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Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia “V. Erspamer” DOTTORATO DI RICERCA IN FARMACOLOGIA CICLO XXVI Caratterizzazione farmacologica di una nuova classe di molecole come potenziali anti-iperalgesici innovativiRelatore : Chiar.ma Prof.ssa Lucia Negri Tesi di dottorato di: Dott. Luigino Antonio Giancotti Anno Accademico 2012-2013

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Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia “V. Erspamer”

DOTTORATO DI RICERCA IN FARMACOLOGIA

CICLO XXVI

“Caratterizzazione farmacologica di una nuova classe di molecole

come potenziali anti-iperalgesici innovativi”

Relatore :

Chiar.ma Prof.ssa Lucia Negri

Tesi di dottorato di:

Dott. Luigino Antonio Giancotti

Anno Accademico 2012-2013

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Ad Angela Cappiello,

che con la sua bravura, il suo sorriso,

la sua professionalità e la sua spensieratezza

ha contribuito alla realizzazione della mia tesi.

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INDICE

1. INTRODUZIONE ................................................................................................................................ 4

1.1 FISIOLOGIA E FARMACOLOGIA DEL DOLORE ....................................................................... 4

1.2 CLASSIFICAZIONE DEL DOLORE ............................................................................................... 7

1.3 MODELLI ANIMALI DI DOLORE ................................................................................................. 9

1.4 CHEMOCHINE ............................................................................................................................... 12

1.4.1 CHEMOCHINE E DOLORE .................................................................................................... 15

1.5 UNA NUOVA FAMIGLIA DI CHEMOCHINE: BV8/PROCHINETICINE ................................. 18

1.5.1 Recettori delle prochineticine .................................................................................................... 21

1.5.2 Distribuzione e funzione delle prochineticine e dei loro recettori ............................................. 25

1.5.3 Ruolo delle prochineticine nella nocicezione e nel dolore ........................................................ 29

1.5.4 Antagonisti dei recettori delle prochineticine ............................................................................ 31

2. SCOPO DELLA TESI ........................................................................................................................ 33

3. RISULTATI ....................................................................................................................................... 34

3.1 CARATTERIZZAZIONE FARMACOLOGICA DEL LEAD COMPOUND PC1 ........................ 37

3.2 PC1 ANTAGONIZZA L’IPERALGESIA INDOTTA DA BV8: DIVERSE VIE DI

SOMMINISTRAZIONE ........................................................................................................................ 39

3.2.1 Contro Bv8 intraplantare (0.5 ng) ............................................................................................. 39

3.2.2 Contro Bv8 intratecale (0.5 ng) ................................................................................................. 41

3.2.3 Contro Bv8 sottocute (200 ng/kg) ............................................................................................. 43

3.3 LA SOMMINISTRAZIONE SISTEMICA DI PC1 INFLUISCE SULLA SOGLIA NOCICETTIVA

BASALE ................................................................................................................................................ 44

3.3.1 Valutazione della soglia nocicettiva in risposta a stimoli termici ............................................. 44

3.3.2 Valutazione della soglia nocicettiva in risposta a stimoli chimici ............................................. 45

3.4 EFFETTI ANTI-IPERALGESICI/ANTI-INFIAMMATORI DI PC1 IN MODELLI ANIMALI DI

DOLORE INFIAMMATORIO .............................................................................................................. 47

3.4.1 Effetti di PC1 sull’infiammazione indotta dalla somministrazione intraplantare di carragenina

............................................................................................................................................................ 47

3.4.2 Effetti di PC1 sull’infiammazione dell’articolazione del ginocchio indotta dalla

somministrazione di caolino/carragenina ........................................................................................... 49

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3.4.3 Effetti di PC1 sull’infiammazione indotta dalla somministrazione intraplantare di CFA in

comparazione con l’indometacina ...................................................................................................... 50

3.5 EFFETTI DI PC1 NEL MODELLO ANIMALE DI DOLORE NEUROPATICO INDOTTO

DALLA LEGATURA CRONICA DEL NERVO SCIATICO (CCI) ..................................................... 56

3.6 EFFETTI DI PC1 SULL’UP-REGOLAZIONE DI PK2 .................................................................. 58

3.7 EFFETTI SUI COMPORTAMENTI DI ORIGINE CENTRALE INDOTTI DALLA

SOMMINISTRAZIONE SISTEMICA DI PC1 ..................................................................................... 60

3.7.1 Memoria spaziale ...................................................................................................................... 60

3.7.2 Attività motoria ......................................................................................................................... 61

3.7.3 Manie ossessive compulsive...................................................................................................... 62

3.7.4 Ansia e Depressione .................................................................................................................. 64

3.8 POSSIBILI EFFETTI COLLATERALI ........................................................................................... 66

4. CONCLUSIONI ................................................................................................................................. 67

5. MATERIALI E METODI .................................................................................................................. 68

6. BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................................ 81

7. RINGRAZIAMENTI ......................................................................................................................... 91

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1. INTRODUZIONE

1.1 FISIOLOGIA E FARMACOLOGIA DEL DOLORE

Le sensazioni che chiamiamo dolorose quali punture, bruciature, malesseri, dolori acuti e

sofferenze, appartengono ad una submodalità somatica che prende il nome di dolore e che svolge

un’importante funzione protettiva, poiché mette in guardia da quelle condizioni che arrecano

danni ai tessuti e che quindi debbono essere evitate o corrette mediante interventi terapeutici. Il

dolore viene definito dalla International Association for the Study of Pain (IASP) come

“un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata ad un danno tissutale potenziale od

effettivo, o descritta come tale” (Merskey, 1979).

Il dolore è una patologia alla quale oggi è rivolta grande attenzione. Esso può presentarsi in

forma acuta o cronica. Nel primo caso è quasi sempre un utile “campanello d’allarme”

finalizzato a segnalare la presenza di una malattia o di una lesione organica (dolore fisiologico).

Il dolore cronico, al contrario, può rappresentare esso stesso una patologia, indipendentemente

dalla causa che lo ha determinato. Le sindromi dolorose croniche, cosiddette “benigne”, ma solo

per distinguerle da quelle di origine neoplastica, sono rappresentate da sindromi articolari (di

origine infiammatoria), neuropatiche (post-erpetica, ischemica, diabetica, traumatica), centrali ed

emicraniche. Il dolore è per definizione un fenomeno cosciente ed è sempre caratterizzato da

un’importante componente affettiva. L’insorgenza del dolore prevede l’attivazione di strutture

limbiche come l’amigdala, l’accumbens, il giro cingolato, l’area grigia periacqueduttale (PAG) e,

nello stesso tempo, necessita del coinvolgimento delle più elevate funzioni psichiche e corticali.

La percezione del dolore, sia da un punto di vista qualitativo che di intensità, è fortemente

condizionata dall’equilibrio funzionale esistente tra pahtways neuronali che operano

funzionalmente e tonicamente in opposizione tra loro: da un lato, le vie proiettive ascendenti

paleospinotalamica e neospinotalamica (pro-nocicettiva) e dall’altro quella discendente del

fascicolo dorso-laterale di provenienza cortico-PAG e delle fibre rafe-spinale (anti-nocicettiva).

Nella maggior parte dei casi, e in particolare in quello fisiologico, il dolore origina dalla

stimolazione più o meno intensa di specifiche fibre e terminazioni nervose periferiche (per es.

nocicettori cutanei, nocicettori tendinei e muscolari, nocicettori a livello splancnico e cardiaco,

ecc.) e, attraverso le vie spino-talamiche e poi talamo-corticali, raggiunge le strutture corticali

deputate alla sua specifica integrazione e decodificazione (Fig. 1).

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Figura 1. Una normale segnalazione di dolore viene trasmessa dai nocicettori alle corna dorsali del midollo spinale

e, da qui, ai centri superiori.

In tal caso, la percezione del danno, potenziale o reale che sia, viene vissuta come un’esperienza

fugace e di tipo non persistente e che, per tale ragione forse sarebbe più opportuno considerare

come nocicettiva piuttosto che come una vera e propria esperienza dolorosa. La trasmissione del

dolore inizia con la stimolazione di recettori specializzati nella integrazione di determinate

sollecitazioni meccaniche, chimiche o termiche che vengono comunemente definiti nocicettori.

Sulla base del tipo di stimolo efficace si distinguono quattro tipi di nocicettori, che si

distribuiscono estensivamente sia alla cute che ai tessuti profondi:

• nocicettori polimodali (quasi tutte fibre C) che rispondono a stimoli meccanici di

intensità elevata, a stimoli termici (caldo e freddo) e a stimoli chimici quali bradichinina,

serotonina, ioni idrogeno e potassio etc. I nocicettori sono in grado di rispondere ad

agenti chimici presenti a concentrazioni micro- o nano molari, inoltre le risposte sono

additive, ovvero più marcate se sono presenti più sostanze contemporaneamente. La

polimodalità è una caratteristica unica dei nocicettori;

• nocicettori termici (fibre Aδ e C), i quali vengono attivati da stimoli termici nocivi (T >

45°C o T < 5°C);

• nocicettori meccanici (fibre Aδ e C), chiamati anche meccanocettori ad alta soglia, che

sono attivati da stimoli meccanici intensi;

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• nocicettori silenti (fibre Aδ e C) che, in condizioni basali, sono insensibili anche a stimoli

meccanici (superiori a 6 bar) e termici (superiori a 50°C) molto intensi, mentre

rispondono a questi stimoli in seguito alla loro sensibilizzazione da parte di mediatori

chimici rilasciati durante l’infiammazione.

La presenza e la distribuzione dei diversi nocicettori nell’organismo e nei vari tessuti è alquanto

disomogenea e risponde a ben precise esigenze e finalità. Relativamente alle fibre nervose, a cui

viene affidata la trasmissione degli impulsi algogeni, quelle maggiormente coinvolte in tale

processo sono principalmente di tre tipi e vengono comunemente distinte in A, B e C. Tale

differenziazione è fatta tenendo conto della funzione somatica o viscerale, del grado di

rivestimento mielinico e, quindi, della dimensione e conseguente velocità di conduzione

dell’impulso nervoso. Tuttavia, è fuor di dubbio che a svolgere un ruolo primario nella

conduzione del dolore siano le fibre Aδ e le fibre C. Infatti, se da un lato le fibre B sono

mielinizzate e soprattutto impegnate nella trasmissione efferente pregangliare, dall’altro, le fibre

Aα, Aβ e Aγ sono, invece, altamente mielinizzate, di maggior calibro e conducono impulsi

nervosi più rapidamente e con elevata definizione spaziale e temporale (sensibilità epicritica). In

seguito alla sollecitazione acuta o persistente dei diversi nocicettori, le fibre Aδ e le fibre C

vengono attivate e conducono, in modo selettivo, i diversi stimoli nocicettivi. In particolare, le

fibre Aδ, che sono distribuite più superficialmente a livello cutaneo, sono interessate

prevalentemente nella conduzione di un dolore acuto e ben localizzato e che può essere di breve

durata e di tipo “fisiologico”, oppure dalla integrazione di una forma di iperreattività su base

meccano-pressoria come l’allodinia in varie forme di dolore patologico. Diversamente, le fibre

C, che hanno una distribuzione periferica sia superficiale che profonda, integrano input

nocicettivi a più diffusa localizzazione e con caratteristiche di un dolore sordo e poco localizzato.

Alla stimolazione delle fibre nervose, segue il rilascio, sia localmente che centralmente (a livello

spinale e sopraspinale), di vari neuromediatori. Questi ultimi, a seconda dei casi, possono

condizionare in modo persistente lo stato di attivazione dei nocicettori stessi e delle fibre

periferiche da cui hanno origine. Infatti, vi sono ormai chiare evidenze che alcuni tra i più

comuni neuromediatori partecipano non solo alla genesi, ma anche al mantenimento dell’azione

algica persistente (dolore tonico) o cronica. Tra essi è ben noto il ruolo delle prostaglandine

PGE2 e PGI2, del PAF (‘Platelet-Activating Factor’), dell’acetilcolina, della serotonina, della

noradrenalina, della dopamina, della bradichinina, delle tachichinine, degli oppioidi, dei

cannabinoidi, delle citochine, della somatostatina, dalla CCK (‘colecistochinina’),

dell’adenosina, dell’ATP, dell’istamina, del glutammato, del GABA, della glicina, del

monossido di azoto (NO), degli idrogenioni (H+) sui recettori vanilloidi, ecc. In passato veniva

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fatta una distinzione piuttosto netta tra quelli che si consideravano i neuromediatori attivi a

livello centrale (per es. gli oppioidi, le citochine e il glutammato) e altri attivi principalmente a

livello periferico (per es. le prostaglandine, gli idrogenioni, l’ATP e la stessa acetilcolina). In

base alle conoscenze attuali, possiamo affermare che la maggior parte di queste sostanze

endogene svolge un’importante funzione neurotrasmettitoriale e di modulazione dello stimolo

algico tanto a livello dei nocicettori e delle fibre nervose periferiche quanto a livello del sistema

nervoso centrale. L’acquisizione di nuove conoscenze sul ruolo integrato delle varie

neurotrasmissioni coinvolte nella fisiopatologia del dolore è cresciuta notevolmente in questi

anni, tanto che molte forme di dolore cronico sono oggi considerate vere e proprie patologie, che

necessitano di un trattamento farmacologico razionale, talora associato a procedure chirurgiche

(cordotomia, rizotomia, ecc.). Il trattamento farmacologico e la scelta del farmaco sono spesso

condizionati dalla patogenesi che sostiene la sindrome dolorosa e dall’intensità del quadro

clinico (Rossi et al., 2011).

1.2 CLASSIFICAZIONE DEL DOLORE

Il dolore può essere classificato in base a diverse variabili, come la sua durata (acuto, cronico), i

suoi meccanismi patofisiologici (fisiologico, nocicettivo, neuropatico) ed il suo contesto clinico

(post-operatorio, oncologico, neuropatico, degenerativo). Una prima classificazione fatta da

Bonica divideva il dolore in due grandi categorie: dolore acuto – generalmente identificato come

dolore che ha una durata minore di 30 giorni; e dolore cronico – dolore che dura più di 6 mesi

(Bonica, 1980).

Più recentemente, Woolf ha classificato il dolore in: dolore nocicettivo, causato dall’attivazione

dei nocicettori ad alta soglia in seguito ad uno stimolo intenso, potenzialmente o effettivamente

dannoso per il tessuto, di natura meccanica, chimica o termica (Fig. 2A); dolore infiammatorio,

associato a danno tissutale e ad infiltrazione di cellule immunitarie (Fig. 2B); dolore patologico,

identificato con uno stato patologico causato da un danno al sistema nervoso (dolore

neuropatico) oppure in condizioni in cui non è presente alcun danno o infiammazione (dolore

disfunzionale, come fibromialgia, cistiti interstiziali, ecc.) (Fig. 2C) (Woolf et al., 2010).

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Figura 2. Classificazione del dolore: (A) Dolore nocicettivo; (B) Dolore infiammatorio; (C) Dolore

patologico (Woolf et al., 2010).

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1.3 MODELLI ANIMALI DI DOLORE

In contrasto con la natura polimorfica del dolore, che nell’uomo viene descritto come una

sensazione, il dolore negli animali può essere valutato solo esaminando le loro reazioni. Gli

animali più utilizzati in tutti i modelli animali di dolore sono i roditori, anche se i meccanismi

essenziali che rendono possibile a un organismo la reazione a uno stimolo che ne minacci

l’esistenza, esistono in tutto il regno animale, eccetto forse negli artropodi e negli insetti

(Bateson, 1991). Generalmente, i più affidabili segni di dolore sono quelli fisici. La ricerca

nell’uomo e negli animali si è focalizzata su diversi indicatori biochimici (catecolamine,

corticoidi, oppioidi, ecc.), i quali non sembrano avere specificità. Si può affermare lo stesso per

altri metodi come i parametri elettrofisiologici (elettroencefalogramma, potenziali evocati ecc.).

A tutt’oggi lo studio delle risposte comportamentali è l’unico indicatore delle sensazioni

spiacevoli stimolo-dipendenti che potrebbe essere algogenico rispetto all’uomo.

- INFIAMMATORIO

I modelli animali di danno tissutale e di iperalgesia infiammatoria possono essere indotti tramite

diverse vie di somministrazione da un’ampia varietà di agenti infiammatori (Tab. 1). I modelli

più utilizzati sono:

• CFA

Il CFA (‘Complete Freund’s Adjuvant’) è una sospensione in olio minerale di micobatteri

(tubercolosis, butirricum, ecc.) resi inerti. La somministrazione di CFA nella regione plantare

della zampa posteriore dei roditori induce una reazione infiammatoria di lunga durata, che

interessa tutta la zampa. Le manifestazioni del processo infiammatorio sono un aumento del

volume della zampa iniettata, iperalgesia sia termica che meccanica e allodinia tattile. Gli effetti

fisiologici e biochimici indotti dal CFA sono limitati alla zampa somministrata e non producono

patologie sistemiche. Gli animali trattati con CFA mostrano una minima riduzione del peso

corporeo ed una normale attività locomotoria.

• Carragenina

La carragenina è un polisaccaride ottenuto da diversi tipi di alghe; l’iniezione di lambda

carragenina (un idrocolloide che non forma gel) nella zona plantare della zampa o

nell’articolazione del ginocchio (insieme con il caolino, silicato di alluminio), produce

un’infiammazione locale ed iperalgesia di breve durata. Diversi studi hanno evidenziato come

l’iperalgesia indotta dalla carragenina sia anche la conseguenza di modificazione della plasticità

neuronale intrinseca al midollo spinale (Schaible and Schmidt, 1985; Schaible et al., 1987).

Urban et al. (1999) hanno dimostrato che l’inattivazione della medulla rostro-ventale (RVM),

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tramite microiniezioni di lidocaina, blocca completamente l’iperalgesia indotta dalla

somministrazione di carragenina nel ginocchio. Ulteriori studi hanno dimostrato che l’iperalgesia

associata alla somministrazione di carragenina è legata all’attivazione centrale dei recettori

NMDA (Eisenberg et al., 1994; Ren et. al, 1992), all’aumento di cellule immunoreattive al

GABA nel corno dorsale ipsilaterale (Castro-Lopes et al., 1994) ed all’aumento di espressione di

c-Fos nel midollo spinale (Buritova et al., 1996).

• Olio di mostarda

Altri agenti infiammatori come l’olio di mostarda, irritante che agisce sulle fibre di piccolo

calibro, sono utilizzati per indurre iperalgesia. L’olio di mostarda produce dolore attivando il

canale TRPA1 (‘Transient Receptor Potential Channel A1’), recettore canale appartenente alla

sottofamiglia A localizzato sui nocicettori afferenti primari. L’applicazione topica di olio di

mostarda induce un rapido sviluppo di iperalgesia ed allodinia che terminano nell’arco di un’ora.

• Formalina

La somministrazione della formalina nella zampa dei roditori produce due fasi distinte in cui si

verifica la risposta nocifensiva caratterizzata da leccamento della zampa e piccoli saltelli,

separate da un breve periodo di quiescenza. Lo sviluppo della prima fase è immediato (5 min) ed

è di breve durata (15 min), mentre il secondo picco si sviluppa dai 15 min e dura circa 1 ora. La

prima fase si sviluppa in seguito all’attivazione diretta dei meccanocettori e dei nocicettori

presenti sulle fibre afferenti primarie, mentre la seconda fase è dovuta all’aumento

dell’eccitabilità dei neuroni del midollo spinale.

• Capsaicina

La capsaicina, il componente irritante del peperoncino che si lega ed attiva il recettore TRPV1

sui nocicettori periferici, è utilizzata per studiare modelli di infiammazione neurogenica ed

iperalgesia. La somministrazione intradermica causa iperalgesia primaria nel sito dell’iniezione

e, nell’area circostante, un’iperalgesia secondaria. Questo modello di infiammazione

neurogenica è stato utilizzato inizialmente nelle scimmie per studiare i cambiamenti dell’attività

dei nocicettori e dei neuroni del corno dorsale del midollo spinale (LaMotte et al., 1991).

Successivamente questo modello è stato adattato agli studi comportamentali nel ratto (Gilchrist

et al., 1996). La somministrazione della capsaicina induce un rapido sviluppo di iperalgesia ed

allodinia che si mantiene per circa 1 ora.

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NA-Not Applicable

Tabella 1. Modelli animali di dolore infiammatorio

- NEUROPATICO

I modelli animali di dolore neuropatico studiati maggiormente sono quelli in cui un danno

meccanico è arrecato a livello di un nervo periferico. Il più diffuso è la legatura o la transezione

del nervo sciatico. La transezione comporta un’interruzione immediata ed irreversibile della

conduzione elettrica nel nervo, seguita da degenerazione Walleriana degli assoni distali alla

lesione, e dalla germinazione prossimale di fibre assonali, nel tentativo di rigenerare le fibre

nervose lese. Oltre a questi effetti locali, ci sono altre reazioni che si verificano dopo diversi

giorni, come le risposte dei corpi cellulari nei DRG che coinvolgono la cromatolisi del nucleo

(Cragg, 1970). Attualmente sono utilizzati quattro principali modelli per il dolore associato ai

danni al nervo sciatico, ciascuno con diverse varianti (Bennett, 1994 a,b; Kauppila, 1998) (Fig.

3):

• transezione o legatura totale del nervo (Sciatic Nerve Transection), che simula le condizioni

cliniche dell’amputazione;

• lesione parziale del nervo (Partial Sciatic Ligation, PSL), con legatura stretta intorno a una

parte (circa il 50%) dei fasci nervosi (Seltzer et al.; 1990), che simula un danno al nervo indotto

da un colpo o una ferita;

• modello del Chronic Constriction Injury (CCI), per cui si applicano diverse legature intorno al

nervo, lasciando un lume inferiore al diametro del nervo originario (Howe et al., 1977; Bennett

and Xie, 1988), simulando la condizione clinica della compressione cronica del nervo, es. come

avviene nell’irritazione delle radici spinali nell’ernia lombare al disco o nella neuropatia da

allettamento;

• legatura stretta di un nervo spinale (Spinal Nerve Ligation, SNL) (Kim and Chung, 1992;

Carlton et al., 1994), o transezione di una o più radici dorsali (Lombard et al., 1979; Brinkhus

and Zimmermann, 1983), che risulta nella completa deafferentazione di uno o più segmenti

spinali, e che simula un danno delle radici dorsali e del plesso del nervo.

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Figura 3. Modelli animali di dolore neuropatico.

1.4 CHEMOCHINE

Le chemochine o citochine chemiotattiche, sono state scoperte alla fine degli anni ‘70 come

fattori in grado di richiamare leucociti. Ad oggi, sono stati identificati nell'uomo più di 50

chemochine e circa 20 recettori per le chemochine, ed omologhi in altre specie di mammiferi

(Charo and Ransohoff, 2006). È logico ritenere che tale numero sia destinato ad aumentare in

tempi brevi. Recentemente, infatti, queste molecole sono diventate il fulcro d’interesse e

discussione in numerosi studi, grazie all’espansione della visuale riguardo al loro ruolo

funzionale. Il ‘via’ alla crescita esponenziale della ricerca in questo settore è senza dubbio

riconducibile alla comprensione della funzione fondamentale di alcuni recettori per chemochine

nell’infezione da HIV (Torres et al., 2001). Queste ricerche hanno contribuito ad estendere lo

studio delle chemochine e dei loro recettori in altri campi della biologia e della medicina,

permettendo così di capire che tali molecole sono espresse da un’ampia varietà di cellule non

ematopoietiche e che la loro funzione si estende ben al di là della sola fisiologia leucocitaria.

Inizialmente si pensava che le chemochine fossero responsabili solo della maturazione e del

traffico dei leucociti, in particolare nelle malattie infiammatorie, ma è stato riportato che le

chemochine sono anche coinvolte nella cardiogenesi, nello sviluppo vascolare, nella

proliferazione cellulare, nell'angiogenesi, nel processo metastatico, nella guarigione delle ferite e

nel rigetto del trapianto (Bonecchi et al., 2009; Rossi and Zlotnik, 2000).

Citochine e fattori di crescita sono stati fortemente associati con il dolore patologico sia nel

sistema nervoso centrale che periferico (Woolf et al., 1997; Laughlin et al., 2000).

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Le chemochine sono piccole proteine costituite da 60 a 100 amminoacidi con un’omologia di

sequenza che varia tra il 20% ed il 90% ed un peso molecolare tra 8 e 14 kDa.

Caratteristiche strutturali e funzionali comuni delle chemochine sono le piccole dimensioni, la

conservazione di un motivo cisteinico nella regione N-terminale della proteina e l'induzione dei

loro effetti attraverso vari GPCRs.

Le chemochine sono suddivise in quattro sottofamiglie in base al numero e la distanza dei residui

di cisteina conservati nelle loro estremità amminoterminali (Fig. 4). Queste sottofamiglie sono:

CXC, CC, C e CX3C.

• In CXC (o α-chemochine) un amminoacido separa i primi due residui di cisteina

(cisteina-X-cisteina, o CXC). Le chemochine di questa famiglia sono note per la

chemiotassi di neutrofili, linfociti T, linfociti B e cellule natural killer. Le α-chemochine

possono essere ulteriormente suddivise in base alla presenza o meno della sequenza di

acido glutammico-leucina-arginina (ELR) vicino all’estremità ammino terminale (che

precede la sequenza CXC). Le α-chemochine che contengono questa sequenza sono

chemiotattiche per i neutrofili, mentre quelle che non la contengono agiscono sui

linfociti.

• Nelle chemochine della famiglia CC (o β-chemochine) i primi due residui di cisteina

sono adiacenti l'uno all'altro. I membri di questa famiglia attraggono monociti, macrofagi,

basofili, linfociti T ed eosinofili, ma hanno poco o nessun effetto sui neutrofili.

• Le chemochine della famiglia C (o γ-chemochine) si distinguono strutturalmente perché

hanno solo due dei quattro residui di cisteina conservati che si trovano nelle altre

famiglie. Gli unici membri di questa famiglia sono linfotactina a e b (XCL1 e XCL2), che

sono noti per attrarre i linfociti T.

• La famiglia CX3C (o chemochine δ) è attualmente rappresentata da un singolo membro

chiamato fractalchina (CX3CL1), che è caratterizzato dalla presenza di tre amminoacidi

tra i primi due residui di cisteina, nonché un dominio transmembrana e un dominio

mucin-like.

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Figura 4. Classificazione delle quattro sottofamiglie di chemochine con i rispettivi recettori. (a) α-chemochine, (b)

β-chemochine, (c) γ-chemochina e (d) chemochine δ. Da Rostene et al., 2007.

Le chemochine esercitano i loro effetti biologici attraverso i recettori appartenenti alla famiglia

GPCR presenti sulla superficie cellulare. La nomenclatura dei recettori delle chemochine segue

quella delle chemochine permettendo, quindi, di suddivere i recettori in quattro gruppi: CXCRn,

CCRN, XCRn e CX3CRn.

I recettori delle chemochine appartengono alla famiglia della rhodopsina, un gruppo di molecole

recettoriali accoppiati a proteine G, i cui membri sono caratterizzati dal possedere una singola

catena polipeptidica che attraversa 7 volte la membrana, con un dominio extracellulare ammino-

terminale e un dominio intracellulare C-terminale ricco in serina / treonina. In particolare gran

parte di questi recettori interagiscono con una proteina G di tipo inibitorio, causando quindi una

diminuzione dei livelli intracellulari di AMP ciclico, anche se alcune chemochine attivano,

inoltre, altre vie di segnalazione, come la protein chinasi (MAPK) mitogeno-attivata, la via PLC

con il conseguente influsso di Ca2+

e la via della fosfatidil inositolo-3-chinasi (PI3K) (Bajetto et

al., 2002; Cartier et al., 2005), determinando diversi effetti come l'adesione, la polarizzazione e

la chemiotassi.

I recettori per le chemochine presentano tre loops extracellulari e un segmento amino terminale

che formano, nel loro complesso, una tasca di legame attraverso la quale il recettore interagisce

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con la propria chemochina ligando. La stabilizzazione di questa tasca è facilitata dalla presenza

di un ponte disolfuro tra il segmento N-terminale e il terzo loop extracellulare. I tre loops

intracitoplasmatici, invece, permettono l’associazione del recettore ad una proteina G. La coda

carbossi terminale è coinvolta nell’internalizzazione e nella regolazione dell’attività del

recettore. Questa, infatti, è ricca di residui di serina e treonina, che probabilmente vengono

fosforilati dalla protein kinasi C (PKC) in seguito al legame della chemochina al recettore.

Questo porterebbe ad una rapida endocitosi del complesso ligando-recettore che, a sua volta,

determinerebbe lo spegnimento del segnale. Questa serie di eventi causano un fenomeno meglio

noto come desensibilizzazione recettoriale, ovvero la mancata risposta della cellula in seguito ad

una risomministrazione della chemochina legata (Youn et al., 2002). I recettori per le

chemochine mancano di un unico carattere distintivo che permetta di distinguerli dagli altri

membri della famiglia delle GPCRs. Possiedono però un’omologia di sequenza variabile tra il 25

e l’80% e una serie di caratteristiche che, se vengono considerate congiuntamente, consentono di

raggruppare questi recettori in un’unica grande sottofamiglia distinta dagli altri recettori

accoppiati a proteine G Tra queste troviamo:

• la lunghezza variabile tra 340 e 370 aa

• un segmento N-terminale ricco di residui acidi

• la sequenza DRYLAIVHA (o una variante di questa) all’interno della seconda

ansa citoplasmatica

• residui basici nella terza breve ansa intracellulare

• un residuo di cisteina in ciascuna delle quattro anse extracellulari

1.4.1 CHEMOCHINE E DOLORE

Come accennato in precedenza, sia le cellule locali che le cellule infiltranti il tessuto danneggiato

sono coinvolte nella produzione di molecole responsabili della chemiotassi di cellule

immunitarie verso il sito del danno, i quali mediano gli effetti nocicettivi. Oltre alla chemiotassi,

le chemochine sono implicate direttamente nella mediazione del dolore.

Sono stati condotti diversi studi per valutare gli effetti sul dolore da parte della chemochina

interleuchina 8 (CXCL8), responsabile dell’attrazione di neutrofili e linfociti. Nel ratto è stato

osservato che CXCL8 è in grado di provocare iperalgesia in maniera dose-dipendente che può

essere bloccata mediante: specifico anticorpo CXCL8, antagonisti dei recettori β-adrenergici,

antagonisti dopaminergici ma non tramite l’inibitore della cicloossigenasi, indometacina; quindi,

l’iperalgesia osservata si sviluppa mediante un meccanismo indipendente dalle prostaglandine.

E’ stato possibile, quindi, ipotizzare un coinvolgimento del sistema nervoso simpatico

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nell’iperalgesia indotta da CXCL8 e la presenza di una componente neuroimmunitaria nello

sviluppo dell’iperalgesia (Cunha et al., 1991).

La risposta nocicettiva al writhing test, nel topo, indotta da acido acetico, dipende

dall’attivazione dei macrofagi residenti e dai mastociti, responsabili del rilascio di TNF-α,

interleuchina-1β e CXCL8. La somministrazione intraperitoneale di uno specifico anticorpo anti

CXCL8 blocca parzialmente la risposta nocicettiva; inoltre, è stato osservato che, la

somministrazione contemporanea delle tre citochine ricombinanti causa un aumento significativo

della risposta al writhing test, facendo ipotizzare che l’aumento della risposta nocicettiva sia

dovuto ad un’azione sinergica delle tre citochine (Ribeiro et al., 2000).

E’ stato recentemente suggerito che i neuroni dei DRG sono attivamente coinvolti nel signaling

delle chemochine e che queste, agiscano come messaggeri tra le cellule immunitarie periferiche e

i neuroni afferenti sensitivi nel sito dell’infiammazione (Oh et al., 2001).

Infatti, i neuroni dei DRG esprimono i recettori CCR4, CCR5 ed i recettori CXCR4 e CX3CR-1,

la cui stimolazione induce mobilizzazione di calcio, abbassamento della soglia di innesco del

potenziale d’azione e rilascio di SP. In particolare, la localizzazione di CXCR4 sui terminali

periferici suggerisce un possibile signaling delle chemochine nel tessuto infiammato. Perciò,

poiché gli assoni terminali dei neuroni dei DRG esprimono ampiamente il recettore CXCR4,

questi possono essere in grado di rispondere ai segnali generati dalle cellule immunitarie

periferiche e trasportarli al cervello (Oh et al., 2001). Quindi, il rilascio di chemochine dai

leucociti nel tessuto infiammato, può essere direttamente responsabile dell’aumento della

sensitività al dolore osservato durante un processo infiammatorio.

Per alcuni aspetti, gli effetti delle chemochine somigliano ad un’altra importante molecola pro-

infiammatoria, la bradichinina. Entrambi, chemochine e bradichinina, attivano GPCRs e

sembrano avere vie di segnalazioni simili; la bradichinina, tramite i recettori B1 e B2 espressi sui

neuroni dei nocicettori, induce, principalmente, depolarizzazione immediata della membrana

cellulare.

L’attivazione dei recettori della bradichinina causa l’attivazione della fosfolipasi C che idrolizza

PIP2 in inositolo trifosfato e diacilglicerolo (DAG), inducendo la mobilizzazione di Ca2+

intracellulare. Studi recenti hanno riportato che l’attivazione dei recettori CCR1, espressi nei

neuroni dei DRG, produce l’attivazione del recettore TRPV1, meccanismo considerato

importante per l’induzione del dolore da parte delle chemochine (Zhang et al., 2005). Inoltre,

molte chemochine stimolano la fosfolipasi C causando mobilizzazione di Ca2+

nei neuroni

sensitivi (Oh et al., 2002).

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Il meccanismo cellulare alla base dell’eccitazione dei neuroni sensitivi, indotto dalle

chemochine, possiede, almeno, due componenti. La prima consiste nell’attivazione e/o

sensitizzazionne del recettore TRPV1 (Zhang et al., 2005), o della variante meccanosensitiva, il

recettore TRPA1 (Kwan et al., 2006).

La seconda componente ha alla base l’inibizione della conduttanza al K+ che, fisiologicamente,

regola l’eccitabilità neuronale. Studi recenti hanno rivelato che la proteina MIP-1α/CCL3

(‘macrophage inflammatory protein-1α’) aumenta la risposta alla capsaicina nei neuroni positivi

a TRPV1 (Zhang et al., 2005). E’ stata osservata l’attivazione di entrambi i recettori, TRPV1 e

TRPA1, da parte del signaling di MCP-1/CCL2 (‘monocytes chemoattractant protein-1’) nei

neuroni nocicettivi dei DRG precedentemente danneggiati (Jung et al., 2008). In prima istanza il

meccanismo di attivazione sembra essere dovuto alla rimozione, inodotta dalla fosfolipasi C, di

PIP2, responsabile del blocco del canale, anche se, in seconda analisi, sembra possibile che la

trans- attivazione sia dovuta ad eventi legati alla PKC.

Recenti studi dimostrano un ruolo fondamentale delle chemochine e dei loro recettori nel dolore

cronico, osservabile mediante diversi modelli sperimentali di dolore neuropatico nei roditori.

Questi modelli includono: legatura parziale del nervo sciatico (Zhang et al., 2007), costrizione

cronica del nervo sciatico (Milligan et al., 2004), demielinizzazione indotta chimicamente (Jung

et al., 2008) o dolore da tumore osseo (Vit et al., 2006). In ognuno di questi modelli è possibile

osservare un up-regolazione di uno o più recettori delle chemochine nei neuroni dei DRG

associati, o in prossimità, al danno. Inoltre i neuroni sensitivi, associano alla up-regolazione dei

recettori, anche un aumento di sintesi delle chemochine stesse. Quindi, in associazione con il

dolore cronico, gli stessi neuroni dei DRG sembrano up-regolare sia le chemochine che i loro

recettori, suggerendo una forma di regolazione autologa dell’eccitabilità dei DRG da parte di

queste molecole. Ad esempio, è possibile supporre che, in alcune circostanze, i neuroni dei DRG

rilascino chemochine in grado di attivare i recettori espressi dai neuroni stessi o da altri neuroni

nelle vicinanze. Poiché le chemochine possono eccitare i neuroni dei DRG, questo processo può

contribuire all’ipereccitabilità neuronale osservato in alcune condizioni. Dato che le chemochine

svolgono un ruolo centrale nel richiamo dei leucociti, esse possono svolgere, simultaneamente,

un ruolo unico nel coordinare l’infiammazione e l’eccitabilità neuronale.

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1.5 UNA NUOVA FAMIGLIA DI CHEMOCHINE:

BV8/PROCHINETICINE

Le prochineticine costituiscono una nuova famiglia di chemochine pronocicettive indicata come

famiglia di Bv8/Prochineticine.

Le prochineticine sono delle proteine secretorie altamente conservate lungo la scala evolutiva,

dagli invertebrati all’uomo; il primo membro di questa famiglia ad essere isolato fu un

costituente non tossico del veleno del serpente Mamba nero (Dendroaspis polylepsis polylepsis),

chiamato Venom Protein A (VPRA) (Joubert and Strydom, 1980). La scoperta che il VPRA

provocava la contrazione dell’ileo di cavia a concentrazioni nanomolari, portò nel 1990 Schweitz

e colleghi a denominarlo Mamba Intestinal Toxin 1 (MIT-1) (Schweitz et al., 1990).

Nel 1999, una piccola proteina di 77 amminoacidi, ricca in residui di cisteina è stata isolata dalle

secrezioni cutanee della rana Bombina variegata e denominata Bv8, ad indicare la sua origine

(Bombina variegata) e il suo peso molecolare (8 kDa) (Mollay et al., 1999). Omologhi di Bv8

sono stati trovati nelle secrezioni cutanee di altri anfibi Bombina bombina, Bombina orientalis,

Bombina maxima, (Kaser et al., 2003; Negri et al., 2009).

I due peptidi, Bv8 e MIT-1, presentano un’omologia di sequenza del 58 % e questo ha suggerito

che peptidi simili potevano anche essere presenti in altre specie, inclusi i mammiferi. Sono stati

identificati ortologhi di Bv8 mediante la clonazione del cDNA nel topo (Wechselberger et al.,

1999), nel ratto (Masuda et al., 2002) e nell’uomo (LeCouter et al., 2001; Li et al., 2001; Jilek et

al., 2000).

Tutte le proteine della famiglia Bv8/prochineticine presentano delle caratteristiche strutturali

peculiari:

sono costituite da 80-90 amminoacidi e derivano da precursori proteici costituiti da un

peptide segnale, che viene rimosso durante il processo secretivo, e dalla proteina matura;

possiedono un segmento N-terminale AVITGA (alanina, valina, isoleucina, treonina,

glicina, alanina) altamente conservato, determinante per il legame recettoriale e per

l’attività biologica (Bullock et al., 2004; Negri et al., 2005);

contengono dieci residui di cisteina, che formano cinque ponti disolfuro, conferendo alla

molecola una struttura compatta che la protegge dalla degradazione enzimatica.

La maggiore differenza nella sequenza amminoacidica di questa famiglia proteica si ha nella

porzione C-terminale (Kaser et al., 2003).

Li e colleghi identificarono due sequenze umane che codificano per due proteine umane simili a

Bv8, chiamate prochineticina 1 (PK1, una proteina Bv8-like) e prochineticina 2 (PK2, o

mammalian Bv8), in riferimento alla loro capacità di indurre la contrazione dell’ileo di cavia,

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proprietà condivisa con Bv8 e MIT-1 (Li et al., 2001). Contemporaneamente, Ferrara e colleghi

(LeCouter et al., 2001; LeCouter and Ferrara, 2003), analizzando una libreria di proteine

secretive umane, identificarono un proteina che induceva proliferazione, migrazione e

fenestrazione in cellule endoteliali di ghiandole che sintetizzano steroidi (ovaio, testicolo e

corticale del surrene); questa proteina fu denominata “endocrine-gland-derived vascular

endothelial growth factor” (EG-VEGF) poiché i suoi effetti erano simili a quelli indotti da VEGF

sullo stesso modello cellulare. PK1 mostra un’omologia del 76% con la PK2 umana e murina e

del 43% con Bv8 anfibio. EG-VEGF e PK1 sono la stessa proteina.

Nell’ uomo e nel topo i geni che codificano per PK1 e PK2 sono costituiti da tre esoni (Jilek et

al., 2000), ma la sequenza genica di PK2 ha un introne aggiuntivo, la cui inserzione o delezione,

per splicing alternativo tessuto-specifico, produce due varianti proteiche (Wechselberger et al.,

1999) :

- la PK2 canonica, costituita da 81 amminoacidi;

- una forma lunga, costituita da 102 amminoacidi, con 20 aminoacidi addizionali, in

prevalenza basici, la cui funzione non è stata ancora definita, ma che potrebbe

rappresentare il sito bersaglio degli enzimi proteolitici convertasi dando così luogo ad

una forma corta di 41 amminoacidi indicata come PK2β (Jilek et al., 2000; LeCouter et

al., 2003; Chen et al., 2005).

Il gene di PK1 è localizzato sul cromosoma 3 murino e 1p21.1 umano (LeCouter et al., 2003)

mentre, il gene di PK2 è localizzato sul cromosoma 6 murino e sul cromosoma 3p21.1 umano

(Jilek et al., 2000).

A differenza di PK1 e PK2, localizzati su cromosomi differenti, i geni che codificano per le

chemochine si trovano, frequentemente, sullo stesso cromosoma ed i loro loci sono fisicamente

molto vicini (ad esempio, le chemochine CXC sono quasi tutte localizzate sul cromosoma 4q21).

Inoltre, i loci genici di entrambe le prochineticine non si trovano fisicamente vicine ai geni delle

altre famiglie delle chemochine, rendendo improbabile che prochineticine e chemochine, siano

coinvolte in fenomeni di traslocazione in alcune patologie.

La sequenza AVIT N-terminale è essenziale per il corretto legame ai recettori; non è stato ancora

chiarito se le prochineticine subiscono, in vivo, taglio proteolitico ad opera di proteasi

extracellulari. Anche per le chemochine, il dominio N-terminale è essenziale per il legame con il

recettore poiché il taglio dei peptidi all’estremità N-terminale, per opera di proteasi extracellulari

regola la selettività delle chemochine, aumentandone o diminuendone l’attività biologica. Inoltre,

le prochineticine sono altamente basiche, quindi la loro attività può essere regolata tramite il

legame a componenti extracellulari come i proteoglicani solfato. Anche i membri delle altre

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famiglie di chemochine sono altamente basici e la loro attività è strettamente regolata

dall’interazione con l’eparin-solfato della matrice extracellulare. Esiste, però, una marcata

differenza strutturale tra chemochine e prochineticine, poiché, le prochineticine contengono 10

residui di cisteina mentre le chemochine presentano tra i quattro ed i sei residui di cisteina.

Infine, studi filogenetici per valutare il grado di similarità tra prochineticine, chemochine e

defensine (che, come le prochineticine, contengono un alto numero di residui cisteinici) hanno

rivelato una maggiore similarità nella sequenza amminoacidica tra le defensine e le

prochineticine piuttosto che tra queste ultime e le chemochine (Fig. 5) (Monnier and Samson,

2008).

Le Defensine sono una classe di peptidi antimicrobici cationici caratterizzati da un motivo di sei

cisteine che dà origine a tre ponti disolfuro, sono classificate in α-Defensine e β-Defensine, a

seconda della posizione dei tre legami disolfuro intramolecolari. Le α-Defensine nell’uomo sono

prodotte, oltre che dalle cellule del Paneth, anche dai neutrofili circolanti, entrambe le forme

presentano una potente azione antimicrobica sia contro i batteri Gram positivi che negativi.

Recenti studi hanno mostrato come nell’uomo la αDefensina5 (HD-5) e la αDefensina 6 (HD-6)

siano le forme maggiormente espresse nel piccolo intestino. Diversamente da quelli umani, i

neutrofili murini non esprimono α-Defensine, mentre le cellule del Paneth murine secernono 17

differenti α-Defensine, chiamate Criptidine. Le β-Defensine sono sintetizzate da diverse cellule

epiteliali (pelle, tratto respiratorio e tratto gastrointestinale). Diversamente dalle α-Defensine, le

beta sono assenti nei neutrofili circolanti e, contrariamente a quello che accade nelle prime dove

tutte le diverse forme sono attive indistintamente sui batteri Gram positivi e negativi, la β-

Defensina1 e la β-Defensina2 sono più attive contro i batteri Gram negativi, mentre la β-

Defensina3 svolge una potente azione contro i batteri Gram positivi. Questi peptidi mostrano

molteplici attività: antimicrobica, antivirale, antineoplastica e immunomodulatoria (entrambe le

isoforme presentano azione chemotattica sia per le cellule T che per le cellule dendritiche). Tra i

meccanismi regolatori dell’espressione di questi peptidi vi è la via dei Toll-like receptor (TLR).

Numerosi studi hanno evidenziato un legame diretto tra attivazione dei recettori dell’immunità

innata e aumentata produzione di questi peptidi a livello intestinale (Ganz, 2003).

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Figura 5. Comparazione filogenetica tra prochineticine, chemochine e defensine. Da Monnier et al., 2008.

1.5.1 Recettori delle prochineticine

Le proteine appartenenti alla famiglia Bv8/PK sono i ligandi di due recettori accoppiati a

proteine G (GPCR) che sono stati identificati nei mammiferi (Lin et al.,2002a; Masuda et al.,

2002; Soga et al., 2002). I recettori, denominati PKR1 e PKR2, appartengono alla classe del

recettore del Neuropeptide Y (NPY), hanno un’identità complessiva nella loro sequenza

amminoacidica dell’85% (Lin et al., 2002a) e sono simili all’80% con il recettore orfano gpr73

murino inizialmente descritto (Parker et al., 2000).

Le maggiori differenze nella sequenza dei 2 recettori umani (hPKR1 e hPKR2) sono presenti

nella regione N-terminale, che contiene nove residui in più nell’hPKR1 rispetto all’hPKR2, nel

secondo loop intracellulare (ICL2) e nella coda C-terminale. Studi preliminari sul modello

omologo di hPKR1 hanno dimostrato che questi presenta caratteristiche simili ai membri della

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famiglia A dei GPCRs, tra cui la conservazione di tutti i residui chiave e la cisteina palmitoilata

nella coda C-terminale che forma un quarto probabile loop intracellulare. Inoltre, in maniera

simile alla famiglia A dei GPCRs, un ponte disolfuro altamente conservato formato dalle cisteine

Cys217 e Cys137, connette il secondo loop extracellulare (ECL2) con la porzione terminale del

III dominio transmembrana (Levit et al., 2011) (Fig. 6). Analisi di western-blot condotte su

membrane estratte da leucociti polimorfonucleati umani, hanno evidenziato che PKR2 può

essere presente come dimero (Marsango et al., 2011).

Figura 6. Struttura del recettore PKR1 umano.

Per poter identificare i possibili siti di legame, sono state mappate tutte le subunità del recettore;

il sito energicamente favorevole al legame è stato localizzato nella porzione superiore dei domini

transmembrana, tra i domini 3,4,5,6 e 7. La posizione del sito identificato è rappresentata in

figura 7.

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Figura 7. Modello tridimensionale di hPKR1. Nel riqudro, il sito in cui si legano le piccole molecole (da Levit et al.,

2011).

Comparando i siti di legame tra i 2 sottotipi recettoriali si osserva che sono altamente conservati

tra loro, eccetto per un residuo in posizione ECL2: Val207 nel hPKR1, Phel198 nel hPKR2.

Tramite esperimenti di docking molecolare, sono stati identificati residui importanti per

l’interazione con i ligandi: Glu1192.61

, Arg1443.32

, e Arg3076.58

. In particolare la posizione 6.58 è

importante per il legame di piccole molecole ligandi (come i ligandi endogeni PK1 e PK2),

mentre la posizione 2.61, che è occupata dall’acido glutammico, è fondamentale per il legame

degli antagonisti poiché si crea un’interazione elettostatica tra il residuo carico negativamente e

la carica positiva del ligando (Levit et al., 2011).

In membrane di cellule che esprimono PKR1 o PKR2, dati ottenuti tramite esperimenti di

binding recettoriale hanno mostrato che il peptide anfibio Bv8 e il peptide del seprente MIT

hanno un’affinità per PKRs almeno, un ordine di grandezza superiore rispetto a PK2, e due

ordini di grandezza superiore rispetto a PK1. Eccetto MIT, ligando preferenziale per PKR2, tutti

gli altri PKs non mostrano selettività per nessuno dei due recettori. Solo la forma corta di PK2,

PK2β, mostra una chiara selettività per PKR1 (Tab. 2).

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Displacing Ligand Radioligand (pM) PKR1 (Ki, nM) PKR2 (Ki, nM)

Bv8 125

I-Bv8, 10

125I-MIT, 4

0.34

0.69

0.78

0.71

MIT 125

I-MIT, 100 4.1 0.67

PK1 125

I-MIT, 100

125I-PK1, 2000

250.0

104.0

81.0

34.0

PK2 125

I-MIT, 100

125I-PK2, 100

6.9

4.5

7.6

6.4

PK2β 125

I-PK2, 100 34.6 > 1000

Tabella 2. Affinità di legame delle proteine Bv8/PK nei confronti di PKR1 e PKR2

I PKRs sono responsabili dell’attivazione di diverse vie di segnale. In linee cellulari neuronali ed

endoteliali, l’attivazione dei PKRs induce la mobilizzazione del calcio intracellulare attraverso

diversi meccanismi. Uno di questi è l’attivazione di PLCβ tramite proteina Gq con conseguente

formazione di inostolo trifosfato (Lin et al., 2002b) e rilascio di calcio dai compartimenti

intracellulari.

La stimolazione del calcio intracellulare ad opera di PK1 attiva, inoltre, il pathway della

calcineurina che induce defosforilazione del fattore di trascrizione NFAT (‘Nuclear Factor of

Activated T cells’), traslocazione nucleare di NFAT con conseguente regolazione genica (Cook

et al., 2010). Anche se l’induzione della mobilizzazione del calcio in seguito all’attivazione del

recettore è dipendente da Gq, l’attivazione del pathway delle MAPK suggerisce che i PKRs

possano essere accopiati anche ad altri tipi di proteina G come la Gi. L’attivazione della proteina

Gi causa anche fosforilazione delle proteine ERK (‘Extracellular-signal-Regulated kinase) (Lin

et al., 2002b). Nei gangli delle radici dorsali (DRG), l’attivazione dei recettori delle

prochineticine induce aumento di [Ca2+

]i, traslocazione della PKC-ε dal citoplasma alla

membrana neuronale e l’attivazione del canale TRPV1 (Vellani et al., 2006). E’ stato inoltre

riportato un cross-talk tra i pathway attivati da GDNF (‘Glial cell line-Derived Neurotrophic

Factor)/Ret, dal canale TRPV1 e dalle prochineticine (Hu et al., 2006; Ngan and Tam., 2008)

(Fig. 8).

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Figura 8. Vie di trasduzione del segnale delle prochineticine.

1.5.2 Distribuzione e funzione delle prochineticine e dei loro recettori

La distribuzione delle prochineticine e dei loro recettori in vari tessuti fa intendere che questo

sistema possa svolgere diverse funzioni biologiche tessuto-specifiche. Inoltre, la molteplicità di

proteine G accoppiate ai recettori, aumenta ulteriormente la complessità funzionale del sistema.

Queste ultime, permettono alle cellule di svolgere differenti funzioni fisiologiche in risposta alla

stimolazione da parte dello stesso ligando.

Oltre all’iniziale descrizione dell’espressione delle prochineticine nel tratto gastrointestinale e

del loro ruolo nella stimolazione della contrattilità del muscolo liscio, numerosi studi hanno

dimostrato altre funzioni delle prochineticine nei mammiferi, come l’angiogenesi, la

neurogenesi, il ritmo circadiano, il metabolismo, l’emopoiesi, la risposta immunitaria, la

riproduzione e la percezione del dolore. Questo sistema è coinvolto anche in diverse condizioni

patologiche, tra cui il cancro (Shojaei et al., 2007), la risposta immunologica (Monnier and

Samson, 2008), i disturbi dell’umore (ansia/depressione) (Kishi et al., 2009; Li et al., 2009), la

cardiomiopatia (Attramadal, 2009) ed il dolore persistente (Negri et al., 2009).

PK/PKRs sono espressi in numerosissimi organi tra cui il cervello, l’ovaio, il testicolo, la

placenta, la corteccia surrenale, le cellule del sangue periferico, del tratto intestinale, del cuore e

del midollo osseo (Negri et al., 2009; Ngan et al., 2008).

PK1 è prevalentemente espressa nei tessuti steroidogenici tra cui l’ovaio, l’utero, la placenta e le

ghiandole surrenali in risposta ai cambiamenti ormonali durante l’intero ciclo mestruale e la

gravidanza (Maldonado-Perez et al., 2007; Ngan et al., 2006); mentre PK2 è espressa

principalmente (ma non esclusivamente) nel sistema nervoso centrale e nelle cellule non-

steroidogeniche del testicolo (Ferrara et al., 2004; Cheng et al., 2005).

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Entrambi i recettori delle prochineticine sono distribuiti nei tessuti periferici: PKR1 è

ampiamente distribuito nel sistema endocrino, nel tratto gastrointestinale, nei polmoni, nelle

cellule del sangue, nel sistema cardiovascolare e negli organi riproduttivi; l’espressione di PKR2

è stata riportata principalmente negli organi endocrini periferici come ad esempio l’ipofisi, la

tiroide, il testicolo e l’ovaio (Soga et al., 2002).

- Sistema Nervoso Centrale

Nel cervello adulto PKR2 è il principale recettore espresso specialmente nell’ipotalamo, nelle

regioni olfattive ventricolari e nel sistema limbico (Cheng et al., 2002; Cheng et al., 2006). Al

contrario dei loro ligandi, i recettori delle prochineticine possono essere rilevati già dal 7° giorno

embrionale nel topo, suggerendo il loro coinvolgimento nelle fasi precoci dello sviluppo (Negri

et al., 2007; 2009).

Colture primarie di neuroni, astrociti e microglia, da cervello di topo indicano che i neuroni

esprimono PKR2 e PK1, mentre gli astrociti e la microglia in coltura esprimono PKR1 e PK2

(Koyama et al., 2006). PK1, inoltre, è espresso esclusivamente nel tronco encefalico, con grande

abbondanza nel nucleo del tratto solitario (NTS) (Cheng et al., 2006).

PK2, ma non PK1, è il regolatore chiave di diversi processi biologici nel sistema nervoso

centrale. È ampiamente espresso nel cervello di topo e agisce come un fattore neurotrofico

endogeno per supportare la sopravvivenza neuronale (Cheng et al., 2002).

PKR2 è espresso in diverse regioni ipotalamiche, come il nucleo paraventricolare, nucleo arcuato

e l’ipotalamo dorsomediale, che sono le principali regioni che regolano l'assunzione di cibo

(Kalra et al., 1999; Hillebrand et al., 2002). Anche PKR1 è espresso nel nucleo arcuato nonché

nella zona incerta, regione implicata nel comportamento ingestivo (Brown et al., 1980).

Nell’organo subfornicale, la regione del cervello che regola la sete (Gross, 1985), viene espresso

maggiormente il PKR2. Questa distribuzione dei recettori suggerisce che il sistema PK/PKRs sia

in grado di regolare il comportamento ingestivo come la fame e la sete. A sostegno di questa

ipotesi la somministrazione di Bv8 riduce in maniera dose-dipendente l’assunzione di cibo

(effetto anoressizzante) e stimola la sete (effetto dipsogeno) nel ratto (Negri et al., 2004), e la

somministrazione intraperitoneale di PK2 nei topi, riduce l’assunzione di cibo (effetto

anoressizzante); questo effetto manca nei topi PKR1-/-

e viene bloccato dalla somministrazione di

PC1, antagonista preferenziale di PKR1 indicando che l’effetto anoressizzante è mediato da

PKR1 (Beale et al., 2012).

Nel bulbo olfattivo, PK2 induce la migrazione della zona subventricolare derivata da progenitori

neuronali e regola la morfogenesi del bulbo olfattivo (Ng et al., 2005). Coerentemente, topi

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knock-out per PK2 e PKR2 presentano difetti nel bulbo olfattivo. Nell’uomo, mutazioni

puntiformi nei geni codificanti PK2 o PKR2 sono presenti nella sindrome di Kallmann (KS) che

unisce l’anosmia, legata all’alterata morfogenesi del bulbo olfattivo, con l’ipogonadismo, dovuto

alla carenza del rilascio dell’ormone gonadotropina (Pitteloud et al., 2007).

PK2 e PKR2 sono abbondantemente espressi anche nel nucleo soprachiasmatico (SCN) dove

sono implicate nella regolazione del ritmo circadiano (Cheng et al., 2002); la PK2 presenta

elevati livelli di espressione durante il giorno e bassi livelli durante la notte. Il recettore PKR2, è

espresso in diverse aree del sistema nervoso centrale, alcune delle quali sono coinvolte nella

regolazione dell'umore, come ad esempio l’amigdala, il setto laterale, il nucleo paraventricolare e

l’ippocampo.

Una grande varietà di geni è alla base dei meccanismi molecolari che regolano l’orologio del

nucleo soprachiasmatico, quali Clock, Bmal1 e Per3: l’espressione della PK2 nel SCN è attivata

dal complesso Clock/Bmal1, e soppressa da Pers e Crys (Cheng et al., 2002). Diversi studi

hanno dimostrato che i geni Clock, Bmal1 e Per3, sono associati anche a disturbi dell’umore

(Benedetti et al., 2003; Mansour et al., 2006; Nievergelt et al., 2006): si è dimostrato il

coinvolgimento del SCN in comportamenti tipici di ansia e depressione attraverso lesioni del

SCN o l’utilizzo di modelli animali mutati geneticamente (Li et al., 2009).

Scompensi dei ritmi circadiani sono strettamente associati con molti disturbi di umore, come

disturbi bipolari, depressione e ansia. Alcuni dei principali disturbi dell'umore includono

scompensi del ciclo sonno/veglia, appetito, e attività sociale. Sebbene l'associazione tra disturbi

dell'umore e dei ritmi circadiani siano noti da molti anni, i meccanismi molecolari che ne sono

alla base hanno cominciato ad emergere solo di recente. Li et al, hanno dimostrato che la PK2

stabilisce un possibile legame molecolare tra ritmi circadiani e disturbi dell’umore, focalizzando

l’attenzione sul ruolo della PK2 nei comportamenti collegati all’ansia e alla depressione; in

particolare hanno dimostrato che la somministrazione intracerebroventricolare (i.c.v.) di PK2

aumenta i comportamenti legati all’ansia ed alla depressione e che i topi mancanti del gene per

PK2 mostrano un comportamento meno ansioso e depresso dei WT (Li et al., 2009).

- Organi e tessuti periferici

PK1 è anche conosciuto come fattore di crescita vascolare endoteliale derivato dalla ghiandola

endocrina (EG-VEGF) per la sua capacità di funzionare come un mitogeno angiogenico per le

cellule endoteliali derivate negli organi endocrini (LeCouter et al., 2001; Ferrara et al., 2004).

PK/PKRs sono espressi sulle cellule endoteliali dei tessuti vascolari. Sia PK1 che PK2 esercitano

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effetti vascolari che includono la sopravvivenza delle cellule endoteliali capillari, la

proliferazione, la migrazione, la differenziazione e l’induzione della fenestrazione dei vasi

attraverso l’attivazione dei PKRs; più specificamente, l’attivazione di PKR1 induce un aumento

della proliferazione e della sopravvivenza cellulare, mentre PKR2 è implicato nella regolazione

della permeabilità degli endoteli (LeCouter et al., 2003a; Lin et al., 2002b; Kisliouk et al., 2003).

PKR1 è fortemente espresso nelle cellule endoteliali delle arteriole e dei vasi e tramite il

signaling di Gαq11, induce la formazione di strutture simili ai vasi da cellule endoteliali aortiche

umane; mentre il PKR2 è espresso nelle cellule endoteliali fenestrate, come quelle presenti nelle

ghiandole endocrine, corpo luteo, reni e fegato e tramite il signaling di Gα12 interagisce con la

molecole di adesione ZO-1 portando alla formazione delle fenestrae (Guilini et al., 2010).

Le prochineticine ed i loro recettori sono espressi in vari compartimenti cellulari dell’endometrio

umano, in particolare PK1 mostra un modello dinamico di espressione durante il ciclo mestruale

e la gravidanza. PK1 svolge un importante ruolo durante l’impianto e la fase precoce della

gravidanza inducendo il rimodellamento vascolare e aumentando la permeabilità vascolare. Al

contrario, PK2 non è presente nell’ovaio umano e la sua espressione nell’endometrio rimane

costante per tutto il ciclo mestruale (Denison et al., 2008; Maldonado-Pérez et al., 2009). PK1 è

espresso anche nelle cellule di Leydig del testicolo umano in cui probabilmente agisce

promuovendo l’angiogenesi interstiziale per sostenere l’attività endocrina del testicolo.

L’espressione di PK2, invece, è limitata agli spermatociti primari (LeCouter et al., 2003b;

Samson et al., 2004; Wechselberger et al., 1999).

Recentemente, Nebigil e colleghi hanno riportato importanti ruoli per le prochineticine nella

fisiologia e fisiopatologia cardiovascolare. I ruoli del signaling PKs/PKR1 non sono limitati solo

nel promuovere la crescita del capillare endoteliale, ma anche la sopravvivenza dei

cardiomiociti. PK2, tramite l’attivazione di PKR1, induce la formazione di strutture simili a vasi

nelle colture di cellule endoteliali cardiache indipendentemente dall’up-regolazione del fattore di

crescita vascolare endoteliale (VEGF). Inoltre, attiva Akt per proteggere i cardiomiociti dallo

stress ossidativo e salvare il miocardio dall’infarto in un modello murino (Urayama et al., 2007;

2009).

PK1 è altamente espresso in molti tumori maligni e si pensa che sia parzialmente responsabile

dell’angiogenesi neoplastica. Nel cancro colorettale PK1 promuove l’angiogenesi, la

proliferazione cellulare e le metastasi epatiche (Goi et al., 2004), e nel cancro della prostata è

localizzata nelle cellule epiteliali ghiandolari dei tessuti iperplastici e maligni della prostata

(Pasquali et al., 2006). Un’alta espressione dei livelli di PKR1 è associata con caratteristiche

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cliniche maligne del neuroblastoma umano, un tumore pediatrico derivato dalle cellule delle

creste neurali differenziate in modo errato (NCC) (Ngan et al., 2007).

Un altro ruolo per le prochineticine è stato rivelato nell’ematopoiesi e nella regolazione della

risposta immunitaria. Le prochineticine possono promuovere la sopravvivenza e la

differenziazione della progenie dei granulociti e dei monociti, oltre a stimolare la mobilizzazione

delle cellule ematopoietiche per modulare la risposta immunitaria (LeCouter et al., 2004).

1.5.3 Ruolo delle prochineticine nella nocicezione e nel dolore

Sia PKR1 che PKR2 sono espressi nei gangli delle radici dorsali (DRG), nelle lamine esterne

delle corna dorsali del midollo spinale e nelle terminazioni periferiche degli assoni dei

nocicettori, indicando che questi recettori possono svolgere un ruolo nel ‘signaling’ nocicettivo

(Negri et al., 2006). Nei roditori, iniezioni locali, sistemiche e intratecali di dosi molto basse di

BV8 (omologo anfibio di PK2) abbassano la soglia nocicettiva agli stimoli termici, meccanici e

chimici tramite l’attivazione sia di PKR1 che PKR2 nei neuroni sensitivi primari (Negri et al.,

2002). Questo aumento dell’eccitabilità dei nocicettori risulta da un’interazione funzionale tra

PKR1 e TRPV1 che sono co-espressi nel ganglio della radice dorsale; in particolare il nostro

gruppo ha dimostrato che PKR1 è espresso maggiormente nelle fibre C e Aδ e nelle fibre

peptidergiche. In colture primarie di neuroni di DRG il 70% dei neuroni che esprimono TRPV1

co-esprimono PKR1, mentre una percentuale minore (~ 9,5%) co-esprime PKR2. La metà dei

neuroni che risponde a Bv8 esprime e rilascia neuromediatori implicati nella trasmissione dello

stimolo doloroso come CGRP e SP. Nella sub-popolazione di neuroni IB4+, che esprime un

ridotto numero di PKRs funzionali, l’esposizione delle colture al fattore neurotrofico derivato da

cellule gliali (GDNF) ha indotto l’espressione “de novo” di PKRs funzionali che suggerisce una

possibile up-regolazione dei PKRs dopo il danno tissutale e l’infiammazione (Vellani et al.,

2006; Negri et al., 2007).

È stato riportato che topi mancanti del gene per PKR1, PKR2 o PK2 mostrano un’alterata

percezione del dolore a vari stimoli (termici, meccanici, e alla capsaicina) (Negri et al., 2006; Hu

et al., 2006). Queste scoperte indicano un ruolo dei PKRs nella modulazione della nocicezione

acuta e del dolore infiammatorio e un ruolo delle PKs nell’attivazione dei nocicettori e nella

sensitizzazione. Il possibile coinvolgimento del sistema Bv8/prochineticine nella modulazione

centrale della percezione del dolore è descritto dallo studio che dimostra che la somministrazione

di Bv8 intra- sostanza grigia periacqueduttale (PAG) esercita un’azione pro-nocicettiva

aumentando il tono GABA-ergico intrinseco che, a sua volta, è responsabile dell’inibizione dei

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neuroni antinocicettivi della PAG che sinaptano con i neuroni del RVM (deNovellis et al.,

2007).

Recenti studi condotti sui roditori dal nostro gruppo di ricerca evidenziano un ruolo critico di

PK2 anche nel dolore infiammatorio mediato dai granulociti. Organi linfoidi, leucociti e cellule

ematopoietiche circolanti, sinoviociti, cellule dendritiche e cellule gliali esprimono

costitutivamente moderati livelli di prochineticine (LeCouter et al., 2004; Dorsch et al., 2005).

Abbiamo dimostrato che in modelli animali di dolore infiammatorio indotto dall’adiuvante

completo di Freund (CFA), l’espressione di PK2 e PK2L nella pelle della zampa di topo aumenta

fortemente e correla con lo sviluppo e la durata del dolore. Studi di ibridazione in situ eseguiti su

sezioni di zampa infiammata, ed esperimenti di RT-PCR hanno dimostrato che i neutrofili sono

la principale fonte di PK2 ed in particolare la risposta infiammatoria indotta da iniezioni locali di

CFA amplifica la trascrizione genica di PK2 in cellule polimorfonucleate (PMN) non solo a

livello locale nella zampa, ma anche a livello sistemico (Giannini et al., 2009). Il meccanismo

alla base dell’up-regolazione della PK2 nei granulociti indotto dall’infiammazione può dipendere

dal precoce e rapido aumento dei livelli plasmatici del fattore stimolante le colonie di granulociti

(G-CSF) negli animali trattati con CFA (Bobrowski et al., 2005). Il gruppo di Ferrara ha

dimostrato che il G-CSF è l’unica citochina in grado di indurre la trascrizione di PK2, tramite

l’attivazione di STAT3 che lega il sito promotore del gene di PK2 (Qu et al., 2012), in cellule

CD11b+Gr1+ derivate dal midollo osseo (Shojaei et al., 2007). L’attivazione di STAT3 ad opera

del G-CSF è stata recentemente dimostrata, anche, nei neuroni dei DRG e negli astrociti ma non

nella microglia (Tsuda et al., 2011). Il G-CSF è il principale regolatore della granulopoiesi e

della mobilizzazione dei neutrofili dal midollo osseo; quindi, l’aumento precoce dei livelli di G-

CSF nel plasma degli animali trattati con CFA potrebbe spiegare l’aumento sistemico della

trascrizione di PK2 nei granulociti della milza e della zampa.

PK2, rilasciato nei tessuti infiammati, innesca un ulteriore reclutamento dei macrofagi. Abbiamo

dimostrato che Bv8, in vitro, stimola i macrofagi a migrare e a produrre citochine

proinfiammatorie (IL-1 e IL-12), mentre diminuisce le citochine anti-infiammatorie (IL- 10).

Bv8 altera anche l’equilibrio Th1/Th2 favorendo una risposta di tipo Th1. Tutti questi effetti

dipendono dall’attivazione di PKR1 poiché non si manifestano nei linfociti e nei macrofagi di

topi PKR1-/-

(Martucci et al., 2006; Franchi et al., 2008).

Topi mancanti di PKR1 mostrano una diminuzione significativa dell’iperalgesia indotta

dall’infiammazione ed una riduzione nell’up-regolazione di PK2. Anche i topi mancanti di PKR2

mostrano una minore iperalgesia indotta da infiammazione, ma la delezione del gene PKR2 non

influenza l’up-regolazione di PK2 indotta dall’infiammazione. Questi dati dimostrano che

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entrambi i recettori sono responsabili del dolore infiammatorio ma solo PKR1 è coinvolto nella

regolazione dell’aumento dei livelli dell’espressione di Bv8 nell’infiammazione. L’attivazione di

PKR1 presente sui granulociti e macrofagi da parte di Bv8/PK2 rilasciato nel sito di

infiammazione può promuovere il loro ulteriore ‘recruitment’ (Martucci et al., 2006) e la loro

sopravvivenza tramite meccanismi paracrini e autocrini, direttamente o in maniera sinergica con

il G-CSF (Shojaei et al., 2007; LeCouter et al., 2004). Questi risultati suggeriscono un ruolo

fondamentale del sistema Bv8/prochineticine nell’infiammazione e nel dolore infiammatorio,

almeno nei roditori. Quindi, la riduzione dell’espressione di Bv8/PK2 o l’antagonizzazione dei

PKRs potrebbe costituire una promettente strategia per un approccio terapeutico.

1.5.4 Antagonisti dei recettori delle prochineticine

Alla luce del coinvolgimento del sistema delle prochineticine in diverse funzioni biologiche e

patologiche diventa di enorme interesse l’utilizzo di antagonisti dei PKRs nel trattamento e nella

prevenzione di varie patologie legate ad esse.

I membri della famiglia AVITGA interagiscono con i recettori PKR1/PKR2 orientando la

regione della proteina compresa tra la sequenza AVITGA e il residuo conservato di triptofano in

posizione 24 (Trp24) (Miele et al., 2010). Analisi computerizzate di docking molecolare hanno

suggerito che modifiche nella struttura primaria di Bv8 in alcune posizioni amminoacidiche,

dalla 6 alla 40, potrebbero produrre molecole con una affinità alterata e/o un’efficacia differente

nell’attivazione dei recettori PKRs.

Le prime molecole ottenute sono state dei derivati di Bv8 che mancano di uno (des-Ala-Bv8) o

due (des-Ala-Val-Bv8) residui all’N-terminale della molecola (Negri et al., 2005). des-Ala-Bv8

presenta un’affinità recettoriale cinque volte più bassa di Bv8 per i recettori PKR mentre des-

Ala-Val-Bv8 presenta un’affinità recettoriale duecento volte più bassa di Bv8 per i recettori

PKR. Esperimenti in vivo, nei topi e nei ratti, dimostrano che des-Ala-Val-Bv8 è in grado di

antagonizzare l’iperalgesia indotta da Bv8 legandosi ai PKRs sulle terminazioni periferiche e

centrali dei neuroni sensitivi primari (Negri et al., 2005).

Sostituendo il triptofano in posizione 24 nella molecola di Bv8 anfibio con l’amminoacido

alanina (Miele et al., 2010) si è ottenuto un nuovo composto chiamato A-24. Studi condotti nel

laboratorio dove ho svolto la tesi, dimostrano che A-24 lega preferenzialmente il recettore PKR2

dove agisce come agonista, con potenza di poco inferiore a Bv8, ma lega anche PKR1, dove

agisce da antagonista. A-24 nel ratto e nel topo è un anti-iperalgesico potente e di lunga durata

(Lattanzi et al., 2012).

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Le molecole peptidiche tuttavia, poiché sono facilmente degradabili ad opera delle proteasi, sono

poco adatte ad essere usate come farmaci ed è per questo motivo che il mio gruppo di ricerca, in

collaborazione con i Prof. Salvadori e Prof. Balboni, si è dedicato alla progettazione, sintesi e

studio di nuove molecole non peptidiche che, avendo come bersaglio i recettori PKRs delle

prochineticine, possano avere un ruolo importante nel trattamento del dolore. Sulla base della

sintesi e della caratterizzazione farmacologica di alcuni antagonisti non-peptidici delle

prochineticine depositati dalla Janssen Pharmaceutica e dalla Merck (Coats et al., 2006a, 2006b,

2007; Thompson and Melamed, 2007), sono stati sintetizzati diversi composti triazinici. Il

composto prototipo è stato chiamato PC1 (Balboni et al., 2008).

Figura 9. Struttura molecolare di PC1.

PC1 è caratterizzato da un gruppo triazinico che contiene le seguenti sostituzioni: N1 e N

5 legano

il gruppo 4-metossibenzile e 4-etilbenzile, rispettivamente; il C2 lega il gruppo amino-etil-

guanidinico. PC1 mima le caratteristiche strutturali richieste per il legame al recettore di Bv8,

infatti il motivo triazino-guanidinico di PC1 mima la sequenza AVIT N-terminale, mentre il

motivo metossibenzilico di PC1 è orientato come il triptofano in posizione 24 (Fig. 9) (Balboni

et al., 2008).

Con opportune sostituzioni nella molecola di PC1, sono stati ottenuti altri composti in fase di

studio (PCs) (Tab. 3); in particolare, l’inserzione di gruppi alogeni, ha portato alla sintesi di tre

composti chiamati: PC7, PC25 e PC27 (Fig. 10).

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Figura 10. Struttura molecolare di PC7, PC25 e PC27. In rosso, i gruppi alogeni.

2. SCOPO DELLA TESI

Alla luce di questi dati, scopo del progetto di ricerca di cui ho fatto parte durante i miei anni di

dottorato è stato quello di approfondire le conoscenze sul ruolo funzionale delle prochineticine e

dei loro recettori, che possono essere dei nuovi targets molecolari per lo sviluppo di farmaci

innovativi.

Io mi sono dedicato, in particolare, alla caratterizzazione farmacologica di una vasta libreria di

derivati triazinici. In questo mio lavoro di tesi vado a dimostrare l’efficacia anti-iperalgesica ed

anti-infiammatoria del composto di riferimento, PC1, in diversi modelli animali di dolore

valutandone gli effetti periferici e centrali. Inoltre, riporto i dati preliminari riguardanti i derivati

alogenati di PC1 che dimostrano una maggiore selettività per il recettore PKR1.

Ho valutato:

- la selettività e l’affinità di PC1 e dei suoi analoghi alogenati verso i PKRs sia in vitro che

in vivo;

- gli effetti di PC1 sull’iperalgesia indotta da Bv8 per diverse vie di somministrazione;

- la potenza analgesica ed anti-infiammatoria di PC1 in confronto all’indometacina;

- il meccanismo d’azione in modelli di infiammazione e neuropatia;

- gli effetti comportamentali.

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3. RISULTATI

Abbiamo studiato la relazione struttura-attività (SAR ‘Structure-Activity Relationship’) di tutti i

composti triazinici, sia in vitro che in vivo; oltre al capostipite PC1, i dati ottenuti hanno

permesso di identificare, tra tutti, i composti PC7, PC25 e PC27 come i più potenti. Studi di

binding recettoriale su preparati di membrane di cellule CHO stabilmente transfettate con il

recettore PKR1 o con il recettore PKR2 dimostrano che PC1 è in grado di spiazzare il ligando

marcato 125

I-MIT da entrambi i recettori delle prochineticine a concentrazioni dell’ordine delle

nmoli; in particolare PC1 risulta un ligando preferenziale, con un rapporto 1/20, per il recettore

PKR1 (IC50 = 104 nM per PKR1 vs IC50 = 1861 per il PKR2).

Tutti i PCs sono stati testati tramite saggio BRET; i dati ottenuti confermano la preferenzialità di

PC1 verso il PKR1 (IC50 = 144 nM per PKR1 vs IC50 = 2964 per il PKR2) e dimostrano che i

composti in cui all’interno della molecola sono presenti i gruppi alogeni, in particolare PC7 e

PC25, sono più selettivi per PKR1.

PC7 mostra una preferenzialità di legame, di circa 70 volte, verso il PKR1 (IC50 = 63 nM per

PKR1 vs IC50 = 4399 per il PKR2) ed è più affine, di circa 2 volte, per il PKR1 rispetto a PC1.

PC25 mostra una preferenzialità di legame, di circa 300 volte, verso il PKR1 (IC50 = 8 nM per

PKR1 vs IC50 = 2162 per il PKR2) ed è più affine, di circa 17 volte, per il PKR1 rispetto a PC1.

In PC27, invece, l’aggiunta del gruppo trifluorometilico sulla catena laterale N5 riduce

notevolmente (~ 50 volte) l’affinità per PKR1 ma anche per PKR2 (~ 15 volte) rispetto a PC1.

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Compound

(m.w.)

in vivo

(EC100, nmol)

BINDING

(IC50,nM)

BRET

(IC50, nM)

W.T R1-/- R2-/- PKR1 PKR2 PKR1 PKR2

PC1 (680) 0.015, 0.15, 0.015 104 1861 144 2964

PC2 (638) 0.047 1861 47000

PC3 (705) 0.14 19942 14200 >10000 >10000

PC5 (905) 0.11 >10000 >10000

PC6 (651) 0.15 <10000 >10000

PC7 (670) 0.0015, 0.015,0.00015 63 4399

PC8 (652) 0.15 <10000 >10000

PC9 (649) 0.15 >10000 >10000

PC10 (792) 0.038 <10000 <10000

PC11 (675) 1.48 >10000 >10000

PC12 (678) 0.15 >10000 >10000

PC13 (679) 0.15 <10000 <10000

PC14 (705) 0.42 >10000 >10000

PC15 (666) 0.015 <10000 <10000

PC16 (669) 0.015 <10000 >10000

PC17 (682) 0.15 <10000 <10000

PC18 (686) 0.014 <10000 <10000

PC19 (711) 0.0014 <10000 >10000

PC20 (669) 0.015 >10000 >10000

PC21 (845) 0.012 <10000 <10000

PC22 (645) 0.15 >10000 >10000

PC23 (720) 0.14 <10000 >10000

PC24 (730) 0.014 <10000 >10000

PC25 (730) 0.0014, 0.014, 0.00004 8 2162

PC26 (720) 0.014 <10000 >10000

PC27 (704) 0.00014, 0.0014,0.00014 6186 42112

PC28 (704) 0.014 <10000 >10000

PC29 (666) 0.015 <10000 >10000

PC30 (670) 0.15 <10000 >10000

PC31 (686) 0.014 <10000 >10000

PC32 (720) 0.14 <10000 >10000

PC33 (696) 0.14 <10000 <10000

PC34 (777) 0.13 <10000 <10000

PC35 (777) 0.13 <10000 <10000

PC36 (697) 0.14 <10000 <10000

PC37 (637) 0.16 >10000 >10000

PC38 (704) 0.014 <10000 <10000

PC39 (714) 0.0014 <10000 <10000

PC40 (621) 0.016 >10000 >10000

PC41 (670) 0.15 <10000 <10000

PC42 (591) 0.0017 >10000 >10000

PC43 (607) 0.00016 <10000 <10000

PC44 (718) 0.00014 <10000 <10000

Tabella 3. Antagonisti triazinici dei PKRs.

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36

La disponibilità nel nostro laboratorio di topi transgenici mancanti del PKR1 o del PKR2 ci ha

permesso di valutare anche “in vivo” la preferenza per l’uno o l’altro recettore valutando la dose

necessaria a contrastare l’iperalgesia indotta da una stessa dose di Bv8 (5 ng, i.pl.) nei due

genotipi. Nei topi PKR2-/-

, la somministrazione locale di PC1 (i.pl.) alla dose di 10 ng (0.015

nmol) antagonizza l’iperalgesia indotta dalla somministrazione locale di Bv8 5 ng (i.pl, 630

fmol), mentre nei topi PKR1-/-

è necessaria una dose 10 volte maggiore, 100 ng, (0.15 nmol) per

ottenere lo stesso effetto, in accordo con i dati ottenuti in vitro sulla preferenzialità di PC1 verso

PKR1 (Fig. 11). Anche i composti PC7 e PC25, nei topi PKR1-/-

e PKR2-/-

, sono in grado di

antagonizzare l’iperalgesia indotta da Bv8, mantenendo costante il rapporto di dose ottenuto in

vitro. Contrariamente a quanto ottenuto con il saggio BRET, PC27 risulta essere molto potente in

vivo, poiché è in grado di antagonizzare l’iperalgesia indotta da Bv8 a dosi molto basse (0.0014

nmol nei PKR1-/-

, 0.00014 nmol nei PKR2-/-

), facendo ipotizzare che PC27 sia un profarmaco

che necessita di essere attivato per poter svolgere la sua attività. Comunque, tale interessante

differenza sarà oggetto di studio.

0 30 60 90 120 150 180-75

-50

-25

0

25

Bv8

PC1 10 ng + Bv8

PKR1(-/-)

PC1 100 ng + Bv8

*** ****** ***

%

NT

Time (min)

***

0 30 60 90 120 150 180-75

-50

-25

0

25

Bv8

PC1 10 ng + Bv8

PC1 1 ng + Bv8

PKR2(-/-)

********* *** ***

Time (min)

%

NT

Iperalgesia termica

Figura 11. Curva tempo-risposta della variazione percentuale della soglia nocicettiva dei topi PKR1- e PKR2--/-

sottoposti a stimoli termici dopo somministrazione i.pl. di Bv8 (5 ng).

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37

3.1 CARATTERIZZAZIONE FARMACOLOGICA DEL LEAD

COMPOUND PC1

3.1.1 “IN VITRO”

In colture cellulari di cellule CHO stabilmente transfettate con il recettore PKR1:

PC1 (100 nM) blocca l’aumento dei transienti intracellulari di Ca++

Bv8-indotti (1 nM)

(Fig. 12).

Figura 12. PC1 (100 nM) blocca i transienti di Ca++

intracellulare indotti da Bv8 (1 nM) in cellule CHO transfettate

con PKR1.

Il pre-trattamento (-30 min) con PC1 riduce (300 nM) e blocca (1 µM) la fosforilazione

di p44/42 MAPK indotta da Bv8 (1 nM) (Fig. 13).

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38

Bas

Bv8

1 n

M

PC1

100

nM

PC1

100

nM +

Bv8

1 n

M

PC1

300

nM

PC1

300

nM +

Bv8

1 n

M

0

100

200

300

400

500 *** ***%

p-M

AP

K e

xp

res

sio

n

Bas

Bv8

1 n

M M

PC1

1

M +

Bv8

1 n

M

PC1

1

0

100

200

300

400

500 ******

% p

-MA

PK

ex

pre

ss

ion

B

Figura 13. Western Blotting: A) le cellule sono pre-trattate con PC1 (100 nM, 300 nM e 1µM, -30’), stimolate con

Bv8 (1 nM per 10’) e quindi processate per l’analisi dell’immunoreattività per p44/p42 MAPK. La coppia di bande

si riferisce alle forme fosforilate di p44/p42 MAPK. B) PC1 antagonizza in maniera dose-dipendente la

fosforilazione di p44/p42 MAPK Bv8-indotta. PC1 100 nM è inefficace nel bloccare la fosforilazione di p44/p42

MAPK Bv8-indotta.

3.1.2 “IN VIVO”

L’azione anti-iperalgesica di PC1 è selettiva per i recettori PKRs; infatti, nel topo WT la

somministrazione locale di PC1 (10-100 ng/zampa) annulla l’iperalgesia termica indotta dalla

somministrazione i.pl di Bv8 (0.5 ng/zampa) ma è totalmente inefficace, sia alla dose di 10 che

alla dose di 100 ng/zampa, nell’antagonizzare l’iperalgesia termica indotta da altri agenti

algogeni, quali bradichinina (BK: 2 µg/zampa) e prostaglandina E2 (PGE2: 1 µg/zampa) e nel

ridurre il tempo di leccamento della zampa indotto dalla somministrazione i.pl. del 2-

metiltioATP (ATP: 100 nmol/zampa). La somministrazione di PC1 alla dose di 10 ng/zampa non

è in grado di ridurre l’iperalgesia indotta dalla somministrazione di capsaicina (Caps: 12

µg/zampa), mentre la dose di 100 ng/zampa di PC1 riduce totalmente l’iperalgesia indotta da

capsaicina, a conferma della già dimostrata cooperazione tra il recettore PKR1 e TRPV1 (Fig.

14) (Negri et al., 2006; Vellani et al., 2006).

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39

0

5

10

15

0

25

50

BK PGE2 ATP

PC1 10 PC1 100Saline

CapsBv8Saline

*** ***

Pa

w w

ith

dra

wa

l la

ten

cy

(s

) To

tal p

aw

-lifting

time

(s)

Figura 14. Nei topi, il pretrattamento con PC1 annulla l’iperalgesia termica indotta da Bv8. E’ totalmente inefficace

nell’antagonizzare l’iperalgesia indotta da BK e PGE2 e nel ridurre il tempo di leccamento della zampa indotto dalla

somministrazione ATP, ma ad una dose 10 volte maggiore riduce l’iperalgesia indotta da capsaicina.

3.2 PC1 ANTAGONIZZA L’IPERALGESIA INDOTTA DA BV8: DIVERSE

VIE DI SOMMINISTRAZIONE

3.2.1 Contro Bv8 intraplantare (0.5 ng)

Nel ratto, la somministrazione intraplantare (i.pl.) di 0.5 ng di Bv8 determina iperalgesia

monofasica, limitata alla sola zampa iniettata, della durata di circa 3 ore.

La pre-somministrazione (-5’) di PC1 (1-3-10 ng), nella zampa (i.pl.) ipsilaterale, cioè nello

stesso sito di iniezione di Bv8, antagonizza in maniera dose-dipendente l’iperalgesia meccanica

indotta da Bv8: 1 ng è praticamente inefficace, 3 ng impedisce la comparsa di iperalgesia per i

primi 30 minuti, 10 ng annulla l’iperalgesia (Fig. 15A). Invece, quando iniettate nella zampa

controlaterale sono necessarie dosi circa 600 volte superiori di PC1 per ridurre (2000 ng) o

bloccare totalmente (6000 ng) l’iperalgesia indotta da Bv8 (Fig. 15B).

Anche la pre-somministrazione (-5’) di PC1 per via intratecale (i.t.) antagonizza in maniera dose-

dipendente l’iperalgesia meccanica indotta da Bv8: infatti, la dose di 10 ng ha sempre effetto

massimale, in quanto annulla l’iperalgesia, 3 ng la riduce parzialmente ed 1 ng è inefficace (Fig.

15C).

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40

PC1 ipsilaterale (ng i.pl., -5') + Bv8 i.pl.

0 30 60 90 120 150 180-75

-50

-25

0

25

Bv8

PC1 1 + Bv8

PC1 3 + Bv8

PC1 10 + Bv8

****** *** *

***

'''

'''

'''

***

'

Time (min)

%

NT

0 30 60 90 120 150 180-75

-50

-25

0

25

PC1 controlaterale (ng i.pl., -5') + Bv8 i.pl.

Bv8PC1 2000 + Bv8PC1 6000 + Bv8

'

'

****** *** *** ***

Time (min)

N

T%

A B

Figura 15. Effetto della somministrazione locale di PC1 nella zampa ipsilaterale (A) e controlaterale (B)

sull’iperalgesia meccanica indotta dalla somministrazione locale di Bv8 (0.5 ng, i.pl.).

PC1 (ng i.t., -5') + Bv8 i.pl.

0 30 60 90 120 150 180-75

-50

-25

0

25

Bv8

PC1 10 + Bv8

PC1 3 + Bv8

PC1 1 + Bv8

* *** *** ***

''

''

Time (min)

*** **

'''''

C

%

NT

Figura 15. Effetto della somministrazione locale di PC1 (i.t., C) sull’iperalgesia meccanica indotta dalla

somministrazione locale di Bv8 (0.5 ng, i.pl.).

La pre-somministrazione (-15’) sistemica di PC1 sia per via sottocutanea (1.5-5-15 µg/kg ~ 600-

2000-6000 ng/ratto, s.c.; Fig. 15D) che tramite gavaggio orale (5-7.5-15 µg/kg ~ 2000-3000-

6000 ng/ratto; Fig. 15E) antagonizza in maniera dose-dipendente l’iperalgesia meccanica indotta

dalla somministrazione i.pl. di 0,5 ng di Bv8; anche in questo caso la dose più alta (15 µg/kg ~

6000 ng/ratto) ha effetto massimale impedendo la comparsa dell’iperalgesia Bv8-indotta.

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41

PC1 (g/kg s.c., -15') + Bv8 i.pl.

0 30 60 90 120 150 180-75

-50

-25

0

25

PC1 15 ( 6000 ng/ratto) + Bv8

PC1 1,5 ( 600 ng/ratto) + Bv8

PC1 5 ( 2000 ng/ratto) + Bv8

Bv8

** *** *** ***

''

***

'''

Time (min)

%

NT

PC1 (g/kg oral gavage, -15') + Bv8 i.pl.

0 30 60 90 120 150 180-75

-50

-25

0

25

PC1 15 ( 6000 ng/ratto) + Bv8

PC1 5 ( 2000 ng/ratto)+ Bv8

Bv8

PC1 7,5 ( 3000 ng/ratto) + Bv8

''''' ''

*** *** *** *** *

Time (min)

%

NT

D E

Figura 15. Effetto della somministrazione sistemica di PC1 (s.c., D; oral gavage, E) sull’iperalgesia meccanica

indotta dalla somministrazione locale di Bv8 (0.5 ng, i.pl.).

La somministrazione locale di PC1 (10 ng), periferica (nella zampa ipsilaterale) e centrale

(intratecale), antagonizza l’iperalgesia indotta dalla somministrazione intraplantare di Bv8.

L’effetto anti-iperalgesico locale di PC1 è dovuto al blocco dei recettori PKR presenti sia sui

nocicettori periferici che a livello del midollo spinale. E’ necessaria una dose più alta di PC1 (15

µg/kg ~ 6000 ng/ratto) quando somministrato per via sistemica (nella zampa controlaterale,

sottocute nel fianco o per gavaggio orale) per bloccare totalmente l’iperalgesia indotta dalla

somministrazione i.pl. di Bv8.

E’ interessante notare che le dosi efficaci per os sono dello stesso ordine di grandezza di quelle

efficaci per via sottocutanea.

3.2.2 Contro Bv8 intratecale (0.5 ng)

La somministrazione i.t. di Bv8 (0.5 ng) induce una caratteristica iperalgesia bifasica della durata

di 6 ore.

La pre-somministrazione locale (-5’; 1-3-10 ng; Fig. 16A) o sistemica (-15’; 5-15 µg/kg ~ 2000-

6000 ng/ratto, s.c.; Fig. 16B) di PC1 antagonizza in maniera dose-dipendente sia il primo che il

secondo picco di iperalgesia meccanica.

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42

PC1 (ng i.t., -5') + Bv8 i.t.

0 60 120 180 240 300-75

-50

-25

0

25

Bv8PC1 3 + Bv8

PC1 1 + Bv8PC1 10 + Bv8

*** *** *** ** ***

'

'''

'''

*** *

'''

'''

Time (min)

%

NT

PC1 (g/kg s.c., -15') + Bv8 i.t.

0 60 120 180 240 300-75

-50

-25

0

25

PC1 5 + Bv8

PC1 15 + Bv8

Bv8

****** ***

*** *** ******

''

'' ''

Time (min)

%

NT

A B

Figura 16. Effetto della somministrazione locale (i.t., A) e sistemica (s.c., B) di PC1 sull’iperalgesia meccanica

indotta dalla somministrazione locale di Bv8 (0.5 ng, i.t.).

La pre-somministrazione i.pl. di PC1 alla dose di 10 ng abolisce solo la prima (quando iniettato 5

min prima di Bv8) (Fig. 16C) o solo la seconda fase (quando iniettato 150 min dopo Bv8) (Fig.

16D) dell’iperalgesia meccanica indotta da Bv8 nella zampa iniettata con PC1; l’effetto dura

circa 2 ore. L’iperalgesia della zampa controlaterale non viene antagonizzata.

0 60 120 180 240 300-75

-50

-25

0

25

Bv8

injected paw: PC1 10 + Bv8

PC1 (ng i.pl., -5') + Bv8 i.t.

*** *** *** ***

non injected paw

PC1

Time (min)

%

NT

PC1 (ng i.pl., +150') + Bv8 i.t.

0 60 120 180 240 300-75

-50

-25

0

25

injected paw: PC1 10 + Bv8

Bv8

%

NT

PC1

****** ***

non injected paw

Time (min)

C D

Figura 16. Effetto della somministrazione locale (i.pl. -5’, C; +150’, D) di PC1 sull’iperalgesia meccanica indotta

dalla somministrazione locale di Bv8 (0.5 ng, i.t).

Ciò significa che la somministrazione i.t. di PC1 è in grado di bloccare sia l’effetto diretto che la

sensitizzazione centrale; anche la somministrazione s.c., alla dose di 15 µg/kg, è in grado di

bloccare le due fasi. Dal momento che abbiamo dimostrato che il secondo picco di iperalgesia

dipende da una sensitizzazione centrale (De Felice et al., 2012) possiamo ipotizzare che solo la

dose più alta, quella di 15 µg/kg, sia sufficiente per superare la barriera emato-encefalica (BEE)

e diffondere a livello del midollo spinale. La somministrazione topica della dose bassa di PC1

(10 ng) nella zampa ha effetto soltanto sull’iperalgesia locale; la stessa bassa dose somministrata

150 min dopo Bv8 blocca il secondo picco di iperalgesia perché blocca quello che è uno stato di

ipersensibilizzazione del nocicettore. Questi dati confermano che PC1 antagonizza l’effetto

iperalgesico di Bv8 mediante il blocco dei suoi recettori che può essere ottenuto per applicazione

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43

topica sui nocicettori (i.t. o i.pl.) con dosi dell’ordine di 10 ng o per somministrazione sistemica

con dosi 600 volte maggiori.

3.2.3 Contro Bv8 sottocute (200 ng/kg)

La somministrazione sistemica di 200 ng/kg di Bv8 induce la tipica iperalgesia bifasica, tale

iperalgesia è completamente antagonizzata dalla pre-somministrazione intratecale di PC1 (10 ng,

Fig. 17A) e dalla dose sistemica di 15 µg/kg di PC1 pre-somministrata (-15’) per via

sottocutanea (Fig. 17B) o tramite gavaggio orale (Fig. 17C).

PC1 (ng i.t., -5') + Bv8 s.c.

0 60 120 180 240 300 360-75

-50

-25

0

25

Bv8PC1 10 + Bv8

Time (min)

****** *** ***

* *** ** *** *** ***

%

NT

PC1 (g/kg s.c., -15') + Bv8 s.c.

0 60 120 180 240 300 360-75

-50

-25

0

25

Bv8PC1 15 + Bv8

Time (min)

PC1 5 + Bv8

*** *** *** *** *** **** *** ***

%

NT

PC1 (g/kg oral gavage, -15') + Bv8 s.c.

0 60 120 180 240 300 360-75

-50

-25

0

25

Bv8

PC1 15 + Bv8

Time (min)

PC1 5 + Bv8

PC1 7,5 + Bv8

***

'''

*** ****** *** *** ***

''''''

''''''

'''

***

%

NT

A B C

Figura 17. Effetto della somministrazione intratecale (i.t. -5’, A) e sistemica (s.c. e gavaggio orale -15’, B e C) di

PC1 sull’iperalgesia meccanica indotta dalla somministrazione sistemica di Bv8 (200 ng/kg, s.c.).

PC1, alla dose locale di 10 ng i.pl., antagonizza, per circa 2 h, solo il primo (quando iniettato 5

min prima di Bv8) (Fig. 17D) o solo il secondo picco (quando iniettato 150 min dopo Bv8) (Fig.

17E) dell’iperalgesia meccanica indotta dalla somministrazione s.c. di 200 ng/kg di Bv8.

L’iperalgesia della zampa controlaterale non viene antagonizzata.

0 60 120 180 240 300 360-75

-50

-25

0

25

%

NT

PC1 (ng i.pl., -5') + Bv8 s.c.

injected paw: 10 + Bv8 Bv8

*** ******

******

non injected paw

PC1

Time (min)

0 60 120 180 240 300 360-75

-50

-25

0

25PC1 (ng i.pl., +150') + Bv8 s.c.

injected paw: PC1 10 + Bv8 Bv8

non injected paw

PC1

Time (min)

%

NT

D E

Figura 17. Effetto della somministrazione locale (i.pl. -5’, D; +150’, E) di PC1 sull’iperalgesia meccanica indotta

dalla somministrazione sistemica di Bv8 (200 ng/kg, s.c.).

PC1, somministrato direttamente per via centrale o per via sistemica (sia sottocutanea che orale)

antagonizza l’iperalgesia indotta dalla somministrazione sottocutanea di Bv8. Anche contro la

somministrazione di Bv8 s.c. la pre-somministrazione topica della dose bassa di PC1 (10 ng)

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44

nella zampa ha effetto soltanto sull’iperalgesia locale; la stessa bassa dose somministrata 150

min dopo Bv8 blocca il secondo picco di iperalgesia perché blocca lo stato di

ipersensibilizzazione del nocicettore.

3.3 LA SOMMINISTRAZIONE SISTEMICA DI PC1 INFLUISCE SULLA

SOGLIA NOCICETTIVA BASALE

Dal momento che la delezione dell’uno o dell’altro dei due recettori (PKR1 e PKR2) riduce la

sensibilità a stimoli dolorosi sia termici che chimici, ho valutato se dosi sistemiche di PC1

abbiano effetto sulla soglia dolorosa di base.

3.3.1 Valutazione della soglia nocicettiva in risposta a stimoli termici

Nei topi WT, la somministrazione di PC1, alla dose di 150 µg/kg s.c., aumenta la soglia

nocicettiva di base quando testata alla temperatura di 48°C (nel range delle temperature rilevate

dal recettore TRPV1) rispetto ai topi trattati con salina; a 52°C non si osservano differenze tra i

trattati con salina o con PC1 (Fig. 18A). I topi PKR1-/-

e PKR2-/-

, quando sottoposti ad uno

stimolo termico di 48°C, mostrano una soglia nocicettiva di base più alta rispetto ai topi WT; alla

temperatura di 52°C non c’è nessuna differenza tra i tre genotipi (Fig. 18B).

0

10

20

48°C 52°C

Temperature

W.T.

W.T.

PKR1-/-

PKR1-/-

PKR2-/-

PKR2-/-

B

**

La

ten

cy

(s

ec

)

0

10

20

48°C 52°C

Temperature

Saline

PC1

PC1Saline

A

**

La

ten

cy

(s

ec

)

Figura 18. Misurazione della nocicezione termica basale tramite Hot-Plate Test nei topi WT trattati con salina o PC1

(A) e nei topi WT, PKR1-/-

e PKR2-/-

(B) alla temperatura di 48°C e 52°C.

Il gruppo di ricerca di cui faccio parte ha già dimostrato che i recettori PKRs ed in particolare il

PKR1 co-localizza e coopera con il recettore canale TRPV1 nei neuroni dei DRGs. PC1, quindi,

antagonizzando il recettore PKR1 annulla la cooperatività positiva tra PKR1 e TRPV1 e riduce

indirettamente la sensibilità di TRPV1 allo stimolo termico.

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45

3.3.2 Valutazione della soglia nocicettiva in risposta a stimoli chimici

Capsaicina

Nei topi WT la somministrazione i.pl. di capsaicina (5 nmol) provoca un fastidio intenso, che

porta l’animale al leccamento (‘licking’) della zampa; la pre-somministrazione di PC1, 150

µg/kg s.c., riduce significativamente il licking della zampa indotto dalla capsaicina rispetto ai

topi trattati con salina (Fig. 19A). Nei topi PKRs -/-

la capsaicina induce una risposta

significativamente minore rispetto ai topi WT (Fig. 19B), così come avviene nei topi trattati con

PC1, confermando una cooperazione tra TRPV1 e PKRs.

0

25

50

75

W.T.

PKR1-/- PKR2-/-

B

**L

ick

ing

(s

ec

)

0

25

50

75

Saline

PC1

A

**

Lic

kin

g (

se

c)

Figura 19. Misurazione del tempo di licking della zampa dopo somministrazione i.pl. di capsaicina nei topi WT

trattati con salina o PC1 (A) e nei topi WT, PKR1-/-

e PKR2-/-

(B).

Acido acetico

Nei topi WT la somministrazione intraperitoneale (i.p.) di acido acetico (0.8 %), causa un dolore

viscerale acuto che si manifesta con caratteristici movimenti di contorsione e strisciamento

definiti ‘writhes’. La pre-somministrazione di PC1, 150 µg/kg s.c., nei topi WT riduce

significativamente gli effetti indotti dall’acido acetico rispetto ai topi pre-trattati con salina (Fig.

20A) mimando il comportamento dei topi PKRs -/-

in cui gli episodi di ‘writhes’ sono minori in

numero, intensità e durata rispetto ai topi WT (Fig. 20B).

0

10

20

30

40

50

60

W.T.

PKR1-/-PKR2-/-

B

**

Nu

mb

er

of

wri

the

s

0

10

20

30

40

50

60

Saline

PC1

A

**

Nu

mb

er

of

wri

the

s

Figura 20. Misurazione dei ‘writhes’ indotti dalla somministrazione i.p. di acido acetico nei topi WT trattati con

salina o PC1 (A) e nei topi WT, PKR1-/-

e PKR2-/-

(B).

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46

Il recettore canale TRPV1 è attivato oltre che da stimoli termici anche da stimoli chimici, come

la capsaicina ed i protoni (che possono essere prodotti dalla dissociazione di acidi come l’acido

acetico). PC1 è in grado di ridurre gli effetti indotti dalla capsaicina e dall’acido acetico

indirettamente legandosi ai recettori PKRs e annullando la cooperazione positiva con TRPV1.

Olio di mostarda

Lo spennellamento della zampa con olio di mostarda (ligando di TRPA1) (10% in olio minerale)

causa, nei topi WT trattati con salina, la diminuzione della soglia nocicettiva a stimoli termici in

maniera più intensa rispetto ai topi trattati con PC1, 150 µg/kg s.c. (Fig. 21A). Anche nei topi

KO l’abbassamento della soglia nocicettiva indotta dall’olio di mostarda è minore che nei topi

WT (Fig. 21B). In particolare i topi PKR2-/-

sono significativamente meno sensibili anche dei

PKR1-/-

all’iperalgesia termica indotta dall’olio di mostarda, in accordo con la co-localizzazione

e la probabile cooperatività dei recettori PKR2 e TRPA1 (il recettore dell’allile isotiacianato

contenuto nell’olio di mostarda) sui neuroni di medio e largo diametro (Lattanzi et al., in

preparation). PC1 alla dose utilizzata sicuramente blocca non solo il PKR1 ma anche il PKR2

eliminando quindi la cooperazione positiva con entrambi i PKRs.

0

10

20

30

40W.T.

PKR1-/-

PKR2-/-

B

°°

**

***

De

cre

as

e in

%

NT

0

10

20

30

40

Saline

PC1

A

**

De

cre

as

e in

%

NT

Figura 21. Misurazione della soglia nocicettiva termica dopo spennellamento della zampa con di olio di mostarda

nei topi WT trattati con salina o PC1 (A) e nei topi WT, PKR1-/-

e PKR2-/-

(B).

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47

3.4 EFFETTI ANTI-IPERALGESICI/ANTI-INFIAMMATORI DI PC1 IN

MODELLI ANIMALI DI DOLORE INFIAMMATORIO

3.4.1 Effetti di PC1 sull’infiammazione indotta dalla somministrazione

intraplantare di carragenina

Nel topo, la somministrazione intraplantare di carragenina produce una reazione infiammatoria

che si manifesta con l’aumento del volume e con la diminuzione della soglia nocicettiva della

zampa iniettata.

L’iperalgesia termica è evidente dopo 30 min dall’iniezione, raggiunge il picco a 3 h e ritorna ai

valori basali dopo 7 h (Fig. 22).

La somministrazione intraplantare di PC1 (10-1000 ng) 90 min dopo la somministrazione di

carragenina, riduce in maniera dose dipendente l’iperalgesia indotta da carragenina (Fig. 22A, C)

ma solo la dose più alta di PC1 (1000 ng) reverte totalmente l’iperalgesia che non si manifesta

più (Fig. 22C). 100 e 1000 ng sono dosi dello stesso ordine di grandezza di quelle necessarie

quando si inietta PC1 nella zampa contro-laterale (Fig. 22C). Quindi l’effetto anti-iperalgesico,

in questo modello di infiammazione, si ottiene solo con dosi sistemiche, suggerendo che dipenda

da un’azione centrale.

La somministrazione di PC1 (10-1000 ng i.pl.) 5 min prima della somministrazione di

carragenina previene lo sviluppo dell’iperalgesia; la durata dell’effetto è dose-dipendente (Fig.

23A).

L’edema della zampa indotto dalla carragenina è ridotto, in maniera dose-dipendente, dal

trattamento topico e sistemico con PC1 (Fig. 22B, D).

Quando iniettato 5 min prima della carragenina alle dosi di 100 e 1000 ng, PC1 riduce in

maniera dose-dipendente anche lo sviluppo dell’edema (Fig. 23B).

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48

Figura 22. Effetti della somministrazione locale e sistemica di PC1 (+90’) sull’iperalgesia termica (A, C) e

sull’edema della zampa (B, D) indotti dalla somministrazione intraplantare di carragenina.

Figura 23. Effetti della somministrazione locale di PC1 (-5’) sull’iperalgesia termica (A) e sull’edema della zampa

(B) indotti dalla somministrazione intraplantare di carragenina.

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49

I dati ottenuti dimostrano che la somministrazione locale di PC1 a dosi fino a 100 ng riduce solo

parzialmente l’iperalgesia, a differenza della dose di 1000 ng (minima dose sistemica) che blocca

totalmente l’iperalgesia sia quando somministrato localmente nella zampa infiammata sia

quando somministrato nella zampa controlaterale.

3.4.2 Effetti di PC1 sull’infiammazione dell’articolazione del ginocchio indotta

dalla somministrazione di caolino/carragenina

Nel topo, la somministrazione di caolino/carragenina nell’articolazione del ginocchio causa un

aumento dello spessore del ginocchio, la riduzione della percentuale di bilanciamento del peso

corporeo sulla zampa ipsilaterale e riduce significativamente la soglia di latenza della zampa agli

stimoli termici. Gli effetti sono già evidenti 1 h dopo la somministrazione, raggiungono il picco a

2-3 h e sono ancora presenti dopo 6 h.

La somministrazione di PC1 alla dose di 150g/kg, s.c., 45 min e 3 h dopo la somministrazione

di caolino/carragenina riduce significativamente l’edema del ginocchio già dopo la prima

somministrazione di PC1 accelerando il ritorno al normale volume dell’articolazione (Fig 24A).

Inoltre, la somministrazione di PC1 ristabilisce la normale distribuzione simmetrica del peso

corporeo sulle due zampe posteriori per circa 2 h, già dopo 15 min (Fig. 24C) ed impedisce

l’instaurarsi dell’iperalgesia per circa 1 h. L’iperalgesia si manifesta nuovamente a 2 h e, a 3 h

raggiunge la stessa intensità che si evidenzia nei topi infiammati trattati con salina. Una seconda

somministrazione di PC1 (150g/kg, s.c.) blocca nuovamente l’iperalgesia per 1 h, la quale

lentamente riappare, anche se a livelli significativamente inferiori a quelli dei topi controllo

(trattati con salina) (Fig. 24B).

0 60 120 180 240 300 3600.0

0.5

1.0

1.5 saline

PC1

sham

*** *** *** ******

Time (min)

kn

ee

vo

lum

e in

cre

as

e (

mm

)

0 60 120 180 240 300 360-75

-50

-25

0

saline

PC1

Sham

*** ***

***

*** ******

***

Time (min)

%

NT

Infiammazione dell'articolazione del ginocchio

PC1 150 g/kg s.c. (+45', +180')

A B

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50

0 60 120 180 240 300 36030

35

40

45

50

saline

PC1

Sham

C

Time (min)

We

igh

t d

istr

ibu

tio

n (

%)

Figura 24. Effetti della somministrazione sistemica di PC1 sull’edema del ginocchio (A), sull’iperalgesia termica

(B) e sulla distribuzione del peso corporeo sulle due zampe posteriori (C) indotti dalla somministrazione di

caolino/carragenina nell’articolazione del ginocchio.

L’iperalgesia indotta dalla carragenina è causata, oltre che dalla sensitizzazione dei nocicettori

primari afferenti, anche da modificazioni della plasticità neuronale nel midollo spinale (Urban

and Gebhart, 1999). L’infiammazione da carragenina, a differenza dell’infiammazione indotta

da CFA, è di tipo breve e può essere definita ‘sterile’ (Rock et al., 2010; Shen et al., 2013),

poiché indotta dalla somministrazione di un polisaccaride, a differenza dell’infiammazione

indotta da CFA la quale è provocata dalla somministrazione di una sospensione in olio minerale

di micobatteri uccisi. I nostri dati indicano che in questo modello di infiammazione ‘sterile’, in

cui probabilmente l’aumento di PK2 locale è limitato, l’effetto di PC1 si esplica centralmente a

livello del midollo spinale poiché è necessaria una dose sistemica, in grado quindi di superare la

BEE, per avere il massimo effetto anti-iperalgesico.

3.4.3 Effetti di PC1 sull’infiammazione indotta dalla somministrazione

intraplantare di CFA in comparazione con l’indometacina

- Dolore

Nel ratto la somministrazione i.pl. di CFA induce infiammazione con un’intensa iperalgesia a

stimoli meccanici, valutata con il Randall-Selitto test, che raggiunge valori massimi a 24h

dall’iniezione. L’indometacina (m.w. 358) è notoriamente uno dei più potenti antiinfiammatori.

Abbiamo perciò paragonato gli effetti di PC1 somministrato s.c. nel ratto alla dose di 150 e 500

g/kg con quelli di una dose canonica di indometacina 5 mg/Kg, s.c.. In acuto, la

somministrazione di PC1 dopo 6 h dal CFA reverte completamente l’iperalgesia meccanica per

circa 2 h, mentre la somministrazione di indometacina riduce l’iperalgesia solo parzialmente

(Fig. 25A). La stessa dose di PC1, somministrata dopo 24 h dal CFA, ha un effetto più lungo: a 3

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51

e 4 h dalla somministrazione di PC1 la riduzione dell’iperalgesia è ancora significativa, rispetto

al gruppo trattato sia con indometacina che con salina (Fig. 25B).

6 hours after CFA

0 1 2 3-60

-50

-40

-30

-20

-10

0

PC1

INDO

Saline

******

§§§§§§

Time (h)

%

NT

24 hours after CFA

0 1 2 3 4-60

-50

-40

-30

-20

-10

0

%

NT

PC1

INDO

Saline

*** ***

******

§§§§§§

§

Time (h)

Iperalgesia meccanica

Co, saline Tr, PC1 Tr, Indomethacin Non-inflamed paw

Figura 25. Time-course dell’effetto anti-iperalgesico di PC1 (150 µg/Kg s.c.) e indometacina (5 mg/Kg, s.c.) 6 h e

24 h dopo l’iniezione di CFA. La dose più alta di PC1 (500 g/kg, s.c.) induce effetti comparabili.

Oltre all’effetto anti-iperalgesico acuto valutabile già a 6 h, PC1 riduce il progredire

dell’iperalgesia nelle ore successive così che a 24 h è significativamente inferiore a quello dei

ratti trattati con salina. La seconda somministrazione di PC1 a 24 h dal CFA, contribuisce

ulteriormente a portare la soglia nocicettiva verso valori normali. L’effetto dell’indometacina è

meno intenso e ritardato, infatti, compare solo dopo la seconda somministrazione a 24 h (Fig.

26).

Iperalgesia meccanica

0 6 12 18 24 30 36 42 48-60

-50

-40

-30

-20

-10

0

CFA PC1

INDO

Saline

PC1

INDO

Saline

* ******

******

§§§§

Co, saline

Non-inflamed paw

Tr, Indomethacin

Tr, PC1

Time (h)

%

NT

Figura 26. Time-course dell’effetto anti-iperalgesico indotto dalla somministrazione ripetuta a 6 e 24 h di PC1 (150

µg/Kg, s.c.) e indometacina (5 mg/Kg, s.c.) sull’iperalgesia meccanica indotta dal CFA, nel ratto. La dose più alta di

PC1 (500 g/kg, s.c.) induce effetti comparabili.

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52

PC1, quindi, sia in acuto che dopo trattamento ripetuto, si è dimostrato un anti-iperalgesico più

efficace e più potente (70 volte su base molare) dell’indometacina.

Questi risultati suggeriscono che il blocco dei recettori delle prochineticine sui nocicettori

impedisce la propagazione dello stimolo doloroso prodotto direttamente da PK2 e/o dall’azione

sinergica tra PK2 ed altre molecole algogene.

- Edema e permeabilità vascolare

Nel ratto la somministrazione intraplantare di CFA evoca la formazione di edema. Lo sviluppo

dell’edema risulta evidente 6 h dopo l’iniezione del CFA, raggiunge il massimo del volume a 24

h e si riduce significativamente dopo circa una settimana. Il trattamento con PC1 è stato più

efficace rispetto al trattamento con indometacina anche sulla riduzione dell’edema (Fig. 27): nel

gruppo trattato con PC1 il volume della zampa infiammata è minore, rispetto sia al gruppo

trattato con salina che con indometacina già dopo la prima iniezione a 12 h dal CFA. La seconda

iniezione induce un’ulteriore riduzione dell’edema. L’effetto del trattamento con indometacina si

evidenzia solo dopo la seconda iniezione.

0 6 12 18 24 30 36 42 48

0.0

0.5

1.0

1.5

Edema

CFA PC1

INDO

Saline

PC1

INDO

Saline

***

§§§§

Co, saline

Tr, Indomethacin

Tr, PC1

Non-inflamed paw

TIME (h)

Inc

rea

se

in

pa

w v

olu

me

(m

l)

Figura 27. Time-course dell’effetto indotto dalla somministrazione ripetuta a 6 e 24 h di PC1 (150 µg/Kg, s.c.) e

indometacina (5 mg/Kg, s.c.) sull’edema indotto dal CFA. La dose più alta di PC1 (500 g/kg, s.c.) induce effetti

comparabili.

Il saggio del Blue Evans dimostra che l’essudazione indotta dall’infiammazione in corso è

significativamente ridotta da PC1 già a 24 h. L’effetto di indometacina a questo tempo non è

ancora significativo (Fig. 28A). Il risultato è in accordo con la riduzione del volume della zampa.

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53

A 48 h dal CFA la formazione di essudato è significativamente ridotta anche dall’indometacina e

gli effetti di PC1 ed indometacina, a questo tempo, non sono significativamente differenti tra

loro. (Fig. 28B)

24 h after CFA

SALINE PC1 INDO0.00

0.05

0.10

0.15

0.20

A

**

°

ns

g

Blu

e E

va

ns

/mg

tis

su

e

SALINE PC1 INDO0.00

0.05

0.10

0.15

0.20

48 h after CFA

B

**

**

ns

g

Blu

e E

va

ns

/mg

tis

su

e

Figura 28. Effetto di PC1 e indometacina sull’essudazione a 24 h (A) e a 48 h (B) dalla somministrazione di CFA.

L’effetto di PC1 sulla riduzione dell’edema e della permeabilità vascolare è dovuto al blocco dei

PKRs presenti sugli endoteli vasali, dove modulano l'angiogenesi (PKR1) e la fenestrazione

(PKR2). Anche se PC1 lega preferenzialmente il PKR1, alle dosi alte qui utilizzate (150 e 500

µg/kg) è in grado di legarsi ai recettori PKR2 presenti sulle cellule endoteliali e probabilmente

ridurre il fenomeno della fenestrazione dei vasi diminuendo di conseguenze il gonfiore della

zampa in maniera più rapida rispetto all’indometacina.

- Infiltrazione granulocitaria

Il saggio della mieloperossidasi (MPO) dimostra che solo la dose più alta di PC1 (500 µg/kg)

induce effetti significativi sull’infiltrazione di granulociti. Sia gli animali trattati con PC1 (500

µg/kg, s.c. a 6 e 24 h dal CFA) e con indometacina (5 mg/kg, s.c. a 6 e 24 h dal CFA) danno

valori significativamente inferiori dei controlli (trattati con salina) al saggio MPO a 48 h

dall’iniezione con CFA. I due trattamenti, però, non danno risultati significativamente differenti

tra di loro (Fig. 29), anche se l’effetto di PC1 è tendenzialmente superiore a quello di

indometacina, ma non raggiunge la significatività statistica.

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54

SALINE PC1 INDO0

5000

10000

15000

20000

48 h after CFA

**

*

ns

ne

utr

op

hils

/mg

tis

su

e

Figura 29. Numero dei neutrofili reclutati nel tessuto infiammato a 48 dal CFA, nel ratto.

L’indometacina appartiene alla famiglia dei FANS (Farmaci Anti-infiammatori Non Steroidei);

questi farmaci presentano tre effetti terapeutici principali, che derivano essenzialmente

dall’inibizione della sintesi dei prostanoidi attraverso l’inibizione delle ciclo-ossigenasi

dell’acido arachidonico. L’effetto anti-infiammatorio è dovuto alla diminuzione delle

prostaglandine vasodilatatrici (PGE2, prostaciclina) che porta ad una ridotta vasodilatazione e,

indirettamente, al contenimento dell’edema. La diminuita produzione di prostaglandine riduce la

sensibilizzazione delle terminazioni nervose nocicettive a mediatori dell’infiammazione come

bradichinina e 5-HT. L’effetto dell’indometacina è quindi più lento perché riduce l’iperalgesia

indirettamente, impedendo la produzione delle prostaglandine. Al contrario, PC1 agendo

direttamente sui recettori PKRs dei nocicettori e delle cellule endoteliali riduce l’iperalgesia ed il

gonfiore in maniera più rapida.

Per valutare se ci sia un contributo diretto della PK2 liberata localmente sull’infiltrazione

granulocitaria indotta dal CFA abbiamo analizzato i possibile effetti sul richiamo dei granulociti

in seguito a iniezione intraplantare di Bv8. Bv8 alle dosi di 0.03, 0.1 e 0.5 ng produce un effetto

chemotattico evidente 3 h dopo la somministrazione (Fig. 30).

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55

0

500000

1000000

1500000

2000000

2500000

1 h 2 h 3 h

Bv8 (0.5 ng ipl) injected paw

Saline injected paw

4 h 6 h

Curva tempo-risposta

of

ne

utr

op

hils/p

aw

MP

O a

cti

vit

y

0

500000

1000000

1500000

2000000

2500000

3 h after Bv8 injection

0.1

0.5

0.01

0.03

Curva dose-rispostaBv8 (ng i.pl.)

of

ne

utr

op

hils/p

aw

MP

O a

cti

vit

y

Figura 30. Valutazione del richiamo di granulociti nella zampa in seguito a somministrazione i.pl. di Bv8.

PC1 ha un debole effetto antichemotattico sul richiamo dei granulociti (test MPO), sia contro il

CFA che contro Bv8; il suo effetto si evidenzia solo ad alte dosi (500 e 1000 µg/kg), mentre alle

dosi inferiori è inefficace (30 e 200 µg/kg) (Fig. 29 e 31). Sia nel caso di infiammazione da CFA

che in seguito all’iniezione locale di Bv8 (capace di indurre infiammazione neurogena

conseguente alla liberazione di CGRP e SP), l’infiltrazione tissutale dei granulociti è sostenuta

da una pletora di agenti chemotattici il cui effetto non può essere controllato da PC1.

PC1 30 g/kg (-30', +90' s.c.) + Bv8 0.5 ng i.pl.

Bv8 PC1+Bv8+PC10

500000

1000000

1500000

2000000

3 h after Bv8 injection

of

ne

utr

op

hils/p

aw

MP

O a

cti

vit

y

PC1 200 g/kg (-30', +90' s.c.) + Bv8 0.5 ng i.pl.

Bv8 PC1+Bv8+PC10

500000

1000000

1500000

2000000

3 h after Bv8 injection

of

ne

utr

op

hils/p

aw

MP

O a

cti

vit

y

PC1 500 g/kg (-30', +90' s.c.) + Bv8 0.5 ng i.pl.

Bv8 PC1+Bv8+PC10

500000

1000000

1500000

2000000

of

ne

utr

op

hils/p

aw

MP

O a

cti

vit

y

3 h after Bv8 injection

**

PC1 1 mg/kg (-30', +90' s.c.) + Bv8 0.5 ng i.pl.

Bv8 PC1+Bv8+PC10

500000

1000000

1500000

2000000

of

ne

utr

op

hils/p

aw

MP

O a

cti

vit

y

3 h after Bv8 injection

**

Figura 31. Effetti della somministrazione s.c. di PC1 (30, 200, 500, 1000 µg/kg) sul numero dei neutrofili reclutati

nella zampa in seguito a somministrazione i.pl. di Bv8.

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56

3.5 EFFETTI DI PC1 NEL MODELLO ANIMALE DI DOLORE

NEUROPATICO INDOTTO DALLA LEGATURA CRONICA DEL NERVO

SCIATICO (CCI)

La legatura del nervo sciatico (CCI) provoca una forte diminuzione della soglia nocicettiva a

stimoli termici (PWL) e tattili (PWT). Nella zampa ipsilaterale, l’iperalgesia termica appare già

dal primo giorno dopo la legatura, raggiunge il massimo valore il terzo giorno e ritorna ai valori

normali circa 40 giorni dopo la legatura. L’allodinia tattile, valutata tramite stimolazione con i

filamenti di Von Frey, appare evidente, nella zampa ipsilaterale, dal giorno 12 dopo la CCI,

raggiunge il massimo livello il giorno 17 e ritorna ai livelli basali dopo circa 40 giorni dalla

legatura. La sensibilità agli stimoli termici e tattili rimane invariata nella zampa controlaterale

(Fig. 32C e D).

Una singola somministrazione di PC1 (30,70, 150 µg/kg, s.c.), il 3° giorno, quando l’iperalgesia

termica è già instaurata, o il 17° giorno dopo l’operazione, quando l’allodinia tattile raggiunge i

massimi livelli, è in grado di ridurre l’iperalgesia termica e l’allodinia tattile indotte dalla CCI.

L’effetto di PC1 è evidente già dopo 30 min, suggerendo un’azione diretta sui nocicettori su cui

sono presenti i PKRs, bloccando, quindi, la trasmissione dello stimolo doloroso. Quest’effetto

anti-iperalgesico dura circa 2 ore, come già dimostrato nel dolore infiammatorio indotto da CFA

o dalla somministrazione dell’agonista Bv8 (Fig. 32A e B).

Somministrazione ripetute di PC1 (150 µg/kg, s.c. 2 volte al giorno), dal giorno 3 al giorno 9,

causano, nella zampa ipsilaterale, una ripresa totale dalla diminuzione della soglia nocicettiva

per circa 9 giorni: l’effetto si manifesta in maniera evidente, già, 2 giorni dopo l’inizio del

trattamento e dura per circa 4 giorni dopo il termine del trattamento; infatti, la soglia nocicettiva

termica è mantenuta ai livelli basali fino al 13° giorno dopo l’operazione. Dal 14° giorno in poi,

l’iperalgesia termica riappare lentamente, ma a livelli significativamente minori rispetto ai topi

CCI trattati con salina. Sorprendentemente, lo stesso schema di trattamento previene lo sviluppo

dell’allodinia tattile, infatti la soglia nocicettiva dei topi CCI trattati con PC1 rimane allo stesso

livello del gruppo sham per l’intero periodo di valutazione (Fig. 32C e D).

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57

-30 0 30 60 90 1201501800

5

10

PC1

A

°°°°°

°°° °°

Time (min)

PW

L (

s)

-30 0 30 60 90 1201501800.0

0.5

1.0

PC1

B

°°°°°

°°°

Time (min)

PW

T (

g)

0 5 10 15 200

5

10

40

C

****** ***

**°

**** ° °

*** *** ***

**

******

°**

3 9PC1 Days (after CCI)

PW

L (

s)

0 5 10 15 200.0

0.5

1.0

1.5

40

3 9PC1

D

*** ********

Days (after CCI)

PW

T (

g)

Sham Contralateral paw CCI/Saline

CCI/PC1 150 g/kg CCI/PC1 75 g/kg CCI/PC1 30 g/kg

Figura 32. Effetto anti-iperalgesico di PC1. Una singola somministrazione di PC1 (150 μg/kg, s.c.), riduce per circa

2 ore l’iperalgesia termica (A) e l’allodinia meccanica (B) indotte dalla CCI. Somministrazione sistemiche ripetute

di PC1 (150 µg/kg, s.c. 2 volte al giorno), dal giorno 3 al giorno 9, blocca l’iperalgesia termica indotta da CCI per

circa 2 settimane (C) e previene lo sviluppo dell’allodinia tattile (D).

Dai dati ottenuti in vivo risulta una differente modulazione dell’allodinia e dell’iperalgesia dopo

il termine del trattamento con PC1: mentre l’iperalgesia riappare, l’allodinia non si sviluppa. La

somministrazione di PC1 inizia il 3° giorno dopo la CCI quando l’iperalgesia è già sviluppata ed

ha raggiunto il picco massimo, mentre l’allodinia non è ancora presente; quindi sia le

modificazioni periferiche che centrali che portano allo sviluppo dell’iperalgesia termica sono già

state attivate. Una caratteristica differenza tra iperalgesia ed allodinia è dovuta al fatto che è

necessaria una facilitazione sinaptica delle fibre Aβ non-nocicettive e fibre Anocicettive per

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58

indurre allodinia meccanica (Baron et al., 2013; Woolf, 2011). E’ possibile, quindi, ipotizzare

che nel momento in cui PC1 viene somministrato queste modificazioni della plasticità neuronale

nel sistema nervoso centrale che si verificano in seguito a CCI, non siano ancora completate e

che PC1 sia in grado di contrastarle, infatti impedisce lo sviluppo di microgliosi ed astrocitosi a

livello del midollo spinale (v. sez. 3.7).

3.6 EFFETTI DI PC1 SULL’UP-REGOLAZIONE DI PK2

- Infiammazione

La somministrazione di CFA nella zampa produce iperalgesia che correla temporalmente con

l’aumento dei livelli di espressione di PK2 nella zampa infiammata, i quali risultano massimi tra

le 12 e 24 h e rimangono alti fino a 48 h. Il trattamento con PC1 è più efficace rispetto al

trattamento con indometacina anche sulla riduzione dell’up-regolazione di PK2 indotta dal CFA

(Fig. 33A).

SALINE PC1 INDO0

50

100

150

**

*

°

PK

2, c

op

y n

um

be

r/n

g R

NA

SALINE PC1 INDO0

5000

10000

15000

20000**

*

ns

ne

utr

op

hils

/mg

tis

su

e

48 h after CFA

A B

Figura 33. Effetto di PC1 e indometacina sull’up-regolazione di PK2 (A) e sull’infiltrazione granulocitaria (B) a 48

h dalla somministrazione di CFA.

Come già dimostrato, 48 h dopo la somministrazione di CFA, sia il trattamento con PC1 che con

indometacina riducono l’infiltrazione granulocitaria nel tessuto infiammato (Fig. 33B), ma

l’effetto non è significativamente diverso tra loro. Al contrario, PC1 è in grado di ridurre in

maniera significativamente maggiore rispetto all’indometacina, l’up-regolazione di PK2 nella

zampa (Fig. 33A). Quindi, anche se il numero dei granulociti presenti nella zampa è simile tra i

ratti trattati con PC1 ed indometacina, i granulociti che raggiungono il tessuto infiammato nei

ratti pre-trattati con PC1 sono meno carichi di PK2. La minore presenza di PK2, a sua volta,

diminuisce il reclutamento di macrofagi e monociti.

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- Neuropatia

E’ noto che la CCI del nervo sciatico induce, nel midollo spinale, una precoce attivazione della

microglia ed una seguente attivazione astrocitaria (Vallejo et al., 2010).

Con studi di immunofluorescenza e di RT-PCR abbiamo mostrato che la PK2 è fortemente up-

regolata, 10 giorni dopo la CCI, sia in periferia (nervo e DRG) che a livello centrale (midollo

spinale), in particolare negli astrociti, i quali mostrano, inoltre, un aumento della dimensione

cellulare.

Il trattamento precoce con PC1 (dal 3° al 9° giorno dopo la CCI) è in grado di diminuire

l’aumento di PK2 sia a livello periferico (nervo e DRG), dove la PK2 agisce come

mediatore/modulatore della risposta nocicettiva, che negli astrociti. PC1 non riduce il numero di

cellule GFAP positive, ma riduce il numero degli astrociti ipertrofici. (Fig. 34)

Figura 34. Immagine ad alto ingrandimento (scale bar: 10 µm) della sezione del corno dorsale del midollo spinale

L4-L5 ipsilaterale 10 giorni dopo l’operazione nei topi. Profili positivi a PK2 (verde) ed a GFAP (rosso) in topi

sham, CCI/salina, CCI/PC1. Nuclei marcati con DAPI (blu).

Gli astrociti svolgono un ruolo fondamentale nel mantenimento del dolore neuropatico (Gao et

al., 2010). In vitro, la PK2 induce proliferazione degli astrociti di topo che esprimono PKR1,

agendo come fattore autocrino astrocitario (Koyama et al., 2006). E’ possibile ipotizzare che

l’effetto di PC1 sia dovuto, in parte, a livello periferico in cui agisce riducendo gli input

provenienti dalle fibre primarie afferenti, ma anche ad una modulazione diretta del sistema

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PK/PKRs a livello spinale come dimostrato dalla capacità di PC1 di bloccare l’iperalgesia

indotta dalla somministrazione i.t. di Bv8 quando somministrato per via sottocutanea (v. sez.

3.3.2).

3.7 EFFETTI SUI COMPORTAMENTI DI ORIGINE CENTRALE INDOTTI

DALLA SOMMINISTRAZIONE SISTEMICA DI PC1

I dati riportati precedentemente nella sezione 3.3 riguardante gli effetti di PC1 sull’iperalgesia

indotta dalla somministrazione i.t. di Bv8 dimostrano che dosi sistemiche sono in grado di

superare la BEE agendo a livello centrale, sicuramente midollare. Per controllare questa ipotesi

ho voluto esaminare se la dose sistemica di PC1 (150 µg/kg), efficace nel trattamento del dolore

infiammatorio e neuropatico, sia in grado di influenzare comportamenti che richiedono il

coinvolgimento di aree cerebrali. Alla luce dei dati secondo cui anche citochine/chemochine

sembrano coinvolte in ansia/depressione, memoria e soprattutto dai dati del gruppo di Zhou che

ha dimostrato che la somministrazione i.c.v. di PK2 aumenta i comportamenti legati all’ansia ed

alla depressione e che la delezione genica di PK2 induce un effetto ansiolotico ed antidepressivo

(Li et al., 2009) ho valutato se la somministrazione di PC1 alla dose di 150 µg/kg s.c. influisca

sul comportamento dei topi tramite i seguenti tests: Y-maze, rotarotd test, marble burying test,

tail suspension test, elevated plus maze.

3.7.1 Memoria spaziale

Il Y Maze Test permette di valutare la “working memory” legata principalmente alle aree

dell’ippocampo, setto e corteccia prefrontale. Il topo viene posto al centro di un labirinto a forma

di Y con braccia chiuse (che formano tra loro un angolo di 120°) ed in fondo alle quali sono

presenti 3 simboli diversi (quadrato, cerchio, triangolo) e ne viene valutata l’attività per 8 minuti.

I roditori tipicamente preferiscono esplorare nuove braccia del labirinto piuttosto che ritornare in

un braccio già visitato alternando l’ingresso nelle braccia in maniera sequenziale (es. ABC,

CAB, BCA e non ABA). Al termine del periodo di valutazione viene calcolata la percentuale di

alternanza degli ingressi sequenziali nelle 3 braccia. I topi WT trattati con salina mostrano

un’alternanza sequenziale delle braccia di circa il 60% così come i topi trattati con PC1 (150

µg/kg s.c.) (Fig. 35).

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61

0

20

40

60

80

100

Alt

ern

ati

on

(%

)

Saline PC1

Figura 35. Percentuale di alternanza degli ingressi sequenziali nelle 3 braccia del labirinto dei topi trattati con PC1

o salina.

3.7.2 Attività motoria

Al fine di valutare gli effetti di PC1 sull’attività motoria e sulla coordinazione dei topi è stato

condotto uno studio tramite l’ ‘accelerating rotarod test’. Difficoltà motorie e/o di coordinazione

dell’animale equivalgono ad un minor periodo di tempo trascorso sul cilindro rotante. I topi

trattati con salina e con PC1 (150 µg/kg s.c.) sottoposti al test dopo 30, 60, 90 minuti dalla

somministrazione mostrano un tempo di latenza tra il posizionamento sul cilindro rotante e la

caduta (250-280 s) simile (Fig. 36).

0

50

100

150

200

250

300

La

ten

cy

(s)

Saline

PC1

Time (min)

0 30 60 90

Figura 36. Tempo di latenza dei topi trattati con PC1 o salina al rotarod test

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62

3.7.3 Manie ossessive compulsive

Per valutare i possibili effetti indotti da PC1 in modelli animali di comportamento che mimano

gli stati ossessivo-compulsivi e le stereotipie nell’uomo, i topi sono stati sottoposti al marble

burying test. Il test consiste nel porre l’animale all’interno di un ‘open field’ in cui sono presenti

3 file di biglie allineate ed equidistanti tra loro. I parametri presi in considerazione sono: il tempo

di latenza che intercorre tra l’inizio del test ed il primo scavo (‘latency to dig’), il numero totale

di scavi (‘digging’) ed il numero di biglie sotterrate (‘buried marbles’). Lo sviluppo di uno stato

ossessivo-compulsivo è osservabile dalla diminuzione del tempo di latenza che intercorre tra

l’inizio del test ed il primo scavo, dall’aumento del numero di biglie sotterrate e dall’aumento del

numero di scavi effettuati dall’animale durante il test.

Nei topi WT, la somministrazione di PC1 150 (µg/kg s.c.) determina una risposta al test simile ai

topi trattati con salina. Infatti, i topi trattati con PC1 mostrano un tempo di latenza al primo

scavo di circa 100 s, 6 biglie sotterrate ed un numero di scavi totali di circa 350, valori

paragonabili a quelli ottenuti dai topi trattati con salina (Fig. 37).

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63

Saline PC10

50

100

150

La

ten

cy

to

dig

(s

)

Saline PC10

2

4

6

8

10

Nu

mb

er

of

bu

rie

d m

arb

les

Saline PC10

100

200

300

400

500

Dig

gin

g

A

B

C

Figura 37. Valutazione del tempo di latenza al primo scavo (A), del numero di biglie sotterrate (B) e del numero

totale di scavi (C) dei topi trattati con PC1 o salina e sottoposti al marble burying test.

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3.7.4 Ansia e Depressione

Nei topi trattati con salina, l’elevated plus maze provoca un comportamento definito

“tigmotassia”, che porta l’animale ad evitare aree aperte del labirinto (‘open-arm’) limitandosi a

movimenti in spazi chiusi o ai bordi di uno spazio limitato. Questo comportamento è ritenuto

riconducibile a quello che è lo stato ansioso nell’uomo.

La somministrazione di PC1, 150 µg/kg s.c., riduce significativamente lo stato ansioso portando

l’animale a preferire movimenti sulle braccia aperte del labirinto rispetto ai topi trattati con

salina (Fig. 38A).

Il Tail Suspension Test (TST) induce, nei topi WT trattati con salina, uno stato di immobilità

durante il test. Questo comportamento è relazionato allo stato depressivo nell’uomo. La

somministrazione di PC1 alla dose di 150 µg/kg s.c., riduce significativamente lo stato

depressivo poiché gli animali tendono a rimanere meno tempo in posizione immobile, durante il

test, rispetto ai topi trattati con salina (Fig. 38B).

0

5

10

15

20

25 *

% o

pe

n-a

rm c

ho

ice

Saline

PC1

0

50

100

150

200

250

Du

rati

on

of

imm

ob

ilit

y (

s)

*

Saline

PC1

AnsiaA

DepressioneB

Figura 38. Valutazione dello stato ansioso, tramite percentuale di scelta delle braccia aperte del labirinto (elevated

plus maze) da parte degli animali trattati con salina o PC1 (A). Valutazione dello stato depressivo, tramite tail

suspension test, nei topi topi WT trattati con salina o PC1 (B).

Essendo stato dimostrato che i PKRs sono presente in molte delle aree coinvolte nei disturbi

sonno/veglia, ansia e depressione (Cheng et al., 2006) ed avendo la disponibilità, nel nostro

laboratorio, di topi transgenici mancanti del PKR1 o del PKR2 abbiamo utilizzato questi topi per

cercare di capire quale dei due recettori sia maggiormente implicato nella regolazione di questi

comportamenti. I topi PKR1-/-

sottoposti al TST mostrano un tempo di immobilità minore, così

come i topi trattati con PC1, rispetto ai WT; i topi PKR2-/-

rispondono in maniera simile ai topi

WT (Fig. 39A).

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Non risulta alcuna differenza nella risposta al test tra maschi e femmine dello stesso genotipo,

confermando che la differenza del tempo di immobilità al TST tra topi WT e PKR1-/-

non è

relazionata ad una differenza di genere (Fig. 39B).

Prendendo in esame la variante legata alla differenza di età, si osserva che i topi giovani (< 2

mesi) mostrano un tempo di immobilità minore al TST rispetto ai topi adulti (2-8 mesi) ed

anziani (>8 mesi) sia nel gruppo dei topi WT che nel gruppo dei topi PKR1-/-

(Fig. 39C). Non è

stata possibile valutare una differenza statistica nel gruppo dei topi PKR2-/-

, poiché non è a

disposizione un sufficiente numero di topi PKR2-/-

dovuto al fatto che i topi PKR2-/-

raggiungono

difficilmente l’età adulta e spesso muoiono intono al venticinquesimo giorno di vita.

0

50

100

150

200

250***

WT

PKR1 -/-

PKR2 -/-

A

Du

rati

on

of

imm

ob

ilit

y (

s)

0

50

100

150

200

250

WT PKR1-/-

PKR2-/-

Male Female

****

B

Du

rati

on

of

imm

ob

ilit

y (

s)

0

50

100

150

200

250YOUNG

ADULT

AGED

WT PKR1-/-

PKR2-/-

**

***

**

C

Du

rati

on

of

imm

ob

ilit

y (

s)

Figura 39. Valutazione dello stato depressivo, tramite tail suspension test, nei topi topi WT, PKR1

-/- e PKR2

-/- (A)

in relazione al sesso (B) ed all’età (C).

L’espressione di PKR1 e PKR2 è stata rilevata in diverse aree cerebrali. In particolare, l’mRNA

di PKR1 è espresso in poche regioni e con bassa densità, mentre l’mRNA di PKR2 è

ampiamente espresso in tutto il cervello di topo adulto. Entrambi gli mRNA dei recettori sono

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66

stati rilevati nel ventricolo olfattivo e nella zona subventricolare del ventricolo laterale. L’mRNA

di PKR1 è stato individuato in diverse regioni olfattive, nelle isole di Calleja, nella zona incerta,

nel nucleo motorio dorsale del vago ed in alcune aree ippocampali (CA3, giro dentato,

presubiculum e subiculum) deputate alla regolazione dell’umore. PKR2 è praticamente espresso

in tutto il cervello, tra cui talamo e ipotalamo, setto e ippocampo, abenula laterale, amigdala,

tronco encefalico e organi circumventricolari (Cheng et al., 2006). La diffusa espressione delle

prochineticine e dei loro recettori a livello del sistema nervoso centrale, porta queste molecole a

regolare una vasta gamma di funzioni, tra cui il ritmo circadiano, la neurogenesi dei bulbi

olfattori e il comportamento ingestivo (fame e sete).

Dai dati ottenuti sulla valutazione dei possibile effetti comportamentali di origine centrale

provocati dalla somministrazione della dose sistemica di PC1 è emerso che PC1 non provoca

alcuna alterazione della memoria e dell’attività motoria, non influenza comportamentali legati a

manie ossessivo-compulsive e stereotipie, ma induce un effetto ansiolitico ed antidepressivo nei

topi WT. PC1, quindi, a conferma dei dati ottenuti su modelli di dolore che hanno una

componente centrale, è in grado di superare la BEE ed agire anche nei centri sopraspinali. Gli

effetti di PC1 sui comportamenti legati ad ansia e depressione possono essere collegati al ruolo

del sistema PK2/PKRs nel SCN. In particolare, è possibile che si verifichi un controllo tonico di

PK2 su alcune delle funzioni legate al ritmo circadiano, come ansia e depressione.

Inoltre, anche la delezione genica del recettore PKR1 porta i topi ad assumere un comportamento

meno depresso e meno ansioso a differenza dei topi WT e PKR2-/-

, indicando un ruolo

importante del recettore PKR1 nella regolazione dei disturbi dell’umore.

3.8 POSSIBILI EFFETTI COLLATERALI

Gli studi condotti finora in diversi modelli animali sugli effetti di PC1, fino a dosi di 1 mg/kg,

non hanno evidenziato alcun effetto collaterale dannoso per l’organismo anche se è possibile

osservare una sedazione che già è visibile dopo somministrazione della dose di 150 µg/kg.

Dall’osservazione macroscopica e dalla valutazione anatomica dei topi trattati con PC1, abbiamo

constatato che i topi sono in grado di crescere normalmente; inoltre l’esame autoptico

macroscopico non mostra anomalie degli organi interni. Recentemente, Nebigil e colleghi hanno

riportato un ruolo fondamentale del recettore PKR1 nella fisiologia e fisiopatologia del sistema

cardiovascolare. Il ruolo del signaling prodotto da PKR1 non è soltanto ristretto all’angiogenesi

dei capillari endoteliali, ma anche alla sopravvivenza dei cardiomiociti. PK2, tramite PKR1

induce la formazione di vasi in colture di cellule endoteliali cardiache in maniera indipendente

dall’up-regolazione di VEGF (‘vascular endothelial growth factor’). Inoltre, il signaling

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PK2/PKR1 attiva Akt che è in grado di proteggere i cardiomiociti dallo stress ossidativo ed, in

un modello murino, protegge il miocardio dall’infarto (Urayama et al., 2007; 2009). E’ stato

dimostrato che topi mancanti del recettore PKR1 sviluppano patologie cardiache e renali a causa

di deficit del signaling di sopravvivenza cellulare e disfunzioni mitocondriali (Boulberdaa et al.,

2011). Le disfunzioni legate alla mancanza genetica del recettore PKR1, chiaramente, non

possono essere paragonate agli effetti causati dal blocco temporaneo del recettore prodotto

dall’antagonista.

4. CONCLUSIONI

Tutti i dati presentati dimostrano che PC1 è un anti-iperalgesico ed anti-infiammatorio che

merita di essere utilizzato per il trattamento non solo del dolore, ma anche dei processi

infiammatori/neuroinfiammatori che sottendono al dolore. Se questo effetti saranno confermati

anche nell’uomo, il blocco del sistema PKs/PKRs, come abbiamo dimostrato, costituirà una

strategia promettente per un approccio terapeutico innovativo. Inoltre, l’effetto ansiolitico ed

antidepressivo è un valore aggiunto di grande interesse per un farmaco deputato a controllare il

dolore.

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5. MATERIALI E METODI

MODELLI CELLULARI E RELATIVA TECNICA DI COLTURA

La linea cellulare utilizzata per gli esperimenti è quella delle cellule CHO (Chinese Hamster

Ovary cells) stabilmente transfettate con i recettori PKR1 e PKR2 delle prochineticine (gentile

concessione Dr Hui Tian, Tularik, San Francisco, U.S.A.)

Le cellule CHO sono state coltivate in terreno DMEM–F12 addizionato con 10% di siero fetale

bovino (FCS), 100 U/ml penicillina e 100 μg/ml streptomicina e 1% di L-glutamina. Il mezzo di

coltura è stato cambiato ogni due giorni allo scopo di evitare una acidificazione eccessiva.

I cloni stabili CHO esprimenti i recettori PKR1 e PKR2 sono stati mantenuti in presenza di 0.2

mg/ml di G418 solfato (geneticina) al fine di mantenere in selezione le cellule esprimenti i

recettori.

Raggiunta la confluenza, le cellule sono state staccate dalle fiasche utilizzando una soluzione

1mM di EDTA diluito in PBS. Le cellule sono state coltivate in fiasche da 75 cm2 e mantenute

in incubatore Haereus a 37°C, in atmosfera satura di umidità e in presenza di 5% CO2.

BINDING RECETTORIALE

L’affinità dell’antagonista non peptidico (PC1) per i recettori PKRs è stata valutata mediante

tecniche di binding recettoriale eseguite su preparazioni di membrane di cellule CHO

stabilmente transfettate con i geni di PKR1 o PKR2.

Preparazione delle membrane: colonie di cellule CHO a confluenza (circa 20 milioni di cellule)

vengono staccate dalle flasks di coltura con PBS/EDTA e centrifugate. Il pellet risultante viene

omogenato in 10 ml di tampone ghiacciato (Tris-HCL, pH 7.4) con omogeneizzatore Politron PT

3000 a 16000 rpm per 2 minuti. L’omogenato cosi’ ottenuto viene quindi centrifugato a 40.000 g

per 10 minuti a 4°C in ultracentrifuga CENTRIKON-KONTRON. I precipitati risultanti vengono

risospesi in 10 ml di tampone Tris-HCL 50 mM pH 7.4 e conservati a -80° C fino all’utilizzo.la

concentrazione delle proteina viene determinata mediante BCA Protein Assay Kit (Pierce,

Rockfort, IL, U.S.A.).

Binding: Le membrane (alla concentrazione proteica di 20μg per PKR1 e 40 μg per PKR2)

vengono incubate con 125I-MIT 4 pM e con concentrazioni crescenti della sostanza in esame in

un volume finale di 1 ml per 90’ a 37° C. Al termine dell’incubazione i campioni vengono filtrati

mediante Cell-Harvester MK.48 (BRANDEL) su appositi filtri in fibra di vetro Brandel (O FPB-

48 WHATMAN GF/B FIRED), e lavati tre volte con tampone ghiacciato Tris-HCL 50 mM. La

radioattività rimasta nei filtri saggiata contata mediante contatore γ-counter (Packard, Cobra II

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auto-gamma). Il legame non specifico (NSB, Non Specific Bound) è rappresentato dalla

radioattività residua in presenza di un eccesso di Bv8 (1μM).

Tutti i campioni vengono eseguiti in triplicato ed ogni esperimento ripetuto più volte. Le curve di

spiazzamento e i valori di IC50 vengono calcolati per mezzo del programma PRISM (GraphPad

Software, San Diego, CA, U.S.A.).

BRET (Bioluminescence Resonance Energy Transfer)

L’utilizzo della fotoproteina Renilla come reporter di interazioni proteina-proteina è stato

precedentemente descritto (Molinari et al., 2008). Il saggio BRET è stato condotto su membrane

preparate da cellule SHSY5Y di neuroblastoma esprimenti i recettori PKR1 e PKR2

luminescenti. Il recettore è legato alla luciferasi di Renilla (receptor-Rluc) ed alla proteina Gγ

fluorescente. Per la determinazione dell’interazione PKR1/- o PKR2/Gγ le membrane (5 µg di

proteine) sono state incubate in PBS contenente celenterazina (2-5 µM) e differenti

concentrazioni di Bv8 (10-12

- 10-6

) per 10 min prima di procedere alla lettura della luminescenza.

Per la lettura della luminescenza sono state utilizzate piastra da 96 pozzetti ed un luminometro

(VICTOR light, PerkinElmer) equipaggiato con due iniettori automatici indipendenti. I campioni

sono stati letti utilizzando due filtri di bande differenti (blu, 450/20 nm e verde 510/20 nm, 3rd

Millenium, Omega Optical). Per misurare l’effetto degli antagonisti PKR sull’attivazione della

proteina G accoppiata ai PKRs indotta da Bv8, sono state fatte curve concentrazione-risposta

degli antagonisti in presenza di 5 nM di Bv8.

Il rapporto RET è stato determinato come rapporto tra l’emissione ad alta energia (donatore) e

bassa energia (accettore), registrato sequenzialmente con differenti filtri. Utilizzando la

celenterazina, i valori della luce sono stati registrati nella finestra tra 450/20 nm e 510/20 nm e

calcolati come:

RET ratio = (CPS 510 × T450/CPS 450 × T510) − 1

dove CPS indica il numero dei fotoni per secondo registrati attraverso i filtri verde e blu e T è la

trasmittanza relativa dei filtri, come riportato dal produttore (0.86 e 0.77, rispettivamente).

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MISURAZIONE DELLA VARIAZIONE DELLA CONCENTRAZIONE DI CALCIO

CITOPLASMATICO

Le variazioni della concentrazione di calcio citoplasmatico sono state misurate mediante

microscopia a fluorescenza, utilizzando come indicatore di fluorescenza il fura-2/AM (Molecular

Probes), derivato benzofuranico in grado di legare calcio con un rapporto stechiometrico 1:1.

Per verificare la concentrazione intracellulare di Ca2+, 25 x 104/ml cellule sono state incubate

per 50 minuti a temperatura ambiente con 2,5 M fura-2/AM in soluzione salina equilibrata

contenente NaCl 140 mM, KCl 5 mm, 2,5 mm, CaCl2 1 mM, MgCl2 10 mm, 10 mm D-

glucosio, 10 mM HEPES/NaOH (pH 7,4). Dopo un lavaggio per eliminare il fura extracellulare,

le piastre di coltura contenenti le cellule sono state montate su un microscopio invertito e

illuminato con una lampada allo xeno. Sono state utilizzate le lunghezze d’onda di eccitazione di

340 e 380 nm e di emissione di 510 nm. La concentrazione di calcio intracellulare è stata

ricavata dal rapporto tra le intensità di fluorescenza del fura-2, a 340 nm e 380 nm. recuperate

con un monocromatore (Till Photonics, Polychrome II, Germania) e registrate sul disco rigido di

un computer PC.

WESTERN BLOTTING E SDS-PAGE (SODIUM DODECYL SULPHATE-

POLYACRYLAMIDE GEL ECLECTROPHORESIS)

Le cellule CHO-R1, stabilmente transfettate con il recettore PKR1 umano, sono state utilizzate

nel saggio funzionale del Western Blotting, per valutare la capacità di PC1, molecola antagonista

dei recettori PKRs, di bloccare la fosforilazione delle MAPK indotta da Bv8/PK2.

Per il saggio funzionale del Western Blotting, le cellule CHO-R1, sono piastrate in dish per

colture da 6 pozzetti (Nunc), alla densità di 4 X 104 cellule/pozzetto. Una volta raggiunta la

subconfluenza, le colture di cellule CHO-R1 vengono mantenute 16 ore a 37ºC in assenza di

FBS (Fetal Bovine Serum), in modo da ridurre al minimo l’attività basale di p44/42 MAPK. Il

giorno dell’esperimento, dopo aver effettuato gli stimoli, le cellule CHO-R1 vengono prime

trattate con il buffer di lisi (10 M TRIS HCl pH 7.4; 150 mM NaCl; 1% TRITON; 1 mM EDTA;

10% glicerolo; inibitori delle proteasi: - 1 mM PMSF; -10 µg/ml leupeptina; -10 µg/ml

aprotinina; inibitori delle fosfatasi: -1 mM NaV; - 50 mM NaF; - 25 mM β-glicerofosfato) e, poi,

lasciate in ghiaccio per 10’. In seguito si centrifugano per 10’ a 14000 rpm. Gli estratti proteici,

contenuti nel sopranatante, vengono raccolti

e conservati a –20°C.

Un’aliquota dei campioni è usata per la determinazione del contenuto proteico. La

concentrazione proteica viene determinata mediante Saggio Clorimetrico di Bradford e l’utilizzo

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del colorante Protein-Assay (BIORAD). La lettura della concentrazione delle proteine è

effettuata a 595 nm tramite spettrofotometro (GeneQuant pro), precedentemente calibrato con

una curva standard allestita con una soluzione di albumina a concentrazione nota.

Le proteine estratte dalle cellule CHO-R1 sono separate mediante SDS-PAGE, su gel di

poliacrilammide al 10%. Di ogni campione sono stati caricati 40 µg. La separazione

elettroforetica che viene eseguita utilizzando un apparato elettroforetico (BioRad Mini Protean II

Cell, Hercules, USA), è condotta a 50mA per superare lo stacking e in seguito a 70mA per circa

3 ore, utilizzando come soluzione conduttrice il Running Buffer 1X (1g Tris; 14g Glicina; SDS

1% in un litro di acqua distillata). Al termine della corsa le proteine del gel sono trasferite su una

membrana di nitrocellulosa Hybond C (Amershan Pharmacia) in un sistema di trasferimento

contenente Transfer Buffer 1X (1g tris; 14,4g di Glicina; 200ml di metanolo in un litro di acqua

distillata). Il trasferimento viene effettuato per un ora a 120mV, usando un sistema semidry

electroblotting (BioRad, Transblot SD). Dopo il trasferimento la membrana è immersa nel

colorante Rosso Ponceau allo scopo di verificare l’esatto caricamento e trasferimento delle

proteine. La membrana è quindi saturata per un ora in soluzione di Blottaggio (1% di latte; 1% di

BSA in TBS-Tween allo 0,005%) e incubata per tutta la notte con l’anticorpo policlonale anti-

pERK1/2, 1:1000 (Cell Signaling). Successivamente vengono effettuati 3 lavaggi di 15’ con

TBS-Tween allo 0,005% e quindi si procede all’incubazione con la "perossidasi di rafano"

coniugata con l’opportuno anticorpo secondario diluito in soluzione di Blottaggio per un ora. La

membrana è nuovamente sottoposta a 3 lavaggi per 15’ con TBS-Tween allo 0,005%. Le

proteine immunoreattive sono poi rilevate tramite chemioluminiscenza trattando la membrana

per 1’ con ECL (Amersham, Arlington Heigths, IL). La membrana è quindi trasferita insieme

alla lastra di sviluppo nell’apposita cassetta. Dopo un tempo di esposizione variabile la lastra

viene sviluppata. Le immagini delle lastre sono poi acquisite al computer tramite scanner in

formato TIF ed elaborate tramite il programma Scion Image (NIH). Il programma è in grado di

convertire l’intensità della banda in valori numerici.

ANIMALI

Per tutti gli esperimenti sono stati utilizzati topi adulti CD1 Wild Type (WT), topi C57BL/6

PKR1 e PKR2 knockout maschi (generati dalla Lexicon Genetics, The Woodlands) del peso di

30-35 g e ratti maschi Sprague Dawley del peso di 300-350g. Gli animali sono stati stabulati in

condizioni standard di luce (illuminazione dalle 7:00 alle 19:00), di temperatura (22 ± 1°C) e di

umidita’ relativa (60% ± 10%), con cibo ed acqua “ad libitum”.

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Tutte le procedure sperimentali utilizzate in questo lavoro sono in accordo con le direttive del

Ministero Italiano Della Salute (D.L.116/92).

SOMMINISTRAZIONI DELLE SOSTANZE

Somministrazione intraplantare (i.pl.): Bv8 è stato iniettato nella zampa posteriore dei ratti

utilizzando una microsiringa collegata ad un ago da 30-gauge. Bv8 è stato disciolto in soluzione

salina (0.9% NaCl) ed iniettato alle dosi di 0.5 e 0.03 ng/ratto nella regione plantare della zampa

(40 µl). Ai ratti controllo è stata somministrata la stessa quantità di soluzione salina. PC1,

disciolto in soluzione salina, è stato iniettato, in base allo schema sperimentale, 5’ prima di Bv8

o 90’ e 150’ dopo Bv8. L’olio di mostarda (10% in olio minerale) e la capsaicina (5 nmol) sono

stati iniettati in un volume di 20 µl nella porzione plantare della zampa posteriore del topo.

Somministrazione intratecale (i.t.): Nei ratti anestetizzati con chetamina-xilazina (60+10 mg/kg,

i.p.) è stato inserito un catetere cronico lombare intratecale secondo la procedura di Yaksh &

Rudy (1976) modificata. In breve, è stata fatta un’incisione a livello della membrana atlanto-

occipitale ed è stato inserito un catetere 8.5-cm PE10 nello spazio intratecale in modo tale che la

fine del catetere raggiungesse la porzione lombare del midollo spinale. Bv8, disciolto in

soluzione salina è stato iniettato alla dose di 0.5 ng. Ogni ratto ha ricevuto 5 µl di Bv8 o salina o

PC1 seguito da 10 µl di soluzione salina. PC1 è stato iniettato per via i.t. 5’ prima di Bv8.

Somministrazione sistemica (s.c.): Bv8 disciolto in souzione salina è stato iniettato alla dose di

200 ng/kg in un volume di 2 ml/kg tramite somministrazione sottocutanea nel fianco

dell’animale. Ai ratti controllo è stata somministrata la stessa quantità di soluzione salina. PC1,

disciolto in soluzione salina, è stato iniettato a diverse dosi, in base allo schema sperimentale, in

un volume di 2 ml/kg nel ratto e 5 ml/kg nel topo.

Somministrazione intraperitoneale (i.p.): Una soluzione di acido acetico allo 0.8% è stata

somministrata per via intraperitoneale nei topi in un volume di 5 ml/kg.

Gavaggio orale: PC1, disciolto in soluzione salina, è stato iniettato a diverse dosi, in base allo

schema sperimentale, in un volume di 7 ml/ratto, 15’ prima di Bv8, tramite un catetere flessibile

collegato alla siringa.

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MODELLI ANIMALI DI DOLORE INFIAMMATORIO

Infiammazione della zampa indotta da carragenina: l’infiammazione della zampa posteriore

dell’animale è stata indotta dalla somministrazione intraplantare di 25 µl di una soluzione al 2%

di λ-carragenina.

Infiammazione del ginocchio indotta da caolino/carragenina: l’infiammazione del ginocchio è

stata prodotta secondo il metodo di Telleria-Diaz et al., 2010. E’ stato inserito, delicatamente,

attraverso il legamento patellare del topo, un ago da 26-gauge attraverso cui sono stati

somministrati 40 µl di una sospensione di caolino al 4% nella cavità articolare. Dopo 15 min di

flessione ed estensione dell’articolazione, sono stati somministrati 40 µl di una soluzione al 2%

di λ-carragenina e sono stati ripetuti i movimenti di flessione ed estensione del ginocchio per

ulteriori 5 min.

Infiammazione cronica da Adiuvante Completo di Freund (CFA): l’infiammazione della zampa

posteriore dell’animale è stata indotta dalla somministrazione intraplantare di Audiuvante

Completo di Freund (CFA, 0.5 mg/ml di micobatteri mycobacterium tubercolosis o m. butyricum

in emulsione 1:1 di salina e olio minerale) in un volume di 100 μl nel ratto.

MODELLO ANIMALE DI DOLORE NEUROPATICO

La legatura cronica del nervo sciatico (CCI) è stata eseguita utilizzando il metodo di Bennett e

Xie (Bennett GJ, 1988). I topi sono stati anestetizzati con chetamina/xilazine (60+10 mg/kg, i.p.)

ed è stata eseguita un’incisione al di sotto dell’osso iliaco, parallela al nervo sciatico. Il nervo

sciatico destro è stato esposto e separato dal tessuto connettivo circostante. Sono state fatte tre

legature blande distanziate tra loro di 1.0-1.5 mm, utilizzando filo di seta 4-0, attorno al nervo

sciatico, quindi, il muscolo e la pelle sono stati suturati. Nei topi sham è stata eseguita la stessa

procedura eccetto che la legatura del nervo.

TEST PER LA VALUTAZIONE DEL DOLORE

Permettono la valutazione della soglia nocicettiva di animali sottoposti ad uno stimolo algogeno.

Per la valutazione della soglia nocicettiva, è fondamentale ottenere delle risposte costanti; a tal

fine, nei giorni precedenti l’esperimento, gli animali devono essere abituati all’ambiente dove si

effettua il test e in alcuni casi al test stesso, per evitare alterazioni delle risposte dovute allo

stress. Il giorno dell’esperimento il test viene effettuato due volte, a distanza di 30 minuti, prima

della somministrazione della sostanza e la media dei due valori rappresenta la soglia nocicettiva

di base (NTb). La variazione di tale parametro, indotta dalla somministrazione del composto in

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studio, viene seguita nel tempo ad intervalli stabiliti. Il test viene condotto su entrambe le zampe

in modo alternato e il valore registrato è la media di tre misure consecutive (NTts).

TEST PER LA VALUTAZIONE DELLA IPERALGESIA TERMICA

PAW-IMMERSION: in questo test le zampe posteriori del topo, in modo alternato, vengono

immerse in un bagnetto termostatato alla temperatura di 48° C e mediante l’utilizzo di un timer,

registrato il tempo di latenza tra l’immersione della zampa e la risposta dell’animale (retrazione

della zampa).

HOT-PLATE: per effettuare questo test l’animale viene posto all’interno di un cilindro di

plexiglass che poggia su una superficie metallica termostatata alla temperatura di 48 o 52 °C.

Contemporaneamente all’immissione dell’animale sulla piastra calda viene premuto un pulsante

che attiva un timer con il quale viene registrato il tempo di latenza tra l’applicazione dello

stimolo termico e la risposta da parte dell’animale (leccamento o scuotimento delle zampe

posteriori; tentativo dell’animale di saltare fuori dal contenitore).

TEST PER LA VALUTAZIONE DELLA IPERALGESIA MECCANICA

PAW-PRESSURE: lo strumento utilizzato, Analgesy Meter (secondo Randall-Selitto) permette

di esercitare sulla zampa dell’animale una pressione, mediante la punta smussata di un cono, che

aumenta a velocità costante (es. 16 grammi per sec) e che viene continuamente monitorata grazie

ad un puntatore che si muove su una scala graduata. Non appena l’animale avverte dolore, sposta

la zampa oppure manifesta segni di insofferenza (agitazione o squittio); a questo punto

l’operatore è in grado di registrare il valore della pressione a cui l’animale reagisce allo stimolo.

Il test viene condotto su entrambe le zampe, trattata e controlaterale, secondo uno schema ben

preciso: zampa destra-sinistra-sinistra-destra-destra-sinistra e il valore registrato è la media di

questi tre valori.

TEST PER LA VALUTAZIONE DELLA ALLODINIA TATTILE

VON-FREY: In questo test, gli animali vengono posti in recinti di plexiglass su una grata

metallica. Come stimolo tattile vengono utilizzati una serie di filamenti di nylon di diametro

crescente, a cui corrisponde una scala di forza espressa in grammi (da 0.07 a 6 g per i topi e da

1,56 a 15,0 g per i ratti). I filamenti vengono applicati, uno per volta, perpendicolarmente alla

superficie della zampa posteriore o sulla fronte dell’animale per 7 secondi e la soglia nocicettiva

determinata secondo il metodo “up and down” descritto da Dixon (Dixon et al., 1980).

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In tutti i test di tipo meccanico e termico l’effetto della sostanza in esame è stato calcolato come

variazione percentuale nella soglia nocicettiva rispetto alla soglia di base (%NT), secondo la

seguente formula:

%NT = (NTts – NTb) / NTb X100

dove: NTts indica la soglia nocicettiva dopo il trattamento ed è stato valutato ad intervalli di

tempo regolari fino al termine dell’effetto della sostanza testata.

TEST PER LA VALUTAZIONE DELLA SOGLIA NOCICETTIVA IN SEGUITO A STIMOLI

CHIMICI

PAW-LICKING: La capsaicina (5 nmol) è stata somministrata nella zona plantare della zampa

posterior dei topi ed è stato valutato il numero di ‘leccamenti’ della zampa per 10 minuti dalla

somministrazione.

WRITHING: Una soluzione di acido acetico allo 0.8% è stata somministrata per via

intraperitoneale nei topi ed è stata valutata l’intensità del dolore provocato misurando il numero

di strisciamenti sull’addome che si verificano nel periodo di 20 min dopo la somministrazione.

INCAPACITANCE TEST

Con l'incapacitance test si misura il "weight bearing" ossia la diversa distribuzione del peso

corporeo dell’animale sulle zampe posteriori. L'apparato consiste in una camera di plexiglass,

costituita da una parte piana e da una rampa inclinata, all’interno della quale l’animale viene

alloggiato in modo da poggiare entrambe le zampe anteriori sul piano inclinato e le zampe

posteriori sulla parte piana; questa è costituita da due piatti, ciascuno collegato a un sensore che

registra la forza (espressa in grammi) esercitata da ciascuna zampa.

EDEMA

Il pletismometro permette di misurare il volume della zampa di un ratto o di un topo.

L’apparecchio presenta due cilindri, collegati tra loro, ripieni di soluzione salina; in un cilindro si

immerge la zampa dell’animale, mentre nell’altro è presente un trasduttore, che registra le

variazioni del livello della soluzione, dovuto all’immersione della zampa. Prima dell’utilizzo, lo

strumento è calibrato mediante l’immersione nel cilindro, dove si immerge la zampa

dell’animale, di diversi pistoni di plastica di volume noto. Su un display digitale è possibile

leggere esattamente il volume occupato dalla zampa (espresso in mL).

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Si effettuano 3 misurazioni prima dell’esperimento e la rispettiva media, rappresenta il volume

basale della zampa; le successive misurazioni si effettuano durante l’esperimento, per monitorare

la variazione del volume della zampa, dovuto al trattamento, rispetto al volume basale.

Anche in questo test, le misurazioni sono effettuate su entrambe le zampe, zampa trattata e

controlaterale.

L'entità della variazione del volume della zampa viene misurata come:

Vts - Vb

dove:

Vts è il volume durante il processo infiammatorio.

Vb è il volume della zampa prima dell’infiammazione.

L’aumento dello spessore del ginocchio è stato misurato utilizzando un calibro ed i valori sono

stati espressi in millimetri (mm).

TEST COMPORTAMENTALI PER VALUTARE I DISTURBI DEL SISTEMA NERVOSO

CENTRALE

I test comportamentali utilizzati in questi esperimenti per valutare l’ansia e la depressione,

espongono l’animale ad uno stimolo negativo incontrollabile (stress) che induce nel topo un

deficit comportamentale. Questo deficit però non compare in tutti gli individui sottoposti allo

stesso stress, perché alcuni di essi riescono ad esercitare un controllo sul loro comportamento. I

test si basano quindi sulla risposta che presenta ogni individuo sottoposto a stress. Gli animali

ansiosi e depressi si arrendono a quella condizione e non cercano di evadere, mentre gli animali

sani cercano in ogni modo di sfuggire da quella situazione negativa; quindi questi test sono in

grado di evidenziare importanti differenze individuali.

Negli animali l’ansia e la depressione inducono un’inibizione comportamentale che si evidenzia

in una minore motilità accompagnata da uno stato di continua attenzione, ma soprattutto in una

marcata inattività esplorativa e quindi un disinteresse verso tutto ciò che non rassicura l’animale

nella nuova situazione nella quale si viene a trovare. E’ proprio sulla base di questi parametri che

sono stati messi a punto dei test che stimolano e valutano il grado di ansia dell’animale.

Il tail suspension test (TST) è un test che permette di valutare lo stato di depressione

dell’animale. Il topo è legato tramite la coda ad una barra semirigida orizzontale a 25 cm di

altezza da terra, sorretta da due colonnine di metallo; questa posizione induce nei topi uno stato

depressivo e, normalmente i topi tendono a divincolarsi muovendosi ripetutamente; topi depressi,

invece, non tendono a divincolarsi, quindi maggiore sarà il tempo di immobilità maggiore sarà lo

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stato depressivo dell’animale; per un periodo di 6 minuti vengono registrati i secondi di

immobilità dell’animale.

Il marble burying test permette di valutare gli stati ossessivo-compulsivi e le stereotipie

dell’animale. Il topo viene posto per 15 minuti in una gabbia opaca (30×30×28 cm) con

all’interno 5 cm di segatura e 15 biglie da 2 cm di diametro ciascuna poste su 3 file alla stessa

distanza l’una dall’altra. Sono valutati:

1) Il numero di biglie sotterrate sotto la segatura;

2) Il numero di scavi (digging) fatti dall’animale con le zampe anteriori, posteriori e con la

testa;

3) Il tempo di latenza che intercorre tra l’ingresso dell’animale nella gabbia ed il primo

scavo.

Un comportamento dell’animale relazionato alle manie ossessivo-compulsive sarà correlato

all’aumento del numero di biglie sotterrate e al numero di scavi e a una diminuzione del tempo di

latenza al primo scavo.

L’elevated plus maze (EPM) è test che permette di valutare gli stati ansiosi nei roditori ed è

utilizzato come test di screening per i composti ansiolitici o ansiogeni putativi. Il topo viene

posto al centro di un labirinto, elevato 40-70 cm dal pavimento, composto da due braccia aperte

e due braccia chiuse, e ne viene valutata l’attività per 5 minuti; in questo periodo vengono

registrati i secondi che l’animale trascorre sulle braccia chiuse e sulle braccia aperte del labirinto.

I risultati vengono espressi con la percentuale di scelta da parte del topo di entrare nelle braccia

aperte del labirinto. Le entrate sono definite tali quando il topo entra con tutte le zampe nel

braccio. Il test si basa sull’avversione dei roditori verso gli spazi aperti. Questa avversione

conduce al comportamento definito «tigmotassia», che porta l’animale ad evitare aree aperte

limitandosi a movimenti in spazi chiusi o ai bordi di uno spazio limitato. Nell’EPM questo si

traduce in una limitazione di movimento nelle braccia aperte. La riduzione dell'ansia nell’EPM è

indicata da un aumento della percentuale di tempo trascorso dall’animale nelle braccia aperte.

Un topo che presenta comportamenti correlati all’ansia non entra o trascorre pochissimo tempo

nelle braccia aperte.

Il rotarod accelerating test è un test che permette di valutare le capacità motorie e di

coordinazione dei roditori. Si tratta di uno strumento costituito da un cilindro rotante separato in

setti che permette di testare le capacità sensitivo-motorie di diversi topi simultaneamente

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verificando la loro abilità nel rimanere in equilibrio e nel muovere in modo coordinato gli arti

anteriori e posteriori. L’eventuale caduta dell’animale dal cilindro fa scattare un meccanismo che

ferma il timer e permette di registrare il tempo di permanenza. Prima di iniziare l’esperimento

tutti i topi sono stati sottoposti ad una fase di allenamento in cui sono stati mantenuti sul rotarod

alla velocità minima fino a quando non hanno raggiunto i 100 secondi. Durante il test agli

animali è richiesto di permanere sul cilindro rotante per 300 secondi; il topo tende inizialmente a

camminare sul cilindro, quando il topo non è più in grado di mantenere l’equilibrio, cade a terra.

Il giorno dell’esperimento tutti i topi sono stati sottoposti al test, successivamente alcuni sono

stati trattati con il composto PC1 ed altri con il veicolo e sottoposti di nuovo al test dopo 30, 60 e

90 minuti dopo le somministrazioni. Ogni topo è stato sottoposto tre volte al test con velocità

crescente da 4 a 40 rpm per un tempo totale di 5 minuti;

Viene misurato il tempo di latenza (sec) che intercorre tra rotazione del topo sul cilindro e la sua

caduta; questo periodo è un indice della capacità di bilanciamento, coordinazione ed attività

psico-fisica dell’animale. Difficoltà motorie, di coordinazione e di equilibrio dell’animale

equivalgono ad un minor periodo di tempo trascorso sul rotarod.

Il Y Maze Test permette di valutare la “working memory”, o memoria spaziale, legata

principalmente alle aree dell’ippocampo, setto e corteccia prefrontale. Il topo viene posto al

centro di un labirinto a forma di Y con braccia chiuse (lunghezza 40cm, altezza 12cm e

larghezza 3cm) che formano tra loro un angolo di 120°, ed in fondo alle quali sono presenti 3

simboli diversi (quadrato, cerchio, triangolo) e ne viene valutata l’attività per 8 minuti. I roditori

tipicamente preferiscono esplorare nuove braccia del labirinto piuttosto che ritornare in un

braccio già visitato alternando l’ingresso nelle braccia in maniera sequenziale (es. ABC, CAB,

BCA e non ABA). Al termine del periodo di valutazione viene calcolata la percentuale di

alternanza degli ingressi sequenziali nelle 3 braccia. La percentuale di alternanze è stata definita

secondo la seguente equazione:

% alternanza = [(numero di alternanze) / (numero totale delle entrate nelle braccia - 2)] x 100.

Minore sarà la percentuale di alternanza maggiori saranno i deficit cognitivi dell’animale.

SAGGIO DEL BLUE EVANS

I ratti, anestetizzati con il dietil-etere, sono stati iniettati con una soluzione 2.5% di Blue Evans

(100 mg/Kg b.w.) nella vena peniena; 20 minuti dopo l’iniezione, gli animali sono stati

sacrificati mediante inalazione di CO2. E’ stato prelevato il tessuto corrispondente alla zona

plantare sia della zampa infiammata (CFA) che della zampa controlaterale (salina) e i frammenti

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sono posti in provette contenenti 2.0 ml di formammide. Le provette sono state incubate

overnight a 60°C. I campioni sono stati analizzati con uno spettrofotometro (Shimadzu UV-

160A) ed è stata determinata l’assorbanza alla lunghezza d’onda di 618 nm.

La quantità di colorante fuoriuscita dalla zampa e presente nel liquido di incubazione è stata

estrapolata da una curva standard ottenuta con diluizioni seriali a concentrazione nota di Blue

Evans. I dati sono stati espressi come µg di Blue Evans per mg di tessuto (µg/mg) prelevato dalla

zampa.

SAGGIO DELLA MIELOPEROSSIDASI (MPO)

Il saggio dell’MPO consente di valutare l’attività della mieloperossidasi, un enzima contenuto

nei granuli azzurofili intracellulari dei granulociti polimorfonucleati (PMNs).

Abbiamo utilizzato l’attività mieloperossidasica come indice di accumulo dei neutrofili nella

regione plantare delle zampe posteriori del ratto trattate o con Adiuvante Completo di Freund

(CFA; zampa destra) o con Bv8 o con salina (zampa sinistra). I ratti sono stati sacrificati

mediante inalazione di CO2 e i campioni di tessuto di zampa (circa 0.5 cm2) raccolti in 2.0 ml di

K2HPO4 50 mM (pH = 6.0) contenente 0.5 % di bromuro esadeciltrimetilammonio (HTAB,

Sigma, Chemical CO, MO) e conservati a -80°C. Il giorno del test i campioni sono stati

scongelati per 15 minuti a 37°C, omogenati con il Polytron (PT3100) a 27000 rpm per 2 minuti,

sonicati per 20 secondi, sottoposti a 3 cicli di congelamento e scongelamento (un ciclo = 15

minuti a -80°C o a 37°C), sonicati di nuovo per 20 secondi, e centrifugati a 40000 g per 15

minuti a 4°C. A 100 l di surnatante si aggiungono 900 l di K2HPO4 50 mM , pH = 6.0,

contenente 0.167 mg/ml di dianisidina-O-dicloridrtato e 0.0005% di H2O2. L’attività

mieloperossidasica di ciascun campione è stata analizzata a 460 nm con uno spettrofotometro

(Shimadzu UV-160A). Il numero dei neutrofili richiamati è estrapolato da una curva standard

dove a un numero noto di neutrofili peritoneali (ottenuti dopo induzione di peritonite con 1% di

glicogeno d’ostrica) corrisponde un determinato valore d’assorbanza. I risultati sono espressi

come numero di neutrofili/mg tessuto.

IMMUNOFLUORESCENZA

I topi sono stati anestetizzati e perfusi per via intracardiaca con 30 ml di buffer salino fosfato

(PBS, 1X), pH 7.4, seguito da 60 mL di paraformaldeide fredda (4°C) al 4% (PFA) in PBS. Il

midollo spinale (regione L4-L6) è stato prelevato, post-fissato overnight nello stesso fissativo a

4°C e successivamente mantenuto a 4°C in 30% di saccarosio fino all’utilizzo.

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Il midollo spinale è stato tagliato tramite criostato in sezioni seriali da 40 µm, le quali sono state

incubate per 48 h a 4°C con anticorpo primario diluito in PBS-0.3% Triton X-100. Gli anticorpi

primari utilizzati sono stati: 1/200 rabbit polyclonal anti-prokineticin 2 (PK2, AbCam,

Cambridge, UK) e 1/400 mouse polyclonal anti-glial fibrillary acidic protein (GFAP). Al termine

dell’incubazione, dopo 3 lavaggi in PBS, le sezioni sono state incubate per 2 h a temperatura

ambiente con Alexa Fluor®-488 donkey anti-rabbit IgG (1:200) (verde), Alexa Fluor®-555

donkey anti-mouse IgG (1:200) (rosso). Dopo ulteriori 3 lavaggi in PBS, le sezioni sono state

incubate per 15 min con la soluzione 4',6-diamidino-2-phenylindole (DAPI; 1:500) per la

visualizzazione dei nuclei. Le sezioni free-floating del midollo spinale montate su vetrino sono

state esaminate al microscopio confocale (Leica SP5) in maniera sequenziale per permettere il

collegamento tra i canali. Le immagini sono state processate utilizzando Adobe Photoshop 7 ed

Adobe Illustrator 10.

RT-PCR

I ratti sono stati sacrificati mediante inalazione di CO2 e i campioni di tessuto di zampa sono stati

processati tramite RNeasy Kit (Qiagen) per permettere l’estrazione dell’RNA totale. Il cDNA

ottenuto mediante retrotrascrizione è stato amplificato tramite real-time PCR (iCycler; Bio-Rad)

utilizzando l’iQ SYBR Green Supermix (Bio-Rad). Sono stati utilizzati i seguenti primers di

ratto: PK2, 5-CAAGGACTCTCAGTGTGGA-3 and 5-AAAATGGAACTTTCCGAGTC-3).

Ogni reazione che contiene l’opportuna coppia di primers, 5 µl di cDNA ed il SYBR green

(SensiMix SYBR & Fluorescein Kit, Bioline), viene sottoposta a PCR, utilizzando il

termociclatore iCycler (Bio-Rad).

I livelli di espressione del gene di interesse sono stati riportati come numero di copie per ng

totale di RNA rapportati ad una curva standard ottenuta per ogni gene analizzato.

ANALISI STATISTICA

I punti sperimentali sono stati espressi come medie errore standard. Ogni gruppo sperimentale

è costituito da 10 animali. Tutti i dati sono stati elaborati al computer utilizzando il programma

Prism 5.0, con Two-way ANOVA, Bonferroni test. Sono state considerate come differenze

significative quelle con un valore di p < 0.05 (*), come molto significative quelle con p < 0.01

(**), e come altamente significative quelle con p < 0.001 (***).

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7. RINGRAZIAMENTI

Durante il percorso, fatto di salite e discese, che mi ha condotto alla realizzazione dei dati ed alla

discussione della tesi di dottorato ho avuto il piacere e la fortuna di conoscere e di avere al mio

fianco persone che, ognuno con il proprio contributo ha reso possibile il raggiungimento di

questo traguardo.

In primo luogo ringrazio sentitamente la Prof.ssa Lucia Negri, mia tutor e responsabile del

laboratorio in cui ho svolto la tesi. Grazie al suo contributo, umano e scientifico, che mi ha

fornito quotidianamente, ho cercato di apprendere, da un lato, tutte le conoscenze nell’ambito

della ricerca farmacologica e dall’altro, i suoi continui stimoli ed incoraggiamenti mi hanno fatto

capire come affrontare quello che all’inizio per me era un mondo ancora da scoprire totalmente.

Ringrazio con affetto la Prof.ssa Roberta Lattanzi, che sin dall’inizio, con la sua massima

disponibilità, mi ha condotto per mano in laboratorio trasmettendomi tutti gli insegnamenti

pratici, teorici e umani, e per essere stata sempre presente e vicina durante tutti i periodi di

difficoltà.

Ringrazio i miei primi compagni di viaggio Daniela Maftei e Veronica Marconi con cui ho

condiviso ogni giorno la mia attività in laboratorio, dal primo giorno all’ultimo, e con cui ho

avuto il piacere di stringere un bel rapporto di amicizia; grazie anche per tutto quello che mi

avete insegnato e per il vostro affetto sincero. Durante il viaggio, si è aggiunta Angela Cappiello

che è stata capace in un solo anno di darmi una grossa mano sia da un punto di vista sperimentale

che umano, il ricordo del suo sorriso e della sua disponibilità rimarrà per sempre nella testa e nel

cuore di chi ha avuto la fortuna di conoscerla; purtroppo il suo viaggio è durato troppo poco.

Altrettanto importante è stato il contributo dell’ultima arrivata, Bianca Fabi, che con il suo

entusiasmo e con la sua voglia di fare ha partecipato attivamente alla realizzazione della mia tesi.

Ringrazio tutti coloro i quali all’interno del Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia “V.

Erspamer” mi hanno trasmesso le loro conoscenze e la loro voglia e passione per la ricerca, dai

professori ai ricercatori, dagli altri colleghi dottorandi ai tesisti.

Dulcis in fundo, ringrazio i miei amici, romani e calabresi, per aver sopportato le mie “lamentele

da laboratorio”; ringrazio fortemente la mia famiglia, papà Gioacchino, mamma Margherita,

Flora e Giuseppe per avermi dato la forza di andare avanti credendo in me.

Grazie a Milena che mi ha sempre spinto con il suo affetto ed il suo sostegno verso traguardi che

non pensavo mai, da solo, di poter raggiungere.

“Il meglio deve ancora venire”