Post on 14-Feb-2019
Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia “V. Erspamer”
DOTTORATO DI RICERCA IN FARMACOLOGIA
CICLO XXVI
“Caratterizzazione farmacologica di una nuova classe di molecole
come potenziali anti-iperalgesici innovativi”
Relatore :
Chiar.ma Prof.ssa Lucia Negri
Tesi di dottorato di:
Dott. Luigino Antonio Giancotti
Anno Accademico 2012-2013
1
Ad Angela Cappiello,
che con la sua bravura, il suo sorriso,
la sua professionalità e la sua spensieratezza
ha contribuito alla realizzazione della mia tesi.
2
INDICE
1. INTRODUZIONE ................................................................................................................................ 4
1.1 FISIOLOGIA E FARMACOLOGIA DEL DOLORE ....................................................................... 4
1.2 CLASSIFICAZIONE DEL DOLORE ............................................................................................... 7
1.3 MODELLI ANIMALI DI DOLORE ................................................................................................. 9
1.4 CHEMOCHINE ............................................................................................................................... 12
1.4.1 CHEMOCHINE E DOLORE .................................................................................................... 15
1.5 UNA NUOVA FAMIGLIA DI CHEMOCHINE: BV8/PROCHINETICINE ................................. 18
1.5.1 Recettori delle prochineticine .................................................................................................... 21
1.5.2 Distribuzione e funzione delle prochineticine e dei loro recettori ............................................. 25
1.5.3 Ruolo delle prochineticine nella nocicezione e nel dolore ........................................................ 29
1.5.4 Antagonisti dei recettori delle prochineticine ............................................................................ 31
2. SCOPO DELLA TESI ........................................................................................................................ 33
3. RISULTATI ....................................................................................................................................... 34
3.1 CARATTERIZZAZIONE FARMACOLOGICA DEL LEAD COMPOUND PC1 ........................ 37
3.2 PC1 ANTAGONIZZA L’IPERALGESIA INDOTTA DA BV8: DIVERSE VIE DI
SOMMINISTRAZIONE ........................................................................................................................ 39
3.2.1 Contro Bv8 intraplantare (0.5 ng) ............................................................................................. 39
3.2.2 Contro Bv8 intratecale (0.5 ng) ................................................................................................. 41
3.2.3 Contro Bv8 sottocute (200 ng/kg) ............................................................................................. 43
3.3 LA SOMMINISTRAZIONE SISTEMICA DI PC1 INFLUISCE SULLA SOGLIA NOCICETTIVA
BASALE ................................................................................................................................................ 44
3.3.1 Valutazione della soglia nocicettiva in risposta a stimoli termici ............................................. 44
3.3.2 Valutazione della soglia nocicettiva in risposta a stimoli chimici ............................................. 45
3.4 EFFETTI ANTI-IPERALGESICI/ANTI-INFIAMMATORI DI PC1 IN MODELLI ANIMALI DI
DOLORE INFIAMMATORIO .............................................................................................................. 47
3.4.1 Effetti di PC1 sull’infiammazione indotta dalla somministrazione intraplantare di carragenina
............................................................................................................................................................ 47
3.4.2 Effetti di PC1 sull’infiammazione dell’articolazione del ginocchio indotta dalla
somministrazione di caolino/carragenina ........................................................................................... 49
3
3.4.3 Effetti di PC1 sull’infiammazione indotta dalla somministrazione intraplantare di CFA in
comparazione con l’indometacina ...................................................................................................... 50
3.5 EFFETTI DI PC1 NEL MODELLO ANIMALE DI DOLORE NEUROPATICO INDOTTO
DALLA LEGATURA CRONICA DEL NERVO SCIATICO (CCI) ..................................................... 56
3.6 EFFETTI DI PC1 SULL’UP-REGOLAZIONE DI PK2 .................................................................. 58
3.7 EFFETTI SUI COMPORTAMENTI DI ORIGINE CENTRALE INDOTTI DALLA
SOMMINISTRAZIONE SISTEMICA DI PC1 ..................................................................................... 60
3.7.1 Memoria spaziale ...................................................................................................................... 60
3.7.2 Attività motoria ......................................................................................................................... 61
3.7.3 Manie ossessive compulsive...................................................................................................... 62
3.7.4 Ansia e Depressione .................................................................................................................. 64
3.8 POSSIBILI EFFETTI COLLATERALI ........................................................................................... 66
4. CONCLUSIONI ................................................................................................................................. 67
5. MATERIALI E METODI .................................................................................................................. 68
6. BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................................ 81
7. RINGRAZIAMENTI ......................................................................................................................... 91
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1. INTRODUZIONE
1.1 FISIOLOGIA E FARMACOLOGIA DEL DOLORE
Le sensazioni che chiamiamo dolorose quali punture, bruciature, malesseri, dolori acuti e
sofferenze, appartengono ad una submodalità somatica che prende il nome di dolore e che svolge
un’importante funzione protettiva, poiché mette in guardia da quelle condizioni che arrecano
danni ai tessuti e che quindi debbono essere evitate o corrette mediante interventi terapeutici. Il
dolore viene definito dalla International Association for the Study of Pain (IASP) come
“un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata ad un danno tissutale potenziale od
effettivo, o descritta come tale” (Merskey, 1979).
Il dolore è una patologia alla quale oggi è rivolta grande attenzione. Esso può presentarsi in
forma acuta o cronica. Nel primo caso è quasi sempre un utile “campanello d’allarme”
finalizzato a segnalare la presenza di una malattia o di una lesione organica (dolore fisiologico).
Il dolore cronico, al contrario, può rappresentare esso stesso una patologia, indipendentemente
dalla causa che lo ha determinato. Le sindromi dolorose croniche, cosiddette “benigne”, ma solo
per distinguerle da quelle di origine neoplastica, sono rappresentate da sindromi articolari (di
origine infiammatoria), neuropatiche (post-erpetica, ischemica, diabetica, traumatica), centrali ed
emicraniche. Il dolore è per definizione un fenomeno cosciente ed è sempre caratterizzato da
un’importante componente affettiva. L’insorgenza del dolore prevede l’attivazione di strutture
limbiche come l’amigdala, l’accumbens, il giro cingolato, l’area grigia periacqueduttale (PAG) e,
nello stesso tempo, necessita del coinvolgimento delle più elevate funzioni psichiche e corticali.
La percezione del dolore, sia da un punto di vista qualitativo che di intensità, è fortemente
condizionata dall’equilibrio funzionale esistente tra pahtways neuronali che operano
funzionalmente e tonicamente in opposizione tra loro: da un lato, le vie proiettive ascendenti
paleospinotalamica e neospinotalamica (pro-nocicettiva) e dall’altro quella discendente del
fascicolo dorso-laterale di provenienza cortico-PAG e delle fibre rafe-spinale (anti-nocicettiva).
Nella maggior parte dei casi, e in particolare in quello fisiologico, il dolore origina dalla
stimolazione più o meno intensa di specifiche fibre e terminazioni nervose periferiche (per es.
nocicettori cutanei, nocicettori tendinei e muscolari, nocicettori a livello splancnico e cardiaco,
ecc.) e, attraverso le vie spino-talamiche e poi talamo-corticali, raggiunge le strutture corticali
deputate alla sua specifica integrazione e decodificazione (Fig. 1).
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Figura 1. Una normale segnalazione di dolore viene trasmessa dai nocicettori alle corna dorsali del midollo spinale
e, da qui, ai centri superiori.
In tal caso, la percezione del danno, potenziale o reale che sia, viene vissuta come un’esperienza
fugace e di tipo non persistente e che, per tale ragione forse sarebbe più opportuno considerare
come nocicettiva piuttosto che come una vera e propria esperienza dolorosa. La trasmissione del
dolore inizia con la stimolazione di recettori specializzati nella integrazione di determinate
sollecitazioni meccaniche, chimiche o termiche che vengono comunemente definiti nocicettori.
Sulla base del tipo di stimolo efficace si distinguono quattro tipi di nocicettori, che si
distribuiscono estensivamente sia alla cute che ai tessuti profondi:
• nocicettori polimodali (quasi tutte fibre C) che rispondono a stimoli meccanici di
intensità elevata, a stimoli termici (caldo e freddo) e a stimoli chimici quali bradichinina,
serotonina, ioni idrogeno e potassio etc. I nocicettori sono in grado di rispondere ad
agenti chimici presenti a concentrazioni micro- o nano molari, inoltre le risposte sono
additive, ovvero più marcate se sono presenti più sostanze contemporaneamente. La
polimodalità è una caratteristica unica dei nocicettori;
• nocicettori termici (fibre Aδ e C), i quali vengono attivati da stimoli termici nocivi (T >
45°C o T < 5°C);
• nocicettori meccanici (fibre Aδ e C), chiamati anche meccanocettori ad alta soglia, che
sono attivati da stimoli meccanici intensi;
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• nocicettori silenti (fibre Aδ e C) che, in condizioni basali, sono insensibili anche a stimoli
meccanici (superiori a 6 bar) e termici (superiori a 50°C) molto intensi, mentre
rispondono a questi stimoli in seguito alla loro sensibilizzazione da parte di mediatori
chimici rilasciati durante l’infiammazione.
La presenza e la distribuzione dei diversi nocicettori nell’organismo e nei vari tessuti è alquanto
disomogenea e risponde a ben precise esigenze e finalità. Relativamente alle fibre nervose, a cui
viene affidata la trasmissione degli impulsi algogeni, quelle maggiormente coinvolte in tale
processo sono principalmente di tre tipi e vengono comunemente distinte in A, B e C. Tale
differenziazione è fatta tenendo conto della funzione somatica o viscerale, del grado di
rivestimento mielinico e, quindi, della dimensione e conseguente velocità di conduzione
dell’impulso nervoso. Tuttavia, è fuor di dubbio che a svolgere un ruolo primario nella
conduzione del dolore siano le fibre Aδ e le fibre C. Infatti, se da un lato le fibre B sono
mielinizzate e soprattutto impegnate nella trasmissione efferente pregangliare, dall’altro, le fibre
Aα, Aβ e Aγ sono, invece, altamente mielinizzate, di maggior calibro e conducono impulsi
nervosi più rapidamente e con elevata definizione spaziale e temporale (sensibilità epicritica). In
seguito alla sollecitazione acuta o persistente dei diversi nocicettori, le fibre Aδ e le fibre C
vengono attivate e conducono, in modo selettivo, i diversi stimoli nocicettivi. In particolare, le
fibre Aδ, che sono distribuite più superficialmente a livello cutaneo, sono interessate
prevalentemente nella conduzione di un dolore acuto e ben localizzato e che può essere di breve
durata e di tipo “fisiologico”, oppure dalla integrazione di una forma di iperreattività su base
meccano-pressoria come l’allodinia in varie forme di dolore patologico. Diversamente, le fibre
C, che hanno una distribuzione periferica sia superficiale che profonda, integrano input
nocicettivi a più diffusa localizzazione e con caratteristiche di un dolore sordo e poco localizzato.
Alla stimolazione delle fibre nervose, segue il rilascio, sia localmente che centralmente (a livello
spinale e sopraspinale), di vari neuromediatori. Questi ultimi, a seconda dei casi, possono
condizionare in modo persistente lo stato di attivazione dei nocicettori stessi e delle fibre
periferiche da cui hanno origine. Infatti, vi sono ormai chiare evidenze che alcuni tra i più
comuni neuromediatori partecipano non solo alla genesi, ma anche al mantenimento dell’azione
algica persistente (dolore tonico) o cronica. Tra essi è ben noto il ruolo delle prostaglandine
PGE2 e PGI2, del PAF (‘Platelet-Activating Factor’), dell’acetilcolina, della serotonina, della
noradrenalina, della dopamina, della bradichinina, delle tachichinine, degli oppioidi, dei
cannabinoidi, delle citochine, della somatostatina, dalla CCK (‘colecistochinina’),
dell’adenosina, dell’ATP, dell’istamina, del glutammato, del GABA, della glicina, del
monossido di azoto (NO), degli idrogenioni (H+) sui recettori vanilloidi, ecc. In passato veniva
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fatta una distinzione piuttosto netta tra quelli che si consideravano i neuromediatori attivi a
livello centrale (per es. gli oppioidi, le citochine e il glutammato) e altri attivi principalmente a
livello periferico (per es. le prostaglandine, gli idrogenioni, l’ATP e la stessa acetilcolina). In
base alle conoscenze attuali, possiamo affermare che la maggior parte di queste sostanze
endogene svolge un’importante funzione neurotrasmettitoriale e di modulazione dello stimolo
algico tanto a livello dei nocicettori e delle fibre nervose periferiche quanto a livello del sistema
nervoso centrale. L’acquisizione di nuove conoscenze sul ruolo integrato delle varie
neurotrasmissioni coinvolte nella fisiopatologia del dolore è cresciuta notevolmente in questi
anni, tanto che molte forme di dolore cronico sono oggi considerate vere e proprie patologie, che
necessitano di un trattamento farmacologico razionale, talora associato a procedure chirurgiche
(cordotomia, rizotomia, ecc.). Il trattamento farmacologico e la scelta del farmaco sono spesso
condizionati dalla patogenesi che sostiene la sindrome dolorosa e dall’intensità del quadro
clinico (Rossi et al., 2011).
1.2 CLASSIFICAZIONE DEL DOLORE
Il dolore può essere classificato in base a diverse variabili, come la sua durata (acuto, cronico), i
suoi meccanismi patofisiologici (fisiologico, nocicettivo, neuropatico) ed il suo contesto clinico
(post-operatorio, oncologico, neuropatico, degenerativo). Una prima classificazione fatta da
Bonica divideva il dolore in due grandi categorie: dolore acuto – generalmente identificato come
dolore che ha una durata minore di 30 giorni; e dolore cronico – dolore che dura più di 6 mesi
(Bonica, 1980).
Più recentemente, Woolf ha classificato il dolore in: dolore nocicettivo, causato dall’attivazione
dei nocicettori ad alta soglia in seguito ad uno stimolo intenso, potenzialmente o effettivamente
dannoso per il tessuto, di natura meccanica, chimica o termica (Fig. 2A); dolore infiammatorio,
associato a danno tissutale e ad infiltrazione di cellule immunitarie (Fig. 2B); dolore patologico,
identificato con uno stato patologico causato da un danno al sistema nervoso (dolore
neuropatico) oppure in condizioni in cui non è presente alcun danno o infiammazione (dolore
disfunzionale, come fibromialgia, cistiti interstiziali, ecc.) (Fig. 2C) (Woolf et al., 2010).
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Figura 2. Classificazione del dolore: (A) Dolore nocicettivo; (B) Dolore infiammatorio; (C) Dolore
patologico (Woolf et al., 2010).
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1.3 MODELLI ANIMALI DI DOLORE
In contrasto con la natura polimorfica del dolore, che nell’uomo viene descritto come una
sensazione, il dolore negli animali può essere valutato solo esaminando le loro reazioni. Gli
animali più utilizzati in tutti i modelli animali di dolore sono i roditori, anche se i meccanismi
essenziali che rendono possibile a un organismo la reazione a uno stimolo che ne minacci
l’esistenza, esistono in tutto il regno animale, eccetto forse negli artropodi e negli insetti
(Bateson, 1991). Generalmente, i più affidabili segni di dolore sono quelli fisici. La ricerca
nell’uomo e negli animali si è focalizzata su diversi indicatori biochimici (catecolamine,
corticoidi, oppioidi, ecc.), i quali non sembrano avere specificità. Si può affermare lo stesso per
altri metodi come i parametri elettrofisiologici (elettroencefalogramma, potenziali evocati ecc.).
A tutt’oggi lo studio delle risposte comportamentali è l’unico indicatore delle sensazioni
spiacevoli stimolo-dipendenti che potrebbe essere algogenico rispetto all’uomo.
- INFIAMMATORIO
I modelli animali di danno tissutale e di iperalgesia infiammatoria possono essere indotti tramite
diverse vie di somministrazione da un’ampia varietà di agenti infiammatori (Tab. 1). I modelli
più utilizzati sono:
• CFA
Il CFA (‘Complete Freund’s Adjuvant’) è una sospensione in olio minerale di micobatteri
(tubercolosis, butirricum, ecc.) resi inerti. La somministrazione di CFA nella regione plantare
della zampa posteriore dei roditori induce una reazione infiammatoria di lunga durata, che
interessa tutta la zampa. Le manifestazioni del processo infiammatorio sono un aumento del
volume della zampa iniettata, iperalgesia sia termica che meccanica e allodinia tattile. Gli effetti
fisiologici e biochimici indotti dal CFA sono limitati alla zampa somministrata e non producono
patologie sistemiche. Gli animali trattati con CFA mostrano una minima riduzione del peso
corporeo ed una normale attività locomotoria.
• Carragenina
La carragenina è un polisaccaride ottenuto da diversi tipi di alghe; l’iniezione di lambda
carragenina (un idrocolloide che non forma gel) nella zona plantare della zampa o
nell’articolazione del ginocchio (insieme con il caolino, silicato di alluminio), produce
un’infiammazione locale ed iperalgesia di breve durata. Diversi studi hanno evidenziato come
l’iperalgesia indotta dalla carragenina sia anche la conseguenza di modificazione della plasticità
neuronale intrinseca al midollo spinale (Schaible and Schmidt, 1985; Schaible et al., 1987).
Urban et al. (1999) hanno dimostrato che l’inattivazione della medulla rostro-ventale (RVM),
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tramite microiniezioni di lidocaina, blocca completamente l’iperalgesia indotta dalla
somministrazione di carragenina nel ginocchio. Ulteriori studi hanno dimostrato che l’iperalgesia
associata alla somministrazione di carragenina è legata all’attivazione centrale dei recettori
NMDA (Eisenberg et al., 1994; Ren et. al, 1992), all’aumento di cellule immunoreattive al
GABA nel corno dorsale ipsilaterale (Castro-Lopes et al., 1994) ed all’aumento di espressione di
c-Fos nel midollo spinale (Buritova et al., 1996).
• Olio di mostarda
Altri agenti infiammatori come l’olio di mostarda, irritante che agisce sulle fibre di piccolo
calibro, sono utilizzati per indurre iperalgesia. L’olio di mostarda produce dolore attivando il
canale TRPA1 (‘Transient Receptor Potential Channel A1’), recettore canale appartenente alla
sottofamiglia A localizzato sui nocicettori afferenti primari. L’applicazione topica di olio di
mostarda induce un rapido sviluppo di iperalgesia ed allodinia che terminano nell’arco di un’ora.
• Formalina
La somministrazione della formalina nella zampa dei roditori produce due fasi distinte in cui si
verifica la risposta nocifensiva caratterizzata da leccamento della zampa e piccoli saltelli,
separate da un breve periodo di quiescenza. Lo sviluppo della prima fase è immediato (5 min) ed
è di breve durata (15 min), mentre il secondo picco si sviluppa dai 15 min e dura circa 1 ora. La
prima fase si sviluppa in seguito all’attivazione diretta dei meccanocettori e dei nocicettori
presenti sulle fibre afferenti primarie, mentre la seconda fase è dovuta all’aumento
dell’eccitabilità dei neuroni del midollo spinale.
• Capsaicina
La capsaicina, il componente irritante del peperoncino che si lega ed attiva il recettore TRPV1
sui nocicettori periferici, è utilizzata per studiare modelli di infiammazione neurogenica ed
iperalgesia. La somministrazione intradermica causa iperalgesia primaria nel sito dell’iniezione
e, nell’area circostante, un’iperalgesia secondaria. Questo modello di infiammazione
neurogenica è stato utilizzato inizialmente nelle scimmie per studiare i cambiamenti dell’attività
dei nocicettori e dei neuroni del corno dorsale del midollo spinale (LaMotte et al., 1991).
Successivamente questo modello è stato adattato agli studi comportamentali nel ratto (Gilchrist
et al., 1996). La somministrazione della capsaicina induce un rapido sviluppo di iperalgesia ed
allodinia che si mantiene per circa 1 ora.
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NA-Not Applicable
Tabella 1. Modelli animali di dolore infiammatorio
- NEUROPATICO
I modelli animali di dolore neuropatico studiati maggiormente sono quelli in cui un danno
meccanico è arrecato a livello di un nervo periferico. Il più diffuso è la legatura o la transezione
del nervo sciatico. La transezione comporta un’interruzione immediata ed irreversibile della
conduzione elettrica nel nervo, seguita da degenerazione Walleriana degli assoni distali alla
lesione, e dalla germinazione prossimale di fibre assonali, nel tentativo di rigenerare le fibre
nervose lese. Oltre a questi effetti locali, ci sono altre reazioni che si verificano dopo diversi
giorni, come le risposte dei corpi cellulari nei DRG che coinvolgono la cromatolisi del nucleo
(Cragg, 1970). Attualmente sono utilizzati quattro principali modelli per il dolore associato ai
danni al nervo sciatico, ciascuno con diverse varianti (Bennett, 1994 a,b; Kauppila, 1998) (Fig.
3):
• transezione o legatura totale del nervo (Sciatic Nerve Transection), che simula le condizioni
cliniche dell’amputazione;
• lesione parziale del nervo (Partial Sciatic Ligation, PSL), con legatura stretta intorno a una
parte (circa il 50%) dei fasci nervosi (Seltzer et al.; 1990), che simula un danno al nervo indotto
da un colpo o una ferita;
• modello del Chronic Constriction Injury (CCI), per cui si applicano diverse legature intorno al
nervo, lasciando un lume inferiore al diametro del nervo originario (Howe et al., 1977; Bennett
and Xie, 1988), simulando la condizione clinica della compressione cronica del nervo, es. come
avviene nell’irritazione delle radici spinali nell’ernia lombare al disco o nella neuropatia da
allettamento;
• legatura stretta di un nervo spinale (Spinal Nerve Ligation, SNL) (Kim and Chung, 1992;
Carlton et al., 1994), o transezione di una o più radici dorsali (Lombard et al., 1979; Brinkhus
and Zimmermann, 1983), che risulta nella completa deafferentazione di uno o più segmenti
spinali, e che simula un danno delle radici dorsali e del plesso del nervo.
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Figura 3. Modelli animali di dolore neuropatico.
1.4 CHEMOCHINE
Le chemochine o citochine chemiotattiche, sono state scoperte alla fine degli anni ‘70 come
fattori in grado di richiamare leucociti. Ad oggi, sono stati identificati nell'uomo più di 50
chemochine e circa 20 recettori per le chemochine, ed omologhi in altre specie di mammiferi
(Charo and Ransohoff, 2006). È logico ritenere che tale numero sia destinato ad aumentare in
tempi brevi. Recentemente, infatti, queste molecole sono diventate il fulcro d’interesse e
discussione in numerosi studi, grazie all’espansione della visuale riguardo al loro ruolo
funzionale. Il ‘via’ alla crescita esponenziale della ricerca in questo settore è senza dubbio
riconducibile alla comprensione della funzione fondamentale di alcuni recettori per chemochine
nell’infezione da HIV (Torres et al., 2001). Queste ricerche hanno contribuito ad estendere lo
studio delle chemochine e dei loro recettori in altri campi della biologia e della medicina,
permettendo così di capire che tali molecole sono espresse da un’ampia varietà di cellule non
ematopoietiche e che la loro funzione si estende ben al di là della sola fisiologia leucocitaria.
Inizialmente si pensava che le chemochine fossero responsabili solo della maturazione e del
traffico dei leucociti, in particolare nelle malattie infiammatorie, ma è stato riportato che le
chemochine sono anche coinvolte nella cardiogenesi, nello sviluppo vascolare, nella
proliferazione cellulare, nell'angiogenesi, nel processo metastatico, nella guarigione delle ferite e
nel rigetto del trapianto (Bonecchi et al., 2009; Rossi and Zlotnik, 2000).
Citochine e fattori di crescita sono stati fortemente associati con il dolore patologico sia nel
sistema nervoso centrale che periferico (Woolf et al., 1997; Laughlin et al., 2000).
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Le chemochine sono piccole proteine costituite da 60 a 100 amminoacidi con un’omologia di
sequenza che varia tra il 20% ed il 90% ed un peso molecolare tra 8 e 14 kDa.
Caratteristiche strutturali e funzionali comuni delle chemochine sono le piccole dimensioni, la
conservazione di un motivo cisteinico nella regione N-terminale della proteina e l'induzione dei
loro effetti attraverso vari GPCRs.
Le chemochine sono suddivise in quattro sottofamiglie in base al numero e la distanza dei residui
di cisteina conservati nelle loro estremità amminoterminali (Fig. 4). Queste sottofamiglie sono:
CXC, CC, C e CX3C.
• In CXC (o α-chemochine) un amminoacido separa i primi due residui di cisteina
(cisteina-X-cisteina, o CXC). Le chemochine di questa famiglia sono note per la
chemiotassi di neutrofili, linfociti T, linfociti B e cellule natural killer. Le α-chemochine
possono essere ulteriormente suddivise in base alla presenza o meno della sequenza di
acido glutammico-leucina-arginina (ELR) vicino all’estremità ammino terminale (che
precede la sequenza CXC). Le α-chemochine che contengono questa sequenza sono
chemiotattiche per i neutrofili, mentre quelle che non la contengono agiscono sui
linfociti.
• Nelle chemochine della famiglia CC (o β-chemochine) i primi due residui di cisteina
sono adiacenti l'uno all'altro. I membri di questa famiglia attraggono monociti, macrofagi,
basofili, linfociti T ed eosinofili, ma hanno poco o nessun effetto sui neutrofili.
• Le chemochine della famiglia C (o γ-chemochine) si distinguono strutturalmente perché
hanno solo due dei quattro residui di cisteina conservati che si trovano nelle altre
famiglie. Gli unici membri di questa famiglia sono linfotactina a e b (XCL1 e XCL2), che
sono noti per attrarre i linfociti T.
• La famiglia CX3C (o chemochine δ) è attualmente rappresentata da un singolo membro
chiamato fractalchina (CX3CL1), che è caratterizzato dalla presenza di tre amminoacidi
tra i primi due residui di cisteina, nonché un dominio transmembrana e un dominio
mucin-like.
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Figura 4. Classificazione delle quattro sottofamiglie di chemochine con i rispettivi recettori. (a) α-chemochine, (b)
β-chemochine, (c) γ-chemochina e (d) chemochine δ. Da Rostene et al., 2007.
Le chemochine esercitano i loro effetti biologici attraverso i recettori appartenenti alla famiglia
GPCR presenti sulla superficie cellulare. La nomenclatura dei recettori delle chemochine segue
quella delle chemochine permettendo, quindi, di suddivere i recettori in quattro gruppi: CXCRn,
CCRN, XCRn e CX3CRn.
I recettori delle chemochine appartengono alla famiglia della rhodopsina, un gruppo di molecole
recettoriali accoppiati a proteine G, i cui membri sono caratterizzati dal possedere una singola
catena polipeptidica che attraversa 7 volte la membrana, con un dominio extracellulare ammino-
terminale e un dominio intracellulare C-terminale ricco in serina / treonina. In particolare gran
parte di questi recettori interagiscono con una proteina G di tipo inibitorio, causando quindi una
diminuzione dei livelli intracellulari di AMP ciclico, anche se alcune chemochine attivano,
inoltre, altre vie di segnalazione, come la protein chinasi (MAPK) mitogeno-attivata, la via PLC
con il conseguente influsso di Ca2+
e la via della fosfatidil inositolo-3-chinasi (PI3K) (Bajetto et
al., 2002; Cartier et al., 2005), determinando diversi effetti come l'adesione, la polarizzazione e
la chemiotassi.
I recettori per le chemochine presentano tre loops extracellulari e un segmento amino terminale
che formano, nel loro complesso, una tasca di legame attraverso la quale il recettore interagisce
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con la propria chemochina ligando. La stabilizzazione di questa tasca è facilitata dalla presenza
di un ponte disolfuro tra il segmento N-terminale e il terzo loop extracellulare. I tre loops
intracitoplasmatici, invece, permettono l’associazione del recettore ad una proteina G. La coda
carbossi terminale è coinvolta nell’internalizzazione e nella regolazione dell’attività del
recettore. Questa, infatti, è ricca di residui di serina e treonina, che probabilmente vengono
fosforilati dalla protein kinasi C (PKC) in seguito al legame della chemochina al recettore.
Questo porterebbe ad una rapida endocitosi del complesso ligando-recettore che, a sua volta,
determinerebbe lo spegnimento del segnale. Questa serie di eventi causano un fenomeno meglio
noto come desensibilizzazione recettoriale, ovvero la mancata risposta della cellula in seguito ad
una risomministrazione della chemochina legata (Youn et al., 2002). I recettori per le
chemochine mancano di un unico carattere distintivo che permetta di distinguerli dagli altri
membri della famiglia delle GPCRs. Possiedono però un’omologia di sequenza variabile tra il 25
e l’80% e una serie di caratteristiche che, se vengono considerate congiuntamente, consentono di
raggruppare questi recettori in un’unica grande sottofamiglia distinta dagli altri recettori
accoppiati a proteine G Tra queste troviamo:
• la lunghezza variabile tra 340 e 370 aa
• un segmento N-terminale ricco di residui acidi
• la sequenza DRYLAIVHA (o una variante di questa) all’interno della seconda
ansa citoplasmatica
• residui basici nella terza breve ansa intracellulare
• un residuo di cisteina in ciascuna delle quattro anse extracellulari
1.4.1 CHEMOCHINE E DOLORE
Come accennato in precedenza, sia le cellule locali che le cellule infiltranti il tessuto danneggiato
sono coinvolte nella produzione di molecole responsabili della chemiotassi di cellule
immunitarie verso il sito del danno, i quali mediano gli effetti nocicettivi. Oltre alla chemiotassi,
le chemochine sono implicate direttamente nella mediazione del dolore.
Sono stati condotti diversi studi per valutare gli effetti sul dolore da parte della chemochina
interleuchina 8 (CXCL8), responsabile dell’attrazione di neutrofili e linfociti. Nel ratto è stato
osservato che CXCL8 è in grado di provocare iperalgesia in maniera dose-dipendente che può
essere bloccata mediante: specifico anticorpo CXCL8, antagonisti dei recettori β-adrenergici,
antagonisti dopaminergici ma non tramite l’inibitore della cicloossigenasi, indometacina; quindi,
l’iperalgesia osservata si sviluppa mediante un meccanismo indipendente dalle prostaglandine.
E’ stato possibile, quindi, ipotizzare un coinvolgimento del sistema nervoso simpatico
16
nell’iperalgesia indotta da CXCL8 e la presenza di una componente neuroimmunitaria nello
sviluppo dell’iperalgesia (Cunha et al., 1991).
La risposta nocicettiva al writhing test, nel topo, indotta da acido acetico, dipende
dall’attivazione dei macrofagi residenti e dai mastociti, responsabili del rilascio di TNF-α,
interleuchina-1β e CXCL8. La somministrazione intraperitoneale di uno specifico anticorpo anti
CXCL8 blocca parzialmente la risposta nocicettiva; inoltre, è stato osservato che, la
somministrazione contemporanea delle tre citochine ricombinanti causa un aumento significativo
della risposta al writhing test, facendo ipotizzare che l’aumento della risposta nocicettiva sia
dovuto ad un’azione sinergica delle tre citochine (Ribeiro et al., 2000).
E’ stato recentemente suggerito che i neuroni dei DRG sono attivamente coinvolti nel signaling
delle chemochine e che queste, agiscano come messaggeri tra le cellule immunitarie periferiche e
i neuroni afferenti sensitivi nel sito dell’infiammazione (Oh et al., 2001).
Infatti, i neuroni dei DRG esprimono i recettori CCR4, CCR5 ed i recettori CXCR4 e CX3CR-1,
la cui stimolazione induce mobilizzazione di calcio, abbassamento della soglia di innesco del
potenziale d’azione e rilascio di SP. In particolare, la localizzazione di CXCR4 sui terminali
periferici suggerisce un possibile signaling delle chemochine nel tessuto infiammato. Perciò,
poiché gli assoni terminali dei neuroni dei DRG esprimono ampiamente il recettore CXCR4,
questi possono essere in grado di rispondere ai segnali generati dalle cellule immunitarie
periferiche e trasportarli al cervello (Oh et al., 2001). Quindi, il rilascio di chemochine dai
leucociti nel tessuto infiammato, può essere direttamente responsabile dell’aumento della
sensitività al dolore osservato durante un processo infiammatorio.
Per alcuni aspetti, gli effetti delle chemochine somigliano ad un’altra importante molecola pro-
infiammatoria, la bradichinina. Entrambi, chemochine e bradichinina, attivano GPCRs e
sembrano avere vie di segnalazioni simili; la bradichinina, tramite i recettori B1 e B2 espressi sui
neuroni dei nocicettori, induce, principalmente, depolarizzazione immediata della membrana
cellulare.
L’attivazione dei recettori della bradichinina causa l’attivazione della fosfolipasi C che idrolizza
PIP2 in inositolo trifosfato e diacilglicerolo (DAG), inducendo la mobilizzazione di Ca2+
intracellulare. Studi recenti hanno riportato che l’attivazione dei recettori CCR1, espressi nei
neuroni dei DRG, produce l’attivazione del recettore TRPV1, meccanismo considerato
importante per l’induzione del dolore da parte delle chemochine (Zhang et al., 2005). Inoltre,
molte chemochine stimolano la fosfolipasi C causando mobilizzazione di Ca2+
nei neuroni
sensitivi (Oh et al., 2002).
17
Il meccanismo cellulare alla base dell’eccitazione dei neuroni sensitivi, indotto dalle
chemochine, possiede, almeno, due componenti. La prima consiste nell’attivazione e/o
sensitizzazionne del recettore TRPV1 (Zhang et al., 2005), o della variante meccanosensitiva, il
recettore TRPA1 (Kwan et al., 2006).
La seconda componente ha alla base l’inibizione della conduttanza al K+ che, fisiologicamente,
regola l’eccitabilità neuronale. Studi recenti hanno rivelato che la proteina MIP-1α/CCL3
(‘macrophage inflammatory protein-1α’) aumenta la risposta alla capsaicina nei neuroni positivi
a TRPV1 (Zhang et al., 2005). E’ stata osservata l’attivazione di entrambi i recettori, TRPV1 e
TRPA1, da parte del signaling di MCP-1/CCL2 (‘monocytes chemoattractant protein-1’) nei
neuroni nocicettivi dei DRG precedentemente danneggiati (Jung et al., 2008). In prima istanza il
meccanismo di attivazione sembra essere dovuto alla rimozione, inodotta dalla fosfolipasi C, di
PIP2, responsabile del blocco del canale, anche se, in seconda analisi, sembra possibile che la
trans- attivazione sia dovuta ad eventi legati alla PKC.
Recenti studi dimostrano un ruolo fondamentale delle chemochine e dei loro recettori nel dolore
cronico, osservabile mediante diversi modelli sperimentali di dolore neuropatico nei roditori.
Questi modelli includono: legatura parziale del nervo sciatico (Zhang et al., 2007), costrizione
cronica del nervo sciatico (Milligan et al., 2004), demielinizzazione indotta chimicamente (Jung
et al., 2008) o dolore da tumore osseo (Vit et al., 2006). In ognuno di questi modelli è possibile
osservare un up-regolazione di uno o più recettori delle chemochine nei neuroni dei DRG
associati, o in prossimità, al danno. Inoltre i neuroni sensitivi, associano alla up-regolazione dei
recettori, anche un aumento di sintesi delle chemochine stesse. Quindi, in associazione con il
dolore cronico, gli stessi neuroni dei DRG sembrano up-regolare sia le chemochine che i loro
recettori, suggerendo una forma di regolazione autologa dell’eccitabilità dei DRG da parte di
queste molecole. Ad esempio, è possibile supporre che, in alcune circostanze, i neuroni dei DRG
rilascino chemochine in grado di attivare i recettori espressi dai neuroni stessi o da altri neuroni
nelle vicinanze. Poiché le chemochine possono eccitare i neuroni dei DRG, questo processo può
contribuire all’ipereccitabilità neuronale osservato in alcune condizioni. Dato che le chemochine
svolgono un ruolo centrale nel richiamo dei leucociti, esse possono svolgere, simultaneamente,
un ruolo unico nel coordinare l’infiammazione e l’eccitabilità neuronale.
18
1.5 UNA NUOVA FAMIGLIA DI CHEMOCHINE:
BV8/PROCHINETICINE
Le prochineticine costituiscono una nuova famiglia di chemochine pronocicettive indicata come
famiglia di Bv8/Prochineticine.
Le prochineticine sono delle proteine secretorie altamente conservate lungo la scala evolutiva,
dagli invertebrati all’uomo; il primo membro di questa famiglia ad essere isolato fu un
costituente non tossico del veleno del serpente Mamba nero (Dendroaspis polylepsis polylepsis),
chiamato Venom Protein A (VPRA) (Joubert and Strydom, 1980). La scoperta che il VPRA
provocava la contrazione dell’ileo di cavia a concentrazioni nanomolari, portò nel 1990 Schweitz
e colleghi a denominarlo Mamba Intestinal Toxin 1 (MIT-1) (Schweitz et al., 1990).
Nel 1999, una piccola proteina di 77 amminoacidi, ricca in residui di cisteina è stata isolata dalle
secrezioni cutanee della rana Bombina variegata e denominata Bv8, ad indicare la sua origine
(Bombina variegata) e il suo peso molecolare (8 kDa) (Mollay et al., 1999). Omologhi di Bv8
sono stati trovati nelle secrezioni cutanee di altri anfibi Bombina bombina, Bombina orientalis,
Bombina maxima, (Kaser et al., 2003; Negri et al., 2009).
I due peptidi, Bv8 e MIT-1, presentano un’omologia di sequenza del 58 % e questo ha suggerito
che peptidi simili potevano anche essere presenti in altre specie, inclusi i mammiferi. Sono stati
identificati ortologhi di Bv8 mediante la clonazione del cDNA nel topo (Wechselberger et al.,
1999), nel ratto (Masuda et al., 2002) e nell’uomo (LeCouter et al., 2001; Li et al., 2001; Jilek et
al., 2000).
Tutte le proteine della famiglia Bv8/prochineticine presentano delle caratteristiche strutturali
peculiari:
sono costituite da 80-90 amminoacidi e derivano da precursori proteici costituiti da un
peptide segnale, che viene rimosso durante il processo secretivo, e dalla proteina matura;
possiedono un segmento N-terminale AVITGA (alanina, valina, isoleucina, treonina,
glicina, alanina) altamente conservato, determinante per il legame recettoriale e per
l’attività biologica (Bullock et al., 2004; Negri et al., 2005);
contengono dieci residui di cisteina, che formano cinque ponti disolfuro, conferendo alla
molecola una struttura compatta che la protegge dalla degradazione enzimatica.
La maggiore differenza nella sequenza amminoacidica di questa famiglia proteica si ha nella
porzione C-terminale (Kaser et al., 2003).
Li e colleghi identificarono due sequenze umane che codificano per due proteine umane simili a
Bv8, chiamate prochineticina 1 (PK1, una proteina Bv8-like) e prochineticina 2 (PK2, o
mammalian Bv8), in riferimento alla loro capacità di indurre la contrazione dell’ileo di cavia,
19
proprietà condivisa con Bv8 e MIT-1 (Li et al., 2001). Contemporaneamente, Ferrara e colleghi
(LeCouter et al., 2001; LeCouter and Ferrara, 2003), analizzando una libreria di proteine
secretive umane, identificarono un proteina che induceva proliferazione, migrazione e
fenestrazione in cellule endoteliali di ghiandole che sintetizzano steroidi (ovaio, testicolo e
corticale del surrene); questa proteina fu denominata “endocrine-gland-derived vascular
endothelial growth factor” (EG-VEGF) poiché i suoi effetti erano simili a quelli indotti da VEGF
sullo stesso modello cellulare. PK1 mostra un’omologia del 76% con la PK2 umana e murina e
del 43% con Bv8 anfibio. EG-VEGF e PK1 sono la stessa proteina.
Nell’ uomo e nel topo i geni che codificano per PK1 e PK2 sono costituiti da tre esoni (Jilek et
al., 2000), ma la sequenza genica di PK2 ha un introne aggiuntivo, la cui inserzione o delezione,
per splicing alternativo tessuto-specifico, produce due varianti proteiche (Wechselberger et al.,
1999) :
- la PK2 canonica, costituita da 81 amminoacidi;
- una forma lunga, costituita da 102 amminoacidi, con 20 aminoacidi addizionali, in
prevalenza basici, la cui funzione non è stata ancora definita, ma che potrebbe
rappresentare il sito bersaglio degli enzimi proteolitici convertasi dando così luogo ad
una forma corta di 41 amminoacidi indicata come PK2β (Jilek et al., 2000; LeCouter et
al., 2003; Chen et al., 2005).
Il gene di PK1 è localizzato sul cromosoma 3 murino e 1p21.1 umano (LeCouter et al., 2003)
mentre, il gene di PK2 è localizzato sul cromosoma 6 murino e sul cromosoma 3p21.1 umano
(Jilek et al., 2000).
A differenza di PK1 e PK2, localizzati su cromosomi differenti, i geni che codificano per le
chemochine si trovano, frequentemente, sullo stesso cromosoma ed i loro loci sono fisicamente
molto vicini (ad esempio, le chemochine CXC sono quasi tutte localizzate sul cromosoma 4q21).
Inoltre, i loci genici di entrambe le prochineticine non si trovano fisicamente vicine ai geni delle
altre famiglie delle chemochine, rendendo improbabile che prochineticine e chemochine, siano
coinvolte in fenomeni di traslocazione in alcune patologie.
La sequenza AVIT N-terminale è essenziale per il corretto legame ai recettori; non è stato ancora
chiarito se le prochineticine subiscono, in vivo, taglio proteolitico ad opera di proteasi
extracellulari. Anche per le chemochine, il dominio N-terminale è essenziale per il legame con il
recettore poiché il taglio dei peptidi all’estremità N-terminale, per opera di proteasi extracellulari
regola la selettività delle chemochine, aumentandone o diminuendone l’attività biologica. Inoltre,
le prochineticine sono altamente basiche, quindi la loro attività può essere regolata tramite il
legame a componenti extracellulari come i proteoglicani solfato. Anche i membri delle altre
20
famiglie di chemochine sono altamente basici e la loro attività è strettamente regolata
dall’interazione con l’eparin-solfato della matrice extracellulare. Esiste, però, una marcata
differenza strutturale tra chemochine e prochineticine, poiché, le prochineticine contengono 10
residui di cisteina mentre le chemochine presentano tra i quattro ed i sei residui di cisteina.
Infine, studi filogenetici per valutare il grado di similarità tra prochineticine, chemochine e
defensine (che, come le prochineticine, contengono un alto numero di residui cisteinici) hanno
rivelato una maggiore similarità nella sequenza amminoacidica tra le defensine e le
prochineticine piuttosto che tra queste ultime e le chemochine (Fig. 5) (Monnier and Samson,
2008).
Le Defensine sono una classe di peptidi antimicrobici cationici caratterizzati da un motivo di sei
cisteine che dà origine a tre ponti disolfuro, sono classificate in α-Defensine e β-Defensine, a
seconda della posizione dei tre legami disolfuro intramolecolari. Le α-Defensine nell’uomo sono
prodotte, oltre che dalle cellule del Paneth, anche dai neutrofili circolanti, entrambe le forme
presentano una potente azione antimicrobica sia contro i batteri Gram positivi che negativi.
Recenti studi hanno mostrato come nell’uomo la αDefensina5 (HD-5) e la αDefensina 6 (HD-6)
siano le forme maggiormente espresse nel piccolo intestino. Diversamente da quelli umani, i
neutrofili murini non esprimono α-Defensine, mentre le cellule del Paneth murine secernono 17
differenti α-Defensine, chiamate Criptidine. Le β-Defensine sono sintetizzate da diverse cellule
epiteliali (pelle, tratto respiratorio e tratto gastrointestinale). Diversamente dalle α-Defensine, le
beta sono assenti nei neutrofili circolanti e, contrariamente a quello che accade nelle prime dove
tutte le diverse forme sono attive indistintamente sui batteri Gram positivi e negativi, la β-
Defensina1 e la β-Defensina2 sono più attive contro i batteri Gram negativi, mentre la β-
Defensina3 svolge una potente azione contro i batteri Gram positivi. Questi peptidi mostrano
molteplici attività: antimicrobica, antivirale, antineoplastica e immunomodulatoria (entrambe le
isoforme presentano azione chemotattica sia per le cellule T che per le cellule dendritiche). Tra i
meccanismi regolatori dell’espressione di questi peptidi vi è la via dei Toll-like receptor (TLR).
Numerosi studi hanno evidenziato un legame diretto tra attivazione dei recettori dell’immunità
innata e aumentata produzione di questi peptidi a livello intestinale (Ganz, 2003).
21
Figura 5. Comparazione filogenetica tra prochineticine, chemochine e defensine. Da Monnier et al., 2008.
1.5.1 Recettori delle prochineticine
Le proteine appartenenti alla famiglia Bv8/PK sono i ligandi di due recettori accoppiati a
proteine G (GPCR) che sono stati identificati nei mammiferi (Lin et al.,2002a; Masuda et al.,
2002; Soga et al., 2002). I recettori, denominati PKR1 e PKR2, appartengono alla classe del
recettore del Neuropeptide Y (NPY), hanno un’identità complessiva nella loro sequenza
amminoacidica dell’85% (Lin et al., 2002a) e sono simili all’80% con il recettore orfano gpr73
murino inizialmente descritto (Parker et al., 2000).
Le maggiori differenze nella sequenza dei 2 recettori umani (hPKR1 e hPKR2) sono presenti
nella regione N-terminale, che contiene nove residui in più nell’hPKR1 rispetto all’hPKR2, nel
secondo loop intracellulare (ICL2) e nella coda C-terminale. Studi preliminari sul modello
omologo di hPKR1 hanno dimostrato che questi presenta caratteristiche simili ai membri della
22
famiglia A dei GPCRs, tra cui la conservazione di tutti i residui chiave e la cisteina palmitoilata
nella coda C-terminale che forma un quarto probabile loop intracellulare. Inoltre, in maniera
simile alla famiglia A dei GPCRs, un ponte disolfuro altamente conservato formato dalle cisteine
Cys217 e Cys137, connette il secondo loop extracellulare (ECL2) con la porzione terminale del
III dominio transmembrana (Levit et al., 2011) (Fig. 6). Analisi di western-blot condotte su
membrane estratte da leucociti polimorfonucleati umani, hanno evidenziato che PKR2 può
essere presente come dimero (Marsango et al., 2011).
Figura 6. Struttura del recettore PKR1 umano.
Per poter identificare i possibili siti di legame, sono state mappate tutte le subunità del recettore;
il sito energicamente favorevole al legame è stato localizzato nella porzione superiore dei domini
transmembrana, tra i domini 3,4,5,6 e 7. La posizione del sito identificato è rappresentata in
figura 7.
23
Figura 7. Modello tridimensionale di hPKR1. Nel riqudro, il sito in cui si legano le piccole molecole (da Levit et al.,
2011).
Comparando i siti di legame tra i 2 sottotipi recettoriali si osserva che sono altamente conservati
tra loro, eccetto per un residuo in posizione ECL2: Val207 nel hPKR1, Phel198 nel hPKR2.
Tramite esperimenti di docking molecolare, sono stati identificati residui importanti per
l’interazione con i ligandi: Glu1192.61
, Arg1443.32
, e Arg3076.58
. In particolare la posizione 6.58 è
importante per il legame di piccole molecole ligandi (come i ligandi endogeni PK1 e PK2),
mentre la posizione 2.61, che è occupata dall’acido glutammico, è fondamentale per il legame
degli antagonisti poiché si crea un’interazione elettostatica tra il residuo carico negativamente e
la carica positiva del ligando (Levit et al., 2011).
In membrane di cellule che esprimono PKR1 o PKR2, dati ottenuti tramite esperimenti di
binding recettoriale hanno mostrato che il peptide anfibio Bv8 e il peptide del seprente MIT
hanno un’affinità per PKRs almeno, un ordine di grandezza superiore rispetto a PK2, e due
ordini di grandezza superiore rispetto a PK1. Eccetto MIT, ligando preferenziale per PKR2, tutti
gli altri PKs non mostrano selettività per nessuno dei due recettori. Solo la forma corta di PK2,
PK2β, mostra una chiara selettività per PKR1 (Tab. 2).
24
Displacing Ligand Radioligand (pM) PKR1 (Ki, nM) PKR2 (Ki, nM)
Bv8 125
I-Bv8, 10
125I-MIT, 4
0.34
0.69
0.78
0.71
MIT 125
I-MIT, 100 4.1 0.67
PK1 125
I-MIT, 100
125I-PK1, 2000
250.0
104.0
81.0
34.0
PK2 125
I-MIT, 100
125I-PK2, 100
6.9
4.5
7.6
6.4
PK2β 125
I-PK2, 100 34.6 > 1000
Tabella 2. Affinità di legame delle proteine Bv8/PK nei confronti di PKR1 e PKR2
I PKRs sono responsabili dell’attivazione di diverse vie di segnale. In linee cellulari neuronali ed
endoteliali, l’attivazione dei PKRs induce la mobilizzazione del calcio intracellulare attraverso
diversi meccanismi. Uno di questi è l’attivazione di PLCβ tramite proteina Gq con conseguente
formazione di inostolo trifosfato (Lin et al., 2002b) e rilascio di calcio dai compartimenti
intracellulari.
La stimolazione del calcio intracellulare ad opera di PK1 attiva, inoltre, il pathway della
calcineurina che induce defosforilazione del fattore di trascrizione NFAT (‘Nuclear Factor of
Activated T cells’), traslocazione nucleare di NFAT con conseguente regolazione genica (Cook
et al., 2010). Anche se l’induzione della mobilizzazione del calcio in seguito all’attivazione del
recettore è dipendente da Gq, l’attivazione del pathway delle MAPK suggerisce che i PKRs
possano essere accopiati anche ad altri tipi di proteina G come la Gi. L’attivazione della proteina
Gi causa anche fosforilazione delle proteine ERK (‘Extracellular-signal-Regulated kinase) (Lin
et al., 2002b). Nei gangli delle radici dorsali (DRG), l’attivazione dei recettori delle
prochineticine induce aumento di [Ca2+
]i, traslocazione della PKC-ε dal citoplasma alla
membrana neuronale e l’attivazione del canale TRPV1 (Vellani et al., 2006). E’ stato inoltre
riportato un cross-talk tra i pathway attivati da GDNF (‘Glial cell line-Derived Neurotrophic
Factor)/Ret, dal canale TRPV1 e dalle prochineticine (Hu et al., 2006; Ngan and Tam., 2008)
(Fig. 8).
25
Figura 8. Vie di trasduzione del segnale delle prochineticine.
1.5.2 Distribuzione e funzione delle prochineticine e dei loro recettori
La distribuzione delle prochineticine e dei loro recettori in vari tessuti fa intendere che questo
sistema possa svolgere diverse funzioni biologiche tessuto-specifiche. Inoltre, la molteplicità di
proteine G accoppiate ai recettori, aumenta ulteriormente la complessità funzionale del sistema.
Queste ultime, permettono alle cellule di svolgere differenti funzioni fisiologiche in risposta alla
stimolazione da parte dello stesso ligando.
Oltre all’iniziale descrizione dell’espressione delle prochineticine nel tratto gastrointestinale e
del loro ruolo nella stimolazione della contrattilità del muscolo liscio, numerosi studi hanno
dimostrato altre funzioni delle prochineticine nei mammiferi, come l’angiogenesi, la
neurogenesi, il ritmo circadiano, il metabolismo, l’emopoiesi, la risposta immunitaria, la
riproduzione e la percezione del dolore. Questo sistema è coinvolto anche in diverse condizioni
patologiche, tra cui il cancro (Shojaei et al., 2007), la risposta immunologica (Monnier and
Samson, 2008), i disturbi dell’umore (ansia/depressione) (Kishi et al., 2009; Li et al., 2009), la
cardiomiopatia (Attramadal, 2009) ed il dolore persistente (Negri et al., 2009).
PK/PKRs sono espressi in numerosissimi organi tra cui il cervello, l’ovaio, il testicolo, la
placenta, la corteccia surrenale, le cellule del sangue periferico, del tratto intestinale, del cuore e
del midollo osseo (Negri et al., 2009; Ngan et al., 2008).
PK1 è prevalentemente espressa nei tessuti steroidogenici tra cui l’ovaio, l’utero, la placenta e le
ghiandole surrenali in risposta ai cambiamenti ormonali durante l’intero ciclo mestruale e la
gravidanza (Maldonado-Perez et al., 2007; Ngan et al., 2006); mentre PK2 è espressa
principalmente (ma non esclusivamente) nel sistema nervoso centrale e nelle cellule non-
steroidogeniche del testicolo (Ferrara et al., 2004; Cheng et al., 2005).
26
Entrambi i recettori delle prochineticine sono distribuiti nei tessuti periferici: PKR1 è
ampiamente distribuito nel sistema endocrino, nel tratto gastrointestinale, nei polmoni, nelle
cellule del sangue, nel sistema cardiovascolare e negli organi riproduttivi; l’espressione di PKR2
è stata riportata principalmente negli organi endocrini periferici come ad esempio l’ipofisi, la
tiroide, il testicolo e l’ovaio (Soga et al., 2002).
- Sistema Nervoso Centrale
Nel cervello adulto PKR2 è il principale recettore espresso specialmente nell’ipotalamo, nelle
regioni olfattive ventricolari e nel sistema limbico (Cheng et al., 2002; Cheng et al., 2006). Al
contrario dei loro ligandi, i recettori delle prochineticine possono essere rilevati già dal 7° giorno
embrionale nel topo, suggerendo il loro coinvolgimento nelle fasi precoci dello sviluppo (Negri
et al., 2007; 2009).
Colture primarie di neuroni, astrociti e microglia, da cervello di topo indicano che i neuroni
esprimono PKR2 e PK1, mentre gli astrociti e la microglia in coltura esprimono PKR1 e PK2
(Koyama et al., 2006). PK1, inoltre, è espresso esclusivamente nel tronco encefalico, con grande
abbondanza nel nucleo del tratto solitario (NTS) (Cheng et al., 2006).
PK2, ma non PK1, è il regolatore chiave di diversi processi biologici nel sistema nervoso
centrale. È ampiamente espresso nel cervello di topo e agisce come un fattore neurotrofico
endogeno per supportare la sopravvivenza neuronale (Cheng et al., 2002).
PKR2 è espresso in diverse regioni ipotalamiche, come il nucleo paraventricolare, nucleo arcuato
e l’ipotalamo dorsomediale, che sono le principali regioni che regolano l'assunzione di cibo
(Kalra et al., 1999; Hillebrand et al., 2002). Anche PKR1 è espresso nel nucleo arcuato nonché
nella zona incerta, regione implicata nel comportamento ingestivo (Brown et al., 1980).
Nell’organo subfornicale, la regione del cervello che regola la sete (Gross, 1985), viene espresso
maggiormente il PKR2. Questa distribuzione dei recettori suggerisce che il sistema PK/PKRs sia
in grado di regolare il comportamento ingestivo come la fame e la sete. A sostegno di questa
ipotesi la somministrazione di Bv8 riduce in maniera dose-dipendente l’assunzione di cibo
(effetto anoressizzante) e stimola la sete (effetto dipsogeno) nel ratto (Negri et al., 2004), e la
somministrazione intraperitoneale di PK2 nei topi, riduce l’assunzione di cibo (effetto
anoressizzante); questo effetto manca nei topi PKR1-/-
e viene bloccato dalla somministrazione di
PC1, antagonista preferenziale di PKR1 indicando che l’effetto anoressizzante è mediato da
PKR1 (Beale et al., 2012).
Nel bulbo olfattivo, PK2 induce la migrazione della zona subventricolare derivata da progenitori
neuronali e regola la morfogenesi del bulbo olfattivo (Ng et al., 2005). Coerentemente, topi
27
knock-out per PK2 e PKR2 presentano difetti nel bulbo olfattivo. Nell’uomo, mutazioni
puntiformi nei geni codificanti PK2 o PKR2 sono presenti nella sindrome di Kallmann (KS) che
unisce l’anosmia, legata all’alterata morfogenesi del bulbo olfattivo, con l’ipogonadismo, dovuto
alla carenza del rilascio dell’ormone gonadotropina (Pitteloud et al., 2007).
PK2 e PKR2 sono abbondantemente espressi anche nel nucleo soprachiasmatico (SCN) dove
sono implicate nella regolazione del ritmo circadiano (Cheng et al., 2002); la PK2 presenta
elevati livelli di espressione durante il giorno e bassi livelli durante la notte. Il recettore PKR2, è
espresso in diverse aree del sistema nervoso centrale, alcune delle quali sono coinvolte nella
regolazione dell'umore, come ad esempio l’amigdala, il setto laterale, il nucleo paraventricolare e
l’ippocampo.
Una grande varietà di geni è alla base dei meccanismi molecolari che regolano l’orologio del
nucleo soprachiasmatico, quali Clock, Bmal1 e Per3: l’espressione della PK2 nel SCN è attivata
dal complesso Clock/Bmal1, e soppressa da Pers e Crys (Cheng et al., 2002). Diversi studi
hanno dimostrato che i geni Clock, Bmal1 e Per3, sono associati anche a disturbi dell’umore
(Benedetti et al., 2003; Mansour et al., 2006; Nievergelt et al., 2006): si è dimostrato il
coinvolgimento del SCN in comportamenti tipici di ansia e depressione attraverso lesioni del
SCN o l’utilizzo di modelli animali mutati geneticamente (Li et al., 2009).
Scompensi dei ritmi circadiani sono strettamente associati con molti disturbi di umore, come
disturbi bipolari, depressione e ansia. Alcuni dei principali disturbi dell'umore includono
scompensi del ciclo sonno/veglia, appetito, e attività sociale. Sebbene l'associazione tra disturbi
dell'umore e dei ritmi circadiani siano noti da molti anni, i meccanismi molecolari che ne sono
alla base hanno cominciato ad emergere solo di recente. Li et al, hanno dimostrato che la PK2
stabilisce un possibile legame molecolare tra ritmi circadiani e disturbi dell’umore, focalizzando
l’attenzione sul ruolo della PK2 nei comportamenti collegati all’ansia e alla depressione; in
particolare hanno dimostrato che la somministrazione intracerebroventricolare (i.c.v.) di PK2
aumenta i comportamenti legati all’ansia ed alla depressione e che i topi mancanti del gene per
PK2 mostrano un comportamento meno ansioso e depresso dei WT (Li et al., 2009).
- Organi e tessuti periferici
PK1 è anche conosciuto come fattore di crescita vascolare endoteliale derivato dalla ghiandola
endocrina (EG-VEGF) per la sua capacità di funzionare come un mitogeno angiogenico per le
cellule endoteliali derivate negli organi endocrini (LeCouter et al., 2001; Ferrara et al., 2004).
PK/PKRs sono espressi sulle cellule endoteliali dei tessuti vascolari. Sia PK1 che PK2 esercitano
28
effetti vascolari che includono la sopravvivenza delle cellule endoteliali capillari, la
proliferazione, la migrazione, la differenziazione e l’induzione della fenestrazione dei vasi
attraverso l’attivazione dei PKRs; più specificamente, l’attivazione di PKR1 induce un aumento
della proliferazione e della sopravvivenza cellulare, mentre PKR2 è implicato nella regolazione
della permeabilità degli endoteli (LeCouter et al., 2003a; Lin et al., 2002b; Kisliouk et al., 2003).
PKR1 è fortemente espresso nelle cellule endoteliali delle arteriole e dei vasi e tramite il
signaling di Gαq11, induce la formazione di strutture simili ai vasi da cellule endoteliali aortiche
umane; mentre il PKR2 è espresso nelle cellule endoteliali fenestrate, come quelle presenti nelle
ghiandole endocrine, corpo luteo, reni e fegato e tramite il signaling di Gα12 interagisce con la
molecole di adesione ZO-1 portando alla formazione delle fenestrae (Guilini et al., 2010).
Le prochineticine ed i loro recettori sono espressi in vari compartimenti cellulari dell’endometrio
umano, in particolare PK1 mostra un modello dinamico di espressione durante il ciclo mestruale
e la gravidanza. PK1 svolge un importante ruolo durante l’impianto e la fase precoce della
gravidanza inducendo il rimodellamento vascolare e aumentando la permeabilità vascolare. Al
contrario, PK2 non è presente nell’ovaio umano e la sua espressione nell’endometrio rimane
costante per tutto il ciclo mestruale (Denison et al., 2008; Maldonado-Pérez et al., 2009). PK1 è
espresso anche nelle cellule di Leydig del testicolo umano in cui probabilmente agisce
promuovendo l’angiogenesi interstiziale per sostenere l’attività endocrina del testicolo.
L’espressione di PK2, invece, è limitata agli spermatociti primari (LeCouter et al., 2003b;
Samson et al., 2004; Wechselberger et al., 1999).
Recentemente, Nebigil e colleghi hanno riportato importanti ruoli per le prochineticine nella
fisiologia e fisiopatologia cardiovascolare. I ruoli del signaling PKs/PKR1 non sono limitati solo
nel promuovere la crescita del capillare endoteliale, ma anche la sopravvivenza dei
cardiomiociti. PK2, tramite l’attivazione di PKR1, induce la formazione di strutture simili a vasi
nelle colture di cellule endoteliali cardiache indipendentemente dall’up-regolazione del fattore di
crescita vascolare endoteliale (VEGF). Inoltre, attiva Akt per proteggere i cardiomiociti dallo
stress ossidativo e salvare il miocardio dall’infarto in un modello murino (Urayama et al., 2007;
2009).
PK1 è altamente espresso in molti tumori maligni e si pensa che sia parzialmente responsabile
dell’angiogenesi neoplastica. Nel cancro colorettale PK1 promuove l’angiogenesi, la
proliferazione cellulare e le metastasi epatiche (Goi et al., 2004), e nel cancro della prostata è
localizzata nelle cellule epiteliali ghiandolari dei tessuti iperplastici e maligni della prostata
(Pasquali et al., 2006). Un’alta espressione dei livelli di PKR1 è associata con caratteristiche
29
cliniche maligne del neuroblastoma umano, un tumore pediatrico derivato dalle cellule delle
creste neurali differenziate in modo errato (NCC) (Ngan et al., 2007).
Un altro ruolo per le prochineticine è stato rivelato nell’ematopoiesi e nella regolazione della
risposta immunitaria. Le prochineticine possono promuovere la sopravvivenza e la
differenziazione della progenie dei granulociti e dei monociti, oltre a stimolare la mobilizzazione
delle cellule ematopoietiche per modulare la risposta immunitaria (LeCouter et al., 2004).
1.5.3 Ruolo delle prochineticine nella nocicezione e nel dolore
Sia PKR1 che PKR2 sono espressi nei gangli delle radici dorsali (DRG), nelle lamine esterne
delle corna dorsali del midollo spinale e nelle terminazioni periferiche degli assoni dei
nocicettori, indicando che questi recettori possono svolgere un ruolo nel ‘signaling’ nocicettivo
(Negri et al., 2006). Nei roditori, iniezioni locali, sistemiche e intratecali di dosi molto basse di
BV8 (omologo anfibio di PK2) abbassano la soglia nocicettiva agli stimoli termici, meccanici e
chimici tramite l’attivazione sia di PKR1 che PKR2 nei neuroni sensitivi primari (Negri et al.,
2002). Questo aumento dell’eccitabilità dei nocicettori risulta da un’interazione funzionale tra
PKR1 e TRPV1 che sono co-espressi nel ganglio della radice dorsale; in particolare il nostro
gruppo ha dimostrato che PKR1 è espresso maggiormente nelle fibre C e Aδ e nelle fibre
peptidergiche. In colture primarie di neuroni di DRG il 70% dei neuroni che esprimono TRPV1
co-esprimono PKR1, mentre una percentuale minore (~ 9,5%) co-esprime PKR2. La metà dei
neuroni che risponde a Bv8 esprime e rilascia neuromediatori implicati nella trasmissione dello
stimolo doloroso come CGRP e SP. Nella sub-popolazione di neuroni IB4+, che esprime un
ridotto numero di PKRs funzionali, l’esposizione delle colture al fattore neurotrofico derivato da
cellule gliali (GDNF) ha indotto l’espressione “de novo” di PKRs funzionali che suggerisce una
possibile up-regolazione dei PKRs dopo il danno tissutale e l’infiammazione (Vellani et al.,
2006; Negri et al., 2007).
È stato riportato che topi mancanti del gene per PKR1, PKR2 o PK2 mostrano un’alterata
percezione del dolore a vari stimoli (termici, meccanici, e alla capsaicina) (Negri et al., 2006; Hu
et al., 2006). Queste scoperte indicano un ruolo dei PKRs nella modulazione della nocicezione
acuta e del dolore infiammatorio e un ruolo delle PKs nell’attivazione dei nocicettori e nella
sensitizzazione. Il possibile coinvolgimento del sistema Bv8/prochineticine nella modulazione
centrale della percezione del dolore è descritto dallo studio che dimostra che la somministrazione
di Bv8 intra- sostanza grigia periacqueduttale (PAG) esercita un’azione pro-nocicettiva
aumentando il tono GABA-ergico intrinseco che, a sua volta, è responsabile dell’inibizione dei
30
neuroni antinocicettivi della PAG che sinaptano con i neuroni del RVM (deNovellis et al.,
2007).
Recenti studi condotti sui roditori dal nostro gruppo di ricerca evidenziano un ruolo critico di
PK2 anche nel dolore infiammatorio mediato dai granulociti. Organi linfoidi, leucociti e cellule
ematopoietiche circolanti, sinoviociti, cellule dendritiche e cellule gliali esprimono
costitutivamente moderati livelli di prochineticine (LeCouter et al., 2004; Dorsch et al., 2005).
Abbiamo dimostrato che in modelli animali di dolore infiammatorio indotto dall’adiuvante
completo di Freund (CFA), l’espressione di PK2 e PK2L nella pelle della zampa di topo aumenta
fortemente e correla con lo sviluppo e la durata del dolore. Studi di ibridazione in situ eseguiti su
sezioni di zampa infiammata, ed esperimenti di RT-PCR hanno dimostrato che i neutrofili sono
la principale fonte di PK2 ed in particolare la risposta infiammatoria indotta da iniezioni locali di
CFA amplifica la trascrizione genica di PK2 in cellule polimorfonucleate (PMN) non solo a
livello locale nella zampa, ma anche a livello sistemico (Giannini et al., 2009). Il meccanismo
alla base dell’up-regolazione della PK2 nei granulociti indotto dall’infiammazione può dipendere
dal precoce e rapido aumento dei livelli plasmatici del fattore stimolante le colonie di granulociti
(G-CSF) negli animali trattati con CFA (Bobrowski et al., 2005). Il gruppo di Ferrara ha
dimostrato che il G-CSF è l’unica citochina in grado di indurre la trascrizione di PK2, tramite
l’attivazione di STAT3 che lega il sito promotore del gene di PK2 (Qu et al., 2012), in cellule
CD11b+Gr1+ derivate dal midollo osseo (Shojaei et al., 2007). L’attivazione di STAT3 ad opera
del G-CSF è stata recentemente dimostrata, anche, nei neuroni dei DRG e negli astrociti ma non
nella microglia (Tsuda et al., 2011). Il G-CSF è il principale regolatore della granulopoiesi e
della mobilizzazione dei neutrofili dal midollo osseo; quindi, l’aumento precoce dei livelli di G-
CSF nel plasma degli animali trattati con CFA potrebbe spiegare l’aumento sistemico della
trascrizione di PK2 nei granulociti della milza e della zampa.
PK2, rilasciato nei tessuti infiammati, innesca un ulteriore reclutamento dei macrofagi. Abbiamo
dimostrato che Bv8, in vitro, stimola i macrofagi a migrare e a produrre citochine
proinfiammatorie (IL-1 e IL-12), mentre diminuisce le citochine anti-infiammatorie (IL- 10).
Bv8 altera anche l’equilibrio Th1/Th2 favorendo una risposta di tipo Th1. Tutti questi effetti
dipendono dall’attivazione di PKR1 poiché non si manifestano nei linfociti e nei macrofagi di
topi PKR1-/-
(Martucci et al., 2006; Franchi et al., 2008).
Topi mancanti di PKR1 mostrano una diminuzione significativa dell’iperalgesia indotta
dall’infiammazione ed una riduzione nell’up-regolazione di PK2. Anche i topi mancanti di PKR2
mostrano una minore iperalgesia indotta da infiammazione, ma la delezione del gene PKR2 non
influenza l’up-regolazione di PK2 indotta dall’infiammazione. Questi dati dimostrano che
31
entrambi i recettori sono responsabili del dolore infiammatorio ma solo PKR1 è coinvolto nella
regolazione dell’aumento dei livelli dell’espressione di Bv8 nell’infiammazione. L’attivazione di
PKR1 presente sui granulociti e macrofagi da parte di Bv8/PK2 rilasciato nel sito di
infiammazione può promuovere il loro ulteriore ‘recruitment’ (Martucci et al., 2006) e la loro
sopravvivenza tramite meccanismi paracrini e autocrini, direttamente o in maniera sinergica con
il G-CSF (Shojaei et al., 2007; LeCouter et al., 2004). Questi risultati suggeriscono un ruolo
fondamentale del sistema Bv8/prochineticine nell’infiammazione e nel dolore infiammatorio,
almeno nei roditori. Quindi, la riduzione dell’espressione di Bv8/PK2 o l’antagonizzazione dei
PKRs potrebbe costituire una promettente strategia per un approccio terapeutico.
1.5.4 Antagonisti dei recettori delle prochineticine
Alla luce del coinvolgimento del sistema delle prochineticine in diverse funzioni biologiche e
patologiche diventa di enorme interesse l’utilizzo di antagonisti dei PKRs nel trattamento e nella
prevenzione di varie patologie legate ad esse.
I membri della famiglia AVITGA interagiscono con i recettori PKR1/PKR2 orientando la
regione della proteina compresa tra la sequenza AVITGA e il residuo conservato di triptofano in
posizione 24 (Trp24) (Miele et al., 2010). Analisi computerizzate di docking molecolare hanno
suggerito che modifiche nella struttura primaria di Bv8 in alcune posizioni amminoacidiche,
dalla 6 alla 40, potrebbero produrre molecole con una affinità alterata e/o un’efficacia differente
nell’attivazione dei recettori PKRs.
Le prime molecole ottenute sono state dei derivati di Bv8 che mancano di uno (des-Ala-Bv8) o
due (des-Ala-Val-Bv8) residui all’N-terminale della molecola (Negri et al., 2005). des-Ala-Bv8
presenta un’affinità recettoriale cinque volte più bassa di Bv8 per i recettori PKR mentre des-
Ala-Val-Bv8 presenta un’affinità recettoriale duecento volte più bassa di Bv8 per i recettori
PKR. Esperimenti in vivo, nei topi e nei ratti, dimostrano che des-Ala-Val-Bv8 è in grado di
antagonizzare l’iperalgesia indotta da Bv8 legandosi ai PKRs sulle terminazioni periferiche e
centrali dei neuroni sensitivi primari (Negri et al., 2005).
Sostituendo il triptofano in posizione 24 nella molecola di Bv8 anfibio con l’amminoacido
alanina (Miele et al., 2010) si è ottenuto un nuovo composto chiamato A-24. Studi condotti nel
laboratorio dove ho svolto la tesi, dimostrano che A-24 lega preferenzialmente il recettore PKR2
dove agisce come agonista, con potenza di poco inferiore a Bv8, ma lega anche PKR1, dove
agisce da antagonista. A-24 nel ratto e nel topo è un anti-iperalgesico potente e di lunga durata
(Lattanzi et al., 2012).
32
Le molecole peptidiche tuttavia, poiché sono facilmente degradabili ad opera delle proteasi, sono
poco adatte ad essere usate come farmaci ed è per questo motivo che il mio gruppo di ricerca, in
collaborazione con i Prof. Salvadori e Prof. Balboni, si è dedicato alla progettazione, sintesi e
studio di nuove molecole non peptidiche che, avendo come bersaglio i recettori PKRs delle
prochineticine, possano avere un ruolo importante nel trattamento del dolore. Sulla base della
sintesi e della caratterizzazione farmacologica di alcuni antagonisti non-peptidici delle
prochineticine depositati dalla Janssen Pharmaceutica e dalla Merck (Coats et al., 2006a, 2006b,
2007; Thompson and Melamed, 2007), sono stati sintetizzati diversi composti triazinici. Il
composto prototipo è stato chiamato PC1 (Balboni et al., 2008).
Figura 9. Struttura molecolare di PC1.
PC1 è caratterizzato da un gruppo triazinico che contiene le seguenti sostituzioni: N1 e N
5 legano
il gruppo 4-metossibenzile e 4-etilbenzile, rispettivamente; il C2 lega il gruppo amino-etil-
guanidinico. PC1 mima le caratteristiche strutturali richieste per il legame al recettore di Bv8,
infatti il motivo triazino-guanidinico di PC1 mima la sequenza AVIT N-terminale, mentre il
motivo metossibenzilico di PC1 è orientato come il triptofano in posizione 24 (Fig. 9) (Balboni
et al., 2008).
Con opportune sostituzioni nella molecola di PC1, sono stati ottenuti altri composti in fase di
studio (PCs) (Tab. 3); in particolare, l’inserzione di gruppi alogeni, ha portato alla sintesi di tre
composti chiamati: PC7, PC25 e PC27 (Fig. 10).
33
Figura 10. Struttura molecolare di PC7, PC25 e PC27. In rosso, i gruppi alogeni.
2. SCOPO DELLA TESI
Alla luce di questi dati, scopo del progetto di ricerca di cui ho fatto parte durante i miei anni di
dottorato è stato quello di approfondire le conoscenze sul ruolo funzionale delle prochineticine e
dei loro recettori, che possono essere dei nuovi targets molecolari per lo sviluppo di farmaci
innovativi.
Io mi sono dedicato, in particolare, alla caratterizzazione farmacologica di una vasta libreria di
derivati triazinici. In questo mio lavoro di tesi vado a dimostrare l’efficacia anti-iperalgesica ed
anti-infiammatoria del composto di riferimento, PC1, in diversi modelli animali di dolore
valutandone gli effetti periferici e centrali. Inoltre, riporto i dati preliminari riguardanti i derivati
alogenati di PC1 che dimostrano una maggiore selettività per il recettore PKR1.
Ho valutato:
- la selettività e l’affinità di PC1 e dei suoi analoghi alogenati verso i PKRs sia in vitro che
in vivo;
- gli effetti di PC1 sull’iperalgesia indotta da Bv8 per diverse vie di somministrazione;
- la potenza analgesica ed anti-infiammatoria di PC1 in confronto all’indometacina;
- il meccanismo d’azione in modelli di infiammazione e neuropatia;
- gli effetti comportamentali.
34
3. RISULTATI
Abbiamo studiato la relazione struttura-attività (SAR ‘Structure-Activity Relationship’) di tutti i
composti triazinici, sia in vitro che in vivo; oltre al capostipite PC1, i dati ottenuti hanno
permesso di identificare, tra tutti, i composti PC7, PC25 e PC27 come i più potenti. Studi di
binding recettoriale su preparati di membrane di cellule CHO stabilmente transfettate con il
recettore PKR1 o con il recettore PKR2 dimostrano che PC1 è in grado di spiazzare il ligando
marcato 125
I-MIT da entrambi i recettori delle prochineticine a concentrazioni dell’ordine delle
nmoli; in particolare PC1 risulta un ligando preferenziale, con un rapporto 1/20, per il recettore
PKR1 (IC50 = 104 nM per PKR1 vs IC50 = 1861 per il PKR2).
Tutti i PCs sono stati testati tramite saggio BRET; i dati ottenuti confermano la preferenzialità di
PC1 verso il PKR1 (IC50 = 144 nM per PKR1 vs IC50 = 2964 per il PKR2) e dimostrano che i
composti in cui all’interno della molecola sono presenti i gruppi alogeni, in particolare PC7 e
PC25, sono più selettivi per PKR1.
PC7 mostra una preferenzialità di legame, di circa 70 volte, verso il PKR1 (IC50 = 63 nM per
PKR1 vs IC50 = 4399 per il PKR2) ed è più affine, di circa 2 volte, per il PKR1 rispetto a PC1.
PC25 mostra una preferenzialità di legame, di circa 300 volte, verso il PKR1 (IC50 = 8 nM per
PKR1 vs IC50 = 2162 per il PKR2) ed è più affine, di circa 17 volte, per il PKR1 rispetto a PC1.
In PC27, invece, l’aggiunta del gruppo trifluorometilico sulla catena laterale N5 riduce
notevolmente (~ 50 volte) l’affinità per PKR1 ma anche per PKR2 (~ 15 volte) rispetto a PC1.
35
Compound
(m.w.)
in vivo
(EC100, nmol)
BINDING
(IC50,nM)
BRET
(IC50, nM)
W.T R1-/- R2-/- PKR1 PKR2 PKR1 PKR2
PC1 (680) 0.015, 0.15, 0.015 104 1861 144 2964
PC2 (638) 0.047 1861 47000
PC3 (705) 0.14 19942 14200 >10000 >10000
PC5 (905) 0.11 >10000 >10000
PC6 (651) 0.15 <10000 >10000
PC7 (670) 0.0015, 0.015,0.00015 63 4399
PC8 (652) 0.15 <10000 >10000
PC9 (649) 0.15 >10000 >10000
PC10 (792) 0.038 <10000 <10000
PC11 (675) 1.48 >10000 >10000
PC12 (678) 0.15 >10000 >10000
PC13 (679) 0.15 <10000 <10000
PC14 (705) 0.42 >10000 >10000
PC15 (666) 0.015 <10000 <10000
PC16 (669) 0.015 <10000 >10000
PC17 (682) 0.15 <10000 <10000
PC18 (686) 0.014 <10000 <10000
PC19 (711) 0.0014 <10000 >10000
PC20 (669) 0.015 >10000 >10000
PC21 (845) 0.012 <10000 <10000
PC22 (645) 0.15 >10000 >10000
PC23 (720) 0.14 <10000 >10000
PC24 (730) 0.014 <10000 >10000
PC25 (730) 0.0014, 0.014, 0.00004 8 2162
PC26 (720) 0.014 <10000 >10000
PC27 (704) 0.00014, 0.0014,0.00014 6186 42112
PC28 (704) 0.014 <10000 >10000
PC29 (666) 0.015 <10000 >10000
PC30 (670) 0.15 <10000 >10000
PC31 (686) 0.014 <10000 >10000
PC32 (720) 0.14 <10000 >10000
PC33 (696) 0.14 <10000 <10000
PC34 (777) 0.13 <10000 <10000
PC35 (777) 0.13 <10000 <10000
PC36 (697) 0.14 <10000 <10000
PC37 (637) 0.16 >10000 >10000
PC38 (704) 0.014 <10000 <10000
PC39 (714) 0.0014 <10000 <10000
PC40 (621) 0.016 >10000 >10000
PC41 (670) 0.15 <10000 <10000
PC42 (591) 0.0017 >10000 >10000
PC43 (607) 0.00016 <10000 <10000
PC44 (718) 0.00014 <10000 <10000
Tabella 3. Antagonisti triazinici dei PKRs.
36
La disponibilità nel nostro laboratorio di topi transgenici mancanti del PKR1 o del PKR2 ci ha
permesso di valutare anche “in vivo” la preferenza per l’uno o l’altro recettore valutando la dose
necessaria a contrastare l’iperalgesia indotta da una stessa dose di Bv8 (5 ng, i.pl.) nei due
genotipi. Nei topi PKR2-/-
, la somministrazione locale di PC1 (i.pl.) alla dose di 10 ng (0.015
nmol) antagonizza l’iperalgesia indotta dalla somministrazione locale di Bv8 5 ng (i.pl, 630
fmol), mentre nei topi PKR1-/-
è necessaria una dose 10 volte maggiore, 100 ng, (0.15 nmol) per
ottenere lo stesso effetto, in accordo con i dati ottenuti in vitro sulla preferenzialità di PC1 verso
PKR1 (Fig. 11). Anche i composti PC7 e PC25, nei topi PKR1-/-
e PKR2-/-
, sono in grado di
antagonizzare l’iperalgesia indotta da Bv8, mantenendo costante il rapporto di dose ottenuto in
vitro. Contrariamente a quanto ottenuto con il saggio BRET, PC27 risulta essere molto potente in
vivo, poiché è in grado di antagonizzare l’iperalgesia indotta da Bv8 a dosi molto basse (0.0014
nmol nei PKR1-/-
, 0.00014 nmol nei PKR2-/-
), facendo ipotizzare che PC27 sia un profarmaco
che necessita di essere attivato per poter svolgere la sua attività. Comunque, tale interessante
differenza sarà oggetto di studio.
0 30 60 90 120 150 180-75
-50
-25
0
25
Bv8
PC1 10 ng + Bv8
PKR1(-/-)
PC1 100 ng + Bv8
*** ****** ***
%
NT
Time (min)
***
0 30 60 90 120 150 180-75
-50
-25
0
25
Bv8
PC1 10 ng + Bv8
PC1 1 ng + Bv8
PKR2(-/-)
********* *** ***
Time (min)
%
NT
Iperalgesia termica
Figura 11. Curva tempo-risposta della variazione percentuale della soglia nocicettiva dei topi PKR1- e PKR2--/-
sottoposti a stimoli termici dopo somministrazione i.pl. di Bv8 (5 ng).
37
3.1 CARATTERIZZAZIONE FARMACOLOGICA DEL LEAD
COMPOUND PC1
3.1.1 “IN VITRO”
In colture cellulari di cellule CHO stabilmente transfettate con il recettore PKR1:
PC1 (100 nM) blocca l’aumento dei transienti intracellulari di Ca++
Bv8-indotti (1 nM)
(Fig. 12).
Figura 12. PC1 (100 nM) blocca i transienti di Ca++
intracellulare indotti da Bv8 (1 nM) in cellule CHO transfettate
con PKR1.
Il pre-trattamento (-30 min) con PC1 riduce (300 nM) e blocca (1 µM) la fosforilazione
di p44/42 MAPK indotta da Bv8 (1 nM) (Fig. 13).
38
Bas
Bv8
1 n
M
PC1
100
nM
PC1
100
nM +
Bv8
1 n
M
PC1
300
nM
PC1
300
nM +
Bv8
1 n
M
0
100
200
300
400
500 *** ***%
p-M
AP
K e
xp
res
sio
n
Bas
Bv8
1 n
M M
PC1
1
M +
Bv8
1 n
M
PC1
1
0
100
200
300
400
500 ******
% p
-MA
PK
ex
pre
ss
ion
B
Figura 13. Western Blotting: A) le cellule sono pre-trattate con PC1 (100 nM, 300 nM e 1µM, -30’), stimolate con
Bv8 (1 nM per 10’) e quindi processate per l’analisi dell’immunoreattività per p44/p42 MAPK. La coppia di bande
si riferisce alle forme fosforilate di p44/p42 MAPK. B) PC1 antagonizza in maniera dose-dipendente la
fosforilazione di p44/p42 MAPK Bv8-indotta. PC1 100 nM è inefficace nel bloccare la fosforilazione di p44/p42
MAPK Bv8-indotta.
3.1.2 “IN VIVO”
L’azione anti-iperalgesica di PC1 è selettiva per i recettori PKRs; infatti, nel topo WT la
somministrazione locale di PC1 (10-100 ng/zampa) annulla l’iperalgesia termica indotta dalla
somministrazione i.pl di Bv8 (0.5 ng/zampa) ma è totalmente inefficace, sia alla dose di 10 che
alla dose di 100 ng/zampa, nell’antagonizzare l’iperalgesia termica indotta da altri agenti
algogeni, quali bradichinina (BK: 2 µg/zampa) e prostaglandina E2 (PGE2: 1 µg/zampa) e nel
ridurre il tempo di leccamento della zampa indotto dalla somministrazione i.pl. del 2-
metiltioATP (ATP: 100 nmol/zampa). La somministrazione di PC1 alla dose di 10 ng/zampa non
è in grado di ridurre l’iperalgesia indotta dalla somministrazione di capsaicina (Caps: 12
µg/zampa), mentre la dose di 100 ng/zampa di PC1 riduce totalmente l’iperalgesia indotta da
capsaicina, a conferma della già dimostrata cooperazione tra il recettore PKR1 e TRPV1 (Fig.
14) (Negri et al., 2006; Vellani et al., 2006).
39
0
5
10
15
0
25
50
BK PGE2 ATP
PC1 10 PC1 100Saline
CapsBv8Saline
*** ***
Pa
w w
ith
dra
wa
l la
ten
cy
(s
) To
tal p
aw
-lifting
time
(s)
Figura 14. Nei topi, il pretrattamento con PC1 annulla l’iperalgesia termica indotta da Bv8. E’ totalmente inefficace
nell’antagonizzare l’iperalgesia indotta da BK e PGE2 e nel ridurre il tempo di leccamento della zampa indotto dalla
somministrazione ATP, ma ad una dose 10 volte maggiore riduce l’iperalgesia indotta da capsaicina.
3.2 PC1 ANTAGONIZZA L’IPERALGESIA INDOTTA DA BV8: DIVERSE
VIE DI SOMMINISTRAZIONE
3.2.1 Contro Bv8 intraplantare (0.5 ng)
Nel ratto, la somministrazione intraplantare (i.pl.) di 0.5 ng di Bv8 determina iperalgesia
monofasica, limitata alla sola zampa iniettata, della durata di circa 3 ore.
La pre-somministrazione (-5’) di PC1 (1-3-10 ng), nella zampa (i.pl.) ipsilaterale, cioè nello
stesso sito di iniezione di Bv8, antagonizza in maniera dose-dipendente l’iperalgesia meccanica
indotta da Bv8: 1 ng è praticamente inefficace, 3 ng impedisce la comparsa di iperalgesia per i
primi 30 minuti, 10 ng annulla l’iperalgesia (Fig. 15A). Invece, quando iniettate nella zampa
controlaterale sono necessarie dosi circa 600 volte superiori di PC1 per ridurre (2000 ng) o
bloccare totalmente (6000 ng) l’iperalgesia indotta da Bv8 (Fig. 15B).
Anche la pre-somministrazione (-5’) di PC1 per via intratecale (i.t.) antagonizza in maniera dose-
dipendente l’iperalgesia meccanica indotta da Bv8: infatti, la dose di 10 ng ha sempre effetto
massimale, in quanto annulla l’iperalgesia, 3 ng la riduce parzialmente ed 1 ng è inefficace (Fig.
15C).
40
PC1 ipsilaterale (ng i.pl., -5') + Bv8 i.pl.
0 30 60 90 120 150 180-75
-50
-25
0
25
Bv8
PC1 1 + Bv8
PC1 3 + Bv8
PC1 10 + Bv8
****** *** *
***
'''
'''
'''
***
'
Time (min)
%
NT
0 30 60 90 120 150 180-75
-50
-25
0
25
PC1 controlaterale (ng i.pl., -5') + Bv8 i.pl.
Bv8PC1 2000 + Bv8PC1 6000 + Bv8
'
'
****** *** *** ***
Time (min)
N
T%
A B
Figura 15. Effetto della somministrazione locale di PC1 nella zampa ipsilaterale (A) e controlaterale (B)
sull’iperalgesia meccanica indotta dalla somministrazione locale di Bv8 (0.5 ng, i.pl.).
PC1 (ng i.t., -5') + Bv8 i.pl.
0 30 60 90 120 150 180-75
-50
-25
0
25
Bv8
PC1 10 + Bv8
PC1 3 + Bv8
PC1 1 + Bv8
* *** *** ***
''
''
Time (min)
*** **
'''''
C
%
NT
Figura 15. Effetto della somministrazione locale di PC1 (i.t., C) sull’iperalgesia meccanica indotta dalla
somministrazione locale di Bv8 (0.5 ng, i.pl.).
La pre-somministrazione (-15’) sistemica di PC1 sia per via sottocutanea (1.5-5-15 µg/kg ~ 600-
2000-6000 ng/ratto, s.c.; Fig. 15D) che tramite gavaggio orale (5-7.5-15 µg/kg ~ 2000-3000-
6000 ng/ratto; Fig. 15E) antagonizza in maniera dose-dipendente l’iperalgesia meccanica indotta
dalla somministrazione i.pl. di 0,5 ng di Bv8; anche in questo caso la dose più alta (15 µg/kg ~
6000 ng/ratto) ha effetto massimale impedendo la comparsa dell’iperalgesia Bv8-indotta.
41
PC1 (g/kg s.c., -15') + Bv8 i.pl.
0 30 60 90 120 150 180-75
-50
-25
0
25
PC1 15 ( 6000 ng/ratto) + Bv8
PC1 1,5 ( 600 ng/ratto) + Bv8
PC1 5 ( 2000 ng/ratto) + Bv8
Bv8
** *** *** ***
''
***
'''
Time (min)
%
NT
PC1 (g/kg oral gavage, -15') + Bv8 i.pl.
0 30 60 90 120 150 180-75
-50
-25
0
25
PC1 15 ( 6000 ng/ratto) + Bv8
PC1 5 ( 2000 ng/ratto)+ Bv8
Bv8
PC1 7,5 ( 3000 ng/ratto) + Bv8
''''' ''
*** *** *** *** *
Time (min)
%
NT
D E
Figura 15. Effetto della somministrazione sistemica di PC1 (s.c., D; oral gavage, E) sull’iperalgesia meccanica
indotta dalla somministrazione locale di Bv8 (0.5 ng, i.pl.).
La somministrazione locale di PC1 (10 ng), periferica (nella zampa ipsilaterale) e centrale
(intratecale), antagonizza l’iperalgesia indotta dalla somministrazione intraplantare di Bv8.
L’effetto anti-iperalgesico locale di PC1 è dovuto al blocco dei recettori PKR presenti sia sui
nocicettori periferici che a livello del midollo spinale. E’ necessaria una dose più alta di PC1 (15
µg/kg ~ 6000 ng/ratto) quando somministrato per via sistemica (nella zampa controlaterale,
sottocute nel fianco o per gavaggio orale) per bloccare totalmente l’iperalgesia indotta dalla
somministrazione i.pl. di Bv8.
E’ interessante notare che le dosi efficaci per os sono dello stesso ordine di grandezza di quelle
efficaci per via sottocutanea.
3.2.2 Contro Bv8 intratecale (0.5 ng)
La somministrazione i.t. di Bv8 (0.5 ng) induce una caratteristica iperalgesia bifasica della durata
di 6 ore.
La pre-somministrazione locale (-5’; 1-3-10 ng; Fig. 16A) o sistemica (-15’; 5-15 µg/kg ~ 2000-
6000 ng/ratto, s.c.; Fig. 16B) di PC1 antagonizza in maniera dose-dipendente sia il primo che il
secondo picco di iperalgesia meccanica.
42
PC1 (ng i.t., -5') + Bv8 i.t.
0 60 120 180 240 300-75
-50
-25
0
25
Bv8PC1 3 + Bv8
PC1 1 + Bv8PC1 10 + Bv8
*** *** *** ** ***
'
'''
'''
*** *
'''
'''
Time (min)
%
NT
PC1 (g/kg s.c., -15') + Bv8 i.t.
0 60 120 180 240 300-75
-50
-25
0
25
PC1 5 + Bv8
PC1 15 + Bv8
Bv8
****** ***
*** *** ******
''
'' ''
Time (min)
%
NT
A B
Figura 16. Effetto della somministrazione locale (i.t., A) e sistemica (s.c., B) di PC1 sull’iperalgesia meccanica
indotta dalla somministrazione locale di Bv8 (0.5 ng, i.t.).
La pre-somministrazione i.pl. di PC1 alla dose di 10 ng abolisce solo la prima (quando iniettato 5
min prima di Bv8) (Fig. 16C) o solo la seconda fase (quando iniettato 150 min dopo Bv8) (Fig.
16D) dell’iperalgesia meccanica indotta da Bv8 nella zampa iniettata con PC1; l’effetto dura
circa 2 ore. L’iperalgesia della zampa controlaterale non viene antagonizzata.
0 60 120 180 240 300-75
-50
-25
0
25
Bv8
injected paw: PC1 10 + Bv8
PC1 (ng i.pl., -5') + Bv8 i.t.
*** *** *** ***
non injected paw
PC1
Time (min)
%
NT
PC1 (ng i.pl., +150') + Bv8 i.t.
0 60 120 180 240 300-75
-50
-25
0
25
injected paw: PC1 10 + Bv8
Bv8
%
NT
PC1
****** ***
non injected paw
Time (min)
C D
Figura 16. Effetto della somministrazione locale (i.pl. -5’, C; +150’, D) di PC1 sull’iperalgesia meccanica indotta
dalla somministrazione locale di Bv8 (0.5 ng, i.t).
Ciò significa che la somministrazione i.t. di PC1 è in grado di bloccare sia l’effetto diretto che la
sensitizzazione centrale; anche la somministrazione s.c., alla dose di 15 µg/kg, è in grado di
bloccare le due fasi. Dal momento che abbiamo dimostrato che il secondo picco di iperalgesia
dipende da una sensitizzazione centrale (De Felice et al., 2012) possiamo ipotizzare che solo la
dose più alta, quella di 15 µg/kg, sia sufficiente per superare la barriera emato-encefalica (BEE)
e diffondere a livello del midollo spinale. La somministrazione topica della dose bassa di PC1
(10 ng) nella zampa ha effetto soltanto sull’iperalgesia locale; la stessa bassa dose somministrata
150 min dopo Bv8 blocca il secondo picco di iperalgesia perché blocca quello che è uno stato di
ipersensibilizzazione del nocicettore. Questi dati confermano che PC1 antagonizza l’effetto
iperalgesico di Bv8 mediante il blocco dei suoi recettori che può essere ottenuto per applicazione
43
topica sui nocicettori (i.t. o i.pl.) con dosi dell’ordine di 10 ng o per somministrazione sistemica
con dosi 600 volte maggiori.
3.2.3 Contro Bv8 sottocute (200 ng/kg)
La somministrazione sistemica di 200 ng/kg di Bv8 induce la tipica iperalgesia bifasica, tale
iperalgesia è completamente antagonizzata dalla pre-somministrazione intratecale di PC1 (10 ng,
Fig. 17A) e dalla dose sistemica di 15 µg/kg di PC1 pre-somministrata (-15’) per via
sottocutanea (Fig. 17B) o tramite gavaggio orale (Fig. 17C).
PC1 (ng i.t., -5') + Bv8 s.c.
0 60 120 180 240 300 360-75
-50
-25
0
25
Bv8PC1 10 + Bv8
Time (min)
****** *** ***
* *** ** *** *** ***
%
NT
PC1 (g/kg s.c., -15') + Bv8 s.c.
0 60 120 180 240 300 360-75
-50
-25
0
25
Bv8PC1 15 + Bv8
Time (min)
PC1 5 + Bv8
*** *** *** *** *** **** *** ***
%
NT
PC1 (g/kg oral gavage, -15') + Bv8 s.c.
0 60 120 180 240 300 360-75
-50
-25
0
25
Bv8
PC1 15 + Bv8
Time (min)
PC1 5 + Bv8
PC1 7,5 + Bv8
***
'''
*** ****** *** *** ***
''''''
''''''
'''
***
%
NT
A B C
Figura 17. Effetto della somministrazione intratecale (i.t. -5’, A) e sistemica (s.c. e gavaggio orale -15’, B e C) di
PC1 sull’iperalgesia meccanica indotta dalla somministrazione sistemica di Bv8 (200 ng/kg, s.c.).
PC1, alla dose locale di 10 ng i.pl., antagonizza, per circa 2 h, solo il primo (quando iniettato 5
min prima di Bv8) (Fig. 17D) o solo il secondo picco (quando iniettato 150 min dopo Bv8) (Fig.
17E) dell’iperalgesia meccanica indotta dalla somministrazione s.c. di 200 ng/kg di Bv8.
L’iperalgesia della zampa controlaterale non viene antagonizzata.
0 60 120 180 240 300 360-75
-50
-25
0
25
%
NT
PC1 (ng i.pl., -5') + Bv8 s.c.
injected paw: 10 + Bv8 Bv8
*** ******
******
non injected paw
PC1
Time (min)
0 60 120 180 240 300 360-75
-50
-25
0
25PC1 (ng i.pl., +150') + Bv8 s.c.
injected paw: PC1 10 + Bv8 Bv8
non injected paw
PC1
Time (min)
%
NT
D E
Figura 17. Effetto della somministrazione locale (i.pl. -5’, D; +150’, E) di PC1 sull’iperalgesia meccanica indotta
dalla somministrazione sistemica di Bv8 (200 ng/kg, s.c.).
PC1, somministrato direttamente per via centrale o per via sistemica (sia sottocutanea che orale)
antagonizza l’iperalgesia indotta dalla somministrazione sottocutanea di Bv8. Anche contro la
somministrazione di Bv8 s.c. la pre-somministrazione topica della dose bassa di PC1 (10 ng)
44
nella zampa ha effetto soltanto sull’iperalgesia locale; la stessa bassa dose somministrata 150
min dopo Bv8 blocca il secondo picco di iperalgesia perché blocca lo stato di
ipersensibilizzazione del nocicettore.
3.3 LA SOMMINISTRAZIONE SISTEMICA DI PC1 INFLUISCE SULLA
SOGLIA NOCICETTIVA BASALE
Dal momento che la delezione dell’uno o dell’altro dei due recettori (PKR1 e PKR2) riduce la
sensibilità a stimoli dolorosi sia termici che chimici, ho valutato se dosi sistemiche di PC1
abbiano effetto sulla soglia dolorosa di base.
3.3.1 Valutazione della soglia nocicettiva in risposta a stimoli termici
Nei topi WT, la somministrazione di PC1, alla dose di 150 µg/kg s.c., aumenta la soglia
nocicettiva di base quando testata alla temperatura di 48°C (nel range delle temperature rilevate
dal recettore TRPV1) rispetto ai topi trattati con salina; a 52°C non si osservano differenze tra i
trattati con salina o con PC1 (Fig. 18A). I topi PKR1-/-
e PKR2-/-
, quando sottoposti ad uno
stimolo termico di 48°C, mostrano una soglia nocicettiva di base più alta rispetto ai topi WT; alla
temperatura di 52°C non c’è nessuna differenza tra i tre genotipi (Fig. 18B).
0
10
20
48°C 52°C
Temperature
W.T.
W.T.
PKR1-/-
PKR1-/-
PKR2-/-
PKR2-/-
B
**
La
ten
cy
(s
ec
)
0
10
20
48°C 52°C
Temperature
Saline
PC1
PC1Saline
A
**
La
ten
cy
(s
ec
)
Figura 18. Misurazione della nocicezione termica basale tramite Hot-Plate Test nei topi WT trattati con salina o PC1
(A) e nei topi WT, PKR1-/-
e PKR2-/-
(B) alla temperatura di 48°C e 52°C.
Il gruppo di ricerca di cui faccio parte ha già dimostrato che i recettori PKRs ed in particolare il
PKR1 co-localizza e coopera con il recettore canale TRPV1 nei neuroni dei DRGs. PC1, quindi,
antagonizzando il recettore PKR1 annulla la cooperatività positiva tra PKR1 e TRPV1 e riduce
indirettamente la sensibilità di TRPV1 allo stimolo termico.
45
3.3.2 Valutazione della soglia nocicettiva in risposta a stimoli chimici
Capsaicina
Nei topi WT la somministrazione i.pl. di capsaicina (5 nmol) provoca un fastidio intenso, che
porta l’animale al leccamento (‘licking’) della zampa; la pre-somministrazione di PC1, 150
µg/kg s.c., riduce significativamente il licking della zampa indotto dalla capsaicina rispetto ai
topi trattati con salina (Fig. 19A). Nei topi PKRs -/-
la capsaicina induce una risposta
significativamente minore rispetto ai topi WT (Fig. 19B), così come avviene nei topi trattati con
PC1, confermando una cooperazione tra TRPV1 e PKRs.
0
25
50
75
W.T.
PKR1-/- PKR2-/-
B
**L
ick
ing
(s
ec
)
0
25
50
75
Saline
PC1
A
**
Lic
kin
g (
se
c)
Figura 19. Misurazione del tempo di licking della zampa dopo somministrazione i.pl. di capsaicina nei topi WT
trattati con salina o PC1 (A) e nei topi WT, PKR1-/-
e PKR2-/-
(B).
Acido acetico
Nei topi WT la somministrazione intraperitoneale (i.p.) di acido acetico (0.8 %), causa un dolore
viscerale acuto che si manifesta con caratteristici movimenti di contorsione e strisciamento
definiti ‘writhes’. La pre-somministrazione di PC1, 150 µg/kg s.c., nei topi WT riduce
significativamente gli effetti indotti dall’acido acetico rispetto ai topi pre-trattati con salina (Fig.
20A) mimando il comportamento dei topi PKRs -/-
in cui gli episodi di ‘writhes’ sono minori in
numero, intensità e durata rispetto ai topi WT (Fig. 20B).
0
10
20
30
40
50
60
W.T.
PKR1-/-PKR2-/-
B
**
Nu
mb
er
of
wri
the
s
0
10
20
30
40
50
60
Saline
PC1
A
**
Nu
mb
er
of
wri
the
s
Figura 20. Misurazione dei ‘writhes’ indotti dalla somministrazione i.p. di acido acetico nei topi WT trattati con
salina o PC1 (A) e nei topi WT, PKR1-/-
e PKR2-/-
(B).
46
Il recettore canale TRPV1 è attivato oltre che da stimoli termici anche da stimoli chimici, come
la capsaicina ed i protoni (che possono essere prodotti dalla dissociazione di acidi come l’acido
acetico). PC1 è in grado di ridurre gli effetti indotti dalla capsaicina e dall’acido acetico
indirettamente legandosi ai recettori PKRs e annullando la cooperazione positiva con TRPV1.
Olio di mostarda
Lo spennellamento della zampa con olio di mostarda (ligando di TRPA1) (10% in olio minerale)
causa, nei topi WT trattati con salina, la diminuzione della soglia nocicettiva a stimoli termici in
maniera più intensa rispetto ai topi trattati con PC1, 150 µg/kg s.c. (Fig. 21A). Anche nei topi
KO l’abbassamento della soglia nocicettiva indotta dall’olio di mostarda è minore che nei topi
WT (Fig. 21B). In particolare i topi PKR2-/-
sono significativamente meno sensibili anche dei
PKR1-/-
all’iperalgesia termica indotta dall’olio di mostarda, in accordo con la co-localizzazione
e la probabile cooperatività dei recettori PKR2 e TRPA1 (il recettore dell’allile isotiacianato
contenuto nell’olio di mostarda) sui neuroni di medio e largo diametro (Lattanzi et al., in
preparation). PC1 alla dose utilizzata sicuramente blocca non solo il PKR1 ma anche il PKR2
eliminando quindi la cooperazione positiva con entrambi i PKRs.
0
10
20
30
40W.T.
PKR1-/-
PKR2-/-
B
°°
**
***
De
cre
as
e in
%
NT
0
10
20
30
40
Saline
PC1
A
**
De
cre
as
e in
%
NT
Figura 21. Misurazione della soglia nocicettiva termica dopo spennellamento della zampa con di olio di mostarda
nei topi WT trattati con salina o PC1 (A) e nei topi WT, PKR1-/-
e PKR2-/-
(B).
47
3.4 EFFETTI ANTI-IPERALGESICI/ANTI-INFIAMMATORI DI PC1 IN
MODELLI ANIMALI DI DOLORE INFIAMMATORIO
3.4.1 Effetti di PC1 sull’infiammazione indotta dalla somministrazione
intraplantare di carragenina
Nel topo, la somministrazione intraplantare di carragenina produce una reazione infiammatoria
che si manifesta con l’aumento del volume e con la diminuzione della soglia nocicettiva della
zampa iniettata.
L’iperalgesia termica è evidente dopo 30 min dall’iniezione, raggiunge il picco a 3 h e ritorna ai
valori basali dopo 7 h (Fig. 22).
La somministrazione intraplantare di PC1 (10-1000 ng) 90 min dopo la somministrazione di
carragenina, riduce in maniera dose dipendente l’iperalgesia indotta da carragenina (Fig. 22A, C)
ma solo la dose più alta di PC1 (1000 ng) reverte totalmente l’iperalgesia che non si manifesta
più (Fig. 22C). 100 e 1000 ng sono dosi dello stesso ordine di grandezza di quelle necessarie
quando si inietta PC1 nella zampa contro-laterale (Fig. 22C). Quindi l’effetto anti-iperalgesico,
in questo modello di infiammazione, si ottiene solo con dosi sistemiche, suggerendo che dipenda
da un’azione centrale.
La somministrazione di PC1 (10-1000 ng i.pl.) 5 min prima della somministrazione di
carragenina previene lo sviluppo dell’iperalgesia; la durata dell’effetto è dose-dipendente (Fig.
23A).
L’edema della zampa indotto dalla carragenina è ridotto, in maniera dose-dipendente, dal
trattamento topico e sistemico con PC1 (Fig. 22B, D).
Quando iniettato 5 min prima della carragenina alle dosi di 100 e 1000 ng, PC1 riduce in
maniera dose-dipendente anche lo sviluppo dell’edema (Fig. 23B).
48
Figura 22. Effetti della somministrazione locale e sistemica di PC1 (+90’) sull’iperalgesia termica (A, C) e
sull’edema della zampa (B, D) indotti dalla somministrazione intraplantare di carragenina.
Figura 23. Effetti della somministrazione locale di PC1 (-5’) sull’iperalgesia termica (A) e sull’edema della zampa
(B) indotti dalla somministrazione intraplantare di carragenina.
49
I dati ottenuti dimostrano che la somministrazione locale di PC1 a dosi fino a 100 ng riduce solo
parzialmente l’iperalgesia, a differenza della dose di 1000 ng (minima dose sistemica) che blocca
totalmente l’iperalgesia sia quando somministrato localmente nella zampa infiammata sia
quando somministrato nella zampa controlaterale.
3.4.2 Effetti di PC1 sull’infiammazione dell’articolazione del ginocchio indotta
dalla somministrazione di caolino/carragenina
Nel topo, la somministrazione di caolino/carragenina nell’articolazione del ginocchio causa un
aumento dello spessore del ginocchio, la riduzione della percentuale di bilanciamento del peso
corporeo sulla zampa ipsilaterale e riduce significativamente la soglia di latenza della zampa agli
stimoli termici. Gli effetti sono già evidenti 1 h dopo la somministrazione, raggiungono il picco a
2-3 h e sono ancora presenti dopo 6 h.
La somministrazione di PC1 alla dose di 150g/kg, s.c., 45 min e 3 h dopo la somministrazione
di caolino/carragenina riduce significativamente l’edema del ginocchio già dopo la prima
somministrazione di PC1 accelerando il ritorno al normale volume dell’articolazione (Fig 24A).
Inoltre, la somministrazione di PC1 ristabilisce la normale distribuzione simmetrica del peso
corporeo sulle due zampe posteriori per circa 2 h, già dopo 15 min (Fig. 24C) ed impedisce
l’instaurarsi dell’iperalgesia per circa 1 h. L’iperalgesia si manifesta nuovamente a 2 h e, a 3 h
raggiunge la stessa intensità che si evidenzia nei topi infiammati trattati con salina. Una seconda
somministrazione di PC1 (150g/kg, s.c.) blocca nuovamente l’iperalgesia per 1 h, la quale
lentamente riappare, anche se a livelli significativamente inferiori a quelli dei topi controllo
(trattati con salina) (Fig. 24B).
0 60 120 180 240 300 3600.0
0.5
1.0
1.5 saline
PC1
sham
*** *** *** ******
Time (min)
kn
ee
vo
lum
e in
cre
as
e (
mm
)
0 60 120 180 240 300 360-75
-50
-25
0
saline
PC1
Sham
*** ***
***
*** ******
***
Time (min)
%
NT
Infiammazione dell'articolazione del ginocchio
PC1 150 g/kg s.c. (+45', +180')
A B
50
0 60 120 180 240 300 36030
35
40
45
50
saline
PC1
Sham
C
Time (min)
We
igh
t d
istr
ibu
tio
n (
%)
Figura 24. Effetti della somministrazione sistemica di PC1 sull’edema del ginocchio (A), sull’iperalgesia termica
(B) e sulla distribuzione del peso corporeo sulle due zampe posteriori (C) indotti dalla somministrazione di
caolino/carragenina nell’articolazione del ginocchio.
L’iperalgesia indotta dalla carragenina è causata, oltre che dalla sensitizzazione dei nocicettori
primari afferenti, anche da modificazioni della plasticità neuronale nel midollo spinale (Urban
and Gebhart, 1999). L’infiammazione da carragenina, a differenza dell’infiammazione indotta
da CFA, è di tipo breve e può essere definita ‘sterile’ (Rock et al., 2010; Shen et al., 2013),
poiché indotta dalla somministrazione di un polisaccaride, a differenza dell’infiammazione
indotta da CFA la quale è provocata dalla somministrazione di una sospensione in olio minerale
di micobatteri uccisi. I nostri dati indicano che in questo modello di infiammazione ‘sterile’, in
cui probabilmente l’aumento di PK2 locale è limitato, l’effetto di PC1 si esplica centralmente a
livello del midollo spinale poiché è necessaria una dose sistemica, in grado quindi di superare la
BEE, per avere il massimo effetto anti-iperalgesico.
3.4.3 Effetti di PC1 sull’infiammazione indotta dalla somministrazione
intraplantare di CFA in comparazione con l’indometacina
- Dolore
Nel ratto la somministrazione i.pl. di CFA induce infiammazione con un’intensa iperalgesia a
stimoli meccanici, valutata con il Randall-Selitto test, che raggiunge valori massimi a 24h
dall’iniezione. L’indometacina (m.w. 358) è notoriamente uno dei più potenti antiinfiammatori.
Abbiamo perciò paragonato gli effetti di PC1 somministrato s.c. nel ratto alla dose di 150 e 500
g/kg con quelli di una dose canonica di indometacina 5 mg/Kg, s.c.. In acuto, la
somministrazione di PC1 dopo 6 h dal CFA reverte completamente l’iperalgesia meccanica per
circa 2 h, mentre la somministrazione di indometacina riduce l’iperalgesia solo parzialmente
(Fig. 25A). La stessa dose di PC1, somministrata dopo 24 h dal CFA, ha un effetto più lungo: a 3
51
e 4 h dalla somministrazione di PC1 la riduzione dell’iperalgesia è ancora significativa, rispetto
al gruppo trattato sia con indometacina che con salina (Fig. 25B).
6 hours after CFA
0 1 2 3-60
-50
-40
-30
-20
-10
0
PC1
INDO
Saline
******
§§§§§§
Time (h)
%
NT
24 hours after CFA
0 1 2 3 4-60
-50
-40
-30
-20
-10
0
%
NT
PC1
INDO
Saline
*** ***
******
§§§§§§
§
Time (h)
Iperalgesia meccanica
Co, saline Tr, PC1 Tr, Indomethacin Non-inflamed paw
Figura 25. Time-course dell’effetto anti-iperalgesico di PC1 (150 µg/Kg s.c.) e indometacina (5 mg/Kg, s.c.) 6 h e
24 h dopo l’iniezione di CFA. La dose più alta di PC1 (500 g/kg, s.c.) induce effetti comparabili.
Oltre all’effetto anti-iperalgesico acuto valutabile già a 6 h, PC1 riduce il progredire
dell’iperalgesia nelle ore successive così che a 24 h è significativamente inferiore a quello dei
ratti trattati con salina. La seconda somministrazione di PC1 a 24 h dal CFA, contribuisce
ulteriormente a portare la soglia nocicettiva verso valori normali. L’effetto dell’indometacina è
meno intenso e ritardato, infatti, compare solo dopo la seconda somministrazione a 24 h (Fig.
26).
Iperalgesia meccanica
0 6 12 18 24 30 36 42 48-60
-50
-40
-30
-20
-10
0
CFA PC1
INDO
Saline
PC1
INDO
Saline
* ******
******
§§§§
Co, saline
Non-inflamed paw
Tr, Indomethacin
Tr, PC1
Time (h)
%
NT
Figura 26. Time-course dell’effetto anti-iperalgesico indotto dalla somministrazione ripetuta a 6 e 24 h di PC1 (150
µg/Kg, s.c.) e indometacina (5 mg/Kg, s.c.) sull’iperalgesia meccanica indotta dal CFA, nel ratto. La dose più alta di
PC1 (500 g/kg, s.c.) induce effetti comparabili.
52
PC1, quindi, sia in acuto che dopo trattamento ripetuto, si è dimostrato un anti-iperalgesico più
efficace e più potente (70 volte su base molare) dell’indometacina.
Questi risultati suggeriscono che il blocco dei recettori delle prochineticine sui nocicettori
impedisce la propagazione dello stimolo doloroso prodotto direttamente da PK2 e/o dall’azione
sinergica tra PK2 ed altre molecole algogene.
- Edema e permeabilità vascolare
Nel ratto la somministrazione intraplantare di CFA evoca la formazione di edema. Lo sviluppo
dell’edema risulta evidente 6 h dopo l’iniezione del CFA, raggiunge il massimo del volume a 24
h e si riduce significativamente dopo circa una settimana. Il trattamento con PC1 è stato più
efficace rispetto al trattamento con indometacina anche sulla riduzione dell’edema (Fig. 27): nel
gruppo trattato con PC1 il volume della zampa infiammata è minore, rispetto sia al gruppo
trattato con salina che con indometacina già dopo la prima iniezione a 12 h dal CFA. La seconda
iniezione induce un’ulteriore riduzione dell’edema. L’effetto del trattamento con indometacina si
evidenzia solo dopo la seconda iniezione.
0 6 12 18 24 30 36 42 48
0.0
0.5
1.0
1.5
Edema
CFA PC1
INDO
Saline
PC1
INDO
Saline
***
§§§§
Co, saline
Tr, Indomethacin
Tr, PC1
Non-inflamed paw
TIME (h)
Inc
rea
se
in
pa
w v
olu
me
(m
l)
Figura 27. Time-course dell’effetto indotto dalla somministrazione ripetuta a 6 e 24 h di PC1 (150 µg/Kg, s.c.) e
indometacina (5 mg/Kg, s.c.) sull’edema indotto dal CFA. La dose più alta di PC1 (500 g/kg, s.c.) induce effetti
comparabili.
Il saggio del Blue Evans dimostra che l’essudazione indotta dall’infiammazione in corso è
significativamente ridotta da PC1 già a 24 h. L’effetto di indometacina a questo tempo non è
ancora significativo (Fig. 28A). Il risultato è in accordo con la riduzione del volume della zampa.
53
A 48 h dal CFA la formazione di essudato è significativamente ridotta anche dall’indometacina e
gli effetti di PC1 ed indometacina, a questo tempo, non sono significativamente differenti tra
loro. (Fig. 28B)
24 h after CFA
SALINE PC1 INDO0.00
0.05
0.10
0.15
0.20
A
**
°
ns
g
Blu
e E
va
ns
/mg
tis
su
e
SALINE PC1 INDO0.00
0.05
0.10
0.15
0.20
48 h after CFA
B
**
**
ns
g
Blu
e E
va
ns
/mg
tis
su
e
Figura 28. Effetto di PC1 e indometacina sull’essudazione a 24 h (A) e a 48 h (B) dalla somministrazione di CFA.
L’effetto di PC1 sulla riduzione dell’edema e della permeabilità vascolare è dovuto al blocco dei
PKRs presenti sugli endoteli vasali, dove modulano l'angiogenesi (PKR1) e la fenestrazione
(PKR2). Anche se PC1 lega preferenzialmente il PKR1, alle dosi alte qui utilizzate (150 e 500
µg/kg) è in grado di legarsi ai recettori PKR2 presenti sulle cellule endoteliali e probabilmente
ridurre il fenomeno della fenestrazione dei vasi diminuendo di conseguenze il gonfiore della
zampa in maniera più rapida rispetto all’indometacina.
- Infiltrazione granulocitaria
Il saggio della mieloperossidasi (MPO) dimostra che solo la dose più alta di PC1 (500 µg/kg)
induce effetti significativi sull’infiltrazione di granulociti. Sia gli animali trattati con PC1 (500
µg/kg, s.c. a 6 e 24 h dal CFA) e con indometacina (5 mg/kg, s.c. a 6 e 24 h dal CFA) danno
valori significativamente inferiori dei controlli (trattati con salina) al saggio MPO a 48 h
dall’iniezione con CFA. I due trattamenti, però, non danno risultati significativamente differenti
tra di loro (Fig. 29), anche se l’effetto di PC1 è tendenzialmente superiore a quello di
indometacina, ma non raggiunge la significatività statistica.
54
SALINE PC1 INDO0
5000
10000
15000
20000
48 h after CFA
**
*
ns
N°
ne
utr
op
hils
/mg
tis
su
e
Figura 29. Numero dei neutrofili reclutati nel tessuto infiammato a 48 dal CFA, nel ratto.
L’indometacina appartiene alla famiglia dei FANS (Farmaci Anti-infiammatori Non Steroidei);
questi farmaci presentano tre effetti terapeutici principali, che derivano essenzialmente
dall’inibizione della sintesi dei prostanoidi attraverso l’inibizione delle ciclo-ossigenasi
dell’acido arachidonico. L’effetto anti-infiammatorio è dovuto alla diminuzione delle
prostaglandine vasodilatatrici (PGE2, prostaciclina) che porta ad una ridotta vasodilatazione e,
indirettamente, al contenimento dell’edema. La diminuita produzione di prostaglandine riduce la
sensibilizzazione delle terminazioni nervose nocicettive a mediatori dell’infiammazione come
bradichinina e 5-HT. L’effetto dell’indometacina è quindi più lento perché riduce l’iperalgesia
indirettamente, impedendo la produzione delle prostaglandine. Al contrario, PC1 agendo
direttamente sui recettori PKRs dei nocicettori e delle cellule endoteliali riduce l’iperalgesia ed il
gonfiore in maniera più rapida.
Per valutare se ci sia un contributo diretto della PK2 liberata localmente sull’infiltrazione
granulocitaria indotta dal CFA abbiamo analizzato i possibile effetti sul richiamo dei granulociti
in seguito a iniezione intraplantare di Bv8. Bv8 alle dosi di 0.03, 0.1 e 0.5 ng produce un effetto
chemotattico evidente 3 h dopo la somministrazione (Fig. 30).
55
0
500000
1000000
1500000
2000000
2500000
1 h 2 h 3 h
Bv8 (0.5 ng ipl) injected paw
Saline injected paw
4 h 6 h
Curva tempo-risposta
N°
of
ne
utr
op
hils/p
aw
MP
O a
cti
vit
y
0
500000
1000000
1500000
2000000
2500000
3 h after Bv8 injection
0.1
0.5
0.01
0.03
Curva dose-rispostaBv8 (ng i.pl.)
N°
of
ne
utr
op
hils/p
aw
MP
O a
cti
vit
y
Figura 30. Valutazione del richiamo di granulociti nella zampa in seguito a somministrazione i.pl. di Bv8.
PC1 ha un debole effetto antichemotattico sul richiamo dei granulociti (test MPO), sia contro il
CFA che contro Bv8; il suo effetto si evidenzia solo ad alte dosi (500 e 1000 µg/kg), mentre alle
dosi inferiori è inefficace (30 e 200 µg/kg) (Fig. 29 e 31). Sia nel caso di infiammazione da CFA
che in seguito all’iniezione locale di Bv8 (capace di indurre infiammazione neurogena
conseguente alla liberazione di CGRP e SP), l’infiltrazione tissutale dei granulociti è sostenuta
da una pletora di agenti chemotattici il cui effetto non può essere controllato da PC1.
PC1 30 g/kg (-30', +90' s.c.) + Bv8 0.5 ng i.pl.
Bv8 PC1+Bv8+PC10
500000
1000000
1500000
2000000
3 h after Bv8 injection
N°
of
ne
utr
op
hils/p
aw
MP
O a
cti
vit
y
PC1 200 g/kg (-30', +90' s.c.) + Bv8 0.5 ng i.pl.
Bv8 PC1+Bv8+PC10
500000
1000000
1500000
2000000
3 h after Bv8 injection
N°
of
ne
utr
op
hils/p
aw
MP
O a
cti
vit
y
PC1 500 g/kg (-30', +90' s.c.) + Bv8 0.5 ng i.pl.
Bv8 PC1+Bv8+PC10
500000
1000000
1500000
2000000
N°
of
ne
utr
op
hils/p
aw
MP
O a
cti
vit
y
3 h after Bv8 injection
**
PC1 1 mg/kg (-30', +90' s.c.) + Bv8 0.5 ng i.pl.
Bv8 PC1+Bv8+PC10
500000
1000000
1500000
2000000
N°
of
ne
utr
op
hils/p
aw
MP
O a
cti
vit
y
3 h after Bv8 injection
**
Figura 31. Effetti della somministrazione s.c. di PC1 (30, 200, 500, 1000 µg/kg) sul numero dei neutrofili reclutati
nella zampa in seguito a somministrazione i.pl. di Bv8.
56
3.5 EFFETTI DI PC1 NEL MODELLO ANIMALE DI DOLORE
NEUROPATICO INDOTTO DALLA LEGATURA CRONICA DEL NERVO
SCIATICO (CCI)
La legatura del nervo sciatico (CCI) provoca una forte diminuzione della soglia nocicettiva a
stimoli termici (PWL) e tattili (PWT). Nella zampa ipsilaterale, l’iperalgesia termica appare già
dal primo giorno dopo la legatura, raggiunge il massimo valore il terzo giorno e ritorna ai valori
normali circa 40 giorni dopo la legatura. L’allodinia tattile, valutata tramite stimolazione con i
filamenti di Von Frey, appare evidente, nella zampa ipsilaterale, dal giorno 12 dopo la CCI,
raggiunge il massimo livello il giorno 17 e ritorna ai livelli basali dopo circa 40 giorni dalla
legatura. La sensibilità agli stimoli termici e tattili rimane invariata nella zampa controlaterale
(Fig. 32C e D).
Una singola somministrazione di PC1 (30,70, 150 µg/kg, s.c.), il 3° giorno, quando l’iperalgesia
termica è già instaurata, o il 17° giorno dopo l’operazione, quando l’allodinia tattile raggiunge i
massimi livelli, è in grado di ridurre l’iperalgesia termica e l’allodinia tattile indotte dalla CCI.
L’effetto di PC1 è evidente già dopo 30 min, suggerendo un’azione diretta sui nocicettori su cui
sono presenti i PKRs, bloccando, quindi, la trasmissione dello stimolo doloroso. Quest’effetto
anti-iperalgesico dura circa 2 ore, come già dimostrato nel dolore infiammatorio indotto da CFA
o dalla somministrazione dell’agonista Bv8 (Fig. 32A e B).
Somministrazione ripetute di PC1 (150 µg/kg, s.c. 2 volte al giorno), dal giorno 3 al giorno 9,
causano, nella zampa ipsilaterale, una ripresa totale dalla diminuzione della soglia nocicettiva
per circa 9 giorni: l’effetto si manifesta in maniera evidente, già, 2 giorni dopo l’inizio del
trattamento e dura per circa 4 giorni dopo il termine del trattamento; infatti, la soglia nocicettiva
termica è mantenuta ai livelli basali fino al 13° giorno dopo l’operazione. Dal 14° giorno in poi,
l’iperalgesia termica riappare lentamente, ma a livelli significativamente minori rispetto ai topi
CCI trattati con salina. Sorprendentemente, lo stesso schema di trattamento previene lo sviluppo
dell’allodinia tattile, infatti la soglia nocicettiva dei topi CCI trattati con PC1 rimane allo stesso
livello del gruppo sham per l’intero periodo di valutazione (Fig. 32C e D).
57
-30 0 30 60 90 1201501800
5
10
PC1
A
°°°°°
°°° °°
Time (min)
PW
L (
s)
-30 0 30 60 90 1201501800.0
0.5
1.0
PC1
B
°°°°°
°°°
Time (min)
PW
T (
g)
0 5 10 15 200
5
10
40
C
****** ***
**°
**** ° °
*** *** ***
**
******
°**
3 9PC1 Days (after CCI)
PW
L (
s)
0 5 10 15 200.0
0.5
1.0
1.5
40
3 9PC1
D
*** ********
Days (after CCI)
PW
T (
g)
Sham Contralateral paw CCI/Saline
CCI/PC1 150 g/kg CCI/PC1 75 g/kg CCI/PC1 30 g/kg
Figura 32. Effetto anti-iperalgesico di PC1. Una singola somministrazione di PC1 (150 μg/kg, s.c.), riduce per circa
2 ore l’iperalgesia termica (A) e l’allodinia meccanica (B) indotte dalla CCI. Somministrazione sistemiche ripetute
di PC1 (150 µg/kg, s.c. 2 volte al giorno), dal giorno 3 al giorno 9, blocca l’iperalgesia termica indotta da CCI per
circa 2 settimane (C) e previene lo sviluppo dell’allodinia tattile (D).
Dai dati ottenuti in vivo risulta una differente modulazione dell’allodinia e dell’iperalgesia dopo
il termine del trattamento con PC1: mentre l’iperalgesia riappare, l’allodinia non si sviluppa. La
somministrazione di PC1 inizia il 3° giorno dopo la CCI quando l’iperalgesia è già sviluppata ed
ha raggiunto il picco massimo, mentre l’allodinia non è ancora presente; quindi sia le
modificazioni periferiche che centrali che portano allo sviluppo dell’iperalgesia termica sono già
state attivate. Una caratteristica differenza tra iperalgesia ed allodinia è dovuta al fatto che è
necessaria una facilitazione sinaptica delle fibre Aβ non-nocicettive e fibre Anocicettive per
58
indurre allodinia meccanica (Baron et al., 2013; Woolf, 2011). E’ possibile, quindi, ipotizzare
che nel momento in cui PC1 viene somministrato queste modificazioni della plasticità neuronale
nel sistema nervoso centrale che si verificano in seguito a CCI, non siano ancora completate e
che PC1 sia in grado di contrastarle, infatti impedisce lo sviluppo di microgliosi ed astrocitosi a
livello del midollo spinale (v. sez. 3.7).
3.6 EFFETTI DI PC1 SULL’UP-REGOLAZIONE DI PK2
- Infiammazione
La somministrazione di CFA nella zampa produce iperalgesia che correla temporalmente con
l’aumento dei livelli di espressione di PK2 nella zampa infiammata, i quali risultano massimi tra
le 12 e 24 h e rimangono alti fino a 48 h. Il trattamento con PC1 è più efficace rispetto al
trattamento con indometacina anche sulla riduzione dell’up-regolazione di PK2 indotta dal CFA
(Fig. 33A).
SALINE PC1 INDO0
50
100
150
**
*
°
PK
2, c
op
y n
um
be
r/n
g R
NA
SALINE PC1 INDO0
5000
10000
15000
20000**
*
ns
N°
ne
utr
op
hils
/mg
tis
su
e
48 h after CFA
A B
Figura 33. Effetto di PC1 e indometacina sull’up-regolazione di PK2 (A) e sull’infiltrazione granulocitaria (B) a 48
h dalla somministrazione di CFA.
Come già dimostrato, 48 h dopo la somministrazione di CFA, sia il trattamento con PC1 che con
indometacina riducono l’infiltrazione granulocitaria nel tessuto infiammato (Fig. 33B), ma
l’effetto non è significativamente diverso tra loro. Al contrario, PC1 è in grado di ridurre in
maniera significativamente maggiore rispetto all’indometacina, l’up-regolazione di PK2 nella
zampa (Fig. 33A). Quindi, anche se il numero dei granulociti presenti nella zampa è simile tra i
ratti trattati con PC1 ed indometacina, i granulociti che raggiungono il tessuto infiammato nei
ratti pre-trattati con PC1 sono meno carichi di PK2. La minore presenza di PK2, a sua volta,
diminuisce il reclutamento di macrofagi e monociti.
59
- Neuropatia
E’ noto che la CCI del nervo sciatico induce, nel midollo spinale, una precoce attivazione della
microglia ed una seguente attivazione astrocitaria (Vallejo et al., 2010).
Con studi di immunofluorescenza e di RT-PCR abbiamo mostrato che la PK2 è fortemente up-
regolata, 10 giorni dopo la CCI, sia in periferia (nervo e DRG) che a livello centrale (midollo
spinale), in particolare negli astrociti, i quali mostrano, inoltre, un aumento della dimensione
cellulare.
Il trattamento precoce con PC1 (dal 3° al 9° giorno dopo la CCI) è in grado di diminuire
l’aumento di PK2 sia a livello periferico (nervo e DRG), dove la PK2 agisce come
mediatore/modulatore della risposta nocicettiva, che negli astrociti. PC1 non riduce il numero di
cellule GFAP positive, ma riduce il numero degli astrociti ipertrofici. (Fig. 34)
Figura 34. Immagine ad alto ingrandimento (scale bar: 10 µm) della sezione del corno dorsale del midollo spinale
L4-L5 ipsilaterale 10 giorni dopo l’operazione nei topi. Profili positivi a PK2 (verde) ed a GFAP (rosso) in topi
sham, CCI/salina, CCI/PC1. Nuclei marcati con DAPI (blu).
Gli astrociti svolgono un ruolo fondamentale nel mantenimento del dolore neuropatico (Gao et
al., 2010). In vitro, la PK2 induce proliferazione degli astrociti di topo che esprimono PKR1,
agendo come fattore autocrino astrocitario (Koyama et al., 2006). E’ possibile ipotizzare che
l’effetto di PC1 sia dovuto, in parte, a livello periferico in cui agisce riducendo gli input
provenienti dalle fibre primarie afferenti, ma anche ad una modulazione diretta del sistema
60
PK/PKRs a livello spinale come dimostrato dalla capacità di PC1 di bloccare l’iperalgesia
indotta dalla somministrazione i.t. di Bv8 quando somministrato per via sottocutanea (v. sez.
3.3.2).
3.7 EFFETTI SUI COMPORTAMENTI DI ORIGINE CENTRALE INDOTTI
DALLA SOMMINISTRAZIONE SISTEMICA DI PC1
I dati riportati precedentemente nella sezione 3.3 riguardante gli effetti di PC1 sull’iperalgesia
indotta dalla somministrazione i.t. di Bv8 dimostrano che dosi sistemiche sono in grado di
superare la BEE agendo a livello centrale, sicuramente midollare. Per controllare questa ipotesi
ho voluto esaminare se la dose sistemica di PC1 (150 µg/kg), efficace nel trattamento del dolore
infiammatorio e neuropatico, sia in grado di influenzare comportamenti che richiedono il
coinvolgimento di aree cerebrali. Alla luce dei dati secondo cui anche citochine/chemochine
sembrano coinvolte in ansia/depressione, memoria e soprattutto dai dati del gruppo di Zhou che
ha dimostrato che la somministrazione i.c.v. di PK2 aumenta i comportamenti legati all’ansia ed
alla depressione e che la delezione genica di PK2 induce un effetto ansiolotico ed antidepressivo
(Li et al., 2009) ho valutato se la somministrazione di PC1 alla dose di 150 µg/kg s.c. influisca
sul comportamento dei topi tramite i seguenti tests: Y-maze, rotarotd test, marble burying test,
tail suspension test, elevated plus maze.
3.7.1 Memoria spaziale
Il Y Maze Test permette di valutare la “working memory” legata principalmente alle aree
dell’ippocampo, setto e corteccia prefrontale. Il topo viene posto al centro di un labirinto a forma
di Y con braccia chiuse (che formano tra loro un angolo di 120°) ed in fondo alle quali sono
presenti 3 simboli diversi (quadrato, cerchio, triangolo) e ne viene valutata l’attività per 8 minuti.
I roditori tipicamente preferiscono esplorare nuove braccia del labirinto piuttosto che ritornare in
un braccio già visitato alternando l’ingresso nelle braccia in maniera sequenziale (es. ABC,
CAB, BCA e non ABA). Al termine del periodo di valutazione viene calcolata la percentuale di
alternanza degli ingressi sequenziali nelle 3 braccia. I topi WT trattati con salina mostrano
un’alternanza sequenziale delle braccia di circa il 60% così come i topi trattati con PC1 (150
µg/kg s.c.) (Fig. 35).
61
0
20
40
60
80
100
Alt
ern
ati
on
(%
)
Saline PC1
Figura 35. Percentuale di alternanza degli ingressi sequenziali nelle 3 braccia del labirinto dei topi trattati con PC1
o salina.
3.7.2 Attività motoria
Al fine di valutare gli effetti di PC1 sull’attività motoria e sulla coordinazione dei topi è stato
condotto uno studio tramite l’ ‘accelerating rotarod test’. Difficoltà motorie e/o di coordinazione
dell’animale equivalgono ad un minor periodo di tempo trascorso sul cilindro rotante. I topi
trattati con salina e con PC1 (150 µg/kg s.c.) sottoposti al test dopo 30, 60, 90 minuti dalla
somministrazione mostrano un tempo di latenza tra il posizionamento sul cilindro rotante e la
caduta (250-280 s) simile (Fig. 36).
0
50
100
150
200
250
300
La
ten
cy
(s)
Saline
PC1
Time (min)
0 30 60 90
Figura 36. Tempo di latenza dei topi trattati con PC1 o salina al rotarod test
62
3.7.3 Manie ossessive compulsive
Per valutare i possibili effetti indotti da PC1 in modelli animali di comportamento che mimano
gli stati ossessivo-compulsivi e le stereotipie nell’uomo, i topi sono stati sottoposti al marble
burying test. Il test consiste nel porre l’animale all’interno di un ‘open field’ in cui sono presenti
3 file di biglie allineate ed equidistanti tra loro. I parametri presi in considerazione sono: il tempo
di latenza che intercorre tra l’inizio del test ed il primo scavo (‘latency to dig’), il numero totale
di scavi (‘digging’) ed il numero di biglie sotterrate (‘buried marbles’). Lo sviluppo di uno stato
ossessivo-compulsivo è osservabile dalla diminuzione del tempo di latenza che intercorre tra
l’inizio del test ed il primo scavo, dall’aumento del numero di biglie sotterrate e dall’aumento del
numero di scavi effettuati dall’animale durante il test.
Nei topi WT, la somministrazione di PC1 150 (µg/kg s.c.) determina una risposta al test simile ai
topi trattati con salina. Infatti, i topi trattati con PC1 mostrano un tempo di latenza al primo
scavo di circa 100 s, 6 biglie sotterrate ed un numero di scavi totali di circa 350, valori
paragonabili a quelli ottenuti dai topi trattati con salina (Fig. 37).
63
Saline PC10
50
100
150
La
ten
cy
to
dig
(s
)
Saline PC10
2
4
6
8
10
Nu
mb
er
of
bu
rie
d m
arb
les
Saline PC10
100
200
300
400
500
Dig
gin
g
A
B
C
Figura 37. Valutazione del tempo di latenza al primo scavo (A), del numero di biglie sotterrate (B) e del numero
totale di scavi (C) dei topi trattati con PC1 o salina e sottoposti al marble burying test.
64
3.7.4 Ansia e Depressione
Nei topi trattati con salina, l’elevated plus maze provoca un comportamento definito
“tigmotassia”, che porta l’animale ad evitare aree aperte del labirinto (‘open-arm’) limitandosi a
movimenti in spazi chiusi o ai bordi di uno spazio limitato. Questo comportamento è ritenuto
riconducibile a quello che è lo stato ansioso nell’uomo.
La somministrazione di PC1, 150 µg/kg s.c., riduce significativamente lo stato ansioso portando
l’animale a preferire movimenti sulle braccia aperte del labirinto rispetto ai topi trattati con
salina (Fig. 38A).
Il Tail Suspension Test (TST) induce, nei topi WT trattati con salina, uno stato di immobilità
durante il test. Questo comportamento è relazionato allo stato depressivo nell’uomo. La
somministrazione di PC1 alla dose di 150 µg/kg s.c., riduce significativamente lo stato
depressivo poiché gli animali tendono a rimanere meno tempo in posizione immobile, durante il
test, rispetto ai topi trattati con salina (Fig. 38B).
0
5
10
15
20
25 *
% o
pe
n-a
rm c
ho
ice
Saline
PC1
0
50
100
150
200
250
Du
rati
on
of
imm
ob
ilit
y (
s)
*
Saline
PC1
AnsiaA
DepressioneB
Figura 38. Valutazione dello stato ansioso, tramite percentuale di scelta delle braccia aperte del labirinto (elevated
plus maze) da parte degli animali trattati con salina o PC1 (A). Valutazione dello stato depressivo, tramite tail
suspension test, nei topi topi WT trattati con salina o PC1 (B).
Essendo stato dimostrato che i PKRs sono presente in molte delle aree coinvolte nei disturbi
sonno/veglia, ansia e depressione (Cheng et al., 2006) ed avendo la disponibilità, nel nostro
laboratorio, di topi transgenici mancanti del PKR1 o del PKR2 abbiamo utilizzato questi topi per
cercare di capire quale dei due recettori sia maggiormente implicato nella regolazione di questi
comportamenti. I topi PKR1-/-
sottoposti al TST mostrano un tempo di immobilità minore, così
come i topi trattati con PC1, rispetto ai WT; i topi PKR2-/-
rispondono in maniera simile ai topi
WT (Fig. 39A).
65
Non risulta alcuna differenza nella risposta al test tra maschi e femmine dello stesso genotipo,
confermando che la differenza del tempo di immobilità al TST tra topi WT e PKR1-/-
non è
relazionata ad una differenza di genere (Fig. 39B).
Prendendo in esame la variante legata alla differenza di età, si osserva che i topi giovani (< 2
mesi) mostrano un tempo di immobilità minore al TST rispetto ai topi adulti (2-8 mesi) ed
anziani (>8 mesi) sia nel gruppo dei topi WT che nel gruppo dei topi PKR1-/-
(Fig. 39C). Non è
stata possibile valutare una differenza statistica nel gruppo dei topi PKR2-/-
, poiché non è a
disposizione un sufficiente numero di topi PKR2-/-
dovuto al fatto che i topi PKR2-/-
raggiungono
difficilmente l’età adulta e spesso muoiono intono al venticinquesimo giorno di vita.
0
50
100
150
200
250***
WT
PKR1 -/-
PKR2 -/-
A
Du
rati
on
of
imm
ob
ilit
y (
s)
0
50
100
150
200
250
WT PKR1-/-
PKR2-/-
Male Female
****
B
Du
rati
on
of
imm
ob
ilit
y (
s)
0
50
100
150
200
250YOUNG
ADULT
AGED
WT PKR1-/-
PKR2-/-
**
***
**
C
Du
rati
on
of
imm
ob
ilit
y (
s)
Figura 39. Valutazione dello stato depressivo, tramite tail suspension test, nei topi topi WT, PKR1
-/- e PKR2
-/- (A)
in relazione al sesso (B) ed all’età (C).
L’espressione di PKR1 e PKR2 è stata rilevata in diverse aree cerebrali. In particolare, l’mRNA
di PKR1 è espresso in poche regioni e con bassa densità, mentre l’mRNA di PKR2 è
ampiamente espresso in tutto il cervello di topo adulto. Entrambi gli mRNA dei recettori sono
66
stati rilevati nel ventricolo olfattivo e nella zona subventricolare del ventricolo laterale. L’mRNA
di PKR1 è stato individuato in diverse regioni olfattive, nelle isole di Calleja, nella zona incerta,
nel nucleo motorio dorsale del vago ed in alcune aree ippocampali (CA3, giro dentato,
presubiculum e subiculum) deputate alla regolazione dell’umore. PKR2 è praticamente espresso
in tutto il cervello, tra cui talamo e ipotalamo, setto e ippocampo, abenula laterale, amigdala,
tronco encefalico e organi circumventricolari (Cheng et al., 2006). La diffusa espressione delle
prochineticine e dei loro recettori a livello del sistema nervoso centrale, porta queste molecole a
regolare una vasta gamma di funzioni, tra cui il ritmo circadiano, la neurogenesi dei bulbi
olfattori e il comportamento ingestivo (fame e sete).
Dai dati ottenuti sulla valutazione dei possibile effetti comportamentali di origine centrale
provocati dalla somministrazione della dose sistemica di PC1 è emerso che PC1 non provoca
alcuna alterazione della memoria e dell’attività motoria, non influenza comportamentali legati a
manie ossessivo-compulsive e stereotipie, ma induce un effetto ansiolitico ed antidepressivo nei
topi WT. PC1, quindi, a conferma dei dati ottenuti su modelli di dolore che hanno una
componente centrale, è in grado di superare la BEE ed agire anche nei centri sopraspinali. Gli
effetti di PC1 sui comportamenti legati ad ansia e depressione possono essere collegati al ruolo
del sistema PK2/PKRs nel SCN. In particolare, è possibile che si verifichi un controllo tonico di
PK2 su alcune delle funzioni legate al ritmo circadiano, come ansia e depressione.
Inoltre, anche la delezione genica del recettore PKR1 porta i topi ad assumere un comportamento
meno depresso e meno ansioso a differenza dei topi WT e PKR2-/-
, indicando un ruolo
importante del recettore PKR1 nella regolazione dei disturbi dell’umore.
3.8 POSSIBILI EFFETTI COLLATERALI
Gli studi condotti finora in diversi modelli animali sugli effetti di PC1, fino a dosi di 1 mg/kg,
non hanno evidenziato alcun effetto collaterale dannoso per l’organismo anche se è possibile
osservare una sedazione che già è visibile dopo somministrazione della dose di 150 µg/kg.
Dall’osservazione macroscopica e dalla valutazione anatomica dei topi trattati con PC1, abbiamo
constatato che i topi sono in grado di crescere normalmente; inoltre l’esame autoptico
macroscopico non mostra anomalie degli organi interni. Recentemente, Nebigil e colleghi hanno
riportato un ruolo fondamentale del recettore PKR1 nella fisiologia e fisiopatologia del sistema
cardiovascolare. Il ruolo del signaling prodotto da PKR1 non è soltanto ristretto all’angiogenesi
dei capillari endoteliali, ma anche alla sopravvivenza dei cardiomiociti. PK2, tramite PKR1
induce la formazione di vasi in colture di cellule endoteliali cardiache in maniera indipendente
dall’up-regolazione di VEGF (‘vascular endothelial growth factor’). Inoltre, il signaling
67
PK2/PKR1 attiva Akt che è in grado di proteggere i cardiomiociti dallo stress ossidativo ed, in
un modello murino, protegge il miocardio dall’infarto (Urayama et al., 2007; 2009). E’ stato
dimostrato che topi mancanti del recettore PKR1 sviluppano patologie cardiache e renali a causa
di deficit del signaling di sopravvivenza cellulare e disfunzioni mitocondriali (Boulberdaa et al.,
2011). Le disfunzioni legate alla mancanza genetica del recettore PKR1, chiaramente, non
possono essere paragonate agli effetti causati dal blocco temporaneo del recettore prodotto
dall’antagonista.
4. CONCLUSIONI
Tutti i dati presentati dimostrano che PC1 è un anti-iperalgesico ed anti-infiammatorio che
merita di essere utilizzato per il trattamento non solo del dolore, ma anche dei processi
infiammatori/neuroinfiammatori che sottendono al dolore. Se questo effetti saranno confermati
anche nell’uomo, il blocco del sistema PKs/PKRs, come abbiamo dimostrato, costituirà una
strategia promettente per un approccio terapeutico innovativo. Inoltre, l’effetto ansiolitico ed
antidepressivo è un valore aggiunto di grande interesse per un farmaco deputato a controllare il
dolore.
68
5. MATERIALI E METODI
MODELLI CELLULARI E RELATIVA TECNICA DI COLTURA
La linea cellulare utilizzata per gli esperimenti è quella delle cellule CHO (Chinese Hamster
Ovary cells) stabilmente transfettate con i recettori PKR1 e PKR2 delle prochineticine (gentile
concessione Dr Hui Tian, Tularik, San Francisco, U.S.A.)
Le cellule CHO sono state coltivate in terreno DMEM–F12 addizionato con 10% di siero fetale
bovino (FCS), 100 U/ml penicillina e 100 μg/ml streptomicina e 1% di L-glutamina. Il mezzo di
coltura è stato cambiato ogni due giorni allo scopo di evitare una acidificazione eccessiva.
I cloni stabili CHO esprimenti i recettori PKR1 e PKR2 sono stati mantenuti in presenza di 0.2
mg/ml di G418 solfato (geneticina) al fine di mantenere in selezione le cellule esprimenti i
recettori.
Raggiunta la confluenza, le cellule sono state staccate dalle fiasche utilizzando una soluzione
1mM di EDTA diluito in PBS. Le cellule sono state coltivate in fiasche da 75 cm2 e mantenute
in incubatore Haereus a 37°C, in atmosfera satura di umidità e in presenza di 5% CO2.
BINDING RECETTORIALE
L’affinità dell’antagonista non peptidico (PC1) per i recettori PKRs è stata valutata mediante
tecniche di binding recettoriale eseguite su preparazioni di membrane di cellule CHO
stabilmente transfettate con i geni di PKR1 o PKR2.
Preparazione delle membrane: colonie di cellule CHO a confluenza (circa 20 milioni di cellule)
vengono staccate dalle flasks di coltura con PBS/EDTA e centrifugate. Il pellet risultante viene
omogenato in 10 ml di tampone ghiacciato (Tris-HCL, pH 7.4) con omogeneizzatore Politron PT
3000 a 16000 rpm per 2 minuti. L’omogenato cosi’ ottenuto viene quindi centrifugato a 40.000 g
per 10 minuti a 4°C in ultracentrifuga CENTRIKON-KONTRON. I precipitati risultanti vengono
risospesi in 10 ml di tampone Tris-HCL 50 mM pH 7.4 e conservati a -80° C fino all’utilizzo.la
concentrazione delle proteina viene determinata mediante BCA Protein Assay Kit (Pierce,
Rockfort, IL, U.S.A.).
Binding: Le membrane (alla concentrazione proteica di 20μg per PKR1 e 40 μg per PKR2)
vengono incubate con 125I-MIT 4 pM e con concentrazioni crescenti della sostanza in esame in
un volume finale di 1 ml per 90’ a 37° C. Al termine dell’incubazione i campioni vengono filtrati
mediante Cell-Harvester MK.48 (BRANDEL) su appositi filtri in fibra di vetro Brandel (O FPB-
48 WHATMAN GF/B FIRED), e lavati tre volte con tampone ghiacciato Tris-HCL 50 mM. La
radioattività rimasta nei filtri saggiata contata mediante contatore γ-counter (Packard, Cobra II
69
auto-gamma). Il legame non specifico (NSB, Non Specific Bound) è rappresentato dalla
radioattività residua in presenza di un eccesso di Bv8 (1μM).
Tutti i campioni vengono eseguiti in triplicato ed ogni esperimento ripetuto più volte. Le curve di
spiazzamento e i valori di IC50 vengono calcolati per mezzo del programma PRISM (GraphPad
Software, San Diego, CA, U.S.A.).
BRET (Bioluminescence Resonance Energy Transfer)
L’utilizzo della fotoproteina Renilla come reporter di interazioni proteina-proteina è stato
precedentemente descritto (Molinari et al., 2008). Il saggio BRET è stato condotto su membrane
preparate da cellule SHSY5Y di neuroblastoma esprimenti i recettori PKR1 e PKR2
luminescenti. Il recettore è legato alla luciferasi di Renilla (receptor-Rluc) ed alla proteina Gγ
fluorescente. Per la determinazione dell’interazione PKR1/- o PKR2/Gγ le membrane (5 µg di
proteine) sono state incubate in PBS contenente celenterazina (2-5 µM) e differenti
concentrazioni di Bv8 (10-12
- 10-6
) per 10 min prima di procedere alla lettura della luminescenza.
Per la lettura della luminescenza sono state utilizzate piastra da 96 pozzetti ed un luminometro
(VICTOR light, PerkinElmer) equipaggiato con due iniettori automatici indipendenti. I campioni
sono stati letti utilizzando due filtri di bande differenti (blu, 450/20 nm e verde 510/20 nm, 3rd
Millenium, Omega Optical). Per misurare l’effetto degli antagonisti PKR sull’attivazione della
proteina G accoppiata ai PKRs indotta da Bv8, sono state fatte curve concentrazione-risposta
degli antagonisti in presenza di 5 nM di Bv8.
Il rapporto RET è stato determinato come rapporto tra l’emissione ad alta energia (donatore) e
bassa energia (accettore), registrato sequenzialmente con differenti filtri. Utilizzando la
celenterazina, i valori della luce sono stati registrati nella finestra tra 450/20 nm e 510/20 nm e
calcolati come:
RET ratio = (CPS 510 × T450/CPS 450 × T510) − 1
dove CPS indica il numero dei fotoni per secondo registrati attraverso i filtri verde e blu e T è la
trasmittanza relativa dei filtri, come riportato dal produttore (0.86 e 0.77, rispettivamente).
70
MISURAZIONE DELLA VARIAZIONE DELLA CONCENTRAZIONE DI CALCIO
CITOPLASMATICO
Le variazioni della concentrazione di calcio citoplasmatico sono state misurate mediante
microscopia a fluorescenza, utilizzando come indicatore di fluorescenza il fura-2/AM (Molecular
Probes), derivato benzofuranico in grado di legare calcio con un rapporto stechiometrico 1:1.
Per verificare la concentrazione intracellulare di Ca2+, 25 x 104/ml cellule sono state incubate
per 50 minuti a temperatura ambiente con 2,5 M fura-2/AM in soluzione salina equilibrata
contenente NaCl 140 mM, KCl 5 mm, 2,5 mm, CaCl2 1 mM, MgCl2 10 mm, 10 mm D-
glucosio, 10 mM HEPES/NaOH (pH 7,4). Dopo un lavaggio per eliminare il fura extracellulare,
le piastre di coltura contenenti le cellule sono state montate su un microscopio invertito e
illuminato con una lampada allo xeno. Sono state utilizzate le lunghezze d’onda di eccitazione di
340 e 380 nm e di emissione di 510 nm. La concentrazione di calcio intracellulare è stata
ricavata dal rapporto tra le intensità di fluorescenza del fura-2, a 340 nm e 380 nm. recuperate
con un monocromatore (Till Photonics, Polychrome II, Germania) e registrate sul disco rigido di
un computer PC.
WESTERN BLOTTING E SDS-PAGE (SODIUM DODECYL SULPHATE-
POLYACRYLAMIDE GEL ECLECTROPHORESIS)
Le cellule CHO-R1, stabilmente transfettate con il recettore PKR1 umano, sono state utilizzate
nel saggio funzionale del Western Blotting, per valutare la capacità di PC1, molecola antagonista
dei recettori PKRs, di bloccare la fosforilazione delle MAPK indotta da Bv8/PK2.
Per il saggio funzionale del Western Blotting, le cellule CHO-R1, sono piastrate in dish per
colture da 6 pozzetti (Nunc), alla densità di 4 X 104 cellule/pozzetto. Una volta raggiunta la
subconfluenza, le colture di cellule CHO-R1 vengono mantenute 16 ore a 37ºC in assenza di
FBS (Fetal Bovine Serum), in modo da ridurre al minimo l’attività basale di p44/42 MAPK. Il
giorno dell’esperimento, dopo aver effettuato gli stimoli, le cellule CHO-R1 vengono prime
trattate con il buffer di lisi (10 M TRIS HCl pH 7.4; 150 mM NaCl; 1% TRITON; 1 mM EDTA;
10% glicerolo; inibitori delle proteasi: - 1 mM PMSF; -10 µg/ml leupeptina; -10 µg/ml
aprotinina; inibitori delle fosfatasi: -1 mM NaV; - 50 mM NaF; - 25 mM β-glicerofosfato) e, poi,
lasciate in ghiaccio per 10’. In seguito si centrifugano per 10’ a 14000 rpm. Gli estratti proteici,
contenuti nel sopranatante, vengono raccolti
e conservati a –20°C.
Un’aliquota dei campioni è usata per la determinazione del contenuto proteico. La
concentrazione proteica viene determinata mediante Saggio Clorimetrico di Bradford e l’utilizzo
71
del colorante Protein-Assay (BIORAD). La lettura della concentrazione delle proteine è
effettuata a 595 nm tramite spettrofotometro (GeneQuant pro), precedentemente calibrato con
una curva standard allestita con una soluzione di albumina a concentrazione nota.
Le proteine estratte dalle cellule CHO-R1 sono separate mediante SDS-PAGE, su gel di
poliacrilammide al 10%. Di ogni campione sono stati caricati 40 µg. La separazione
elettroforetica che viene eseguita utilizzando un apparato elettroforetico (BioRad Mini Protean II
Cell, Hercules, USA), è condotta a 50mA per superare lo stacking e in seguito a 70mA per circa
3 ore, utilizzando come soluzione conduttrice il Running Buffer 1X (1g Tris; 14g Glicina; SDS
1% in un litro di acqua distillata). Al termine della corsa le proteine del gel sono trasferite su una
membrana di nitrocellulosa Hybond C (Amershan Pharmacia) in un sistema di trasferimento
contenente Transfer Buffer 1X (1g tris; 14,4g di Glicina; 200ml di metanolo in un litro di acqua
distillata). Il trasferimento viene effettuato per un ora a 120mV, usando un sistema semidry
electroblotting (BioRad, Transblot SD). Dopo il trasferimento la membrana è immersa nel
colorante Rosso Ponceau allo scopo di verificare l’esatto caricamento e trasferimento delle
proteine. La membrana è quindi saturata per un ora in soluzione di Blottaggio (1% di latte; 1% di
BSA in TBS-Tween allo 0,005%) e incubata per tutta la notte con l’anticorpo policlonale anti-
pERK1/2, 1:1000 (Cell Signaling). Successivamente vengono effettuati 3 lavaggi di 15’ con
TBS-Tween allo 0,005% e quindi si procede all’incubazione con la "perossidasi di rafano"
coniugata con l’opportuno anticorpo secondario diluito in soluzione di Blottaggio per un ora. La
membrana è nuovamente sottoposta a 3 lavaggi per 15’ con TBS-Tween allo 0,005%. Le
proteine immunoreattive sono poi rilevate tramite chemioluminiscenza trattando la membrana
per 1’ con ECL (Amersham, Arlington Heigths, IL). La membrana è quindi trasferita insieme
alla lastra di sviluppo nell’apposita cassetta. Dopo un tempo di esposizione variabile la lastra
viene sviluppata. Le immagini delle lastre sono poi acquisite al computer tramite scanner in
formato TIF ed elaborate tramite il programma Scion Image (NIH). Il programma è in grado di
convertire l’intensità della banda in valori numerici.
ANIMALI
Per tutti gli esperimenti sono stati utilizzati topi adulti CD1 Wild Type (WT), topi C57BL/6
PKR1 e PKR2 knockout maschi (generati dalla Lexicon Genetics, The Woodlands) del peso di
30-35 g e ratti maschi Sprague Dawley del peso di 300-350g. Gli animali sono stati stabulati in
condizioni standard di luce (illuminazione dalle 7:00 alle 19:00), di temperatura (22 ± 1°C) e di
umidita’ relativa (60% ± 10%), con cibo ed acqua “ad libitum”.
72
Tutte le procedure sperimentali utilizzate in questo lavoro sono in accordo con le direttive del
Ministero Italiano Della Salute (D.L.116/92).
SOMMINISTRAZIONI DELLE SOSTANZE
Somministrazione intraplantare (i.pl.): Bv8 è stato iniettato nella zampa posteriore dei ratti
utilizzando una microsiringa collegata ad un ago da 30-gauge. Bv8 è stato disciolto in soluzione
salina (0.9% NaCl) ed iniettato alle dosi di 0.5 e 0.03 ng/ratto nella regione plantare della zampa
(40 µl). Ai ratti controllo è stata somministrata la stessa quantità di soluzione salina. PC1,
disciolto in soluzione salina, è stato iniettato, in base allo schema sperimentale, 5’ prima di Bv8
o 90’ e 150’ dopo Bv8. L’olio di mostarda (10% in olio minerale) e la capsaicina (5 nmol) sono
stati iniettati in un volume di 20 µl nella porzione plantare della zampa posteriore del topo.
Somministrazione intratecale (i.t.): Nei ratti anestetizzati con chetamina-xilazina (60+10 mg/kg,
i.p.) è stato inserito un catetere cronico lombare intratecale secondo la procedura di Yaksh &
Rudy (1976) modificata. In breve, è stata fatta un’incisione a livello della membrana atlanto-
occipitale ed è stato inserito un catetere 8.5-cm PE10 nello spazio intratecale in modo tale che la
fine del catetere raggiungesse la porzione lombare del midollo spinale. Bv8, disciolto in
soluzione salina è stato iniettato alla dose di 0.5 ng. Ogni ratto ha ricevuto 5 µl di Bv8 o salina o
PC1 seguito da 10 µl di soluzione salina. PC1 è stato iniettato per via i.t. 5’ prima di Bv8.
Somministrazione sistemica (s.c.): Bv8 disciolto in souzione salina è stato iniettato alla dose di
200 ng/kg in un volume di 2 ml/kg tramite somministrazione sottocutanea nel fianco
dell’animale. Ai ratti controllo è stata somministrata la stessa quantità di soluzione salina. PC1,
disciolto in soluzione salina, è stato iniettato a diverse dosi, in base allo schema sperimentale, in
un volume di 2 ml/kg nel ratto e 5 ml/kg nel topo.
Somministrazione intraperitoneale (i.p.): Una soluzione di acido acetico allo 0.8% è stata
somministrata per via intraperitoneale nei topi in un volume di 5 ml/kg.
Gavaggio orale: PC1, disciolto in soluzione salina, è stato iniettato a diverse dosi, in base allo
schema sperimentale, in un volume di 7 ml/ratto, 15’ prima di Bv8, tramite un catetere flessibile
collegato alla siringa.
73
MODELLI ANIMALI DI DOLORE INFIAMMATORIO
Infiammazione della zampa indotta da carragenina: l’infiammazione della zampa posteriore
dell’animale è stata indotta dalla somministrazione intraplantare di 25 µl di una soluzione al 2%
di λ-carragenina.
Infiammazione del ginocchio indotta da caolino/carragenina: l’infiammazione del ginocchio è
stata prodotta secondo il metodo di Telleria-Diaz et al., 2010. E’ stato inserito, delicatamente,
attraverso il legamento patellare del topo, un ago da 26-gauge attraverso cui sono stati
somministrati 40 µl di una sospensione di caolino al 4% nella cavità articolare. Dopo 15 min di
flessione ed estensione dell’articolazione, sono stati somministrati 40 µl di una soluzione al 2%
di λ-carragenina e sono stati ripetuti i movimenti di flessione ed estensione del ginocchio per
ulteriori 5 min.
Infiammazione cronica da Adiuvante Completo di Freund (CFA): l’infiammazione della zampa
posteriore dell’animale è stata indotta dalla somministrazione intraplantare di Audiuvante
Completo di Freund (CFA, 0.5 mg/ml di micobatteri mycobacterium tubercolosis o m. butyricum
in emulsione 1:1 di salina e olio minerale) in un volume di 100 μl nel ratto.
MODELLO ANIMALE DI DOLORE NEUROPATICO
La legatura cronica del nervo sciatico (CCI) è stata eseguita utilizzando il metodo di Bennett e
Xie (Bennett GJ, 1988). I topi sono stati anestetizzati con chetamina/xilazine (60+10 mg/kg, i.p.)
ed è stata eseguita un’incisione al di sotto dell’osso iliaco, parallela al nervo sciatico. Il nervo
sciatico destro è stato esposto e separato dal tessuto connettivo circostante. Sono state fatte tre
legature blande distanziate tra loro di 1.0-1.5 mm, utilizzando filo di seta 4-0, attorno al nervo
sciatico, quindi, il muscolo e la pelle sono stati suturati. Nei topi sham è stata eseguita la stessa
procedura eccetto che la legatura del nervo.
TEST PER LA VALUTAZIONE DEL DOLORE
Permettono la valutazione della soglia nocicettiva di animali sottoposti ad uno stimolo algogeno.
Per la valutazione della soglia nocicettiva, è fondamentale ottenere delle risposte costanti; a tal
fine, nei giorni precedenti l’esperimento, gli animali devono essere abituati all’ambiente dove si
effettua il test e in alcuni casi al test stesso, per evitare alterazioni delle risposte dovute allo
stress. Il giorno dell’esperimento il test viene effettuato due volte, a distanza di 30 minuti, prima
della somministrazione della sostanza e la media dei due valori rappresenta la soglia nocicettiva
di base (NTb). La variazione di tale parametro, indotta dalla somministrazione del composto in
74
studio, viene seguita nel tempo ad intervalli stabiliti. Il test viene condotto su entrambe le zampe
in modo alternato e il valore registrato è la media di tre misure consecutive (NTts).
TEST PER LA VALUTAZIONE DELLA IPERALGESIA TERMICA
PAW-IMMERSION: in questo test le zampe posteriori del topo, in modo alternato, vengono
immerse in un bagnetto termostatato alla temperatura di 48° C e mediante l’utilizzo di un timer,
registrato il tempo di latenza tra l’immersione della zampa e la risposta dell’animale (retrazione
della zampa).
HOT-PLATE: per effettuare questo test l’animale viene posto all’interno di un cilindro di
plexiglass che poggia su una superficie metallica termostatata alla temperatura di 48 o 52 °C.
Contemporaneamente all’immissione dell’animale sulla piastra calda viene premuto un pulsante
che attiva un timer con il quale viene registrato il tempo di latenza tra l’applicazione dello
stimolo termico e la risposta da parte dell’animale (leccamento o scuotimento delle zampe
posteriori; tentativo dell’animale di saltare fuori dal contenitore).
TEST PER LA VALUTAZIONE DELLA IPERALGESIA MECCANICA
PAW-PRESSURE: lo strumento utilizzato, Analgesy Meter (secondo Randall-Selitto) permette
di esercitare sulla zampa dell’animale una pressione, mediante la punta smussata di un cono, che
aumenta a velocità costante (es. 16 grammi per sec) e che viene continuamente monitorata grazie
ad un puntatore che si muove su una scala graduata. Non appena l’animale avverte dolore, sposta
la zampa oppure manifesta segni di insofferenza (agitazione o squittio); a questo punto
l’operatore è in grado di registrare il valore della pressione a cui l’animale reagisce allo stimolo.
Il test viene condotto su entrambe le zampe, trattata e controlaterale, secondo uno schema ben
preciso: zampa destra-sinistra-sinistra-destra-destra-sinistra e il valore registrato è la media di
questi tre valori.
TEST PER LA VALUTAZIONE DELLA ALLODINIA TATTILE
VON-FREY: In questo test, gli animali vengono posti in recinti di plexiglass su una grata
metallica. Come stimolo tattile vengono utilizzati una serie di filamenti di nylon di diametro
crescente, a cui corrisponde una scala di forza espressa in grammi (da 0.07 a 6 g per i topi e da
1,56 a 15,0 g per i ratti). I filamenti vengono applicati, uno per volta, perpendicolarmente alla
superficie della zampa posteriore o sulla fronte dell’animale per 7 secondi e la soglia nocicettiva
determinata secondo il metodo “up and down” descritto da Dixon (Dixon et al., 1980).
75
In tutti i test di tipo meccanico e termico l’effetto della sostanza in esame è stato calcolato come
variazione percentuale nella soglia nocicettiva rispetto alla soglia di base (%NT), secondo la
seguente formula:
%NT = (NTts – NTb) / NTb X100
dove: NTts indica la soglia nocicettiva dopo il trattamento ed è stato valutato ad intervalli di
tempo regolari fino al termine dell’effetto della sostanza testata.
TEST PER LA VALUTAZIONE DELLA SOGLIA NOCICETTIVA IN SEGUITO A STIMOLI
CHIMICI
PAW-LICKING: La capsaicina (5 nmol) è stata somministrata nella zona plantare della zampa
posterior dei topi ed è stato valutato il numero di ‘leccamenti’ della zampa per 10 minuti dalla
somministrazione.
WRITHING: Una soluzione di acido acetico allo 0.8% è stata somministrata per via
intraperitoneale nei topi ed è stata valutata l’intensità del dolore provocato misurando il numero
di strisciamenti sull’addome che si verificano nel periodo di 20 min dopo la somministrazione.
INCAPACITANCE TEST
Con l'incapacitance test si misura il "weight bearing" ossia la diversa distribuzione del peso
corporeo dell’animale sulle zampe posteriori. L'apparato consiste in una camera di plexiglass,
costituita da una parte piana e da una rampa inclinata, all’interno della quale l’animale viene
alloggiato in modo da poggiare entrambe le zampe anteriori sul piano inclinato e le zampe
posteriori sulla parte piana; questa è costituita da due piatti, ciascuno collegato a un sensore che
registra la forza (espressa in grammi) esercitata da ciascuna zampa.
EDEMA
Il pletismometro permette di misurare il volume della zampa di un ratto o di un topo.
L’apparecchio presenta due cilindri, collegati tra loro, ripieni di soluzione salina; in un cilindro si
immerge la zampa dell’animale, mentre nell’altro è presente un trasduttore, che registra le
variazioni del livello della soluzione, dovuto all’immersione della zampa. Prima dell’utilizzo, lo
strumento è calibrato mediante l’immersione nel cilindro, dove si immerge la zampa
dell’animale, di diversi pistoni di plastica di volume noto. Su un display digitale è possibile
leggere esattamente il volume occupato dalla zampa (espresso in mL).
76
Si effettuano 3 misurazioni prima dell’esperimento e la rispettiva media, rappresenta il volume
basale della zampa; le successive misurazioni si effettuano durante l’esperimento, per monitorare
la variazione del volume della zampa, dovuto al trattamento, rispetto al volume basale.
Anche in questo test, le misurazioni sono effettuate su entrambe le zampe, zampa trattata e
controlaterale.
L'entità della variazione del volume della zampa viene misurata come:
Vts - Vb
dove:
Vts è il volume durante il processo infiammatorio.
Vb è il volume della zampa prima dell’infiammazione.
L’aumento dello spessore del ginocchio è stato misurato utilizzando un calibro ed i valori sono
stati espressi in millimetri (mm).
TEST COMPORTAMENTALI PER VALUTARE I DISTURBI DEL SISTEMA NERVOSO
CENTRALE
I test comportamentali utilizzati in questi esperimenti per valutare l’ansia e la depressione,
espongono l’animale ad uno stimolo negativo incontrollabile (stress) che induce nel topo un
deficit comportamentale. Questo deficit però non compare in tutti gli individui sottoposti allo
stesso stress, perché alcuni di essi riescono ad esercitare un controllo sul loro comportamento. I
test si basano quindi sulla risposta che presenta ogni individuo sottoposto a stress. Gli animali
ansiosi e depressi si arrendono a quella condizione e non cercano di evadere, mentre gli animali
sani cercano in ogni modo di sfuggire da quella situazione negativa; quindi questi test sono in
grado di evidenziare importanti differenze individuali.
Negli animali l’ansia e la depressione inducono un’inibizione comportamentale che si evidenzia
in una minore motilità accompagnata da uno stato di continua attenzione, ma soprattutto in una
marcata inattività esplorativa e quindi un disinteresse verso tutto ciò che non rassicura l’animale
nella nuova situazione nella quale si viene a trovare. E’ proprio sulla base di questi parametri che
sono stati messi a punto dei test che stimolano e valutano il grado di ansia dell’animale.
Il tail suspension test (TST) è un test che permette di valutare lo stato di depressione
dell’animale. Il topo è legato tramite la coda ad una barra semirigida orizzontale a 25 cm di
altezza da terra, sorretta da due colonnine di metallo; questa posizione induce nei topi uno stato
depressivo e, normalmente i topi tendono a divincolarsi muovendosi ripetutamente; topi depressi,
invece, non tendono a divincolarsi, quindi maggiore sarà il tempo di immobilità maggiore sarà lo
77
stato depressivo dell’animale; per un periodo di 6 minuti vengono registrati i secondi di
immobilità dell’animale.
Il marble burying test permette di valutare gli stati ossessivo-compulsivi e le stereotipie
dell’animale. Il topo viene posto per 15 minuti in una gabbia opaca (30×30×28 cm) con
all’interno 5 cm di segatura e 15 biglie da 2 cm di diametro ciascuna poste su 3 file alla stessa
distanza l’una dall’altra. Sono valutati:
1) Il numero di biglie sotterrate sotto la segatura;
2) Il numero di scavi (digging) fatti dall’animale con le zampe anteriori, posteriori e con la
testa;
3) Il tempo di latenza che intercorre tra l’ingresso dell’animale nella gabbia ed il primo
scavo.
Un comportamento dell’animale relazionato alle manie ossessivo-compulsive sarà correlato
all’aumento del numero di biglie sotterrate e al numero di scavi e a una diminuzione del tempo di
latenza al primo scavo.
L’elevated plus maze (EPM) è test che permette di valutare gli stati ansiosi nei roditori ed è
utilizzato come test di screening per i composti ansiolitici o ansiogeni putativi. Il topo viene
posto al centro di un labirinto, elevato 40-70 cm dal pavimento, composto da due braccia aperte
e due braccia chiuse, e ne viene valutata l’attività per 5 minuti; in questo periodo vengono
registrati i secondi che l’animale trascorre sulle braccia chiuse e sulle braccia aperte del labirinto.
I risultati vengono espressi con la percentuale di scelta da parte del topo di entrare nelle braccia
aperte del labirinto. Le entrate sono definite tali quando il topo entra con tutte le zampe nel
braccio. Il test si basa sull’avversione dei roditori verso gli spazi aperti. Questa avversione
conduce al comportamento definito «tigmotassia», che porta l’animale ad evitare aree aperte
limitandosi a movimenti in spazi chiusi o ai bordi di uno spazio limitato. Nell’EPM questo si
traduce in una limitazione di movimento nelle braccia aperte. La riduzione dell'ansia nell’EPM è
indicata da un aumento della percentuale di tempo trascorso dall’animale nelle braccia aperte.
Un topo che presenta comportamenti correlati all’ansia non entra o trascorre pochissimo tempo
nelle braccia aperte.
Il rotarod accelerating test è un test che permette di valutare le capacità motorie e di
coordinazione dei roditori. Si tratta di uno strumento costituito da un cilindro rotante separato in
setti che permette di testare le capacità sensitivo-motorie di diversi topi simultaneamente
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verificando la loro abilità nel rimanere in equilibrio e nel muovere in modo coordinato gli arti
anteriori e posteriori. L’eventuale caduta dell’animale dal cilindro fa scattare un meccanismo che
ferma il timer e permette di registrare il tempo di permanenza. Prima di iniziare l’esperimento
tutti i topi sono stati sottoposti ad una fase di allenamento in cui sono stati mantenuti sul rotarod
alla velocità minima fino a quando non hanno raggiunto i 100 secondi. Durante il test agli
animali è richiesto di permanere sul cilindro rotante per 300 secondi; il topo tende inizialmente a
camminare sul cilindro, quando il topo non è più in grado di mantenere l’equilibrio, cade a terra.
Il giorno dell’esperimento tutti i topi sono stati sottoposti al test, successivamente alcuni sono
stati trattati con il composto PC1 ed altri con il veicolo e sottoposti di nuovo al test dopo 30, 60 e
90 minuti dopo le somministrazioni. Ogni topo è stato sottoposto tre volte al test con velocità
crescente da 4 a 40 rpm per un tempo totale di 5 minuti;
Viene misurato il tempo di latenza (sec) che intercorre tra rotazione del topo sul cilindro e la sua
caduta; questo periodo è un indice della capacità di bilanciamento, coordinazione ed attività
psico-fisica dell’animale. Difficoltà motorie, di coordinazione e di equilibrio dell’animale
equivalgono ad un minor periodo di tempo trascorso sul rotarod.
Il Y Maze Test permette di valutare la “working memory”, o memoria spaziale, legata
principalmente alle aree dell’ippocampo, setto e corteccia prefrontale. Il topo viene posto al
centro di un labirinto a forma di Y con braccia chiuse (lunghezza 40cm, altezza 12cm e
larghezza 3cm) che formano tra loro un angolo di 120°, ed in fondo alle quali sono presenti 3
simboli diversi (quadrato, cerchio, triangolo) e ne viene valutata l’attività per 8 minuti. I roditori
tipicamente preferiscono esplorare nuove braccia del labirinto piuttosto che ritornare in un
braccio già visitato alternando l’ingresso nelle braccia in maniera sequenziale (es. ABC, CAB,
BCA e non ABA). Al termine del periodo di valutazione viene calcolata la percentuale di
alternanza degli ingressi sequenziali nelle 3 braccia. La percentuale di alternanze è stata definita
secondo la seguente equazione:
% alternanza = [(numero di alternanze) / (numero totale delle entrate nelle braccia - 2)] x 100.
Minore sarà la percentuale di alternanza maggiori saranno i deficit cognitivi dell’animale.
SAGGIO DEL BLUE EVANS
I ratti, anestetizzati con il dietil-etere, sono stati iniettati con una soluzione 2.5% di Blue Evans
(100 mg/Kg b.w.) nella vena peniena; 20 minuti dopo l’iniezione, gli animali sono stati
sacrificati mediante inalazione di CO2. E’ stato prelevato il tessuto corrispondente alla zona
plantare sia della zampa infiammata (CFA) che della zampa controlaterale (salina) e i frammenti
79
sono posti in provette contenenti 2.0 ml di formammide. Le provette sono state incubate
overnight a 60°C. I campioni sono stati analizzati con uno spettrofotometro (Shimadzu UV-
160A) ed è stata determinata l’assorbanza alla lunghezza d’onda di 618 nm.
La quantità di colorante fuoriuscita dalla zampa e presente nel liquido di incubazione è stata
estrapolata da una curva standard ottenuta con diluizioni seriali a concentrazione nota di Blue
Evans. I dati sono stati espressi come µg di Blue Evans per mg di tessuto (µg/mg) prelevato dalla
zampa.
SAGGIO DELLA MIELOPEROSSIDASI (MPO)
Il saggio dell’MPO consente di valutare l’attività della mieloperossidasi, un enzima contenuto
nei granuli azzurofili intracellulari dei granulociti polimorfonucleati (PMNs).
Abbiamo utilizzato l’attività mieloperossidasica come indice di accumulo dei neutrofili nella
regione plantare delle zampe posteriori del ratto trattate o con Adiuvante Completo di Freund
(CFA; zampa destra) o con Bv8 o con salina (zampa sinistra). I ratti sono stati sacrificati
mediante inalazione di CO2 e i campioni di tessuto di zampa (circa 0.5 cm2) raccolti in 2.0 ml di
K2HPO4 50 mM (pH = 6.0) contenente 0.5 % di bromuro esadeciltrimetilammonio (HTAB,
Sigma, Chemical CO, MO) e conservati a -80°C. Il giorno del test i campioni sono stati
scongelati per 15 minuti a 37°C, omogenati con il Polytron (PT3100) a 27000 rpm per 2 minuti,
sonicati per 20 secondi, sottoposti a 3 cicli di congelamento e scongelamento (un ciclo = 15
minuti a -80°C o a 37°C), sonicati di nuovo per 20 secondi, e centrifugati a 40000 g per 15
minuti a 4°C. A 100 l di surnatante si aggiungono 900 l di K2HPO4 50 mM , pH = 6.0,
contenente 0.167 mg/ml di dianisidina-O-dicloridrtato e 0.0005% di H2O2. L’attività
mieloperossidasica di ciascun campione è stata analizzata a 460 nm con uno spettrofotometro
(Shimadzu UV-160A). Il numero dei neutrofili richiamati è estrapolato da una curva standard
dove a un numero noto di neutrofili peritoneali (ottenuti dopo induzione di peritonite con 1% di
glicogeno d’ostrica) corrisponde un determinato valore d’assorbanza. I risultati sono espressi
come numero di neutrofili/mg tessuto.
IMMUNOFLUORESCENZA
I topi sono stati anestetizzati e perfusi per via intracardiaca con 30 ml di buffer salino fosfato
(PBS, 1X), pH 7.4, seguito da 60 mL di paraformaldeide fredda (4°C) al 4% (PFA) in PBS. Il
midollo spinale (regione L4-L6) è stato prelevato, post-fissato overnight nello stesso fissativo a
4°C e successivamente mantenuto a 4°C in 30% di saccarosio fino all’utilizzo.
80
Il midollo spinale è stato tagliato tramite criostato in sezioni seriali da 40 µm, le quali sono state
incubate per 48 h a 4°C con anticorpo primario diluito in PBS-0.3% Triton X-100. Gli anticorpi
primari utilizzati sono stati: 1/200 rabbit polyclonal anti-prokineticin 2 (PK2, AbCam,
Cambridge, UK) e 1/400 mouse polyclonal anti-glial fibrillary acidic protein (GFAP). Al termine
dell’incubazione, dopo 3 lavaggi in PBS, le sezioni sono state incubate per 2 h a temperatura
ambiente con Alexa Fluor®-488 donkey anti-rabbit IgG (1:200) (verde), Alexa Fluor®-555
donkey anti-mouse IgG (1:200) (rosso). Dopo ulteriori 3 lavaggi in PBS, le sezioni sono state
incubate per 15 min con la soluzione 4',6-diamidino-2-phenylindole (DAPI; 1:500) per la
visualizzazione dei nuclei. Le sezioni free-floating del midollo spinale montate su vetrino sono
state esaminate al microscopio confocale (Leica SP5) in maniera sequenziale per permettere il
collegamento tra i canali. Le immagini sono state processate utilizzando Adobe Photoshop 7 ed
Adobe Illustrator 10.
RT-PCR
I ratti sono stati sacrificati mediante inalazione di CO2 e i campioni di tessuto di zampa sono stati
processati tramite RNeasy Kit (Qiagen) per permettere l’estrazione dell’RNA totale. Il cDNA
ottenuto mediante retrotrascrizione è stato amplificato tramite real-time PCR (iCycler; Bio-Rad)
utilizzando l’iQ SYBR Green Supermix (Bio-Rad). Sono stati utilizzati i seguenti primers di
ratto: PK2, 5-CAAGGACTCTCAGTGTGGA-3 and 5-AAAATGGAACTTTCCGAGTC-3).
Ogni reazione che contiene l’opportuna coppia di primers, 5 µl di cDNA ed il SYBR green
(SensiMix SYBR & Fluorescein Kit, Bioline), viene sottoposta a PCR, utilizzando il
termociclatore iCycler (Bio-Rad).
I livelli di espressione del gene di interesse sono stati riportati come numero di copie per ng
totale di RNA rapportati ad una curva standard ottenuta per ogni gene analizzato.
ANALISI STATISTICA
I punti sperimentali sono stati espressi come medie errore standard. Ogni gruppo sperimentale
è costituito da 10 animali. Tutti i dati sono stati elaborati al computer utilizzando il programma
Prism 5.0, con Two-way ANOVA, Bonferroni test. Sono state considerate come differenze
significative quelle con un valore di p < 0.05 (*), come molto significative quelle con p < 0.01
(**), e come altamente significative quelle con p < 0.001 (***).
81
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7. RINGRAZIAMENTI
Durante il percorso, fatto di salite e discese, che mi ha condotto alla realizzazione dei dati ed alla
discussione della tesi di dottorato ho avuto il piacere e la fortuna di conoscere e di avere al mio
fianco persone che, ognuno con il proprio contributo ha reso possibile il raggiungimento di
questo traguardo.
In primo luogo ringrazio sentitamente la Prof.ssa Lucia Negri, mia tutor e responsabile del
laboratorio in cui ho svolto la tesi. Grazie al suo contributo, umano e scientifico, che mi ha
fornito quotidianamente, ho cercato di apprendere, da un lato, tutte le conoscenze nell’ambito
della ricerca farmacologica e dall’altro, i suoi continui stimoli ed incoraggiamenti mi hanno fatto
capire come affrontare quello che all’inizio per me era un mondo ancora da scoprire totalmente.
Ringrazio con affetto la Prof.ssa Roberta Lattanzi, che sin dall’inizio, con la sua massima
disponibilità, mi ha condotto per mano in laboratorio trasmettendomi tutti gli insegnamenti
pratici, teorici e umani, e per essere stata sempre presente e vicina durante tutti i periodi di
difficoltà.
Ringrazio i miei primi compagni di viaggio Daniela Maftei e Veronica Marconi con cui ho
condiviso ogni giorno la mia attività in laboratorio, dal primo giorno all’ultimo, e con cui ho
avuto il piacere di stringere un bel rapporto di amicizia; grazie anche per tutto quello che mi
avete insegnato e per il vostro affetto sincero. Durante il viaggio, si è aggiunta Angela Cappiello
che è stata capace in un solo anno di darmi una grossa mano sia da un punto di vista sperimentale
che umano, il ricordo del suo sorriso e della sua disponibilità rimarrà per sempre nella testa e nel
cuore di chi ha avuto la fortuna di conoscerla; purtroppo il suo viaggio è durato troppo poco.
Altrettanto importante è stato il contributo dell’ultima arrivata, Bianca Fabi, che con il suo
entusiasmo e con la sua voglia di fare ha partecipato attivamente alla realizzazione della mia tesi.
Ringrazio tutti coloro i quali all’interno del Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia “V.
Erspamer” mi hanno trasmesso le loro conoscenze e la loro voglia e passione per la ricerca, dai
professori ai ricercatori, dagli altri colleghi dottorandi ai tesisti.
Dulcis in fundo, ringrazio i miei amici, romani e calabresi, per aver sopportato le mie “lamentele
da laboratorio”; ringrazio fortemente la mia famiglia, papà Gioacchino, mamma Margherita,
Flora e Giuseppe per avermi dato la forza di andare avanti credendo in me.
Grazie a Milena che mi ha sempre spinto con il suo affetto ed il suo sostegno verso traguardi che
non pensavo mai, da solo, di poter raggiungere.
“Il meglio deve ancora venire”