Download - Tecnica Urbanistica Lezioni

Transcript
Page 1: Tecnica Urbanistica Lezioni

Tecnica Urbanistica: Il Processo Pianificatorio Lezione 0: Introduzione al corso Utilità della tecnica urbanistica Per l’attività di un progettista:

1. per una ottimale interpretazione dei contesti insediativi

2. per la corretta comprensione dei parametri urbanistici

3. per instaurare e sostenere un rapporto con le Amministrazioni

Per l’attività di consulenza tecnica

1. su incarico di committenti pubblici e privati

2. in relazione a procedimenti giudiziari

Per l’attività di un tecnico di amministrazione pubblica

1. per ogni attività progettuale

2. per la valutazione dei progetti

3. per poter aspirare alla copertura di posti di dirigenza tecnica

Urbanistica:

Una definizione “L’urbanistica è la scienza che studia i fenomeni urbani in tutti i loro aspetti, avendo come proprio

fine la pianificazione del loro sviluppo storico, sia attraverso l’interpretazione, il risanamento, il

riordinamento, l’adattamento funzionale di aggregati urbani già esistenti e la disciplina della loro

crescita, sia attraverso l’eventuale progettazione di nuovi aggregati” Giovanni Astengo

1. Urbanistica in senso stretto, come scienza che studia i fenomeni urbani

Momento di studio e comprensione

2. Una urbanistica mirata alla pianificazione degli aggregati urbani, come tecnica di disciplina

della crescita e della gestione degli insediamenti

Momento di costruzione della città

Antitesi urbano/extra-urbano Cause:

La presenza del limite

L’antitesi antropico/naturale

La città come sede dei problemi insediativi

Eventi:

Il limite si dissolve

L’antropizzazione investe il territorio

I problemi insediativi investono il territorio

Articolazione del corso:

I temi 1. Struttura e articolazione del processo pianificatorio

2. Principi e modelli di geografia urbana

3. Elementi di urbanistica tecnica

4. Esercitazione progettuale

Le lezioni 1. Lezioni: trattazione degli argomenti del Corso

2. Esercitazioni:

Esercizi su temi trattati a lezione

Assegnazione dei temi della esercitazione individuale

Elaborazione guidata dei lavori assegnati

L’esame Una prova orale, cui avranno accesso gli studenti che avranno superato con esito positivo

l’esame delle esercitazioni annuali, precedentemente consegnate

Un esercizio numerico, svolto per scritto, sui temi trattati a lezione

Lezione 1: Il processo pianificatorio in Italia Definizione di Processo Pianificatorio Il processo pianificatorio è il complesso degli atti mediante il quale vengono programmate,

concepite e attuate decisioni riguardanti l’assetto del territorio e le sue trasformazioni.

Fattori della sua macchinosità 1. Esigenza di una gestione democratica del territorio

Page 2: Tecnica Urbanistica Lezioni

2. Esigenza della trasparenza del processo in ogni sua fase

3. Esigenza di tutelare i diritti delle comunità locali

4. Esigenza di tutelare i diritti del singolo cittadino

Le sue fasi 1. Programmazione urbanistica

A tempo indeterminato

In ambito sovracomunale

2. Definizione dell’assetto del territorio

A tempo indeterminato

In ambito comunale

3. Attuazione

A tempo determinato

In ambito infracomunale

I suoi strumenti 1. Strumenti direttori (Piani Territoriali Coordinatori)

Validi a tempo indeterminato

2. Strumenti Regolatori

Validi a tempo indeterminato

3. Strumenti Attuativi (Piani Particolareggiati)

Validi a tempo determinato

La sua struttura Legge 1150/1942 1° Fase PTC

2° Fase PF PRG PRGI

3° Fase PP

Lezione 2: Il Piano Regolatore in Italia dalla legge 2359/1865 alla LUN IL PRIMO PIANO REGOLATORE IN ITALIA Il piano regolatore edilizio

o ambito: aree interne alla città esistente

o finalità: risanamento urbanistico

Il piano di Ampliamento

o ambito: aree esterne alla città

o finalità: gestione della crescita urbana

Legge 2359/1865

Caratteristiche Legge 2359/1865 1. È facoltativo

2. È esteso al solo territorio urbano

o Esistente

o O in divenire.

3. è direttamente attuativo

4. Ha durata limitata nel tempo (25 anni)

5. La sua approvazione equivale a dichiarazione di pubblica utilità

Essendo finalizzato all’esproprio delle aree, il piano regolatore:

6. è soggetto a scadenza

7. è dettagliato fino alla scala architettonica

8. ha attuazione diretta

9. ha veste iconica

Lezione 3: Il Piano Regolatore Generale: Finalità e contenuti Il Piano Regolatore della Legge Urbanistica Nazionale

Non più finalizzato all’esproprio del suolo il Piano Regolatore della LUN assume un ruolo centrale nel

processo pianificatorio

1° Fase PTC

2° Fase PF PRG PRGI

3° Fase PP

Page 3: Tecnica Urbanistica Lezioni

LUN: Legge 1150 del 10 agosto 1942

Differenze col vecchio Piano Regolatore 1. PRG non è più uno strumento attuativo, ma è uno strumento quadro, che solo eccezionalmente

ha attuazione diretta

2. Non più soggetto a scadenza, il P.R.G. ha validità illimitata nel tempo

3. L’area di pertinenza del PRG copre l’intera estensione del territorio comunale

4. Il P.R.G. è obbligatorio (per i comuni compresi in un apposito elenco)

Finalità 1. Il P.R.G. nasce come strumento di disegno e di controllo della crescita della città

2. A partire dagli anni Settanta, assume la veste di strumento di gestione dell’assetto e dello sviluppo

del territorio

Limiti spaziali Il P.R.G. opera sull’intera estensione del territorio comunale, senza alcuna distinzione riguardo alla

densità insediativa

Cogenza (obbligatorietà) Il P.R.G. è facoltativo, tranne che per i Comuni compresi in un apposito elenco, redatto dal Ministero

dei Lavori Pubblici. (Dal 1971, l’elenco è a cura della Regione)

Validità Il P.R.G. è valido a tempo indeterminato, ovvero fino all’entrata in vigore di un nuovo P.R.G.

Contenuti (art.7) 1. la rete principale delle infrastrutture

2. la zonizzazione del territorio comunale

3. l’indicazione delle aree destinate a spazi di uso pubblico

4. l’indicazione delle aree destinate a fabbricati pubblici

Lezione 4: Il Piano Regolatore Generale: Nozioni ed elementi tecnici Il Piano Regolatore della Legge 1150/1942: i contenuti I contenuti del PRGC sono fissati all’articolo 7:

1. la rete principale delle infrastrutture

2. la zonizzazione del territorio comunale

3. l’indicazione delle aree destinate a spazi di uso pubblico

4. l’indicazione delle aree destinate a fabbricati pubblici

Infrastrutture: una definizione Si dicono infrastrutture gli impianti a rete, ovvero gli impianti che operano un servizio di distribuzione

(del gas, del traffico, dell’acqua,dei liquami, etc) Zonizzazione: una definizione Si dice zonizzazione (o azzonamento, o zoning) la suddivisione di un ambito territoriale in zone, e

l’attribuzione a ogni singola zona di proprie specifiche caratteristiche in ordine alle previsioni

insediative

Una distinzione 1. Zoning funzionale: Suddivisione in zone, con attribuzione ad esse di specifiche caratteristiche in

ordine alla destinazione funzionale

2. Zoning edilizio: Suddivisione in zone, con attribuzione ad esse di specifiche caratteristiche in

ordine ai connotati fisici dei fabbricati

Zoning funzionale

Le classi di destinazione solitamente individuate:

1. Residenze

2. Attività commerciali e direzionali

3. Attività produttive (industriali, artigianali,turistiche e grandi attività commericiali)

Zoning edilizio

1. Zoning qualitativo: Tipologie edilizie

2. Zoning quantitativo: Indici urbanistici

Indici urbanistici

1. Indice di edificabilità territoriale:

Si dice indice di edificabilità territoriale il volume edificabile massimo per unità di

superficie territoriale [mc/mq] (si dice superficie territoriale la superficie complessiva di

un’area del P.R.G. [mq])

2. Indice di edificabilità fondiaria:

Page 4: Tecnica Urbanistica Lezioni

si dice indice di edificabilità fondiario il volume edificabile massimo per unità di superficie

fondiaria [mc/mq](si dice superficie fondiaria la superficie complessiva di un’area del

P.R.G ., al netto dell’area destinata alle opere di urbanizzazione [mq])

Opere di Urbanizzazione

Si dicono opere di urbanizzazione le opere finalizzate a:

a. dotare un insediamento di servizi e di attrezzature

b. raccordare un insediamento all’aggregato urbano esistente

Distinzione:

a. si dicono opere di urbanizzazione primaria le opere finalizzate a rendere possibile

l’edificazione del suolo e l’uso degli edifici

(es. Consolidamento del terreno, strade, fognature, parcheggi, impianti di

illuminazione pubblica, verde attrezzato,…)

b. si dicono opere di urbanizzazione secondaria le opere finalizzate a rendere

possibile la vita di quartiere

(es. scuole, centri di quartiere, centri ricreativi per anziani, centri di assistenza

sanitaria, …)

3. Rapporto di copertura:

si dice rapporto di copertura (fondiario o territoriale) il rapporto fra la superficie coperta

di un fabbricato e la superficie (fondiaria o territoriale)[mq/mq o %] (si dice superficie

coperta l’area della proiezione del fabbricato sulla propria verticale [mq] )

4. Densità insediativa

5. Altezza in gronda

6. …

Una questione aperta Lo zoning è un mero strumento tecnico finalizzato alla razionale organizzazione del territorio

OPPURE

Lo zoning è uno strumento politico finalizzato al controllo dello spazio urbano

Lezione 5: Il Piano Regolatore Generale: Elaborati e Procedure La riforma parziale Legge 765/67 Alla metà degli anni ’60, la situazione del territorio nazionale mostra livelli di degrado tali da rendere

urgente un ripensamento del processo pianificatorio. Nella impossibilità di una integrale riscrittura

della legge 1150, viene emanata una sua norma integrativa, una riforma parziale finalizzata a

traghettare il sistema normativo verso la nuova L.U.N. (mai fatta in seguito). Per questa finalità, la

legge 765/1967 viene chiamata Legge Ponte

I punti del problema:

1. Scarsa qualità insediativa

Scarsa dotazione di verde pubblico

Scarsa dotazione di parcheggi

Insufficiente previsione di servizi pubblici

Eccessive densità insediative

2. Insufficiente numero di PRG approvati

Art 17: “In tutti i Comuni, ai fini della formazione degli strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti,

devono essere osservati limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati

(Standard edilizi), nonché rapporti massimi fra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi

e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi(Standard

urbanistici)”

Ai fini della verifica del rispetto degli standard, il territorio comunale è diviso in 6 zone omogenee: Zona A: centro storico

Edifici e tessuto edilizio di interesse storico e architettonico

Zona B: zona di completamento

Rcf > 1/8 e Ift > 1,5 mc/mq

Zona C: zona di espansione

Rcf < 1/8 o Ift < 1,5 mc/mq

Zona D: zona per insediamenti produttivi

Zona E: zona agricola

Zona F: zona per impianti e attrezzature collettive

Page 5: Tecnica Urbanistica Lezioni

Gli standard edilizi Limiti inderogabili, variabili da zona a zona, di:

1. Densità edilizia (If e It)

2. Altezza dei fabbricati

3. Distanza fra i fabbricati

zona istruzione interesse comune verde attrezzato parcheggi totale

A C/2 C/2 C/2 C/2 C/2

B C/2 C/2 C/2 C/2 C/2

C 4,50mq/ab 2,00mq/ab 9,00mq/ab 2,50mq/ab 18mq/ab

D 0 - - - St/10

E - - 0 0 6,00mq/ab

F 1,50mq/ab 1,00mq/ab* 15,00mq/ab** 0 17,50mq/ab

Gli standard urbanistici Legge 765/67 DM 1444/68

*_ attrezzature sanitarie e ospedaliere

**_ parchi pubblici

Al fine di contenere i fenomeni di congestione e scarsa qualità abitativa, viene fissato un limite

inferiore alla volumetria a destinazione residenziale in insediamenti di nuova realizzazione

V = 80 mc/ab. (Abitativo)

V = 80 + 20 =100 mc/ab. (Abitativo + Commerciale)

Ora:

1 abitante ≡ 100 mc

Zoning e zonizzazione omogenea Il PRG contiene quindi al suo interno due forme di azzonamento

La zonizzazione prevista dalla L.U.N.: Finalizzata a specificare la destinazione (funzionale ed

edilizia) di ogni singola porzione del territorio

La zonizzazione prevista dalla legge Ponte: Finalizzata a verificare il rispetto degli standard, il cui

valore varia sul territorio

Gli elaborati 1. Tavola inquadramento regionale scala 1:50.000 - 1:25.000

2. Stralcio di PTC scala 1:25.000

3. Descrizione dello stato di fatto (generale) scala 1:25.000

4. Descrizione dello stato di fatto (particolare) scala 1:50.000 - 1:25.000

vincoli esistenti

edificazione esistente

proprietà demaniali

particolari impianti e infrastrutture

5. Progetto di PRG scala 1:5.000 – 1:10.000

Piano di azzonamento

Piano della viabilità

6. Delimitazione e computo delle aree scala 1:5.000

Destinate alla residenza

Destinate alle attività produttive

Destinate all’uso pubblico

7. Planimetria dei Piani Attuativi scala 1:5.000 – 1:10.000

8. Piano dell’edilizia scolastica DM 18.12.1975 scala 1:10.000

9. Norme Tecniche di Attuazione

Specificazione e dettaglio del piano di azzonamento

Regolamento modi e tempi di attuazione del PRG

Tramite la legenda, sono la chiave di interpretazione del PRG

10. Relazione tecnica illustrativa

Riferimenti:

Agli obiettivi della pianificazione iperscalare

Agli obiettivi dell’Amministrazione

Alla prospettiva temporale e al dimensionamento del piano

Alla metodica redazionale

Page 6: Tecnica Urbanistica Lezioni

Alle modalità attuative

11. Stima sommaria dei costi (non c’è ma dovrebbe esserci)

12. Tavola delle zone omogenee scala 1:5.000

13. Tabella di verifica del rispetto degli standard urbanistici

La procedura Legge 1150/1942 1. Adozione da parte del Consiglio Comunale

2. Pubblicazione all’Albo Pretorio e deposito per 30 giorni in segreteria comunale

3. Presentazione osservazioni (30+30 giorni)

4. Recepimento osservazioni da parte del C.C.

a. in caso di accoglimento, modifica il P.R.G

b. in caso di non accoglimento, lo lascia inalterato

5. Trasmissione alla Regione (in origine al Ministero dei Lavori Pubblici)

6. Recepimento da parte della Giunta Regionale (in origine il Ministero dei Lavori Pubblici)

a. non lo approva, motivando il rigetto

b. apporta modifiche sostanziali, e lo ritrasmette al Comune per le opportune correzioni

c. apporta modifiche non sostanziali, lo modifica e lo approva

d. lo approva senza modifiche

7. Pubblicazione della delibera della G.R. sul B.U.R. ed entrata in vigore

Le misure di salvaguardia Fra la data dell’adozione del PRG e quella dell’approvazione trascorre inevitabilmente un lungo

lasso temporale, nel quale le trasformazioni del territorio comunale sono soggette al vecchio PRG,

che resta in vigore fino all’approvazione del nuovo. Al momento in cui finalmente entra in vigore, il

nuovo PRG rischia pertanto di nascere già superato dagli eventi, operando su un assetto territoriale

già trasformato, addirittura in modo contrastante con le sue previsioni.

Il Sindaco ha la facoltà di sospendere ogni determinazione su richieste di licenza edilizia conformi al

PRG vigente ma difformi rispetto al PRG in itinere, per la durata di 5 anni dalla data di adozione

Legge 1150/1942

La facoltà diventa un obbligo Legge 765/67

Le varianti Un PRG resta in vigore a tempo indeterminato, e comunque per una durata normalmente superiore

ai 10-15 anni. Nel corso della validità di un PRG è frequente l’esigenza di introdurre modifiche, anche

significative, alle previsioni in esso comprese, a seguito di fatti imprevisti che modifichino la dinamica

evolutiva degli insediamenti. Ogni significativa trasformazione delle previsioni di un PRG avviene

tramite la redazione di una variante al PRG

La procedura per l’approvazione e l’entrata in vigore di Varianti al PRGC è identica a quella per

l’entrata in vigore del PRGC di origine Legge 1150/1942

Non è più richiesta l’approvazione da parte della Regione, ma la Variante al PRG è adottata,

depositata, osservata e infine approvata da parte del Comune stesso Legge 765/67

Lezione 6: Le Alternative al PRG:Il PRGI ed il PF Le alternative al PRG 1° Fase PTC

2° Fase PF PRG PRGI

3° Fase PP

La L.U.N. introduce due strumenti urbanistici alternativi al PRG: il PRGI ed il PF

Un particolare modello insediativo: La conurbazione Si dice conurbazione un aggregato insediativo che si estende senza soluzione di continuità sul

territorio corrispondente a più nuclei urbani, a formare un continuum urbanizzato indifferente rispetto

al perimetro dei rispettivi confini amministrativi

Problemi:

Coerenza generale della pianificazione dei comuni interessati

Pianificazione delle aree di contatto

Pianificazione del sistema di relazioni

Page 7: Tecnica Urbanistica Lezioni

Il Piano Regolatore Generale Intercomunale

Finalità Legge 1150/1942 Il P.R.G.I. è finalizzato a definire l’assetto del territorio e la sua gestione, in relazione alla presenza di

più Comuni contermini, o comunque in presenza di problemi di portata sovracomunale

Limiti spaziali, cogenza, validità Legge 1150/1942 Limiti spaziali: il territorio di più Comuni contermini

Cogenza: Il P.R.G.I. è facoltativo, e la sua redazione deve seguire una espressa autorizzazione dalla

Regione. La Regione può individuare i casi in cui la redazione del P.R.G.I. è obbligatoria.

Validità: Il PRGI è valido a tempo indeterminato

Contenuti Legge 1150/1942 sono gli stessi del P.R.G.C.

1. infrastrutture

2. azzonamento

3. spazi pubblici

4. fabbricati pubblici

Elaborati Legge 1150/1942 sono gli stessi del P.R.G.C.

La procedura Legge 1150/1942 1. La Regione (in origine il Ministero dei Lavori Pubblici) avvia la pratica d’autorità O uno o più

Comuni fanno richiesta alla Regione

2. La Regione stabilisce l’estensione dell’area e incarica un Comune (guida) della redazione del

PRGI

3. Il Comune incaricato elabora il PRGI e lo invia a tutti gli altri Comuni perché lo adottino

4. Il PRGI viene adottato con delibere dai vari CC

5. Pubblicazione all’Albo Pretorio di ogni Comune e deposito per 30 giorni nelle segreterie comunali

6. Presentazione osservazioni (30+30 giorni) presso ogni Comune

7. Recepimento osservazioni da parte del C.C.

in caso di accoglimento, modifica il P.R.G.

in caso di non accoglimento, lo lascia inalterato

8. Trasmissione al Comune incaricato

9. Il Comune recepisce il PRGI e lo trasmette alla Regione (in origine il Ministero dei Lavori Pubblici)

10. Recepimento da parte della Giunta Regionale (in origine il Ministero dei Lavori Pubblici)

non lo approva, motivando il rigetto

apporta modifiche sostanziali, e lo ritrasmette al Comune per le opportune correzioni

apporta modifiche non sostanziali, lo modifica e lo approva

lo approva senza modifiche

11. Pubblicazione sul B.U.R. ed entrata in vigore

Le questioni 1. La questione essenziale: È uno strumento quadro, preliminare alla redazione dei singoli PRGC?

Equivale ad un PRG valido su un territorio macrocomunale, sostitutivo dei singoli PRGC?

2. Una questione procedurale : L’estrema macchinosità del meccanismo di entrata in vigore, che

può essere arrestato da ogni Comune

3. Una questione politica : L’individuazione di un Comune dominante

Il PRGI è uno strumento urbanistico che non corrisponde ad una unità territoriale esistente e definita

dal punto di vista amministrativo; il PRGI si riferisce invece ad un mosaico di enti amministrativi diversi

ed autonomi, non necessariamente concordi sulle scelte previsionali, ciascuno con potere di veto

Il Programma di Fabbricazione

Uno strumento urbanistico di minimo intervento: il Programma di Fabbricazione Nel 1942, il Legislatore non ritenne opportuno rendere il P.R.G. obbligatorio per tutti i Comuni

Ritenne altresì realistico imporre l’obbligatorietà del P.R.G. ai soli comuni p iù importanti, compresi

all’interno di un elenco continuamente aggiornato, ritenendo che ai Comuni minori il solo

Regolamento Edilizio fosse sufficiente ad assicurare un ordinato sviluppo edilizio

All’art. 34, la legge 1150/42 stabilisce che, in assenza di un P.R.G., i Comuni debbano allegare al

P.R.G. un Programma di Fabbricazione

Finalità Legge 1150/1942

Page 8: Tecnica Urbanistica Lezioni

1. Ancorare al territorio le norme (astratte e date in modo discorsivo) del Regolamento Edilizio,

assegnando ad esse un riferimento spaziale

2. Assicurare agli abitati un minimo di disciplina edilizia

3. Differenziare spazialmente le tipologie edilizie

Limiti spaziali, cogenza, validità Legge 1150/1942 Limiti spaziali: il territorio del Comune

Cogenza: Il Programma di Fabbricazione è obbligatorio per i Comuni sprovvisti di P.R.G.

Validità: Il Programma di Fabbricazione è valido a tempo indeterminato

Contenuti Legge 1150/1942 1. azzonamento del territorio comunale

2. definizione dei tipi edilizi

Mancano gli elaborati che comportano l’indicazione della previsione di vincolo per spazi o

fabbricati di uso pubblico: per legge, il P.F. non ha titolo per porre vincoli di inedificabilità del suolo

Gli elaborati Legge 1150/1942 1. Tavola inquadramento regionale scala 1:50.000 - 1:25.000

2. Stralcio di PTC scala 1:25.000

3. Descrizione dello stato di fatto (generale) scala 1:25.000

4. Descrizione dello stato di fatto (particolare) scala 1:50.000 - 1:25.000

vincoli esistenti

edificazione esistente

proprietà demaniali

particolari impianti e infrastrutture

5. Piano di azzonamento (funzionale ed edilizio) scala 1:5.000 – 1:10.000

6. Tabella dei tipi edilizi scala 1:500 – 1:200

7. Norme Tecniche di Attuazione

8. Relazione tecnica illustrativa

9. Tavola delle zone omogenee scala 1:5.000

10. Tabella di verifica del rispetto degli standard urbanistici

La procedura Legge 1150/1942 1. Adozione da parte del Consiglio Comunale

2. Trasmissione alla Regione (in origine al Ministero dei Lavori Pubblici)

3. Recepimento da parte della Giunta Regionale (in origine il Ministero dei Lavori Pubblici)

a. non lo approva, motivando il rigetto

b. apporta modifiche sostanziali, e lo ritrasmette al Comune per le opportune correzioni

c. apporta modifiche non sostanziali, lo modifica e lo approva

d. lo approva senza modifiche

4. Pubblicazione della delibera della G.R. sul B.U.R. ed entrata in vigore

I motivi del successo Per la sua snellezza procedurale, il P.F. divenne assai utilizzato dai piccoli Comuni, e spesso adottato

anche dai più grandi, ai quali la LUN non lo precludeva

La legge 765/67 operò una sostanziale equiparazione dei due strumenti, tanto che il P.F. assunse le

caratteristiche di un PRG per piccoli Comuni. Vennero estesi al P.F. l’obbligo delle misure di

salvaguardia ed il rispetto degli standard

A partire dagli anni ‘80, il P.F. venne progressivamente bandito dalle legislazioni regionali, che hanno

imposto l’obbligatorietà del P.R.G. per tutti i Comuni

Il processo pianificatorio oggi Il P.R.G.C., di fatto, resta oggi l’unico strumento regolatore, l’unico strumento cui la legge affida la

funzione di definire l’assetto del territorio

Lezione 7: Il Piano Territoriale di Coordinamento Il piano territoriale di Coordinamento 1° Fase PTC

2° Fase PF PRG PRGI

3° Fase PP

La L.U.N. definisce un unico strumento di programmazione urbanistica, il Piano Territoriale di

Coordinamento Legge 1150/1942

Page 9: Tecnica Urbanistica Lezioni

Il P.T.C. è definito dalla L.U.N. libero da un predeterminato orizzonte spaziale

Opportunità di assegnare un ambito territoriale corrispondente ad un ente amministrativo territoriale

Delega alle Regioni del potere pianificatorio (art.117 Cost.) e nascita delle Regioni nel 1971

Il P.T.C. della legge 1150/42 divenne di fatto sinonimo di P.T.R., Piano Territoriale Regionale

Finalità Legge 1150/1942 1. Orientare e indirizzare la pianificazione iposcalare con linee generali di indirizzo

2. Coordinare l’attività pianificatoria degli enti locali, al fine di evitare contrasti e sovrapposizioni

Limiti spaziali, cogenza, validità Legge 1150/1942 Limiti spaziali: Per legge indefiniti, ma di fatto coincidenti con il territorio regionale

Cogenza: Il PTC è facoltativo (non può essere diversamente, in assenza dell’individuazione dell’ente

amministrativo di riferimento)

Validità: Il PTC è valido a tempo indeterminato

Contenuti Legge 1150/1942 1. l’individuazione dei grandi impianti e delle infrastrutture (strade, aeroporti, tracciati ferroviari,

ospedali, …)

2. i grandi obiettivi per gli azzonamenti

residenziale (nuovi insediamenti)

agricolo e forestale (aree di tutela e sviluppo)

paesistico (aree da tutelare e valorizzare)

industriale (aree industr. di int. regionale)

commerciale (grandi centri commerciali)

3. i metodi e le norme di intervento

Gli Elaborati Legge 1150/1942 1. relazione illustrativa dei caratteri fisici, morfologici e ambientali del territorio

2. relazione illustrativa degli obiettivi di sviluppo socio-economico della Regione e delle scelte di

assetto territoriale di supporto

3. progetto di P.T.R. scala 1:50.000 – 1:25.000

4. Norme Tecniche di Attuazione, con particolare riguardo ai criteri metodologici per la formazione

dei piani iposcalari

La Procedura Legge 1150/1942 Nato in assenza di un confine spaziale predeterminato, e quindi senza un ente amministrativo

territoriale di riferimento, il PTC non poteva avere una procedura fissata per legge. Con l’avvento

delle Regioni, a partire dal 1971, ogni regione ha disposto la sua procedura in modo autonomo, sulla

base dei propri ordinamenti.

I Problemi Legge 1150/1942 Il motivo principale viene individuato nell’ente amministrativo chiamato a redigerlo: la Regione :

1. troppo lontana dalle minute realtà comunali per poter recepire le loro istanze e avviare un

efficace rapporto dialettico

2. troppo “generali” le prescrizioni che la Regione può dare perché costituiscano linee di indirizzo

e di orientamento

3. troppo piccola la scala di rappresentazione per poter tradurre graficamente su carta vincoli e

prescrizioni

La Soluzione dei Problemi Legge 142/1990 Questa convinzione aveva fatto emergere un intenso dibattito sulla ricerca della cosiddetta “giusta

base territoriale”, ovvero sulla individuazione del più opportuno ambito territoriale di riferimento per

la programmazione urbanistica.

Nel 1990, la legge 142 risolse la questione: anziché inventare un nuovo ambito di riferimento,

individuò la giusta base territoriale in un ambito corrispondente ad un ente amministrativo esistente

da molto tempo, e da decenni relegato in un ruolo secondaria: la Provincia

Legge 142/1990

Il piano territoriale di Coordinamento Provinciale

Finalità Legge 1150/1942 - Legge 142/1990 1. Orientare e indirizzare la pianificazione iposcalare con linee generali di indirizzo

2. Coordinare l’attività pianificatoria degli enti locali, al fine di evitare contrasti e sovrapposizioni

Page 10: Tecnica Urbanistica Lezioni

Limiti spaziali, cogenza, validità Legge 1150/1942 - Legge 142/1990 Limiti spaziali: Il territorio della Provincia

Cogenza: In base alla normativa nazionale il P.T.C.P. è facoltativo; la gran parte delle legislazioni

regionali lo ha tuttavia reso obbligatorio all’interno dei propri confini.

Validità: Il PTCP è valido a tempo indeterminato

Contenuti Legge 1150/1942 - Legge 142/1990 1. l’individuazione dei grandi impianti e delle infrastrutture (strade, aeroporti, tracciati ferroviari,

ospedali, …)

2. i grandi obiettivi per gli azzonamenti

residenziale (nuovi insediamenti)

agricolo e forestale (aree di tutela e sviluppo)

paesistico (aree da tutelare e valorizzare)

industriale (aree industr. di int. regionale)

commerciale (grandi centri commerciali)

3. i metodi e le norme di intervento

Gli Elaborati Legge 1150/1942 - Legge 142/1990 1. relazione illustrativa dei caratteri fisici, morfologici e ambientali del territorio

2. relazione illustrativa degli obiettivi di sviluppo socio-economico della Regione e delle scelte di

assetto territoriale di supporto

3. progetto di P.T.C.P scala 1:50.000 – 1:25.000

4. Norme Tecniche di Attuazione, con particolare riguardo ai criteri metodologici per la formazione

dei piani iposcalari

La Procedura Legge 1150/1942 - Legge 142/1990 La procedura per l’entrata in vigore del P.T.C.P. non è definita dalla 142/90 (legge di natura

amministrativa), ma delegata alle singole legislazioni regionali

Lezione 8: Il Piano Territoriale Paesistico/Paesaggistico Il piano territoriale paesistico In realtà, la legge 1150 trova già esistente uno strumento urbanistico di livello sovracomunale, il Piano

Territoriale Paesistico, introdotto 3 anni prima.

La nuova L.U.N. ignora il P.T.P. e non lo menziona mai:

non lo abroga, lasciandolo in vigore

né lo inserisce in modo organico nel processo pianificatorio che va a disegnare

Il Piano Territoriale Paesistico, quindi, sopravvive alla riforma operata dalla 1150, pur rimanendo

estraneo al corpus dei nuovi strumenti di gestione del territorio.

Legge 1497/1939

l beni tutelati (Art.1) Legge 1497/1939 1. le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale

2. le ville, i giardini e i parchi che si distinguono per la loro “non comune bellezza”

3. i complessi di cose immobili che costituiscono un caratteristico aspetto avente valore estetico e

tradizionale

4. le bellezze panoramiche considerate come “quadri naturali” e quei punti di vista accessibili al

pubblico dai quali si gode lo spettacolo di quelle bellezze

ll vincolo di tutela Legge 1497/1939 Apposizione del vincolo di tutela – Viene compilato un elenco dei beni da tutelare (corrispondenti

a ciascuna delle 4 categorie indicate dalla legge), elenco approvato dal Ministero dell’Ambiente e

della Tutela del Territorio e del Mare (in origine dal Ministero dell’Educazione Nazionale, e

successivamente ad opera di ministeri con diversa denominazione).

Effetti del vincolo di tutela :

1. I proprietari di un immobile compreso negli elenchi dei beni tutelati non possono “distruggerlo,

né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio a quel suo esteriore aspetto” tutelato dalla

legge

2. Ogni intervento dovrà avvenire previo nulla-osta rilasciato dalla Sovrintendenza ai Monumenti

3. I beni di cui alle categorie 3 e 4 diventano oggetto di Piani Territoriali Paesistici

Le finalità Legge 1497/1939 Il P.T.P. è finalizzato alla tutela e alla valorizzazione dei beni paesaggistici e ambientali, così come

questi sono definiti dalla legge 1497/1939, con lo scopo dichiarato di “impedire che le aree di quelle

località siano utilizzate in modo pregiudizievole alla bellezza panoramica”

Page 11: Tecnica Urbanistica Lezioni

Limiti spaziali, cogenza, validità Legge 1497/1939 Limiti spaziali: Il territorio corrispondente ai soli beni descritti ai punti 3 e 4 dell’art. 1della legge

1497/1939

Cogenza: Il PTP è facoltativo, ed è redatto dal Ministero dei Beni Culturali e Ambientali ( in origine dal

Ministero dell’Educazione Nazionale)

Validità: Il PTP è valido a tempo indeterminato

I contenuti Legge 1497/1939 Il P.T.P. deve tracciare i lineamenti dell’assetto territoriale, impedendo usi che pregiudichino la

bellezza “panoramica” dei luoghi e dei beni da tutelare. Pertanto, i contenuti di un P.T.P. sono, per

legge, i seguenti:

1. la rete principale delle infrastrutture

2. gli obiettivi generali della zonizzazione del territorio

zone di rispetto

rapporto fra aree libere ed edificabili

3. le norme per i vari tipi di costruzione

4. l’indicazione della distribuzione della flora

Gli elaborati Legge 1497/1939 1. Planimetria dello stato di fatto, in scala variabile in relazione all’estensione dell’area

2. Relazione sullo stato di fatto, con illustrazione delle caratteristiche dei beni da tutelare e dei

problemi connessi a tale necessità

3. Progetto di P.T.P., in scala variabile in relazione all’estensione dell’area

4. Norme Tecniche di Attuazione

5. Programma dei modi, dei tempi e dei costi

La procedura Legge 1497/1939 La legge 1497/1939 non stabilisce una procedura per l’entrata in vigore del Piano Territoriale

Paesistico

Le questioni delle aree tutelate Legge 1497/1939 I 4 punti dell’art.1 prefigurano una descrizione dei beni da tutelare di tipo “cartolinesco”, legato alla

percezione delle immagini della bellezza italiana accreditate dalla tradizione

I beni da tutelare sono individuati sulla base di valutazioni discrezionali e soggettive

La legge prefigura la tutela dell’ambiente e del paesaggio per singoli punti, corrispondenti a

specifici, limitati ambiti territoriali, non tendendo in considerazione la necessità di garantire una tutela

dell’ambiente e del territorio, inteso come sistema organico

Le questioni dello strumento Legge 1497/1939 Il PTP, fin dall’inizio escluso dalla LUN dal processo pianificatorio, rimane estraneo alla concreta

pratica urbanistica: negli anni Settanta viene ormai considerato uno strumento obsoleto ed “estinto”,

da anni privo di applicazioni.

Nel 1985, una legge, la 431 (legge Galasso), di poco successiva alla prima legge sul condono edilizio,

inaspettatamente riscopre il PTP, resuscitandolo dall’oblio e restituendolo, opportunamente

modificato, alla pratica pianificatoria

Legge 431/1985 Legge Galasso

Le modifiche ai contenuti Legge 431/1985 Legge Galasso 1. La tutela ad opera del P.T.P. viene estesa ai beni di cui all’art.1 l. 1497/39 comma 1

2. La tutela ad opera del P.T.P. viene estesa ad un elenco di 11 categorie di immobili, che

divengono salvaguardate e vincolate ope legis

Le 11 categorie tutelate ope legis

1. I territori costieri per una fascia di 300 m dalla linea di battigia

2. I territori contermini ai laghi fino a 300 m dalla linea di battigia

3. I territori contermini ai fiumi fino a 150 m da ciascuna sponda

4. Le montagne oltre i 1600 m (Alpi) o 1200 m (Appennini)

5. I ghiacciai

6. I parchi e le riserve nazionali o regionali

7. I territori coperti da boschi o foreste, ancorché percorsi dal fuoco

8. Le aree assegnate alle università agrarie

9. Le zone umide

10. I vulcani

11. Le zone di interesse archeologico

Page 12: Tecnica Urbanistica Lezioni

Le modifiche alla procedura Legge 431/1985 Legge Galasso 1. La redazione del P.T.P. passa dal Ministero alle Regioni

2. Il P.T.P. diviene obbligatorio; in caso di inadempienza della Regione, dopo 3 anni il Ministero

esercita un ruolo sostitutivo

3. al posto del PTP, la Regione può redigere un PTR con specifica considerazione dei problemi

paesaggistici e ambientali

Le questioni irrisolte Legge 431/1985 Legge Galasso Il territorio resta comunque frazionato in un complesso frammentario e non organico di immobili:

1. Beni punti 3 e 4 art.1 L. 1497/39

2. Beni punto 1 art.1 legge 1497/39

3. Beni legge 431/85

La richiesta di un PTR con specifica considerazione dei problemi paesaggistici è pleonastica: un PTR

deve comunque interessarsi ai problemi paesaggistici e ambientali.

Dopo la Legge 142/1990 la specifica considerazione dei problemi paesaggistici è richiesta al P.S.T.

Legge 352/1997

Il Nuovo Testo Unico in materia di beni culturali e ambientali Il Testo Unico, emanato nel 1999 in ossequio alla legge 352/97, raccoglie al suo interno, modificate,

le leggi esistenti in materia di beni culturali e ambientali

Legge 1089/1939

Legge 1497/1939 >> Testo Unico D.L. 490/1999

Legge 431/1985

DL 42/2004

Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (Codice Urbani) Nel 2004 viene emanato il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, che sostituisce il Testo Unico

del 1999, ricomprendendo le leggi preesistenti in materia di beni culturali e ambientali

Il nuovo Codice stabilisce che il patrimonio cultural del Paese è costituito da due componenti

1. I beni culturali L. 1089/1939

2. I beni paesaggistici L. 1497/1939 - L. 431/1985

Il Codice Urbani in materia di beni paesaggistici: i beni tutelati

Il nuovo codice dichiara oggetto di tutela i seguenti beni paesaggistici:

1. I beni individuati ai punti 1, 2, 3 e 4 dell’art. 1 della legge 1497/39

2. I beni individuati ope legis, in quanto ricadenti nelle 11 categorie definite dalla legge 431/85

3. I beni sottoposti a tutela dai Piani Paesaggistici

I piani Paesaggistici

Il Piano Paesaggistico è redatto e approvato dalla Regione, a seguito di intese con il Ministero

Il Piano ripartisce il territorio in ambiti omogenei, in relazione al grado di rilevanza e di integrità dei

valori paesaggistici

Il Piano attribuisce a ciascun ambito specifici obiettivi di qualità paesaggistica

1. Il mantenimento delle caratteristiche morfologiche e tipologiche dei fabbricati

2. La previsione di linee di sviluppo urbanistico

3. Il recupero e la riqualificazione del patrimonio edilizio degradato

Il Codice dei Beni Culturali: alcune novità Con l’introduzione del Piano Paesaggistico, si superano alcuni problemi del Piano Paesistico, e in

particolare:

1. La frammentarietà e la disorganicità del territorio oggetto di pianificazione: non più a macchie

di leopardo, ma definito organicamente in base a caratteristiche di omogeneità

2. I rapporti con la pianificazione degli enti locali, non più segnati dall’incertezza della 431/85 e

della 142/90: province, città metropolitane e comuni devono adeguare ad esso i propri strumenti

Lezione 9: Il Piano Territoriale di Area Metropolitana Gli effetti della legge 142/1990 La legge 142/90 individua nella scala provinciale la nuova base territoriale della pianificazione:

Il Piano Territoriale di Coordinamento diviene PTCP

La Regione viene espropriata del potere pianificatorio, trasferito alle Province

Page 13: Tecnica Urbanistica Lezioni

Alla Regione viene lasciato il solo potere programmatorio, da esercitare a mezzo di Programmi di

Sviluppo Territoriale

Viene istituito il Piano Territoriale di Area Metropolitana

La pianificazione degli agglomerati macrocomunali Conurbazione Legge 1150/1942 PRGI

Metropoli Legge 142/1990 PTAM

La metropoli: una definizione Si dice metropoli un insediamento territoriale caratterizzato da alcuni connotati

1. sotto il profilo fisico-morfologico, presenza di un continuum urbanizzato di tipo conurbativo,

ovvero presenza di più nuclei urbani preesistenti e tessuto urbano interstiziale a bassa densità

(città diffusa)

2. sotto il profilo strutturale, presenza di una intensa trama di relazioni fra le parti del tessuto, e

presenza di una città-madre, nucleo di gravitazione, con marcati fenomeni di pendolarismo

3. sotto il profilo funzionale, affermazione e prevalenza di servizi di rango elevato (terziario avanzato

ad alto contenuto tecnologico) sulle attività industriali e terziarie

L’area metropolitana Legge 142/1990 La legge 142 riconosce che il problema della gestione delle aree metropolitane è diverso e

autonomo rispetto al problema delle conurbazioni e al problema della giusta base territoriale

La legge 142/90 inventa un nuovo ente di amministrazione del territorio, corrispondente a tale ambito

territoriale e lo definisce Area Metropolitana

La legge 142 assegna all’Area Metropolitana un proprio strumento di gestione del territorio: il P.T.A.M.

Il Piano Territoriale di area metropolitana

Le finalità Legge 142/1990 Orientare e indirizzare la pianificazione iposcalare con linee generali di indirizzo

Coordinare l’attività pianificatoria degli enti locali, per evitare contrasti e sovrapposizioni

Definire l’assetto del territorio per quanto si riferisce alle questioni di rilevanza sovracomunale che lo

caratterizzano come Area Metropolitana

a. trasporti, infrastrutture e fenomeni di pendolarismo

b. rapporti fra città-madre e nuclei satellite

c. diffusione del tessuto urbanizzato

d. attività di terziario avanzato

Limiti spaziali Legge 142/1990 La legge 142/90 individua 9 aree metropolitane intorno alle città-madri di:

1. Torino

2. Milano

3. Venezia

4. Genova

5. Bologna

6. Firenze

7. Roma

8. Napoli

9. Bari

La Regione ha il compito di individuare e definire i limiti del territorio di ciascuna Area Metropolitana;

il P.T.A.M. avrà vigore all’interno di tale perimetro

La legge consente alle regioni a statuto speciale la possibilità di individuare altre Aree Metropolitane,

oltre alle 9 già stabilite

Vengono così ad aggiungersi le aree metropolitane di

10. Trieste

11. Cagliari

12. Sassari

13. Catania

14. Messina

15. Palermo

Cogenza e validità Legge 142/1990 Cogenza: Per ogni Area Metropolitana il PTAM è obbligatorio

Validità: Il PTAM è valido a tempo indeterminato

Contenuti Legge 142/1990

Page 14: Tecnica Urbanistica Lezioni

I contenuti di un P.T.A.M. sono quelli di un P.T.C.P., arricchiti però da alcune spettanze tipiche della

pianificazione comunale su alcune questioni

1. l’individuazione dei grandi impianti e delle infrastrutture

2. i grandi obiettivi per gli azzonamenti

3. gli obiettivi, i metodi e le norme di intervento

La Regione è chiamata a definire i contenuti della pianificazione comunale che si ritiene opportuno

trasferire, caso per caso alle varie Aree Metropolitane, all’interno del proprio P.T.A.M..

La procedura Legge 142/1990 – Legge 42/2009 La procedura per l’istituzione delle città metropolitane e per l’entrata in vigore del P.T.A.M. non è

definita dalla 142/90 (legge di natura amministrativa), ma delegata alle singole legislazioni regionali

La legge 42/2009 ha introdotto una disciplina transitoria che consente, in via facoltativa, una prima

istituzione delle città metropolitane situate nelle regioni a statuto ordinario, alle quali è aggiunta

Reggio Calabria

La proposta di istituzione spetta al comune capoluogo e alla provincia, congiuntamente tra loro o

separatamente

Successivamente si svolge un referendum confermativo, indetto tra tutti i cittadini della provincia

interessata, previo parere della regione

Le province nel cui territorio sono situate le città metropolitane saranno soppresse dopo

l’insediamento degli organi della città metropolitana

I comuni all’esterno potranno scegliere se confluire nella città metropolitana o in un’altra provincia,

contigua alla precedente

Le questioni Legge 142/1990 1. La questione della definizione dei limiti fisici della città metropolitana: la legge 142/90 stabilisce

implicitamente che il territorio dovrà essere più ampio di quello Comunale (altrimenti si perde la

ragion d’essere dell’ente A.M.) ma più ridotti di quelli della Provincia (altrimenti si crea un inutile

doppione della Provincia

2. La questione della definizione dei limiti della parte del potere pianificatorio dei Comuni che si

intende trasferire all’A.M. (ovvero i contenuti del PTAM): la legge 142/90 fissa implicitamente due

limiti, uno inferiore e uno superiore

Le soglie 1. la soglia inferiore : non dovrà essere vanificato il disegno di un ente territoriale intermedio con

poteri rafforzati rispetto alle delle province ordinarie: pertanto, dovranno essere individuate delle

materie di pianificazione comunale in cui la A.M. definirà l’assetto con il PTAM

2. la soglia superiore : non dovrà essere compressa l’autonomia pianificatoria dei singoli Comuni

compresi nel perimetro dell’A.M., tanto da relegarli al ruolo di semplici circoscrizioni: dovranno

pertanto rimanere temi di assetto territoriale che risultano definiti autonomamente dai vari PRGC.

Lezione 10: La normativa regionale: gli strumenti urbanistici in Toscana Dalla normativa nazionale al quadro pianificatorio regionale La Costituzione italiana delega dallo Stato alle Regioni la gestione, la tutela e lo sviluppo del territorio,

affidando ad esse la potestà pianificatoria. In base a tale delega, che è divenuta pienamente

operativa solo a partire dal 1971, rientra fra gli obblighi delle Regioni, oltre a quello di redigere

programmi, piani e progetti relativi all’assetto del territorio di propria competenza, dettare norme,

legiferare in materia urbanistica.

Naturalmente, tali norme non possono essere in contrasto con le corrispondenti norme valide sul

territorio nazionale

Hanno la facoltà di precisare le leggi nazionali, adattandone i contenuti alle specifiche esigenze di

ogni singola regione e alla volontà dei rispettivi abitanti

Ciascuna delle regioni italiane, a partire dal 1971, ha dettato una propria normativa urbanistica che

va a dettagliare e integrare sul proprio territorio le leggi nazionali, e in particolare la legge 1150

A titolo di esempio, e anche per motivi di pertinenza geografica, verrà qui menzionata la normativa

regionale della Toscana, e più in particolare la sua L.U.R., legge n. 5 del 16.1.1995, modificata

dall’attuale legge n. 1/2005

Il processo pianificatorio in Italia e in Toscana: uno schema PST PIT

PTCP PTCP Programmazione

Page 15: Tecnica Urbanistica Lezioni

PS

PRG RU Definizione dell’assetto del territorio

PII

Piani Attuativi Attuazione

Gli strumenti di programmazione: il PIT

Legge Regionale Toscana 5/1995

Le finalità 5/1995

Il Piano di Indirizzo Territoriale è l’atto di programmazione mediante il quale la Regione Toscana

definisce gli obiettivi della propria politica territoriale

Limiti spaziali, cogenza, validità 5/1995

Limiti spaziali: Il territorio della Regione Toscana

Cogenza: Il P.I.T. è obbligatorio

Validità: Il P.I.T. è sottoposto a verifica da parte del Consiglio Regionale ogni 3 anni

La procedura 5/1995

1. La Giunta Regionale, ai fini della formazione del P.I.T. elabora un documento preliminare sui

contenuti del P.I.T. e lo trasmette a

il Consiglio Regionale

le Provincie

i Comuni

2. Ogni Provincia, per un esame congiunto del documento preliminare di PIT, convoca una

conferenza di programmazione, cui partecipano

I Comuni

Le comunità Montane

Un rappresentante della GR

3. Entro 120 giorni, il Consiglio Regionale convoca una conferenza di programmazione conclusiva,

cui partecipano le Province

4. Ogni 3 anni il C.R. sottopone il P.I.T. a verifica di attualità

Gli strumenti direttori: il PTCP

Legge Regionale Toscana 5/1995

Le finalità 5/1995

Il P.T.C.P. è lo strumento direttore toscano, in attuazione della legge 142/1990. Le finalità sono

pertanto immutate rispetto a quelle del P.T.C. della LUN

Limiti spaziali, cogenza, validità 5/1995

Limiti spaziali: Il territorio della Provincia

Cogenza: Il PTCP è obbligatorio

Validità: Il Il P.T.C.P. è valido a tempo indeterminato

La procedura 5/1995

1. La Giunta Provinciale, ai fini della formazione del PTCP, convoca una conferenza di

programmazione, cui viene esposto un documento preliminare di PTCP; alla conferenza

partecipano

I Comuni

Le Comunità Montane

Un rappresentante GR

2. al termine di una conferenza di programmazione conclusiva la Provincia redige e il P.T.C.P. e lo

adotta

3. il P.T.C.P. è depositato nella sede della Provincia per 30 gg.

4. entro i 30 giorni successivi, gli enti locali e ogni altro soggetto interessato hanno la facoltà di

presentare osservazioni

5. La Provincia approva il P.T.C.P.

6. Entro 60 giorni dalla conferenza, la G.R., i Comuni e le Comunità Montane trasmettono al

Presidente della Giunta Provinciale pareri e osservazioni sul documento preliminare di P.T.C.P.

Gli strumenti regolatori

Legge Regionale Toscana 5/1995

Page 16: Tecnica Urbanistica Lezioni

Il P.R.G. è lo strumento di definizione dell’assetto del territorio secondo la legge 1150/42, e la legge

regionale toscana non può che assumerlo come tale

Tuttavia, in base alla legge 5/95, il P.R.G. è articolato in tre distinti momenti e costituito di fatto da tre

elementi

1. Il Piano Strutturale

2. Il Regolamento Urbanistico

3. Il Programma Integrato di intervento

il Piano Strutturale

Legge Regionale Toscana 5/1995

Le finalità 5/1995

Il Piano Strutturale “definisce le indicazioni strategiche” per il governo del territorio comunale, tramite:

la specificazione dei contenuti specifici del P.T.C.P

l’integrazione di questi con gli indirizzi di sviluppo espressi dalla comunità locale

Cogenza, validità 5/1995

Cogenza: Il PS è obbligatorio

Validità: Il PS è valido a tempo indeterminato

I Contenuti 5/1995

1. la specificazione a livello comunale delle prescrizioni del P.T.C.P.

2. gli obiettivi da perseguire nel governo del territorio comunale

3. Le U.T.O.E.: Unità Territoriali Organiche Elementari

4. la valutazione degli effetti ambientali delle trasformazione previste

La procedura 5/1995

1. Adozione da parte del Consiglio Comunale

2. Pubblicazione all’Albo Pretorio e deposito per 30 giorni in segreteria comunale

3. Presentazione osservazioni (30+30 gg.)

4. Recepimento osservazioni da parte del C.C.

in caso di accoglimento, modifica il P.R.G.

in caso di non accoglimento, lo lascia inalterato

5. Trasmissione alla Provincia

6. Ottenimento del parere di conformità al PTCP e approvazione dal parte del Comune

il Regolamento Urbanistico

Legge Regionale Toscana 5/1995

Le finalità 5/1995

Il Regolamento Urbanistico è lo strumento mediante il quale il Comune disciplina gli insediamenti

esistenti e la realizzazione di quelli previsti sul territorio

Cogenza, validità 5/1995

Cogenza: Il Regolamento Urbanistico è obbligatorio

Validità: Il Regolamento Urbanistico è valido a tempo indeterminato

I Contenuti 5/1995

1. la individuazione del perimetro dei centri abitati

2. la individuazione delle aree, entro tale perimetro, ove è possibile l’edificazione di

completamento o di espansione

3. la individuazione delle aree destinate ad opere di urbanizzazione primaria e secondaria

4. la individuazione delle aree su cui è possibile intervenire con attuazione diretta

5. la determinazione degli interventi consentiti all’esterno dei centri abitati

6. la disciplina per il recupero del patrimonio edilizio esistente

La procedura 5/1995

1. Adozione da parte del Consiglio Comunale

2. Pubblicazione all’Albo Pretorio e deposito per 30 giorni in segreteria comunale

3. Presentazione osservazioni (30+30 gg.)

4. Recepimento osservazioni da parte del C.C.

in caso di accoglimento, modifica il P.R.G.

in caso di non accoglimento, lo lascia inalterato

5. Approvazione da parte del Comune

il Programma Integrativo di Intervento

Legge Regionale Toscana 5/1995

Page 17: Tecnica Urbanistica Lezioni

Le finalità 5/1995

Il P.I.I. è lo strumento mediante il quale l’Amministrazione Comunale, in attuazione del P.S., individua

le trasformazioni del territorio da attuare nel periodo corrispondente al proprio mandato

amministrativo

Cogenza, validità 5/1995

Cogenza: Il P.I.I. è facoltativo

Validità: Il P.I.I. è valido a tempo determinato: la sua validità ha termine non oltre 18 mesi dall’entrata

in carica della nuova Giunta Comunale a seguito di nuove elezioni

Le previsioni contenute nel P.I.I. decadono se entro il termine di validità non sono state richieste le

concessioni edilizie, oppure non siano stati approvati i piani attuativi

I Contenuti 5/1995

1. la rete delle vie di comunicazione e degli impianti da realizzare nel periodo di validità del P.I.I.

2. le aree destinate alla riorganizzazione urbana e alla edificazione da sottoporre, nel periodo di

validità del Piano, ai piani attuativi

3. le aree destinate a spazi pubblici (o di uso pubblico) o ad edifici pubblici (o di uso pubblico)

La procedura 5/1995

1. Il Comune, entro 60 giorni dall’insediamento della Giunta, approva un documento

programmatico preliminare di P.I.I., esponendolo al pubblico, ed aprendo un apposito ufficio

2. Nel termine di 90 giorni, gli operatori pubblici e privati che intendono realizzare interventi previsti

dal P.S. nel periodo di validità del P.I.I. presentano proprie proposte, con indicazione degli

immobili interessati, dei tempi e modi di attuazione e dei dati utili ad attestare la fattibilità degli

interventi

3. Entro 6 mesi dalla scadenza, il Comune adotta il P.I.I

4. Il P.I.I. è depositato 30 giorni nella sede comunale; nei 30 giorni e nei successivi 30 chiunque può

presentare osservazioni

5. il Comune, si pronuncia sulle osservazioni e approva il P.I.I.

il PRG in Toscana: un commento Il P.R.G. della legge 1150 è stato così disaggregato, in Toscana, in tre documenti distinti

1. Di questi il primo, il P.S., costituisce l’elemento di raccordo con la pianificazione iperscalare e di

indirizzo della strategia della gestione territoriale

Rispetto alla legislazione nazionale, il P.S. riveste il ruolo del piano-quadro, ovvero della parte di

P.R.G. che si prendeva carico di dettare le linee guida della pianificazione comunale, i suoi

grandi obiettivi, gli indirizzi di sviluppo del territorio

2. Il secondo, il R.U., è quello che maggiormente appare assimilabile al vecchio PRG: contiene in

dettaglio la prescrizione delle destinazioni d’uso del suolo, gli indici urbanistici, le misure di tutela

e di recupero.

3. Il P.I.I. costituisce invece il momento più prettamente politico della pianificazione comunale,

ovvero lo strumento in base al quale la Giunta ha modo di selezionare, fra gli interventi previsti

nel P.S., quelli che sottoscrive, magari avendoli preventivamente inseriti nel proprio programma

elettorale. Il PII è quindi il documento urbanistico della Giunta, quello che rappresenta la propria

strategia rispetto ai problemi dell’assetto territoriale, e del quale la Giunta stessa è pronta a

rispondere davanti agli elettori alla scadenza del proprio mandato

Il processo pianificatorio Toscana: uno schema riepilogativo PIT

PTCP Programmazione

PS

RU Definizione dell’assetto del territorio

Page 18: Tecnica Urbanistica Lezioni

PII

Piani Attuativi Attuazione

Il PRG in Toscana: la normativa attuale

Legge Regionale Toscana 5/1995 - Legge Regionale Toscana 1/2005 Nel 2005, la legge regionale toscana n. 5/1995 è stata riformata dalla legge regionale n. 1/2005

Tale legge, nel confermare le linee fondamentali della legge 5 (tanto da essere chiamata super5),

integra in un unico testo di legge la normativa sulla pianificazione urbanistica con quella riguardante

la tutela dell’ambiente e la disciplina degli interventi edilizi

Fra le modifiche che apporta alla legge 5, la legge 1 trasforma il P.I.I. nel Piano Complesso di

Intervento

Lezione 11: L’attuazione del PRG: il Piano Particolareggiato La fase attuativa del processo pianificatorio secondo la LUN 1° Fase PTC

2° Fase PF PRG PRGI

3° Fase PP

L’attuazione delle previsioni di PRG Il Piano Regolatore Generale definisce le previsioni di assetto del territorio, ma non può (se non in

casi eccezionali) essere attuato direttamente, ossia attraverso l’iniziativa dei singoli proprietari dei

terreni interessati

Soltanto laddove le condizioni dell’urbanizzazione (primaria e secondaria) siano già soddisfacenti,

può procedersi all’attuazione diretta del P.R.G.

In tutti gli altri casi (la gran parte delle trasformazioni) occorre invece un ulteriore livello di

pianificazione, in cui svolgono il proprio ruolo gli strumenti attuativi

L’attuazione delle previsioni di PRG: Il Piano Particolareggiato La legge 1150/42, stabilendo questa necessità, ha affidato il ruolo di coprire la fase attuativa ad un

solo strumento; successivamente, le difficoltà da esso incontrate hanno suggerito l’opportunità di

introdurne altri, con l’obiettivo di risolvere i problemi che questo aveva incontrato e sollevato

La legge 1150/42 all’art. 13 stabilisce che le previsioni contenute nel P.R.G. “si attuano a mezzo di

Piani Particolareggiati”

In base alla L.U.N., quindi, il Piano Particolareggiato ha il ruolo di normale strumento di attuazione del

P.R.G.

Legge 1150/1942

Le finalità 1150/1942

Il P.P. è finalizzato a rendere concretamente possibile la realizzazione degli interventi previsti nel

P.R.G.

1. attuare le previsioni del P.R.G.

2. consentire l’esproprio delle aree necessarie alla attuazione delle previsioni di P.R.G.

3. regolare l’attività edificatoria nell’area interessata, con funzione di dettaglio a scala

infracomunale delle previsioni del P.R.G.

Limiti Spaziali, cogenza, validità 1150/1942

Limiti spaziali: Limitate porzioni di territorio costituenti sottoinsiemi del territorio di un Comune

Cogenza: Il P.P. è uno strumento facoltativo; tuttavia la legge prevede che sia lo strumento cui va

fatto ricorso per dare attuazione al piano. In definitiva è lo strumento facoltativo che si è obbligati a

redigere per dare attuazione al P.R.G.

Validità: Il P.P. ha una scadenza prefissata in 10 anni. Trascorsi questi, le sue previsioni perdono ogni

validità. Tuttavia, restano validi a tempo indeterminato i suoi contenuti normativi e regolamentari

riguardanti l’attività edilizia, che essendo di dettaglio e specificazione delle previsioni di P.R.G., ne

diventano parte integrante e integrativa.

I Contenuti 1150/1942

I contenuti di un P.P. sono quelli di un progetto edilizio a scala urbana

1. la rete delle infrastrutture viarie, dalla maglia delle principali, desunte dal P.R.G., fino ai

collegamenti secondari e di penetrazione nel tessuto edilizio

Page 19: Tecnica Urbanistica Lezioni

2. la suddivisione del terreno in aree fabbricabili e non fabbricabili, con indicazione della proprietà

(LOTTIZZAZIONE)

3. la suddivisione del terreno edificabile in lotti edificativi, con i relativi indici (LOTTIZZAZIONE)

4. la specificazione di dettaglio delle tipologie edilizie

Elaborati 1150/1942

1. stralcio del P.R.G. vigente con indicazione del perimetro del Piano Particolareggiato (scala

1:5.000)

2. stralcio delle N.T.A. del vigente P.R.G., relative alla zona oggetto del Piano Particolareggiato

3. planimetria della consistenza attuale dell’area oggetto di Piano Particolareggiato (scala 1:1.000-

1:500)

4. progetto di Piano Particolareggiato, redatto su mappa catastale (scala 1:500)

5. tavola della lottizzazione delle aree fabbricabili, con indicazione di superfici e volumi (scala

1:500)

6. Norme Tecniche integrative di Attuazione del P.P.

7. tipologie edilizie e prof. Regolatori (scala 1:500-1:200)

8. elenchi catastali delle proprietà da espropriare, con planimetrie, superfici interessate e redditi

corrispondenti

9. piano finanziario, che

indichi la stima economica delle opere pubbliche e degli espropri da eseguire

attesti la copertura finanziaria dell’operazione

10. relazione tecnica illustrativa sulle metodologie della attuazione del PRG e del loro dettaglio ad

opera del PP

11. tabella di verifica degli standard con allegata planimetria

La procedura 1150/1942

1. Adozione da parte del Consiglio Comunale

2. Pubblicazione all’Albo Pretorio e deposito per 30 giorni in segreteria comunale

3. Presentazione osservazioni (30+30 giorni)

4. Recepimento osservazioni da parte del C.C.

in caso di accoglimento, modifica il P.P.

in caso di non accoglimento, lo lascia inalterato

5. Trasmissione alla Regione (in origine al Ministero dei Lavori Pubblici)

6. Recepimento da parte della Giunta Regionale (in origine al Ministero dei Lavori Pubblici)

non lo approva, motivando il rigetto

apporta modifiche sostanziali, e lo ritrasmette al Comune per le opportune correzioni

apporta modifiche non sostanziali, lo modifica e lo approva

lo approva senza modifiche

7. Pubblicazione della delibera della G.R. sul B.U.R. ed entrata in vigore

Le misure di salvaguardia Anche il P.P. è tutelato durante il suo iter amministrativo dalle misure di salvaguardia

Il Sindaco ha la facoltà di sospendere ogni determinazione su richieste di licenza edilizia difformi

rispetto al PP in itinere, per la durata di 3 anni dalla data di adozione Legge 1902/1952

La facoltà diventa un obbligo Legge 765/67

Le questioni 1. La legge detta l’obbligo di redigere e allegare al P.P. un piano finanziario: la difficoltà a garantire

la copertura finanziaria per gli interventi si traduce nell’impossibilità a redigere Piani

Particolareggiati

2. La procedura per l’entrata in vigore del P.P. è assai macchinosa, del tutto analoga alla

procedura di entrata in vigore del P.R.G.

3. L’acquisizione dei terreni da parte del Comune, preliminare alla realizzazione del P.P., avviene di

norma con l’esproprio, procedura lunga e onerosa

Le soluzioni 1. La soluzione della questione amministrativa Legge 765/67

L’obbligo di allegare un piano finanziario viene trasformato nel più tenue obbligo di allegare una

relazione sommaria di stima, con un piano di massima delle spese che il P.P. comporterà

2. La soluzione della questione procedurale Legge 47/85

Si elimina il passaggio del P.P. adottato dal Comune alla Regione, stabilendo che sia il Comune

a deliberarne infine l’approvazione

Page 20: Tecnica Urbanistica Lezioni

3. La soluzione della questione economica

???

La situazione attuale

1. Obbligo di procedere alla attuazione dei P.R.G. a mezzo di piani attuativi

2. Estrema difficoltà dei Comuni nel redigere P.P.

Necessità di inventare e introdurre nel processo pianificatorio altri, e diversi, strumenti urbanistici,

di fatto sostitutivi del P.P. in alcuni, specifici settori

Tali strumenti non avrebbero avuto ragion d’essere, qualora lo strumento ideato dalla 1150 per

tutti i casi possibili (il P.P.) si fosse rivelato efficace e concretamente utilizzabile

Oggi, il P.P. resta presente nella normativa e nel processo pianificatorio, ma di fatto relegato al

ruolo di strumento eccezionale, cui si fa ricorso raramente

Lezione 12: La questione dell’esproprio in Italia Le difficoltà nella fase di attuazione del PRG Abbiamo in precedenza trattato delle difficoltà concrete incontrate nella fase attuativa del

processo pianificatorio, e abbiamo visto come queste difficoltà abbiano gravato sul P.P.,

ostacolandone la utilizzazione. Al momento di concretizzare le previsione a livello infracomunale il

Piano Particolareggiato non funziona a causa di alcuni problemi.

Ai problemi amministrativi e procedurali hanno dato risposta la legge 765/67 e la 47/85

I problemi economici restano ancora irrisolti, legati alla onerosità dell’acquisizione del terreno

La questione dell’esproprio ancora oggi costituisce l’ostacolo alla attuazione del PRG

La difficoltà dei Comuni ad acquisire i terreni rende necessario ricorrere alla delega ai privati per

l’attuazione delle previsioni di PRG, tramite il P.L.(?ancora non si sa cos’è?)

Qualora tali previsioni non presentino sufficienti attese di remuneratività la delega non si concretizza,

e resta al Comune il compito di realizzare gli interventi

Per tutti questi interventi, si rende comunque necessario acquisire preventivamente i terreni

Per tutti questi interventi, l’esproprio resta il nodo irrisolto della gestione pubblica del processo

pianificatorio

La prima normativa sull’esproprio: la legge 2359/1865 Legge 2359/1865 Con questa legge viene introdotto il Piano Regolatore proprio per consentire l’esproprio, lo Stato

appena formato ha necessità di beni immobili per trasformare le città.

La prima legge che detta norme sull’esproprio è la prima legge urbanistica nazionale, la 2359/1865.

Si può dire che la regolamentazione dell’esproprio costituisce la finalità essenziale della legge, nella

quale altri argomenti (ad es., il Piano Regolatore) hanno importanza secondaria.

La regolamentazione dello stesso Piano Regolatore è finalizzata ad assicurare la possibilità di

espropriare i terreni per la trasformazione della città.

La procedura per l’esproprio è articolata in base alla legge nelle seguenti fasi

1. l’ottenimento della dichiarazione di pubblica utilità delle opere per cui si richiede l’esproprio:

l’ente pubblico può espropriare un immobile purchè la finalità sia la realizzazione di un’opera

utile alla collettività intera.

2. l’ottenimento della approvazione

del piano particolareggiato di esecuzione dei lavori da eseguire:

vero e proprio progetto riguardante l’opera (non proprio lo strumento urbanistico)

del piano particellare dei beni da espropriare

3. la determinazione dell’indennità da versare al proprietario:

la cosiddetta indennità di esproprio, è il punto più delicato.

4. l’ottenimento del decreto di espropriazione degli immobili:

viene emanato un provvedimento che cambia la proprietà del bene.

La dichiarazione di pubblica utilità La procedura per l’esproprio di immobili può essere avviata per opere di cui sia stata accertata, e

dichiarata, la pubblica utilità. Ottenimento della dichiarazione di pubblica utilità:

1. presentazione della domanda, con allegati

la natura e lo scopo delle opere da eseguire

la spesa presunta con il piano finanziario

il termine temporale previsto per l’ultimazione dei lavori

2. Pubblicazione della domanda all’albo comunale e deposito per 15 giorni, per consentire la

presentazione di osservazioni

Page 21: Tecnica Urbanistica Lezioni

3. Rilascio della dichiarazione di pubblica utilità da parte del Prefetto, contenente i termini di inizio

e fine dei lavori

Oltre che richiesta e ottenuta secondo tale procedura, la dichiarazione di pubblica utilità può anche

essere:

1. espressa per legge: quando, nei casi di grandi opere, le leggi che ne dispongono l’esecuzione

ne dichiarino espressamente la pubblica utilità

2. implicita: quando la legge che dispone l’esecuzione dei lavori, senza menzionare direttamente

la pubblica utilità, autorizza l’esproprio di beni privati

In questi casi, la approvazione del progetto assume valore ed efficacia di dichiarazione di pubblica

utilità

L’accertamento dei beni da espropriare Per procedere all’esproprio per l’esecuzione di un’opera di pubblica utilità, va accertata la

consistenza dei beni da espropriare:

1. Presentazione al Prefetto dei seguenti elaborati (già muniti di approvazione)

Piano Particolare (o Particolareggiato) di Esecuzione, consistente in un piano esecutivo

che consenta l’identificazione dei beni da espropriare

Piano Particellare di tali beni, con l’indicazione delle superfici, dei dati catastali e dei

proprietari

2. Pubblicazione e deposito degli elaborati per 15 gg. presso la segreteria del Comune per

accogliere eventuali osservazioni

3. Il Prefetto, dopo essersi pronunciato sulle eventuali osservazioni, emana l’ordine di esecuzione

del piano particolareggiato.

L’indennità di esproprio L’accertamento e il versamento dell’indennità di esproprio costituiscono il momento più delicato e

foriero di contrasti

1. Al momento della richiesta, l’espropriante compila un elenco in cui risultano, accanto alle singole

proprietà (e ai proprietari) anche i rispettivi prezzi offerti per l’acquisizione dei beni.

2. Entro 15 giorni dal deposito, i proprietari interessati e il Sindaco possono concordare

amichevolmente l’ammontare dell’indennità.

3. Scaduto il termine, il Comune trasmette al Prefetto l’elenco di proprietari che hanno accettato

l’indennità offerta.

4. Il Prefetto trasmette al Tribunale l’elenco dei proprietari che, invece, non hanno accettato

l’indennità offerta.

5. Il Tribunale, nei 3 giorni seguenti, nomina uno o tre periti per procedere alla stima dei beni da

espropriare. Si assume come criterio di stima “il giusto prezzo che l’immobile avrebbe in una

libera contrattazione di compravendita” (prezzo di mercato o valore venale)

Il decreto di esproprio Il decreto di esproprio costituisce la fase conclusiva della procedura di acquisizione forzosa di un

immobile

1. Il Tribunale trasmette al Prefetto la relazione di stima dei periti

2. Il Prefetto ordina all’ente espropriante di depositare presso la Cassa Depositi e Prestiti gli importi

risultanti dalla perizia

3. Il Prefetto pronuncia il decreto di espropriazione e autorizza l’occupazione dei beni

4. L’ente espropriante notifica ai proprietari espropriati il decreto

5. I proprietari, nei 30 giorni seguenti, possono presentare opposizioni contro la stima dei periti; in

questo caso, si ritorna in Tribunale

6. Trascorsi 30 giorni senza opposizioni, l’importo dell’indennità resta fissato come dalla stima

peritale

L’esproprio: casi particolari – L’esproprio parziale In alcuni casi si rende necessario procedere alla acquisizione forzosa di una sola parte di un immobile

In questi casi, si parla di esproprio parziale

L’indennità stabilita dai periti dovrà essere pari alla differenza fra il giusto prezzo che l’immobile

avrebbe spuntato prima dell’esproprio e quello che invece risulterebbe dopo la parziale

espropriazione

L’indennità di esproprio risarcisce il proprietario della diminuzione del valore venale dell’immobile a

seguito dell’esproprio

L’esproprio: casi particolari – L’occupazione provvisoria

Page 22: Tecnica Urbanistica Lezioni

1. L’occupazione provvisoria di un immobile, per agevolare l’esecuzione di opere pubbliche, può

verificarsi in due casi, ed è dichiarata dal Prefetto su richiesta degli interessati

2. per agevolare l’esecuzione di un opera già dichiarata di pubblica utilità

3. quando ricorrono particolari motivi di urgenza, che non consentono l’attesa di un decreto di

esproprio

In entrambi i casi, l’indennità è stabilita per legge in misura pari alla perdita di rendita del bene per

il periodo dell’occupazione

L’esproprio: casi particolari – Il contributo di miglioria Con il “contributo di miglioria” l’ente pubblico aveva la facoltà di imporre ai proprietari di immobili

contigui a un’opera di p.u. il pagamento di un contributo, pari alla metà del maggior valore risultante

ai propri beni a seguito dell’esecuzione dell’opera

Il contributo di miglioria ha lo scopo di perequare benefici ed oneri per i cittadini

Un’opera pubblica inevitabilmente reca vantaggi e comporta costi; con il contributo di miglioria si

dà facoltà di chiedere ai cittadini che risultino particolarmente beneficiati dall’opera il pagamento

di un contributo superiore a quello chiesto a tutti gli altri

I problemi Uno dei problemi maggiori della prima normativa sull’esproprio sia rappresentato dalla estrema

macchinosità procedurale e dalla conseguente lentezza dell’iter di esproprio

Qualora un proprietario interessato da una procedura di esproprio non si ritenga soddisfatto dell’

offerta, né adeguatamente compensato dall’indennità stimata dai periti, la possibilità che egli

mantiene di ricorrere nuovamente al Tribunale mediante le opposizioni pone a rischio la possibilità

di condurre in porto l’acquisizione del bene in tempi accettabili per l’esecuzione di un opera

pubblica

L’esproprio: La legge di Napoli Legge 2892/1885 I problemi di lentezza procedurale dell’iter dell’esproprio emersero con drammaticità alla metà degli

anni ’80 a Napoli

A Napoli devastanti e ripetute epidemie di colera resero urgente un intervento di risanamento

igienico del centro storico, le cui condizioni di degrado erano state riconosciute cause del flagello

L’intervento richiedeva la preventiva acquisizione degli immobili al Comune

A Napoli, nel centro storico, alcuni elementi contingenti rendevano particolarmente difficile

procedere speditamente all’esproprio degli immobili in ossequio alla legge 2359/1865

Gli alloggi, particolarmente degradati, erano infatti caratterizzati da un valore venale talmente

modesto che i proprietari avrebbero ostacolato con dinieghi e opposizioni ogni tentativo di

acquisizione forzosa

Si rese quindi necessario predisporre per il caso del risanamento del centro storico di Napoli una

legge speciale, al fine di convincere alla cessione degli immobili i proprietari più riottosi

La legge 2892/1885 per il caso del centro storico di Napoli (da allora meglio nota come “legge di

Napoli”) verteva su un escamotage

1. Gli immobili da espropriare, pur vecchi e degradati, a causa della penuria di alloggi spuntavano

sul mercato degli affitti valori anche elevati, garantendo buone rendite ai proprietari

2. La 2892/1885 stabiliva l’indennità di esproprio pari alla media fra il valore venale degli immobili e

il coacervo dei fitti dell’ultimo decennio

3. Tale nuovo criterio avrebbe pertanto elevato il valore di stima dell’indennità di esproprio,

scoraggiando i ricorsi avverso le procedure di esproprio e abbreviandone i tempi

La legge di Napoli fuori Napoli Se la legge 2892/1885 dette a Napoli i risultati sperati, se ne decise l’applicazione in tutta Italia per

motivi diametralmente opposti a quelli che ne avevano determinato l’emanazione

La gran parte delle procedure di esproprio riguardava, nel XX secolo, la acquisizione di terreni non

urbanizzati, in vista dell’opera di infrastrutturazione e di sviluppo del Paese

In questo caso, il problema che rendeva ardua ogni procedura di esproprio era l’onerosità

dell’operazione, connessa all’elevato valore venale dei terreni

I terreni non urbanizzati, di valore venale relativamente elevato, presentavano fitti molto modesti:

l’estensione al loro caso della legge 2892/1885 avrebbe abbattuto l’importo dell’indennità fino a

quote accettabili per l’ente espropriante

Ciò determinò così la progressiva sostituzione del criterio della 2359/1865 basato sul solo valore

venale con quello introdotto a fine Ottocento per Napoli, sfruttato questa volta per l’esito favorevole

che garantiva economicamente alle amministrazioni esproprianti

Page 23: Tecnica Urbanistica Lezioni

Legge 429/1907 : Esproprio di terreni per la realizzazione di linee ferroviarie

Legge 302/1939 : Esproprio di terreni per la realizzazione di impianti sportivi

Legge 645/1954 : Esproprio di terreni per la realizzazione di impianti scolastici

Legge 904/1965 : Esproprio di terreni per la realizzazione di Piani di Zona

La riforma dell’esproprio del 1971 Legge 865/1971 Nel 1971 la legge 865 (“legge per la casa”) riforma la procedura di esproprio degli immobili,

innovando in particolare le disposizioni riguardanti la stima dell’indennità

aree esterne ai centri abitati : l’indennità è stabilita in base al VAM, valore agricolo medio

corrispondente al tipo di coltura in atto nell’area da espropriare

aree interne ai centri abitati : l’indennità è stabilita in base al VAR, valore agricolo della coltura più

redditizia, fra quelle che, nella regione agraria ove ricade il terreno, coprono una superficie superiore

al 5 % dell’area

Il VAR Il portato della legge 865 va ben al di là del semplice artificio contabile, che comunque consente

alle casse pubbliche consistenti risparmi, e quindi in sostanza la diffusa utilizzazione dell’esproprio. Si

riconosce che la rendita di un terreno risulta dalla somma di due componenti

1. una quota parte “naturale”, la rendita agricola

2. una quota “artificiale”, la rendita differenziale, dipendente dalla destinazione urbanistica che la

collettività gli assegna

In area urbanizzata il secondo termine è di norma largamente prevalente rispetto al primo

Si stabilisce che è connaturata al terreno la rendita agricola, cui è connesso il suo “valore naturale”,

mentre la rendita differenziale non è data dalla posizione del terreno, dalle sue qualità o dal l’opera

del proprietario, ma dall’attività della collettività

dagli investimenti in opere di urbanizzazione

dalle specifiche scelte localizzative

Si stabilisce che, in caso di esproprio, spetti al proprietario il riconoscimento di un valore commisurato

alla sola rendita naturale, e quindi deprivato della quota addizionale di valore venale derivante al

terreno dalla attività della collettività

Per determinare l’indennità di stima all’interno del perimetro dei centri abitati, il V.A.R. deve essere

moltiplicato per un coefficiente k

Entro il centro storico

comuni con pop. < 100.000 ab. : 2<k<4

comuni con pop. > 100.000 ab. : 4<k<5

Fuori dal centro storico

comuni con pop. < 100.000 ab. : 1<k<2

comuni con pop. > 100.000 ab. : 2<k<2,5

La legge 865 intende con il VAR eliminare le rendite parassitarie, di cui la proprietà fondiaria

beneficia a spese della collettività

La misura di tale decurtazione viene mitigata , grazie al coefficiente k, nelle aree urbane nelle quali

si presume che l’uso effettivamente agricolo dei terreni sia più remoto, ovvero nelle città più grandi

e in particolare all’interno dei loro centri storici

La cancellazione Legge 865/1971 C.Cost n°5/80 Nel 1980, la Corte Costituzionale stabilì con la sentenza n° 5 la illegittimità del criterio per la

determinazione dell’indennità di esproprio fissata dalla legge 865/71 per i terreni compresi entro il

perimetro dei centri abitati

Motivazione addotta era la incongruenza fra l’ammontare di tale indennità e l’entità del danno

subito dall’espropriato, non misurabile in termini di valore agricolo dei terreni

Il diritto di proprietà, riconosciuto dalla Costituzione, non può essere leso pagando una indennità

dall’importo “non congruo”, perché irrisorio rispetto al valore venale del bene

A seguito di tale pronunciamento, il criterio per la determinazione dell’indennità di esproprio in Italia

si trovò sdoppiato

fuori dai centri abitati: restava valido il criterio ancorato al V.A.M., in base alla legge 865/71

entro i centri abitati : si tornava al criterio stabilito dalla antica legge di Napoli

L’indennità di esproprio: la legge Amato Legge 359/1992 DPR 327/2001 Il criterio sulla determinazione dell’indennità stabilito dalla legge 359/1992 (legge Amato) è recepito

all’interno del Testo Unico sull’esproprio, contenuto nel DPR 327/2001

Page 24: Tecnica Urbanistica Lezioni

Per le aree agricole e per quelle non edificabili: resta valido il criterio ancorato al V.A.M., in base alla

legge 865/71

Per le aree edificabili : se il soggetto espropriato accetta la cessione volontaria del bene (e può farlo

in ogni fase del procedimento espropriativo), non si applica l’abbattimento del 40 %

La sentenza della Corte Costituzionale n°348/2007 Nel 2007 la Corte Costituzionale emette una ulteriore sentenza, la n° 348, che ancora una volta

sconvolge la normativa sull’esproprio

Viene sancita l’incostituzionalità del criterio per la determinazione dell’indennità di esproprio dei

terreni edificabili, contenuto nella legge 359/1992 (e quindi nel DPR 327/2001)

Per tali aree, si torna ad una situazione di vuoto normativo, e quindi all’esigenza di una nuova legge

L’indennità di esproprio: il nuovo Testo Unico Legge 244/2007 C.Cost. n°348/07 La legge 244/2007 sistema nuovamente la materia dell’esproprio, modificando il T.U. al suo art. 37

(aree edificabili)

Per le aree agricole e per quelle non edificabili : resta valido il criterio ancorato al V.A.M., in base

alla legge 865/71

Per le aree edificabili : se il soggetto espropriato accetta la cessione volontaria del bene, si applica

un incremento del 10 %

L’indennità di esproprio:le questioni Questo si riflette sul processo pianificatorio, traducendosi nella difficoltà a realizzare i piani attuativi

di iniziativa pubblica, ovvero quelli che non presentano per il privato attese di fruttuosità economica

e per cui il Comune non ha modo di beneficiare dell’apporto collaborativo dei privati

Lezione 13: L’attuazione del PRG: il Piano di Lottizzazione L’attuazione del PRG senza PP Il ricorso al P.P., previsto dalla L.U.N. come regola, per vari motivi si è trasformato in una prassi

infrequente. Secondo quale prassi allora si affronta la trasformazione del territorio urbano, in

un’epoca storica, l’ultimo dopoguerra, caratterizzata da una espansione urbana senza precedenti?

E’ uno strumento che la 1150 in effetti non prevedeva ma che venne “inventato” dalla prassi sulla

base di un sostanziale equivoco contenuto nella 1150: si tratta del Piano di Lottizzazione.

La lottizzazione nella LUN Il termine “lottizzazione”, come già si è visto, era contenuto nella 1150: Suddivisione del terreno

edificabile in singole parcelle, non ulteriormente scomponibili, dette “lotti”.

La lottizzazione era prevista dalla L.U.N. come operazione da effettuarsi all’interno del P.P., e

finalizzata ad assicurare una razionale utilizzazione del suolo. Tuttavia la L.U.N. non conteneva un

esplicito divieto di lottizzazione in assenza di P.P. (o addirittura di P.R.G.)

Situazione dell’immediato dopoguerra 1. forte pressione espansiva della città, con elevata domanda abitativa

2. assenza diffusa di P.R.G. vigenti

3. difficoltà, in presenza di P.R.G. vigenti, ad allestire Piani Particolareggiati

4. mancanza del divieto di lottizzazione in assenza di P.P.

La lottizzazione diviene il normale strumento di espansione della città utilizzato dall’imprenditoria

edilizia per assecondare il processo di urbanizzazione delle aree contermini alle città esistenti.

I problemi 1. Assenza di P.R.G. vigenti

2. Mancanza di coordinamento delle iniziative

Assenza di controllo della collettività sugli interventi

3. Realizzazione di sole destinazioni residenziali, prive di servizi pubblici

Scarsa qualità insediativa

4. Onerosità della successiva realizzazione delle opere di urbanizzazione

Problemi economici per la collettività: profitti privati, oneri collettivi

Il problema della periferia italiana negli anni ‘50 e ‘60, gli anni del boom economico del dopoguerra.

La soluzione dei guasti della lottizzazione: la legge Ponte Legge 765/67 Obiettivi:

1. migliorare la qualità insediativa delle aree di nuovo sviluppo delle città

Introduzione degli standard

Page 25: Tecnica Urbanistica Lezioni

2. risolvere i problema della carenza di P.R.G

3. evitare i problemi causati dalla realizzazione di lottizzazioni in assenza di P.R.G.

Divieto di procedere alla lottizzazione in assenza di P.R.G. o di P.F.

Dalla lottizzazione al PL: gli effetti della legge Ponte 1. Introduzione degli standard

2. Divieto di procedere alla lottizzazione in assenza di P.R.G. o di P.F.

l’obbligo per i Comuni a darsi un P.R.G. , pena la sostanziale atrofia dell’attività edilizia

la sostanziale equiparazione fra P.R.G. e P.F.

la regolarizzazione del Piano di Lottizzazione come strumento urbanistico attuativo, equiparato ad

un P.P. di iniziativa privata.

La legge Ponte e il nuovo processo pianificatorio PRG

PL PP

Il Piano di Lottizzazione viene affiancato al Piano Particolareggiato come strumento di attuazione del

PRG

Il Comune delega i privati ad attuare le proprie previsioni urbanistiche, purché rispettino determinate

condizioni

Il Piano di Lottizzazione: Legge 1150/1942 Legge 765/67

Le finalità

1. Attuare le previsioni del P.R.G.

2. Regolare l’attività edificatoria nell’area interessata, con funzione di dettaglio delle previsioni del

P.R.G.

Il P.L. non ha invece la terza finalità del P.P. (ovvero il consentire l’espropriazione delle aree), mentre

in più ne ha una essenziale:

3. Consentire la realizzazione delle opere di urbanizzazione a corredo degli interventi, in anticipo

rispetto ad essi e senza costi aggiuntivi per la collettività.

Limiti spaziali e cogenza

Limiti spaziali: Limitate porzioni di territorio costituenti sottoinsiemi del territorio di un Comune

Cogenza: Il Piano di Lottizzazione è uno strumento facoltativo

Validità

Il P.L. ha una scadenza prefissata in 10 anni. Trascorsi questi, le sue previsioni perdono ogni validità.

Tuttavia, restano validi a tempo indeterminato i suoi contenuti normativi e regolamentari riguardanti

l’attività edilizia, che essendo di dettaglio e specificazione delle previsioni di P.R.G., ne diventano

parte integrante e integrativa.

Contenuti I contenuti di un P.L. sono analoghi a quelli di un Piano Particolareggiato

1. la rete delle infrastrutture viarie, dalla maglia delle principali, desunte dal P.R.G., fino ai

collegamenti secondari e di penetrazione nel tessuto edilizio

2. la suddivisione del terreno in aree fabbricabili e non fabbricabili, con indicazione della proprietà

3. la suddivisione del terreno edificabile in lotti edificativi, con relativi indici

4. la specificazione di dettaglio delle tipologie edilizie

Gli Elaborati 1. stralcio del P.R.G. vigente con indicazione del perimetro del Piano di Lottizzazione (scala 1:5000)

2. stralcio delle N.T.A. del vigente P.R.G., relative alla zona oggetto del Piano di Lottizzazione

3. planimetria della consistenza attuale dell’area oggetto di Piano di Lottizzazione (scala 1:1000 –

1:500)

4. progetto di Piano di Lottizzazione, redatto su mappa catastale (scala 1:500)

5. tavola della lottizzazione delle aree fabbricabili, con indicazione di superfici e volumi (scala

1:500)

6. Norme Tecniche integrative di Attuazione del P.L.

7. tipologie edilizie e profili regolatori (scala 1:500 – 1:200)

8. elenchi catastali delle proprietà interessate

9. relazione tecnica illustrativa sulle metodologie della attuazione del PRG e del loro dettaglio ad

opera del PL

10. tabella di verifica degli standard con allegata planimetria

11. schema di convenzione fra Comune e lottizzante

Page 26: Tecnica Urbanistica Lezioni

Rispetto al PP:

1. Il P.L. manca di un piano parcellare di esproprio delle aree comprese negli elenchi catastali: i

terreni sono e restano di proprietà privata

2. Il P.L. manca di un piano finanziario: i privati non devono rendere conto alla collettività dei costi

e dei profitti dell’operazione

3. Il P.L. ha in più uno schema di convenzione: la convenzione è infatti il documento che regola i

rapporti fra pubblico e privato

L’elaborato tipico del PL: lo schema di convenzione

Sottoscrivendo la convenzione, il lottizzante:

1. Si impegna a realizzare le opere previste nel P.L. nel rispetto di predeterminate scadenze

temporali, e comunque entro dieci anni

2. Fornisce al Comune congrue garanzie finanziarie per gli obblighi derivanti dalla

Convenzione, attraverso la presentazione di una fideiussione bancaria per l’importo degli

oneri relativi

3. Si impegna a sollevare il Comune dagli oneri connessi alla realizzazione delle opere di

urbanizzazione.

Il Piano di Lottizzazione: le opere di urbanizzazione

1. cedere gratuitamente al Comune le aree necessarie per la realizzazione delle opere di

urbanizzazione primaria.

2. cedere gratuitamente al Comune parte delle aree necessarie per la realizzazione delle

opere di urbanizzazione secondaria

3. realizzare a proprie spese le opere di urbanizzazione primaria, o pagare gli oneri

corrispondenti

4. realizzare a proprie spese parte delle opere di urbanizzazione secondaria, o pagare gli

oneri corrispondenti

La Procedura

1. Il proprietario presenta al Comune la domanda di autorizzazione alla Lottizzazione, allegando:

il progetto di Piano di Lottizzazione

lo schema di convenzione fra Comune e lottizzante

2. Autorizzazione e adozione da parte del C.C.

3. Pubblicazione all’Albo Pretorio e deposito per 30 giorni in segreteria comunale

4. Presentazione osservazioni (30+30 giorni)

5. Recepimento osservazioni da parte del C.C.

in caso di accoglimento, modifica il P.L

in caso di non accoglimento, lo lascia inalterato

6. Trasmissione alla Regione*

7. Recepimento da parte della Giunta Regionale*

non lo approva, motivando il rigetto

apporta modifiche sostanziali, e lo ritrasmette al Comune per le opportune correzioni

apporta modifiche non sostanziali, lo modifica e lo approva

lo approva senza modifiche

8. Pubblicazione della delibera della G.R. sul B.U.R. ed entrata in vigore.

Con la Legge 47/85 anche l’iter del P.L. si conclude in Comune, senza necessità di trasmissione alla

Regione. Anche il P.L. è tutelato durante il suo iter amministrativo (al massimo per 3 anni) dalle misure

di salvaguardia. Il P.L. entra in vigore. I lavori di realizzazione dovranno aver termine entro una data

prestabilita (comunque mai superiore ai dieci anni), e comunque prima del certificato di abitabilità

dei singoli edifici.

Le Questioni Con il P.L. si aprì un nuovo tipo di rapporto fra Comune e singolo proprietario, che sembra risolvere il

problema della attuazione del PRG: il Comune, anziché realizzare direttamente tale fase, la delega

ai privati, stabilendone peraltro le modalità. Tuttavia, resta evidente che una tale procedura di

coinvolgimento del privato risulta praticabile nel caso della attuazione di interventi che presentino

attese di remuneratività per l’operatore, tali cioè da indurlo alla collaborazione con il Comune: in

particolare, insediamenti residenziali e commerciali. Restano pertanto esclusi da tale novero, in

sostanza, tutti gli interventi urbanistici finalizzati alla realizzazione di insediamenti che non risulteranno

appetibili sul mercato della produzione edilizia, in quanto privi di remuneratività

Lezione 14: L’attuazione del PRG: il Piano di Zona

Page 27: Tecnica Urbanistica Lezioni

L’attuazione del PRG senza PP PRG

PL PP ?

Al Piano Particolareggiato viene affiancato, come strumento di attuazione del PRG, il Piano di

Lottizzazione. Tale strumento tuttavia non è utilizzabile per interventi che non presentino attese di

remunerazione economica.

L’attuazione del PRG senza PP: L’edilizia sociale Fra gli interventi deprivati di prospettive di remuneratività (e quindi esclusi dalla possibilità di utilizzo

del P.L.) sono, inevitabilmente, sono gli interventi di realizzazione di edilizia sociale

Questa, destinata alle fasce sociali più deboli, deve infatti essere messa sul mercato a prezzo

calmierato; in altre parole, per rendere gli alloggi disponibili per classi sociali non abbienti, il loro

prezzo è politico, ovvero è stabilito esogenamente, fuori dalle regole di mercato, legate alla

domanda e all’offerta di abitazioni.

Per questi motivi, la realizzazione dell’edilizia economica e popolare resta a carico dell’ente

pubblico, che non trova un partner privato cui delegare l’iniziativa; e lo strumento di cui l’ente

pubblico dispone resta il P.P., segnato peraltro dalle note caratteristiche problematiche

Per questo motivo, agli inizi degli anni Sessanta si rese necessario creare un altro strumento,

appositamente elaborato per l’attuazione delle previsioni di P.R.G. in sostituzione del Piano

Particolareggiato relativamente all’edilizia economica e popolare.

La vicenda dell’edilizia economica e popolare in Italia Il problema della casa per le classi a basso reddito, nato in Gran Bretagna agli inizi dell’Ottocento,

si pone in concreto in Italia alla fine del secolo scorso, in relazione al fenomeno dell’urbanesimo nelle

grandi città del Nord

Legge 254/1903 (legge Luttazzi) Istituzione degli I.C.P. (poi I.A.C.P. poi A.T.E.R. poi Edilizia

Provinciale)

RD 1165/1938 Stabilisce la differenza fra edilizia economica e edilizia popolare

L’immediato dopoguerra è caratterizzato dalla esplosione demografica delle città e da una

elevatissima disoccupazione.

Legge 43/1949 (legge Fanfani) realizzare alloggi a basso costo, destinati alla locazione e al riscatto per lavoratori dipendenti

incentivare l’occupazione, tramite l’utilizzazione di manodopera nella realizzazione dei fabbricati

La sezione immobiliare dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni (I.N.A.) viene incaricata di gestire e

distribuire agli IACP i fondi per la realizzazione delle case, drenati con trattenute in busta paga.

Nasce l’INA-Casa, che per due settennati governa il problema dell’edilizia economica e popolare

in Italia

Caratteristiche degli interventi INA-Casa:

1. devono predisporre edifici a costo contenuto

2. devono rispettare determinati standard costruttivi

3. operano in deroga alle previsioni di P.R.G.

Contengono i costi, acquistando terreni poco costosi:

1. terreni collocati in posizione periferica

2. terreni collocati in posizione penalizzata

3. terreni non destinati dai PRG alla edificazione

Realizzazione tipica INA-Casa è il “quartiere autosufficiente”, realizzato in posizione marginale

nell’illusione della autonomia, e destinato a rimanere un ghetto sociale, con sola destinazione

abitativa per classi deboli.

Problemi:

1. Aree di insediamento periferiche

2. Scelte insediative difformi rispetto al P.R.G.

Nel 1962 la legge 167 mette mano a questi problemi, istituendo un apposito strumento di attuazione

del PRG per gli insediamenti di edilizia sociale: il Piano di Zona.

Legge 167/1962

La legge 167/1962, il cui titolo è “Disposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per

l’edilizia economica e popolare”, ha due finalità dichiarate

1. reperire, nell’ambito delle previsioni degli strumenti urbanistici, le aree per l’edilizia economica e

popolare

Page 28: Tecnica Urbanistica Lezioni

2. acquisire queste aree ad un prezzo equo, ovvero non gravato da plusvalori legati

all’urbanizzazione o alla destinazioni d’uso

A tale scopo, la L. 167 istituisce il Piano di Zona.

Un nuovo strumento di attuazione del PRG: il Piano di Zona Legge 167/1962

PRG

PL PP PZ

Il Piano di Zona si affianca al Piano Particolareggiato come strumento di attuazione del PRG per

quanto riguarda le sole previsioni di edilizia economica e popolare

Le finalità

1. attuare le previsioni del P.R.G. per quanto riguarda gli insediamenti di edilizia economica e

popolare

2. regolare l’attività edificatoria nell’area interessata, con funzione di dettaglio delle previsioni del

P.R.G.

3. consentire l’espropriazione delle aree necessarie alla attuazione delle previsioni di P.R.G.

Limiti Spaziali Limitate porzioni di territorio costituenti sottoinsiemi del territorio di un Comune. La dimensione di un

P.Z. non è pertanto prefissata per legge. Tuttavia, la legge prevede che il dimensionamento delle

previsioni di edilizia economica e popolare (da affidare a P.Z.) rispetti limiti predeterminati:

Legge 167/1962 dimensionamento commisurato alle esigenze dell’edilizia economica e

popolare e al suo prevedibile sviluppo

Legge 865/1971 dimensionamento non superiore al 60 % del fabbisogno complessivo di edilizia

abitativa

Legge 10/1977 dimensionamento compreso fra il 40 % e il 70 % del fabbisogno abitativo

complessivo

Cogenza

In base all’art. 1, sono obbligati alla formare un P.Z.:

1. i Comuni con popolazione superiore a 50.000 abitanti

2. i Comuni capoluogo di Provincia

3. i Comuni che la Regione inserisce in un apposito elenco, in quanto:

hanno un elevato indice di affollamento

sono limitrofi a quelli obbligati ope legis

hanno forte (> 8 %) presenza di abitazioni malsane

hanno almeno 20.000 abitanti

sono riconosciuti come stazioni turistiche

hanno in atto un incremento demografico straordinario

Per tutti gli altri Comuni, il P.Z. è facoltativo

Validità

La legge 167 prevedeva l’efficacia dei P.Z. per una durata di 10 anni, portata a 15 anni dalla legge

865/71 e a 18 anni dalla 457/78, durata valida attualmente.

Tuttavia, restano validi a tempo indeterminato i suoi contenuti normativi e regolamentari riguardanti

l’attività edilizia, che essendo di dettaglio e specificazione delle previsioni di P.R.G., ne diventano

parte integrante e integrativa

Contenuti I contenuti di un P.Z. sono analoghi a quelli di un Piano Particolareggiato

1. la rete delle infrastrutture viarie, dalla maglia delle principali, desunte dal PRG, fino ai

collegamenti secondari e di penetrazione nel tessuto edilizio.

2. la suddivisione del terreno in aree fabbricabili e non fabbricabili, con indicazione della proprietà

3. la suddivisione del terreno edificabile in lotti edificativi, con relativi indici (2+3=lottizzazione)

4. la specificazione di dettaglio delle tipologie edilizie

Gli Elaborati 1. stralcio del P.R.G. vigente con indicazione del perimetro del Piano di Zona (scala 1:5000)

2. stralcio delle N.T.A. del vigente P.R.G., relative alla zona oggetto del Piano di Zona

3. planimetria della consistenza attuale dell’area oggetto di Piano di Zona (1:1000 – 1:500)

4. progetto di Piano di Zona, redatto su mappa catastale (scala 1:500)

5. tavola della lottizzazione delle aree fabbricabili, con indicazione di superfici e volumi (scala

1:500)

Page 29: Tecnica Urbanistica Lezioni

6. Norme Tecniche integrative di Attuazione del P.Z.

7. tipologie edilizie e profili regolatori (scala 1:500 – 1:200)

8. elenchi catastali delle proprietà da espropriare, con planimetrie, superfici interessate e redditi

corrispondenti

9. relazione sommaria di spesa

10. relazione tecnica illustrativa sulle metodologie della attuazione del PRG e del loro dettaglio ad

opera del PZ

11. tabella di verifica degli standard con allegata planimetria

La Procedura

1. Adozione da parte del Consiglio Comunale

2. Pubblicazione all’Albo Pretorio e deposito per 10giorni in segreteria comunale

3. Presentazione osservazioni (10+20giorni)

4. Recepimento osservazioni da parte del C.C.

in caso di accoglimento, modifica il P.P

in caso di non accoglimento, lo lascia inalterato

5. Trasmissione alla Regione*

6. Recepimento da parte della Giunta Regionale*

non lo approva, motivando il rigetto

apporta modifiche sostanziali, e lo ritrasmette al Comune per le opportune correzioni

apporta modifiche non sostanziali, lo modifica e lo approva

lo approva senza modifiche

7. Pubblicazione della delibera della G.R. sul B.U.R. ed entrata in vigore.

Con la Legge 47/85 anche l’iter del P.Z. si conclude in Comune, senza necessità di trasmissione alla

Regione. Anche il P.Z. è tutelato durante il suo iter amministrativo (al massimo per 3 anni) dalle misure

di salvaguardia.

L’Attuazione

1. Acquisizione dei terreni, di norma mediante esproprio (più spesso tramite cessione bonaria)

2. Realizzazione da parte dell’ente pubblico delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria

3. Cessione delle aree:

in proprietà, per una volumetria compresa fra il 20% e il 40%

in diritto di superficie, per una volumetria compresa fra il 60 e l’80%

La cessione in diritto di superficie agli enti pubblici per la realizzazione di impianti e servizi è a

tempo indeterminato.

La cessione in diritto di superficie ha durata compresa fra 60 e 99 anni, in tutti gli altri casi.

La cessione dei terreni: terreni in diritto di superficie

Alla concessione, deliberata dal C.C., è allegata una convenzione che stabilisce:

il costo della concessione

le caratteristiche costruttive e tipologiche degli edifici da realizzare

i termini di inizio e di ultimazione degli edifici

i criteri per la determinazione e la revisione periodica del canone di locazione, o del prezzo

di vendita

i criteri per la determinazione del corrispettivo, in caso di rinnovo della concessione

La cessione dei terreni: terreni in proprietà

All’atto di cessione delle aree, vendute a soggetti cui la legge consenta l’assegnazione di alloggi

di edilizia economica e popolare, è allegata una convenzione che stabilisce:

il prezzo di vendita, pari al costo di acquisizione, maggiorato degli oneri di urbanizzazione

le caratteristiche costruttive e tipologiche degli edifici da realizzare

i termini di inizio e di ultimazione degli edifici

L’alloggio posto su area ceduta in proprietà non può essere alienato per 10 anni dalla data del

rilascio della abitabilità.

L’alloggio posto su area ceduta in proprietà solo dopo 20 anni dalla abitabilità può essere

venduto a chiunque

Le Questioni Il conseguimento degli obiettivi della legge 167/62 dipende dal grado in cui le Amministrazioni hanno

inteso, nella propria discrezionalità, sfruttarne le potenzialità:

1. all’atto della redazione del PRG, nel dimensionamento del fabbisogno abitativo da soddisfare

tramite P.Z.

Page 30: Tecnica Urbanistica Lezioni

2. in fase attuativa con il dimensionamento delle aree cedute in proprietà e in diritto di superficie

3. ma soprattutto con la scelta della localizzazione del P.Z. rispetto all’aggregato urbano e alle

altre scelte insediative

L’Esito

In alcuni casi, i Piani di Zona hanno costituito l’elemento più importante dell’intero strumento

urbanistico generale, sia per la dimensione che per la localizzazione, determinando la realizzazione

di quartieri di edilizia economica e popolare vasti e ben integrati nella città, in posizione di

accettabile pregio. Riferimento d’obbligo è il caso di Bologna, il cui PZ nel 1965 è localizzato

all’interno del centro storico, costituendo l’occasione per la sua riqualificazione.

In altri casi, le amministrazioni hanno scelto una via diversa, dimensionando l’edilizia popolare al

minimo consentito dalla legge, ma soprattutto mantenendo la consuetudine storica di una sua

localizzazione in aree decentrate e penalizzate sul mercato fondiario. In questi casi l’esito

dell’applicazione del P.Z. può definirsi fallimentare rispetto agli obiettivi della legge 167.

Lezione 15: L’attuazione del PRG: il Piano degli Insediamenti Produttivi Le zone industriali in Italia prima della 1150 Una “zona industriale”, secondo la comune accezione del termine, è una porzione di territorio

destinata ad accogliere attività produttive, nel rispetto delle previsioni e delle norme di uno

strumento urbanistico. Fino alla 1150, in Italia non esistevano strumenti idonei alla istituzione di zone

industriali: né, infatti, il Piano di Ampliamento, né, tanto meno, il P.R.E. della 2359/1865 contenevano

disposizioni su temi del genere.

Nel corso della prima metà del XX secolo, una discreta quantità di zone industriali venne realizzata

sulla base di due possibilità diverse:

sulla base di Piani Regolatori redatti in rispondenza di altrettante “leggi speciali” (ben 62 dal

1928 al 1941)

sulla base di “piani speciali” delle zone industriali: 16 dal 1900 al 1950 (Napoli, Bolzano, Porto

Marghera,…)

Questi interventi avevano carattere episodico: erano finalizzati a consentire la localizzazione di

impianti industriali nella adiacenza di alcune aree urbane, ed erano per lo più connessi alle intenzioni

delle grandi aziende che manifestavano la volontà di insediarsi in ambito urbano; aziende con cui

le amministrazioni in genere concordavano le modalità del loro insediamento sul territorio.

Le zone industriali in Italia con l’emanazione della 1150 Con l’introduzione del principio dello zoning, la L.U.N. stabilisce che in sede di formazione di PRG

debbano essere individuate le aree da destinare all’insediamento di attività produttive. La

realizzazione di tali previsioni dovrà avvenire a seguito della predisposizione di Piani Particolareggiati.

Nel 1967, la legge Ponte perimetra le aree interessate dalla previsione di insediamento di attività

produttive come una particolare zona omogenea, la D, assoggettandole a specifici standard edilizi

e urbanistici.

Per la bassa redditività unitaria delle attività produttive, il differenziale fra il valore del terreno come

suolo agricolo e il valore risultante dalla destinazione ad impianti industriali e artigianali resta

inevitabilmente basso. Nella difficoltà di redigere P.P., ciò rendeva poco remunerativa la

realizzazione di aree industriali, e quindi improbabile la collaborazione degli operatori privati a mezzo

di P.L., e quindi difficile procedere ad una urbanizzazione delle aree razionale e non onerosa per la

collettività.

Un nuovo strumento di attuazione del PRG: il Piano degli Insediamenti Produttivi

Legge 865/71 (Legge per la casa) PRG

PL PP PZ PIP

1. modesta remunerabilità degli insediamenti produttivi

2. difficoltà a redigere P.P.

La legge 865/71 (legge “per la casa”) introduce per tale destinazione uno specifico piano

attuativo: il P.I.P.

Le Finalità

1. attuare le previsioni del P.R.G. per quanto riguarda gli insediamenti di attività produttive

2. regolare l’attività edificatoria nell’area interessata

3. consentire l’espropriazione delle aree necessarie alla attuazione delle previsioni di P.R.G.

Due finalità particolari:

Page 31: Tecnica Urbanistica Lezioni

garantire la disponibilità a basso costo di aree per insediamenti produttivi

promuovere per tali insediamenti una organica pianificazione attuativa

Limiti spaziali e validità

Limiti spaziali: Limitate porzioni di territorio costituenti sottoinsiemi del territorio di un Comune. La

dimensione di un P.I.P. non è pertanto prefissata per legge.

Validità: Il P.I.P. ha una scadenza prefissata in 10 anni. Trascorsi questi, le sue previsioni perdono ogni

validità. Tuttavia, restano validi a tempo indeterminato i suoi contenuti normativi e regolamentari

riguardanti l’attività edilizia, che essendo di dettaglio e specificazione delle previsioni di P.R.G., ne

diventano parte integrante e integrativa.

Cogenza

Il P.I.P. è uno strumento facoltativo; tuttavia la legge prevede che sia lo strumento cui va fatto ricorso

per dare attuazione al Piano in ordine alla localizzazione delle attività produttive.

In definitiva è lo strumento facoltativo che si è obbligati a redigere per dare attuazione alla

previsione di localizzazione delle attività produttive.

La Regione, per legge, può negare l’autorizzazione alla redazione del P.I.P. nel caso di zone non

correttamente pianificate, localizzate o dimensionate.

La Regione si riserva così la possibilità di governare lo sviluppo industriale del territorio, anche nel caso

che sia assente un Piano Territoriale di Coordinamento.

Contenuti I contenuti di un PIP sono analoghi a quelli di un Piano Particolareggiato

5. la rete delle infrastrutture viarie, dalla maglia delle principali, desunte dal PRG, fino ai

collegamenti secondari e di penetrazione nel tessuto edilizio.

6. la suddivisione del terreno in aree fabbricabili e non fabbricabili, con indicazione della proprietà

7. la suddivisione del terreno edificabile in lotti edificativi, con relativi indici (2+3=lottizzazione)

8. la specificazione di dettaglio delle tipologie edilizie

Le Attività insediate

E’ opportuno specificare quali siano le attività produttive, la cui localizzazione è finalità di un PIP

1. Attività industriali

2. Attività artigianali

3. Attività commerciali

4. Attività turistiche

Gli Elaborati 1. stralcio del P.R.G. vigente con indicazione del perimetro del P.I.P. (scala 1:5000)

2. stralcio delle N.T.A. del vigente P.R.G., relative alla zona oggetto del P.I.P.

3. planimetria della consistenza attuale dell’area oggetto di P.I.P. (scala 1:1000-1:500)

4. progetto di P.I.P., redatto su mappa catastale (scala 1:500)

5. tavola della lottizzazione delle aree fabbricabili, con indicazione di superfici e volumi (scala

1:500)

6. Norme Tecniche integrative di Attuazione del P.I.P.

7. tipologie edilizie e prof. regolatori

8. elenchi catastali delle proprietà da espropriare, con planimetrie, superfici interessate e redditi

corrispondenti

9. piano finanziario, che

indichi la stima economica delle opere pubbliche e degli espropri da eseguire

attesti la copertura finanziaria dell’operazione

10. relazione tecnica illustrativa sulle metodologie della attuazione del PRG e del loro dettaglio ad

opera del P.I.P.

11. tabella di verifica degli standard con allegata planimetria

La Procedura

1. Autorizzazione da parte della Regione

2. Adozione da parte del Consiglio Comunale

3. Pubblicazione all’Albo Pretorio e deposito per 30 giorni in segreteria comunale

4. Presentazione osservazioni (30+30 giorni)

5. Recepimento osservazioni da parte del C.C.

in caso di accoglimento, modifica il P.P.

in caso di non accoglimento, lo lascia inalterato

6. Trasmissione alla Regione

Page 32: Tecnica Urbanistica Lezioni

7. Recepimento da parte della Giunta Regionale

non lo approva, motivando il rigetto

apporta modifiche sostanziali, e lo ritrasmette al Comune per le opportune correzioni

apporta modifiche non sostanziali, lo modifica e lo approva

lo approva senza modifiche

8. Pubblicazione della delibera della G.R. sul B.U.R. ed entrata in vigore

Con la legge 47/85 anche l’iter del P.I.P. si conclude in Comune, senza necessità di trasmissione alla

Regione. Anche il P.I.P. è tutelato durante il suo iter amministrativo (al massimo per 3 anni) dalle

misure di salvaguardia.

L’Attuazione

1. Acquisizione dei terreni, di norma mediante esproprio (più spesso tramite cessione bonaria)

2. Realizzazione da parte dell’ente pubblico delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria

3. Cessione delle aree

in proprietà, per una volumetria non superiore al 50 %

in diritto di superficie, per una volumetria non inferiore al 50 %

4. La cessione in diritto di superficie agli enti pubblici per la realizzazione di impianti e servizi è a

tempo indeterminato

5. La cessione in diritto di superficie ha durata compresa fra 60 e 99 anni, in tutti gli altri casi

La cessione dei terreni: terreni in diritto di superficie

Alla concessione, deliberata dal C.C., è allegata una convenzione che stabilisce:

il costo della concessione

le caratteristiche costruttive e tipologiche degli edifici da realizzare

i termini di inizio e di ultimazione degli edifici

i criteri per la determinazione del corrispettivo, in caso di rinnovo della concessione

La cessione dei terreni: terreni in proprietà

All’atto di cessione delle aree, è allegata una convenzione che stabilisce:

il prezzo di vendita, pari al costo di acquisizione, maggiorato degli oneri di urbanizzazione

le caratteristiche costruttive e tipologiche degli edifici da realizzare

i termini di inizio e di ultimazione degli edifici

Lezione 16: L’attuazione del PRG: il Piano di Recupero La questione dell’intervento sul patrimonio edilizio esistente La legge 1150/42 era implicitamente finalizzata alla costruzione del processo pianificatorio nel nostro

Paese in un momento di forte e perdurante espansione urbana

Gli strumenti che tale legge confeziona (PRG, PP) sono finalizzati a gestire e a disciplinare la crescita

della città. Mai, come si è visto, appare menzionato il problema della conservazione e della tutela

dell’ambiente (problema di cui si era fatta carico la precedente legge 1497/39). Mai appare

menzionato il problema della conservazione e della tutela del patrimonio immobiliare esistente.

L’intervento sul patrimonio edilizio esistente prima della 1150 In tema di intervento sul patrimonio edilizio esistente preesisteva alla LUN una legge, la n°1089 del

1939. (legge Bottai)

La legge 1089 individuava 3 categorie di beni artistici degni di tutela e valorizzazione.

1. le cose, immobili e mobili, che presentano valore artistico, storico e archeologico

2. gli immobili di importanza storica

3. le collezioni

Le “cose” appartenenti a una delle 3 categorie di beni degni di tutela e valorizzazione vengono

identificate mediante una “Dichiarazione di Importante Interesse”, emessa dal Ministero

dell’Educazione Nazionale e notificata ai rispettivi proprietari.

Legge 1089/39 1. I beni notificati non possono essere demoliti.

2. I beni notificati non possono essere modificate, o anche solamente restaurate, senza

l’autorizzazione specifica da parte del Ministero.

3. I proprietari hanno l’obbligo di sottoporre alla Sovrintendenza il progetto per ottenere la relativa

autorizzazione.

4. il Ministero può imporre al proprietario l’esecuzione degli interventi necessari ad assicurare la

conservazione del bene.

5. Qualora il bene sia di proprietà di un ente pubblico, il Ministero può effettuare l’intervento

d’ufficio, direttamente, chiedendo poi all’ente proprietario il rimborso dei costi sostenuti

Page 33: Tecnica Urbanistica Lezioni

6. Qualora il bene sia di proprietà dello Stato, esso non può essere alienato

7. Qualora il bene sia di proprietà privata, il bene può essere venduto, ma al Ministero è riservato il

diritto di prelazione.

I connotati dell’intervento La legge 1089/39 impronta l’intervento sul patrimonio immobiliare esistente a due connotati

caratteristici.

Un connotato di merito, ovvero sono degni di conservazione, tutela e valorizzazione i singoli immobili

depositari di un riconosciuto valore storico e artistico.

un connotato di metodo, ovvero la disciplina non si pone l’obiettivo di promuovere il riuso dei

fabbricati esistenti, ma ha esclusivamente finalità vincolistiche sui beni da tutelare, e si esplica

pertanto in un complesso di vincoli, obblighi e dinieghi.

DaI dopoguerra a oggi: un nuovo approccio all’intervento I decenni del dopoguerra introducono sostanziali trasformazioni al tema del patrimonio edilizio

esistente.

A partire dagli anni ’70, emerge la convinzione che non siano meritevoli di attenzione e

conservazione i singoli immobili storici, ma tutti gli edifici del nucleo antico delle città, ancorché

singolarmente privi di interesse

Inoltre, a fronte dell’insorgenza del problema della dissipazione del territorio e di un diffuso spreco

delle risorse (costruite e naturali) si manifesta l’opportunità di operare un più corretto sfruttamento

delle risorse edilizie esistenti, consistenti nel patrimonio immobiliare, che sia o non sia di interesse

storico.

A partire dagli anni ’70 emerge il tentativo di far fronte alle esigenze abitative utilizzando il volume

edilizio esistente, recuperato all’uso contemporaneo. Possiamo sintetizzare questo nuovo

atteggiamento in un duplice salto di scala, da monumentale-edilizio a urbanistico.

spostamento dell’interesse dal singolo manufatto edilizio al complesso degli edifici utilizzabili posti

all’interno dei nuclei storici

spostamento dell’interesse dai fabbricati di rilievo storico e artistico a tutto il patrimonio edilizio

esistente

Nel 1978 la legge n°457 recepisce questo nuovo orientamento, introducendo nel quadro

pianificatorio un nuovo strumento attuativo, il Piano di Recupero.

Il Piano di Recupero Legge 457/1978

Le finalità 1. attuare le previsioni del P.R.G. per quanto riguarda il recupero del patrimonio edilizio degradato

2. regolamentare l’attività edificatoria nell’area interessata

3. consentire l’espropriazione delle aree necessarie alla attuazione delle previsioni di P.R.G. (nel

caso di un PR di iniziativa pubblica)

3. consentire la realizzazione delle opere di urbanizzazione a corredo degli interventi, in anticipo

rispetto ad essi e senza costi aggiuntivi per la collettività (nel caso di un PR di iniziativa privata)

Limiti spaziali Limiti spaziali: Limitate porzioni di territorio costituenti sottoinsiemi del territorio di un Comune.

Il P.R. disciplina interventi in aree comprese entro “zone di recupero”, individuate in sede di

formazione di PRG. Entro le zone di recupero, gli interventi sono subordinati:

alla semplice concessione edilizia, nel caso di interventi che si esauriscano alla scala edilizia

all’inclusione in un Piano di Recupero, qualora si rendano necessari interventi alla scala

urbanistica

Cogenza e validità Cogenza: Il P.R. è uno strumento facoltativo

Validità: Il P.R. ha una scadenza prefissata in 10 anni. Trascorsi che siano questi, le sue previsioni

perdono ogni validità. Tuttavia, restano validi a tempo indeterminato i suoi contenuti normativi e

regolamentari riguardanti l’attività edilizia, che essendo di dettaglio e specificazione delle previsioni

di P.R.G., ne diventano parte integrate e integrativa

I Contenuti I contenuti di un P.P. sono analoghi a quelli di un Piano Particolareggiato

1. la rete delle infrastrutture viarie, dalla maglia delle principali, desunte dal P.R.G., fino ai

collegamenti secondari e di penetrazione nel tessuto edilizio

2. la suddivisione del terreno in aree fabbricabili e non fabbricabili, con indicazione della proprietà

3. la suddivisione del terreno edificabile in lotti edificativi, con i relativi indici

Page 34: Tecnica Urbanistica Lezioni

4. la specificazione di dettaglio delle tipologie edilizie

Gli Elaborati stralcio del P.R.G. vigente con indicazione del perimetro del Piano di Recupero (scala 1:5000)

stralcio delle N.T.A. del vigente P.R.G., relative alla zona oggetto del Piano di Recupero

planimetria della consistenza attuale dell’area oggetto di Piano di Recupero (1:1000 – 1:500)

progetto di Piano di Recupero, redatto su mappa catastale (scala 1:500)

tavola della lottizzazione delle aree fabbricabili, con indicazione di superfici e volumi (scala 1:500)

Norme Tecniche integrative di Attuazione del P.R.

tipologie edilizie e prof. Regolatori (scala 1:200)

elenchi catastali delle proprietà da espropriare (PR di iniziativa pubblica)

relazione sommaria di spesa (PR di iniziativa pubblica)

relazione tecnica illustrativa

Schema di convenzione (PR di iniziativa privata)

tabella di verifica degli standard con allegata planimetria

La Procedura PR iniziativa Comune

1. Individuazione, in sede di PRG di zone di recupero

2. Adozione da parte del C.C.

3. Pubblicazione e deposito per 30 gg in segreteria comunale

4. Presentazione osservazioni (30+30 ggi)

5. Recepimento osservazioni e controdeduzioni da parte del C.C.

6. Approvazione da parte del C.C.

PR iniziativa Privata

1. Richiesta di autorizzazione al Comune e proposta di PR

2. Adozione da parte del C.C.

3. Pubblicazione e deposito per 30 gg in segreteria comunale

4. Presentazione osservazioni (30+30 ggi)

5. Recepimento osservazioni e controdeduzioni da parte del C.C.

6. Approvazione da parte del C.C.

Le Zone di recupero In sede di formazione di PRG, vengono individuate le parti del territorio comunale interessate dalla

presenza di condizioni di degrado, tali da rendere necessario un intervento di recupero: si dicono

zone di recupero

1. Degrado edilizio

Ammaloramento degli edifici e delle loro finiture

2. Degrado urbanistico

Deterioramento degli spazi pubblici, dei servizi e dell’arredo urbano

3. Degrado socio-economico

Precarietà delle condizioni di vita degli abitanti (povertà, disoccupazione, criminalità, etc.)

Il Piano di Recupero di iniziativa privata: Le condizioni per l’Autorizzazione 1. La proprietà da parte dei richiedenti di almeno i ¾ del valore degli immobili interessati,

accertato sulla base del valore catastale

2. La presenza negli immobili interessati dalla proposta di P.R. di effettive condizioni di degrado

Le categorie dell’intervento sul patrimonio edilizio esistente La legge 457/78 classifica in 5 categorie i possibili interventi sul patrimonio edilizio esistente

1. Manutenzione ordinaria:

opere di rinnovamento, riparazione e sostituzione degli elementi di finitura degli edifici, oltre a

quelle necessarie a mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti.

2. Manutenzione straordinaria:

opere necessarie per mantenere l’edificio in condizioni di efficienza e di rispetto della normativa,

mediante interventi che possono interessare parti anche strutturali degli edifici, nonché gli

impianti igienico-sanitari e tecnologici, senza alterare volumi, superfici, sagome edilizie e

destinazioni d’uso.

3. Restauro e risanamento conservativo:

opere finalizzate a ricondurre l’organismo edilizio ad uno stato pregresso, precedente l’aggiunta

di elementi estranei alla consistenza di origine e ritenuto meritevole di conservazione.

4. Ristrutturazione edilizia:

Page 35: Tecnica Urbanistica Lezioni

opere finalizzate a trasformare l’organismo edilizio, mediante interventi che possono condurre

alla realizzazione di un organismo del tutto o in parte diverso dall’esistente.

5. Ristrutturazione urbanistica:

opere finalizzate a modificare o sostituire l’intero tessuto edilizio esistente, anche mediante il

ridisegno di lotti, isolati, rete stradale, e lo spostamento dei volumi presenti.

L’attuale pianificazione attuativa: Schema Sinottico PRG

PL PP PR PZ PIP

La legge 352/1997: il nuovo Testo Unico in materia di beni culturali e ambientali

Legge 352/1997 Il Testo Unico, emanato nel 1999 in ossequio alla legge 352/97, raccoglie al suo interno, modificate,

le leggi esistenti in materia di beni culturali e ambientali

Legge 1089/1939

Legge 1497/1939 Testo Unico D.L. 490/1999

Legge 431/1985 Alle 3 categorie di beni tutelati dalla 1089/39 sono aggiunte 2 categorie di beni:

1. I beni archivistici

2. I beni librari

Inoltre, sono ammessi fra i beni tutelati dalla 1089/39 come beni di interesse storico i seguenti:

1. Affreschi, stemmi e iscrizioni

2. Manoscritti, autografi carteggi

3. Beni e strumenti scientifici con più di 50 anni

4. Carte geografiche, spartiti e fotografie di interesse storico

5. i mezzi di trasporto aventi più di settantacinque anni

6. le aree pubbliche di valore archeologico, storico e artistico

7. ……..

I vincoli sui beni notificati ai sensi del TU del 1999 1. I beni notificati non possono essere demoliti

2. I beni notificati non possono essere modificate, o anche solamente restaurate, senza

l’autorizzazione specifica da parte del Ministero

3. I proprietari hanno l’obbligo di sottoporre alla Sovrintendenza il progetto per ottenere la relativa

autorizzazione

4. Il Ministero può imporre al proprietario l’esecuzione degli interventi necessari ad assicurarne la

conservazione

5. La vendita dei beni da parte di privati è soggetta a diritto di prelazione da parte del Ministero

6. La vendita dei beni da parte di enti pubblici è soggetta ad autorizzazione del Ministero

Il DL 42/2004: Il Codice dei Beni Culturali e del paesaggio

DL 42/2004 Nel 2004 viene emanato il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, che sostituisce il Testo Unico

del 1999, ricomprendendo le leggi preesistenti in materia di beni culturali e ambientali (Codice

Urbani)

Il nuovo Codice stabilisce che il patrimonio cultural del Paese è costituito da due componenti

I beni culturali ex L. 1089/1939

I beni paesaggistici ex L. 1497/1939 - ex L. 431/1985

Il Codice Urbani in materia di beni culturali: i beni tutelati Il nuovo codice conferma, con lievi modifiche, le categorie già oggetto di tutela ai sensi del Testo

Unico

Fra le modifiche, sono ammesse a tutela le opere di architettura contemporanea di particolare

valore artistico

I vincoli sui beni notificati ai sensi del Codice del 2004 I beni notificati non possono essere demoliti

I beni notificati non possono essere modificate, o anche solamente restaurate, senza l’autorizzazione

specifica da parte del Ministero

I proprietari hanno l’obbligo di sottoporre alla Sovrintendenza il progetto per ottenere la relativa

autorizzazione

Page 36: Tecnica Urbanistica Lezioni

Il Ministero può imporre al proprietario l’esecuzione degli interventi necessari ad assicurarne la

conservazione

La vendita dei beni da parte di privati è soggetta a diritto di prelazione da parte del Ministero

La alienabilità dei beni di proprietà pubblica è soggetta ad autorizzazione da parte del Ministero

La alienabilità dei beni di proprietà pubblica I beni tutelati, di proprietà pubblica, sono oggetto di verifica dell’interesse culturale da parte del

Ministero

In caso di esito negativo, tali beni sono liberamente alienabili

La procedura per la alienabilità dei beni è soggetta alla disciplina di silenzio-assenso in sede di

verifica dell’interesse culturale

Il Codice dei Beni Culturali: una novità Allo scopo di superare l’approccio vincolistico tipico della legge Bottai, il codice Urbani introduce

misure tese alla fruizione e alla valorizzazione dei beni culturali

La valorizzazione dei beni di proprietà pubblica è affidata ad accordi fra Stato, Regioni ed enti

locali, che ne disciplinano le forme di gestione

Lo Stato, le Regioni e gli enti locali assicurano il sostegno alle iniziative di valorizzazione dei beni

culturali di proprietà privata. Tale sostegno, nonché le modalità di gestione dei beni, sono

concordati tramite accordi

Il Codice dei Beni Culturali: alcuni problemi Alcune questioni riguardano la disciplina del silenzio-assenso, che il Codice applica in due fasi

procedurali

La verifica dell’interesse culturale del bene di proprietà pubblica: qualora non sia espressa entro

120 giorni, l’immobile è liberamente alienabile

L’estensione della DIA agli interventi su beni tutelati: Qualora la Soprintendenza non si esprima in

senso avverso entro 60 giorni, l’intervento può essere realizzato

Data l’enorme entità del patrimonio artistico nel nostro Paese e le ristrettezze di personale delle

Soprintendenze, il silenzio-assenso rischia di diventare una pratica obbligata

Lezione 17: La crisi della pianificazione e la deregulation urbanistica La crisi dell’urbanistica moderna Il 12 luglio 1972 è una data importante nella storia moderna dell’urbanistica

All’alba il complesso residenziale di Pruitt-Igoe, circa 30 edifici in linea nell’area metropolitana di St.

Louis, venne demolito con la dinamite

Pruitt-Igoe era stato realizzato nei primi anni ’50 come centro residenziale per classi disagiate e

salutato come una grande realizzazione architettonica di impronta lecorbuseriana, e un’opera

urbanistica illuminata

Dopo pochi anni le sue condizioni di degrado (in particolare degrado sociale, per l’assenza di

strutture diverse alla residenza e per l’omogeneità sociale degli abitanti) ne avevano fatto un

quartiere fatiscente, temuto per le condizioni di insicurezza e abbandonato dalla popolazione

Quella data segnò per molti la fine del sogno dell’urbanistica moderna, la morte del razionalismo e

dell’illusione di creare una città nuova, da realizzarsi in opposizione rispetto alla città storica, secondo

tipologie nuove, in ossequio al dominio della razionalità e alla conformità fra gli spazi e le funzioni

La data della demolizione di Pruitt-Igoe è per molti la data di nascita dell’urbanistica post-moderna,

ovvero di quell’articolato approccio alla progettazione degli spazi urbani che, in opposizione

dialettica con l’urbanistica moderna, cerca di ricucire il filo spezzato con la continuità della città

storica

Le cause A partire dagli anni ‘80, il processo pianificatorio è investito da una crisi epocale

Varie sono le cause che concorrono a determinare tale crisi:

1. La crisi economica e sociale degli anni Settanta

2. La crisi della visione positivista dello sviluppo socio-economico

3. La crisi del modello urbanistico razionalista

4. L’evidenza dei guasti urbanistici del territorio

5. L’interruzione della dinamica espansiva della città

6. La trasformazione dell’assetto funzionale della città

Il processo all’urbanistica moderna A partire dai primi anni Settanta, venne celebrato un lungo processo all’urbanistica moderna

il rapporto con la storia

Page 37: Tecnica Urbanistica Lezioni

la morfologia

la tipologia

l’urbanistica quantitativa

gli elementi della sintassi dello spazio urbano

lo zoning

il Piano e la pianificazione

Sul banco degli imputati, tutti gli autori che avevano promosso la nascita e la prosperità di circa 50

anni di razionalismo, ma soprattutto i principi cui si erano ispirati

La crisi del Piano Imputato principale, nel processo alla pianificazione urbanistica, è il suo strumento principe: il Piano

Regolatore

I principali capi di imputazione sono i seguenti:

È uno strumento costruito per rispondere a problemi di quantità, ed è incapace di fornire qualità

urbana

È uno strumento costruito per disegnare la crescita della città, ed è incapace di gestirne la

trasformazione

È uno strumento autoritario, fondato su un processo deterministico, in cui ogni strumento si

adegua a quello di livello iperscalare

È uno strumento rigido, costruito per lunghe prospettive temporali e incapace di adattarsi alla

mutevolezza delle situazioni economiche e sociali

Emergono pertanto alcune istanze di revisione del Piano

Si nega l’opportunità di utilizzare lo strumento dello zoning, responsabile della compartimentazione

urbana

Si nega l’opportunità di gestire il territorio con gli indici urbanistici, incapaci di cogliere la qualità

insediativa

Si nega l’opportunità di applicare gli standard, incapaci di tutelare la qualità insediativa

Si nega l’opportunità di affidare la trasformazione urbana ad uno strumento di livello generale,

superando la distinzione fra PRG e strumenti attuativi

La crisi del Piano. Gli effetti sulla prassi pianificatoria: la deregulation La crisi degli anni Ottanta comporta effetti sul modo di concepire la pianificazione:

1. Una diffusa disaffezione verso il Piano Regolatore, considerato un ostacolo al libero

espletamento delle attività economiche e imprenditoriali sul territorio

2. La considerazione del PRG come uno strumento facilmente emendabile con varianti, riferimento

tenue e non prescrittivo

3. L’introduzione del cosiddetto “pianificar facendo”, ovvero la sostanziale rinuncia al Piano

territoriale e la sua sostituzione ad opera di una miriade di progetti urbani di limitate dimensioni.

Si afferma una visione secondo cui è opportuno lasciare che “fioriscano i fiori” dell’iniziativa

privata e confidare che da tale fioritura di operazioni eterogenee e non coordinate scaturisca

l’interesse collettivo e, a posteriori, emerga il Piano

La crisi del Piano. Gli effetti sulla progettazione Al Piano Urbanistico si contrappone il Progetto Urbano

Piano Urbanistico

previsioni immutabili, dipendenti dalla pianificazione sovracomunale

da attuarsi in tempi lunghi

di livello generale, non dettagliato

sull’intero territorio comunale

Progetto Urbano

previsioni modificabili, in relazione al mutare delle condizioni locali

da attuarsi in tempi brevi

dettagliate a scala architettonica

su limitati contesti territoriali

La crisi del Piano. Gli effetti sugli strumenti urbanistici Le istanze di revisione del Piano comportano a partire dagli anni Novanta 3 effetti:

1. Una diffusa rivisitazione della tecnica redazionale dei Piani Regolatori Generali, ad opera dei

Comuni

2. La modifica della concezione del Piano Regolatore Generale, ad opera delle singole Regioni

L.R. Toscana n.5/95

Page 38: Tecnica Urbanistica Lezioni

3. L’introduzione di nuovi strumenti urbanistici, detti strumenti complessi, mirati a superare la

distinzione fra disegno dell’assetto urbano e fase attuativa

La crisi del Piano. Le nuove tecniche redazionali del PRG Nel tentativo di controllare la qualità morfologica degli insediamenti, il PRG a partire dagli anni ‘90

assume connotati che in precedenza erano tipici dei piani attuativi

Le tecniche di rappresentazione simboliche e convenzionali vengono sostituite con rappresentazioni

di tipo iconico

Il dettaglio delle previsioni si spinge fino alla morfologia architettonica dei fabbricati ed alla

precisazione di volumi e superfici sui singoli lotti

Le difficoltà del processo pianificatorio Punto debole del processo pianificatorio è la fase attuativa, resa difficile dalla onerosità degli

interventi, e in particolare dal costo della acquisizione dei suoli

Per ovviare a tali problemi, è stato introdotto in normativa il Piano di Lottizzazione, con l’obiettivo di

coinvolgere nella attuazione delle previsioni del P.R.G. gli operatori privati, eliminando in tal modo la

necessità di acquisire i terreni

Tuttavia, ciò risulta praticabile solo se gli interventi da attuare presentano evidenti margini di

remuneratività, tali da indurre i privati a collaborare alla attuazione del PRG. Altrimenti l’ente

pubblico non può far altro che attuare in proprio il Piano, affrontando le difficoltà legate all’esproprio

delle aree

In particolare, la questione si presenta complessa per gli ambiti urbani degradati, di proprietà privata

o mista, con destinazione a servizi, impianti e infrastrutture

Il caso più tipico e ricorrente è quello delle aree dismesse (industriali o infrastrutturali), deprivate dalla

originale funzione e abbandonate all’incuria e al degrado

Le difficoltà del processo pianificatorio: una ipotesi alternativa Agli inizi degli anni ’90, si è affacciata sul panorama urbanistico una diversa possibilità, fino a quel

momento ritenuta estranea ad un corretto procedimento pianificatorio

Rendere di fatto remunerativi per gli operatori privati anche gli interventi che, in base al PRG, non lo

sarebbero

A tale scopo si utilizza la pratica della concertazione (leggi contrattazione) dell’intervento stesso,

eventualmente in variante delle previsioni del P.R.G

La concertazione urbanistica In sostanza, l’ente pubblico si dichiara disponibile ad accordare modifiche alle previsioni del P.R.G.

purché l’operatore privato si accolli gli oneri anche della attuazione delle previsioni non

remunerative

in pratica introduzione di destinazioni d’uso remunerative sul mercato (residenziale o

commerciale) oppure premi di cubatura alle destinazioni già previste

servizi, impianti, opere di urbanizzazione, opere di riqualificazione urbana, risanamenti e

miglioramenti ambientali

I “nuovi strumenti” della pianificazione La pratica della concertazione urbanistica, illecita, era entrata in uso in modo non convenzionale e

fuori da un contesto normativo negli anni ‘80

Successivamente, anche a seguito di processi ad amministratori e imprenditori, la concertazione è

stata introdotta nel quadro pianificatorio con una serie di strumenti che, a partire dal 1993, hanno

segnato l’avvio della stagione della cosiddetta deregulation urbanistica

Sono i “nuovi strumenti” della pianificazione, detti anche, per l’articolazione dei soggetti interessati

e della procedura, “programmi urbanistici complessi”

Natura L’introduzione di tali strumenti avviene non a seguito di provvedimenti legislativi di natura

specificatamente urbanistica ma in leggi di natura essenzialmente economica, (in genere

all’interno delle leggi di bilancio)

A ciascuno di tali strumenti sono infatti correlati specifici finanziamenti di sostegno pubblico cui i vai

progetti accedono in base ad una apposita graduatoria. Sono quindi strumenti urbanistici “a

termine”, nel senso che la loro redazione e presentazione è vincolata al rispetto di scadenze

temporali prefissate e non dilazionabili

Perché i programmi complessi A partire dagli anni ‘80 emergono istanze di revisione del processo pianificatorio, che si concentrano

sul Piano

Page 39: Tecnica Urbanistica Lezioni

Fra i motivi di inadeguatezza del Piano sono da ricercare le cause dell’affermazione dei programmi

complessi:

1. La necessità di strumenti urbanistici flessibili e adattabili alla mutevolezza delle condizioni

economiche

2. La ricerca di strumenti idonei a controllare l’assetto morfologico e la qualità insediativa degli

abitati

3. La difficoltà dell’acquisizione dei suoli da parte dei Comuni e la necessità di coinvolgere i privati

4. La necessità di strumenti idonei a gestire la trasformazione (fisica e funzionale) della città

Cosa sono i programmi complessi I programmi complessi sono una serie di strumenti urbanistici che si affermano a partire dai primi anni

‘90

Nonostante le differenze che li distinguono, è possibile riconoscere alcune caratteristiche comuni:

1. Prevedono la partecipazione congiunta di operatori pubblici e privati

2. Non prevedono l’esproprio per l’acquisizione delle aree

3. Si riferiscono ad aree già urbanizzate

4. Consentono la concertazione delle previsioni progettuali fra gli operatori privati interessati e gli

enti pubblici

5. Prevedono in genere la possibilità di operare in variante al PRG, riunendo così in sé la fase

pianificatoria e la fase attuativa

6. Dispongono di specifiche forme di finanziamento pubblico

Quali sono i programmi complessi I vari programmi complessi vengono introdotti nell’ordinamento nazionale secondo una concitata

successione temporale

1993 PRU

1994 PRIU

1996 CdQ

1997 STU

1998 PRUSST

La struttura del processo pianificatorio

Lezione 18: Gli strumenti complementari della pianificazione urbanistica Gli strumenti complementari A fianco degli strumenti urbanistici, tramite i quali ha compimento il processo pianificatorio, troviamo

nella pratica urbanistica altri strumenti, o Piani, che si interessano a singole questioni settoriali del

territorio, non investendolo nella sua interezza.

P

PT

PR

Page 40: Tecnica Urbanistica Lezioni

Sono gli strumenti complementari della pianificazione, che, in base a specifiche leggi di settore, si

affiancano agli strumenti urbanistici veri e propri con lo scopo di risolvere problemi e questioni

settoriali

Caratteristiche Gli strumenti complementari della pianificazione, fra loro eterogenei, hanno in comune alcune

caratteristiche:

Hanno l’obiettivo di fornire soluzioni a singole tematiche riguardanti il territorio

Impegnano competenze fortemente caratterizzate in senso tecnico sulle singole discipline

Elenco P.U.T. Piano Urbano del Traffico

P.U.P. Programma Urbano dei Parcheggi

P.C.P. Programma della Rete Ciclopedonale

P.R.V. Piano della Rete di Vendita

P.E.C. Piano Energetico Comunale

P.R.A. Piano Risanamento Acustico

P.S.U. Piano Servizi Urbani

P.V.U. Piano Verde Urbano

P.C.E. Programma di Colorazione degli Edifici

La questione del traffico: Il PUT Il traffico è la risposta alla domanda di movimento determinata dall’interazione fra le attività

insediate

Per intensità e distribuzione, il traffico è funzione

dell’entità e della localizzazione delle attività

della articolazione della rete dei percorsi

Il problema del traffico nei centri urbani ha da tempo assunto dimensioni tali da

condizionare il normale svolgimento delle attività

costituire una minaccia per la salute dei residenti

D.Lgs 285/1992 - Codice della Strada

Il PUT: Le finalità Miglioramento della circolazione

Potenziamento dell’accessibilità

Disincentivazione dell’attraversamento

Diminuzione degli incidenti stradali

Regolamentazione della velocità

Eliminazione dei punti pericolosi

Riduzione dell’inquinamento

Limitazione del traffico

Disincentivazione combustibili inquinanti

Il PUT: Limiti spaziali, validità e cogenza Limiti spaziali: L’intero centro abitato. Possono essere redatti P.U.T. distinti per il capoluogo e per le

varie frazioni

Validità: Il P.U.T. è valido per 2 anni

Cogenza: Il P.U.T. è obbligatorio per i Comuni che:

hanno una popolazione residente superiore a 30.000 abitanti

Registrano in alcuni periodi dell’anno, per turismo o pendolarismo, una popolazione superiore a

30.000 unità

hanno centri abitati di particolare valore ambientale, o particolari problemi di traffico pesante

Per tutti gli altri il P.U.T. è facoltativo

Il PUT: gli elaborati 1. Planimetrie descrittive dello stato attuale (scala 1:5000-1:10000)

2. Piano Urbano del Traffico

Schema rete viaria (scala 1:5000-1:10000)

Delimitazione zone soggette a particolari condizioni di traffico (ztl, pedonali, etc.)

Individuazione incroci da sistemare

Adeguamento segnaletica verticale e orizz.

Interventi a sostegno della sosta (parcheggi)

Riordino della rete di trasporto collettivo

Page 41: Tecnica Urbanistica Lezioni

Il PUT: la procedura 1. Adozione da parte della Giunta Comunale

2. Approvazione da parte del Consiglio Comunale

3. Il PUT resta in vigore per un biennio, trascorso il quale deve essere adeguato

La questione del parcheggio: Il PUP La gran parte delle città del nostro Paese hanno un impianto antico, risalente ad un’epoca di gran

lunga antecedente l’avvento del trasporto motorizzato

Ciò comporta la carenza di spazi e strutture per la sosta e il parcheggio dei veicoli, soprattutto nelle

zone di più antica urbanizzazione

Difficoltà a parcheggiare i veicoli, con costi economici e ambientali

Utilizzazione per il parcheggio di una parte delle sedi destinate al transito dei veicoli, con effetti

negativi sulla circolazione

Legge 122/1989 – Legge Tognoli

Il PUP: Le finalità liberare dalla sosta degli autoveicoli alcune strade e restituirle alla funzione essenziale della

circolazione

individuare le zone di “particolare rilevanza urbanistica” dove proibire la sosta gratuita e

regolamentare la sosta a tempo indeterminato

incentivare la realizzazione di parcheggi di scambio e l’uso conseguente dei mezzi pubblici

incentivare la realizzazione dei parcheggi pertinenziali riservati ai residenti (1 mq / 10 mc)

Il PUP: Limiti spaziali, validità e cogenza Limiti spaziali: Le aree comprese entro il perimetro dell’aggregato urbano

Validità: Il P.U.P. è valido a tempo indeterminato

Cogenza: Il P.U.P. è obbligatorio per 15 grandi città (Torino, Milano, Genova, Roma, Bologna, Firenze,

Bari, Napoli, Palermo, Cagliari, Venezia, Trieste, Reggio Calabria, Messina e Catania) e per altri

Comuni stabiliti dalla Regione fra quelli che

presentano una particolare affluenza turistica

presentano fenomeni di pendolarismo

presentano particolari problemi di traffico

Per tutti gli altri comuni il PUP è facoltativo

Il PUP: gli elaborati 1. Planimetrie descrittive dello stato attuale (1:5000-1:10000)

2. Relazione relativa alla situazione dei parcheggi in atto, ai rilevamenti di traffico, alla

individuazione di centri attrattori, alla individuazione di punti problematici

3. Progetto di P.U.P., contenente la localizzazione e il parcheggio di ciascuno dei parcheggi previsti,

oltre quelli esistenti da ampliare o da modificare

4. Relazione tecnica illustrativa

5. Relazione sommaria di spesa

Il PUP: la procedura 1. Adozione da parte del Consiglio Comunale

2. Trasmissione alla Regione

3. Approvazione da parte della Giunta Regionale

N.B.: l’approvazione da parte della Regione ha valore di variante al PRG vigente, qualora il PUP

contenga previsioni in contrasto con esso

N.B.: inoltre, la stessa approvazione ha valore di dichiarazione di pubblica utilità in relazione alla

esigenza di reperibilità delle aree interessate

Il PUP: le questioni Un aspetto fondamentale inficia gli strumenti complementari: la considerazione di parcheggi,

traffico, rumore, etc. come variabili indipendenti, da gestire agendo sui rispettivi impianti e

infrastrutture

Tali fenomeni non sono invece variabili indipendenti, ma gli effetti della presenza e della distribuzione

delle attività insediate, e della loro reciproca interazione

Solo agendo sulle cause di tali fenomeni è possibile controllarli, e mitigare gli effetti che penalizzano

la qualità insediativa

Page 42: Tecnica Urbanistica Lezioni

Mediante il P.R.G. e gli strumenti che ad esso danno attuazione sarebbe possibile localizzare le

attività urbane in modo tale che il traffico, la scarsità dei parcheggi, le emissioni rumorose, etc., non

costituissero gravi elementi di degrado

L’introduzione degli strumenti complementari, pertanto, può dirsi una sostanziale resa di fronte alla

difficoltà di controllare, mediante una attenta pianificazione, le cause della congestione da traffico,

i problemi dei parcheggi, del rumore e della distribuzione commerciale

Ci si limita invece, assai modestamente, alla mitigazione dei loro rispettivi effetti mediante il semplice

potenziamento dei servizi e delle attrezzature ad essi finalizzate

A valle del processo pianificatorio

Lezione 19: Gli strumenti della disciplina edilizia: i titoli abitativi Dallo strumento urbanistico al permesso edilizio Abbiamo fin qui trattato del processo pianificatorio, che conduce in successione dalla formulazione

degli obiettivi di trasformazione e gestione del territorio alla elaborazione di piani e di strumenti

urbanistici, caratterizzati dalla duplice natura progettuale-prescrittiva

essi sono progetti territoriali, a varia scala di rappresentazione e di dettaglio

sono anche norme cui devono uniformarsi i redattori di progetti di livello iposcalare e, da ultimo,

i progettisti delle singole opere edilizie

A valle del processo pianificatorio

P

R

P

P

P

PI

P

PT

PTA

PT P

P

P

R

P

PR

USS

C

S

Page 43: Tecnica Urbanistica Lezioni

Gli strumenti della disciplina edilizia: il permesso edilizio Al termine di questa trattazione, ci occupiamo di quest’ultimo aspetto, ovvero di quali strumenti

dispongano le amministrazioni (e in particolare le amministrazioni comunali) per disciplinare la

realizzazione delle opere edilizie, e più in particolare per:

1. verificare la conformità dei relativi progetti agli strumenti urbanistici esistenti

2. prescrivere modi e tempi per la realizzazione delle opere

3. imporre il pagamento di eventuali oneri

La licenza edilizia La subordinazione di ogni trasformazione del territorio a un permesso rilasciato dal Comune è

relativamente recente: Il suo primo riconoscimento legislativo avvenne nel 1935, con l’introduzione

della licenza edilizia,con il R.D.L. n. 240 sulle zone sismiche.

Ma solo con la legge 1150/42, esso trovò una definitiva sistemazione: La licenza era obbligatoria per

tutte le nuove costruzioni da realizzare nell’ambito dell’aggregato urbano

L’estensione alle zone agricole avvenne con la legge 765/67:La licenza divenne obbligatoria

sull’intero territorio comunale.

Dalla licenza edilizia alla concessione Nel 1968 la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 55, sancì la incostituzionalità dell’art. 7 della

legge 1150

C.C. n.55/68

Sono incostituzionali i Piani Regolatori quando vincolano come inedificabili dei terreni, determinando

di fatto, a danno dei proprietari, una sorta di “esproprio senza indennizzo”

I vincoli di inedificabilità possono essere legittimamente posti solo a tempo determinato, essendo

altrimenti necessaria la previsione di un indennizzo

La logica della sentenza n. 55 :

i proprietari hanno il diritto a costruire sul proprio terreno (naturalmente alle condizioni fissate dal

PRG)

questo diritto è tutelato dalla Costituzione in quanto facente parte del diritto di proprietà

il divieto di edificazione senza termini temporali a mezzo di uno strumento urbanistico diviene una

limitazione del diritto di proprietà, e come tale è riconosciuto incostituzionale

La sostanza della sentenza n. 55 :

La Corte Costituzionale porta in questo modo al pettine uno dei nodi più problematici della

pianificazione urbanistica:

P

R

P

P

P

PI

P

PT

PTA

PT P

P

P

R

P

PR

USS

C

S

Page 44: Tecnica Urbanistica Lezioni

contemperare le esigenze della collettività (in ordine alla disponibilità di scuole, strade, verde,

parcheggi, …) con la necessaria tutela del diritto del singolo, e in particolare con il diritto del

proprietario dei terreni necessari a soddisfare queste esigenze

Le conseguenze della sentenza n. 55 :

La sentenza della C.C. fece epoca e scalpore, determinando scompiglio nelle amministrazioni che

si trovarono con strumenti urbanistici delegittimati

Per tamponare la falla, restituendo validità ai PRG vigenti, venne immediatamente emanata la

legge 1187/68, detta appunto “legge tampone”

I vincoli di inedificabilità perdono validità se entro 5 anni dalla data di approvazione del PRG non

sono stati approvati i relativi piani attuativi

Leggi successive prorogarono poi ulteriormente tale termine fino al 1977, quando il problema della

legittimità dei PRG venne infine risolto

La soluzione della questione della sentenza n. 55:

La sentenza n. 55/68 suggeriva implicitamente un rimedio, facile ma radicale, alla questione:

separare il diritto di edificare (jus aedificandi) dal diritto di proprietà e assegnarlo alla collettività.

l’apposizione di vincoli su terreni che non siano per il proprietario “naturalmente edificabili” non

comporta la necessità di alcun indennizzo, ogni vincolo alla edificabilità dei suoli non lede pertanto

alcun diritto dei proprietari.

La concessione edilizia

Legge 10/1977

Lo strumento per materializzare la separazione fra diritto di proprietà e diritto di edificare è la

concessione edilizia, introdotta dalla legge 10/1977 (legge “Bucalossi”)

il Comune è titolare del diritto di edificare (ovvero del diritto di trasformare il territorio mediante

interventi sul patrimonio immobiliare)

Il Comune, qualora ravvisi la conformità delle richieste di un intervento con le previsioni degli

strumenti urbanistici vigenti, concede tale diritto al singolo

Concessione vs licenza Al di là della affermazione di principio sullo jus aedificandi, alcune caratteristiche distinguono

concretamente la concessione edilizia dalla precedente licenza

non viene necessariamente rilasciata al proprietario dell’area

è revocabile a determinate condizioni

ha durata ragionevolmente contenuta

è richiesta anche per interventi su edifici esistenti

in genere è onerosa

Cogenza L’art. 1 della legge 10/77 stabilisce che la concessione è obbligatoria “per ogni attività comportante

trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale”

A fronte di tale genericità, appare corretto interpretare la concessione edilizia come obbligatoria

per gli interventi qui elencati:

1. Tutte le nuove costruzioni edilizie

2. La ricostruzione di edifici

3. Gli ampliamenti degli edifici esistenti

4. Le modifiche sostanziali agli edifici esistenti

5. Le opere di urbanizzazione

6. Le modifiche al territorio non urbanizzato

Soggetti La legge 10/77 stabilisce che la concessione edilizia può essere richiesta dal proprietario dell’area o

da “chi abbia titolo per richiederla”

In sostanza, ai fini del rilascio della concessione è sufficiente la dimostrazione del godimento della

piena disponibilità dell’immobile, ovvero ad esempio:

1. La qualifica di proprietario

2. La qualifica di promittente acquirente

3. La qualifica di usufruttuario

4. La qualifica di titolare di affitto poliennale

Procedura Il rilascio della C.E. segue le seguenti fasi:

Page 45: Tecnica Urbanistica Lezioni

1. la domanda di C.E. è corredata da un progetto esecutivo, che descriva in dettaglio (scala 1:100)

i lavori da effettuare e dalla attestazione del titolo di possesso del bene

2. l’U.T.C. esegue l’istruttoria della pratica, verificando l’esattezza delle misure e dei conteggi

contenuti nel progetto e la conformità di questo a norme, strumenti e regolamenti

3. l’U.T.C. trasmette alla Commissione Edilizia una relazione

4. il Sindaco raccoglie i pareri obbligatori

della Comm. Edilizia

della A.S.L.

degli enti di tutela

5. il Sindaco rilascia la Concessione, subordinandola al pagamento degli oneri di concessione

Oneri Il rilascio della concessione è subordinato al pagamento di un contributo di concessione, composto

da 2 quote

1. quota di urbanizzazione, proporzionalmente commisurata all’incidenza delle opere di

urbanizzazione p. e sec.

La quota di urbanizzazione è stabilita dal C.C. sulla base di tabelle parametriche regionali, che

fissano dei “minimi” inderogabili

2. quota di costruzione, proporzionalmente commisurata al costo dell’intervento

La quota di costruzione è fissata dalla Regione fra il 5% e il 20% del costo di costruzione del

fabbricato, pari a

quanto stabilito annualmente dal Min. LL.PP. come costo convenzionale, per fabbricati nuovi

quanto risulta dal computo metrico estimativo allegato alla richiesta di concessione e

verificato in sede di istruttoria, per fabbricati esistenti

Edifici per attività produttive

Per gli edifici industriali e artigianali la quota di costruzione non è dovuta, ma è sostituita da due

quote:

quota di tutela ecologica, commisurata all’incidenza delle opere necessarie allo

smaltimento dei rifiuti

quota di tutela ambientale, commisurata all’incidenza delle eventuali opere di risistemazione

dei luoghi

L’ammontare di entrambi i contributi è stabilito dall’amministrazione comunale sulla base di

tabelle parametriche emesse dalla Regione

La concessione edilizia agevolata La legge 10 specifica vari casi in cui la concessione edilizia è agevolata, parzialmente o totalmente,

con la riduzione o l’esonero del pagamento degli oneri. Esempi:

Il contributo concessorio non è dovuto per gli interventi in zona agricola, finalizzati alla

conduzione del fondo

Il contributo concessorio non è dovuto per gli impianti e le opere di interesse generale

Il contributo concessorio non è dovuto per gli interventi da realizzare a seguito di pubbliche

calamità

Il contributo concessorio per interventi su immobili di proprietà dello Stato è limitato alla sola

quota di urbanizzazione

Validità La legge Bucalossi stabilisce i termini temporali di validità della concessione edilizia:

I lavori dovranno avere inizio entro 1 anno dalla data del rilascio della concessione

L’amministrazione comunale, in relazione a specifiche esigenze, può adottare diversi termini

temporali

I lavori dovranno avere termine entro 3 anni dalla stessa data

L’amministrazione comunale, su richiesta e in relazione a specifiche motivazioni, può concedere

deroghe e procrastinare il termine per l’ultimazione dei lavori

Assenza o difformità I lavori effettuati senza concessione edilizia, o realizzati con concessione edilizia scaduta, o in

difformità, totale o parziale, da essa, sono considerati abusivi

La esecuzione di interventi edilizi abusivi dà luogo a sanzioni penali e amministrative. Fra queste:

La riduzione in pristino delle opere eseguite abusivamente

La demolizione delle opere eseguite abusivamente

La acquisizione delle opere eseguite abusivamente al patrimonio immobiliare pubblico

Page 46: Tecnica Urbanistica Lezioni

Un commento E’ vero che la concessione rilasciata ai proprietari di aree non vincolate è soggetta al pagamento

di oneri, spesso pesanti

Tuttavia, si rileva che tali oneri vengono correntemente trasferiti all’acquirente dell’alloggio, e non

eliminano le sperequazioni fra proprietari di terreni vincolati e proprietari di aree edificabili

In sostanza, il tanto dibattuto scorporo del diritto di edificare dal diritto di proprietà corrisponde in

concreto a poco più di una affermazione di principio

L’introduzione dell’istituto della concessione si traduca in effetti in un mero cambio nominalistico

In altre parole, la disciplina dell’attività edilizia è ancora strutturata, in base alla legge 10, secondo

la logica dell’autorizzazione da rilasciare al proprietario: di fatto, può sostenersi che la concessione

edilizia altro non è che una licenzia edilizia onerosa

Dalla concessione alla autorizzazione edilizia La legge 10/77 imponeva l’obbligo della concessione edilizia per tutti gli interventi su edifici esistenti

Nel 1978 la legge 457 alleggerisce quest’obbligo, introducendo la autorizzazione edilizia per i soli

interventi di manutenzione straordinaria

Rispetto alla concessione, la autorizzazione edilizia presenta essenzialmente le differenze qui di

seguito enumerate:

1. il suo rilascio da parte del Sindaco segue direttamente l’istruttoria da parte dell’U.T.C., senza

l’obbligo del parere della Commissione Edilizia

2. l’autorizzazione edilizia non è soggetta a scadenza temporale, salvo diverse indicazioni comunali

3. il suo rilascio non comporta esborso di contributi (aut. gratuita)

Dalla concessione alla denuncia asseverata Nel 1985 la legge 47 introdusse per la prima volta in Italia l’istituto del condono edilizio, consentendo

alle opere abusive esistenti la concessione edilizia in sanatoria

Per limitare la continuazione del ricorso al “piccolo abusivismo”, fu deciso di alleggerire

(proceduralmente ed economicamente) le pratiche relative alle opere edilizie di modesta entità

La legge 10/77 imponeva infatti l’obbligo della concessione edilizia per tutti gli interventi su edifici

esistenti, con l’eccezione delle sole opere di manutenzione straordinaria

Nel tentativo di rendere più agevole e snello l’intervento sul patrimonio edilizio esistente, una parte

di tali opere venne sottratta con l’art. 26 all’obbligo della concessione edilizia a vantaggio di uno

strumento più snello e non oneroso: la denuncia asseverata

La denuncia asseverata

Legge 47/1985

Con l’art. 26 della legge 47, le pratiche relative alle opere edilizie di modesta entità vennero

assoggettate alla semplice presentazione, da parte del proprietario, di una denuncia, corredata da

una relazione asseverata firmata da un tecnico.

Con la denuncia asseverata, un progetto di intervento non è soggetto ad approvazione da parte

del Comune: è il tecnico che, con la propria firma e sotto la sua responsabilità attesta (assevera)

che le opere:

sono conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti

rientrano nelle opere previste come opere di modesta entità

I Termini temporali Nella originaria stesura della legge, i lavori potevano avere inizio contestualmente alla presentazione

della denuncia asseverata

Successivamente, al fine di consentire un minimo di controllo su possibili abusi, il termine minimo per

l’inizio dei lavori venne determinato nella misura di 30 giorni a partire dalla presentazione della

denuncia

Condizioni Rientrano nella fattispecie delle opere ammesse ad utilizzare tale strumento le opere su edifici

esistenti che:

Non comportino aumento di volume

Non comportino aumento di superficie

Non comportino modifiche alla destinazione d’uso dell’immobile

Non comportino alterazioni alla sagoma dell’edificio e ai suoi prospetti

Non comportino aumento del numero delle unità immobiliari

Non insistano su un fabbricato che ricade in zona A

Non insistano su un fabbricato che ricade in zona soggetta a particolari vincoli territoriali

Page 47: Tecnica Urbanistica Lezioni

Non comportino pregiudizio all’assetto statico e strutturale dell’immobile

La denuncia di Inizio Attività

Legge 493/1993 – Legge 662/1996

Con le stesse finalità della legge 47/85, alcuni provvedimenti legislativi degli anni Novanta hanno

ulteriormente snellito l’intervento sui fabbricati esistenti, sostituendo alla denuncia con asseverazione

la D.I.A., che è al solito una denuncia corredata da una relazione asseverata, ma che si differenzia

dalla prima per due motivi:

1. un motivo di ordine procedurale :

il termine di attesa prima dell’avvio dei lavori venne fissato in 20 giorni, con la consueta intesa

del silenzio-assenso

2. un motivo di merito :

sono ammesse a DIA anche le opere che comportano trasformazioni “non sostanziali” della e

dei prospetti

Il TU del 2001 sull’edilizia

DPR 380/2001

Nel 2001 viene emanato con il D.P.R. n. 380 il Testo Unico in materia di edilizia, che, nel raccogliere e

organizzare i provvedimenti normativi vigenti in materia, comporta alcune rilevanti modifiche:

1. La concessione edilizia scompare e viene sostituita dal permesso di costruire

2. L’autorizzazione edilizia viene soppressa

3. Viene introdotta una nuova regolamentazione della DIA : L’attesa minima fra denuncia e inizio

lavori viene portata a 30 giorni

La “legge obiettivo” e le ultime modifiche al TU

DPR 380/2001 – Legge 443/2001 – D.Lgs 301/2002

Nel dicembre 2001 viene emanata la cosiddetta “legge obiettivo”, legge 443/2001, che contiene la

previsione di estensione delle categorie di interventi assoggettati a D.I.A., che il T.U. subordinava a

Permesso di Costruire

In attuazione della legge 443, il D.Lgs. n. 301/2002 modifica in tale senso il Testo Unico sull’edilizia,

ancora prima che questo entri in vigore

Viene introdotta la cosiddetta super D.I.A.

Il titolo abitativo allo stato attuale

DPR 380/2001 – D.Lgs 301/2002

A seguito della riscrittura del T.U., lo opere edilizie sono così classificate nei riguardi del titolo abilitativo

necessario per la loro esecuzione:

1. Attività edilizie libere, non assoggettate ad alcun titolo abilitativo

2. Attività edilizie assoggettate al Permesso di Costruire

3. Attività edilizie assoggettate alla D.I.A.

Le attività edilizie libere Sono considerate interventi di attività edilizia libera, eseguibili senza alcun titolo abilitativo, le

seguenti opere:

1. Gli interventi di manutenzione ordinaria

2. Gli interventi volti alla eliminazione delle barriere architettoniche, purché non comportino la

realizzazione di rampe o ascensori che alterino la sagoma dell’immobile

3. Le opere temporanee per attività di ricerca geognostica nel sottosuolo, all’esterno dei centri

abitati

Le attività soggette a PdC Sono assoggettate al possesso del Permesso di Costruire, rilasciato dal Sindaco, le seguenti opere:

1. Gli interventi di nuova costruzione

2. Gli interventi di ristrutturazione urbanistica

3. Gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino:

Un aumento del numero delle unità immobiliari

Modifiche al volume o alle superfici del fabbricato

Modifiche alla sagoma o ai prospetti del fabbricato

Modifiche alla destinazione d’uso, se in zona omogenea A

Le attività soggette a DIA Sono assoggettate alla presentazione della Denuncia di Inizio Attività le seguenti opere:

1. Gli interventi che non rientrano fra le attività edilizie libere e che non sono soggetti a Permesso di

Costruire

Page 48: Tecnica Urbanistica Lezioni

2. Le varianti in corso d’opera a progetti muniti di Permesso di Costruire, purché non incidano su

volume, superficie, sagoma, prospetti e destinazione d’uso

Altre attività soggette a DIA Possono essere eseguite a seguito di presentazione di D.I.A., in alternativa al rilascio di Permesso di

Costruire, le seguenti opere:

1. Tutte le opere di ristrutturazione edilizia

2. Gli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica, purché disciplinati da Piani

Attuativi vigenti forniti di prescrizioni planivolumetriche di dettaglio

3. In altri termini, occorre che il P.R.G. non rimandi, per le precisazioni di dettaglio delle previsioni,

ad un successivo strumento attuativo

Gli interventi sugli immobili vincolati Anche gli interventi su immobili soggetti a vincolo di tutela (es. L.1089/39, L.1497/39, L.431/85) sono

assoggettati a D.I.A., purché questa sia corredata da parere di nulla osta da parte dell’ente

preposto alla tutela

In questo caso, l’attesa di 30 giorni decorre dalla data del rilascio di tale parere

Considerazioni L’ampliamento dell’elenco delle opere soggetta a D.I.A. ha valso ad essa l’attribuzione

dell’appellativo di D.I.A. allargata o super D.I.A.

Con l’introduzione della super DIA si consuma la fase della deregulation, con il passaggio da un

regime autorizzativo, nel quale le opere escluse dal permesso comunale costituiscono una

eccezione alla regola, che prescrive ovunque l’obbligo della concessione edilizia, ad un regime

asseverativo, nel quale l’eccezione è invece costituita dagli interventi che restano soggetti

all’esplicito permesso comunale.

Lezione 20: Gli strumenti della disciplina edilizia: il Regolamento Edilizio Il Regolamento Edilizio

Generalità Il Regolamento Edilizio è un corpo di norme finalizzate alla regolamentazione di ogni settore

direttamente connesso con l’attività fabbricativa e con l’ordinato sviluppo urbanistico nell’ambito

del Comune

Le norme del R.E. sono a-spaziali, prive di riferimento con il territorio: Per essere ancorato al territorio,

il R.E. necessita di un P.R.G. o, in sua assenza, di un P.F.

Il R.E. non contiene previsioni riguardo alla destinazione del territorio, né alla definizione del suo

assetto: Non è pertanto uno strumento urbanistico. E’ uno strumento di disciplina edilizia, e non fa

parte del processo pianificatorio

La disciplina edilizia esistente prima della 1150 Fino dagli ultimi decenni del XIX secolo, i regolamenti igienico-sanitari del Comuni dettavano norme

di natura edilizia finalizzate ad assicurare la salubrità agli aggregati urbani

Nel 1915 il Regolamento Edilizio viene introdotto nella normativa con il Testo Unico sui Comuni e le

Province e con il Codice Civile

Nel 1942 la legge 1150 accoglie il Regolamento Edilizio strutturandolo come il principale strumento

di disciplina edilizia dei Comuni

Legge 1150/1942

Finalità Erede, da una parte, dei regolamenti igienico-sanitari ottocenteschi e, dall’altra parte, delle

disposizioni civilistiche del primo Novecento, il R.E. ha 2 finalità:

1. assicurare un ordinato sviluppo edilizio dell’abitato nei riguardi della funzionalità, dell’estetica,

dell’igiene

2. assicurare il contemperamento degli interessi privati che possono trovarsi in contrasto, mediante

la disciplina dei rapporti di vicinato, che integra in ambito comunale le disposizioni del Codice

Civile

Limiti spaziali, cogenza, validità Limiti spaziali: L’intero territorio di un Comune

Cogenza: Il Regolamento Edilizio è obbligatorio per ogni Comune : I Comuni sprovvisti di P.R.G.

devono anche allegare al R.E. un P.F.

Validità: Il Regolamento Edilizio è valido a tempo indeterminato

Contenuti I contenuti di un Regolamento Edilizio sono determinati dall’art. 33 della legge 1150/42

Page 49: Tecnica Urbanistica Lezioni

1. la definizione della disciplina dell’attività edilizia, mediante norme igienico-tecniche

estetica dei fabbricati

decoro urbano

2. la definizione delle norme organizzatorie e procedurali

sicurezza degli edifici e degli impianti

salubrità interna degli alloggi

Norme relative al calcolo degli indici edilizi e urbanistici

Norme relative alla procedura per le pratiche edilizie e il rilascio dei permessi

Elaborati Gli elaborati di un Regolamento Edilizio sono costituiti da un complesso di norme definite in forma

discorsiva, come articoli di un corpus disciplinare

Procedura 1. Adozione da parte del Consiglio Comunale

2. Trasmissione alla Regione

3. Recepimento da parte della G.Regionale

non lo approva, motivando il rigetto

apporta modifiche sostanziali, e lo ritrasmette al Comune per le opportune correzioni

apporta modifiche non sostanziali, e lo approva

lo approva

4. Pubblicazione della delibera della G.R. sul B.U.R. ed entrata in vigore

Questioni Strumento di derivazione ottocentesca, oggi il R.E. è talvolta considerato arcaico e superato.

Nei Comuni italiani si manifestano oggi in linea generale 3 tendenze

1. Lo si abolisce, lasciandolo atrofizzato e inserendo le misure normative in esso tradizionalmente

contenute all’interno delle N.T.A. del P.R.G.

2. Si inseriscono nelle N.T.A. le sole norme tecnico-igieniche, lasciando al R.E. la funzione di

strumento di definizione dell’assetto organizzativo e procedurale

3. Si continua ad utilizzarlo nel modo tradizionale

Tecnica Urbanistica: Il Processo Pianificatorio Lezione 1: I modelli per la pianificazione urbana e territoriale Cos’è un sistema: Si dice sistema un insieme di elementi fra loro interagenti sulla base di una predeterminata

relazione, in cui l’intensità di tale interrelazione sia sensibilmente più forte della interazione del

sistema stesso con l’esterno

Si dice metasistema, o ambiente, tutto ciò che non trova definizione del sistema, e che ha una

possibile relazione funzionale con esso

Si dice sistema chiuso un sistema che non ha relazioni con il metasistema

Si dice elemento di un sistema la minima parte non scomponibile di un sistema

Si dice variabile di un sistema ogni proprietà di un suo elemento o di una sua relazione che muta

nel tempo

Si dice variabile di ingresso, o input, ogni grandezza il cui valore è determinato da eventi che si

svolgono nel metasistema

Si dice variabile di uscita, o output, ogni grandezza il cui valore è determinato da eventi che si

svolgono nel sistema, in conseguenza dei valori delle variabili di ingresso

Si dice stato di un sistema l’insieme dei valori assunti dalle sue variabili in un dato istante; tali

variabili si dicono variabili di stato

La complessità del territorio: L’analisi e la pianificazione della città e del territorio hanno ad oggetto un campo

straordinariamente complesso, che presenta una grande quantità di questioni e al quale afferisce

un’ampia varietà di discipline e di competenze

problematiche morfologiche competenze architettoniche

problematiche sociali competenze sociologiche

problematiche economiche competenze economiche e finanziarie

problematiche geologiche competenze geologiche

problematiche ambientali competenze ingegneria idraulica

problematiche giuridiche competenze giuridiche

Page 50: Tecnica Urbanistica Lezioni

problematiche storiche competenze storiche e archeologiche

Il territorio come sistema: Il territorio, e in particolare il territorio urbano, costituisce un sistema complesso, ovvero un sistema

risultante dalla sovrapposizione e dall’intreccio di vari sistemi, afferenti a diversi ambiti disciplinari

Esempio:

Intervento sul sistema morfologico Intervento sul sistema morfologico (sistema economico)

Perché un operatore possa affrontare una tale complessità, si ha la necessità di ricondurre di volta

in volta il fenomeno osservato ad un unico sistema Utilizzazione dei modelli

Cos’è un modello: Un modello è una rappresentazione di un sistema, consistente in una formulazione semplificata e

generalizzata delle sue caratteristiche poste sotto analisi. Un modello è quindi una astrazione della

realtà, usata per raggiungere la massima chiarezza concettuale, ovvero per ridurre la complessità

del reale ad un livello che si possa comprendere e specificare. L’utilità di un modello consiste nel

fatto che esso può essere usato per migliorare la nostra conoscenza del comportamento di un

sistema in circostanze in cui non è possibile sperimentare direttamente sulla realtà.

Esempio:

REALTA’ SISTEMA MODELLO

Edificio residenziale Elementi strutturali Schema statico

Edificio residenziale Impianto elettrico Schema linee elettriche

Edificio residenziale Elementi morfologici Piante e prospetti architettonici

L’importanza del modello risiede nel fatto che la sua utilizzazione consente di prevedere e verificare

la funzionalità di una soluzione senza procedere per tentativi, mediante la costruzione diretta

dell’oggetto.

I modelli: una classificazione strutturale 1. Modelli fisici:

I modelli fisici consistono in riproduzioni semplificate e in scala ridotta della realtà in studio. Es.: i

modelli semplificati (senza motore) delle automobili da testare nella galleria del vento. Es.: un

plastico di un progetto architettonico o di un progetto a scala urbanistica.

2. Modelli astratti

I modelli astratti sono invece quelli in cui una situazione reale è rappresentata con simboli, anziché

con apparati fisici. Esempio: Una rappresentazione cartografica è un modello astratto di una

porzione di territorio. Una particolare tipologia dei modelli astratti è rappresentata dai modelli

matematici, nei quali la rappresentazione dei fenomeni indagai avviene a mezzo del linguaggio e

delle espressioni matematiche. Nella pianificazione urbana e territoriale, tali modelli sono in genere

quelli più utili, in quanto consentono il controllo di variabili diverse dai semplici aspetti fisici, fino a

giungere alle relazioni funzionali fra gli elementi insediati.

I modelli: una classificazione funzionale 1. Modelli descrittivi:

Finalizzati essenzialmente alla rappresentazione di una situazione reale.

2. Modelli previsionali:

Modelli descrittivi riferiti a una situazione non reale, ma assunta come ipotesi; finalizzati alla

simulazione delle ipotetiche situazioni future

3. Modelli normativi (planning):

Modelli previsionali finalizzati a rendere possibile l’assunzione di decisioni in relazione a determinati

obiettivi.

I modelli descrittivi: alcuni esempi

1. il plastico di un edificio o di una parte di città è un modello fisico descrittivo

2. una cartografia è un modello simbolico descrittivo

3. un algoritmo che riproduce una correlazione fra il tasso di occupazione e il reddito familiare è un

modello simbolico matematico descrittivo

I modelli previsionali: alcuni esempi

1. il plastico di un progetto è un modello fisico previsionale

2. un metodo per determinare l’estensione dei bacini di utenza dei centri commerciali in progetto

è un modello matematico previsionale

3. un algoritmo che determini la distribuzione delle correnti di traffico a seguito della realizzazione

di trasformazioni urbane in progetto è un modello matematico previsionale

Page 51: Tecnica Urbanistica Lezioni

I modelli previsionali: alcuni esempi

1. un fotomontaggio che rappresenti l’impatto di una infrastruttura sul paesaggio, finalizzato a

scegliere il progetto meno stravolgente, è un modello fisico di planning

2. un metodo per determinare il costo di uno strumento urbanistico, finalizzato a scegliere il piano

più economico, è un modello di planning

3. un algoritmo per determinare l’attrattività delle singole parti della città, finalizzato alla

localizzazione delle attività, è un modello di planning.

I modelli come black box La bontà di un modello non si esaurisce nella sua capacità di fornire previsioni attendibili e simili al

vero. È necessario che l’intero processo logico che sta alla base dell’algoritmo del modello sia

comprensibile e credibile sotto il profilo concettuale. Va evitato il rischio del “black box”, ovvero di

un modello caratterizzato da un meccanismo di calcolo indecifrabile, che recepisce gli input

richiesti e produce i risultati senza fornire una spiegazione delle ragioni concettuali in esso strutturate.

I modelli per la pianificazione urbana e territoriale L’uso di modelli per l’analisi della città e a supporto della pianificazione urbana presuppone

l’assunzione della città stessa come sistema complesso, formato da singoli elementi, fra loro

interconnessi a mezzo di relazioni interne, che ne costituiscono le leggi di funzionamento. I modelli

appaiono pertanto finalizzati alla comprensione e alla descrizione della geografia interna del

territorio e delle relazioni fra le sue singole parti.

I principi della geografia urbana I princìpi della geografia urbana utilizzano modelli per rispondere alle questioni essenziali della

geografia della città e del territorio:

Perché esiste la città?

Dove si collocano le attività nella città?

Come interagiscono le attività nella città?

Come si evolve la città?

Come si organizzano fra loro le città?

Lezione 2: Il principio di agglomerazione Il principio di agglomerazione: Il principio di agglomerazione è il principio genetico della città: i metodi e i modelli che vi afferiscono

mirano a rispondere alla questione fondamentale della formazione di un centro abitato. Perché

esiste una città?

Perché esiste una città? Le economie di agglomerazione: Le città esistono perché gli uomini da sempre hanno trovato conveniente organizzare le proprie

attività in modo spazialmente concentrato. I vantaggi derivanti a una attività da una localizzazione

spazialmente concentrata si dicono economie di agglomerazione. Le economie di agglomerazione

sono i fattori essenziali della formazione delle città.

Per evidenziare l’importanza delle economie di agglomerazione si ipotizzi la loro assenza. Le attività,

in assenza di vantaggi da una localizzazione concentrata, tenderebbero a disporsi sul territorio in

modo perfettamente diffuso. Ogni attività produrrebbe limitate quantità di beni, al solo servizio del

mercato locale.

Si ipotizzi adesso la comparsa di economie di agglomerazione in un qualsiasi settore (anche

marginale) di attività. Progressivamente, i vantaggi di una localizzazione concentrata vanno a

interessare tutti i settori di attività. Tutte le attività tendono a collocarsi in un unico punto dello spazio,

per beneficiare delle economie di agglomerazione.

Esempio:

Si ipotizzi la comparsa di economie di agglomerazione nell’attività di produzione di stringhe per

scarpe. I produttori di stringhe per scarpe si dispongono in un unico punto dello spazio. I produttori

di scarpe si dispongono in quel punto dello spazio. Gli occupati nelle produzioni di quei settori, con

le loro famiglie, si dispongono in quel punto dello spazio. I negozi di generi alimentari, di vestiti, le

scuole, i servizi, trovano convenienza a disporsi in quel punto dello spazio. Il processo continua in

modo cumulativo, toccando progressivamente attività sempre più indirettamente legate alla

produzione delle stringhe per scarpe, fino ad interessare tutte le attività. Tutte le attività vanno così a

collocarsi in un unico punto dello spazio, o nelle sue immediate prossimità, per beneficiare della

presenza delle economie di agglomerazione.

Le diseconomie agglomerative:

Page 52: Tecnica Urbanistica Lezioni

Un simile processo determinerebbe la formazione di un unico centro, sede di tutte le attività. Questo

non avviene, perché il processo cumulativo trova un limite nella formazione di diseconomie di

agglomerazione, ovvero di svantaggi connessi alla localizzazione concentrata di attività. Le

diseconomie di agglomerazione costituiscono un ostacolo alla concentrazione spaziale delle

attività, arrestando la crescita urbana ad un livello oltre il quale gli svantaggi localizzativi superano i

benefici.

costi di congestione traffico, inquinamento, stress, criminalità

costi di produzione prezzo del terreno, costo di trasporto.

Economie e diseconomie agglomerative: Presenza di soli costi di trasporto Produzione perfettamente diffusa, in prossimità della

localizzazione dei singoli individui.

Presenza di sole economie di agglomerazione Produzione di ciascun bene concentrata in un solo

luogo dello spazio.

Copresenza di economie di agglomerazione e di costi di trasporto Presenza di concentrazioni di

attività intercalate ad aree a bassa densità: “diffusione concentrata”

Queste porzioni del territorio le chiamiamo città.

Il costo di trasporto Il costo di trasporto va qui assunto non come spesa monetaria connessa allo spostamento, ma come

metafora di tutti gli elementi di frizione spaziale

Costo monetario di trasporto

Costo di opportunità del tempo di trasporto

Costo psicologico del viaggio

Difficoltà delle comunicazioni a distanza

Rischio di perdita di informazioni essenziali

Scadimento informazione dai canali diretti a canali indiretti

Le economie di agglomerazione Le economie di agglomerazione sono riconducibili a 3 categorie:

1. Economie di scala :

Economie interne all’attività, dipendenti dalle sue dimensioni

2. Economie di localizzazione

Economie esterne all’attività, ma interne al rispettivo settore

3. Economie di urbanizzazione

Economie esterne all’attività e al rispettivo settore

Le economie di scala Le economie di scala sono i vantaggi che derivano a una attività dal raggiungimento di dimensioni

sufficientemente elevate per migliorare l’efficienza dei processi produttivi: abbassamento dei costi,

aumento dei profitti. Le attività non possono essere riprodotte in miniatura (Es.: una fabbrica che

produce 1 automobile l’anno, una scuola per 5 studenti non possono esistere) Aumentando le

dimensioni di un’attività, si osserva in genere un aumento più che proporzionale della sua efficienza.

Le economie di scala e l’area di mercato di un’attività

Si ipotizzi un mercato disposto lungo una linea retta, su un territorio lineare omogeneo, e 6 attività

che producono lo stesso bene, disposte uniformemente

p = prezzo di mercato del bene/servizio

d = distanza

t = costo di trasporto

Page 53: Tecnica Urbanistica Lezioni

p* = prezzo franco fabbrica

p = p* + t d

D = ampiezza dell’area di mercato

La curva della domanda spaziale e l’area di mercato di un’attività individuale x = x (d) di beni e

servizi

La curva della domanda spaziale complessiva di beni e servizi p = p* + t d = a - b x x = (a - p*) / b - t/b d

X = ∫0-dmax [(a - p*) / b - t/b d] dd mercato lineare

X = q [dmax (a-p*) / b – d²max /b ]

X = ∫0-2π ∫0-dmax θ [(a - p*) / b - t/b d] dd dθ mercato spaziale

dmax = (a - p*) t

x, X = f (p*, t) La domanda spaziale di beni e servizi dipende solo dalla presenza di economie di

scala (p*) e dai costi di trasporto (t)

Dalla curva spaziale della domanda alla disposizione delle attività sul territorio

Struttura ad honeycomb (alveare)

Cono di Lösch

Le economie di localizzazione Sono fattori che determinano l’agglomerazione di attività simili, per beneficiare di vantaggi esterni

alle singole imprese ma interni al loro settore

L’instaurarsi di rapporti di acquisto/vendita fra le imprese Economie di tipo “pecuniario”

La riduzione dei costi di transazione all’interno dell’area Economie “transazionali”

La disponibilità di un bacino di manodopera specializzata Economie “di apprendimento”

Page 54: Tecnica Urbanistica Lezioni

La presenza di servizi di valorizzazione della produzione Economie “di marketing”

La presenza di una cultura industriale diffusa nell’area Economie da “industrial atmosphere”

Le economie di urbanizzazione Sono fattori tipici dell’ambiente urbano: determinano l’agglomerazione di attività che mirano a

beneficiare di vantaggi esterni alle singole imprese e al loro settore, ma derivanti dalle caratteristiche

e dalle funzioni della città:

Concentrazione dell’intervento pubblico nella città

Natura della città come vasto mercato

Natura della città come incubatore di fattori produttivi

Accesso a un mercato di grande dimensione

Presenza di nicchie di specializzazione nel mercato

Accesso a un ampio e diversificato mercato del lavoro

Presenza di capacità manageriali e direttive

Economie di comunicazione/informazione

Economie di scala nella fornitura dei servizi

Presenza di impianti e infrastrutture

Economie e diseconomie urbane dei residenti

Anche gli households, oltre alle attività, sono sensibili nelle loro scelte localizzative alla presenza di

economie e diseconomie di agglomerazione

Economie di agglomerazione urbana

Presenza di più efficienti servizi pubblici

Ricchezza di servizi culturali e ricreativi

Maggiori possibilità di scelta (lavoro, shopping, ricreazione)

Diseconomie di agglomerazione urbana

Elevati costi delle abitazioni

Congestione e inquinamento

Le economie di urbanizzazione Platone (IV secolo a.C.) 7! Abitanti (oltre a bambini, stranieri, schiavi e donne)

R. Owen (1820) 1.200 abitanti

C. Fourier (1825) 1.600 abitanti

E. Howard (1899) 32.000 abitanti

T. Garnier (1910) 35.000 abitanti

Le Corbusier (1925) 3.000.000 abitanti

J. Sert (1955) 80.000 abitanti

Lezione 3: Il principio di accessibilità Il principio di accessibilità (o della competizione spaziale): Il principio di accessibilità è posto alla base della organizzazione interna dello spazio urbano

I metodi e i modelli che vi afferiscono mirano a rispondere alla questione della localizzazione delle

attività in un centro abitato

Dove nella città?

Spazio urbano e accessibilità: L’organizzazione dello spazio urbano è determinata dalla competizione fra le diverse attività

economiche per assicurarsi al suo interno la localizzazione più vantaggiosa. Una localizzazione “più

vantaggiosa” significa la collocazione in una parte del territorio avente più elevata accessibilità.

Cosa si intende per accessibilità?

Della accessibilità: L’accessibilità, in senso del tutto generale, è definibile come il superamento della barriera imposta

dallo spazio al movimento di cose e persone, ovvero il superamento della frizione spaziale. In

concreto, l’accessibilità è, per esempio:

per una attività, è la presenza di un bacino di mercato raggiungibile senza elevati oneri

per una attività, la pronta ed economica disponibilità di fattori produttivi

per un’azienda, la disponibilità di informazioni strategiche in tempi rapidi rispetto alle attività

concorrenti

per una persona, è la possibilità di visitare musei, portare i bambini a scuola, fare acquisti,

frequentare cinema, ricrearsi nel verde senza sobbarcarsi tempi e costi di spostamento

Page 55: Tecnica Urbanistica Lezioni

L’accessibilità è quindi una risorsa pregiata, la cui ricerca governa le scelte localizzative, sia a livello

macro- che micro-territoriale

A scala macroterritoriale Storicamente, le città si sono insediate in luoghi che garantivano i

massimi vantaggi localizzativi: la foce di un fiume, la vicinanza a miniere, la prossimità a nodi di

trasporto, a bacini di mercato, etc.

A scala microterritoriale Le attività si dispongono in ambito urbano in modo da beneficiare dei

vantaggi della accessibilità: l’organizzazione interna della città ne risulta determinata

Per disporre in misura massima della accessibilità, risorsa limitata, sulla scena urbana si accende fra

le attività una competizione, che si traduce in una elevata domanda di aree centrali

In tale competizione, emerge come arbitro l’elemento ordinatore delle attività sul suolo urbano : la

rendita fondiaria

La rendita urbana alloca le diverse porzioni dello spazio urbano alle attività che più sono in grado di

pagare per la loro disponibilità

Gli inizi della teoria della localizzazione: il modello di Von Thunen Nel 1836 Johan Von Thünen studiò l‘ottimale localizzazione delle attività agricole, assumendo le

seguenti ipotesi

Un territorio pianeggiante, omogeneo e isotropo, anche riguardo alle infrastrutture di trasporto

La presenza di un unico centro, sede del mercato dei prodotti

La disponibilità diffusa dei fattori produttivi, che non devono essere trasportati

Una funzione di produzione specifica per ogni prodotto

Il prezzo definito esogenamente, su un mercato più ampio

Il costo di trasporto costante, variabile linearmente con la distanza

Le notazioni p - prezzo di vendita unitario del prodotto

c - costo unitario di produzione del prodotto

x - quantità di prodotto ottenibile per unità sup. del terreno

d - distanza dal centro

τ - costo di trasporto unitario

r - rendita per unità di superficie

La rendita è l’importo corrisposto al proprietario del terreno al netto dei costi di produzione e del

normale profitto

r (d) = (p - c - τd) x

Rendita e uso agricolo del suolo Ad ogni attività corrisponde una specifica funzione di produzione

r (d) = (p - c - τd) x

Si ipotizzi la presenza di più (3) usi agricoli alternativi, ciascuno fornito di una propria funzione di

produzione. Ogni porzione di terreno verrà allocata alla produzione che consentirà l’offerta di rendita

più vantaggiosa. Le produzioni si disporranno secondo cerchi concentrici attorno alla sede del

mercato.

Le conclusioni

Page 56: Tecnica Urbanistica Lezioni

Nella competizione per il terreno più accessibile, ogni porzione è attribuita alla produzione in grado

di offrire la rendita più elevata. Produzioni la cui funzione è una retta più bassa di altre verranno

escluse dalla allocazione delle porzioni di terreno. Le produzioni si disporranno secondo cerchi

concentrici attorno al mercato. I terreni esterni alla circonferenza più ampia saranno esclusi dalla

coltivazione: qui i costi di produzione superano infatti il ricavo. La rendita fondiaria complessiva è

data dall’inviluppo delle curve di rendita.

Fin qui si è parlato di curve di offerta di rendita. E la domanda di rendita?

Anch’essa è pari all’inviluppo delle curve di offerta di rendita. Il proprietario del terreno, infatti,

cederà ogni sua porzione alla attività che sarà in grado di pagare per la sua disponibilità la rendita

più elevata, e appunto tale rendita massima, che quindi risulta dalla capacità di spesa del mercato,

sarà l’importo che egli chiederà per la cessione dell’uso del suolo.

L’estensione del modello di Von Thunen: Le attività urbane.

Le ipotesi Una città localizzata su un territorio pianeggiante, omogeneo e isotropo, anche riguardo alle

infrastrutture di trasporto, perfettamente percorribile in senso radiocentrico.

La presenza di un unico centro, assunto come la localizzazione più appetibile per tutte le attività.

La disponibilità diffusa dei fattori produttivi, che non devono essere trasportati.

Il prezzo dei beni prodotti definito esogenamente.

Il costo di trasporto costante, variabile linearmente con la distanza.

Le notazioni p - prezzo di vendita unitario del prodotto

c - costo unitario di produzione del prodotto

x - quantità di prodotto ottenibile per unità di superficie del suolo

d - distanza dal centro

z - margine di profitto medio

r - rendita per unità di superficie

Rendita e uso del suolo urbano

L’offerta di rendita, cioè la rendita che ogni attività sarà in condizioni di offrire per la disponibilità di

una unità di suolo, sarà:

r (d) = [p - z - c(d)] x(d)

Se (1) solo una delle due variabili c ed x dipende dalla distanza d, allora la curva di rendita è lineare.

La retta è inclinata negativamente.

Se sia c che x dipendono da d, la curva assume una forma convessa, con pendenza decrescente

con l’allontanarsi dal centro (2)

Page 57: Tecnica Urbanistica Lezioni

Si ipotizzi una curva di rendita di tipo lineare (solo una delle variabili c ed x dipende da d)

r (d) = [p - z - c(d)] x(d)

Si ipotizzi la variabilità del profitto z: per ogni attività si ottiene una famiglie di curve di offerta di

rendita, lineari e fra loro parallele, ciascuna delle quali caratterizzata da un diverso valore del

margine di profitto z

A parità di distanza d (e quindi di c ed x) una attività può offrire una rendita più elevata trattenendo

un profitto più basso

La localizzazione ottimale dell’impresa può essere stabilita confrontando la famiglia di curve di

offerta di rendita con la curva della effettiva domanda di rendita fondiaria espressa dal mercato

locale. La localizzazione ottimale della attività sarà in corrispondenza del punto di tangenza della

curva di domanda di rendita con la più bassa curva di offerta di rendita. Analogamente, una

impresa potrà rinunciare a una parte del proprio margine di profitto per ottenere la disponibilità di

suolo in una collocazione più centrale.

Reddita fondiaria e centralità

Attività di tipo diverso esprimono famiglie di curve di offerta di rendita con diversa inclinazione

L’inclinazione esprime l’apprezzamento che l’attività manifesta nei confronti della vicinanza al

centro (accessibilità). Attività per le quali la centralità offre vantaggi comparativamente più elevati

presentano curve più inclinate. Attività che non hanno particolari benefici dalla vicinanza al centro

hanno curve piatte o comunque quasi orizzontali Sulla base della inclinazione delle curve di offerta

Page 58: Tecnica Urbanistica Lezioni

di rendita è quindi possibile costruire una sorta di tassonomia delle attività urbane nei riguardi del

rispettivo livello di centralità.

Una classificazione delle attività urbane r (d) = [p - z - c(d)] x(d)

r’(d) = [p - z - c(d)] x’(d) - c’(d) x(d)

c’(d) > 0

x’(d) = 0

attività orientate su un mercato urbano centrale o le attività che usano strutture o fattori di

produzione centrali

Rientrano fra queste gli spedizionieri che utilizzano il trasporto ferroviario, gli avvocati e gli agenti di

borsa e di cambio

c’(d) = 0

│x’(d)│ >> 0

per queste attività per le quali la distanza non influisce sui costi, ma la domanda si riduce

rapidamente al crescere della distanza dal centro

attività ad alto contenuto di interazione, orientate alla densità della domanda: attività commerciali,

grandi magazzini

c’(d) = 0

x’(d) < 0

[p - z - c(d)] >> 0

attività monopolistiche o oligopolistiche, che possono garantire elevati extraprofitti per la natura non

perfettamente concorrenziale del mercato. Rientrano fra queste attività le attività politiche e

amministrative, le attività bancarie e assicurative, il terziario professionale.

c’(d) > 0

x’(d) < 0

x >> 0

attività che utilizzano in modo particolarmente efficiente ed intensivo il fattore spazio a parità di

valore del bene prodotto. Rientrano fra queste le attività di ufficio, le attività legate all’informatica,

le agenzie di viaggio, i negozi di generi di lusso.

L’ offerta complessiva di reddita fondiaria Date le attività e le relative funzioni di produzione, è possibile ricavare il valore dell’offerta di rendita

complessiva.

ri (d) = [pi - zi - ci (d)] xi (d)

R (d) = ∫0-2π ∫0-dmax θ [p - z - c(d)] x(d) dd dθ

La localizzazione delle attività residenziali

Page 59: Tecnica Urbanistica Lezioni

La domanda di abitazioni poste in prossimità del centro (assunto come la localizzazione più

appetibile) determina anche per l’uso residenziale il consueto andamento della curva di offerta di

rendita. Nel caso dell’uso residenziale, ogni household possiede però un grado di libertà in più, dato

dalla flessibilità delle dimensioni dell’alloggio. A parità di reddito (1) o (2), ogni famiglia può scegliere

un alloggio centrale di minori dimensioni (A) o periferico ma di dimensioni più grandi (B).

Preferenze per categorie sociali e per aree geografiche Alcune categorie di persone (tipicamente i singles, gli artisti, gli young urban professionals)

preferiranno a parità di reddito speso per l’abitazione residenze centrali (A), sacrificando le

dimensioni dell’alloggio alla prossimità ai luoghi di relazione e di svago. Altre categorie (tipicamente

le famiglie) preferiranno invece localizzazioni marginali (B), pagando con una minore accessibilità

la disponibilità di spazio e una minore densità insediativa. Esistono anche tipiche differenziazioni sulla

base della collocazione geografica: mentre in Europa è ancora forte la domanda di aree centrali

anche per la destinazione abitativa (A), nel Nord-America è tradizionalmente diffusa l’aspirazione

alla residenza suburbana (B). In epoca recente (a partire dagli anni ‘80) anche nelle grandi città

nord-americane è cresciuta la domanda di alloggi in posizione centrale, e la conseguente

riqualificazione di aree centrali degradate per la residenza di classi agiate.

Lezione 4: Il principio di interazione spaziale Il principio di interazione spaziale è posto alla base del funzionamento del sistema urbano. I metodi

e i modelli che vi afferiscono mirano a rispondere alla questione dei rapporti che intercorrono fra le

attività localizzate entro un determinato sistema insediativo. Come nella città?

Spazio urbano e rapporti tra attività Ogni attività posta in un sistema sviluppa con i suoi elementi una complessa rete di relazioni: relazioni

di attrazione, di repulsione, di cooperazione. Reciprocamente, tutte le attività del sistema esercitano

su di essa analoghe relazioni, di vario genere. Esempi:

Spostamenti fisici (movimento pedonale o veicolare)

Compravendita di beni o servizi

Page 60: Tecnica Urbanistica Lezioni

Scambio di informazioni (telefono, Internet, …)

L’ ipotesi gravitazionale Questi rapporti sembrano organizzarsi sulla base di campi gravitazionali, la cui intensità appare

sensibile alla dimensione delle attività e alla loro mutua distanza. Ogni attività sembra subire (ed

esercitare) da parte delle altre attività una influenza proporzionale all’entità delle grandezze in gioco

e inversamente proporzionale alla distanza che le separa. Una tale evidenza ha suggerito di studiare

tali rapporti mediante modelli costruiti in analogia con le leggi newtoniane sulla fisica dei gravi,

assimilando le attività a corpi fisici di massa proporzionale alla propria entità.

Utilità dei modelli gravitazionali I modelli gravitazionali si rivelano particolarmente utili per lo studio dei fenomeni urbani e territoriali.

Di tale modello si prospettano due possibili utilizzazioni, frequentemente praticate:

1. una utilizzazione come modello di flusso, finalizzato a misurare l’intensità delle relazioni di

interazione fra attività insediate

2. una utilizzazione come modello di potenziale, finalizzato a misurare l’influenza determinata da

tutte le attività insediate in un qualsiasi punto dello spazio

I modelli gravitazionali Secondo la legge di gravitazione universale, due corpi A e B posti nello spazio si attraggono con una

forza la cui intensità varia in ragione delle loro masse M e in ragione inversa del quadrato della

distanza che li separa. L’estensione di una tale formulazione allo studio dei fenomeni spaziali è stata

da decenni sperimentata con successo in vari campi di analisi, come i movimenti pendolari, i

rapporti commerciali, le spese telefoniche.

Tij = K (Pi Pj

) / d

In tali sperimentazioni, si è assunto come valore dell’intensità di interazione fra due attività i e j

insediate, di consistenza (fisica, demografica, economica, etc.) P i e Pj quello Tij risultante

dall’espressione. Dove l’esponente esprime il peso della frizione spaziale nel fenomeno in studio,

ovvero il peso della specifica deterrenza che la distanza pone alla interazione nel caso in specie.

Il modello di Reilly Una delle prime sperimentazioni del principio di interazione gravitazionale risale agli anni ‘30, quando

William Reilly presentò la sua “law of retail gravitation”.

È un’estensione del modello gravitazionale per l’analisi dei movimenti finalizzati all’acquisto di beni

al dettaglio. Secondo tale legge, dati due centri urbani A e B, con popolazione residente

rispettivamente pari a PA e PB, la vendita di beni al dettaglio in A e in B effettuata nei due centri dai

consumatori residenti nei diversi centri intermedi C risulta dalla espressione.

VA / VB = (PA/PB

) / (dBC / dAC

)

1 1,5 - 2,5

Una Applicazione Una applicazione del modello di Reilly consiste nella individuazione dei limiti delle aree di mercato di

2 centri.

Poiché sulla frontiera fra le due aree di mercato le vendite si equivalgono (VA= VB) è possibile definire,

ponendo ad es. = 1 e γ = 2, il punto di frontiera C sul segmento AB.

VA/VB = (PA /PB

)/(dBC /dAC

) = 1

(PA/PB )/(dBC/dAC)2 = 1 (PA/PB )= (dAC /dBC)

(PA/PB )= (dAB- dBC) /dBC (PA/PB )= (dAB /dBC) - 1

dBC = dAB / [1 + (PA/PB )]

I modelli di interazione spaziale Si consideri un sistema territoriale, in cui siano insediate n attività

Chiamiamo Tij l’intensità della relazione di interazione fra l’attività i-esima e l’attività j-esima

Naturalmente, il flusso totale in uscita dall’area di origine i è

Page 61: Tecnica Urbanistica Lezioni

Oi = Σj Tij

Mentre il flusso totale in entrata nell’area di destinazione j è

Dj = Σi Tij

In analogia alla fisica dei gravi, l’entità dell’interazione Tij fra l’attività i-esima e l’attività j-esima, fra

loro distanti dij sarà proporzionale al flusso totale in uscita da i, al flusso totale in entrata in j e ad una

funzione dell‘impedenza spaziale: Tij = k Oi Dj f (dij)

L’interazione fra i e j deve tuttavia tenere conto anche della presenza delle altre attività concorrenti

nella ripartizione dei flussi, per cui può dirsi che essa è proporzionale alla taglia (o al potere attrattivo)

delle due zone, e inversamente proporzionale alla attrazione esercitata dalle altre zone: Tij = k Oi Dj f

(dij) / k Σj Dj f (dij)

Tij = Oi Dj f (dij) / Σj Dj f (dij)

Se nella espressione noi poniamo:

Ai = 1 / Σj Dj f (dij) Tij = Ai Oi Dj f (dij)

Se poi in essa sostituiamo:

Prij = Ai Dj f (dij) Tij = Oi Prij

Ovvero, l’interazione dell’origine Oi con la destinazione Dj può essere vista come il prodotto del flusso

in uscita Oi per la “probabilità” che tale flusso sia indirizzato proprio alla destinazione Dj

I modelli di interazione spaziale a vincolo unico Si dicono “a vincolo unico” i modelli gravitazionali progettati in modo che i risultati del modello

rispettino una sola delle seguenti condizioni.

Σj Tij = Oi

Σi Tij = Dj

I modelli di interazione spaziale a vincolo unico sono finalizzati a ricavare, dato il flusso Oi in uscita,

l’entità del flusso in entrata Dj (o viceversa), oltreché l’intensità delle interazioni Tij

Un esempio: il modello di Lakshmanan-Hansen

Il modello di Lakshmanan-Hansen, studiato nel 1965 per ottimizzare la localizzazione degli shopping

centers di Baltimora, è anche detto: “modello di Baltimora”

È un modello gravitazionale a vincolo unico che assume ad oggetto il flusso per gli acquisti al

dettaglio fra le zone residenziali ed i centri commerciali. Il modello suddivide le residenze del sistema

in n zone e considera la presenza di m centri commerciali. Sarà dij la distanza fra la i-esima zona

residenziale ed il j-esimo centro commerciale.

L’ipotesi di lavoro è che l’ammontare degli acquisti effettuati dai residenti nella i-esima zona nel j-

esimo shopping center sia:

proporzionale all’ammontare della spesa complessiva

proporzionale al potere attrattivo dello shopping center

inversamente proporzionale alla distanza fra la residenza e lo shopping center

inversamente proporzionale al potere attrattivo degli altri shopping centers

Si assumono le seguenti notazioni:

Pi - popolazione della i-esima zona residenziale

ci - spesa media pro-capite nella i-esima zona

Fj - taglia del j-esimo shopping center

dij - distanza fra la i-esima zona residenziale e il j-esimo shopping center

Sij - acquisti dei residenti nella i-esima zona nel j-esimo shopping center

Il modello funziona secondo la seguente espressione:

Sij = ciPi Fj f (dij) / Σj Fj f (dij)

Il modello di Baltimora è un modello di interazione spaziale che utilizza come fattore di attrazione,

indicatore della taglia dello shopping center, la sua superficie di vendita Fj

Al solito, tale espressione può essere scritta in modo conciso

Sij = CiPrij

Ponendo:

ciPi = Ci

Fj f (dij) / Σj Fj f (dij) = Prij

La sperimentazione del modello su Baltimora venne condotta assumendo la seguente espressione

dell’impedenza spaziale:

f (dij) = dij-α

E fornì risultati affidabili ponendo α = 1,5-2,5. Ovvero:

Sij = ciPi Fj dij-2 / Σj Fj dij

-2

Sij = ciPi Fj f (dij) / Σj Fj f (dij)

Page 62: Tecnica Urbanistica Lezioni

Finalità del modello è determinare l’ammontare totale degli acquisti effettuati in ogni shopping

center, ovvero:

Sj = Σi Sij

Eventualmente scartando soluzioni che comportino valori di Sj inferiori a una determinata soglia

assunta come valore minimo per la sopravvivenza dello shopping center.

I modelli di interazione spaziale a vincolo doppio Si dicono “a doppio vincolo” i modelli gravitazionali costruiti in modo che i risultati del modello

rispettino entrambe le seguenti condizioni

Σj Tij = Oi

Σi Tij = Dj

I modelli a doppio vincolo assumono pertanto come noti sia i valori delle origini O i che quelli delle

destinazioni Dj, e sono utilizzati per determinare il valore delle interazioni Tij fra le coppie di zone.

Un modello a doppio vincolo, naturalmente, non è libero di fornire la localizzazione di arrivo degli

spostamenti, giacché sia le origini Oi che le destinazioni Dj sono vincolate.

Un modello a doppio vincolo è così caratterizzato:

1. Tij = K Oi Dj f (dij)

2. Σj Tij = Oi

3. Σi Tij = Dj

Le incognite Tij sono n².

Le equazioni (2) e (3) sono n

Si può dimostrare che l’unico modo per risolvere le (1) nel rispetto delle (2) e delle (3) consiste

nell’utilizzare, al posto di K, 2n costanti, che chiameremo Ai e Bj

Tij = AiBjOiDj f (dij)

Sostituendo, otteniamo:

Ai = 1/ ΣjBjDj f (dij)

Bj = 1/ ΣiAiOi f (dij)

Nelle espressioni delle interazioni Tij, notiamo che le costanti Ai contengono le Bj, e le Bj contengono

le Ai. Per tale motivo il calcolo di entrambi i gruppi di costanti deve essere effettuato per via iterativa

Si pone, ad esempio Ai= 1 (i = 1,2, .., n)

Si ricavano i valori Bj, che, sostituiti nelle (4), forniscono nuovi valori di Ai; e così via fino a convergenza

Il potenziale economico-spaziale

Definizione Anche il concetto di potenziale economico-spaziale discende dall’analogia con la fisica dei gravi

Dato un insieme di masse Mj, il potenziale gravitazionale da esso indotto in un punto a è definito

come:

Ea = k Σj Mj / daj

L’estensione ai fenomeni territoriali è immediata, con l’unica differenza nella possibilità di apprezzare

diversamente l’impedenza spaziale, in relazione alla effettiva deterrenza allo spostamento relativa

a diversi fenomeni

Ea = k Σj Pj / dajα

Significato Il potenziale economico-spaziale può essere definito come una sorta di accessibilità generalizzata

Nel principio di competizione spaziale ad ogni punto dello spazio circostante un determinato

“centro” viene riconosciuto un certo livello di centralità, funzione dell’impedenza spaziale rispetto a

questo

Allo stesso modo, ogni punto di un sistema formato da attività interagenti è caratterizzato da un

livello di “accessibilità generalizzata”, il cui valore dipende dall’entità delle attività e dalla frizione

spaziale rispetto ad esse.

In altri termini, la relazione localizzazione/rendita viene qui generalizzata mediante il superamento

dell’unitarietà del centro e la disaggregazione dello spazio geografico nelle sue componenti

elementari: le attività insediate.

Utilizzazione Il concetto di potenziale economico-spaziale è utile per spiegare e comprendere:

Una scelta localizzativa (orientata al luogo a più elevato potenziale)

L’insieme dei flussi diretti verso tale localizzazione e in uscita da essa

Il valore posizionale di tale localizzazione (anche valore economico del suolo)

Lezione 4: Il principio di competitività

Page 63: Tecnica Urbanistica Lezioni

Il principio di competitività studia le condizioni che sono all’origine dello sviluppo e della crescita

della città. Come si evolve la città?

La teoria della base economica Il principio di competitività scaturisce dalla necessità di distinguere, all’interno delle funzioni urbane,

fra quelle che si rivolgono ad una domanda esterna e quelle che al contrario si rivolgono a soddisfare

i bisogni della popolazione residente. La città viene in certo modo interpretata come una grande

“macchina per produrre” beni e servizi, e il bacino di mercato dei beni prodotti viene individuato

essenzialmente al suo esterno; tuttavia, tale macchina necessita per il suo funzionamento di molte

attività e funzioni al servizio delle attività e della popolazione impegnata nella produzione.

Attività di base: Attività che producono beni e servizi destinati all’esterno del sistema

Attività di servizio: Attività destinate al sostentamento della popolazione residente e delle attività

esistenti

Secondo la cosiddetta “teoria della base economica” urbana, la forza che determina le condizioni

per lo sviluppo e la crescita di una città, il motore della dinamica urbana, risiede nelle attività di

base, mentre le attività di servizio ne assicurano il semplice sostentamento.

Attività di base, attività di servizio e popolazione:

Notazioni P - popolazione residente

E - occupazione totale

B - popolazione occupata in attività di base

S - popolazione occupata in attività di servizio

β= 1/α - tasso di occupazione

P = α E = α (B + S) = αB + αS

Ad un aumento di una unità dei posti di lavoro corrisponderà un aumento α della popolazione

residente. Questa dinamica, nella teoria della base economica, è innescata dalla creazione di posti

di lavoro in attività di base, e solo successivamente sostenuta dalle attività di servizio. Sulla teoria

della base economica sono fondati alcuni modelli territoriali di grande importanza, fra cui una

posizione centrale merita senza dubbio il modello di Lowry.

Il modello di Lowry Il modello di Lowry venne elaborato nel 1964 da Ira Lowry e presentato all’interno di uno studio

finalizzato alla pianificazione dell’area urbana di Pittsburgh. Soggetto nei decenni successivi ad

alcuni significativi raffinamenti (Garin, Wilson), è sicuramente il più diffuso e utilizzato modello di

analisi dello spazio urbano. La logica operativa del modello consiste nella elegante fusione di due

ipotesi teoriche.

la teoria della base economica urbana, che mette in relazione attività di base, attività di servizio

e residenze

il principio di interazione spaziale, che viene utilizzato per allocare la popolazione attorno ai

luoghi di lavoro e le attività di servizio attorno alle residenze

Input e output

Il modello di Lowry assume come dato di input l’entità e la localizzazione delle attività di base in un

sistema urbano, e fornisce su tale base stime riguardanti.

la dimensione della consistenza totale della popolazione insediata e la sua localizzazione nel

sistema urbano

la dimensione dell’occupazione nel settore di servizio e la sua localizzazione nel sistema

la distribuzione della domanda di trasporto a servizio degli spostamenti casa-lavoro

La logica operativa

L’occupazione di base determina, attraverso l’uso di un tasso di attività, la dimensione della

popolazione

Mediante un modello gravitazionale a vincolo unico la popolazione viene allocata alle zone di

residenza

La popolazione insediata determina, attraverso l’uso di un altro tasso di attività, l’occupazione nei

settori di servizio

Mediante un altro modello a vincolo unico l’occupazione di servizio è allocata alle zone di

occupazione

L’occupazione di servizio determina una aliquota addizionale di popolazione insediata

E così via, iterativamente, fintantoché gli incrementi diventano irrisori e trascurabili

Le notazioni

Page 64: Tecnica Urbanistica Lezioni

Sia dato un sistema insediativo suddiviso in n zone

Cij - costo di trasporto fra la zona i e la zona j

f(cij) = d-α - funzione che esprime l’impedenza spaziale

Ei - l’occupazione di base nella zona i

α - inverso del tasso di occupazione, ovvero il numero di persone mantenute da un posto di lavoro

β - tasso di servizio, ovvero l’occupazione di servizio richiesta da una popolazione data

Si - occupazione di servizio nella zona i

Il problema

Il problema che il modello si pone di risolvere è l’evoluzione di un sistema insediativo in seguito ad

una perturbazione, consistente nell’introduzione di occupazione in attività di base

In concreto, supponendo una dei cambiamenti nella localizzazione delle attività di base, il modello

è in grado di prevedere

quanta popolazione si insedierà nel sistema

dove andrà a vivere e a lavorare in relazione alle opportunità di lavoro offerte

La allocazione delle residenze

Si determina la quantità delle interazioni fra la zona i ove sono localizzate le attività di base e la zona

residenziale j

Tij = Ai Ei Pj dij –α dove Ai = 1 / Σj Pj dij

Ovvero, ponendo Prij = Ai Pj dij -α

Tij = Ei Prij

Si ricava così la quantità totale di popolazione residente in ogni zona j a seguito della localizzazione

delle attività Ei

ΔPj = α ΣiTij

La allocazione delle attività di servizio

La popolazione residente ΔPj esprime una domanda di servizi che produrrà una occupazione di

servizio così definita

Dj = β ΔPj

Questa occupazione viene attribuita alle varie zone i come sommatoria delle interazioni

Tji = BjDj Si dji-α dove Bj = 1 / Σi Si dji

Ovvero, ponendo Prji = BjSidji-α

Sji = Dj Prji

Così si ricava ΔSi = ΣjSji

La iterazione del calcolo

La localizzazione della occupazione ΔSi nella zona i determina un incremento di popolazione ΔP che

si redistribuisce fra le zone j, come già visto nella fase iniziale

Si procede in tale modo fino a quando gli incrementi di popolazione e del numero di occupati in

attività di servizio diventano di entità trascurabile

Un diagramma di flusso

Page 65: Tecnica Urbanistica Lezioni

Lezione 5: Il principio di gerarchia La città e le città I modelli fin qui esaminati danno ragione dell’esistenza della città, della sua strutturazione interna,

dei rapporti che intercorrono fra le sue parti e del suo sviluppo

Una città così strutturata vive però in uno spazio astratto, definito in soli termini dicotomici

Città non-città

Città campagna

spazio della concentrazione spazio della dispersione

Il principio di gerarchia Il principio di agglomerazione non spiega inoltre perché si sviluppino sul territorio città con differenti

specializzazioni funzionali. Usciamo quindi adesso dal perimetro dello spazio urbano e

interroghiamoci sui rapporti che intercorrono fra la città ed il territorio circostante, fra la città e le

città ad essa prossime. Come si organizzano fra loro le città?

La teoria delle località centrali La teoria delle località centrali venne elaborata nel 1933 da Walter Christaller sulla base delle

seguenti ipotesi.

uno spazio omogeneo ed isotropo, sia in termini di densità demografica che di caratteristiche

fisiche e infrastrutturale

la efficienza di una struttura economica caratterizzata da aree di mercato esagonali (struttura ad

honeycomb “alla Lösch”)

Definizioni e notazioni località centrale: è il punto centrale di un agglomerato urbano in cui si producono servizi, ovvero il

luogo di produzione di beni centrali. Il concetto di località centrale non coincide pertanto con quello

di città, e la sua grandezza non corrisponde alla sua dimensione demografica

bene centrale: è il prodotto delle attività di servizio offerto dalla località centrale

regione complementare: è la zona di influenza della località centrale, ovvero l’area di mercato in

cui l’offerta di servizio prodotto da essa è soddisfatta

portata (range): la distanza massima a cui può essere venduto un bene, ovvero la distanza massima

che la popolazione è disposta a percorrere per acquistare un bene centrale. Il range è strettamente

correlato al costo di trasporto

soglia (threshold): la distanza (ovvero l’area) corrispondente alla quantità minima di ciascun bene

producibile in modo efficiente. La threshold è strettamente correlata alle economie di scala

Condizioni e ipotesi Ogni bene è prodotto se e solo se la sua portata supera la soglia territoriale minima, ovvero se il

range è maggiore della threshold

Ogni bene è collocato lungo una scala gerarchica di beni sulla base dell’entità del proprio range

Ogni centro produce il bene relativo al suo livello gerarchico e tutti i beni di ordine inferiore

La logica Per ogni centro di ordine superiore esiste, in cascata, una pluralità di centri di ordine inferiore, fino al

livello più basso, corrispondente al villaggio, di cui esiste il numero più elevato, ed in cui si producono

beni di più limitata portata. Per Christaller esistono tre condizioni che vincolano l’assetto localizzativo

delle città determinandone l’ottima disposizione. Queste condizioni sono i principi ordinatori.

il vincolo del mercato

Page 66: Tecnica Urbanistica Lezioni

il vincolo del traffico

il vincolo della amministrazione politica

Christaller: il vincolo del mercato

Si consideri una località centrale C che produce un bene 1 di un determinato ordine r1

La distribuzione delle aree di mercato corrisponderà ad una struttura a nido d’ape, con i centri C ai

vertici

Si consideri la produzione in C del bene 2 di ordine inferiore r2< r1

Ampie porzioni di territorio restano scoperte dall’accesso al bene 2; è necessaria la localizzazione di

una nuova località centrale

E così via con il bene 3, con il bene 4, etc.

La articolazione gerarchica corrispondente alla struttura spaziale è, in base al vincolo del mercato:

La gerarchia dei centri risulta articolata in steps con K = 3

Il numero dei nuovi centri varia nel modo che segue: 1, 2, 6, 18, 54,..

La regione complementare di ogni centro è articolata in 3 regioni complementari di ordine

immediatamente inferiore

il vincolo del traffico

L’ottimale localizzazione dei centri, rispettando il vincolo del traffico, comporta la localizzazione in

corrispondenza del punto intermedio fra due centri di ordine superiore

La articolazione gerarchica corrispondente alla struttura spaziale è, in base al vincolo del mercato:

Page 67: Tecnica Urbanistica Lezioni

La gerarchia dei centri risulta articolata in steps con K = 4

Il numero dei nuovi centri varia nel modo che segue: 1, 3, 10, 32,...

il vincolo del amministrazione pubblica

L’ottimale localizzazione dei centri, rispettando il vincolo della amministrazione pubblica, comporta

per ogni centro una localizzazione tale che la regione complementare sia interamente compresa

entro quella del centro di ordine superiore

La articolazione gerarchica corrispondente alla struttura spaziale è, in base al vincolo della

amministrazione pubblica:

La gerarchia dei centri risulta articolata in steps con K = 6

Il numero dei nuovi centri varia nel modo che segue: 1, 5, 30, 180,...

La central places theory: i Pregi Christaller verificò l’attendibilità del suo modello nel contesto territoriale corrispondente alla

Germania meridionale, fra Monaco, Norimberga e Francoforte.

L’eleganza del modello di Christaller consiste nel fatto che sulla base di una limitata quantità di

assunzioni esso riesce a dare ragione dei fenomeni indagati.

Assunzioni:

Range (costi di trasporto)

Threshold (economie di scala)

Output:

Ruolo funzionale dei centri urbani

Dimensione dei centri urbani

Distribuzione spaziale dei centri urbani

I Pregi Tuttora, il modello appare ancora adatto ad interpretare e a descrivere una struttura di centri urbani

basata sulla distribuzione di servizi. In questo caso i costi di trasporto sono infatti sopportati

prevalentemente dai consumatori e incidono in modo notevole sul costo dei servizi stessi.

Nel caso della produzione industriale, invece, i costi di trasporto incidono poco sul prezzo del bene:

ciò inficia la verosimiglianza del modello per strutture insediative fondate sul settore secondario. Nel

caso di centri caratterizzati dalla distribuzione dei servizi è verosimile anche l’ipotesi che ogni centro

accolga oltre alla produzione di un bene anche la produzione di tutti i beni di ordine inferiore. Ciò

non vale sempre, invece, nei centri industriali, ove si evidenziano fenomeni di elevata

specializzazione funzionale e compartimentazione produttiva. Nei consumi di beni industriali è

comune la domanda di “varietà” da parte del consumatore; ciò genera la frequente

sovrapposizione delle aree di mercato. Questo fenomeno è invece assai più debole nel caso nella

fornitura di servizi. Il modello concepisce i centri urbani come la sede della produzione di servizi e

della loro distribuzione alla regione all’intorno. Non tiene in conto però che una città è anche una

concentrazione di attività residenziali, un grande mercato del lavoro, un modo di organizzazione

Page 68: Tecnica Urbanistica Lezioni

della società. Questi aspetti non sono presenti nel modello di Christaller, modello che pertanto, agli

occhi dei suoi detrattori, sembra costruire “una gerarchia di città senza città”.

La rank-size rule Presentata nel 1913 da Felix Auerbach, la rank-size rule è una regola empirica riguardante la

distribuzione degli insediamenti urbani, ricavata sperimentalmente, per via induttiva,

dall’osservazione della realtà. Tale “regola”, pur priva di basi teoriche, appare significativa per la sua

sorprendente rispondenza alla realtà, tanto che, a posteriori, è doveroso tentarne una giustificazione

concettuale.

La logica Si considerino gli insediamenti urbani posti in un ambito territoriale dotato di omogeneità politica e

economica. Si ordinino tali insediamenti nel senso della decrescente consistenza demografica P, e

si attribuisca a ciascuno di essi la posizione (rank) che questo occupa in tale graduatoria. Si osserva

sperimentalmente l’evidenza della espressione:

P x r = cost. = P1

Ovvero: il prodotto della popolazione dell’i-esimo centro per la sua rank è costante, e pari alla

popolazione del centro più popoloso, detto centro primate.

La rappresentazione La rank-size rule si presta ad una efficace rappresentazione grafica

su un diagramma r, P

su un diagramma log r, log P

Una revisitazione Più di recente, negli anni ’40, la rank-size rule è stata oggetto di revisitazione da parte di George Zipf,

che ne ha fornito una versione così modificata P x r = cost. = P1

che, in notazione doppio-logaritmica, assume la forma: logP = log P1 - log r

La rank-size rule nella versione di Zipf: rappresentazione Anche nella versione di Zipf, la rank-size rule si presta ad una efficace rappresentazione grafica,

soprattutto su un diagramma doppio-logaritmico

Page 69: Tecnica Urbanistica Lezioni

La distribuzione dei centri abitati: tipiche dissonanze rispetto alla rank-size rule Non sempre la distribuzione dei centri abitati collima perfettamente con la curva di Zipf

Alcuni tipi di dissonanza rispetto ad essa sono talmente ricorrenti da risultare caratteristici

La distribuzione di tipo antiprimaziale descrive i sistemi di centri abitati organizzati intorno ad una città

primate sottodimensionata rispetto al resto del sistema. È la distribuzione tipica dei sistemi risultanti

dalla confederazione di ambiti territoriali di minori dimensioni: Germania, Svizzera, …

La distribuzione di tipo oligarchico descrive i sistemi di centri abitati organizzati intorno ad una città

primate sovradimensionata rispetto al resto del sistema, sotto alla quale è tuttavia presente un

gruppo di città di dimensioni simili. Esempio tipico è il sistema degli insediamenti urbani della Gran

Bretagna

La rank-size rule: utilità La rank-size rule si presta ad essere utilizzata come strumento di

analisi sincronica: mirata a studiare le specificità dei sistemi di città che emergono come

dissonanze dalla rank-size rule esempio: il sistema insediativo del Trentino Alto Adige, che si

rivela composto da due sistemi diversi (Trentino e A.Adige), organizzati intorno a 2 città primati

analisi diacronica: mirata a studiare la dinamica temporale dei sistemi di città esempio: il

sistema insediativo delle città italiane, caratterizzato nel 1861 da una distribuzione di tipo

antiprimaziale, e successivamente evoluto verso una distribuzione “alla Zipf”

Giustificazione concettuale Anche se la rank-size rule è priva di basi teoriche, è possibile cercare di comprendere “a posteriori”

il suo significato

Il coefficiente angolare rappresenta la preponderanza ( >1) o la debolezza ( <1) delle economie

di agglomerazione rispetto alle diseconomie di agglomerazione

Il coefficiente angolare dà quindi conto della tendenza a distribuzioni urbane concentrate o diffuse

sul territorio

logP = log P1 - log r

Page 70: Tecnica Urbanistica Lezioni