Xiaobo Liu, "Monologhi del giorno del giudizio"

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MONOLOGHI DEL GIORNO DEL GIUDIZIO XIAOBO LIU Prefazione di Federico Rampini PREMIO NOBEL PER LA PACE 2010

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Nel 2009 la Corte popolare di Pechino ha processato e condannato alcuni intellettuali e giornalisti per aver partecipato alla stesura e alla diffusione di "Carta 08", un manifesto civile volto a promuovere importanti riforme politiche e a sostenere la causa della difesa dei diritti umani. Un anno dopo l’ispiratore e primo firmatario del documento, Liu Xiaobo, è stato insignito del premio Nobel per la pace, ma non ha potuto ritirarlo perché rinchiuso in prigione, dove dovrà rimanere per altri dieci anni. Un pesante atto d'accusa di un grande intellettuale cinese nei confronti del proprio Paese.

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CARTA: Patinata Lucida - Garda Gloss - gr 130 - PROFILO DI STAMPA: COATED FROGA39 - DIMENSIONE: 145x223 mm - RIFILATO: 140x215 mm CARTONATO

UFF. TECNICODIR. EDITORIALE EDITOR GRAFICO REDAZIONEART DIRECTOR

PANTONE XXX C

A R T D I R E C T O R : G I A C O M O C A L L OG R A P H I C D E S I G N E R : C R I S T I N A B A Z Z O N I

4 M M D I A B B O N DA N Z A P E R L A P I E G A 4 M M D I A B B O N D A N Z A P E R L A P I E G A

l’oppressione del governo sulla società civi-le, è nel progressivo diffondersi di questi mo-vimenti «dal basso» che Liu Xiaobo ripone le sue speranze – o meglio le sue certezze – di un futuro democratico anche per la Cina.

Liu Xiaobo, critico letterario e scrittore, è sta-to docente universitario. Nel 2010 ha vinto il premio Nobel per la pace per il suo impegno a difesa dei diritti umani. Nel 2009 è stato condannato a undici anni di carcere per aver partecipato alla stesura di Carta 08, manife-sto che chiede l’introduzione di riforme de-mocratiche in Cina.

€ 20,00

In sovraccoperta:Ritratto di Liu Xiaobo, premio Nobel per la pace 2010,proiettato sulla facciata del Grand Hotel di OsloFoto © Olycom

MONOLOGHI

DEL GIORNO DEL GIUDIZIO

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L I UNel 2009 la Corte popolare di Pechino ha processato e condannato alcuni intellettuali e giornalisti per aver partecipato alla stesu-ra e alla diffusione di Carta 08, un manifesto civile volto a promuovere importanti rifor-me politiche e a sostenere la causa della di-fesa dei diritti umani. Un anno dopo l’ispi-ratore e primo firmatario del documento, Liu Xiaobo, è stato insignito del premio Nobel per la pace, ma non ha potuto ritirarlo per-ché rinchiuso in prigione, dove dovrà rima-nere per altri dieci anni. Il suo nome e l’im-magine della sedia vuota nella sala della premiazione di Oslo hanno fatto il giro del mondo. Sfidando ancora una volta la censura di Pe-chino, in questa raccolta di saggi e poesie Liu Xiaobo ci offre un vasto e sconvolgente spac-cato della Cina di oggi. I cittadini del paese che ambisce al ruolo di prima potenza eco-nomica mondiale vengono descritti, infatti, come cinici, ossessionati dal successo econo-mico e personale, o come fanatici nazionali-sti, coraggiosi nell’aggredire verbalmente i dissidenti e codardi nel difendere le vittime dei soprusi commessi dai funzionari statali. Nelle sue pagine si svela il bluff di un benes-sere frutto di un mero incremento del pro-dotto interno lordo e causa di palesi disu-guaglianze, e si smaschera un regime che ottiene la complicità della gente grazie alla retorica dell’amore per la patria e alla forza «persuasoria» del denaro.Eppure, nonostante l’attuale vittoria delle forze illiberali, agli occhi di Liu Xiaobo sono evidenti le crepe che faranno implodere il si-stema autoritario cinese. Ovunque nel paese stanno crescendo la disillusione giovanile, lo scollamento tra realtà concreta e ideologia politica, la rabbia contro la prepotenza dei burocrati. Sempre più persone denunciano le ingiusti-zie subite e lottano per i propri diritti, men-tre l’inarrestabile diffusione di Internet si sta rivelando un decisivo fattore di aggrega-zione su grandi temi di interesse comune.Malgrado la ridotta libertà d’espressione e

UN PESANTE ATTO D’ACCUSA

E UN PROFONDO GESTO D’AMORE

DI UN GRANDE INTELLETTUALE CINESE

NEI CONFRONTI DEL PROPRIO PAESE

Prefazione di Federico Rampini

PREMIO NOBEL PER LA PACE 2010

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La caratteristica più rilevante dell’epoca post-totalitaria è che, anche durante una crisi di legittimità, chi è al potere vuole pre-servare a tutti i costi il dispotismo, in un momento in cui invece la sua efficacia politica diminuisce di giorno in giorno. La gen-te, infatti, non dà più credibilità al sistema dispotico e a poco a poco emerge e si espande spontaneamente una società civi-le che, pur essendo ancora incapace di trasformare subito il si-stema esistente, è sempre più pluralista sul piano economico e morale, e sta erodendo la rigida centralizzazione politica in modo costante, come una goccia che scava la roccia.

in particolare, a livello spirituale, la cina post-totalitaria è entrata nell’era del «cinismo»: non si crede più in nulla, parole e azioni si smentiscono a vicenda, si dice ciò che non si pensa. gli uomini (inclusi gli alti funzionari e i membri del partito) non credono più nelle cantilene di chi governa e hanno sostituito la lealtà e la fiducia con la totale dedizione al profitto. imprecare in privato, lamentarsi, prendere in giro e ridicolizzare «il grande, l’onorevole e il giusto»1 e i suoi cortigiani sono diventati gli ar-gomenti preferiti per farsi quattro risate tra amici, ma, nelle oc-casioni ufficiali, la difesa degli interessi acquisiti e la forza della coercizione fanno sì che la stragrande maggioranza delle per-sone voglia ancora cantare le lodi e conquistare la benevolenza dei potenti con i toni del «renmin ribao» (giornale del popo-lo). usare mille parole per ingraziarsi pubblicamente qualcu-no, pronunciate a una velocità che ricorda l’insultarsi in priva-to, sembra essere diventato l’atteggiamento abituale dei cinesi.

Panorama spirituale dell’epoca post-totalitaria

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Tra i giovani e i meno giovani che hanno raggiunto il succes-so all’interno del sistema è comparso un «fenomeno da militan-ti clandestini»: nelle occasioni ufficiali ripetono a pappagallo un copione, giacché non possono assolutamente perdere alcu-na opportunità di avanzamento di carriera, ma nei banchetti privati la musica cambia, e così ti dicono: «Anche se io sono al potere e tu all’opposizione, in realtà le nostre opinioni sono in fondo identiche, sono diversi solo i modi di esprimerle: tu urli da fuori, io mino il sistema dall’interno…». Possono raccontarti informazioni riservate e analizzare le tendenze della situazione politica, descriverti ogni singola caratteristica specifica di chi prende le decisioni al livello più alto, indicarti la persona che ha le maggiori probabilità di diventare il chiang ching-kuo2 del-la repubblica popolare cinese. Possono persino uscirsene con espressioni stupefacenti come «strategie per un’evoluzione po-litica pacifica».3 ritengono che la forza motrice più potente di questo processo sia costituita da gruppi illuminati interni al si-stema, formalmente sottomessi a un sovrano ma in realtà leali a un altro, e che quanto più le loro cariche sono importanti e la maschera che indossano per camuffarsi realistica, tanto mag-giore sarà il successo delle loro azioni all’interno, compiute in collaborazione con forze che attaccano dall’esterno. La loro ar-gomentazione unanime è la seguente: le persone che all’inter-no del sistema hanno idee proprie sono parecchie e i loro passi avanti verso la riforma politica sono molto più lunghi di quel-li di chi fa opposizione dall’esterno. ogni volta che chiacchiero con loro, trovo che abbiano la tenacia di gorbaciov nel soppor-tare il peso dell’umiliazione pur di portare a termine un com-pito importante, nonché una sufficiente intelligenza politica. Tuttavia, forse perché da bambino ho visto troppi film rivolu-zionari, spesso me li immagino come spie dalle mille risorse in-filtrate nel campo nemico.

Questo fenomeno non è assolutamente limitato ai funzionari, ma è presente ovunque, nel mondo dell’informazione, dell’istru-zione, della cultura e dell’economia. gli amici che, dopo i fat-ti di Tian’anmen, si sono arricchiti buttandosi negli affari mi invitano periodicamente ai loro sontuosi banchetti, durante i quali si fanno vanto di grandi cose e, con solenni giuramenti,

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spiegano che guadagnare con imprese private non è qualcosa di fine a se stesso, ma serve a ottenere grandi risultati in futu-ro. ed enumerano tutti i significati sociali dell’ingresso nel li-bero mercato: 1) la partecipazione in prima persona ai processi di privatizzazione e di mercatizzazione fornisce il fondamen-tale supporto economico alla futura democratizzazione politi-ca; 2) l’accumulazione di risorse economiche consente di aiu-tare gli amici in difficoltà e di far tornare nell’arena politica le opposizioni attualmente fuori dal sistema (adorano ripetere: non si può fare la rivoluzione senza soldi, per avere successo bisogna guadagnare bene, creare una solida base economica); 3) infine, cosa più importante di tutte a loro avviso, la rivolu-zione dei ricchi sarà senz’altro quella meno costosa, perché il mercato ha insegnato loro a calcolare accuratamente costi e profitti, e non potrebbero assolutamente condurre una rivolu-zione dagli alti costi e dai bassi profitti. Se i ricchi scendono in politica, è bassissima la probabilità di una rivoluzione violen-ta, mentre è altissima quella di un’evoluzione pacifica e gra-duale del sistema.

Perciò non guardano con favore, ma neppure disprezzano, le teorie delle «Tre rappresentanze»4 e dei «nuovi tre princì-pi del popolo».5 La ragione è che queste teorie sono in genera-le migliori della teoria della rivoluzione di Mao zedong, e so-prattutto dei Quattro princìpi fondamentali,6 anzi c’è chi ritiene che costituiscano il primo passo verso l’umanizzazione del re-gime comunista e che sono buone, così come ricoprire una pa-rola d’ordine dura con la veste sentimentale della cultura po-polare è sempre meglio che usare slogan al vetriolo.

L’aspetto più triste del processo di corruzione di così tan-ti giovani è che questo cinico modello di vita sta permeando un’intera generazione.

Le purghe successive ai fatti di Tian’anmen hanno espulso dal Partito comunista cinese (Pcc) molte persone, e ancor più ne sono uscite di propria iniziativa, mentre il numero di colo-ro che intendevano entrarvi si è gradualmente ridotto. dopo una decina d’anni di amnesia forzata e di seduzione da par-te del denaro, il numero dei giovani che chiedono di iscriversi è lentamente risalito. Per dimostrare la forza di attrazione del

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partito nei confronti delle nuove generazioni, ogni anno in oc-casione dell’anniversario della fondazione del Pcc l’attuale re-gime fa pubblicare dagli uffici di propaganda notizie sul netto incremento del numero di domande di iscrizione tra i giova-ni, in particolare tra gli studenti. in base a quanto riferito dal-la televisione di Stato, tale numero ha raggiunto il 60 per cento del totale degli studenti. Questo dato, guarda caso, corrispon-de a quello di un sondaggio diffuso dai media, secondo il quale la percentuale dei giovani che sostengono il partito ha toccato il 65 per cento. riguardo ai motivi per cui ci si iscrive e si so-stiene il partito, i giornalisti enfatizzano il passaggio dall’ideali-smo al realismo: non si parla né di obiettivi del Pcc, né di am-biziose ideologie comuniste e men che meno di spirito di lotta, ma, dopo lunghe perifrasi, vengono sottolineati i grandi risul-tati raggiunti dal partito, a partire da «il popolo cinese si è al-zato in piedi», prima frase del discorso di proclamazione della repubblica popolare cinese pronunciato da Mao il 1° ottobre 1949, e da «il popolo cinese si è arricchito», sotto la leadership di deng, fino alle ultime parole d’ordine delle Tre rappresentanze e dei nuovi tre princìpi del popolo. una propaganda di questo genere si fonda sull’idea di comunicare alle masse che la poli-tica di riforma e apertura adottata dal Pcc ha conseguito il no-tevole risultato di aumentare il potere della cina, incrementare il prestigio nazionale e arricchire i cittadini, ed è per questo che ha sempre più presa sugli studenti. La gente potrebbe nutrire dubbi rispetto ai dati pubblicati dal governo, dubbi che, però, probabilmente in gran parte si dileguano se si ha una qualche conoscenza dei giovani d’oggi.

Per la generazione post 4 giugno,7 impregnata di pragmati-smo e benessere, le cose veramente importanti non hanno nul-la a che vedere con le idee profonde, con la nobiltà della dignità umana, con la lucidità politica, con valori che vanno al di là del risultato concreto. i giovani adottano un atteggiamento prag-matico e opportunista riguardo alla vita: i loro obiettivi fonda-mentali sono centrati sulla carriera, sulla ricchezza, sui viag-gi all’estero, e i loro interessi sono seguire la moda, spendere tanto ed essere cool come le star, drogati di sesso e videogiochi online. Questo perché il piccolo ambiente familiare e il grande

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ambiente sociale li hanno immersi, prima ancora che avessero una vita indipendente, in un mondo contaminato dall’ideolo-gia del privilegio e dalla ricerca del puro profitto.

dal punto di vista del contesto sociale, l’indottrinamento del partito ha mutilato la storia, creando un vuoto nella me-moria delle giovani generazioni. Benché i cinesi, dopo la presa del potere da parte dei comunisti, abbiano sperimentato cala-mità inimmaginabili, le nuove generazioni non ne portano al-cun ricordo scolpito nel cuore. non sanno nulla delle repres-sioni istituzionali, delle leggi marziali, hanno solo l’esperienza diretta del «mettere i soldi al di sopra di tutto», del «se hai po-tere hai soldi», sono indotti da coloro che li circondano a «fare le cose con le buone o con le cattive», e ai loro occhi le persone di successo sono quelle che si sono arricchite in un sol giorno e ogni genere di pop star. Per questo mostrano una profonda intolleranza verso le narrazioni delle miserie della storia e de-gli aspetti bui del presente, e ritengono che non ci sia la mini-ma necessità di parlare sempre di Movimento contro la destra (1957), del grande balzo in avanti (1958), della rivoluzione cul-turale (1966-1976), dei fatti di Tian’anmen (1989), né di mettersi sempre a criticare il governo e a denunciare i lati bui della so-cietà. Sono in grado di dimostrare i grandi progressi della cina con la loro vita agiata e tutto il materiale fornito dal governo…

eroi nei confronti dei paesi stranieri e codardi nel proprio, sono del tutto privi di coscienza morale.

nel contesto familiare i giovani d’oggi sono in gran parte fi-gli unici, per cui sono il centro della famiglia e vengono comu-nemente chiamati «piccoli imperatori». Sin da bambini godono di una vita in cui ci sono solo loro, non conoscono la preoccu-pazione di procurarsi cibo e vestiti, non hanno sperimentato le difficoltà affrontate dai poveri e dalle generazioni dei loro padri. hanno coltivato, quindi, la mentalità egocentrica per la quale «è tutto mio» e mancano di sentimenti di empatia nei confron-ti degli altri. A maggior ragione, una volta superato l’esame di ammissione all’università, diventano i pupilli di casa e rappre-sentano l’orgoglio dei genitori. così, viziati dalla famiglia e im-mersi in un egocentrismo assoluto, sono indotti dalla società a rivaleggiare in ricchezze e onori, e a godersi la vita praticando

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uno shopping selvaggio. La maggior parte dei ragazzi di cam-pagna, ammessi all’università con i voti migliori, sono interes-sati non a trovare un modo per aiutare i contadini a cambiare un destino di discriminazione e uscire dalla povertà, ma solo a diventare uomini di successo, a occupare buone posizioni, così da scrollarsi definitivamente di dosso il loro destino di conta-dini. e va da sé che la maggior parte degli studenti che vengo-no dalla campagna la pensino così.

in anni recenti, in cina il fanatismo nazionalista tra la gen-te comune ha addirittura superato quello del governo. Anzi, si può dire che il nazionalismo sia l’unica passione sociale dei giovani d’oggi. in particolare, i sentimenti anti-America, anti-giappone e anti-indipendentismo di Taiwan sono diventati lo spazio dove le giovani generazioni esprimono il loro interes-se per la nazione, oltre che forme di odio etnico. episodi come la collisione tra due veicoli sino-americani,8 la compravendita di prestazioni sessuali a zhu hai,9 il cosiddetto «incidente di umiliazione cinese»,10 l’omaggio del primo ministro giappone-se Junichiro Koizumi al santuario Yasukuni in onore dei sol-dati nipponici caduti in cina durante la guerra di resistenza, il caso della cinese zhao Yan picchiata per un equivoco dalla po-lizia americana, e le varie partite giocate dalla nazionale di cal-cio cinese contro quella giapponese nella coppa delle nazioni asiatiche hanno suscitato una crescente ondata d’indignazione pubblica nei giovani patrioti, che hanno fatto di queste vicende un vero e proprio dramma. Le espressioni patriottiche sul web sono diventate sempre più esacerbate e violente, sono compar-se durissime dichiarazioni di condanna e la fiera affermazione di essere pronti a dare la vita per la patria.

Ma neppure il rinvigorimento di questi sentimenti patriotti-ci tra i giovani può porre un freno al loro opportunistico stile di vita, e non mi riferisco al generale silenzio sulle atrocità del governo, ma all’inerzia della maggior parte di loro di fronte a veri e propri atti di violenza. La narcosi dell’empatia e la man-canza di senso di giustizia sono diventate un’epidemia sociale: nessuno si cura delle persone anziane che si sentono male per strada, nessuno aiuta donne e bambini che in campagna metto-no un piede in fallo e cadono in acqua. criminali comuni com-

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piono atti di violenza e stupri su mezzi di trasporto pubblici pieni di giovani, senza che nessuno abbia il coraggio di muove-re un dito. Teppistelli trascinano per chilometri due ragazzine in giro per le strade della città, e la gente intorno guarda la sce-na senza offrire aiuto. notizie come queste, che fanno accappo-nare la pelle, sono frequenti sui media cinesi, e compaiono per-sino in appositi programmi trasmessi dalla televisione di Stato.

il nazionalismo delle nuove generazioni cinesi è questo: esse-re eroi a parole contro i paesi stranieri e codardi nei fatti in pa-tria. La studentessa cinese che rivolse domande molto patriotti-che e di sentimenti nient’affatto amichevoli a Bill clinton in una conferenza tenuta qualche tempo fa all’università di Pechino, dopo la laurea ha sposato un americano. Questo racconto un po’ romanzato è naturalmente diventato una notizia che ha te-nuto banco per un certo periodo. La cosa che più fa riflettere è che, rispetto a questa contraddizione tra parole a azioni, non c’è stata alcuna sofferenza a livello psicologico o una qualche autoanalisi. in tanti si sono messi a insultare la ragazza, salvo poi, con ancor maggiore naturalezza, andare a studiare negli Stati uniti. Questi giovani sono pieni d’indignazione quando lanciano le loro offese, ma follemente felici quando salgono su un volo diretto a Boston. Qualche giorno fa ho visto sul web un post firmato da un certo «leonphoenix»11 che esordiva così: «Mi piacciono i prodotti, i kolossal, la libertà degli Stati uniti, invi-dio il loro benessere e la loro forza, ma passo la maggior parte del tempo a urlare, insieme a molti altri, “Abbasso gli yankee!”. È l’inevitabile, istintiva reazione di chi appartiene a gruppi pic-coli e deboli». Questo «netizen» ha raccontato in forma anoni-ma la vera essenza del «patriottismo» cinico.

non sorprende che alcuni professori universitari di orientamen-to liberale dichiarino che, durante tutti gli anni novanta, tra gli studenti la dottrina ideologica ha ottenuto grandissimi risultati.

con lo stesso cinismo i giovani trattano la questione dell’in-gresso nel partito. il numero di studenti che ne hanno fatto ri-chiesta sarà anche molto aumentato in questi ultimi anni, ma incontrarne uno solo che creda davvero nel comunismo è una rarità, tanto quanto trovare un solo giovane di questa genera-zione che abbia il coraggio di dire no alla brutalità del siste-

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ma e agli atti di violenza che accadono accanto a lui. non so se la studentessa che si è sposata con un americano sia iscrit-ta al Pcc. Se non lo fosse, i suoi comportamenti non bastereb-bero a farla diventare un prototipo dello stile di vita di questi giovani; se lo fosse, allora il suo modo di comportarsi duran-te gli anni di studio e quello dopo la laurea rappresenterebbe-ro il paradigma dell’atteggiamento dei giovani cinesi verso la vita: sviluppare in modo sfrenato e abnorme la logica dell’homo œconomicus, ovverosia vivere in modo da cercare di massimiz-zare i profitti individuali. detto in termini gentili, si tratta del risveglio della logica del profitto individuale o, in termini meno gentili, questa generazione pensa solo al tornaconto persona-le. i giovani si impegnano per entrare nel partito, ma non cre-dono nel comunismo; sono imbevuti di patriottismo anti-uSA, ma indulgono a ogni moda importata dagli Stati uniti, e, cosa più strana di tutte, non ritengono assolutamente di doversi preoccupare che, così facendo, si autocontraddicono, e ancor meno avvertono una qualche remora morale, anzi si sentono bene, credono che qualunque loro scelta sia geniale se ne rica-vano un profitto.

È tra gli studenti universitari restii a seguire la corrente che si registra il più alto numero di persone che lottano energica-mente per entrare nel partito, ma a muoverli non è un ideale in cui credono, bensì sono le ambizioni personali. Perché nella cina governata dal Pcc, qualunque cosa tu faccia dopo gli stu-di, devi cercare in tutti i modi di avere successo, e a tale scopo essere iscritti al partito è meglio che non esserlo. diversi son-daggi sulle scelte lavorative degli studenti hanno dimostrato che l’occupazione da loro preferita è quella di funzionari ne-gli uffici governativi o di partito. Le motivazioni che li indu-cono a entrare nel partito non sono assolutamente stereotipa-te, ma sono basate su argomenti convincenti ed estremamente pragmatici.

durante una discussione uno studente universitario mi dis-se, livido di rabbia: «in cina, se vuoi ottenere qualcosa devi en-trare nel partito, solo così avrai l’opportunità di fare carriera, di avere un gran potere nelle mani, e solo se hai potere puoi fare qualcosa. cosa c’è di male nell’entrare nel partito? cosa c’è di

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sbagliato nell’arricchirsi o nel fare carriera? Se sei riuscito a ot-tenere una vita dignitosa per te e la tua famiglia, allora sarai in grado di dare alla società un contributo maggiore di quello che può dare una persona qualsiasi».

il modo di vivere del Pcc assomiglia a quello di questi giova-ni. Apparentemente costoro hanno ben poco in comune con la predica dell’ideologia comunista, ma se hai qualche familiarità con i protagonisti della storia dell’ascesa al potere dei comuni-sti, ti accorgi, al primo sguardo, che il modo di vivere «lottan-do per il potere, conquistando il potere, esercitando il potere e preservandolo» ha un’identità sostanziale e intrinseca con quel-lo degli studenti. Si tratta delle opportunistiche parole d’ordi-ne «il profitto prima di tutto» e «il fine giustifica ogni mezzo». Perciò, «nascondere le proprie capacità», «aspettare un’occa-sione migliore», «umiliarsi pur di realizzare il proprio sogno», «adulare chi può darti qualcosa», «diventare qualcuno richiede di non avere scrupoli» e altre simili perle di saggezza sono di-ventati gli emblemi del loro comportamento. inoltre, questa saggezza del vivere in modo cinico, senza nessun limite mora-le che trascenda l’esperienza, pervade tutta la storia millenaria. non c’è nulla di nuovo. il tramonto degli ideali comunisti della cosiddetta «era maoista» nell’epoca della pragmatica teoria di deng, secondo la quale «non importa se il gatto è rosso o nero, basta che acchiappi il topo», è considerato uno dei principali elementi di diversità tra i due periodi, ma in realtà le strategie di sopravvivenza di Mao e il suo modo di comportarsi ruota-vano intorno a lotte di potere, e anche quando gli ideali resi-stevano, e c’era un certo grado di moralità e giustizia, parole altisonanti quali «liberare il mondo intero» non hanno tratte-nuto Mao dal perseguitare e uccidere con ogni mezzo, e addi-rittura dal minacciare di sacrificare un terzo dell’umanità per un mondo tutto rosso.

in altre parole, sia che si tratti di studenti che si prodigano per entrare nel partito o di intellettuali famosi, di funzionari dell’apparato statale o di imprenditori, quasi nessuno di loro sostiene moralmente le istituzioni esistenti, ma i loro compor-tamenti reali favoriscono di fatto la stabilizzazione del sistema attuale.

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l’oppressione del governo sulla società civi-le, è nel progressivo diffondersi di questi mo-vimenti «dal basso» che Liu Xiaobo ripone le sue speranze – o meglio le sue certezze – di un futuro democratico anche per la Cina.

Liu Xiaobo, critico letterario e scrittore, è sta-to docente universitario. Nel 2010 ha vinto il premio Nobel per la pace per il suo impegno a difesa dei diritti umani. Nel 2009 è stato condannato a undici anni di carcere per aver partecipato alla stesura di Carta 08, manife-sto che chiede l’introduzione di riforme de-mocratiche in Cina.

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L I UNel 2009 la Corte popolare di Pechino ha processato e condannato alcuni intellettuali e giornalisti per aver partecipato alla stesu-ra e alla diffusione di Carta 08, un manifesto civile volto a promuovere importanti rifor-me politiche e a sostenere la causa della di-fesa dei diritti umani. Un anno dopo l’ispi-ratore e primo firmatario del documento, Liu Xiaobo, è stato insignito del premio Nobel per la pace, ma non ha potuto ritirarlo per-ché rinchiuso in prigione, dove dovrà rima-nere per altri dieci anni. Il suo nome e l’im-magine della sedia vuota nella sala della premiazione di Oslo hanno fatto il giro del mondo. Sfidando ancora una volta la censura di Pe-chino, in questa raccolta di saggi e poesie Liu Xiaobo ci offre un vasto e sconvolgente spac-cato della Cina di oggi. I cittadini del paese che ambisce al ruolo di prima potenza eco-nomica mondiale vengono descritti, infatti, come cinici, ossessionati dal successo econo-mico e personale, o come fanatici nazionali-sti, coraggiosi nell’aggredire verbalmente i dissidenti e codardi nel difendere le vittime dei soprusi commessi dai funzionari statali. Nelle sue pagine si svela il bluff di un benes-sere frutto di un mero incremento del pro-dotto interno lordo e causa di palesi disu-guaglianze, e si smaschera un regime che ottiene la complicità della gente grazie alla retorica dell’amore per la patria e alla forza «persuasoria» del denaro.Eppure, nonostante l’attuale vittoria delle forze illiberali, agli occhi di Liu Xiaobo sono evidenti le crepe che faranno implodere il si-stema autoritario cinese. Ovunque nel paese stanno crescendo la disillusione giovanile, lo scollamento tra realtà concreta e ideologia politica, la rabbia contro la prepotenza dei burocrati. Sempre più persone denunciano le ingiusti-zie subite e lottano per i propri diritti, men-tre l’inarrestabile diffusione di Internet si sta rivelando un decisivo fattore di aggrega-zione su grandi temi di interesse comune.Malgrado la ridotta libertà d’espressione e

UN PESANTE ATTO D’ACCUSA

E UN PROFONDO GESTO D’AMORE

DI UN GRANDE INTELLETTUALE CINESE

NEI CONFRONTI DEL PROPRIO PAESE

Prefazione di Federico Rampini

PREMIO NOBEL PER LA PACE 2010

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