le enciclopedie universali erano al di là delle

sue possibilità; doveva trovare un argomento che

gli fosse così familiare e vicino da poterlo affronta-

re fi no a esaurirlo, fi nché non rimanesse altro da

dire. E l’unica cosa che conosceva bene, fi nì per

ammettere, era ciò che lo circondava. Al centro del

cerchio c’era lui.

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E così, in uno degli ultimi giorni d’autunno,

chiuso nella sua stanza dalle pareti celesti, Gabriel

cominciò a scrivere l’enciclopedia di se stesso.

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