112 - Daniele Crespi, Digiuno S. Carlo di (part ... · fra la tavola e la cuoca, entrambi...

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112 - Daniele Crespi, Digiuno di S. Carlo (part.), 11 - Annibale Carracci, / / mangiatore di fagioli. Chiesa della Passione, Milano.

Galleria Colonna, Roma.

ZENE S O L I T A R I E «Il mangiatore di fagioli» di Annibale Carracci (tav. I l i) e il «Pasto di San Carlo Borro-

neo» (tav. 112) di Daniele Crespi: due modi diametralmente opposti di concepire la tavola apparecchiata e il suo rapporto con la figura umana, una volta colta nella sua singolarità e quindi in una dimensione lontana dalla etichetta o dalla cerimonia della corte come della fa­miglia contadina. Ul t imo campione, per chiarire un programma investigativo centrato sul rapporto fra il tavolo, e quindi Parredo inanimato, e la figura umana , può essere considerato e successivamente discusso la «Vecchia cuciniera» di Diego Velàzquez (tav. 113): ma quest 'ul-:imo esempio coglie già, pur nella singolarità dei rapporti plastici, una situazione sociale che immediatamente esula dal discorso.

Tornando comunque ai «pasti solitari», il carattere peculiare del Carracci sembra essere costituito dall 'attimo colto del gesto del l 'uomo, istantaneo e contemporaneamente significati­vo nella sua dimensione a-temporale e nella sua irripetibilità: tanto è l'accorgersi, l 'essere sor-

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presi nell'atto quotidiano o personale del fare. D'altra parte, una volta acquisita una regola, il modo di comportarsi a tavola acquista l 'automatismo del respiro o del m o d o di coricarsi a let­to, a dispetto delle correzioni che, solo attraverso un severo autocontrol lo, possono produrre alcuni esiti efficaci.

Anche nel pasto frugale del Cardinale esiste per così dire un at t imo rubato all 'esistente, ma certamente non riguarda la posa meditativa del prelato, colto nell ' immobili tà della lettura e quindi in un atteggiamento la cui dilatazione temporale può essere facilmente acquisita, quanto nelle persone che dalla porta laterale sembrano sorprendere e spiare il commensale . Se si tiene oltretutto conto che nella versione presente ai Musei civici del Castello di Milano, probabilmente un bozzetto per l 'edizione conclusiva, il taglio della composiz ione penalizza questa «seconda scena» rispetto alla principale, il carattere dell 'amplificazione risulta penso conclusivamente evidente.

La posa del cardinale, nella sua immutabili tà, sembra quasi entrare in gara empatica con la dimensione a rmoniosamente statica e au tonoma degli arredi disposti in p r imo piano, per porsi poi in m o d o dialettico con il «momento» fuggente degli osservatori sul fondo della stanza. Immutabi le e m o m e n t a n e o , gesto u m a n o fissato e naturale fissità del l ' inanimato sin­golarmente ripreso nella nettezza e nella povertà dell 'arredo della tavola nuda, costituiscono comunque la lezione determinante del dipinto, ind ipendentemente dalle già r ichiamate am­plificazioni.

Una medes ima allusione comunque , fra fissità e es temporaneo, pur con equilibri affatto diversi, deve essere attribuita al «Mangiatore di fagioli», in cui il proscenio è r iempito dalla tavola disposta, quindi in una impaginazione tranquillizzante, composta di pieni e ben identi­ficabili pietanze, ment re al gesto di sorpresa è affidato il compi to di «attualizzare» e di rende­re flagrante una osservazione altrimenti immota .

A dispetto delle consonanze iconografiche che possono suggerire un accos tamento si­gnificativo fra questa tavola e le imbandigioni che conosceranno alla fine del secolo il loro splendido m o m e n t o inaugurale, la dialettica che si instaura nel quadro del Carracci fra ani­mato e inanimato rende il documen to ben distante dal clima culturale che si vuole rico­struire.

E stata recentemente avanzata da Francesco Porzio (1980) l'ipotesi che nel quadro del Carracci e non solo in esso ma in tutta la pittura centro-settentrionale di genere, sia prevalen­te la radice «teatrale» della commedia dell 'arte, che cioè nella grande esposizione dei cibi sia presente, come spunto radicale, la grande lotta fra la fame e la sua soddisfazione, protagonista caratterizzante dell 'esistenza degli Zanni . E questo cer tamente può essere contr ibuto non in­differente alla comprens ione di un favore o di una consistenza e ricorrenza presente nel gene­re: certo c o m u n q u e che il gesto del mangiatore ha poco del basso ceto e mol to del «compor­tarsi» civile, per non dire nobile.

Se teniamo conto che ancora nel 1729, in base a un d o c u m e n t o pubblicato da Elias (1982, p. 211) si raccomanda, nel l ' impugnare il coltello o il cucchiaio, di evitare fu so della mano piena e di riservare alle dita il compito di gestire l 'utensile, poss iamo più facilmente comprendere la spaesante elevatezza di rango attribuibile al gesto del commensa le , rispetto al contorno disadorno e alla stessa foggia del vestito che indossa.

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113 - D iego Velàzquez, La friggitrice, National Gallery of Schotland, Edimburgo.

E questo pur tenendo conto della distanza geografica che le due aree geografiche (Italia e Francia) possono segnalare.

«Alto» e «basso» sono allora presenti con una cocente coesistenza: pur presentando in ogni caso un or ientamento focalmente organizzato nella già ricordata opposizione fra staticità della tavola e dinamicità, estemporaneità del gesto del l 'uomo, il documento di Carracci allu­de, come impianto secondario, a un ambiente: è questo carattere a risultare determinante nel confronto con il secondo pasto «solitario» che abbiamo ricordato. Il primo documento esal­ta, nell ' impianto prospettico accentuato e nella mancanza del bordo in proscenio, una feb-

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114 - Nicolas Maes, / / rendimento di grazie, Rijksmuseum, Amsterdam. 115 - Jean-Baptìste Chardin, / / pasto di convalescenza,

National Gallery, Washington.

brile interpretazione del l 'es temporaneo; il secondo invece conosce, per l ' a l lontanamento di-stanziante dell ' impianto, un particolare isolamento dei soggetti (siano essi uman i o inanimati) .

Una più adeguata relazione fra situazione ambienta le , tavola apparecchiata e figura u m a n a può essere documenta ta dall 'opera di Nicolas Maes ora al Ri jksmuseum di A m s t e r d a m (tav. 114) cronologicamente matura rispetto agli esempi precedenti , e soprattut to elaborata in un'area culturale che aveva già espresso in m o d o perentor io una ricognizione ben significativa sul m o n d o del soggetto inanimato. E in effetti «brani» di natura morta - operazione ora legitti­ma per la coincidenza cronologica - sono p repo ten temente evidenti nel quadro , dalla nicchia in

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cui sono collocati oggetti emblematici e d'uso, alle chiavi in aggetto sul muro fino alla tavola tagliata dalla luce che ne lascia una parte in penombra: la sintesi fra questo alfabeto oggettua­le e la figura umana risulta plasticamente originale consentendo un equilibrio in cui il criterio del soggetto «stili», in posa, fermo, acquista il divaricante significato del l ' immoto e dell 'im­mobile, dell 'atteggiamento rubato in un divenire continuo e invece colto nella imperturbabi­lità della stasi che gli è propria. Maes comunque sembra uniformare l 'uno e l'altro da una medesima atmosfera ambientale e da una medesima attenzione plastica: in questo l'originali­tà e l'unicità del documento .

Temat icamente invece il soggetto coglie un confronto fra tavola e u o m o in cui la dimen­sione meditativa, dell'attività sospesa, annulla l 'e lemento di cerimonia per un rapporto più in­t imo, personale: se per molti aspetti e esempi si è allora parlato di tavola o cena come luoghi pubblici, in questi esempi l'assenza di spettacolo e di spettatori nella scena riconduce il ragio­namento alla soddisfazione di un'esigenza primaria, quella della fame, e al m o d o con cui essa può essere tacitata.

Ult imo documento , anche se evidentemente diverso come clima e come epoca pittorica ma egualmente inseribile in questa individuata «cerimonia semplificata» fra la figura umana e la tavola apparecchiata, il «Pasto di convalescenza» di Jean-Baptiste Chardin (tav. 115) ora alla National Gallery di Washington sembra cogliere con la semplicità contenuta una nuova relazione fra lo spazio contenitore, discretamente segnalato nell 'arredo e il solidale intreccio fra la tavola e la cuoca, entrambi illuminati dalla medesima omogeneizzante fonte di luce.

E quella di Chardin, soprattutto se viene confrontata con la maniera contemporanea di interpretare il soggetto inanimato, di ampiezza contenuta, più attenta alla riduzione del sog­getto alle sue qualità di fenomeno percepito, che non alla illustrazione analitica e calligrafica: e questa sensibilità investe in m o d o eguale l ' inanimato come l 'animato, annul landone creati­vamente la distanza, per una lettura invece capace di cogliere sinteticamente quanto appare diverso.

A questo occorre aggiungere la «quotidianeità» del gesto illustrato, la sua appartenenza al m o n d o dell 'osservazione e non dell'araldica, o della cerimonia ufficiale, con una interpre­tazione del genere affatto diversa rispetto alla tradizione.

T I P O L O G I A D E G L I A R R E D I Può probabi lmente sembrare una estensione indebita, o comunque una complicazione

capace di ramificare in m o d o troppo complesso la linearità di ragionamento fino a ora tenuto, affrontare e in qualche m o d o modellizzare una tipologia dei piani che possono sostenere l'ar­chitettura inanimata; l 'esigenza di una nomenclatura, operata per campioni es t remamente ri­dotti ma figuralmente significativi, è emersa quasi all 'esordio del lavoro, constatando la possi­bile classificazione, come particolare architettonico e come suo rapporto con lo spazio illu­strato, che il ripiano può contrarre, non solo nella varietà che conoscerà nel m o n d o della na­tura morta , ma anche in quei «brani» antecedenti, la cui centralità risulta sempre più fonda­mentale per una ricostruzione del problema, una volta che se ne segnali l 'organico rapporto con l 'uomo.

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