XIII Congresso Nazionale Ipasvi Le nuove frontiere della salute · XIII Congresso Nazionale Ipasvi...

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XIII Congresso Nazionale Ipasvi Le nuove frontiere della salute Roma 19, 20 e 21 settembre 2002 Inserto redazionale al n. 10/2002 de La raccolta delle relazioni Numero speciale de I QUADERNI

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XIII Congresso Nazionale Ipasvi

Le nuove frontiere della salute

Roma 19, 20 e 21 settembre 2002

Inserto redazionale al n. 10/2002 de

La raccolta delle relazioni

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Il progetto degli infermieri per una sanità al servizio dei cittadiniRelazione introduttiva al XIII Congresso nazionale della Federazione dei Collegi Ipasvi . . . . . .4di Annalisa Silvestro

La risorsa infermieristica nel Servizio sanitario nazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14

di Alvisa Palese

La filosofia del progetto manageriale della Federazione Ipasvi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

di Franco Vallicella

La filosofia del progetto formativodella Federazione Ipasvi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

di Loredana Sasso

Ordini e Collegi: scenari futuri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39

di Gennaro Rocco

Sommario

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Presentare il progetto della professione infermieristica per una sanità al servizio dei cit-tadini: questo è stato l’obiettivo di fondo del XIII Congresso nazionale della Federazio-

ne Ipasvi svoltosi a Roma dal 19 al 21 settembre 2002.Un obiettivo importante maturato sulla base della consapevolezza che il futuro della sani-tà italiana è legato alla capacità dell’intero sistema di rinnovarsi, di superare disfunzioni edisuguaglianze, di valorizzare competenze e professionalità, di garantire al cittadino rispo-ste adeguate ai suoi bisogni.Una sfida che è possibile vincere solo con il contributo di competenze, esperienze, idee eprogettualità diverse ed integrate.Una sfida e un dato di fatto: oggi senza il coinvolgimento degli infermieri non è possibileattuare alcuna politica di sviluppo dei servizi sanitari ovunque erogati, né garantire quali-tà assistenziale, né gestire la domanda di salute, né tenere in attenta considerazione la “so-stenibilità” dell’intero sistema salute del Paese.E allora noi infermieri abbiamo deciso di scendere in campo e di utilizzare la platea dell’e-vento professionale più importante – il nostro XIII Congresso nazionale – per illustrare ilnostro progetto e per proporre soluzioni concrete ai molti problemi di cui soffre la sanitàitaliana.Tra i molti contributi presentati, che costituiscono un patrimonio a cui attingere per l’ela-borazione delle strategie professionali del prossimo futuro, pubblichiamo in questo nume-ro speciale de I Quaderni le relazioni che tracciano le linee di fondo del progetto Ipasvi neisuoi agganci con l’esercizio professionale, con l’organizzazione della funzione assistenzia-le infermieristica, con il processo di formazione dei futuri professionisti e di coloro cheprofessionisti sono già, con la rappresentanza professionale.Il governo e la valorizzazione del patrimonio professionale infermieristico non può che rea-lizzarsi attraverso precise strategie gestionali, il pieno riconoscimento della specificità del-l’intervento infermieristico, l’attribuzione di funzioni proprie e di competenze declinate inrelazione alla situazione dell’assistito, la valorizzazione dell’assistenza nella sua stretta in-terazione con la clinica.E allora… buona lettura, con l’auspicio del contributo di tutti perché la riflessione e l’ana-lisi critica di quanto proposto diventi base per un arricchimento sempre più significativoe consapevole del nostro essere infermieri.

Annalisa Silvestro

Presidente della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi

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Un cordiale benvenuto agli ospiti e un affettuoso sa-luto ai colleghi presenti in sala.

Mi accingo a qualcosa di molto importante e impegnati-vo: la presentazione della relazione congressuale, che hafra i suoi obiettivi anche quello di tracciare il nostro per-corso futuro.La significatività di una relazione congressuale vale in as-soluto, ma vale in modo particolare per il nostro con-gresso. Perché il nostro congresso è di per sé un feno-meno straordinario. Fino ad oggi, probabilmente, pocoanalizzato come evento di così eccezionale valenza pro-fessionale, sociale e politica. Quale altra assise può contare su un’adesione volontariadi tante persone che sostengono autonomamente i costie gli oneri della loro partecipazione? Quali altre manife-stazioni professionali, ma anche politiche o sindacali, pos-sono testimoniare un livello di attenzione e sensibilità,attiva come la nostra? Quali altre realtà associative pos-sono annoverare una tale platea di confronto e di dibat-tito? Senza alcuna paura di essere smentita ritengo chenon ve ne siano, né tra le altre professioni, né in politica,né nel sindacato.Ho voluto iniziare con questa dichiarazione di orgoglioperché, prima di ogni altra cosa, voglio fortemente direda questa sede che sono orgogliosa di essere un’infer-miera. E lo dichiaro con tanta forza perché sono certa di con-dividere un pensiero comune; ossia l’orgoglio di esserequello che siamo: professionisti della salute autonomi,autorevoli, indispensabili. Tutto questo lo dobbiamo so-prattutto a noi stessi. Alla nostra caparbietà e alla nostraprofonda convinzione di essere nella strada che ha fattosì che, una dopo l’altra, fossero abbattute quelle barrie-

re anacronistiche che impedivano la piena maturazionedella professione infermieristica anche in Italia. Oggi la nostra professione è una realtà incontestabile: • lo è sul piano dell’iter formativo, • lo è sul piano dello status giuridico, • lo è sul piano dell’autonomia professionale. Dobbiamo impegnarci ancora sul piano della effettiva re-sponsabilizzazione all’interno delle strutture sanitarie incui operiamo e sul piano del riconoscimento economi-co. Ma anche questi aspetti diventeranno realtà. Respon-sabilizzazione piena e altrettanto pieno riconoscimentoeconomico sono due obiettivi fondamentali per ottene-re il completo riconoscimento del ruolo, della funzione edella professionalità dell’infermiere italiano.Ho volutamente anticipato questi due obiettivi proprio asignificare la concretezza del nostro impegno e l’estremorealismo nell’analisi della nostra situazione. L’infermieredeve diventare un punto di riferimento primario per l’at-tuazione di qualsiasi politica di sviluppo dei servizi sani-tari. Dobbiamo, in altri termini, essere a tutti gli effetti unpilastro portante del “sistema salute italiano” nei suoi di-versi gangli: dall’ospedale, al territorio, all’assistenza do-miciliare. E ciò sul piano dell’assistenza, ma anche dellaprogrammazione, della gestione e dell’organizzazione deiservizi.In questi tre anni di mandato ho avuto modo di visitaretante realtà del Paese. In molte di queste, già da oggi, sen-za di noi il sistema sanitario crollerebbe come un palaz-zo costruito sull’argilla. Senza l’impegno, la concretezza,le capacità e la dedizione di tanti colleghi, non regge-rebbero servizi, dipartimenti, moduli. Non si rispettereb-bero gli impegni assunti in fase di bilancio.Di questo, però, non c’è compiuta consapevolezza da par-

di Annalisa Silvestro*

Il progetto degli infermieri per una sanità al servizio

dei cittadini Relazione introduttiva al XIII Congresso nazionale

della Federazione dei Collegi Ipasvi

* Presidente della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi

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te degli amministratori, da parte dei medici e degli altrioperatori, da parte dei cittadini. E a volte, lo dico con ram-marico, non c’è piena consapevolezza neanche da partenostra.Invece, lo ripeto, ho toccato con mano tante situazionidove l’intero sistema sanitario si reggeva sulle spalle de-gli infermieri. Ma c’è di più. In molti casi è proprio l’in-fermiere la figura professionale più idonea per assumeredirettamente la responsabilità di gestione di determina-ti servizi e settori. Penso ai distretti, ai servizi di assisten-za domiciliare, alle residenze sanitarie, a quell’insieme difunzioni connesse con la gestione del malato in ospeda-le: dall’accoglienza, al ricovero, alle dimissioni e al perio-do di convalescenza domestica. Ma penso anche a quegli snodi cruciali della vita sanita-ria, come la comunicazione interna, la gestione delle li-ste di attesa, il coordinamento delle attività multidisci-plinari, il controllo di qualità, i rapporti con i cittadini ecosì via, nei quali l’infermiere può e deve avere un ruoloprimario. Anche questi sono obiettivi concreti, giusti, ne-cessari che aprono a una visione manageriale della no-stra professione, che rappresenta senza dubbio uno deiprossimi grandi traguardi da raggiungere. A questo punto vi chiederete se tutto questo è possibile,se questi obiettivi potranno trovare attuazione domani enon tra vent’anni, se la realtà attuale del sistema sanita-rio italiano è tale da costituire l’humus adeguato per ve-derli sviluppare. La risposta non è univoca e richiede unopportuno approfondimento della politica sanitaria, enon solo sanitaria, di questi ultimi anni.

Dalla “riforma ter” al federalismo sanitarioL’analisi non può che partire da ciò che ha rappresenta-to, per il sistema sanitario italiano, il decreto legislativon. 229 del 1999, approvato nella precedente legislatura.Decreto più noto come “riforma ter” o ”riforma Bindi”.Abbiamo più volte ribadito come, al di là di alcune criti-cità, il 229 costituisca un opportuno, deciso richiamo aquelle logiche di universalità e solidarietà che avevanoispirato la prima riforma sanitaria del 1978. Detto questodobbiamo tuttavia constatare che il 229 sembra destina-to a una sorta di oblio attuativo, tant’è che qualche au-torevole membro dell’attuale maggioranza ha addiritturaparlato di una vera e propria “eutanasia legislativa” perquel provvedimento, tanto discusso quanto poco verifi-cato sul campo.Il precedente Parlamento, insieme al 229 e prima della fi-ne della legislatura, aveva approvato anche la riforma del

titolo V della Costituzione. La riforma di quel titolo del-la Costituzione ha introdotto significative modifiche agliassetti istituzionali della Repubblica e ha avviato il pro-cesso di trasformazione, in chiave federalista, dello Stato.La sanità, insieme ad altri importanti settori quali l’istru-zione, la tutela della salute dei lavoratori, la ricerca scien-tifica, le politiche ambientali, è stata inserita tra le mate-rie a “legislazione concorrente”. Le Regioni sono così sta-te poste in una condizione di pari potestà legislativa conlo Stato centrale. Con l’avvio del federalismo sanitario, sancito nell’accor-do Governo-Regioni dell’agosto 2001, la sanità italianaentra in una nuova fase di cui ancora oggi non sono deltutto chiare le prospettive in termini di uguaglianza deldiritto alla salute, di salvaguardia dei principi di solida-rietà legati al finanziamento e di uniformità nei modelliassistenziali tra una Regione e l’altra.Una situazione che ha già prodotto evidenti disomoge-neità, anche se per il momento limitate quasi esclusiva-mente all’assistenza farmaceutica, ma che teoricamentepotrebbe effettivamente portare a un sistema sanitariofortemente differenziato. E questo desta forte preoccu-pazione nell’opinione pubblica e nel mondo delle pro-fessioni sanitarie. Non a caso le professioni sanitarie han-no voluto dar vita a un Comitato di sostegno e rilanciodel Servizio sanitario nazionale, cui ha aderito anche l’I-pasvi.Con questo non vogliamo in alcun modo disconoscere lavalidità della scelta federalista. Riteniamo tuttavia che es-sa debba restare ancorata a una visione, dove le differenzerappresentano una ricchezza di esperienze da condivi-dere e sperimentare; non un fattore di radicalizzazionedelle diseguaglianze a tutto svantaggio delle realtà piùdisagiate del Paese. In tal senso riteniamo che vadano rafforzate e perfezio-nate le prerogative dello Stato centrale, attraverso i livel-li essenziali di assistenza e attraverso forme specifiche dicontrollo e verifica. E per una verifica “terza” e rigorosaè necessario un organismo super partes, che non può cheessere un’autorità nazionale: il Ministero della salute ol’Agenzia dei servizi sanitari regionali.Un’autorità nazionale alla quale occorre attribuire nuo-vi e più pregnanti poteri di monitoraggio, di intervento,di supporto e di sostegno nelle situazioni più delicate. In ogni caso gli infermieri italiani non hanno dubbi: ilServizio sanitario nazionale rappresenta una indiscutibi-le conquista di civiltà e di sviluppo per il Paese.Il Servizio sanitario nazionale ha dimostrato di poter esse-

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re anche elemento di unificazione e crescita del valore dicittadinanza, dal Nord al Sud della penisola, nelle Isole.Abbandonare tale via per tornare verso opzioni dove, nelcampo della salute, prevalga l’aspetto assicurativo rispet-to a quello di welfare, rappresenterebbe un pericoloso eingiustificato ritorno verso un sistema che ha lasciato die-tro di sé:• deficit colossali, • discriminazioni inaccettabili nei diritti tra una catego-

ria e l’altra di cittadini,• scarsa o nulla capacità di crescita in termini di know how

scientifico e professionale degli operatori.Cosa diversa è ventilare ipotesi di parziali aperture a for-me integrative di assistenza per taluni settori, come quel-lo della tutela degli anziani non autosufficienti o dei ma-lati cronici. Per tali settori, infatti, occorre effettivamen-te individuare soluzioni concrete, che non sembrano po-ter trovare sbocco nelle persistenti ristrettezze finanzia-rie del Servizio sanitario nazionale.Anche in questo caso, comunque, riteniamo che la logi-ca ispiratrice di tali nuove forme di organizzazione del-l’assistenza, debba essere sempre orientata nello spiritodella solidarietà contributiva, senza discriminazioni disorta tra i cittadini.

La sostenibilità del sistema e la sfida dell’appropriatezzaSarebbe tuttavia miope sviluppare l’analisi sulle attualitendenze e prospettive delle politiche in materia sanita-ria, senza affrontare le tematiche della spesa e del finan-ziamento del sistema e quindi della sua sostenibilità eco-nomica.Tali problematiche, dobbiamo riconoscerlo, hanno tro-vato sino ad oggi un’attenzione parziale da parte della no-stra professione. Ciò è conseguenza di un retaggio stori-co pesante che ha recluso per decenni il nostro operatoe la nostra iniziativa professionale nell’ambito circoscrit-to dell’azione categoriale.È chiaro che ognuno di noi, come operatore sanitario ecome cittadino, ha seguito sempre con attenzione la per-sistente emergenza finanziaria che ha contraddistinto l’in-tero arco esistenziale del Servizio sanitario nazionale. È mancata però la consapevolezza della necessità di scen-dere in campo direttamente nella ricerca di soluzioni eopzioni utili al governo delle risorse e alla corretta ge-stione delle stesse.Oggi, se vogliamo effettivamente agire da professionistidella salute, da primi attori nei gangli decisionali del si-

stema, da manager dell’assistenza sanitaria, non possia-mo che raccogliere in prima persona questa sfida, po-nendo sul tavolo tutta la nostra esperienza maturata inanni di sviluppo e di sperimentazione di nuove modalitàgestionali e organizzative.Penso che, per tradurre tale volontà in azioni concrete, siain primo luogo necessario riorientare il modo stesso di af-frontare il problema delle risorse e della loro penuria.Fino ad ora l’approccio al nodo della scarsità di mezzi fi-nanziari a fronte della crescita costante della domanda disalute, è stato nell’alternativa “più tasse o più tagli”. Il ri-sultato è stato quello di ridurre il grande tema del finan-ziamento della salute a un gioco ragionieristico finaliz-zato al mero pareggio dei conti a prescindere dai risulta-ti. Un approccio che ha trovato il suo periodo aureo neiprimi anni ’90 e la sua cornice legislativa nei decreti le-gislativi 502 e 517 che hanno dato il via alla cosiddettaaziendalizzazione del sistema.A distanza di dieci anni dobbiamo constatare che l’im-printing economicistico sotteso a quei provvedimenti hadi gran lunga prevalso su un approccio più complesso.Su un approccio, cioè, in grado di porsi l’obiettivo nontanto del mero pareggio a fine anno, quanto di una cor-retta gestione della domanda di salute, sulla base di pre-definite disponibilità economiche.Sembra un gioco di parole, ma tra le due logiche, quelladel pareggio a prescindere dal come e quella della sele-zione della domanda con lo strumento dell’appropria-tezza assistenziale, c’è un abisso di cultura e di modelligestionali.Con il decreto legislativo n. 229 e con il varo del primoprovvedimento legislativo sui livelli essenziali di assistenza,l’appropriatezza è entrata finalmente nel lessico del le-gislatore. Ora si tratta di applicare e realizzare l’appro-priatezza, cosa più facile a dirsi che a farsi. Ma è proprio a partire da questa nuova visione che la pro-fessione infermieristica può finalmente acquisire nuovefunzioni e offrire nuove opportunità al sistema.Non sono chiacchiere, care colleghe e cari colleghi. L’a-nalisi dei bilanci di decine di aziende sanitarie, dove so-no stati attuati nuovi modelli di gestione e nuovi schemifunzionali, affidandoli alla responsabilità primaria del-l’infermiere, mostra una straordinaria capacità di conte-nimento dei costi, unita a una crescita della soddisfazio-ne dei cittadini. Mi riferisco in primo luogo alla rete dei servizi territoria-li di filtro e alternativa al circuito ospedaliero, al serviziofarmaceutico, ma anche a diverse modalità di approccio

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interne alla vita dell’ospedale. I medici da tempo riven-dicano, giustamente, il cosiddetto “governo clinico” nel-le aziende sanitarie e ospedaliere. Ha scritto recentementeil segretario nazionale di un’importante associazione me-dica: “il processo di aziendalizzazione non può sottrarsialla necessità di reclutare le intelligenze professionali al-la mission aziendale intesa come il perseguimento di obiet-tivi istituzionalmente definiti – ossia fornire un serviziodi buona qualità – al di là della semplice logica del pa-reggio di bilancio, puro strumento e non fine ultimo delServizio sanitario nazionale”. Sottoscrivo pienamente quest’affermazione. Ma aggiun-go: cari medici pensate di potercela fare senza di noi?Pensate di poter tenere ancora in piedi il sistema con unagamba sola? Mi auguro e penso di no! Per questo ritengo siano maturi i tempi per una grandealleanza dei professionisti della salute. Una grande al-leanza in primo luogo tra medici e infermieri, per supe-rare definitivamente quella che è in molti casi una vera epropria direzione solitaria, a favore di una piena assun-zione di ruoli e responsabilità direttive e gestionali, conun ruolo di primaria importanza per la professione in-fermieristica.

Dall’ospedale al territorio: una scelta irrinunciabile e non rinviabileIn questa prospettiva, riteniamo siano maturi i tempi peravviare quel profondo processo di razionalizzazione del-la rete sanitaria che favorisca, a sua volta, lo sviluppo del-la rete dei servizi territoriali in tutte le Regioni italiane.Fino ad oggi, nonostante diversi tentativi, solo in pocherealtà del Paese si è arrivati vicini al giusto equilibrio trale due grandi reti del sistema. Nella maggior parte dei ca-si, laddove nell’opera di razionalizzazione ha prevalso an-cora una volta la logica del risparmio e del taglio dei co-sti fine a se stessa, la società civile, ma anche il mondodelle professioni, ha opposto resistenza.Creare la rete dei servizi territoriali non può essere tra-dotta nella semplice chiusura di un ospedale piccolo eantiquato. Perché in una comunità ristretta quel presidiorappresenta comunque una ricchezza, una sponda di se-renità, di fronte alla malattia.Prima di chiudere occorre “aprire”:• aprire i distretti, • aprire i Centri di salute mentale sul territorio, • aprire l’assistenza domiciliare, • aprire le residenze sanitarie, • aprire gli hospices.

Occorre creare la rete di comunicazione e interazione traservizi diversi, impegnarsi sulla continuità assistenziale,sostenere le sinergie tra risorse e professionalità e crea-re, quindi, nuove linee di sviluppo dei servizi e non unaloro costrizione. Fare rete, agire nella logica della rete significa, infatti, farsì che la persona sia finalmente e veramente il centro diun sistema che offre la risposta giusta e appropriata inogni momento. La straordinaria ricchezza rappresentatadai 320 mila infermieri italiani può diventare, in questosenso, lo strumento risolutivo per la creazione di un nuo-vo modello di sanità strutturato sulla centralità del citta-dino e sull’appropriatezza delle cure. Un sistema che siintegra appieno:• con la nuova logica federalista, • con la possibilità di modellare e plasmare il proprio ser-

vizio sanitario,• con la ricerca di armonie con le proprie peculiarità so-

ciali, economiche e territoriali.Un sistema che rende fattibile un’articolazione dei servi-zi finalmente mirata e personalizzata sull’identikit dell’u-tenza cui ci si rivolge.

Il percorso della professione: la conquistadell’autonomia e le nuove sfide per il pienoriconoscimento del ruolo infermieristicoSe oggi siamo in grado di porre questi obiettivi all’ordi-ne del giorno della nostra agenda professionale, lo si de-ve alle conquiste ottenute dalla categoria in questi ulti-mi anni. Con la legge n. 42 del febbraio1999, è finalmentecrollato il nostro “muro di Berlino”; un muro che ci ave-va chiuso per decenni nell’angolo di una funzione ausi-liaria, regolamentata minuziosamente in un mansionarioche ha tarpato le ali alla nostra vera identità. La caduta di quel muro ha consentito il fiorire di una sta-gione di iniziative professionali culminata con la legge n. 251dell’agosto 2000, che ha sancito la conquista della diri-genza e ribadito il nuovo corso di studi universitari ne-cessario al conseguimento dell’abilitazione professiona-le. Oggi siamo professionisti, autonomi, con possibilità dipercorso di carriera specifico fino alla dirigenza e alla do-cenza.Il bilancio di questa stagione di impegno forte non puòpertanto che essere positivo. Ma, lo evidenziavo all’inizio,restano ancora molti passi da compiere. Passi per il rag-giungimento di un nuovo status della professione cheponga l’infermiere italiano in linea con l’evoluzione pro-fessionale attuata dai colleghi in altre nazioni.

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Dobbiamo ancora e fortemente investire nella valorizza-zione della professione per richiamare i giovani verso l’ac-quisizione della laurea in infermieristica e quindi: • perché si comprenda la necessità che siano infermieri

a formare i futuri infermieri e coloro che infermieri losono già,

• perché sia evidente che l’assistenza non può che esse-re governata da coloro che ne sono responsabili ancheper legge: gli infermieri,

• perché sia evidente e apprezzata un’assistenza infer-mieristica di qualità,

• perché i cittadini comprendano sempre di più che èl’infermiere il professionista sanitario che è costante-mente vicino a loro, 24 ore su 24, in ogni luogo, in ognisituazione e sempre con competenza ed empatia;

• per compiere una decisa accelerazione nelle politicheche favoriscono lo sviluppo di una rete capillare di op-portunità formative per lo sviluppo delle scienze infer-mieristiche;

• per attivare collaborazioni con le regioni, le aziende sa-nitarie, le società scientifiche e le istituzioni pubblichee private per garantire la realizzazione e la promozionedell’Educazione continua in medicina (Ecm). A tal pro-posito ricordo che abbiamo ottenuto l’inserimento diun nostro rappresentante nella Commissione naziona-le di Educazione continua in medicina del Ministerodella Salute;

• per rafforzare il ruolo dei Collegi quali garanti primaridella corretta individuazione delle diverse tipologie difabbisogno formativo, della qualità dei contenuti e del-la certificazione dell’acquisizione dei crediti Ecm;

• per implementare la ricerca infermieristica, consoli-dando e rafforzando i rapporti con istituzioni, associa-zioni e società scientifiche italiane ed estere;

• per diffondere il pensiero della professione sui temi eti-ci e deontologici, affinché l’intera società possa con-frontarsi su problemi e dilemmi rilevantissimi. Cosa chesarà indubbiamente facilitata dall’inserimento della no-stra professione nel rinnovato Comitato nazionale dibioetica;

• per mantenere un costante e sistematico stimolo per ilraggiungimento di adeguati, concordati e omogenei li-velli di assistenza infermieristica;

• per ottenere la definizione di un non più rinviabile prov-vedimento programmatorio per il raggiungimento, intutto il sistema sanitario italiano e in tempi certi, di pre-definiti standard assistenziali infermieristici;

• per avviare, da subito, il confronto con il Ministero del-

la Salute, con le Regioni e con il Ministero dell’Univer-sità, al fine di individuare gli ambiti per un nuovo ruo-lo della professione. Un ruolo, distribuito su diversi li-velli e declinato:

• sul terreno dell’assistenza generale e specialistica,• sul terreno della dirigenza di strutture semplici e com-

plesse,• sul terreno della direzione strategica e del governo dei

processi di assistenza,• sul terreno della docenza universitaria e dei dottorati

di ricerca, • per l’attivazione della Facoltà di Scienze infermieristi-

che;• per sostenere una significativa revisione dell’istituto

contrattuale, ancora troppo in ritardo sia sugli aspettinormativi sia su quelli economici, rispetto all’evoluzio-ne della professione infermieristica. Devono essere ne-cessariamente ridefinite le modalità di sviluppo di car-riera, sia nell’ambito delle funzioni assistenziali di basee specialistiche, sia nell’ambito delle funzioni manage-riali, declinate su due livelli di dirigenza.

I nuovi scenari di politica sanitariaPer tutti i quindici mesi di vita dell’attuale Governo, la sa-nità è stata spesso al centro del dibattito e delle polemi-che all’interno e all’esterno del Parlamento. Da quelle sul-la spesa farmaceutica e sui ticket, a quelle recentissimesulle nuove mutue. Per non dire anche della storia infi-nita sulle liste di attesa o sulla libera professione dei me-dici. Una storia infinita che dovrà confrontarsi con un’al-tra storia: quella della libera professione infermieristica,di cui si dovrà pur parlare!!!A fronte di tanto attivismo mediatico e di tanta verve po-lemica, bisogna tuttavia riconoscere che non si registraun’altrettanto vivace attività legislativa. Il bilancio di unanno e poco più di governo fa registrare, infatti, solo duesignificativi provvedimenti: quello del novembre del 2001,contenente i livelli essenziali di assistenza da garantire sututto il territorio nazionale, e la legge n. 1 del 2002, al-trimenti nota come la legge sull’emergenza infermieri-stica.Per il resto il Governo non si è ancora espresso con evi-denza e chiarezza sulla via da intraprendere per il rilan-cio dell’assistenza sanitaria.Anche in vista della prossima legge finanziaria, il dibatti-to estivo si è avviluppato sulla questione dell’emergenzaeconomica che sta attanagliando il Paese. E tutto lasciasupporre che assisteremo a un braccio di ferro tra i fau-

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tori di un robusto taglio alla spesa sanitaria e i sosteni-tori della necessità di mantenere i patti con le Regioni,garantendo l’incremento delle risorse per il Ssn. Appa-rentemente nulla di nuovo sotto il sole, rispetto alle sto-riche e abituali trattative tra ministri, da sempre svilup-patesi in vista delle leggi finanziarie. Tutto come sempre, dunque? Un vecchio proverbio, chea dire il vero non amo neanche troppo, mi sembra dices-se che “a pensar male non si sbaglia mai”. Confesso chemi è tornato spesso in mente in questi ultimi tempi quan-do sento parlare, con troppa e reiterata enfasi, che in que-sto Paese si spende troppo per la sanità, ci sono troppisprechi, manca la concorrenza, serve più efficienza, il Ssnè un vecchio carrozzone da buttare e via di questo passo.Spesso osservazioni come queste, oltretutto, non vengo-no supportate da dati e analisi e dalla contestuale illu-strazione di un progetto alternativo. Testimoniano quin-di un diffuso e trasversale sentimento di insofferenza ver-so un sistema sanitario che, seppur con le difficoltà e ledisomogeneità che ancora lo caratterizzano, ha consen-tito all’Italia di compiere passi avanti straordinari nellepolitiche di tutela della salute.Eppure … se spostiamo l’attenzione dal centro della po-litica nazionale alle tante realtà locali scopriamo che nel-le 20 Regioni italiane non si respira la stessa aria e la stes-sa visione di sanità.Dall’esame dei primi piani sanitari varati in coincidenzao dopo la riforma federalista, si scopre che lo spettro diuna sanità a 20 velocità sta assumendo, repentinamente,i contorni della realtà. L’abbiamo già affermato. Non ci spaventano le differenze, né i possibili diversi ap-procci per la soluzione dei tanti problemi della sanità.Quello che ci spaventa è questa sconcertante corsa al-l’autarchia regionale, che rischia di creare disorienta-mento e disparità tra i cittadini e disagio tra gli operato-ri. Infatti:• una cosa è la previsione di un grande laboratorio di

esperienze da maturare nelle varie realtà, da porre co-stantemente a confronto per verificare le diverse op-zioni e le relative performance – il famoso benchmarking

– mantenendo però una visione comune sugli obietti-vi e sui diritti di accesso al sistema;

• una cosa è la realizzazione di una totale autonomia re-gionale, che impegni le regioni al solo vincolo di ga-rantire, comunque, una qualche forma di copertura sa-nitaria ai propri cittadini, staccandosi però completa-mente da qualsiasi quadro di riferimento e confrontocon il resto del Paese.

Il rischio che si rafforzi questa ultima ipotesi c’è, e perevitarla non bastano le dichiarazioni di fedeltà e di nonsmantellamento del Ssn, esternate da tanti autorevoli per-sonaggi. Occorre che l’attuale impianto federalista, sca-turito dalla riforma del titolo V della Costituzione, siacompletato con l’individuazione chiara di quegli ambitidi interesse nazionale ove è necessario che lo Stato man-tenga il suo potere di controllo e vigilanza. E la sanità èuno di questi ambiti.Tornando all’esame delle linee di intervento sulla sanitàpreviste nel Dpef, non è sfuggita l’attenzione posta al pro-blema delle persone anziane non autosufficienti e dei ma-lati cronici. Si tratta di due realtà esponenzialmente in crescita in tut-ti i Paesi avanzati e con le quali sarebbe assurdo non fa-re i conti il prima possibile. La soluzione ventilata nel Dpefè quella dell’avvio di forme mutualistiche integrative e/osostitutive, sulle cui caratteristiche ancora non esiste undocumento di proposta ufficiale. In attesa di conoscere icontenuti organici della proposta del Governo, sempreche essa non sia, come già detto, rinviata sine die o riti-rata, registriamo la controproposta dell’opposizione perl’istituzione di un fondo apposito per l’assistenza agli an-ziani e ai malati cronici da finanziare attraverso la fisca-lità generale, mantenendo i nuovi servizi di assistenza sot-to l’egida del Ssn.Ambedue le ipotesi meritano rispetto e attenzione:• quella governativa, che al di là dei dettagli operativi sem-

bra aprire a una visione complementare delle nuove mu-tue,

• quella dell’opposizione, per un arricchimento delle ri-sorse pubbliche per fronteggiare l’emergenza terza età.

Anzi ritengo che, per la prima volta dopo tante e spessosterili polemiche, il Paese abbia l’occasione di interro-garsi, in modo trasparente, su quale modello di sviluppodel welfare sanitario ci si voglia orientare.Per parte nostra ribadiamo che:• l’ipotesi di un fondo straordinario a natura fiscale ci tro-

va favorevoli, • che è dubbia la reale attivazione di tale fondo stante la

più volte reiterata volontà di ridurre e non aumentareil carico fiscale delle famiglie,

• c’è disponibilità degli infermieri a ipotesi alternativepurché restino ancorate a logiche di universalità e so-lidarietà.

Per quanto riguarda le politiche di finanziamento del si-stema sanitario, pensiamo che sia tempo di abbandona-re, una volta per tutte, quella visione economicistica del-

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la sanità da cui discende una concezione della spesa sa-nitaria, quale mero elemento di aggravio sui conti delloStato. In un Paese avanzato, con un’economia forte a livello mon-diale e con un grado di civiltà dei diritti alto, qual è l’Ita-lia inserita nell’Unione Europea, sono maturi i tempi perconsiderare il comparto sanitario un grande e straordi-nario fattore di ricchezza e di sviluppo. Sono consapevo-le che ciò non potrà essere preso in considerazione inquesta stagione finanziaria per i ben noti motivi interna-zionali e nazionali, ma è auspicabile che sia avviato, sind’ora, un vero e proprio sforzo di analisi progettuale fi-nalizzato a porre le basi per un grande piano straordina-rio di investimenti e rilancio del comparto.Il sistema sanitario rappresenta, infatti, un patrimonio diuomini, tecnologia, servizi, strutture e infrastrutture, in-dustrie e know how tale, da fare della sanità il settore pub-blico a più alto impatto economico, occupazionale, di in-novazione e valenza sociale del Paese. Non cogliere taleelemento, avviando una seria politica di investimento epotenziamento della rete di assistenza e del network di ser-vizi ad essa correlata, sarebbe un grande errore e una im-perdonabile occasione mancata.

Quale sanità nell’Italia federalista ed europeaA fronte di queste opzioni, del resto già avviate con suc-cesso in altri Paesi dove la sanità viene giustamente con-siderata tra i settori del terziario avanzato a più alta pro-duttività e redditività, dobbiamo constatare come il li-vello del dibattito e dell’analisi sul terreno delle possibi-li strategie per il futuro della sanità italiana resti inchio-dato su binari morti. Non penso sia un problema di ca-pacità, né di mancanza di esperienza. Anche da noi, for-tunatamente, esistono molte realtà che hanno già tra-sformato il servizio sanitario locale in un’azienda etica adaltissimo valore economico e sociale. Il problema è chemanca il “cuore”; il cuore e la passione. E con essi, quelsentire comune, quella forza sociale e politica che uni-sce, dà fiducia, spinge al cambiamento e al miglioramen-to delle cose.La classe medica demotivata da anni di stagnazione pro-fessionale, nei quali non è riuscita a dare valore a una vi-sione diversa e nuova del medico, bloccata nella ricercadella razionalizzazione, dell’evidenza e della qualità, dalcontinuo arrivo di nuovi medici a cui trovare un’occupa-zione (non dobbiamo dimenticare che siamo la nazioneeuropea con il più alto numero di medici per abitante) eimpegnata nel superamento di un’eccessiva frammenta-

zione interna, pur essendo una fra le principali arterie delsistema sanitario, langue, non ha spinta, non entusiasmae non coinvolge.I manager della sanità vivono da anni una sofferenza in-terna tra il sentirsi portatori di nuovi valori – quelli del-l’efficienza, dell’impresa, della competitività – e il con-statare come tali valori e le relative competenze, poco onulla riescono a muovere nel grande pianeta del Ssn.Per contro, dobbiamo registrare che negli ultimi anni lasanità ha conquistato un ruolo primario nell’ambito deldibattito e dello scontro politico. Sia a livello locale chenazionale, essa occupa ormai un posto di primo piano neiprogrammi elettorali di tutti gli schieramenti. Manca pe-rò, anche in questo caso, una spinta vera, forte, convinta,per far crescere attorno al proprio progetto il necessarioconsenso e l’indispensabile condivisione tra i cittadini egli operatori del settore. I recenti casi, che hanno porta-to la gente in piazza, in Puglia e in altre Regioni control’ipotesi di chiusura dei piccoli ospedali, sono una sem-plice ma utile conferma di quanto sto sostenendo. Pri-ma di chiudere, bisogna aprire. Prima di tagliare, occor-re investire. Per trasformare l’attuale assetto del sistema sanitario ita-liano, ancora troppo ospedalocentrico, non si può inter-venire con l’accetta, senza aver prima costruito il con-senso su un progetto che dimostri nei fatti di essere mi-gliore dell’attuale. Su questo piano centro e periferia delPaese compiono spesso gli stessi errori. Per la sanità, co-me per l’istruzione o la previdenza e per tutti gli altri set-tori dove l’interesse che si tocca è quello primario dellepersone, la politica deve riappropriarsi del suo ruolo an-tico che è quello della discussione, del coinvolgimento,della effettiva rappresentanza della società in cui si viveed opera.Oggi, la politica – anche la nostra politica – deve riusci-re a produrre idee e proposte forti e coinvolgenti. Ci siavviluppa, senza costrutto, su aspetti specifici, anche dram-matici, come possono essere le liste di attesa troppo lun-ghe, ma certamente non tali da caratterizzare tutto un si-stema sanitario. Basti pensare che un Paese modello, adesempio, come l’Olanda il cui sistema sanitario è statospesso citato a paradigma della buona sanità, ha nelle li-ste d’attesa il suo punto di crisi maggiore. In quel casonon si è stati mai tentati di buttare il bambino insiemeall’acqua; si è studiato il caso, si sono sperimentate le so-luzioni. Da noi, una lista d’attesa eccessiva diventa moti-vo di messa in discussione di tutto il sistema e, cosa ve-ramente grave, senza proporre valide e compiute alter-

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native. Insomma: medici in crisi d’identità, manager so-praffatti da regole e finalità diverse, politici ricchi di pro-messe e ingarbugliati nella loro realizzazione.Serve un colpo d’ala. Noi infermieri riteniamo di poter essere il soggetto, la for-za professionale e umana in grado di dare questa spinta.Per riaccendere la classe medica, per riportare l’agire delmanager sul terreno della vera mission di un sistema sa-nitario, per inchiodare i politici di fronte ai loro impegnie alle loro responsabilità.Perché proprio noi? • perché siamo, siete entusiasti del nostro lavoro, • perché siamo, siete motivati a cambiare lo stato delle

cose per noi e per gli altri,• perché stiamo crescendo e vogliamo ancora crescere, in

ruolo, in responsabilità, in soddisfazioni, in visibilità.Mi rendo conto di fare affermazioni forti, che potrebbe-ro essere ritenute ai confini della presunzione. Ma pensoche è giunto il momento di dirle queste cose, di farle usci-re dalle nostre riunioni interne, dalle conversazioni chefacciamo tra di noi quando vediamo le cose andare malee non ne possiamo più.Detto questo, e chi ci conosce lo sa bene, non siamo népazzi né velleitari, non pensiamo di poter cambiare il mon-do da soli. I medici, ma anche gli altri operatori, i man-ager, i politici, i funzionari delle Regioni e del Ministerodella Salute, le industrie produttrici di farmaci e tecno-logie, gli scienziati e, prima di tutti, i cittadini sono gli al-tri attori indispensabili per il cambiamento. Ma serve ap-punto una spinta. E quella spinta pensiamo di poterla da-re noi, ponendoci il compito di entrare nella stanza deibottoni del sistema e dimostrando nei fatti che le cosepossono cambiare.

La sanità che vorremmoCambiare, ma in quale direzione? Penso di aver già sot-tolineato diverse volte che la nostra visione di sanità co-incide con l’esistenza di un servizio sanitario nazionale:• basato sulla solidarietà fiscale;• sull’uguaglianza dei diritti per i cittadini, indipenden-

temente dal reddito, dall’anagrafe e dalla residenza.Quando usiamo il verbo “cambiare”, non intendiamo unamodifica dell’impianto del sistema ideato con la legge diriforma del 1978, quanto un’assunzione di responsabili-tà da parte di tutta la Nazione per attuare finalmente quel-le soluzioni mirate al superamento delle disfunzioni, del-le disuguaglianze e delle arretratezze ancora presenti inlarga parte del territorio italiano. Il federalismo, in que-

sto senso, può diventare lo strumento principe per snel-lire decisioni e svincolare finanziamenti e risorse, da trop-pi passaggi burocratici. Il tutto al fine di consentire allesingole realtà locali, di compiere quei passi avanti versouna decisa ristrutturazione del proprio Servizio sanitario.Occorre però, che sia mantenuta una visione unitaria,una regia comune che consenta di confrontare e scam-biare esperienze, errori, successi. Occorre anche, abban-donare sul nascere quella pericolosa tendenza “dell’o-gnuno per sé”, che porta più allo scontro, che al sereno enecessario mix di soluzioni da adottare per risolvere pro-blemi comuni in situazioni differenti. Quello che ci at-tendiamo, da parte dello Stato centrale, del Governo e delParlamento, è una presa d’atto della volontà della stra-grande maggioranza degli italiani di avere un servizio sa-nitario efficiente, moderno, con pari diritti e modalitàd’accesso ai servizi, nella convinzione che, se saremmo ingrado di dare tutto ciò, avremo anche l’appoggio dei cit-tadini per aumentare gli investimenti e le risorse da de-stinarvi.Senza questa rivoluzione non è pensabile, nelle condi-zioni attuali, di chiedere dibattito, sostegno e collabora-zione per la sanità. La gente è disposta a pagare di piùper la tutela della salute, ma a patto di avere un serviziomigliore e al passo con le aspettative oggi offerte dallascienza e dall’innovazione scientifica e terapeutica.Al Governo, allora, proponiamo di abbandonare quellasorta di ambiguità sul futuro del Ssn, sposando altresì lamission di rilanciarlo e di farne un fiore all’occhiello del-l’Azienda Italia. Come ho già sottolineato, da tale investi-mento potranno addirittura nascere nuove opportunitàeconomiche e occupazionali, facendo finalmente dellasanità non un mero fattore di spesa per la collettività, maun elemento portante dello stesso sviluppo complessivodel Paese.In questo straordinario impegno, che ha tutti i crismi peressere inserito in quel piano delle grandi opere di cui tan-to si parla, gli infermieri italiani sono pronti a fare la lo-ro parte assumendosi carichi nuovi e importanti nella ge-stione e nell’organizzazione dei servizi assistenziali, neidiversi ambiti di competenza della nostra professione.Così operando sarà anche possibile sperimentare nuovemodalità gestionali e organizzative in uno spirito di ri-cerca del meglio, a partire dalla definizione di precisi tra-guardi da raggiungere nel segno dell’appropriatezza del-le cure e della umanizzazione.Fantascienza? No! Si tratta di una via possibile, già intra-presa in tante piccole situazioni, che ha bisogno però di

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una spinta decisa per diventare la via maestra da seguiretutti insieme.

La centralità della Federazione per una politica delle alleanzeTra tre anni festeggeremo il cinquantenario della nasci-ta dei Collegi. A ripercorrere le tappe di questi 47 annidi attività – alle quali è dedicato un bel dossier nel no-stro giornale – ci si emoziona. Pensate: nel 1956, alla fine del primo anno completo diattività della Federazione, le iscritte – all’epoca la nostraprofessione era un’esclusività delle donne – erano menodi 24 mila. Oggi siamo quasi 325 mila. Basta questo datoper farci riflettere sull’importanza crescente che ha as-sunto la figura dell’infermiere, nel panorama della sanitàitaliana. È stata una crescita progressiva, costante, senza un annodi picco particolare. In altri termini siamo cresciuti in-sieme al nostro Paese e alle sue esigenze di tutela dellasalute. Esigenze ancora non soddisfatte appieno, se si con-sidera che sono circa 40 mila gli infermieri mancanti al-l’appello, per stare in linea con gli standard internazio-nali. Ma un dato è certo: la nostra è una professione or-mai consolidata, indispensabile al funzionamento del si-stema e sempre più cosciente del suo livello di professio-nalità e autonomia.Senza la nascita dei Collegi in quel lontano 1955, proba-bilmente tutto questo non sarebbe accaduto, o comun-que non vi sarebbe stata una crescita consapevole e “au-togestita” come quella registrabile dagli annali storici del-la nostra Federazione.In tutti questi anni, infatti, i Collegi e la loro Federazionehanno rappresentato una sorta di faro a indicare il cam-mino e le strategie da seguire. Una luce che abbiamo con-tribuito da soli a tenere sempre accesa, per offrire una“nostra” chiave interpretativa e propositiva nei confron-ti della continua evoluzione della sanità: dalle mutue al-la nascita del Ssn, fino ad oggi.L’esistenza di un’aggregazione professionale stabile, isti-tuzionale, democratica è infatti una delle chiavi che ci hapermesso di essere sempre più presenti nei gangli deci-sionali del sistema, con un ruolo sempre più significativo.Ma, e qui c’è la risposta ai tanti che vorrebbero cancella-re la presenza degli Ordini e dei Collegi o quantomenoridimensionarla nei compiti e nel ruolo, noi non siamomai stati una corporazione. Non abbiamo mai antepostoil nostro punto di vista e i nostri interessi a quello che ri-mane il nostro compito primario: garantire il cittadino

sul fatto di poter contare su un professionista preparato,onesto, capace di rapportarsi con il paziente e in gradodi rispondere all’evoluzione della domanda di salute del-la popolazione.Ogni nostra azione è ispirata da questa finalità: • è stato così con l’apertura della professione agli uomi-

ni nel 1971, • è stato così due anni dopo, quando è stato sottoscritto

l’Accordo europeo sull’istruzione e la formazione, • è stato così nel 1974, quando iniziò la ridefinizione del

nostro esercizio professionale, • è stato così nel 1999, con l’abolizione del mansionario

e con la conseguente offerta al Paese di un infermieredotato di autonomia professionale per un migliore e piùsignificativo rapporto con l’assistito,

• è stato così nell’impegno per la laurea, la docenza e ladirigenza affinché i nostri concittadini possano conta-re su infermieri altamente preparati e sostenuti da un’or-ganizzazione centrata sulla persona assistita.

Oggi siamo di fronte a nuove e importanti sfide: • la razionalizzazione del Ssn, • il miglioramento della qualità dei servizi,• l’emergenza anziani, • la proiezione dell’assistenza nel territorio,• l’attivazione dell’infermiere di famiglia,• l’applicazione territoriale delle norme sulla dirigenza, • il consolidamento dei nuovi modelli formativi, • l’implementazione del processo di Ecm, • i nuovi contratti.Tra tutte, tuttavia, ve ne è una che, da sola, dovrà assor-bire grandi energie: la sfida del federalismo. E proprio nella prospettiva del federalismo la Federazio-ne Ipasvi, nella veste di rappresentanza professionale na-zionale e di garanzia del cittadino, ha il dovere di:• far mantenere predefiniti livelli di qualità professionale, • orientare all’etica e alla deontologia professionale,• sostenere le associazioni professionali per lo sviluppo

della cultura e delle scienze infermieristiche,• garantire curricula formativi omogenei.Non accetteremo mai, perché ciò rappresenterebbe unagrave lesione degli stessi diritti costituzionali dei cittadi-ni e degli operatori, che si sviluppino spirali di autono-mia decisionale a livello locale nel campo della forma-zione, delle regole professionali e della gestione dei pro-cessi assistenziali.I Collegi e la Federazione Ipasvi avranno, pertanto, qua-le compito prioritario:• quello di accompagnare, nella sanità, il processo fede-

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ralista, stroncando qualsiasi tentativo o scorciatoia vol-to a minare l’unitarietà della professione;

• quello di favorire lo scambio delle esperienze che sca-turiranno dal decentramento;

• quello di sostenere diversificate opzioni organizzativeaffinché vi sia un reale miglioramento dell’assistenzanell’intero Paese.

Per far questo riteniamo di non dover agire da soli. Oc-corre tessere e consolidare una rete di alleanze che siaprodromica alla realizzazione di un polo stabile di riferi-mento per quanti credono nella necessità di manteneree potenziare un sistema di welfare sanitario moderno, ef-ficiente, equo e solidale.Ho già accennato alla nostra adesione al Comitato “Soli-darietà e Salute” con medici, veterinari, biologi, cittadi-ni. È stata un’esperienza importante che ha consentito diavvicinare migliaia di persone a temi difficili, come quel-lo della sostenibilità economica del sistema sanitario odella valenza di un sistema sanitario nazionale.Su questa linea riteniamo siano maturi i tempi anche pernuove alleanze; ad esempio con il mondo delle impresefarmaceutiche e delle tecnologie sanitarie, per studiareinsieme diverse modalità di erogazione del farmaco o diacquisizione di nuove apparecchiature.Alleanze che sappiano coniugare esigenze diversificate –quella di fare profitto da parte dell’impresa e quella di con-tenere i costi da parte del Ssn – senza intaccare il livellodi assistenza e la qualità delle prestazioni ai cittadini.Ulteriori e significative esperienze sono, poi, quelle as-sunte dalla Federazione in settori e campi fino ad oggipoco esplorati dal mondo infermieristico, come quellodell’etica della scienza, testimoniate, come dicevo pre-cedentemente, dal nostro ingresso ufficiale nel Comita-to nazionale di bioetica presieduto dal professor D’Ago-stino.

Importante, ancora, è consolidare e istituzionalizzare ilrapporto con il Governo, il Parlamento e le Regioni tro-vando le sedi opportune per un confronto permanente. E infine il sindacato. Negli ultimi anni abbiamo assisti-to al nascere di nuove forme di associazionismo profes-sionale a carattere sindacale che hanno affiancato, so-prattutto in sede locale, la tradizionale rappresentanzadel sindacato confederale. La Federazione ha seguito que-ste nuove espressioni di tutela degli interessi categoria-li. Con tutti i soggetti sindacali la Federazione manterràcontinui e trasparenti rapporti di collaborazione, affin-ché nell’ambito delle diverse norme contrattuali, sia sem-pre rispettato quanto previsto dall’evoluzione normati-va, organizzativa e funzionale della professione infer-mieristica. In altre parole, non c’è mai stato, non c’è enon avrebbe senso ci fosse l’idea di una “concorrenza”tra Collegi e Organizzazioni sindacali, siano essi confe-derali o categoriali. Il rapporto continuerà a caratteriz-zarsi per la stretta collaborazione intellettuale, profes-sionale e conoscitiva nel rispetto delle diverse preroga-tive di rappresentanza.Già nel titolare il nostro XIII Congresso nazionale abbia-mo reso evidente ciò che vogliamo fare ed essere comegruppo professionale adesso e nel prossimo futuro. L’o-rizzonte a cui tendiamo è impegnativo, emozionante, ca-rico di suggestioni e di forti progettualità: le nuove fron-tiere della salute sono qui, di fronte a noi.Le raggiungeremo tutti, insieme come sempre; le rag-giungeremo e poi… di nuovo le supereremo.Avanti dunque, con forza, volontà, creatività ed emozio-nalità: per un futuro di impegno etico, professionale e po-litico.Per i nostri concittadini, per tutti noi e perché l’infer-mieristica italiana diventi un significativo riferimento perl’intera Unione europea.

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Alcuni datiSono 325 mila gli infermieri: impegnati nel Servizio sa-nitario nazionale e nel privato, con un rapporto di lavo-ro dipendente e libero professionale, in tutti i possibilicontesti di salute e di malattia, con una formazione uni-versitaria e un profilo definito.Gli infermieri sono una risorsa autonoma e responsabi-le sul piano giuridico, formativo e dell’esercizio profes-sionale. Una risorsa indispensabile, incontestabilmente.Ma è necessario ancora uno sforzo per concretizzare l’ef-fettiva responsabilizzazione e il pieno riconoscimento eco-nomico e diventare riferimento primario nell’attuazionedi qualsiasi politica di sviluppo come pilastro portantedel Sistema sanitario nazionale.

Alcune domandeQuali sono i nodi critici che la risorsa infermieristica staaffrontando oggi? Quale contributo originale può offri-re per la salute dei cittadini?Quando si discute di “risorse” sono due le prospettiveemergenti: • risorsa come qualcosa che manca; • risorsa come ricchezza. Proprio attorno a queste due dimensioni gli infermierivogliono presentarsi come risorsa critica del Servizio sa-nitario nazionale ma portatrice di una grande ricchezza.

La criticità della risorsa: la carenza di infermieriLa professione infermieristica è numerosa, ma non ab-bastanza da riuscire ad affrontare la domanda di assi-stenza, in crescita esponenziale. Mancano 40 mila infer-mieri e forse di più. Molti ospedali oggi reggono a faticacon pochi infermieri; numerosi distretti, residenze sani-tarie, non sono stati attivati o lavorano in condizioni diinsicurezza proprio perché non hanno abbastanza infer-mieri. Molti infermieri si trovano nella condizione di af-frontare tutti i problemi dei pazienti senza poter attivare

la consulenza di altri più esperti. Le competenze attese alloro primo giorno di lavoro sono, in alcune circostanze,uguali a quelle richieste a un infermiere esperto; ma an-che gli esperti fanno fatica a differenziarsi perché la ca-renza rischia di appiattire molto le eccellenze proprio per-ché impegnate nella compensazione delle difficoltà quo-tidiane. La carenza è uno dei nodi più attuali della risorsa infer-mieristica: il problema sul quale negli ultimi anni si è di-battuto di più e che ha un peso importante sulla vita diun infermiere che gestisce o che è impegnato nella cli-nica. Essere in pochi significa dover fare le cose male, più infretta, rinunciare ad alcune dimensioni centrali del nurs-ing come la presa in carico e la personalizzazione del-l’assistenza, per garantire il minimo possibile a tutti. Si-gnifica lavorare in condizioni difficili, aumentare il rischiodi errore, provare il desiderio di andarsene dalla profes-sione o, in alcune circostanze, la fatica a rimanerci. Si-gnifica correre il rischio di entrare in circoli viziosi chescoraggiano i giovani a entrare in una professione cheipoteca le giornate libere e i riposi. Essere in pochi si-gnifica vivere il peso e la fatica di tante decisioni da as-sumere nello stesso momento per il carico eccessivo dipazienti assistiti; gestire il conflitto tra ciò che si dovreb-be fare e ciò che si riesce a fare, tra ciò che si potrebbefare e quello che invece è consentito fare.La carenza infermieristica è ormai mondiale. Gli infer-mieri americani hanno stimato una carenza di 400 milainfermieri nel 20201. Il reclutamento di giovani è giudi-cato insufficiente e progressivamente in riduzione in tut-ti gli Stati avanzati2; diventa sempre più difficile tratte-nere a lungo nel tempo gli infermieri assunti per imple-mentare e gestire cambiamenti. La popolazione infer-mieristica sta invecchiando e gli Stati che registrano unaetà media di 45 anni, sono allarmati per l’imminente dif-ficoltà di garantire turni di assistenza sulle 24 ore. Tra lecause più importanti, al di là della paga, sono indicati l’in-

di Alvisa Palese*

La risorsa infermieristica nel Servizio sanitario nazionale

* Dirigente e docente di Scienze infermieristiche, Corso di laurea per infermieri, Università degli Studi di Udine

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L A R I S O R S A I N F E R M I E R I S T I C A 15

soddisfazione del lavoro e le numerose opportunità dicarriera offerte alle donne in altri contesti lavorativi, mol-to più responsabilizzanti e premianti di quelle offerte agliinfermieri3.In Italia la carenza è più concentrata al Centro-Nord cheal Sud, ma questo ha un impatto su tutto il Paese: la mi-grazione degli infermieri del Sud verso altre Regioni perpoter lavorare con la speranza di ritornare nella propriacittà di origine; gli infermieri del Nord continuano a per-dere colleghi di lavoro perché dopo un breve periodo, sispostano verso casa, al Sud. Gli standard assistenziali inalcune realtà, come le medicine e le chirurgie per acuti,non sono buoni: ogni infermiere gestisce 20-30 pazien-ti, se non più. Tutto il mondo si trova a gestire una ca-renza drammatica di infermieri ma a partire da posizionidiverse: nei Paesi anglosassoni si sviluppa in una profes-sione che sta evolvendo verso ruoli sostitutivi di quellomedico (ad esempio nurse practitioners). Nel nostro Paesesi innesta in una professione che ritiene di essere porta-trice di una originalità diversa da quella dei medici: pro-prio per questo probabilmente le conseguenze della ca-renza sono inestimabili. Quali sono le ricadute della mancanza di infermieri?Numerosi contributi presenti in letteratura focalizzanol’attenzione su quanti infermieri garantiscono un’assi-stenza sicura: il dibattito è molto accesso e non sono an-cora disponibili dati conclusivi anche se ormai è certoche quando gli infermieri sono in pochi: • aumentano gli errori e le lamentele dei pazienti4;• aumenta la durata della degenza correlata a compli-

canze (cadute, infezioni post chirurgiche, polmoniti, in-fezioni del tratto urinario e da CVC; lesioni da decubi-to, trombosi venose profonde, sepsi): quando gli infer-mieri sono in pochi, riducono la frequenza del lavaggiodelle mani, le attenzioni sulla mobilizzazione del pa-ziente e sulle strategie per prevenire le infezioni; agi-scono velocemente senza potersi fermare a riflettere sulbisogno di assistenza dei loro pazienti5;

• aumentano gli insuccessi rianimatori perché l’instabi-lità dei pazienti non è immediatamente riconosciuta enon sono messi in atto tempestivamente gli interventiper gestirli6;

• aumentano le riammissioni non programmate7 perchénessuno si occupa dell’educazione dei pazienti e dellacontinuità dell’assistenza a domicilio; del supporto nelprocesso di adattamento al problema di salute e alle ri-sorse che maggiormente accompagneranno il pazientelungo la cronicità;

• aumenta il rischio di mortalità dei pazienti8, 9, 10. Essere e fare l’infermiere oggi è difficile con ogni proba-bilità anche a causa della carenza di infermieri. Per i pa-zienti, avere meno infermieri di quelli che sarebbero ne-cessari, è pericoloso.La carenza non è un problema solo degli infermieri suiquali ricade la fatica di essere in pochi; ma prioritaria-mente dei cittadini che ricevono meno assistenza di quan-to avrebbero bisogno.

La svolta dell’appropriatezzaLa scarsità di risorse è sempre un’occasione per riflette-re sulle priorità e sulle cose appropriate da fare. Appro-priato è qualcosa che ha un campo definito di utilizzo edi impegno: “qualcosa” che deve essere impegnato peruno scopo preciso, e non per altri. Non tutta la domanda di assistenza, oggi, è domanda diassistenza infermieristica. Molto di quello che gli infer-mieri fanno ha poco o nulla a che vedere con l’assisten-za: alcuni sono impegnati in numerose pratiche buro-cratiche, in attività molto esecutive e di alcun impatto pergli utenti: attività che aumentano l’insoddisfazione e perle quali chiedono con forza un supporto11.Molti infermieri sono ancora impegnati nell’assistenza dibase a pazienti totalmente dipendenti ma non comples-si proprio perché questo è – e lo diciamo anche con or-goglio – frutto della nostra storia. L’approccio della pro-fessione si è basato per anni sulla dipendenza assisten-ziale: gli infermieri ritenevano che la loro presenza vici-no alle persone fosse legata pesantemente alla incapaci-tà di queste a provvedere autonomamente ai bisogni o al-le attività di vita quotidiane. Oggi il paradigma di riferimento è cambiato: i pazientisono diversi, le loro esigenze si sono modificate; le com-petenze degli infermieri permettono di realizzare un pas-saggio rilevante dal modello della dipendenza a quellodella complessità. Non è l’incapacità ad alimentarsi, adesempio, che genera il bisogno di assistenza infermieri-stica, ma un insieme di questa e altre dimensioni comel’instabilità clinica, la difficoltà di comprendere, sceglie-re, capire come prendersi cura, come prendersi carico deipropri problemi di salute. Accertare se un paziente ha bisogno o meno di assisten-za e di quale assistenza è un processo complesso: signifi-ca affermare che tra i pazienti, alcuni hanno bisogno dimaggiore intensità assistenziale, altri di meno o addirit-tura che non hanno bisogno di infermieri: passare da unalogica dell’uguaglianza a una dell’equità per garantire agli

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utenti ciò di cui hanno bisogno e modulare l’intensitàdella presenza infermieristica.La misura dell’intensità assistenziale non è direttamentelegata alla quantità di cose che gli infermieri sono chia-mati a fare ma anche all’impegno intellettuale che dedi-cano quando pensano, progettano, elaborano, ricercano,scelgono gli interventi per quel paziente; e soprattuttoagli sforzi che realizzano per portare a compimento unprogetto di presa in carico. Un progetto che ha tempi lun-ghi e che mira a raggiungere competenze, capacità, au-tonomie nell’altro e con l’altro, nella sua famiglia e nellealtre risorse di riferimento.Ogni infermiere, in questa prospettiva di continua valu-tazione della domanda di assistenza infermieristica, di de-finizione del progetto, di scelta dell’intensità di assisten-za e degli attori da coinvolgere, diventa una risorsa cheagisce le competenze cliniche attraverso strategie ge-stionali. Quando gli infermieri sono valorizzati in modo appro-priato, diventano responsabili di processi, gestori di ri-sorse e in grado di assicurare una pratica infermieristicacompetente. La dimensione clinica non è più immedia-tamente distinguibile da quella gestionale dalla quale vie-ne supportata.Impegnarsi come infermieri in modo appropriato sullabase della complessità assistenziale e per livelli diversi diintensità significa quindi: • riflettere sulle attività da restituire ad altri delle quali la

professione si è fatta carico per anni per compensarealtre carenze;

• riflettere sulle attribuzioni degli operatori di supportomantenendo elevata la supervisione e la responsabilitàsui risultati perseguiti;

• precisare che la professione non intende delegare fun-zioni proprie che richiedono competenze sofisticate,capacità di accertamento, giudizio e valutazione, re-sponsabilità acquisite durante il percorso formativo, de-finite dalle norme che regolano l’esercizio professiona-le e dal codice deontologico;

• liberare la creatività, il sapere, l’energia e la forza degliinfermieri, bloccata per anni in attività non sempre as-sistenziali, per orientarle verso la vera originalità e ilmandato proprio del nursing.

In questo senso l’appropriatezza è una nuova visione chepuò offrire interessanti strade di valorizzazione profes-sionale, elevata personalizzazione dei livelli assistenziali,contenimento dei costi e parziale risposta alla carenza diinfermieri.

Carenza di infermieri o di una pratica infermieristica avanzata?Il percorso iniziato molti anni fa, segnato non solo dallanascita dei Diplomi universitari ma anche da altri im-portanti cambiamenti sanciti sul piano normativo, comela definizione del profilo, la dirigenza, i contratti, l’Ecm,ha modificato di molto la struttura della disciplina e del-l’esercizio professionale. Affermare che per esercitare la professione infermieristi-ca in Italia è richiesta la Laurea significa coronare d’allo-ro questo insieme di conquiste. Laurea è “il titolo confe-rito a colui che ha concluso un ciclo di studi universita-ri”; “a colui che per vastità e profondità di dottrina è ingrado di insegnare la disciplina”. Avere infermieri laurea-ti significa sancire definitivamente che esiste un sapereinfermieristico, conosciuto e applicato esclusivamentedagli infermieri; che esiste una specificità infermieristi-ca che è unica e distintiva; che nessuna altra professionepuò offrire, esercitare, insegnare perché frutto di un sa-pere proprio e autonomo in grado di dialogare e di inte-grarsicon altri saperi ma con una sua precisa identità.Successivamente al percorso di base, valido indipenden-temente dal contesto in cui è stato realizzato, ciascun in-fermiere può aspirare a una formazione universitaria at-traverso i Master o la Laurea specialistica articolando lostudio con la flessibilità che solo un approccio universi-tario può garantire. Ogni infermiere in Italia dovrebbeessere impegnato nella formazione continua non solo perrispondere a un obbligo formativo ma anche deontolo-gico, per offrire ai pazienti una competenza professiona-le aggiornata, all’interno di una identità molto forte, de-finita dal profilo professionale unico.La formazione complementare – quale è quella dei Ma-ster – è stata avviata da molte Università ed è molto ele-vata l’attenzione per poterli proporre diffusamente affin-ché diventino opportunità di molti. La professione regi-stra per contro la mancata attivazione della Laurea spe-cialistica in Infermieristica rimandata al prossimo annoaccademico12. È dal 1994, l’anno di approvazione del profilo professio-nale, che gli infermieri attendono l’attivazione della for-mazione post base. Il ritardo rischia di avere un effetto sui risultati che i cit-tadini potrebbero ottenere con infermieri più preparati.Riduce la capacità di reclutamento della professione per-ché i giovani difficilmente si riconoscono in una profes-sione generalista. Impedisce una rigorosa riflessione cri-tica in qualsiasi ambito clinico, la possibilità di confron-

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tare la propria pratica e di offrire standard professionalieccellenti. Impedisce la crescita e la visibilità di una pro-fessione capace di affrontare e gestire i problemi più com-plessi delle persone.Quando l’offerta formativa sarà completata, gli infermie-ri potranno davvero sviluppare ed esercitare una compe-tenza stratificata su più livelli: potranno muoversi da un li-vello iniziale a uno avanzato approfondendo metodi, stru-menti e conoscenze messe a disposizione dalla ricerca. Lapratica infermieristica avanzata sarà offerta da infermieriesperti in uno specifico campo del nursing, preparati at-traverso Master universitari e capaci di assicurare elevatecompetenze nella gestione dei problemi assistenziali13, 14.Ci saranno infermieri capaci di una pratica infermieristi-ca avanzata nella clinica, ma anche nell’insegnamento, neiruoli di leadership e ricerca: è diverso essere tutor clinicoo docente di nursing; dirigere una struttura organizzativacomplessa o semplice; analizzare criticamente un artico-lo di ricerca o fare ricerca. L’esperienza da sola non è piùil criterio per certificare una competenza avanzata anchese costituisce una dimensione irrinunciabile: il nursing èuna disciplina applicata in grande evoluzione e sono ne-cessari percorsi formativi qualificati, ma anche la capaci-tà di continuare a riflettere criticamente sulla propria pra-tica professionale per migliorarla. Pensare a una professione che differenzia e stratifica lecompetenze riporta al centro il grande tema dell’orga-nizzazione: la competenza avanzata non è in grado da so-la di portare risultati perché ha bisogno di modelli orga-nizzativi pertinenti per diventare ricchezza. Alcune strategie come la flessibilità richiesta dal mondodel lavoro, non consentono sempre di sviluppare ed affi-nare le competenze: è diverso gestire un paziente con pro-blema addominale da uno laringectomizzato. Le soluzio-ni dipartimentali adottate includono spesso diverse spe-cialità e mettono gli infermieri nella condizione di lavo-rare in situazioni di elevata incertezza clinica, senza co-noscere bene i problemi dei pazienti, padroneggiare leabilità e le competenze per poterli affrontare. In un con-testo in cui è difficile progettare e gestire modelli che so-stengono le competenze avanzate, è ancora diffusa unapratica non sempre basata sulle evidenze scientifiche per-ché gli infermieri:• percepiscono una scarsa autorità nella gestione del cam-

biamento; • hanno poco tempo a disposizione per farlo15;• non sempre possono contare su un supporto nella valu-

tazione continua della qualità e sull’attuazione di inizia-

tive che sviluppano una pratica basata sulle evidenze16.La pratica infermieristica avanzata, ma anche quella ge-nerale, ha bisogno di modelli organizzativi innovativi perpotersi esprimere compiutamente: modelli che valorizza-no i contributi del singolo, come l’infermiere case man-ager, di famiglia, di comunità, integrati fortemente conquelli offerti dagli infermieri; capaci di diffondere il con-tributo del singolo affinché diventi patrimonio del grup-po in una sorta di apprendimento organizzativo capace,nella complessità e turbolenza dei sistemi, di costruire esedimentare i saperi di cui gli infermieri sono portatori.Per gli infermieri, l’espansione del ruolo non è un proble-ma unicamente legato all’avanzamento professionale maun preciso impegno verso gli utenti: quando gli infermie-ri sono più preparati, i risultati dei pazienti sono miglio-ri17.

Diventa appropriato per gli infermieri anche il governo dei processi di cui sono responsabiliSe ogni infermiere è portatore di una competenza chepuò espandersi fino ai livelli più avanzati, ricca anche dicontenuto gestionale per il governo dei processi di cui èresponsabile, è ormai irrinunciabile la presenza di infer-mieri che dirigono: a tutti i livelli, nelle strutture sempli-ci e complesse, tanti quanti sono gli ambiti in cui gli in-fermieri erogano l’assistenza. Non si tratta di affermare una dominanza quanto, piut-tosto, una autorità: di assumere posizioni di leadershipper dirigere processi di cambiamento, orientare lo svi-luppo, motivare e ispirare; l’autorità di assumere posizio-ni di manager quando sono in atto processi di pianifica-zione, gestione, organizzazione e controllo, che compor-tano la soluzione di problemi assistenziali. Le evidenze dimostrano che gli infermieri sono in gradodi dirigere cambiamenti e processi organizzativi com-plessi, far emergere risultati tangibili e originali delle so-luzioni adottate, dimostrare una grande attenzione allarisorsa infermieristica che è messa nelle condizioni di as-sicurare i migliori risultati sugli utenti. Quando gli infer-mieri assumono la responsabilità di strutture per pazientipost acuti, case di riposo, servizi infermieristici, reparti,distretti e dipartimenti:• sono adottati modelli organizzativi che consentono agli

infermieri di agire con autonomia, assumere le proprieresponsabilità, avere la possibilità di controllare la pra-tica e l’ambiente con migliori risultati sugli utenti, sod-disfazione lavorativa, tensione all’aggiornamento;

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• sono maggiori le attenzioni ai contenuti del lavoro, al-l’autonomia, alle crescenti responsabilità attribuite agliinfermieri, ai feed back e alla consulenza sullo svilup-po professionale, che hanno una influenza sulla soddi-sfazione e le performance lavorative, e riducono lo stress:in questo senso il leader non può che essere un pro-fondo conoscitore della professione infermieristica18;

• sono sperimentati modelli centrati sul paziente, con ele-vati livelli di presa in carico e personalizzazione dellecure infermieristiche19.

Gli infermieri sono pronti a sostenere il passaggio dellecure dall’ospedale al territorio e ritengono di poter con-tribuire in modo decisivo se assumono ruoli dirigenzialiperché il bisogno di presa in carico delle persone assi-stite nel territorio, nelle residenze, a casa, costitutivo del-la specificità degli infermieri, è predominante sulle altrenecessità di diagnosi e cura.

La risorsa infermieristica è disponibile a costruire forti alleanze Carenza, valorizzazione appropriata della funzione infer-mieristica, sviluppo di competenze avanzate e dirigenzasono connesse a un’altra dimensione: quella delle alleanzeo delle contrapposizioni con altri operatori della salute. Oggi assistiamo a un dibattito molto acceso su due ver-santi: il primo con gli operatori di supporto, il secondocon i medici. Sono due ambiti molto diversi ma che ori-ginano da una stessa radice: gli infermieri hanno un cam-po d’azione ben definito che sentono come proprio; sul-la base di questa consapevolezza, hanno iniziato a riflet-tere sulle aree di confine e sul rapporto con altri opera-tori. Mentre con il personale di supporto il problema variportato all’interno di ciò che è e ciò che non è assistenzainfermieristica e deve essere inteso come una importan-te occasione per finalizzare meglio l’intensità assisten-ziale20, il rapporto con i medici è ancora critico, ha radi-ci molto lontane e subirà molti cambiamenti in futuro.All’inizio tutto era molto chiaro: i medici stavano in altoe gli infermieri, senza tante conoscenze, eseguivano. Gliinfermieri non curavano i pazienti; i medici sì. La gerar-chia e i diversi mandati professionali definivano preciselinee di confine e comportamenti, un gioco delle partiche, come afferma Radcliff, è finito21.Il rapporto medici e infermieri non è mai stato facile eoggi, più di ieri, i medici temono la crescita professiona-le degli infermieri: hanno sempre dimostrato una diffi-coltà a mettere in discussione il ruolo; gli infermieri han-no sempre dimostrato eccessiva disponibilità22.

Gli infermieri hanno lavorato per anni sul loro mandatoed è ormai diffusa la consapevolezza che il cuore del nurs-ing è l’autonomia delle persone, ricercata attraverso lapresa in carico, con una presenza che non sarà più ne-cessariamente continuativa nelle 24 ore, ma costante eattenta sul progetto in ogni fase della salute e della ma-lattia, lavorando insieme ad altre risorse (famiglia o per-sone di riferimento) e mai in contrapposizione23. Da unadimensione intangibile, oggi, il nursing è diventato qual-cosa di concreto e misurabile, in grado di influenzare i ri-sultati di salute. Negli altri Paesi la ridefinizione delle competenze ha ri-chiesto necessariamente una rivisitazione dei rapporti in-terprofessionali: i medici sembrano sentirsi aggrediti da-gli infermieri competenti perché percepiscono una pro-gressiva espansione del loro ruolo e una minaccia per ilproprio status. Ormai sono numerose le esperienze in cuiè dimostrato che in alcuni ambiti bravi infermieri dannorisultati migliori dei medici, quando ad esempio:• assumono la gestione ambulatoriale di problemi mino-

ri: i pazienti sono più soddisfatti e i risultati sono glistessi di quando gestiti dai medici24;

• “svezzano” il paziente dal ventilatore meccanico: la du-rata media della ventilazione e le reintubazioni sono in-feriori rispetto al gruppo svezzato dai medici25;

• prendono in carico i pazienti nelle cure primarie: la qua-lità dell’assistenza è migliore, la durata del colloquio èpiù lunga, i pazienti sono più soddisfatti, l’accertamentoè realizzato con più profondità, non aumentano le pre-scrizioni e la necessità di una successiva rivalutazione26.

D’altra parte gli infermieri percepiscono il rischio di unaespansione degli operatori di supporto, anche se è di-mostrato che quando gli infermieri possono contare sudi loro, i risultati migliorano perché possono concentrarsicon più intensità a quelli più complessi (Blegen).Come è possibile costruire buone relazioni tra professio-ni in un contesto in cui un’opportunità per l’una, diven-ta una minaccia per l’altra? La comunità infermieristica italiana si propone di supe-rare la logica delle reciproche aggressioni, perché rico-nosce e rispetta il contributo dei medici ma ritiene nelcontempo di essere portatrice di un contributo indi-spensabile per la salute dei cittadini. La comunità infermieristica italiana, come quella inter-nazionale, sente come emergente la necessità di scioglierealcune contraddizioni del rapporto con i medici perchémolta dell’insoddisfazione professionale e del turn overderiva dai loro comportamenti 27: laddove infermieri e me-

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dici lavorano bene insieme aumenta la soddisfazione la-vorativa degli infermieri, si riducono turn over e tempi didegenza; i sintomi come il dolore sono gestiti meglio; gliinfermieri discutono sull’evoluzione dei pazienti sapen-do che ogni loro valutazione è considerata28. La comunità professionale si propone di superare la logi-ca della divisione. Sta cercando in più ambiti di porsi inuna prospettiva di progetto integrando il piano di assi-stenza con quello medico: laddove medici e infermieri la-vorano insieme le decisioni assunte sono migliori perchéle informazioni sono condivise mentre le dimissioni sonopreparate e gestite con maggiore efficacia. La comunitàprofessionale non può accettare di essere governata daimedici anche quando la loro presenza è limitata e la re-sponsabilità sui pazienti è prioritariamente degli infer-mieri come nel territorio, nelle residenze assistenziali, neidistretti; quando il bisogno di diagnosi e terapia è episo-dico e assume più il connotato di consulenza.Gli infermieri si propongono di superare le possibili con-trapposizioni perché riconoscono che il dibattito non èdialogico: il problema del potere nella relazione medico-infermiere è mediato dal paziente e non unilateralmentedall’una o dall’altra professione. Gli infermieri vogliono svilupparsi in dimensioni diversedalla diagnosi e terapia29: i campi che stanno espanden-do sono quelli dell’autonomia, dell’educazione terapeu-tica, dell’autocura, della relazione, dello sviluppo delle ca-pacità di adattamento dei pazienti, del supporto ai care

givers, della continuità delle cure che non si sovrappon-gono alle specificità dei medici. In alcuni ambiti comequelli della criticità vitale o laddove è richiesta un’alta in-tegrazione, i focus di attenzione e l’approccio degli in-fermieri rimarranno sempre diversi da quello dei medici,e contemporaneamente integrati.Gli infermieri, in tutti questi campi, affermano la naturadistintiva del nursing rispetto a quella medica.Proprio perché sono diversi non vogliono un trattamen-to uniforme, ma ricercano un rapporto di uguaglianza diopportunità all’interno del sistema. Proprio perché nonsi sentono minacciati, propongono una forte alleanza coni medici: perché hanno a cuore la salute dei pazienti e ildestino del servizio sanitario nazionale.

Non è solo in gioco il futuro degli infermieri, quanto piuttosto il futurodella salute dei cittadiniMentre fino a pochi anni fa le conclusioni erano incerte,alcune volte a favore, altre contro, la letteratura eviden-

zia che i pazienti accolti nelle strutture for profit rispettoa quelle not for profit sembra abbiano un rischio più ele-vato di morire. Le organizzazioni sanitarie che perseguo-no fini di profitto danno risultati diversi da quelle nonprofit: tra i motivi più importanti è riconosciuto il preva-lente impiego di personale non formato rispetto a infer-mieri abilitati. La presenza di poco personale o di perso-nale non preparato è indicata come una delle possibilicause dell’aumento della mortalità a breve termine deipazienti anziani ospedalizzati negli enti che perseguonofini di profitto30. Il dibattito su questi temi probabilmen-te continuerà nei prossimi anni.Ma gli infermieri non possono non esprimere oggi la lo-ro posizione e la loro proposta. Gli infermieri sostengo-no il Servizio sanitario nazionale e ogni altra forma inte-grativa compatibile con i suoi principi ispiratori; soster-ranno il progressivo decentramento delle cure verso il ter-ritorio. Gli infermieri riconoscono che alcuni fenomenicome la carenza, non sono più affrontabili nella logicadel passato, perché i bisogni sono e saranno crescenti emalgrado gli sforzi, non sarà possibile raggiungere unapopolazione infermieristica quantitativamente sufficien-te a gestirli.Proprio per questo, sono disponibili ad accettare la ca-renza anche nelle opportunità di sviluppo: un futuro pro-babilmente incapace di dare tutti gli infermieri che sa-rebbero necessari, ma proprio per questo, una professio-ne da valorizzare in modo appropriato: che ha bisogno diessere messa nella condizione di esprimere le propriecompetenze su ambiti diversi, di occuparsi di nursingavanzato, dirigere i processi di cui è responsabile.Gli infermieri offrono il loro contributo specifico per svi-luppare autonomia delle persone, decentrare le compe-tenze di gestione della salute e della malattia, non tantoo non solo dall’ospedale al territorio, quanto dai profes-sionisti ai cittadini, dal potere delle professioni a quellodel cittadino. Mettono a disposizione la ricchezza di cui sono portato-ri fatta di conoscenza professionale rigorosa e di cono-scenza insita nella pratica, tacita, esperta nella gestionedei problemi di assistenza. Gli infermieri hanno compiuto il loro processo di pro-fessionalizzazione31 e si aprono liberamente a nuove sfi-de che pongono al centro l’altruismo, la solidarietà, l’e-quità che sono i valori più alti di una società in cui la pro-fessione si riconosce.I frutti di queste faticose stagioni sono molti. Gli infer-mieri non devono più spendere energie per conquistare:

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non ci sono più dubbi sulla strada intrapresa. Sono pronti a gestire nella pratica le ricadute di questianni di conquiste: • singolarmente, perché ognuno di noi oggi è libero ed

è incoraggiato a offrire il meglio di sé come infermiere:a investire in modo significativo in una professione cheoffre molte opportunità, soprattutto nel “prendersi cu-ra dell’altro”;

• come gruppo, in una rete di solidarietà, vicinanza, ap-partenenza, per costruire insieme a chi: è affaticato daicontinui cambiamenti di una professione che si è svi-

luppata rapidamente negli ultimi 10 anni; è preoccu-pato per i cambiamenti così repentini e fa difficoltà acollocarsi e a trovare una giusta dimensione; ha lavora-to con intensità per questi risultati all’interno e all’e-sterno della professione; è da poco entrato nella co-munità professionale. A chi da sempre ci crede e con-tinua a testimoniarlo.

Oggi siamo pienamente consapevoli della ricchezza delcontributo concreto che può offrire ognuno di noi, in-sieme agli altri. Una sfida non tanto per il futuro degli infermieri, quan-

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Note bibliografiche

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Nella relazione d’apertura di questo Congresso, la pre-sidente Silvestro ha esposto e argomentato il pro-

getto degli infermieri per una sanità al servizio dei citta-dini. Con questo contributo ci si propone di metterne afuoco le implicazioni organizzative.In sintesi, la presidente ha risposto alla domanda “Qualesanità?”. Qui invece si cercherà di rispondere al quesito“Con quale organizzazione?”.L’organizzazione non è mai fine a se stessa, ma rappre-senta uno strumento per raggiungere determinati risul-tati, a partire da un’attenta analisi degli scopi che perse-gue (mission), dell’ambiente con cui s’interfaccia, delle ri-sorse disponibili e/o acquisibili e della cultura nella qua-le si sviluppa. È evidente che un’azienda ospedaliera è sicuramente di-versa da un’azienda sanitaria territoriale, che in luoghidiversi possono essere diverse la cultura degli operatorie dei fruitori dei servizi, il mercato del lavoro, le disponi-bilità economiche, le tecnologie e così via.In questa relazione non ci si propone quindi, di presen-tare “il” modello organizzativo, con la M maiuscola, sem-pre valido, da introdurre acriticamente in tutti i contesti;bensì di illustrare un progetto, esplicitare i valori sui qua-li si fonda e indicare i principi ai quali ispirarsi per dise-gnare e implementare modellizzazioni organizzative con-gruenti alle specifiche realtà.Il progetto della Federazione si sviluppa tenendo comebase un modello di lettura e analisi delle funzioni infer-mieristiche in relazione alle necessità e bisogni delle per-sone assistite1. Il modello è definito “modello per la lettura della com-plessità assistenziale”.Qualsiasi analisi organizzativa non può prescindere daun’attenta valutazione e interpretazione degli elementi dicontesto; per questo motivo, nella prima parte della rela-zione verranno brevemente riprese alcune tematiche, già

citate nella relazione della presidente, e che caratterizza-no lo scenario in cui è inserito l’intero sistema sanitario.

Elementi di contestoLa nostra Costituzione indica la salute come “fondamen-tale diritto dell’individuo e interesse della collettività”(art.32). Inoltre valorizza “il primato della persona uma-na” (art. 2) e “la pari dignità sociale dei cittadini e la lo-ro uguaglianza di fronte alla legge“ (art. 3).Tali principi costituzionali trovarono significativa con-cretezza con l’istituzione del Servizio sanitario nazionale(L. 833/78) che supera la frammentazione precedente ela disuguaglianza dei cittadini di fronte alla malattia. Pre-cedentemente, infatti, il diritto all’assistenza sanitaria de-rivava prevalentemente dal fatto di avere o meno in cor-so un rapporto di lavoro e dalla tipologia di prestazionigarantite in maniera diversa dallo specifico Ente mutua-listico. Con significativa lungimiranza la legge 833 pre-vede non solo il sostegno da parte della collettività in ca-so di malattia – momento curativo – ma l’attenzione e l’o-rientamento anche alla prevenzione, alla riabilitazione,all’integrazione socio-sanitaria oltre che la diffusione ter-ritoriale dei servizi.Molte indicazioni di quella legge non hanno ancora og-gi trovato attuazione nella realtà – vedasi l’esistenza di unnumero rilevante di ospedali e la poca diffusione dei ser-vizi territoriali – così come poco sistematicamente, fin daquell’epoca, è stata rivista l’organizzazione del lavoro insanità affinché vi sia congruenza con l’innovazione degliobiettivi, dei contenuti e dei valori ispiratori.Il modello gerarchico, sul quale da sempre si sono mo-dellati gli ospedali, ha continuato ad essere pressoché l’u-nico modello di riferimento per l’organizzazione, in mo-do tale che un certo tipo di esigenze professionali han-no continuato ad avere il sopravvento su quelle dell’u-tenza.

di Franco Vallicella*

La filosofia del progetto manageriale

della Federazione Ipasvi

* Tesoriere della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi

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L’organizzazione del lavoro infermieristico si è per tantianni plasmata su quel modello gerarchico e ha visto ilproprio sviluppo gestionale articolato fondamentalmen-te su due livelli di responsabilità: il coordinamento dellesezioni-unità operative/dipartimenti attraverso la/il Ca-posala e la gestione complessiva dell’intero universo in-fermieristico attraverso la/il Capo dei servizi sanitari au-siliari. Ovviamente la denominazione delle due funzioninon era casuale.Nel 1992 il Parlamento, con la legge. 23 ottobre 1992, 421ha delegato il Governo ad attuare una razionalizzazionedi alcune materie cruciali per la finanza pubblica con unarevisione di alcune discipline tra cui la sanità. Da questadelega deriva il Dlgs 502/92 che pone in essere il pro-cesso di aziendalizzazione: la programmazione assume unruolo determinante, l’attenzione comincia a focalizzarsisull’appropriatezza degli interventi, sull’efficienza orga-nizzativa e sulla razionalità delle scelte distributive. Si po-ne mano all’organizzazione del lavoro, prendendo atto delfatto che l’esclusiva relazione gerarchica tra le figure ge-stionali e i “professional” dimostra non solo tutta la suadebolezza ma tende anche a produrre distorsioni orga-nizzative oltre che difficoltà nel raggiungimento di risul-tati di tipo complesso.Le denominazioni delle figure gestionali cambiano; perquanto riguarda il nostro mondo, il termine Caposala èsostituito dal termine Coordinatore infermieristico e iltermine Capo dei Servizi Sanitari Ausiliari dal termine Re-sponsabile o Dirigente del Servizio dell’assistenza Infer-mieristica. Anche in questo caso la differenza non è soloterminologica. Il cambiamento introdotto dalle norme,però, viene a innestarsi in una realtà estremamente sta-tica e burocratica. Un nuovo modello organizzativo può essere attivato daun’indicazione normativa, ma questa non basta per rea-lizzare il cambiamento comportamentale che deve soste-nerlo. Il cambiamento vero delle persone parte da una ri-flessione e da una ridefinizione culturale. E la culturacambia lentamente.Si è così spesso visto realtà in cui le logiche organizzati-ve e gestionali erano già avanzate ma nelle quali il cam-biamento però non decollava perché doveva avvenire at-traverso persone poco orientate al cambiamento; oppu-re si sono viste situazioni in cui l’enfasi del cambiamen-to veniva posta più sulla necessità di risparmio, che sul-la valutazione critica di ciò che si fa e del perché e comesi fa. L’azione strategica infatti spesso si è centrata preva-lentemente sull’efficienza; il processo di budgeting è stato

troppo frequentemente inteso solo come uno strumentoper risanare i bilanci. L’innovazione si è tradotta in tagli,a volte indiscriminati, e in razionamento. Molti operato-ri hanno visto snaturarsi il loro ruolo professionale e han-no cominciato a percorrere la via della demotivazione.In quest’ultimo decennio anche altri settori, oltre alla sa-nità, sono stati investiti da importanti cambiamenti. Traquesti vanno ricordati almeno:• la riforma del pubblico impiego;• il federalismo fiscale;• l’introduzione dei Livelli essenziali di assistenza (Lea);• la riforma federalista dello Stato.Tutte queste innovazioni sono avvenute in un contestosociale in cui aumentano i bisogni di assistenza, le pato-logie di tipo cronico degenerativo prevalgono su quelleacute2, c’è un allungamento della speranza di vita ed emer-gono nuovi bisogni anche in relazione ai flussi migrato-ri. A tal proposito solo alcuni dati: • la crescita continua degli over 65 fino al 2045, anno in

cui raggiungerà il valore dei 18,5 milioni di unità, cir-ca 8 milioni in più rispetto agli attuali;

• la speranza di vita per il 2050 attestata per gli uomini a81,4 anni e a 88.1 per le donne;

• l’indice di dipendenza degli anziani (popolazione conpiù di 65 anni rispetto alla popolazione tra i 20 e i 64anni) passerà dagli attuali 29.4% al 68.6% del 2050.

La proposta della Federazione IpasviNel contesto e nelle prospettive sopra delineate, la propo-sta di questa Federazione non può che partire dai valoriche hanno ispirato e trovato esplicitazione nel Patto infer-miere–cittadino e nel Codice deontologico dell’infermie-re (C.D.): centralità della persona, solidarietà, equità. L’infermiere:• riconosce la salute come bene fondamentale dell’indi-

viduo e interesse della collettività e si impegna a tute-larlo con attività di prevenzione, cura e riabilitazione(C.D. 2.2);

• contribuisce a rendere eque le scelte allocative, ancheattraverso l’uso ottimale delle risorse (…) (C.D. 2.7);

• agisce senza condizionamenti da pressioni o interessipersonali provenienti da persone assistite, altri opera-tori, imprese, associazioni, organismi (C.D. 3.5).

• contribuisce ad orientare le politiche e lo sviluppo delsistema sanitario al fine di garantire il rispetto dei di-ritti degli assistiti, l’equo utilizzo delle risorse e la valo-rizzazione del ruolo professionale (C.D. 6.1).

Da ciò discende l’esigenza di un’organizzazione sanitaria

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LA FILOSOFIA DEL PROGETTO MANAGERIALE 23

dove possano trovare spazio anche tipologie di partner-ship “pubblico/privato”, ma che mantiene pubblico il suogoverno e in cui la centralità della persona, la solidarie-tà e l’equità “contributiva” e “distributiva” si articolanoin modo chiaro (Schema 1).I diversi organi di stampa ci informano costantementedell’aumento vertiginoso della spesa pubblica e eviden-ziano che, in questo aumento, l’imputato principale è laspesa sanitaria, ormai incontrollabile.Vengono avanzate proposte di rimedio attraverso diversee nuove forme di contribuzione. Ciascuno di noi, nellasua realtà è coinvolto in tentativi di risparmio e conteni-mento che spesso però, non rappresentano progetti ra-zionali di allocazione e uso efficiente delle risposte ri-spetto a progettualità ben calibrate, ma un vero e propriorazionamento delle stesse. In mancanza di una seria pro-grammazione, i tagli e i contenimenti, alle volte, si pre-sentano come una riduzione acritica dei capitoli di spe-sa. Il processo di budgeting frequentemente è impostatonon su obiettivi da raggiungere e risorse da impiegare,ma su costi e ricavi. Invece sappiamo bene, e le teorie eco-nomiche ce lo insegnano, che le aziende per risanare ibilanci non devono solo risparmiare ma anche investire,soprattutto in qualità del patrimonio umano e tecnolo-gico.Permettetemi un esempio. La fabbrica che produce mo-cassini non risparmia sul cuoio confezionando scarpe piùpiccole, ma cerca di immettere sul mercato un prodottocompetitivo, soprattutto in termini di qualità; fa in modoche il cliente voglia “quelle” scarpe e non si accontentidi un prodotto più scadente. Il successo di questo tipo diaziende è legato soprattutto al capitale umano.Noi in sanità a volte assistiamo a situazioni in cui il volu-

me di attività è più importante dei risultati raggiunti (ri-correndo alla metafora utilizzata prima: abbiamo prodottotante scarpe, utilizzando meno cuoio possibile con il ri-sultato che abbiamo fatto indossare scarpe strette a tut-ti o scarponi a chi doveva andare al mare!).Frequentemente noi infermieri analizzando criticamen-te la realtà in cui siamo inseriti ci poniamo tanti interro-gativi. Perché così tanti esami inappropriati? Qual è il rea-le livello di appropriatezza dei molti ricoveri? La disper-sione e la duplicazione dei servizi riesce a garantire lacompetenza professionale elevata degli operatori e la dis-ponibilità delle tecnologie necessarie? Sono state imple-mentate le linee guida? Sono stati analizzati i percorsi ei profili di cura? Si è diffusa una pratica clinica basata sul-le prove di efficacia? Si sono sviluppati progetti di “pre-sa in carico globale” e di guida dei cittadini all’internodei servizi? Qual è il livello di fiducia della cittadinanzanei confronti dei servizi e degli operatori? Come mai au-menta il numero delle persone che si rivolgono a più pro-fessionisti per lo stesso problema? L’informazione alla cit-tadinanza è capillare e diffusa? Si è ridotta la medicaliz-zazione della salute? È evidente che ci sono ancora molti ambiti di migliora-mento. Non è stato fatto il possibile per ridurre gli spre-chi e offrire prestazioni realmente appropriate. Mentrenon possiamo ignorare che qualsiasi forma di contribu-zione aumentata senza tenere in giusto conto le possibi-lità economiche di ciascuno, produrrebbe non solo ri-sultati sanitari, ma anche economici, disastrosi.Per riuscire a coniugare una copertura sanitaria ade-guata a costi sostenibili, è necessario riprogettare i ser-vizi sulla base dei livelli essenziali e appropriati di assi-stenza (ciò che deve essere garantito dall’intervento pub-

Centralità della persona, solidarietà ed equità

• non deve essere dato tutto a tutti ma il meglio a chi ne ha bisogno;• ciascuno contribuisce alla spesa sanitaria non in rapporto ai servizi fruiti ma alle possibilità economiche;• ciascuno ha diritto ad essere informato e di scegliere all’interno delle strategie terapeutiche di dimostrata efficacia, quel-

le più rispondenti al proprio “progetto di vita”, cioè congruenti con la sua cultura, i suoi valori, le sue abitudini;• tutti devono avere lo stesso diritto di accedere a servizi di qualità erogati a un elevato livello di competenza;• tutti devono avere lo stesso diritto di fruire di interventi appropriati;• tutti devono poter avere la consapevolezza che a maggiori interventi sanitari non corrisponde automaticamente un più

elevato livello di salute;• tutti sono informati e partecipano alla valutazione del servizio ricevuto.

Schema 1

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blico con finalità collettiva), puntando sulla continuitàassistenziale intrastrutturale, interstrutturale e intera-ziendale.Nell’ultima Relazione sullo stato sanitario del Paese si evi-denziavano i risultati raggiunti dal Ssn e i problemi da af-frontare, tra cui la necessità, nell’erogazione delle cure,di una maggior attenzione alle esigenze dei cittadini."I successi non sono mancati – si legge nella Relazione – ma è

mancata una cultura medica e manageriale incentrata sul paziente.

In termini di ‘qualità percepita’, i cittadini non sono soddisfatti,

come risulta da sondaggi di opinione e da migliaia di contatti avu-

ti negli ospedali dai centri di relazione con il pubblico.

Mancano ancora oggi al nostro sistema soprattutto tre cose:

una maggiore personalizzazione e umanizzazione delle cure; il

diritto all’informazione; il confort delle prestazioni alberghie-

re. Manca inoltre un numero adeguato di infermieri che in una

moderna organizzazione sanitaria svolgono un compito essen-

ziale e fondamentale. Mentre siamo il Paese che si permette di

avere un medico ogni 200 abitanti, obiettivamente troppi ri-

spetto alle necessità. Ai nostri medici comunque va garantita

una formazione continua che dia loro un aggiornamento pun-

tuale e completo”.Il lento ma inesorabile cambiamento paradigmatico del-la medicina, con lo spostamento dell’oggetto di studiodal malato alla malattia, ha determinato un’evidente dif-ficoltà a far dialogare una medicina assolutamente par-cellizzata con le istanze dei cittadini e con la loro ri-chiesta di una maggior partecipazione e umanizzazio-ne dei servizi. Questa è una sfida che noi infermieri possiamo racco-gliere. Riteniamo infatti di poterci e doverci impegnareper lo sviluppo di un sistema che enfatizzi e valorizzi ilruolo e il contributo del nursing all’interno del sistema.

Un sistema sanitario modellato sulla logica del “Governo Clinico” con l’integrazione del “Governo assistenziale”3

Un modello di Governo Clinico-Assistenziale si incentra:• sull’appropriatezza delle prestazioni rispetto alle ne-

cessità cliniche e assistenziali;• sulla sicurezza degli ambienti e delle prestazioni sia per

gli utenti che per i lavoratori;• sulla tempestività e la continuità della cura che quali-

ficano il servizio reso;• sulla comunicazione con gli utenti, fra i componenti

delle équipes e tra le diverse équipes;Questo modello si sviluppa in organizzazioni in cui:• vengono chiaramente definite le linee di responsabili-

tà per la qualità complessiva delle cure. A tal propositoè bene ricordare che le organizzazioni sanitarie sonoorganizzazioni complesse; le strategie di governo di ti-po lineare, con una forte gerarchia, hanno dimostratotutta la loro inadeguatezza. Non è infatti possibile sem-plificare quello che è complesso, bisogna essere in gra-do di negoziare le incertezze le contraddizioni insite nelsistema, la complessità è ineludibile. I problemi com-plessi non possono essere affrontati in maniera fram-mentaria, ma attraverso la responsabilizzazione e l’in-tegrazione dei saperi e dell’agire. L’indebolimento del-la percezione del globale conduce all’indebolimentodella responsabilità (in quanto ciascuno tende a esse-re responsabile solo del suo compito specializzato), non-ché all’indebolimento della solidarietà (in quanto cia-scuno non sente più il legame con gli altri)4;

• vengono progettati e sviluppati programmi di miglio-ramento della qualità, per la revisione delle pratiche sa-nitarie in atto, sulla base delle evidenze e attraverso ilconfronto multiprofessionale e multidisciplinare;

• vengono sostenute organizzazioni in cui si riconosco-no e si valorizzano gli apprendimenti, i saperi interni ei significati e i valori attribuiti dagli operatori al lavoroe non si ignora che le aziende non sono solo comunitàdi produzione di prestazioni ma anche comunità di ap-prendimento e di sviluppo di cultura;

• vengono definite le politiche per la gestione dei rischie degli effetti indesiderati connessi alle pratiche sani-tarie e vengono implementate strategie per la loro ri-duzione;

• vengono implementate procedure per individuare lascarsa performance professionale e per migliorarla.

L’infermiere aggiorna le proprie conoscenze attraversola formazione permanente, la riflessione critica sull’e-sperienza e la ricerca, al fine di migliorare la sua com-petenza. L’infermiere fonda il proprio operato su cono-scenze validate ed aggiornate, così da garantire alla per-sona le cure e l’assistenza più efficaci. L’infermiere partecipa alla formazione professionale,promuove ed attiva la ricerca, cura la diffusione dei ri-sultati al fine di migliorare l’assistenza infermieristica(C.D. 3.1).

Centralità della persona assistita e appropriatezza, come si traducono nell’assistenza?L’aumentato bisogno di assistenza e l’esigenza di alloca-re le risorse secondo criteri di razionalità ed efficacia e la

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necessaria garanzia di continuità delle cure, impongonoun ripensamento dell’assistenza infermieristica nei ser-vizi. In particolare occorre:• implementare modelli di assistenza congruenti con il

contesto italiano;• implementare modelli organizzativi che tengano conto

della multidimensionalità dei problemi e quindi delladifferenziazione delle risposte;

• sviluppare una pratica infermieristica avanzata basatasulle prove di efficacia.

La complessità caratterizza le organizzazioni in cui siamoinseriti. Edgar Morin afferma che la sfida della complessità ci im-pone di “apprendere a navigare in un’oceano di incer-tezze attraverso arcipelaghi di certezza”5.Gli elementi che caratterizzano la complessità organizza-tiva sono riassumibili in6: • livello di incertezza del sistema;• livello di interdipendenza;• livello di decentramento della discrezionalità decisoria;• dimensione;Partendo da questi elementi, un gruppo di colleghe7, cuiho già accennato sopra, ha elaborato un modello che in-tende leggere, interpretare e stimare la complessità pre-sentata dalle persone assistite, anche al fine di identifica-re le modalità di risposta infermieristica più appropriata.La lettura del nostro profilo professionale – Dm 739/94– evidenzia che:• l’oggetto di studio dell’infermiere è la persona, il grup-

po e la comunità in rapporto al bisogno di assistenzainfermieristica;

• la risposta dell’infermiere ai bisogni di assistenza in-fermieristica della persona è di natura tecnica, educa-tiva e relazionale8.

Nel modello di lettura della complessità assistenziale lapersona assistita viene considerata in rapporto:• alla sua condizione di salute /malattia • alla sua “competenza”. Competenza è una di quelle parole che utilizziamo quo-tidianamente, nella convinzione che tutti ne condivida-no il significato. In realtà questo termine può assumerediverse accezioni ed in questo modello si è assunta quel-la di Le Bofert (1995): “La competenza non risiede nelle ri-

sorse (conoscenze, capacità cognitive, abilità, ...) da mobilita-

re, ma nella loro mobilitazione. La competenza rientra nel con-

cetto di saper mobilitare. Perché ci sia competenza è necessa-

ria la messa in campo di un repertorio di risorse. Questo ba-

gaglio è la condizione della competenza. La competenza è un

saper agire”.

In questa definizione, quindi, la competenza è ricondu-cibile a due variabili:• la possibilità di scegliere quello che si vuole fare; cosa

“scegliere”, presuppone di essere di fronte a più alter-native, quindi il prerequisito della scelta è la conoscenzae l’informazione;

• la possibilità di fare quel che si è scelto e quindi diagire.

Nel successivo Grafico 1 sono rappresentate le tre varia-bili che determinano la necessità di assistenza infermie-ristica e che ne specificano ulteriormente l’oggetto di stu-dio, cioè la persona nella condizione di salute/malattia.Nel concetto di complessità assistenziale, in base alla de-finizione di competenza considerata, i bisogni di assi-stenza infermieristica della persona sono determinati datre dimensioni, strettamente interrelate in un rapporto direciproca influenza:• 1° dimensione: condizione di salute/malattia;• 2° dimensione: comprensione delle proprie necessità

Variabili per determinare la necessità di assistenza infermieristica

Grafico 1

Instabilità

Stabilità

Comprensione/scelta

Bassa

Alta Azione autonoma

Autonomia Dipendenza

Salute malattia

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in relazione al punto 1 e scelta consapevole dei com-portamenti idonei;

• 3° dimensione: possibilità di mettere in atto autono-mamente le azioni e i comportamenti che si è deciso diintraprendere.

Le tre dimensioni determinano e qualificano i bisognidi assistenza infermieristica, quindi l’area di azione, diresponsabilità e le tipologie di intervento dell’infer-miere (Grafico 2).L’infermiere si esprime, quindi, attraverso competenze:• tecniche, riconducibili alle procedure diagnostiche, te-

rapeutiche, di sostegno alle funzioni vitali e di soddi-sfazione dei bisogni di base (dimensione 1 e 3);

• educative/relazionali, finalizzate a una modificazioneconsapevole del comportamento della persona assisti-ta – o delle sue persone di riferimento –, per adottarestili di vita che contribuiscano a mantenere o a rista-bilire la salute o a riprogettarsi in conseguenza alla con-dizione patologica (dimensione 2);

• pianificatorie, di supervisione e verifica del proprio in-

tervento e/o di quello del personale di supporto (di-mensione 3).

Per competenza professionale si intende comunementel’uso abituale e ragionevole delle conoscenze, abilità co-municative, tecniche, ragionamento diagnostico, emo-zioni, valori e riflessione nella pratica quotidiana per ilbeneficio del singolo e della comunità servita9. Si posso-no però aggiungere ulteriore specificazioni. La condizione di salute/malattia della persona viene vi-sta soprattutto in termini di stabilità – instabilità clinica,legata non solo alla stabilità – instabilità delle funzionivitali, perché anche la crisi psichiatrica rappresenta unesempio di instabilità clinica.Ad alta instabilità clinica corrisponde bassa discreziona-lità decisoria dell’infermiere a cui è richiesta un’elevatacompetenza scientifico-operativa e un’alta capacità di in-tegrazione con il professionista sanitario prescrittore. Èl’area che riguarda prevalentemente i processi diagnosti-co-terapeutici, quindi l’area, secondo il profilo profes-sionale, prevalentemente collaborativa.

Intervento tecnico autonomo o su prescrizione

Grafico 2

Instabilità

Stabilità

Intervento educativo

Bassa

Alta

Intervento tecnico e/o di supervisione e di verifica del proprio agire e di quello

del personale di supporto

Autonomia Dipendenza

Salute Malattia

Grafico 3

Instabilità

Stabilità

• Bassa discrezionalità decisoria sulle cose da fare

• Capacità di interpretare segni/sintomi• Capacità previsionali problemi

attesi e inattesi• Capacità di attivare altre risorse

Are

a c

oll

ab

ora

tiva

Dimensioni che determinano l’area di azione di responsabilità dell’infermiere

Variabile che determina l’area di collaborazione con il medico

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In questo caso la discrezionalità decisoria dell’infermie-re è bassa (nel senso che è chi prescrive che definisce ilcosa fare), mentre permane un’elevata tipologia di sceltagestionale ossia, il decidere come e quando attuare le pre-scrizioni, e una specifica e autonoma responsabilità diprevedere e intervenire di fronte ai problemi attesi e inat-tesi, interpretando la situazione clinica attraverso segnie sintomi e indizi anche molto sfumati (Grafico 3).Nella seconda variabile si prende in considerazione la ca-pacità di comprensione e scelta della persona assistita.In questo caso, il ruolo dell’infermiere è quello di mobi-lizzare le risorse della persona, e delle sue persone di ri-ferimento, al fine di creare le condizioni per gestire e ope-rare scelte consapevoli, e adottare comportamenti idoneiper ristabilire la propria salute, per mantenerla o per ri-definire il proprio progetto di vita in rapporto alla pro-pria condizione. L’intervento è eminentemente educativo. Educare non si-gnifica solo trasmettere conoscenze, ma presuppone il fa-vorire lo sviluppo di comprensione e l’acquisizione di abi-lità. A una minore comprensione/scelta dell’assistito cor-risponde un’elevata e specifica competenza educativa/re-lazionale dell’infermiere o la completa sostituzione. L’in-

tervento educativo deve sempre essere agito dall’infer-miere (Grafico 4).Nella terza variabile si prende in considerazione la pos-sibilità di mettere in atto i comportamenti decisi consa-pevolmente e autonomamente. Esistono situazioni assi-stenziali in cui la persona sa cosa vorrebbe e cosa do-vrebbe fare ma non può farlo. Il caso limite è rappresen-tato dal paziente tetraplegico cosciente e consapevole chenon è però in grado di assolvere neanche alle banali at-tività di vita quotidiana (Grafico 5). Questa è l’area dell’autonomia e della dipendenza dellapersona presa in carico, la variabile che più di altre è sta-ta utilizzata per stimare i carichi di lavoro infermieristi-ci. Ora, noi sappiamo che non tutti gli interventi colle-gabili a questa variabile sono di stretta pertinenza infer-mieristica. Il neonato sicuramente rappresenta una condizione diestrema dipendenza, e necessità di cure e assistenza, manon necessariamente quell’assistenza deve essere di tiposanitario e quindi infermieristico.Per la determinazione dei carichi di lavoro bisogna quin-di spostarsi da un modello incentrato sulla dipendenzadella persona, a un modello che si fonda sulla comples-

Area specifica

Grafico 4

Comprensione/scelta

Bassa

Alta Mobilitazione delle risorse

Elevata e specifica competenza educativa

Area della pianificazione e supervisione

Grafico 5

Azione autonomaElevata discrezionalità decisoria

Variabile che determina la capacità di scelta autonoma della persona

Variabile che determina la capacità della persona di effettuare autonomamente azioni in risposta ai propri bisogni

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sità assistenziale della persona e nel quale la dipendenzacostituisce solo una delle variabili.Gli interventi legati alla “dipendenza” possono, su speci-fica valutazione infermieristica, essere demandati ad al-tri operatori. A una diminuita possibilità di azione dell’assistito corri-sponde un’elevata discrezionalità decisoria dell’infermiereche valuta se effettuare direttamente gli interventi o sedemandarli agli operatori di supporto. In questo caso l’in-fermiere mantiene la responsabilità pianificatoria, la su-pervisione e la verifica di quanto effettuato da altri. L’in-fermiere comunque è sempre responsabile dell’assisten-za ricevuta dal paziente.Ricondurre l’assistenza infermieristica esclusivamente algrado di autonomia- dipendenza dell’assistito, nel passa-to ha determinato una “infermieristizzazione” del siste-ma portando a pensare che tutti i bisogni dell’assistito,indipendentemente dalle condizioni di salute, siano distretta pertinenza infermieristica, contribuendo a un uti-lizzo improprio dell’intera categoria. Infatti, molte inda-gini effettuate in alcune realtà regionali e nazionali han-no evidenziato che in questo momento le attività svoltedal professionista infermiere in molte unità operative sa-nitarie e socio-sanitarie non sono di tipo “sanitario” (al-zata in poltrona, aiuto all’alimentazione o idratazione,igiene personale, …). L’inserimento dell’Oss (operatore socio-sanitario) imponedi ripensare il lavoro infermieristico al fine di renderlo piùrispondente al mandato ricevuto dalla società (persona-lizzazione dell’assistenza, prestazioni ad elevata tipologiascientifico operativa, educazione e relazione) anche con-tinuando a sviluppare competenze cliniche avanzate.Sicuramente preoccupa sia che la nascita di questa figu-ra professionale sia stata determinata anche dalla gravecarenza di personale infermieristico, sia che qualcuno piùo meno velatamente pretenda di sostituire gli infermiericon gli Oss specializzati. Siamo tuttavia consapevoli chegli infermieri, in molte situazioni, non hanno potuto eser-citare al meglio la propria professionalità proprio perchénon coadiuvati da altre figure. Per questo non ci preoc-cupa l’inserimento di figure di supporto alla nostra assi-stenza, visto che la professionalità dell’infermiere si gio-ca su fronti del tutto diversi e assai complessi. Anzi ci au-guriamo che, finalmente, non si utilizzerà più tanto tem-po a insegnare il rifacimento del letto vuoto.Se la professionalità dell’infermiere si giocherà attraver-so il modello della complessità presentato, le sue compe-tenze si declineranno:

• nella capacità di interventi ad alta componente tecni-co-scientifica;

• nella capacità di valutare, decidere se fare direttamen-te o demandare;

• nella capacità di educare all’acquisizione di competen-ze orientate all’autocura, alla consapevolezza del pro-prio stato e alla scelta consapevole di ciò che può au-mentare il grado di indipendenza anche dal professio-nista sanitario.

Ma quale contesto organizzativo e gestionale dovrà esse-re posto in essere perché gli infermieri siano posti nellecondizioni di esprimersi al meglio e di contribuire al buonandamento del sistema in cui operano?È necessario che in ogni organizzazione sanitaria vi siaun dipartimento, un servizio o quant’altro a cui devonopotersi riferire tutti gli infermieri e coloro che li coadiu-vano che, diretto da un infermiere/dirigente sanitario instretta sinergia con la direzione generale e sanitaria del-l’azienda effettui e garantisca con autonomia e discre-zionalità decisoria riconosciuta:• l’analisi e la valutazione dei processi assistenziali posti

in essere nell’intero ambito aziendale;• il richiamo costante ai valori etici, alle norme deonto-

logiche, alla mission aziendale;• l’orientamento, la promozione, l’implementazione e la

valutazione delle attività e delle prestazioni di naturacurativa, preventiva, riabilitativa e informativo/edu-cativa poste in essere per raggiungere o per collabo-rare al raggiungimento, degli obiettivi di salute defi-niti dalla direzione e dalle diverse strutture operativeaziendali;

• la definizione delle modalità e l’elaborazione degli stru-menti attraverso cui:

• definire il fabbisogno e l’allocazione del personale in-fermieristico e di supporto assistenziale nelle diversestrutture aziendali e/o convenzionate con l’azienda,

• valutare la qualità, pertinenza, appropriatezza ed effi-cacia/efficienza delle attività e delle prestazioni postein essere dal personale infermieristico e di supporto al-l’assistenza infermieristica;

• effettuare la valutazione permanente del personale in-fermieristico e di supporto all’assistenza infermieri-stica;

• rilevare il fabbisogno formativo e attivare le iniziativedi formazione permanente aggiornamento (Ecm);

• individuare, progettare e porre in essere interventi diricerca/indagine/studio per definire, migliorare, modi-ficare, integrare i flussi informativi, i modelli assisten-

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ziali e organizzativi, le tipologie prestazionali e quan-t’altro contribuisca ad elevare la qualità delle cure e del-l’assistenza e al buon andamento dell’azienda.

È necessario altresì che l’infermiere/dirigente sanitariopossa godere sistematicamente e strutturalmente di in-fermieri/dirigenti sanitari di struttura semplice, che li co-adiuvano nelle unità operative. Tenendo come riferimento il modello della complessitàassistenziale, possiamo pensare che il ruolo di questo in-fermiere/dirigente sanitario di struttura semplice, sia quel-lo di creare le condizioni affinché l’infermiere possa im-piegare il suo sapere disciplinare per risolvere i proble-mi di salute del cittadino all’interno di una struttura azien-dale in cui è necessario interagire con altri professioni-sti, con più direzioni – tra cui quella infermieristica – ein cui ci sono dei vincoli di budget che non si possonoignorare. Nel contesto sanitario, altamente complesso, ilsaper creare e conservare una rete, che unisca e inter-facci i diversi attori e gli strumenti del progetto sanitario,risulta di fondamentale importanza per riuscire a daredelle risposte appropriate ai bisogni infermieristici deicittadini.Il ruolo dell’infermiere/dirigente sanitario di strutturasemplice può essere identificato con le seguenti fun-zioni:• tradurre gli orientamenti e gli obiettivi aziendali in obiet-

tivi operativi attraverso scelte organizzative gestionali;• definire il modello di erogazione delle prestazioni in-

fermieristiche e tecnico alberghiere e promuovere si-stemi di valutazione nell’ottica del miglioramento con-tinuo;

• promuovere e sostenere l’assistenza infermieristica per-sonalizzata coerentemente con lo sviluppo normativo eprofessionale;

• individuare il fabbisogno formativo del personale;• assicurare il raggiungimento degli obiettivi di tirocinio

degli studenti infermieri e promuovere la formazionepermanente;

• promuovere e attivare il processo di attribuzione aglioperatori di supporto di attività non sanitarie, e sani-tarie – per tramite della pianificazione infermieristica– agli stessi operatori, formati, di cui comunque gli in-fermieri conservano la responsabilità complessiva delprocesso in cui sono inserite tali attività;

• sviluppare con i Professionisti di riferimento sistemi diprogrammazione e pianificazione relativa all’approvvi-gionamento, all’utilizzo delle risorse materiali e tecno-logiche in funzione dell’attività produttiva presunta, nel

rispetto del budget concordato e dei relativi obiettiviaziendali;

• concordare e garantire il mantenimento dell’attività pro-duttiva dell’unità assistenziale programmando le mo-dalità di impiego del personale infermieristico e tecni-co sanitario.

E infine, ma non perché meno importante, è bene sotto-lineare che tale contesto organizzativo implica una tra-sformazione della responsabilità dell’infermiere da pre-valentemente clinica, a una responsabilità clinica e ge-stionale di risorse materiali e umane. Non a caso l’ultimo contratto di lavoro lo colloca nella ca-tegoria D. Responsabilizzare sull’uso delle risorse implicariconoscere una valenza manageriale a chi determina, conil suo comportamento, il successo economico di una or-ganizzazione. La concentrazione delle conoscenze mana-geriali solo in alcune figure non è funzionale a una strut-tura sanitaria che deve occuparsi di complessi bisogni disalute che implicano una integrazione di saperi diversi. Si tratta quindi di cambiare la cultura organizzativa, conl’ottica dello sviluppo delle risorse, riconoscendo che ilrisultato sanitario è il prodotto di numerose sinergie eche la qualità del servizio offerto dipende in primo luo-go dalla professionalità e dalla motivazione degli opera-tori, sappiamo tutti che in questo momento, in molte real-tà, il nostro lavoro non è gratificante, a volte gli infermierihanno l’impressione di portare acqua senza neanche sa-pere chi ha sete. L’abbandono precoce della professione e la diminuzio-ne del numero delle persone che vogliono intrapren-derla, sono due fenomeni che devono farci riflettere an-che sulle condizioni organizzative in cui continuano adoperare. Occorre implementare modelli organizzativi che favori-scano lo sviluppo di autonomia e l’assunzione di respon-sabilità in integrazione con il gruppo di lavoro. Ricor-rendo alla metafora utilizzata poco fa, si tratta di decide-re cosa dare da bere a chi ha sete.In questi anni la Federazione ha contribuito al raggiun-gimento di importanti risultati quali, ad esempio:• profilo professionale che delinea il ruolo di un professio-

nista della salute autonomo;• laurea che non rappresenta solo il cambiamento della

sede formativa ma costituisce il presupposto per lo svi-luppo scienza infermieristica;

• dirigenza su livelli diversificati che riconosce responsa-bilità gestionali specifiche e consente l’attivazione diservizi e dipartimenti infermieristici;

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• contratto che con il passaggio alla categoria D ha san-cito una diversa operatività e responsabilità degli in-fermieri e che ha introdotto il riconoscimento di unosviluppo di carriera, non solo verticale ma, anche oriz-zontale.

Questi risultati rappresentano una condizione non suffi-

ciente ma sicuramente necessaria per cambiare una real-tà che a volte sembra immodificabile. Ma anche i traguardi raggiunti, solo sino a pochi anni fasembravano irraggiungibili! Il loro raggiungimento ci in-segna che vale la pena di credere nella nostra forza e diimpegnarsi!

1. Ideato da un gruppo di colleghe della Regione Friuli-Venezia Giulia (Finos,Pellizzari, Pitacco e Silvestro, 2001)

2. Piano sanitario nazionale.3. Il Governo Clinico: una garanzia di qualità, documentazione del VI Master

Agenzia regionale sanità, Regione Emilia Romagna.Convegno della Federazione Collegi Ipasvi, Infermieri: la sanità che vo-gliamo, Roma, 22 marzo 2001.

4. Edgar Morin, I sette saperi necessari all'educazione del futuro, RaffaelloCortina Editore, Milano 2001, pagg. 40 - 41.

5. Ibidem, pag. 14.

6. Roberto Vaccani, La sanità incompiuta, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1991.7. Convegno della Federazione Collegi Ipasvi, Indicatori e standard per l'as-

sistenza infermieristica, Firenze 13 aprile 2002.8. Non rappresenta una tipologia di risposta ma la natura stessa della pratica

infermieristica. Affermare che l’intervento è di natura relazionale è una tau-tologia: qualsiasi attività umana sia esso di natura tecnica o educativa pre-suppone una relazione. Probabilmente si è sentito la necessità di esplici-tarlo nel profilo proprio perché in ambito sanitario e in particolare nella me-dicina, l’ottica si è spostata dal malato alla malattia.

9. Epstein, Humbert, JAMA 2002

Note bibliografiche

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Solo il saggio non smette di avere sempre presente il tutto, non di-

mentica mai il mondo, pensa e agisce in rapporto al cosmo.

Groethuysen

Il contesto in cui ci muoviamo

Un luogo comune nella letteratura che analizza la cri-si del rapporto struttura sanitaria-cittadino consi-

dera una conseguenza dell’alta specializzazione e dell’e-voluzione scientifica l’impoverirsi dei rapporti umani e ilprogressivo allontanamento dei tecnici dalle persone. Le recenti acquisizioni biomediche, il nuovo assetto delsistema sanitario e la diffusione di metodologie di sup-porto per la pratica clinica, e le evidenze scientifiche han-no determinato una spinta verso dimensioni specialisti-che del sapere e della ricerca che hanno portato un rea-le impoverimento delle capacità umane di generalizza-zione delle conoscenze, in particolare della capacità deiprofessionisti di collegare i “saperi specifici” alla dimen-sione globale della persona.Contrariamente all’opinione diffusa, lo sviluppo di atti-tudini generali della mente permette un migliore svilup-po delle competenze particolari o specializzate. Più po-tente è l’intelligenza generale, più grande è la capacità ditrattare problemi specifici. La formazione, ad ogni livel-lo, deve favorire la capacità naturaledella mente di porre e risolvere problemi . A questo proposito, accingendomi a preparare il mio in-tervento, mi ha colpito rileggere un piccolo ma significa-tivo testo di Edgar Morin, I sette saperi necessari all’educa-

zione del futuro1. Questo testo, che è stato pubblicato per

la prima volta dall’Unesco nel 1999, affronta i problemilegati alla formazione nei prossimi anni partendo da al-cune considerazioni:• la formazione, che ha come oggetto la conoscenza, de-

ve potenziare la capacità di riconoscere gli errori;• la conoscenza deve essere pertinente, cioè sviluppare

l’attitudine della mente umana a situare tutte le infor-mazioni in un contesto di insieme;

• occorre insegnare l’unità complessa della natura uma-na, fisica, biologica, psichica, culturale, sociale, storica;

• occorre insegnare l’identità terrestre, cioè mostrare co-me nel XXI secolo tutti gli esseri umani, siano posti difronte agli stessi problemi di vita e di morte;

• occorre insegnare ad affrontare le incertezze, i rischidell’inatteso per affrontarlo;

• occorre insegnare la comprensione fra gli umani persviluppare reciproche tolleranze;

• occorre formare ad un’etica della responsabilità.A questi richiami, nessun formatore può sottrarsi, nessunlivello formativo può dirsi escluso, questi “saperi” do-vranno essere perseguiti e inseriti nei vari percorsi for-mativi perché il genere umano apprenda la complessitàe la fragilità del vivere insieme nella pace. Questa impostazione mira a una lettura globale della real-tà umana e in particolare è una riscoperta di quel tuttoche è un qualcosa di più della somma delle sue singoleparti. Il contatto con l’altro uomo, singolo, unico, irripe-tibile, così simile eppure diversissimo apre ad un relazio-narsi ascoltante dell’altro che diviene unica possibilitàper una formazione che sottenda autenticamente la di-mensione umana2. Per affrontare questi orientamenti la formazione delleprofessioni sanitarie deve riconsiderare i propri riferi-menti teorici e aggiornare i propri statuti epistemologi-ci per fornire al professionista strumenti che lo rendanoin grado di affrontare oltre alle scoperte scientifiche ladimensione personale di ognuno nelle condizioni di sa-lute e malattia. Il progetto formativo della Federazione nazionale Ipasvimuove da queste considerazioni e vuole essere un con-tributo al dibattito e alla progettazione formativa che inogni sede universitaria si è avviata o si sta avviando. Si tratta di una linea di indirizzo, di una proposta meto-dologica, ma non solo. Afferma anche una posizione cul-turale che l’organismo di rappresentanza nazionale degliinfermieri intende sostenere, dichiarando, attraverso la

di Loredana Sasso*

La filosofia del progetto formativo della Federazione Ipasvi

* Segretaria della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi

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definizione delle attività professionali e degli obiettivieducativi, il contributo specifico in termini di compe-tenze che la nostra professione intende:• offrire alla società, con l’auspicio di fornire risposte ade-

guate ai cittadini e favorire l’incremento del valore so-ciale riconosciuto alla professione;

• condividere con formatori e studenti, con l’auspicio direndere più sinergici gli sforzi comuni di questi attori,ancorandoli a un progetto professionale esplicito e con-sensualmente accettato;

• confrontare con le altre professioni sanitarie, in quan-to si ritiene fondamentale che nell’approccio multi-professionale, indispensabile per affrontare i problemidi salute di una persona, si possa contare su una visio-ne e una proposta infermieristica precisa produttiva,ben identificabile all’interno dell’équipe.

Le radici del progettoL’avvio del progetto formativo della Federazione nazio-nale Ipasvi risale al 1997.Lo scenario di quel periodo era caratterizzato da notevo-le incertezza:• il Dm 739/94 stentava a decollare data la permanenza

in vigore del Dpr 225/74; • la tabella XVIII ter appena entrata in vigore metteva in

risalto le incongruenze di un sistema formativo centra-to sulle discipline e lontano dalle necessità di appren-dimento.

La formazione degli infermieri incominciava a confron-tarsi con il sistema universitario mentre l’università ita-liana si preparava ad armonizzarsi con il sistema univer-sitario europeo.Con il decreto 509/99 trova compimento il progetto diriforma degli atenei iniziato in quegli anni. Tale riforma

prevede un sistema universitario flessibile, basato sulla li-bertà degli atenei nel darsi uno statuto un’autonomia am-ministrativa e finanziaria e un autonomo ordinamentodei corsi di studio. Si tratta di un nuovo assetto complessivo organizzato conlogiche caratterizzate da una maggiore flessibilità e dauna maggior attenzione alla qualità dell’apprendimentoe alle esigenze dello studente. In questo nuovo assetto la formazione infermieristica siarticola in laurea di primo livello, master e laurea spe-cialistica (Schema 1).

Laurea di primo livello

Il corso di laurea è il primo livello degli studi universita-ri. Requisito minimo per l’accesso scuola superiore quin-quennale. I corsi di laurea hanno una durata triennale e garanti-scono l’acquisizione di specifiche competenze professio-nali per un adeguato inserimento nel mondo lavorativo.La laurea è rilasciata agli studenti che abbiano maturato180 crediti3.Obiettivo della laurea per infermiere è preparare gli stu-denti alle competenze proprie previste dallo specifico pro-filo professionale4 in cui viene precisato che:“ L’infermiere:

• partecipa all’identificazione dei bisogni di salute della per-

sona e della collettività

• identifica i bisogni di assistenza infermieristica della perso-

na e della collettività e formula i relativi obiettivi

• pianifica, gestisce e valuta l’intervento assistenziale infer-

mieristico

• garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagno-

stico- terapeutiche

• agisce sia individualmente sia in collaborazione con gli altri

operatori sanitari e sociali

• per l’espletamento delle sue funzioni si avvale, ove necessa-

rio, dell’opera di personale di supporto

• contribuisce alla formazione del personale di supporto e con-

corre direttamente all’aggiornamento relativo al proprio pro-

filo professionale e alla ricerca”.

Queste competenze vengono agite professionalmente at-traverso le seguenti funzioni:• prevenzione/diagnosi precoce;• assistenza;• educazione terapeutica; • gestione;• formazione;• ricerca.

Diploma di scuola media superiore

Laurea180 crediti

Laurea specialistica120 crediti

Dottorato di ricerca180 crediti

Schema 1

Master I livello60 crediti

Master II livello60 crediti

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LA FILOSOFIA DEL PROGETTO FORMATIVO 33

Master

I Master universitari sono titoli di studio rilasciati al ter-mine della conclusione di corsi di perfezionamento scien-tifico o di alta formazione post laurea. Dopo la laurea si può accedere al master di primo livel-lo, dopo la laurea specialistica si accede a quello di se-condo livello. Alla frequenza dei Master sono ammessi coloro che ab-biano maturato 60 crediti formativi o conseguito titoliprofessionali acquisiti in base alla normativa precedenteai sensi della Legge 1 dell’8 gennaio 2002.Gli obiettivi dei Master di primo livello sono orientati afar approfondire, a un infermiere già laureato, compe-tenze professionali in specifici settori dell’assistenza sa-nitaria: ad esempio, area critica, geriatria, pediatria, psi-chiatria, ecc.. “un infermiere, formato a livello di Master,ha acquisito avanzate competenze professionali gestuali,comunicative ed intellettive per lavorare in qualunqueambito operativo5 in cui è necessario gestire strategie as-sistenziali infermieristiche globali, continue, tempestive,intensive e di elevata qualità6:• in risposta ai bisogni di salute e ai problemi fisici, psi-

cosociali complessi7, reali o potenziali, che si manife-stano nelle persone dalla nascita alla fine della vita;

• riferite a particolari condizioni di elevata dipendenzao vulnerabilità8 della persona assistita o di una comu-nità.

La struttura del percorso formativo proposto, articolan-dosi in 60 CFU (1500 ore), consente al professionista lapossibilità di scegliere la sequenzialità dei moduli da ap-profondire, infatti la struttura di master secondo il pro-getto Ipasvi è illustrata nello Schema 29:Ogni modulo rappresentato ha una propria autonomiadidattica e formativa e si conclude con una valutazionerilasciante un attestato di perfezionamento che certificale competenze acquisite.

Laurea specialistica

È rilasciata agli studenti che abbiano maturato ulteriori120 crediti (durata biennale che si sommano ai 180 del-la laurea durata triennale) per complessivi 300 CFU. Ilrequisito di accesso è il titolo di laurea o titoli professio-nali acquisiti in base alla normativa precedente ai sensidella Legge 1 dell’8 gennaio 200212.“Gli infermieri laureati specialisti (…) possiedono una forma-

zione professionale avanzata per intervenire con elevate com-

petenze nei processi assistenziali, gestionali, formativi e di ri-

cerca (…) sono in grado di esprimere competenze avanzate di

tipo assistenziale, educativo e preventivo in risposta ai proble-

mi prioritari di salute della popolazione e ai problemi di qua-

lità dei servizi”13.

La filosofia del percorso formativo presentato prevede l’u-nitarietà delle competenze infermieristiche che non mo-dificano le funzioni tra i vari livelli formativi, ma si svi-luppano a diversi livelli di approfondimento e di com-plessità.A livelli successivi di preparazione non corrispondonoautomaticamente ruoli diversi (come avveniva per le Scuo-le per Dirigenti e Docenti in Scienze infermieristiche).Ma diverse modalità per affrontare problemi prioritari disalute e di qualità dei servizi, ne deriva che l’infermiereformato con laurea specialistica è un professionista che,esercitando competenze avanzate, è in grado di identifi-care, progettare, negoziare e realizzare in una logica mul-tiprofessionale soluzioni a problemi non risolti che unarealtà operativa presenta con l’intento di soddisfare i bi-sogni di salute della popolazione.In questo scenario si inserisce la proposta complessiva direvisione metodologica della formazione infermieristica.Tale proposta prevede una revisione relativa a tutti e trei livelli formativi appena esplicitati.Il progetto ha seguito in tutte le sue fasi un “filo rosso”conduttore di ordine sia concettuale che metodologico

CFU 60

CFU 9 CFU 10 CFU 12 CFU 13 CFU 6 CFU 10

Ore 225 Ore 250 Ore 300 Ore 325 Ore 150 Ore 250

Ore 1500

Schema 2

Politiche diprogrammazionesanitaria e sistema

Programmaz.e controllo dei processi produttivi

Analisi organizzativa

Gestione e sviluppo risorse umane

Infermieristicabasata sull’ evidenza e ricerca

Lo sviluppo di qualità dei servizi

Mas

ter

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garantendone la continuità e la coerenza e vuole esse-re un contributo al dibattito e alla progettazione for-mativa che in ogni sede universitaria si è avviata o si staavviando, adattabile, se condiviso, a qualsiasi contestoformativo.

Principi di riferimento del progetto formativoLa formazione per problemi

La formazione del personale sanitario rappresenta unodei principali sistemi di sostegno della politica sanita-ria. Pertanto, è fondamentale che essa si orienti versola risoluzione dei problemi prioritari di salute della co-munità. L’approccio formativo centrato sui problemi prioritari sta-bilisce una forte e dinamica connessione tra la forma-zione del personale sanitario e la realtà operativa. D’altrocanto, la realtà, a sua volta, presenta anche problemi diqualità; problemi connessi alle strategie operative, all’or-ganizzazione del lavoro, alla gestione delle risorse pro-fessionali, tecnologiche ed economiche. Pertanto, la for-mazione che intende orientare l’apprendimento dello stu-dente sui problemi prioritari nella realtà dei servizi, nonpuò fare a meno di considerare i problemi di qualità diquesti ultimi come ottime occasioni di apprendimento ecome elementi di studio e ricerca su cui sperimentarestrategie di soluzione.L’apprendimento per problemi risulta coerente con la vi-sione professionale che abbiamo delineata e anche effi-cace e coinvolgente per lo studente. L’esperienza delle se-di formative del network internazionale delle scuole in-novative lo dimostra.L’apprendimento basato sulla soluzione di problemi è unprocesso in base al quale un problema consente allo stu-dente di apprendere come capirlo e come affrontarlo invista di una sua soluzione. È un metodo che mantiene at-tivi e curiosi gli studenti di tutte le età, spingendoli a la-vorare in piccoli gruppi e rendendo attraente l’appren-dimento. Tutte condizioni fondamentali per garantire lapertinenza della formazione in linea con I sette saperi dicui si è parlato in premessa. Un problema, pertanto, dal punto di vista dell’apprendi-mento è definibile come “una situazione stimolo nei con-fronti della quale un individuo non dispone di una solu-zione già pronta. Si può dire che a partire dal momentoin cui un individuo ha trovato una soluzione il problemacessa di esistere per quell’individuo, anche se può rima-nere tale per un’altra persona che ha un livello di com-petenza inferiore12.

L’apprendimento per obiettivi

Gli obiettivi sono le espressioni delle competenze pro-fessionali che ci si aspetta che lo studente acquisisca. La definizione degli obiettivi educativi, all’interno del pro-getto formativo fondato sui principi sopra enunciati, nonè un’operazione che può essere condotta totalmente apriori dai docenti. È piuttosto un processo che prendeavvio e si autoalimenta nell’incrocio tra:• un riferimento generale, costituito dalla lista di attivi-

tà professionali che tratteggiano il profilo di compe-tenza del professionista

• un contesto particolare determinato dai problemi rea-li che lo studente affronta

• il soggetto in apprendimento che è già portatore di com-petenze e a cui è richiesta una costante autovalutazio-ne per identificare i propri bisogni educativi.

Una formazione che si fonda su obiettivi di competenzae non di semplice conoscenza e che, quindi, privilegial’apprendimento all’insegnamento rappresenta in molterealtà un’innovazione non solo coerente da un punto divista pedagogico ma anche coerente con la natura del la-voro dell’infermiere e dell’organizzazione che lo accom-pagna.

Centralità del ruolo dello studente e dei suoi processi

di apprendimento

L’apprendimento è un processo individuale, che viene at-tivato solo tramite il coinvolgimento della volontà dellapersona, e che non comporta necessariamente la presenzadi un formatore. L’apprendimento è un processo che ri-guarda colui che apprende e che coinvolge il formatorenell’attivazione delle condizioni più efficaci perché l’al-tro apprenda.Ne deriva che la sfida della formazione è quella di soste-nere lo studente nel dotarsi di metodi e strumenti validiper rispondere, con un’azione professionale efficace econsapevole, ai problemi di salute dei cittadini. In questaprospettiva, da una parte lo studente assume il ruolo diprotagonista del proprio progetto formativo, dall’altra ilsistema formativo assume la responsabilità di facilitarlonello sviluppo delle sue potenzialità, e di sostenerlo nelsuo apprendimento.Il contratto formativo rappresenta dunque l’incontro el’impegno di due responsabilità: quella dello studente equella del docente. In questa relazione il formatore e lostudente si impegnano rendendo esplicito il contributoreciproco per il raggiungimento degli obiettivi stabiliti.Infine il contratto formativo non riguarda solo il momento

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LA FILOSOFIA DEL PROGETTO FORMATIVO 35

progettuale ma investe l’intero sviluppo dell’azione for-mativa, ponendo lo studente nella condizione di riflette-re su se stesso e di confrontarsi con altri nell’assumeredecisioni rispetto al proprio iter formativo.

Dall’analisi della realtà le ragioni di una sceltaNell’avviare la revisione dei percorsi formativi si è tenta-to di rispondere a tre domande:• quale infermiere è più utile alla società? • quali competenze egli deve padroneggiare per rispon-

dere al suo mandato sociale?• quale formazione è più utile perché lo studente possa

acquisire queste competenze? Gli orientamenti delle scelte attuate traggono ragione:• dalla società, • dai nuovi i traguardi professionalizzanti già raggiunti

in questi ultimi anni, • dalle nuove logiche organizzative, • dalla ricerca di un apprendimento più efficace.Proviamo a esplorare brevemente queste motivazioni.

La società esige risposte di qualità

Il mandato istituzionale di un sistema formativo profes-sionale è rappresentato dalla qualità dei professionistiche immette sul mercato. Esso ha anche il dovere etico-sociale di proteggere la società dagli incompetenti. Me-taforicamente, la realizzazione di un progetto formativopuò rappresentare una sorta di estinzione di un debitosociale, costituzionale. Garantire la tutela della salute pas-sa attraverso la capacità dei professionisti di affrontare iproblemi di salute della popolazione.Secondo quanto scrive Schon, "nella variegata topografia

della pratica professionale vi è un terreno stabile, a livello ele-

vato, ove i professionisti possono fare un uso efficace di teorie

e tecniche fondate sulla ricerca, e vi è una pianura paludosa

ove le situazioni sono “grovigli” fuorvianti che non si prestano

a soluzioni tecniche. La difficoltà sta nella circostanza che i

problemi di livello elevato, per quanto grande sia il loro inte-

resse tecnico, sono spesso relativamente poco importanti per i

clienti o per la più vasta società, mentre nella palude vi sono i

problemi di maggior interesse umano"13.

Ne deriva, quindi, che la formazione infermieristica deve es-sere centrata su quelle competenze professionali che sononecessarie all’infermiere, ai vari livelli, per affrontare i pro-blemi di salute e bisogni di assistenza della popolazione eanche quei problemi di qualità dei servizi legati all’organiz-zazione che spesso influenzano la qualità assistenziale.

Gli infermieri hanno raggiunto

la piena autonomia e responsabilità

Sul piano giuridico si è passati dalla logica del “puoi dun-que devi” di un tempo al “devi, dunque fai, dunque puoi”14

sul piano operativo ciò può costituirsi come un moto dicrescita della professione che osa affrontare le esigenzedella realtà, che si prepara a possedere le competenze ne-cessarie che ricerca nuove legittimazioni all’interno di re-gole sociali che stabiliscono ambiti e spazi di azione inrelazione agli obiettivi da raggiungere. Esercitare pienamente la propria autonomia e la propriaresponsabilità significa decidere, non solo dell’azione dacompiere ma anche delle conseguenze relative all’azionestessa.Il mondo dell’esperienza è caratterizzato da situazioni acomplessità differenziata: da un livello minimo, riscon-trabile in situazioni prevedibili, caratterizzate da elevatastabilità, bassa turbolenza, problemi con soluzione chiu-sa (cioè facili da diagnosticare e risolvere, prevalente-mente tecnici con una sola possibile risposta corretta,spesso già anche sperimentata in passato), fino a un li-vello massimo rappresentato da situazioni a bassa stabi-lità, ad elevata turbolenza, da problemi a soluzione aper-ta (cioè senza risposte giuste o sbagliate prevedibili, spes-so privi di riscontri nell’esperienza passata). È proprio inquesta gamma di situazioni problematiche che si modu-la la discrezionalità del professionista e il suo potere de-cisionale: "le professioni sono attualmente poste di fronte a

un’esigenza di adattabilità senza precedenti (…). Le situazio-

ni che dominano l’esercizio della pratica professionale (…) so-

no situazioni problematiche caratterizzate da incertezza, dis-

ordine e indeterminatezza"15.

Ne deriva, quindi, che formare all’autonomia e alla re-sponsabilità richiede una formazione alla competenza de-cisionale che non può che essere esercitata nei confron-ti di problemi a complessità differenziata. Fino ad arriva-re al livello di quei problemi non risolti da altri in una de-terminata realtà e che richiedono l’esercizio di compe-tenze acquisibili attraverso percorsi formativi avanzati (ve-di laurea specialistica).

L’organizzazione del lavoro valorizza

le competenze per ottenere risultati di qualità

L’evoluzione delle forme di organizzazione del lavoro par-te dalla fase artigiana (pretayloristica), con una domi-nanza del concetto di mestiere. Con la forte parcellizza-zione dei compiti lavorativi, caratteristica della fase tay-loristica, prevale, invece, il concetto di mansione, consi-

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derata come insieme di compiti, spesso elementari, pre-definiti e rigidamente assegnati al lavoratore. Compiti in-dividuati sulla base del disegno organizzativo della strut-tura formale del processo produttivo. Le successive innovazioni organizzative, che hanno mira-to al superamento del disegno tayloristico delle mansio-ni, sono state caratterizzate dall’emergere del concetto diruolo lavorativo. Con questo termine si vuole indicare ilcontributo operativo offerto effettivamente dal soggettoin termini di funzioni svolte all’interno del processo la-vorativo e nel contesto di relazioni e aspettative che que-sto determina. Il concetto che caratterizza oggi gli studi sull’organizza-zione del lavoro è quello di competenza che si focalizzasulla capacità dell’individuo dell’utilizzo delle conoscen-ze e delle azioni in specifici contesti operativi, con diver-so grado di problematicità. Le professioni vengono, quin-di, analizzate in termini di competenze afferenti ad areedi attività.La nozione di competenza è intuitivamente chiara. Quan-do si attribuisce a qualcuno una competenza in un de-terminato campo, ci si riferisce a “ciò che permette una pre-

stazione eccellente, ciò che assicura il dominio di un problema

in situazioni anche molto diverse, ciò che permette di applica-

re efficacemente le conoscenze alla pratica, ciò che distingue

l’esperto dal neofita”16.

L’attuale contesto che intende basarsi sulla qualità e sul-la flessibilità dei servizi, ovvero sulla capacità di rispon-dere rapidamente e in modo soddisfacente ai bisogni del-l’utenza all’interno di costi concorrenziali, spinge le azien-de sanitarie a pensare e a pensarsi in modo diverso daquello tradizionale. Lo strumento classico finora utilizza-to dalle organizzazioni – il modello gerarchico, basato sul-la mansione e la procedura – appare inadeguato a gesti-re la complessità crescente, ad attivare decisioni rapide,a coordinare e integrare tutte le attività presenti in un’or-ganizzazione. Per far fronte alle nuove esigenze, le organizzazioni piùattente, tendono ad adottare modelli organizzativi im-perniati sulla logica di processo, ovvero su una strutturadi tipo reticolare, composta da diverse unità autonome,tra loro collegate dallo stesso obiettivo e da un diffusoscambio di informazioniL’organizzazione per processi supera, quindi, la strutturaverticale formata da un insieme di compiti specialisticida coordinare attraverso una struttura gerarchica ben de-finita e da flussi informativi principalmente alto-basso ebasso-alto.

L’opportunità diventa, pertanto, quella di ricomporre lediverse attività senza dispenderle o parcellizzarle (comenella logica tayloristica) in modo che i professionisti ab-biano una visione e una responsabilità complessiva delprocesso stesso.Questa lettura rende anacronistico l’ancora diffuso mo-dello organizzativo funzionale, “per giri”, dell’organizza-zione del lavoro infermieristico in ospedale che non con-cede al professionista di governare il processo assisten-ziale, e di agire pienamente le sue competenze.Ne deriva, quindi, che ripensare la formazione richiedecontestualmente una modificazione dei contesti orga-nizzativi: formare un professionista alla responsabilità ealla competenza significa poi inserirlo in un’organizza-zione che riconosca e valorizzi queste capacità. D’altra parte un’organizzazione responsabilizzante de-ve poter fruire di soggetti pronti ad agire con respon-sabilità.

L’apprendimento deve essere significativo

Si parla di apprendimento significativo per definire quel-l’apprendimento che genera un cambiamento nel mododi pensare e di agire di una persona. Per imparare in mo-do significativo gli individui devono poter collegare i nuo-vi apprendimenti al bagaglio di conoscenze ed esperien-ze già posseduto. Ne deriva, quindi, che è importante distinguere tra pro-cesso di apprendimento messo in atto e metodologia di-dattica impiegata: da un apprendimento recettivo in cuiil soggetto è passivo a un apprendimento per problemi,per scoperta o per ricerca, in cui lo studente identifica eseleziona gli apprendimenti.Questa metodologia richiede l’uso dell’intelligenza ge-nerale, non solo della memorizzazione di contenuti e ri-chiede altresì il libero esercizio della facoltà più diffusa epiù viva nell’infanzia e nell’adolescenza, la curiosità, chetroppo spesso viene spenta nei percorsi di studio, si trat-ta invece di potenziarla e risvegliarla.

Le condizioni per la realizzazionedella formazione

L’applicazione dei suddetti principi apre indubbiamenteampi orizzonti sul piano operativo e fa emergere la signi-ficatività di alcuni aspetti. Tra questi, in particolare, vo-gliamo sottolineare l’importanza:• dell’apprendimento clinico;• della funzione tutoriale;• della formazione dei formatori.

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LA FILOSOFIA DEL PROGETTO FORMATIVO 37

L’importanza dell’apprendimento clinico

Il vero apprendimento di competenze si compie in uncontesto di realtà. Da qui l’importanza che assume l’ap-prendimento clinico e l’identificazione degli ambiti in cuiesso debba essere svolto, in questo modo ogni studentepotrà fruire di esperienze di apprendimento significativein ambiti accuratamente identificati ed essere supporta-to da équipe di lavoro motivate e competenti, allo scopodi prepararsi professionalmente a buoni livelli di qualitàassistenziale.In coerenza con ciò è importante che allo studente ven-ga offerta la possibilità di esercitarsi e sperimentare inluogo protetto attività professionali coerenti con gli obiet-tivi del suo progetto formativo. Le sedi di tirocinio do-vrebbero poter offrire standard assistenziali e procedurecoerenti con i bisogni formativi degli studenti, e identi-ficabili nei “contratti di apprendimento clinico”. Si tratta di entrare in una vera e propria logica di accre-ditamento, inteso secondo una duplice accezione: sia co-me sistema di misurazione, di determinati requisiti qua-litativi delle sedi in cui si svolge l’apprendimento clinico,sia come insieme di quei processi, presenti o attivabilinelle stesse sedi, anche con il sostegno e il contributo si-nergico degli studenti e della struttura formativa, in gra-do di incrementare reciprocamente la qualità dell’assi-stenza e della formazione.Non si tratta di mettere in discussione modalità organiz-zative, tecniche operative bensì di considerare il conte-sto organizzativo con lo sguardo in qualche misura ester-no, di chi vi è inserito per apprendere.Il tirocinio può essere considerato luogo di incontro e in-tegrazione in quanto mette a confronto istituzioni, sape-ri, operatori, gruppi professionali e costituisce punto diraccordo tra teoria e pratica, tra competenze gestuali, re-lazionali e intellettuali.

L’importanza della funzione tutoriale

L’apprendimento dall’esperienza è una modalità di faci-litazione dell’apprendimento se accompagnata da una ri-flessione critica. Il sostegno e lo sviluppo dell’autorifles-sività dello studente è una delle linee di forza della fun-zione tutoriale. La capacità di riflettere in modo critico sulle proprie azio-ni traendone stimolo di miglioramento favorisce l’inte-grazione tra conoscenze ed esperienza generando la com-petenza. In altre parole il tutor può facilitare durante l’apprendi-mento clinico, non solo l’applicazione della teoria ma an-

che la ricerca dei modi con cui la teoria emerge dalla pra-tica quotidiana. Infatti la funzione tutoriale riconosce co-me prioritarie:• la connessione organica prevista e strutturata con tut-

to il percorso formativo;• l’orientamento al profilo professionale e all’acquisizio-

ne di competenze di base piuttosto che specialistiche;• lo sviluppo di competenze riferite a una chiara identi-

tà professionale.Il tutor, quindi, si interfaccia, con una relazione educati-va, tra progetto formativo e soggetto in formazione conlo scopo di catalizzare l’apprendimento su obiettivi dicompetenza, in modo personalizzato.

L’importanza della formazione dei formatori

Questo nuovo approccio formativo richiede che la com-petenza dei formatori superi la tradizionale impostazio-ne disciplinare che conduce inevitabilmente a innatura-li separazioni. In questo modello il formatore è un facilitatore, un con-sulente, un agente di cambiamento che si preoccupa pre-liminarmente di individuare le strategie per coinvolgeregli studenti nell’avvio del processo formativo attraverso:• un clima favorevole all’apprendimento caratterizzato da

reciprocità, rispetto, collaborazione;• meccanismi per la progettazione comune; • la diagnosi dei bisogni di apprendimento; • la negoziazione degli obiettivi di apprendimento; • la valutazione dei risultati dell’apprendimento.In questa prospettiva il formatore è identificato come co-lui che facilita, orienta e sostiene lo studente, durante ilpercorso di apprendimento, nella crescita e sviluppo del-le competenze. Tutto ciò rinunciando al potere dell’inse-gnamento che crea dipendenza, a vantaggio del poteredell’apprendimento che rilancia l’autonomia e la re-sponsabilizzazione, due condizioni fondamentali per unprofessionista della salute.Ecco perché, al formatore che accetta questa imposta-zione, è richiesto di orientarsi attraverso un itinerario pe-dagogico che ribalta il tradizionale punto di vista: dal-l’insegnamento al risultato dell’apprendimento. Dato che nessun percorso formativo potrà mai forniretutta la competenza e forse neanche la maggior parte del-le competenze utili per poter esercitare un’azione pro-fessionale aggiornata e pertinente val la pena di fornirenon tanto contenuti quanto:• strumenti per comprendere: comprendere tutto ciò che

chiamiamo realtà, che va ben oltre ciò che conosciamo

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ed è estremamente più complesso di come siamo statiformati o “deformati” a percepire, anche in riferimen-to a fatti o situazioni di cui siamo responsabili. Un buonesercizio per cominciare a conoscere e a comprenderepotrebbe essere l’ascolto;

• strumenti di ragionamento: partendo dal presuppostoche si può riconoscere negli altri una razionalità non ne-cessariamente subordinata alla nostra, si può riuscire adialogare in modo più costruttivo elaborando insieme ilmodo di ridurre il divario tra diverse razionalità;

• strumenti di decisione e di scelta: decidere significascegliere e può anche voler dire acquisire la capacitànon solo di risolvere i problemi ma anche di saperli por-re o porre in modo diverso

• strumenti di valutazione dei risultati: i continui richia-mi fin qui esplicitati rendono la valutazione e l’autova-lutazione di fatto molto di più che uno strumento dicontrollo.

Il professionista quindi costruisce la propria competen-za attraverso percorsi formativi, mediante contatti con la

realtà e attraverso la mediazione di docenti e colleghi –professionalmente più competenti – che gli offrono ele-menti di riflessione, di analisi e di ragionamento.Il sistema formativo interviene efficacemente sull’acqui-sizione e sull’avanzamento delle competenze se non si li-mita alla trasmissione di contenuti ma sostiene un’azio-ne formativa orientata alla consapevolezza e all’autono-mia e capace di strutturare in modo innovativo e flessi-bile i comportamenti professionali.Crediamo che la filosofia del progetto presentato possacontribuire al superamento della frantumazione discipli-nare del sapere, riavvicina il professionista come sogget-to attivo della formazione e riduce il rischio che le per-sone considerino la formazione stessa “altro” dalla vita odal lavoro. Mettiamoci, dunque in movimento.

Non basta sapere, si deve anche applicare; non è abbastanza

volere, si deve anche fare.

Wolfgang Goethe

1. E.Morin, Les sept savoir necessaires à l’education du futur, Public par l’Or-ganisation des Nations Unies Paris 1999. Edizione italiana : Raffaello Cor-tina Editore, 2001.

2. L.Sasso, Il contratto d’aula, in Rivista italiana di analisi transazionale, XIV,26-27, giugno/dicembre 1994.

3. Oggi si definiscono Crediti Formativi Universitari il corrispondente deltempo necessario allo studente per apprendere più che il tradizionale nu-mero di ore di insegnamento. Un Credito Formativo Universitario equi-vale a 25/30 ore ed è comprensivo di tutte le attività che lo studente po-ne in essere per raggiungere la competenza necessaria ad un apprendi-mento ad esempio: lavori in gruppo, discussioni, ricerche bibliografichee così via.

4. D.M. 739/94, art. 1, comma 3.5. Domicilio, servizi territoriali e ospedalieri.6. Valide ed adattate alla persona assistita e alla situazione (pertinenti), effi-

cienti ed efficaci, integrate nel piano di cure globale dell’équipe.

7. Per gravità, urgenza, rarità, multidimensionalità, molteplicità. 8. Per età, patologie debilitanti, cronicità, terminalità, gravi disabilità, meno-

mazioni, handicap, esposizione a rischi fisici, psichici, sociali, riduzione oassenza di risorse personali e di supporti famigliari e sociali.

9. Il modello presentato si riferisce al Master in Management nelle funzioni diCoordinamento

10. Legge 1, 8 gennaio 2002.11. Decreto Murst, 2 aprile 2001, “Determinazione delle classi delle lauree spe-

cialistiche universitarie delle professioni sanitarie”.12. Definizione della parola “problema” secondo G.A. Davis, 1973, citato da

G.Norman, 1988.13. D. A. Schon, Il professionista riflessivo, Dedalo, Bari 1993, pag. 69.14. La legge 42/99 riferendo la responsabilità professionale al codice deonto-

logico definisce l’autonomia e l’autodeterminazione della professione15. D.A. Schon, op. cit., pag. 69.16. Levati W, Saraò M.V., Il modello delle competenze, Angeli, Milano 1998, p.13.

Note bibliografiche

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Negli ultimi anni si è sviluppato, sia in Italia sia in Eu-ropa, un ampio e articolato dibattito il cui esito è

facile prevedere che inciderà enormemente per i decen-ni a venire sulle forme e sull’esercizio delle professioni li-berali, almeno nel Vecchio Continente. È un confronto che investe tutte le professioni, ma cheincide particolarmente su quelle sanitarie in virtù dellaloro connotazione di servizio, costringendole a misurar-si con il libero sviluppo dei mercati da un lato e con ilprocesso d’integrazione europea dall’altro.Il dibattito verte su tre grandi questioni:• l’associazionismo professionale;• la regolamentazione delle professioni liberali;• l’ordinistica (gli Ordini e i Collegi professionali).Come è noto, da più parti si auspica che quella delle so-cietà tra professionisti diventi una realtà operante nelmercato ormai globalizzato. Un’attività, invece, semprevietata sino a quando l’art. 24, L. 7 agosto 1997, n. 266,non ha abrogato il divieto. Questa riforma, tuttavia, restaancora per gran parte inattuata1.Il tema della regolamentazione delle professioni liberaliinveste quasi esclusivamente l’aspetto specifico della li-bera concorrenza tra professionisti. Un argomento, que-sto, di cui ci occuperemo più diffusamente in seguito, an-che perché dalla soluzione di questo problema dipende-rà, in buona misura, il nuovo ruolo che assumeranno gliOrdini e i Collegi professionali. È proprio quest’ultima laterza questione sul tappeto: ripensare gli organi rappre-sentativi delle professioni in chiave più attuale, più fun-zionale allo sviluppo delle figure professionali rappre-sentate.I motivi che hanno prodotto tale dibattito sono di dupli-ce natura; vanno ricercati in parte in elementi comuni atutti i paesi dell’Unione Europea e in parte negli specifi-ci interessi, nelle dinamiche socio-economiche, politichee professionali dei singoli Stati membri.L’asse che accomuna le tre questioni ruota attorno a un

unico perno: il fatto che oggi le professioni liberali si muo-vono al confine tra pubblico interesse e libero mercato,beni giuridici entrambi tutelati dalla nostra Costituzio-ne. Un rapporto di status che si complica ulteriormentenel confronto con l’Europa comunitaria e i suoi principidi libera circolazione delle persone e delle professioni. Di fatto, l’introduzione della cosiddetta “libertà di stabi-limento professionale” nell’ambito dell’UE porta con séla necessità di aprire alla concorrenza anche il settore del-le professioni liberali, ancora di più per quelle che il le-gislatore definisce “protette”. Peraltro, le norme comuni-tarie in materia, a partire dalla Direttiva n. 89/48 del Con-siglio delle Comunità europee (1988) sull’unificazione deidiversi assetti professionali nazionali, indicano inequivo-cabilmente la direzione di una nuova disciplina delle pro-fessioni improntata alle regole della libera concorrenza.Come pure l’adesione dell’Italia al nuovo accordo Gattsulla liberalizzazione di molti servizi professionali impo-ne al legislatore nazionale la progressiva abolizione del-le norme che ostacolano la concorrenza, introducendoesplicitamente il principio di libera concorrenza delleprofessioni intellettuali. Da qui l’azione di diversi Paesi del-l’UE che hanno avviato un riesame approfondito della di-sciplina normativa e regolamentare inerente le professio-ni liberali, nel tentativo di eliminare le eventuali distorsio-ni della corretta concorrenza.Anticipando in sintesi il nocciolo della questione, si trat-ta di verificare se, come vorrebbero certe spinte euro-peiste, sia opportuno “lanciare” le professioni liberali nellibero mercato, considerando i professionisti alla streguadi imprenditori; l’alternativa è ricercare una via che, sen-za scoraggiare gli stimoli del mercato, tuteli il taglio pro-fessionale sino ad oggi acquisito. Di certo, conciliare idue aspetti non è, e non sarà, cosa semplice. Anche per-ché l’adattamento del profilo professionale alla libera con-correnza comporta il rimodellamento degli organi rap-presentativi delle professioni. A loro volta, però, Ordini e

di Gennaro Rocco*

Ordini e Collegi: scenari futuri

* Vicepresidente della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi

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Collegi devono garantire alla socialità il rispetto dei prin-cipi su cui si fondano: la tutela dell’interesse pubblico ela funzione di garanzia sociale. L’osservanza delle regoleconcorrenziali non appare infatti incompatibile con le li-bere professioni o gli Ordini e i Collegi professionali; co-stituiscono, al contrario, un elemento di stimolo al rin-novamento dell’intero settore che ha l’innegabile neces-sità di adeguarsi alla nuova realtà economica, sociale epolitica dell’Europa.

Lo scenario italianoNella sua adunanza del 1 dicembre 1994, l’Autorità Ga-rante della Concorrenza e del Mercato, settore degli Or-dini e Collegi professionali, delibera di procedere, aisensi dell’art. 12, comma 2, della legge 10 ottobre 1990,n. 287, a un’indagine conoscitiva di natura generale nelsettore degli Ordini e Collegi professionali e delle relati-ve professioni regolamentate dagli stessi2. Nella delibera,l’Autorità muove dall’assunto che “le professioni liberali co-

siddette protette assumono motivatamente una posizione di si-

gnificativa rilevanza e prestigio nelle società tanto da benefi-

ciare di una disciplina specifica rispetto ad altri settori dell’e-

conomia nazionale”. Prosegue l’Autorità dicendo che “il le-

gislatore ha, infatti, riconosciuto a dette professioni un parti-

colare interesse pubblico, prevedendo, per la tutela dello stes-

so, l’istituzione di Ordini e Collegi professionali”. E ancora af-ferma che “tale particolare disciplina di valorizzazione e tu-

tela dell’attività riguarda esclusivamente le professioni intel-

lettuali cosiddette protette, quelle cioè per il cui esercizio è ne-

cessaria l’iscrizione a un Albo o elenco tenuto dall’Ordine o

Collegio”.

Posta questa premessa, con cui riafferma il perseguimentodi obiettivi di interesse pubblico da parte di Ordini e Col-legi professionali, l’Autorità si chiede se essi non sianoorgani che, nonostante il fine istituzionale, in qualche mi-sura limitino gli effetti benefici della libera concorrenza3. È interessante capire il ragionamento dell’Autorità (chetuttavia risulta inesatto e in parte contraddittorio) perprendere spunto da una posizione critica e poter svolge-re un’analisi costruttiva per il futuro. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ini-zia il suo iter argomentativo con una forzatura: secondoil suo ragionamento, il libero professionista è un im-prenditore4.Se così fosse, sostiene l’Autorità, e cioè se sia impren-ditore chiunque eserciti una libera professione protet-ta, l’attuale normativa in materia di libere professioni edi Ordini e Collegi professionali creerebbe certamente

delle restrizioni della concorrenza in apparenza ingiu-stificate.Al di là delle perplessità suscitate da alcune parti dell’in-dagine dell’Autorità, le determinazioni conclusive a cuiquesta perviene assumono un significato di generale per-plessità sull’attualità del sistema che risulta “regolamen-tato da norme troppo vecchie rispetto all’evoluzione so-cio-economica del nostro paese”. In altre parole, l’attua-le sistema “restringerebbe o addirittura impedirebbe il li-bero svolgersi della concorrenza”.Vediamo, dunque, quali sono le conclusioni cui pervienel’indagine conoscitiva (conclusioni che risalgono al 1997).Secondo l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mer-cato, l’attuale sistema è da ritenersi superato in quanto:• pone barriere all’accesso alle professioni5;• impone tariffari minimi che sono contrari alla concor-

renza6;• pone limiti territoriali all’esercizio dell’attività profes-

sionale7;• vincola i posti dell’esercizio dell’attività professionale8;• pone restrizioni all’esercizio professionale per chi non

è iscritto9;• limita l’uso della pubblicità.L’Autorità suggerisce quindi che, nel ridisegnare gli am-biti in cui operano gli Ordini e i Collegi professionali, siproceda secondo le seguenti “prescrizioni”:• rivedere le attuali attribuzioni alla luce dell’evoluzione

dei mercati e dei loro assetti più recenti, nel convinci-mento che alcune di queste appaiono oggi inappro-priate e poco funzionali alle esigenze della domanda,rischiando così di apparire come odiosi privilegi a fa-vore delle categorie interessate;

• eliminare quelle funzioni che non rivestono alcuna im-portanza ai fini del corretto svolgimento delle profes-sioni, compresa la potestà di definire i tariffari, in quan-to anticoncorrenziali e non necessarie al conseguimentodegli obiettivi di natura pubblica;

• valorizzare le funzioni che rispondono alla vigilanza sulcorretto svolgimento dell’attività professionale e ridur-re la prerogativa di emanare un corpo di norme deon-tologiche agli aspetti propriamente etici e di pubblicaimmagine della categoria, evitando perciò il ricorso al-l’imposizione di restrizioni concorrenziali tra i profes-sionisti;

• rendere l’attività degli Ordini e dei Collegi più funzio-nale al miglioramento della qualità delle prestazioni, at-traverso un rinnovato impulso all’aggiornamento e allaformazione continua e con il monitoraggio costante del-

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ORDINI E COLLEGI: SCENARI FUTURI 41

la rispondenza nel tempo delle capacità professionalirispetto alla domanda di prestazione10.

Con la sua indagine conoscitiva, l’Autorità Garante del-la Concorrenza e del Mercato lancia al mondo delle pro-fessioni un messaggio chiaro, espresso compiutamente incalce alla delibera di chiusura dell’indagine stessa: “La re-

visione delle norme che disciplinano l’esercizio dell’attività pro-

fessionale porterà a risultati positivi se farà suo il principio che

il conseguimento delle finalità pubbliche non è affatto incom-

patibile con la sottoposizione dell’attività dei professionisti al-

le regole del mercato e della concorrenza, e anzi quest’ultima

può solo contribuire a rendere più efficiente il sistema. Peral-

tro, anche laddove la regolamentazione è necessaria, essa va in

ogni caso collegata in modo diretto e chiaro con l’unico prin-

cipio che la giustifica: il raggiungimento di un maggiore be-

nessere per la collettività”.

In verità, né nelle premesse e neppure nelle conclusionipossiamo condividere appieno il contenuto dell’indagi-ne realizzata dall’Autorità Garante. Non convince, ad esem-pio, il connotato negativo anticoncorrenziale che vor-rebbe attribuirsi al concetto di esclusività della presta-zione riservata agli iscritti di un Ordine o Collegio, spe-cie se in relazione all’esistenza di un interesse pubblicofondamentale come quello della salute. Concetto, questo,che peraltro l’Autorità stessa riconosce quando analizzale “barriere” all’accesso alla professione costituite dagliesami di ammissione, dal numero chiuso, dal praticanta-to obbligatorio, dai codici deontologici. Lo fa argomen-tando così: “Tali barriere, pur potendosi considerare in linea

generale restrittive della concorrenza, potrebbero tuttavia ef-

fettivamente contribuire a garantire uno standard di qualità mi-

nimo nell’esercizio della professione”.

E anche sul fronte della pubblicità professionale, il pun-to di osservazione degli infermieri e del personale sani-tario in generale è alquanto particolare. La spinta libera-lizzatrice in questo specifico campo auspicata dall’Auto-rità Garante deve poter valutare con grande attenzione eprecisione l’impatto che avrebbe in materia di sanità, unsettore quanto mai sensibile sotto questo profilo. Così co-me gli infermieri non sono interessati alle critiche mos-se dall’Autorità all’istituto del tirocinio obbligatorio post-titolo, che non riguarda appunto la professione infer-mieristica la quale, al pari di altre, trae il proprio titoloabilitante direttamente dall’esame di Stato.È certamente lontana dall’ambito infermieristico anchela determinazione suggerita in tema di tariffe. L’AutoritàGarante raccomanda al mondo delle professioni di dise-gnare contratti nei quali il corrispettivo della prestazio-

ne erogata sia in qualche modo correlata al verificarsi dieventi futuri osservabili tanto dal cliente che dal profes-sionista. Scrive l’Autorità Garante: “Il modo più convincen-

te ed efficace per comunicare al pubblico la qualità delle pro-

prie prestazioni è quello di garantire che un determinato risul-

tato sarà raggiunto e che, in caso contrario, non si pagherà la

prestazione resa o si verrà indennizzati da chi non è stato in

grado di mantenere la promessa professionale”. Un approc-cio, questo, che mal si accosta alla peculiarità delle pre-stazioni professionali sanitarie, in cui il collegamento di-retto del tariffario al “successo verificabile” della presta-zione è di fatto improponibile.Tra le conclusioni a cui giunge l’indagine conoscitiva pro-mossa dall’Autorità Garante ravvisiamo comunque altriaspetti ampiamente condivisibili, indicazioni che possia-mo recepire con la buona speranza di metterle a frutto. Ècorretta l’affermazione che all’interno delle stesse pro-fessioni liberali si va diffondendo un’esigenza di maggiorlibertà e di una diversa articolazione organizzativa cheagevoli la nascente concorrenza di organizzazioni pro-fessionali regolate da sistemi normativi più moderni. Inlinea con le attese delle professioni sanitarie è anche l’as-sunto che la regolamentazione dei servizi professionali èappropriata se soddisfa esigenze di carattere generale ela sua introduzione sana imperfezioni di mercato di par-ticolare rilievo, altrimenti suscettibili di produrre risul-tati iniqui e inefficienti. L’indagine giunge poi alla conclusione che un’accentua-ta asimmetria informativa a sfavore del cliente-utente puòesporlo a prestazioni di qualità inadeguata che, data ladelicatezza e il rilievo degli interessi sui quali incidonoalcune attività professionali, sono suscettibili di produr-re effetti particolarmente dannosi. È il caso dell’infer-miere, la cui figura, appunto, non può essere assimilabi-le tout court al variegato mondo delle professioni11 e cheha bisogno di una specificità anche nel più ristretto no-vero delle professioni protette. Peraltro, l’Autorità stessariconosce che “la disciplina delle professioni protette riflette

l’importanza attribuita dal legislatore agli interessi pubblici

connessi allo svolgimento di alcune attività professionali e un

orientamento secondo cui il perseguimento di tali interessi è di

norma incompatibile con l’operare dei meccanismi di mercato”.

Infine il tema della certificazione di qualità della presta-zione professionale. L’Autorità Garante indica questa co-me la direzione da intraprendere per soddisfare piena-mente la domanda, rendendole un servizio qualitativa-mente migliore. Non vi è dubbio che un Ordine o un Col-legio professionale che assuma su di sé l’impegnativa fun-

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zione di certificazione della qualità delle prestazioni deipropri iscritti, che si attrezzi per fornire loro un costanteaggiornamento di tecniche e contenuti per migliorare illivello qualitativo delle prestazioni, diventi un punto diriferimento importante per quanti esercitano un’attivitàprofessionale qualificata. Un ruolo che può essere svoltocon efficacia solo con uno sforzo ulteriore nei campi del-l’aggiornamento e della formazione continua, compien-do al contempo il necessario salto di qualità nella verifi-ca della permanenza dei requisiti professionali al passocon gli sviluppi scientifici ed etici della disciplina.Si tratta di una sfida che gli Ordini e i Collegi professio-nali italiani debbono e vogliono raccogliere nell’interes-se delle stesse professioni, anche per contrastare solu-zioni ben più rischiose che pure si paventano sulla sce-na europea.

Lo scenario europeoGli ordinamenti nazionali che regolano le attività pro-fessionali nei singoli Paesi membri dell’UE attraversanoovunque una delicata fase di ridefinizione. In queste set-timane è in corso di elaborazione una proposta di diret-tiva europea sul riconoscimento delle qualifiche profes-sionali nei Paesi dell’Unione. Nella sua prima stesura, laproposta non lesina valutazioni fortemente critiche neiconfronti di alcuni Paesi e dell’Italia in particolare. L’im-pressione, però, è che non si sia attribuito il dovuto pesoalla diversità dei sistemi esistenti in Europa e alle loro dif-ferenti attitudini sociali. Ecco perché trarre il modello dicostruzione di un assetto univoco europeo da singoleesperienze nazionali, sebbene positive, può essere deci-samente rischioso. Tanto più che, come nel caso delle pro-fessioni sanitarie, si gioca su un tavolo estremamente de-licato. Ecco che il solo fatto di mettere in libera compe-tizione organismi ed esperienze tanto diverse finisce colpregiudicare la qualità stessa delle prestazioni.Nell’ambito della regolamentazione dell’esercizio profes-sionale, l’UE vive oggi l’evidente anomalia delle isole bri-tanniche: Gran Bretagna e Irlanda. In questi Paesi, infat-ti, le libere associazioni professionali esercitano un po-tere enorme sull’accesso alle professioni; hanno infattiuna funzione esclusiva sul rilascio dei titoli professiona-li e sul riconoscimento dei titoli rilasciati da altre istitu-zioni. Tali attribuzioni conferiscono notevoli vantaggi com-merciali alle associazioni d’oltre Manica che vendono iloro titoli secondo strategie di marketing spesso audacie con tecniche al ribasso o al rialzo rispetto ai titoli rila-sciati nei Paesi continentali dell’Unione. Si aggiunga inol-

tre che l’ultima Proposta di Direttiva Europea, avanzatadall’apposita Commissione il 7 marzo scorso, chiude difatto ogni possibilità di accreditare nuove associazioni odorganizzazioni professionali oltre a quelle già compresenell’elenco allegato con il numero 1: quelle britannichee irlandesi, per l’appunto.L’orientamento della Commissione in merito al ricono-scimento dei titoli rilasciati da associazioni professiona-li in Gran Bretagna e Irlanda ha generato allarme tra gliorganismi rappresentativi dell’Europa continentale, co-me sottolineano i verbali di tutte le audizioni sinora svol-te a Bruxelles. In particolare, il gruppo di lavoro istituitodal Comitato Economico e Sociale Europeo ha esplicita-to le sue preoccupazioni, come pure il gruppo di lavorocreato in Italia dall’Onorevole Stefano Zappalà, relatoreal Parlamento europeo sulla stessa Proposta di DirettivaEuropea. Lo stesso GLIP (Gruppo di Lavoro Italiano sul-la Proposta di Direttiva Europea sul Riconoscimento del-le Qualifiche Professionali) sottolinea nel suo ultimo rap-porto come “le associazioni inglesi possano lucrare dalla ven-

dita in continente di un titolo inferiore al valore del titolo im-

mediatamente superiore, mentre le associazioni continentali

possono solo recepire passivamente il titolo finale”. E ancora il

mancato rispetto del principio di reciprocità: “il triennio for-

mativo britannico viene equiparato a qualsiasi livello superio-

re rilasciato dai Paesi continentali dell’Unione Europea, anche

a una specializzazione post lauream, quindi a un numero di an-

ni universitari triplo di quello costato in Gran Bretagna e in Ir-

landa. Il reciproco non è invece possibile poiché le associazio-

ni britanniche restano libere di conservare la propria titolazio-

ne graduata interna”.

In un sistema di libera circolazione delle professioni e diriconoscimento reciproco dei titoli nazionali, crescereb-be così lo svantaggio per i professionisti che hanno con-seguito titoli a conclusione di percorsi formativi più lun-ghi e complessi. Non si può inoltre sottovalutare il rischiodi un vero e proprio mercato dei titoli di studio acquisi-bili direttamente nei Paesi d’oltre Manica oppure, attra-verso gli strumenti commerciali di partnership o fran-chising, negli altri Paesi dell’UE.Nella sua stesura attuale, la Proposta di Direttiva Euro-pea in questione non consente ai nostri Ordini profes-sionali di competere ad armi pari con le associazioni bri-tanniche. Una situazione, questa, ripetutamente rappre-sentata alla competente Commissione senza però alcunesito. Non vorremmo insomma che il futuro delle profes-sioni liberali venga sacrificato ad altri obiettivi comuni-tari, magari al pressante “corteggiamento” di Eurolandia

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ORDINI E COLLEGI: SCENARI FUTURI 43

nei confronti della Sterlina. Ad oggi, la Commissione Eu-ropea sembra orientata a scegliere proprio il modello bri-tannico come riferimento normativo, ferme restando leanomalie già rappresentate. Occorre quindi un’azione de-cisa del Governo italiano sulla stessa Commissione Eu-ropea per correggere il tiro nella direzione chiaramenteindicata dagli emendamenti alla Proposta di Direttiva Eu-ropea suggeriti dal GLIP.

Lo scenario futuroDi tutta evidenza è la necessità per l’Italia di revisionarel’attuale ordinamento sulle professioni liberali in mododeciso e compatibile con le scelte effettuate dalla UE. Unatale revisione non può comunque prescindere da alcuniassunti:• l’esercizio delle professioni intellettuali è direttamente

connesso agli interessi pubblici e dunque i meccanismipropri del mercato non devono condizionarne le ca-ratteristiche e le qualità specifiche;

• in base ai principi costituzionali (artt. 33 e 41), la leg-ge è chiamata a stabilire “le professioni intellettuali peril cui esercizio è richiesto il superamento dell’esame distato e l’iscrizione in appositi albi12.

È in discussione al Parlamento una proposta di legge qua-dro delle professioni liberali alla cui stesura ha contri-buito fattivamente il CUP (Comitato Unitario Permanen-te degli Ordini e Collegi Professionali), di cui l’Ipasvi faparte con gli altri Ordini e Collegi.La legge in questione attribuisce nuove funzioni agli or-gani rappresentativi delle professioni. Tra queste si se-gnalano per importanza:• vigilanza sull’esercizio professionale;• rappresentanza a tutti i livelli ai fini della realizzazione

degli interessi generali;• indirizzo della professione ai fini sociali e a tutela dei

cittadini;• determinazione delle competenze professionali anche

sulla base dei percorsi di studio effettuati;• attribuzione del titolo professionale a tutela dell’affi-

dabilità;• riserva dell’esercizio di determinate attività a chi ne pos-

siede i requisiti; • previsione dei requisiti formativi necessari a mantene-

re il diritto all’esercizio professionale;• tenuta e aggiornamento degli albi;• contributo alla formazione e all’aggiornamento profes-

sionale;• accreditamento dei percorsi formativi;

• monitoraggio del mercato delle prestazioni;• effettuazione di frequenti ricognizioni dei contenuti ti-

pici delle prestazioni;• controllo della qualità e della correttezza delle presta-

zioni;• divulgazione ai cittadini dei contenuti minimali delle

prestazioni professionali;• emanazione di pareri di merito anche nei confronti del-

la Pubblica Amministrazione;• conciliazioni delle liti tra professionisti e clienti;• regolamentazione del tirocinio per l’accesso all’esame

di Stato;• redazione del Codice deontologico;• determinazione delle tariffe minime e, in alcuni casi, di

quelle massime;• definizione dei criteri e delle modalità per la pubblici-

tà informativa;• partecipazione a organismi internazionali di rappre-

sentanza delle professioni intellettuali;• designazione dei rappresentanti presso commissioni e

organi;• costituzione di commissioni di studio e realizzazione di

indagini e studi anche su incarico di organi della Pub-blica Amministrazione;

• costituzione delle commissioni di disciplina;• creazione e gestione di un sistema di certificazione di

qualità idoneo a soddisfare l’utente.Negli obiettivi della proposta di legge quadro di riformadelle libere professioni c’è insomma una nuova veste pergli Ordini e i Collegi professionali, irrinunciabili e rin-novabili al contempo. La loro natura giuridica è quellapropria degli enti pubblici non economici con piena au-tonomia patrimoniale e finanziaria, articolati in Ordiniterritoriali, Federazioni regionali e Consiglio nazionale.A questi è attribuita grande autonomia nel definire i re-golamenti specifici.È forse opportuno in questa sede riflettere su ciò che èstato e su quanto potrà accadere in futuro. Ma una rifles-sione oggettiva sulla condizione della nostra professionenon può prescindere dal ruolo che i Collegi e la Federa-zione hanno esercitato in questi ultimi anni. Sarebbe in-fatti ipocrita non riconoscere che la gran parte delle con-quiste normative e professionali ottenute dagli infermierinon si sarebbe mai concretizzata senza l’apporto del no-stro Ordine professionale, quel Collegio che ci unisce, cifa condividere le aspettative e i progetti, ci rappresenta co-me categoria professionale e verso il quale dobbiamo nu-trire un senso di riconoscenza oltre che di fierezza.

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Non a caso, sono molti i colleghi di altri Paesi che nonhanno un Ordine professionale (dalla Francia alla Ger-mania ai Paesi Bassi) e che sono impegnati proprio in que-sti mesi in una dura lotta di rivendicazione per ottenerlo.Sanno che questa è la direzione obbligata verso una rap-presentatività collettiva, la sola a poter garantire risultatitangibili. Non dobbiamo dimenticare che proprio i colle-gi hanno tutelato e promosso lo sviluppo della professio-ne infermieristica, giocando un ruolo politico importan-te; di più: determinante. Siamo così riusciti a indurre l’a-dozione di provvedimenti fondamentali per lo sviluppodella professione: dal profilo professionale all’abrogazio-ne del mansionario, dalla conquista della dirigenza al ri-conoscimento dei titoli (salvando peraltro le posizioni ac-quisite con i vecchi titoli di studio), fino all’attivazione diun percorso formativo finalmente universitario che legit-tima la connotazione intellettuale della professione infer-mieristica. Il peso politico dei Collegi ha prodotto certa-mente risultati straordinari, ponendo le basi per lo svi-luppo ulteriore della nostra attività, ma anche per un cam-biamento reale del servizio reso ai cittadini.Così come non si può disconoscere il ruolo prezioso gio-cato dalla Federazione nazionale e dai Collegi provincia-li nell’uniformare il riconoscimento della professione intutto il territorio nazionale. Pensiamo soltanto a cosa sa-rebbe accaduto senza questa spinta unificatrice, con unpercorso compiuto ad andamento e velocità diverse daognuna delle 103 province italiane. In verità, siamo spesso portati a sottovalutare il ruolo cheognuno di noi può svolgere in seno alle attività del pro-prio collegio. Non di rado dimentichiamo infatti che que-sta non è un’istituzione terza rispetto ai singoli infermie-ri, ma piuttosto un luogo in cui ognuno è protagonista eattore primario. Non un ente astratto, ma uno strumen-to di servizio per i professionisti e per i cittadini. Un prin-cipio, questo, legittimato dalla stessa legge istitutiva deicollegi. Perdere di vista tale ruolo, personale e collettivoal tempo stesso, equivale a svuotare di significato e di ef-ficacia l’azione dei collegi e della stessa Federazione.Si diceva delle nuove attribuzioni previste per gli Ordini ei Collegi professionali. Molte di queste, tuttavia, sono difatto già gestite dai Collegi. Ciò che invece possiamo mi-gliorare sostanzialmente è il rapporto con il cittadino-uten-te: a questo soggetto dobbiamo poter garantire una pre-stazione professionale, cosa possibile proprio grazie al-l’appartenenza a una categoria regolamentata e verificatanella preparazione tecnica e nel comportamento etico. Ec-co il ruolo del Collegio: garantire il rispetto delle regole,

la qualità delle prestazioni, il possesso della tecnica e deititoli di studio necessari, l’aggiornamento costante. In questo campo, lo sviluppo dell’Ecm ci consente di ero-gare servizi di alta qualità che originano dall’aggiorna-mento costante delle conoscenze e delle tecniche. E ilCollegio deve poter svolgere la preziosa funzione di cer-tificazione di tale qualità. Un servizio diretto, insomma,con cui l’ordine professionale riesca a tutelare l’iscrittoanche nei confronti di infermieri che non lo sono, chenon rispettano le regole assunte come tali dalla profes-sione infermieristica e che così facendo danneggiano l’im-magine di tutti noi. Il tutto, in una società che ha semprepiù bisogno dell’assistenza, sia in termini qualitativi chequantitativi, considerato l’andamento demografico at-tuale che comporta un rapido aumento della popolazio-ne anziana.Il rischio di smantellamento della struttura attuale del-la professione esiste ed è concreto. Ma per noi, infer-mieri italiani, il sistema ordinistico non si tocca poichétutela non solo i professionisti ma anche i loro utenti.Per una volta, insomma, l’Italia può fornire l’esempio, in-dicare la strada e non subire l’impatto di ordinamentiavulsi dalla realtà nazionale. Anche perché non potrem-mo accettare invasioni da parte di professionalità chehanno ottenuto i necessari titoli con minor sforzo e sa-crificio rispetto a noi. Su questo, siamo pronti a far va-lere le nostre ragioni.Difendere quindi lo spirito comune di questi principi èun imperativo per tutti noi. Dobbiamo essere compatti epienamente partecipi di questa azione. È necessario te-stimoniare la nostra ferma volontà sia in ambito nazio-nale che europeo e, con il venir meno di certi vincoli su-perati dai tempi, conservare gelosamente quanto di buo-no è stato fatto finora. La via maestra che oggi abbiamodi fronte è dunque quella di aggiornare il nostro ordina-mento, senza tuttavia rinunciare alla nostra storia di pro-fessionisti cresciuti e ormai maturi.In conclusione, se da un lato si riconosce l’esigenza strin-gente di profondo rinnovamento degli Ordini e dei Col-legi professionali, dall’altro si può affermare che l’espe-rienza compiuta dal nostro e da altri ordinamenti na-zionali europei non va affatto dimenticata. Essa può in-vece rappresentare un prezioso contributo alla compo-sizione di un equilibrio tra mercato e ruolo sociale del-le professioni, specialmente di quelle sanitarie. Un mo-dello perfettibile che comunque può ispirare meglio dialtri la riforma europea delle professioni e dei loro or-gani rappresentativi.

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ORDINI E COLLEGI: SCENARI FUTURI 45

1. Solo di recente la riforma è stata parzialmente attuata. Infatti, con il Dlgs. 2febbraio 2001, n. 96 sono state dettate le disposizioni per lo “Esercizio del-la professione di avvocato in forma societaria”.È interessante esaminare il modello prescelto per questa professione pro-tetta in quanto, verosimilmente analogo a quello che sarà adottato ancheper le professioni sanitarie.Il tipo di società è la “s.t.p.”, società tra professionisti, che mutua parte del-la propria disciplina, in quanto compatibile, da quella già prevista per la so-cietà in nome collettivo (artt. 2291 e segg. cod. civ.).La s.t.p. sarà iscritta in una sezione speciale dell’albo professionale ed allasocietà si applicano le norme legislative, professionali e deontologiche, chevincolano il professionista (art. 16).La s.t.p. dovrà essere costituita con atto pubblico o con scrittura privata au-tenticata e avrà ad oggetto “esclusivo” l’esercizio in comune della profes-sione dei propri soci e l’acquisto di beni e diritti strumentali all’eserciziodell’impresa (art. 17).I soci devono possedere il relativo titolo professionale e non potranno par-tecipare ad altra s.t.p. (art. 21).Se la prestazione è svolta da più soci si applica il compenso spettante a unsolo professionista, salvo diverso accordo col cliente da provare per iscrit-to (art. 25).Sotto il profilo della responsabilità rispondono illimitatamente sia la socie-tà, sia i soci (art. 26).La s.t.p. “risponde delle violazioni delle norme professionali e deontologi-che applicabili all’esercizio in forma individuale della professione, salva laconcorrente responsabilità disciplinare del socio (art. 30).

2. La legge 10 ottobre 1990, n. 287 è rubricata “Norme per la tutela della con-correnza e del mercato”, pubblicata in G.U. 13 ottobre 1990, n. 240; essaistituisce l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. L’Autorità ope-ra in piena autonomia con indipendenza di giudizio. Ai sensi dell’art. 12,comma 2, legge cit., “l’Autorità può, […], procedere, d’ufficio o su richie-sta del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato o del Mini-stro delle partecipazioni statali, ad indagini conoscitive di natura generalenei settori economici nei quali l’evoluzione degli scambi, il comportamen-to dei prezzi, o altre circostanze facciano presumere che la concorrenza siaimpedita, ristretta o falsata”.

3. Secondo l’Autorità, la particolare regolamentazione di Ordini e Collegi vol-ta anche a garantire e tutelare non solo il titolo abilitante, ma anche lo svol-gimento delle relative attività professionali, sarebbe una caratteristica pro-pria del sistema italiano rispetto agli altri Paesi europei.

4. Ai sensi dell’art. 2082 cod. civ. “è imprenditore che esercita professional-mente un’attività economica organizzata al fine della produzione di beni oservizi”. Appare evidente che l’esercizio di una libera professione non è unamera attività economica organizzata al fine di produrre un bene o un servi-zio. Infatti, se così fosse, ogni libera professione protetta (o quasi) sarebbeun’impresa e quindi sarebbe unicamente assoggettata al dogma costitu-zionale (art. 41, comma 1, Cost.) secondo cui “l’iniziativa economica pri-vata è libera”, incontrando gli unici limiti dell’utilità sociale, del rispetto del-la dignità umana, della sicurezza e della libertà (art. 41, comma 2, Cost.).Invece, le professioni protette, e con esse gli Ordini e i Collegi, hanno una“funzione di garanzia sociale e di tutela degli interessi pubblici cui essi as-solvono”: sono parole della stessa Autorità che escludono, quindi, la na-tura di impresa delle professioni liberali protette.

5. Anche in questo aspetto si coglie una contraddizione. L’Autorità afferma, in-

fatti, che il “codice deontologico” sarebbe una barriera all’accesso alla pro-fessione [così si legge al punto 10 della delibera del 1 dicembre 1994]. Tut-tavia, questo non può essere revocato in quanto posto anche a tutela delconsumatore, beneficiario delle prestazioni. Orbene, proprio il “benesseredel consumatore” deve essere un obiettivo della regolamentazione degli Or-dini [così si legge al punto 13 dell’indagine conoscitiva]. Ciò vale, a mag-giore ragione, nel caso dell’infermiere il cui codice deontologico è stato re-cepito dall’art. 1, L. 26 febbraio 1999, n. 42 che lo eleva a parametro di va-lutazione della professionalità dell’infermiere, della cui violazione egli saràperaltro responsabile non solo di fronte al Collegio, ma anche di fronte al“consumatore” (l’utente). L’importanza del codice deontologico è ribaditadall’art. 8, comma 3, Dlgs. 30 dicembre 1992, n. 502 secondo cui “… iCollegi professionali sono tenuti a valutare sotto il profilo deontologico icomportamenti degli iscritti agli Albi ed a Collegi professionali che si sia-no resi inadempienti agli obblighi convenzionali”.

6. Alcuni rilievi sono stati mossi al “tariffario”, sistema che, nel limitare nelminimo e nel massimo i compensi del professionista, sarebbe, a dire del-l’Autorità, uno dei principali fattori limitativi della libera concorrenza. Tutta-via, si segnala la recentissima sentenza della Corte di Giustizia della Co-munità Europea (sent. 19 febbraio 2002, causa C-35/99) secondo cui nonlimita la concorrenza e non viola gli articoli 5 e 85 del Trattato CE (divenu-ti artt. 10 e 81 CE) l’adozione di un tariffario che stabilisca nei minimi e neimassimi gli onorari dei membri dell’ordine. Trattasi di pronuncia in tema dionorari di avvocati stabiliti nell’ambito del procedimento di cui al R.D.L. 27novembre 1933, n. 1578, e successive modificazioni.

7. Il problema dei limiti territoriali non riguarda i Collegi Ipasvi. Infatti, con ladeterminazione del 5 giugno 2001, DIRP/III/INQU/01-4630, il Ministerodella Sanità si è adeguato a quanto stabilito dalla Corte di Giustizia (sent.18 gennaio 2001) secondo cui per tutte le professioni sanitarie il requisitodella residenza, ai fini dell’iscrizione agli albi professionali, è sostituito oassociato con quello del domicilio professionale. In altri termini, è stato re-so operativo per i cittadini italiani, l’art. 16, L. 21 dicembre 1999, n. 526,secondo cui “per i cittadini degli stati membri dell’Unione Europea, ai finidell’iscrizione o del mantenimento dell’iscrizione in albi, elenchi o registri,il domicilio professionale è equiparato alla residenza”.

8. Anche questo non è il caso dei Collegi Ipasvi. La fattispecie, infatti, riguar-da solo le categorie dei notai e dei farmacisti.

9. L’Autorità limita il discorso al fatto che l’idoneità e il possesso dei requisititrovano adeguata garanzia nell’esistenza stessa e nel possesso del titoloabilitante. L’iscrizione al Collegio, come ad ogni altro Ordine, è tuttavia l’u-nico sistema con il quale lo Stato è in grado di svolgere un’azione di con-trollo sui professionisti della sanità tra cui, a titolo meramente esemplifica-tivo, si ricordano l’attività formativa e il rispetto del Codice deontologico,entrambi settori di interesse per il perseguimento del “benessere del con-sumatore”. Se poi ricordiamo che, nel nostro caso, il “consumatore” è ilcittadino-utente, ben si comprende l’interesse pubblico sotteso all’opera deiCollegi Ipasvi: la tutela della salute (art. 32, Cost.).

10. È appena il caso di ricordare che l’art. 6-ter, Dlgs. 30 dicembre 1992, n.502 (inserito dall’art. 6, Dlgs. 19 giugno 1999, n. 229, ossia circa due an-ni dopo la chiusura dell’indagine) ha stabilito che i “Collegi professiona-li sono tenuti a fornire al Ministero della Sanità i dati e gli elementi di va-lutazione necessari per la determinazione dei fabbisogni riferiti alle diver-se categorie professionali”. Infine, ai sensi dell’art. 10, comma 3, Dlgs. cit.i Collegi partecipano con il Ministero della Salute a stabilire i contenuti e

Note

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le modalità di utilizzo degli indicatori di efficienza e qualità, allo scopo (art.10, comma 1) di garantire la qualità dell’assistenza nei confronti della ge-neralità dei cittadini.

11. È opportuno ricordare che il Collegio Ipasvi non rappresenta più, come inpassato, una “professione sanitaria ausiliarie” bensì una professione sani-taria tout court. Infatti, l’art. 1, comma 1, L. 26 febbraio 1999, n. 42 espres-samente sancisce che: “la denominazione professione sanitaria ausiliarianel testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio1934, n. 1265, e successive modificazioni, nonché in ogni altra disposi-zione di legge, è sostituita dalla denominazione professioni sanitarie”.Questa disposizione legislativa rappresenta una vera e propria pietra mi-liare del percorso giuridico compiuto dalla categoria degli infermieri. In-fatti, da una parte si pone come momento di riconoscimento dell’evolu-zione professionale intervenuta, dall’altra ha permesso al Legislatore diportare avanti la riforma sanitaria. Il riferimento è, in particolare, alla L.251/2000 istitutiva della Dirigenza infermieristica che incide sulla strut-

tura organizzativa del personale del Ssn.Una figura dirigenziale parifi-cata a quella del medico, non avrebbe avuto la possibilità di esistere sequella infermieristica fosse rimasta una “professione sanitaria ausiliaria”.

12. n particolare, l’art. 33 Cost. stabilisce che “l’arte e la scienza sono libere elibero ne è l’insegnamento”, “la Repubblica detta le norme generali sull’i-struzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”.Al comma 5 stabilisce che “è prescritto un esame di stato per l’ammissio-ne ai vari ordini e gradi o per l’abilitazione all’esercizio professionale”.L’art. 41 Cost., nello stabilire che “l’iniziativa economica privata è libera”, alcomma 3 stabilisce che “la legge determina i programmi e i controlli op-portuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indiriz-zata e coordinata a fini sociali”. Sulla scorta del combinato disposto dei duearticoli della Costituzione sono stati istituiti i Collegi Ipasvi, con la legge 29ottobre 1954, n. 1049, che rinvia alla norma di cui al Dlcps 13 settembre1946, n. 233 riguardante la ricostruzione degli Ordini delle professioni sa-nitarie e la disciplina dell’esercizio delle professioni stesse.

• Amato Giuliano, Pera Alberto, Indagine conoscitiva di natura generale nelsettore degli Ordini e Collegi professionali, Ed. Autorità Garante della Con-correnza e del Mercato – Settore Ordini e Collegi professionali

• Autorità garante della concorrenza e del mercato, Settore Ordini e Collegiprofessionali, Adunanza 3 Ottobre 1997

• Greco Mario, Rocco Gennaro, Guida all’esercizio della professione di in-fermiere, III Edizione, Ed. Medico Scientifiche, Torino, 2002

• Lazzarini Fabrizio, Rappresentanza e rappresentatività nell’ordinamento pro-fessionale alle soglie del duemila, in Documenti congressuali XI Congres-so nazionale Ipasvi, 1996, Roma

• Sardi Piero, Ordini e Associazioni in Italia e in Europa. Documentazionegruppo di lavoro Italiano sulla proposta di Direttiva unica Europea sulleprofessioni, Ed. Gruppo di Lavoro Italiano sulla proposta di Direttiva unicaeuropea sulle professioni, 2002

• Schiavon Mario, Rappresentanza e rappresentatività nell’ordinamento pro-fessionale: 1946-1996, in Documenti congressuali XI Congresso nazio-nale Ipasvi, 1996, Roma, poi Ed. Coordinamento regionale Collegi Ipasvidel Friuli-Venezia Giulia, 2002

• Proposta di legge quadro di riforma delle libere professioni, XIV Legis-latura, 2002

Note bibliografiche