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Sistemi politici comparati I canoni di J.S. Mill: Il tema del metodo comparato ci pone di fronte a un ordine di problemi essenzialmente metodologico. Il metodo empirico infatti può fare uso di due diverse logiche nella costruzione dei concetti. Secondo la logica induttiva e inferenziale, prevalente nel paradigma empiristico e nell'epistemologia della rappresentazione visto che il momento della definizione dei concetti precede il momento del controllo delle ipotesi attraverso la ricerca, la comparazione viene intesa come metodo di controllo delle ipotesi: è questa la direzione indicata anche dal neopositivismo e dal comportamentismo. Secondo la logica abduttiva, invece, visto che i concetti vengono considerati come ipotesi di lavoro, il metodo comparato viene inteso e utilizzato non solo nella fase di controllo delle ipotesi ma anche in quella di costruzione dei concetti, poiché questi ultimi possono essere definiti compiutamente solo alla fine della ricerca. Nell'ambito delle scienze sociali Sartori ha distinto quattro metodi di controllo delle ipotesi, in ordine di efficacia decrescente. 1) metodo sperimentale: il più efficace, ma utilizzabile solo nelle microanalisi; 2) metodo statistico: utilizzabile solo se si riesce a quantificare e a produrre un campione rappresentativo; 3) metodo comparato: più debole rispetto ai primi, ma anche più flessibile e più estendibile; 4) metodo storico: più debole di tutti perché mette in questione uno spaccato verticale, diacronico, che pone altri problemi di attendibilità. La comparazione sarebbe dunque «il metodo di controllo sul quale siamo costretti, il più delle volte, a ripiegare», ma nello stesso tempo tale metodo «ha dalla sua la forza di arrivare là dove altri strumenti di controllo non arrivano» (Sartori). 80

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Sistemi politici comparati

I canoni di J.S. Mill: Il tema del metodo comparato ci pone di fronte a un ordine di problemi essenzialmente metodologico. Il metodo empirico infatti può fare uso di due diverse logiche nella costruzione dei concetti. Secondo la logica induttiva e inferenziale, prevalente nel paradigma empiristico e nell'epistemologia della rappresentazione visto che il momento della definizione dei concetti precede il momento del controllo delle ipotesi attraverso la ricerca, la comparazione viene intesa come metodo di controllo delle ipotesi: è questa la direzione indicata anche dal neopositivismo e dal comportamentismo.Secondo la logica abduttiva, invece, visto che i concetti vengono considerati come ipotesi di lavoro, il metodo comparato viene inteso e utilizzato non solo nella fase di controllo delle ipotesi ma anche in quella di costruzione dei concetti, poiché questi ultimi possono essere definiti compiutamente solo alla fine della ricerca. Nell'ambito delle scienze sociali Sartori ha distinto quattro metodi di controllo delle ipotesi, in ordine di efficacia decrescente.1) metodo sperimentale: il più efficace, ma utilizzabile solo nelle microanalisi;2) metodo statistico: utilizzabile solo se si riesce a quantificare e a produrre un campione rappresentativo;3) metodo comparato: più debole rispetto ai primi, ma anche più flessibile e più estendibile;4) metodo storico: più debole di tutti perché mette in questione uno spaccato verticale, diacronico, che pone altri problemi di attendibilità.La comparazione sarebbe dunque «il metodo di controllo sul quale siamo costretti, il più delle volte, a ripiegare», ma nello stesso tempo tale metodo «ha dalla sua la forza di arrivare là dove altri strumenti di controllo non arrivano» (Sartori).Per poter andare al fondo del problema della comparazione, tanto come metodo di controllo delle ipotesi quanto come metodo si costruzione dei concetti, occorre conoscere le regole logiche di tale metodo. Tali regole sono state formulate più compiutamente da J. S. Mill nel suo A System of Logic e sono costituite da cinque canoni fondamentali della comparazione.

1) Canone della concordanza:Se due o più casi del fenomeno sotto indagine hanno una sola circostanza in comune (mentre differiscono per tutto il resto), quell'unica circostanza nella quale tutti i dati concordano è la causa (o l'effetto) di quel dato fenomeno. Questo a condizione che non vi siano terze variabili che interferiscono nella relazione tra le due variabili considerate.2) Canone della differenza:

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Se un caso nel quale il fenomeno sotto indagine si manifesta e un caso in cui non si manifesta hanno ogni circostanza in comune tranne una, quell'unica che è presente nel precedente, la circostanza nel quale i due casi differiscono è l'effetto, o la causa, o una indispensabile parte della causa del fenomeno. Questo a condizione che non vi siano terze variabili che interferiscono nella relazione tra le due variabili considerate.3) Canone delle variazioni concomitanti:Qualsiasi fenomeno vari in qualunque modo ogni volta che un altro fenomeno varia in qualche particolare modo, questo è o una causa o un effetto di quel fenomeno, o è connesso con esso attraverso qualche forma di causazione. Questo a condizione che non vi siano terze variabili che interferiscono nella relazione tra le due variabili considerate.4) Canone dei residui: presuppone l'impiego di un altro dei canoni e viene così definito:Si deduca da qualsiasi fenomeno quella parte che è nota, da precedenti induzioni, essere l'effetto di certi antecedenti, e il residuo del fenomeno è l'effetto dei rimanenti antecedenti. Tale canone è accettabile solo se si ammette il principio che ogni evento possa dipendere da più cause. 5) Canone della concordanza e della differenza, ottenuto dalla combinazione dei primi due:Se due o più casi nei quali il fenomeno si manifesta hanno soltanto una circostanza in comune, mentre due o più casi nei quali non si manifesta non hanno niente in comune oltre l'assenza di quella circostanza, l'unica circostanza nella quale i due gruppi differiscono è l'effetto o la causa, o una indispensabile parte della causa del fenomeno. Inoltre, nella fase di controllo possono intervenire altre variabili, oltre a quelle considerate, che interferiscono con i risultati conclusivi, a volte anche in modo determinante. Per segnalare i rischi insiti nelle "perturbazioni ambientali" si usa la clausola ceteris paribus. Questa consiste nel considerare costante ogni variabile non presa direttamente in considerazione nella spiegazione di un determinato fenomeno. Le variabili ceteris (cioè non prese in considerazione) possono essere dichiarate paribus (cioè costanti) solo a patto di risultare effettivamente irrilevanti o di rilevanza secondaria.Mill rinunciò al tentativo di estendere il suo sistema di logica alle scienze umane, sostenendo che queste erano troppo complesse per rendere possibile il controllo delle terze variabili richiesto dai canoni.

Il metodo comparato e le sue due diverse logiche: Nell'ambito della moderna scienza politica, l'analisi comparata ha avuto la sua fase di espansione maggiore nel clima culturale neopositivista del comportamentismo americano più maturo, dove ha assunto ben presto i caratteri di una sottodisciplina in parte autonoma: la politica comparata.Alcuni pongono l'accento su che cosa comparare (quindi sulla sprovincializzazione), altri sul come comparare (quindi sulla riflessione metodologica). È per questo probabilmente che, nell'ambito comportamentista, l'attenzione è stata rivolta prevalentemente alla scelta dell'oggetto di studio piuttosto che alla riflessione metodologica.

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Privilegiando alcuni oggetti di studio sono nati nuovi filoni di ricerca in grado di mantenere una certa autonomia rispetto alla disciplina nel suo insieme. È questo il caso della teoria dello sviluppo politico di Almond (approccio americano di matrice comportamentista) e il contributo di Rokkan (approccio tipicamente weberiano ed europeo).I due autori adottano infatti due logiche molto diverse. Si può far uso, infatti, del metodo comparato in diverse fasi della ricerca:- nel contesto della scoperta, cioè quando si individuano i problemi rilevanti su cui poi verrà sviluppata la ricerca;- nel contesto della giustificazione, cioè quando, definito il problema e l'ambito della ricerca, si procede controllando le ipotesi formulate sul caso oggetto di studio.Alle quali corrispondono diversi criteri seguiti nella costruzione dei concetti.a) Il positivismo logico intende, infatti, i concetti come classificazione o come contenitori di oggetti empiricamente rilevabili, pertanto è nel contesto della scoperta, cioè prima di cominciare la ricerca vera e propria, che vengono definiti i concetti con l'individuazione dei caratteri e delle variabili su cui si decide di sviluppare la ricerca; il "contesto della giustificazione" serve, appunto, per controllare le ipotesi formulate precedentemente, la comparazione svolge quindi la funzione di controllo delle ipotesi.b) I costruttivisti, invece, seguendo una logica abduttiva, concepiscono i concetti come «ipotesi di lavoro»: essi vanno definiti quindi in modo provvisorio e assumono una forma più chiara man mano che la ricerca va avanti. Se i concetti vengono definiti compiutamente solo durante il percorso della ricerca, cioè nel "contesto della giustificazione", in questo secondo caso, allora, tale contesto andrebbe chiamato piuttosto "contesto della costruzione dei concetti". La comparazione quindi, in questo secondo caso, è un metodo non solo di controllo delle ipotesi, ma anche di costruzione dei concetti.

Il modello comportamentista: G.A. AlmondL'adozione del metodo comparato è senz'altro la caratteristica più qualificante del contributo di Almond all'analisi della politica. Dopo il primo periodo di orientamento prevalentemente "psicologico", che va dal 1950 al 1963 (The Civic Culture, 1963), il problema dell'osservazione sistemica sorge infatti per Almond nel momento in cui egli comincia a porsi interrogativi tipici dell'analisi macropolitica in A Developmental Approach (1966).Il nome di Almond è però legato essenzialmente alle teorie formulate per la prima volta in The Civic Culture (1963) e al conseguente modello di sviluppo politico.

The Civic CultureSecondo Almond e Verba «cultura politica è l'insieme degli orientamenti psicologici dei membri di una società nei confronti della politica» e ha come funzione quella di assicurare consensualmente la coesione sociale del sistema politico.

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Almond fa dipendere la possibilità di sviluppo di un sistema politico dalla relazione - di maggiore o minore congruenza - tra cultura e struttura politiche. Egli individua tre dimensioni fondamentali per ogni cultura politica: 1) dimensione cognitiva: le conoscenze, o credenze, relative alla politica;2) dimensione affettiva: sentimenti personali verso le strutture d'autorità;3) dimensione valutativa: i giudizi o le opinioni dei soggetti sui fenomeni politici.Sulla base di questi fattori e da una loro diversa combinazione, è possibile costruire una classificazione della cultura politica lungo un continuum da cui vengono evidenziati tre tipi di cultura: parochial, suddita e partecipante.Il primo tipo di cultura (parochial) è proprio di quei cittadini che non manifestano alcuna, o scarsa, consapevolezza per il sistema di cui fanno parte. Il secondo tipo (suddita) contraddistingue quei cittadini che chiedono ma non sono disposti a partecipare alla vita del sistema. Il terzo tipo (partecipante) contraddistingue cittadini esplicitamente orientati a interessarsi globalmente alla vita politica, sia chiedendo sia partecipando.Coerentemente al tipo di cultura politica prevalente, in una società possono essere individuati secondo Almond tre tipi di strutture politiche diverse, definite da diverse “interazioni di ruoli”, come si può rilevare dal prospetto seguente.

Secondo Almond un sistema finisce per avere una popolazione caratterizzata da crescente alienazione  allorché esiste al suo interno il massimo scarto, o «inconciliabilità», fra tipo di cultura e tipo di struttura politica esistenti specie quando esiste una consapevolezza diffusa di questo scarto. Accanto alla compatibilità della cultura politica con le strutture che ne rendono possibile l'espressione Almond analizza poi altri aspetti politicamente rilevanti, sempre in relazione alla cultura politica:a) il grado di fiducia e le aspettative che hanno i cittadini nella propria possibilità di risultare politicamente influenti determina, secondo Almond, la partecipazione stessa dei cittadini alle istituzioni democratiche.

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b) La visione che i cittadini hanno della competizione  politica (processo armonioso, conflittuale, mortale) determina invece, secondo Almond, la legittimità delle opposizioni e quindi la libertà e la democrazia all'interno del sistema. Almond introduce il concetto di secolarizzazione culturale quale effetto del processo di modernizzazione  che porta a una cultura che concepisce la competizione politica come un “mercato” dove si vince e si perde, si prende e si dà. E' questo un processo particolarmente interessante strettamente legato sia al processo di socializzazione dei cittadini, che viene attuato nella società politica per mezzo di varie strutture specifiche (famiglia, scuola, gruppi di lavoro, mass media), sia al grado di differenziazione di tale strutture: secondo Almond, infatti, maggiore sarà la differenziazione strutturale maggiori saranno pure il grado di secolarizzazione culturale e l'autonomia dei sottosistemi.c) Dal grado di omogeneità della cultura politica deriva invece la frammentazione, o meno, della comunità: quanto più una cultura è divisa in gruppi irriducibili e inconciliabili (fazioni religiose, minoranze etniche, ecc.) tanto minore evidentemente sarà l'omogeneità politica fra i suoi cittadini. Per designare questi orientamenti particolari, o fazioni, Almond parla di subculture, ossia di sottoculture radicalmente atipiche rispetto alla cultura politica nazionale.Il processo di sviluppo politico avviene, secondo Almond, lungo il continuum descritto dal suo modello attraverso alcuni  requisiti funzionali che vengono così sintetizzati: per svilupparsi, un sistema deve tendere ad avere una cultura caratterizzata da una crescente secolarizzazione, strutture sempre più differenziate, le une dalle altre, sempre più specializzate, e sottosistemi reciprocamente sempre più autonomi. Per converso, scomparsa e declino del sistema sopravvengono ogni qualvolta queste stesse condizioni tendono ad allontanarsi dai parametri suindicati. Sulla base di ciò Almond tenta di costruire una classificazione dei regimi politici:

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Almond elabora poi una teoria delle crisi di sviluppo secondo la quale ciascun paese, nel corso della modernizzazione politica, deve attraversare quattro grandi crisi:- costruzione dello stato territoriale;- costruzione dell'identità nazionale;- mobilitazione politica dei settori precedentemente esclusi dalla partecipazione alle decisioni politiche (partecipazione);- lotta per la ripartizione del prodotto nazionale (redistribuzione).

Critiche ad Almond:Numerose sono le critiche formulate nei confronti del concetto di cultura politica così come è stato proposto da Almond. Ma il punto su cui si vuole richiamare l'attenzione è dato dalle assunzioni che restano implicite rispetto alla scelta del metodo comparato e dell'uso operativo che ne viene fatto: lo strumento di indagine prescelto è quello del sondaggio cross-national

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basato sull'estrazione di un campione casuale tratto dalla popolazione residente nei paesi prescelti (Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania occidentale, Italia, Messico). L'individuazione di un campione casuale così formato presuppone infatti che la distribuzione delle "virtù civiche" sul territorio nazionale sia altrettanto casuale e non invece strutturato territorialmente sulla base di un processo storico tutt'altro che casuale.Ma la teoria di Almond ha comunque alcuni vantaggi: l'introduzione dei concetti di struttura e cultura e il superamento della frattura fra "micro" e "macro" politica, poiché esse riescono efficacemente a costituire il punto di contatto più realistico fra singolo cittadino e sistema politico complessivo.

Il modello costruttivista di S. Rokkan:Rokkan privilegia la costruzione di modelli specifici per regioni giungendo, infine, a formulare un modello analitico di sviluppo europeo come risultato di una serie di ricerche in cui l'ambito territoriale e il contesto storico erano sempre al centro dell'indagine.Ci sono quindi almeno due elementi fondamentali che differenziano la linea di pensiero di Rokkan dall'impostazione americana, dominante nelle scienze sociali: a) l'accento posto sul ruolo determinante della storia (tempo)b) e la rilevanza dei conflitti (culturale ed economico) e dei suoi esiti in un ambito territoriale (spazio) ben definito (centro o periferia).La storicizzazione dello schema parsonsiano e il riferimento alla teoria americana delle crisi di sviluppo offrono a Rokkan la possibilità di progettare una «grammatica per l'analisi delle macro-variazioni» distinguendo quattro processi fondamentali (AGIL), espressione del conflitto centro-periferia nella formazione degli Stati europei.I primi due processi costituiscono tentativi di un centro che cerca di mettere un territorio sotto il suo controllo militare, economico e culturale, e possono essere individuati:a) nella formazione dello Stato in senso stretto: processi di integrazione politica, economica, culturale, a livello di élite, sviluppo di organizzazioni per il mantenimento dell'ordine interno;b) nella formazione della nazione: processi che rafforzano i contatti tra le élite del centro e i settori periferici della popolazione, come il servizio militare, la scuola pubblica, l'estensione dei mezzi di comunicazione che contribuiscono ad una standardizzazione culturale e ad un ampliamento dell'identità nazionale.Gli altri due processi partono invece dalla periferia e tendono a una ristrutturazione interna della formazione politica, sulla base dell’affermazione dei diritti civili più o meno estesi. Essi sono individuabili:c) nella partecipazione politica attiva per l'istituzionalizzazione e l'adeguamento dei diritti civili di libertà e dei diritti politici che portano allo sviluppo dei partiti politici;d) nella redistribuzione: estensione dell'apparato statale e dei servizi sociali, insieme alla fiscalizzazione progressiva al fine di equiparare le condizioni economiche tra gruppi diversi di popolazione.

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A questo punto Rokkan elabora un macro-modello dello sviluppo politico europeo in cui si intersecano principalmente due assi (territoriale e funzionale) rappresentanti le dimensioni fondamentali della struttura di divisione di una società.In ciascuno stadio del modelo è attribuito egual peso alle dimensioni economico-tecnologica, politico-territoriale e culturale-etnico-religiosa. In questo senso Rokkan individua quattro «giunture critiche» nella storia di ogni nazione europea, in relazione alle quali si sono create linee di frattura (cleavages) accompagnate da processi di mobilitazione di massa che hanno contribuito alla formazione degli schieramenti politici e dei sistemi di partito:- la Riforma protestante (XVI e XVII sec.) espressione del conflitto centro-periferia; - la Rivoluzione nazional-democratica (1789 e seguenti) espressione del conflitto Stato-Chiesa;- la Rivoluzione industriale (XIX sec.) espressione dei conflitti agricoltura-industria e proprietari-lavoratori;- la Rivoluzione russa (1917 e successivi) espressione del conflitto socialismo-comunismo.Continuando nella descrizione del modello, esistono, secondo Rokkan, quattro soglie critiche che segnano il passaggio dall'assolutismo alla democrazia di massa:- la soglia di legittimazione dell'opposizione: è il momento in cui trovano riconoscimento i diritti di petizione, di critica e di protesta contro il governo;- la soglia di incorporazione dell'opposizione: è il momento in cui vengono concessi i diritti politici (elettorali e associativi) ai movimenti di opposizione;- la soglia di rappresentanza: è il momento in cui è possibile per le opposizioni eleggere legalmente i propri rappresentanti nei parlamenti;- la soglia del potere esecutivo: in cui diventa legalmente possibile la conquista del governo da parte delle opposizioni.

In rapporto alla teoria dei cleavages (o fratture) è possibile infine, secondo Rokkan, ridisegnare la geografia politica europea rappresentandola su un piano bidimensionale in cui «un meridiano culturale passa da Sud a Nord e uno economico da Ovest a Est, con territori cuscinetto e con territori periferici ad ogni polo degli assi. Perciò Rokkan definisce spesso questa mappa un "modello topologico-tipologico". (vedi figura)I due poli estremi sono rappresentati da due modelli di sviluppo politico contrapposti:il modello inglese di emancipazione lenta e graduale, senza passi indietro ma con un lungo periodo di riconoscimento formale dell'ineguaglianza; e il modello francese di antica e improvvisa universalizzazione ed equalitarizzazione della cittadinanza politica ma con frequenti passi indietro e con tendenze di sfruttamento plebiscitario del sostegno di massa.

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 Confronto tra Rokkan e Weber:A Weber lo unisce la consapevolezza della complessità dello sviluppo storico e dell'impossibilità di identificarne una volta per tutte, il primum mobile. Rokkan tuttavia condivideva con Weber l'idea che qualunque sviluppo storico deve essere sempre interpretato come il frutto della interazione fra fattori economici, fattori politici e fattori culturali: più specificamente, condivideva l'idea che la politica non si spiega né solo con l'economia (come vogliono i marxisti) né solo con la cultura, né, infine, solo con se stessa (come intendono molti politologi), ma che dipende dall'esame delle concrete situazioni storiche stabilire di volta in volta quale dei diversi fattori, in quella data occasione, ha pesato di più.In contrapposizione alla scuola americana, ciò che accomuna Rokkan a Weber è essenzialmente la medesima matrice europea, la coscienza cioè dell'unicità e irripetibilità dell'esperienza storica europea.Va ricordato, infine, che l'approccio di Rokkan resta però un approccio ancora elitista. I suoi attori sono i "costruttori della nazione", i "corpi ecclesiastici istituzionalizzati", i proprietari terrieri, gli industriali e i commercianti cittadini, e ciò può essere considerato, probabilmente, come l'effetto del riferimento struttural-funzionale del suo macro-modello.Per concludere si propone il confronto tra Almond e Rokkan, riprendendo la distinzione fatta da Geertz a proposito dell'interpretazione di culture, tra thin e thick description.

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Almond utilizza una thin description, escludendo il ruolo della intermediazione culturale e perseguendo l'obiettivo della «neutralità» con lo svantaggio della povertà di senso delle categorie utilizzate.Rokkan adotta invece una thick description, sviluppando al massimo il ruolo dell'intermediazione culturale, con un arricchimento di senso e col vantaggio di una maggiore profondità di analisi ma con lo svantaggio dell'incommensurabilità rispetto a intermediazioni culturali diverse: il suo modello, infatti, può essere proponibile al di fuori del contesto dell'Europa occidentale solo con gli opportuni accorgimenti del caso.

Analisi dei sistemi complessi

La scienza politica post-comportamentista

Gli anni Cinquanta e Sessanta sono stati gli anni in cui la Scienza politica ha compiuto lo sforzo maggiore di emancipazione che l'ha resa autonoma come disciplina rispetto alle altre scienze umane. Gli anni Sessanta, specialmente negli Stati Uniti, sono infatti gli anni del boom della Scienza politica e del punto più alto di elaborazione teorica. In quegli anni le teorie hanno beneficiato della influenza venuta dal comportamentismo.Tuttavia, proprio alla fine degli anni Sessanta, l'autonomia del politico, che aveva raggiunto un suo consolidamento teorico con la teoria sistemica di Easton, entra ben presto in crisi: la sfera politica si trova ad essere sfidata da conflitti sociali (movimenti operaio, studentesco, femminista, eco-pacifista, ecc.) e da imperativi di funzionalità economica (inflazione/disoccupazione, crisi fiscale, mercato internazionale) che ne mettono in crisi l'immagine di autonomia. Dunque, se nel periodo di massima elaborazione teorica comportamentista la politica viene vista in chiave astorica (cioè astratta, resa indipendente dalla storia) attraverso lo strumento logico della formalizzazione, la «controcultura» del Sessantotto ne rimette in discussione proprio l'astoricità e, quindi, anche lo strumento (logico formale) d'analisi.La politica "storicizzata" richiede nuove regole logiche; in primo luogo la sostituzione della comparazione formale con la comparazione come confronto di contesti, cioè come costruzione di idealtipi e teorie storicamente e geograficamente definiti. Questo cambiamento di rotta ha messo in evidenza, ovviamente, l'incapacità degli approcci comportamentisti di rispondere a interrogativi complessi e di analizzare problemi complessi non riducibili all'analisi dei comportamenti manifesti.Il comportamentismo è stato attaccato perciò da più parti. Anzitutto per la sua "pretesa positivistica" che sul piano metodologico si traduce nell'adozione di tecniche di rilevazione empirica che precludono la possibilità di andare oltre l'aspetto visibile, cioè calcolabile e misurabile, dei fenomeni. Siamo di fronte a un mutamento epistemologico: da una epistemologia della rappresentazione a un'epistemologia della costruzione. Vengono riproposti,

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infatti, problemi teorici di confini disciplinari tra scienza e filosofia politica, anche alla luce delle nuove prospettive lasciate aperte dalla fase che possiamo definire, appunto, con Easton, post-comportamentistica, ma che appare ancora in corso di maturazione e di assestamento.

Sui concetti di complessità sistemica e di complessità sociale

Il termine "complessità" indica un insieme composito di più unità elementari in relazione di reciproca interdipendenza, considerate nel loro complesso. Il concetto di complessità, quindi, se da una parte rimanda a una logica sistemica di interdipendenza tra le parti, dall'altra indica la presenza di condizioni problematiche, almeno sul piano di una logica lineare più semplice. Dalla stessa definizione si può dedurre, inoltre, che non esiste la "complessità sistemica" in assoluto, ma solo in rapporto a uno stato di equilibrio precedente, che risulta essere in qualche modo alterato, oppure in relazione a un punto di vista o a una logica (o razionalità).Un sistema sociale complesso come quello delle democrazie occidentali contemporanee è caratterizzato, in primo luogo, dal fatto che, grazie a uno sviluppo economico senza precedenti, sono stati risolti e soddisfatti i principali bisogni materiali della popolazione (alimentazione, abitazione, salute, ecc.) ma, nello stesso tempo, grazie a un elevato grado di istruzione e di terziarizzazione, la produzione materiale viene affiancata dalla produzione di segni e di relazioni sociali. In questo contesto socioeconomico agiato, i bisogni conflittuali politicamente rilevanti non sono costituiti più solo dai bisogni materiali, ma sono affiancati anche da bisogni post-materialisti (Inglehart 1977, 1990), ovvero bisogni di natura non economica (immateriali e/o relazionali), come la qualità della vita, l'ambiente, la pace, l'autorealizzazione, il bisogno di senso: bisogni orientati insomma verso la costruzione e la ridefinizione della propria identità culturale individuale e/o collettiva. Questa «rivoluzione silenziosa» (Inglehart 1977) sta lentamente trasformando gli equilibri interni del sistema sociale, modificando le priorità e le finalità verso cui si orienta lo sviluppo del sistema sociale, ma, al tempo stesso, sta trasformando i tempi e i modi del «fare politica» e le modalità di riproduzione del sostegno al sistema politico.Se un sistema (sociale) complesso è caratterizzato dall’autoreferenzialità e dall’autopoiesi, cioè dalla capacità di apprendere e di mutare identità proprio grazie alla capacità di produrre segni e significati, allora le dimensioni della cultura e della comunicazione acquistano una rilevanza fondamentale per l'analisi del mutamento sociale e per l'azione politica.I sistemi complessi sono reti ad alta densità di informazione e devono contare su un certo grado di autonomia degli elementi che li compongono: senza lo sviluppo di capacità formali di apprendimento e di azione, gli individui e i gruppi non potrebbero funzionare come terminali affidabili e capaci di autoregolazione. Nello stesso tempo però l'elevata differenziazione richiede maggiore integrazione e una intensificazione del controllo, che si sposta dal contenuto al codice, dalle condotte alle pre-condizioni dell'agire.

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Quale identità?

In primo luogo è il concetto di identità individuale e/o collettiva che deve essere attentamente ridefinito. Nota a proposito Melucci: “L'identità è in ogni caso una relazione che comprende la nostra capacità di riconoscerci e la possibilità di essere riconosciuti da altri”. Se l'identità è immaginabile come un sistema, come un processo definito da un insieme di relazioni, con la capacità di intervenire su di sé e di ristrutturarsi, allora non è possibile pensare a un'identità statica e stabile nel tempo, ma piuttosto a un continuo processo di ridefinizione del sé: l'identità diventa perciò un campo in cui è possibile operare delle scelte (si pensi per esempio al fatto che persino l'identità sessuale può diventare oggi oggetto di scelta). Detto in altri termini, la crisi di identità (Krisis=scelta, giudizio) è una condizione normale per un sistema complesso, in cui cambiare contesto di riferimento e operare delle scelte diventa inevitabile. Questo se, da una parte, apre gli orizzonti e moltiplica le possibilità dei singoli, dall'altra crea un disagio continuo nel soggetto che non è abituato ancora a confrontarsi ripetutamente con culture diverse dalla propria. È proprio la dimensione della multiculturalità (collegata ai fenomeni di immigrazione e urbanizzazione e allo sviluppo senza precedenti dei mezzi di comunicazione di massa che riducono le distanze tra mondi diversi -> villaggio globale), cioè della pluralità di riferimenti culturali, correlata alla crisi dell'idea di nazione, che caratterizza le società complesse e che costringe a rimettere continuamente in discussione l'identità del soggetto entro coordinate spazio-temporali multiple e differenziate.In ogni caso la definizione del sé avviene ora entro un processo complesso e problematico. In questo contesto il soggetto è chiamato ad operare inevitabilmente delle scelte su ambiti e con una intensità del tutto nuovi rispetto al passato. Crisi e complessità sembrano essere allora due facce della stessa medaglia: la rapidità e la frequenza con cui il soggetto che vive in un sistema complesso è sollecitato a prendere delle decisioni, lo pongono in una condizione di continua tensione, e nello stesso tempo richiedono l'acquisizione di nuove abilità di analisi, sintesi e valutazione delle informazioni disponibili, necessarie per operare delle scelte. Il paradosso della scelta crea dunque un nuovo tipo di pressione psicologica e ci espone a nuovi problemi. In altre parole, i margini di liberà dell’individuo aumentano quanto più egli è in grado di garantirsi risorse di flessibilità dell’azione.

Rigidità e flessibilità sistemica

I concetti di rigidità e di flessibilità sistemica possono essere meglio espressi facendo riferimento ad uno dei maggiori teorici dei sistemi complessi: Gregory Bateson. In Ecology and Flexibility in the Urban Civilisation egli sostiene:

La flessibilità può essere definita come potenzialità non utilizzata per il cambiamento. Il sistema "sano" può essere paragonato ad un acrobata su un'alta fune. Per mantenere la "verità dinamica" delle sue premesse di base ("sono su una corda") deve essere libero di muoversi da una posizione d'instabilità ad un'altra; per esempio, certe variabili come la posizione delle sue braccia e il "tasso" del loro movimento devono avere una

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grande flessibilità che egli usa per mantenere la stabilità di altre più fondamentali e generali caratteristiche. Se le sue braccia sono paralizzate, cioè isolate da ogni comunicazione, dovrà per forza cadere. In altri termini, quanto più le leggi proliferano tanto più il nostro "acrobata" viene progressivamente limitato nel movimento delle sue braccia ma è [anche] autorizzato a cadere dalla corda.

L'aumento della complessità sociale mette in crisi  perciò i sistemi politici occidentali sotto un duplice aspetto: dal lato della produzione degli output, intesa come produzione legislativa che, aumentando la burocratizzazione del sistema, ne riduce la flessibilità; ma anche dal lato della struttura amministrativa centralizzata che ha caratterizzato la razionalità della forma-Stato di dominio politico propria dei sistemi politico-amministrativi moderni (Weber): il decentramento amministrativo diventa, quindi, un imperativo funzionale determinante per garantire la risorsa fondamentale per la sopravvivenza dei sistemi complessi: la flessibilità. Paradossalmente, tuttavia, se da un lato è evidente che la complessità dell'ambiente sociale in entrambi questi contesti impone l'urgenza di un nuovo mutamento strutturale, dall’altro, un tale mutamento richiede sia una condizione di flessibilità strutturale tanto più elevata quanto più spiccato è il mutamento che si intende realizzare, sia una elevata capacità decisionale, proprio mentre il sistema politico si trova in condizioni di grande debolezza e vulnerabilità.Poiché il consumo di flessibilità è strettamente correlato all'aumento di burocratizzazione del sistema, dato che ne irrigidisce la struttura rendendola incapace di tollerare le sfide provenienti dall'ambiente, ne segue, come nota ancora Bateson che: “la flessibilità sociale è altrettanto preziosa del petrolio o del titanio e deve essere utilizzata in modi appropriati e consumata per i casi di cambiamento necessario”.

Mutamento sociale e controllo sistemico

Anche i concetti di controllo e di mutamento sociale, nell’analisi dei sistemi complessi, possono essere letti come due facce della stessa medaglia. Infatti, se da una parte, in un sistema complesso, aumenta la capacità sociale di intervento sull'azione umana nel suo prodursi, e quindi di incidere sul senso di marcia del mutamento possibile, dall'altra la produzione di senso è segnata dalla necessità di controllo e di regolazione sistemica.Nelle società complesse, allora, se da una parte si frammenta e si diffonde la capacità di produrre senso e significato per l'azione, dall'altra anche il potere si frammenta e si diffonde, mentre gli apparati di controllo e di regolazione estendono la loro azione verso la "normalità" del quotidiano.In un contesto così differenziato come possono essere ridefiniti allora i concetti di «mutamento» e di «controllo» sociale? Melucci sottolinea come alcune idee guida che avevano orientato l'analisi del mutamento sociale siano oggi del tutto inadeguate. In primo luogo l'idea storicista di una trasformazione che muova dal cuore del sistema e ne rovesci la struttura complessiva non ha più riferimento alla situazione reale. Perché il sistema non ha centro e assume la forma di una rete di relazioni tra strutture differenziate e relativamente autonome, da mantenere in equilibrio. E perché nessun mutamento può agire contemporaneamente a

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tutti i livelli in un sistema. La trasformazione globale può assumere solo la forma della catastrofe o del dominio assoluto. Se si escludono queste ipotesi estreme, il mutamento dei sistemi complessi si situa all'interno di specifiche aree o di regioni parziali, non si trasmette automaticamente dall'una all'altra, non avviene mai in maniera simultanea.Questo vuol dire che le forme concrete assunte dal mutamento dipendono sempre più dai modi di mediazione e di regolazione politica, dalla capacità decisionale e dalle finalità perseguite dall'azione politica a tutti i livelli (locale, nazionale, internazionale).Nello stesso tempo deve essere attentamente considerata anche la dimensione culturale, nella sua valenza politica di «perseguimento dei fini», proprio perché essa ha acquistato una autonomia senza precedenti.

Ecologia politica e strutturalismo dinamico

Prendere coscienza dei limiti, dei vincoli e delle possibilità, che il contesto pone alla libertà del soggetto, in relazione alla flessibilità e alle risorse più o meno scarse di cui l'ambiente dispone, è il primo e più importante passo verso una ecologia politica; cioè verso una logica di azione sociale che intende coniugare la promozione umana insieme alla promozione del contesto (culturale, relazionale e naturale) entro cui il soggetto è inserito, dal momento che l'essere umano (come ogni altro essere vivente) fuori dal suo "ambiente" non può sopravvivere a lungo. Su questa scia, lo stesso concetto di sviluppo è stato significativamente modificato e reso più complesso considerando, oltre alle variabili economiche, anche quelle sociali, culturali e politiche di un dato contesto: si parla oggi di sviluppo umano sostenibile.L'analisi dei sistemi complessi suggerisce allora di spostare l'attenzione su alcuni concetti-chiave che devono essere considerati sempre in una relazione di reciproca interdipendenza con l'ambiente: la flessibilità e la rigidità strutturale e delle idee, correlati alle modalità di programmazione (rigida o flessibile) e di abitualizzazione delle idee; i concetti di struttura dinamica (tipica dei sistemi cognitivi viventi), di morfogenesi (nascita di nuove "forme"), di catastrofe (morte, o estinzione per assenza di flessibilità) e di path dependency (dipendenza dal percorso storico effettuato), per ricordarne solo alcuni tra i più importanti.

Le sfide degli anni Ottanta e Novanta

Alla fine degli anni Settanta, con la crisi e il superamento del paradigma comportamentista, anche la Scienza politica ha dovuto cominciare ad attrezzarsi per affrontare le sfide della complessità che arrivano, in primo luogo, da un cambiamento epocale delle forme istituzionali (come per esempio la forma-Stato) che hanno caratterizzato lo scenario politico nazionale e internazionale. Si pensi, per esempio, ai radicali cambiamenti che hanno stravolto lo scenario politico interno agli Stati, con la crisi dei sistemi di Welfare e l’affermarsi di nuove forme organizzative, come per esempio quelle del Terzo settore -> nuovi attori che sottraendo il monopolio di produzione

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di servizi sociali all’attore pubblico, contribuiscono a ridefinire lo stesso concetto di "bene pubblico" e di "servizio pubblico" che necessita ora di una nuova concettualizzazione. Si pensi, inoltre, anche al recente dibattito sul federalismo e alle riforme degli anni Novanta in Italia, e non solo, che hanno portato ad un rafforzamento dei governi locali (federalismo amministrativo e devolution), ma anche il consolidarsi dell’Unione Europea, con l’introduzione della moneta unica, nella prospettiva di un allargamento ai Paesi dell’Est. In tempi più recenti, vanno aggiunte le sfide apportate dal processo di globalizzazione del mercato, dai movimenti "antiglobal" e, dopo l’11 settembre 2001, la sfida sferrata dal terrorismo internazionale di matrice islamica ai Paesi occidentali e alla risposta dell’Occidente alla ricerca di un nuovo ordine internazionale, imposto militarmente dagli Stati Uniti.D’altra parte, proprio questi cambiamenti epocali, e l’aumento della complessità che ne consegue, richiedono la capacità di elaborare categorie analitiche più adeguate. Gli sviluppi recenti della disciplina lasciano intravedere, tuttavia, la coesistenza spesso sovrapposta di approcci e teorie che fanno riferimento ad opzioni epistemologiche contrapposte, di matrice ancora comportamentista (neopositivista), o di ispirazione (neo)weberiana (costruttivista), con evidenti difficoltà per la disciplina di riuscire a definire con chiarezza non solo un oggetto, ma anche un metodo o un approccio privilegiati.

Da una parte, per esempio, la teoria dell’attore razionale mette al centro del modello esplicativo l’individuo, isolato dal suo contesto, ma dotato di una capacità "razionale" di massimizzazione dell’efficacia (mezzi/fini) e dell’efficienza (costi/ benefici) e interpreta la complessità a partire dalla problematicità dalla scelta che l’attore deve compiere (rational choice), rimanendo così ingabbiata entro i vincoli dell’individualismo metodologico che costituiscono limiti oggettivi al superamento dell’epistemologia della rappresentazione.Dall’altra, la riscoperta delle dimensioni storica e culturale nell’analisi politica sono il primo segnale chiaro di un cambiamento di prospettiva metodologica che va nella direzione di un superamento del comportamentismo, astorico per definizione. La componente storica nella ricerca politologica richiede infatti nuove regole logiche, in primo luogo la sostituzione della comparazione formale con la comparazione per contesti, definiti attraverso la costruzione di idealtipi, a partire dall’analisi di casi storicamente e geograficamente definiti (Rokkan).Una chiave di lettura utile per analizzare gli sviluppi più recenti della Scienza politica, che qui propongo, può essere, allora, quella di fare riferimento alle nuove sfide che hanno segnano, e segnano, le democrazie occidentali di fine Millennio. In altre parole, la politica si trova a dover affrontare oggi la sfida della complessità di nuovi tipi di conflitti e nuovi imperativi di funzionalità economica che mettono in luce, da un lato, l’inadeguatezza di quelle forme istituzionali di regolazione politica che avevano fin ora dominato la scena politica, ma dall’altra anche la necessità di ripensare alle categorie analitiche che hanno consentito fin qui alla Scienza politica di descrivere, spiegare e prevedere i fenomeni politici locali, nazionali e internazionali.

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Interpretare la complessità dello sviluppo: il ruolo delle istituzioni

A partire dall’articolo di March e Olsen (1984) The new institutionalism: organizational factors in political life, generalmente considerato il manifesto introduttivo del neoistituzionalismo all’analisi politologica, si va registrando un consenso diffuso sulla convinzione che lo studio delle istituzioni sia in grado di illuminare i condizionamenti sulle scelte politiche e sugli esiti e l’andamento dei processi decisionali.Il consenso riguarda tre aspetti fondamentali della prospettiva analitica neoistituzionalista che la rendono paradigmaticamente contrapposta a quella comportamentista:

le istituzioni contano la storia conta le idee e la cultura contano.

Con la prima affermazione gli studiosi che adottano tale prospettiva ritengono che le istituzioni godano di un relativo grado di autonomia e abbiano la capacità di condizionare l’attività politica in quanto ne definiscono i valori, le norme, le identità. Le istituzioni regolano e vincolano i comportamenti individuali, orientano le strategie di coalizione, definiscono insomma il contesto che dà senso all’azione politica (la causazione adeguata weberiana).Con la seconda affermazione il neoistituzionalismo considera il contesto istituzionale come il risultato di una costruzione sociale: importante è capire come nascono e si riproducono le istituzioni, come si consolidano e come si trasformano nel tempo.Con la terza affermazione si ritiene che, per quanto le istituzioni modellino la politica, le idee (sistema di significati) e le esperienze (prassi sociali) possono indurre a cambiare linea di azione, a mettere in discussione le istituzioni esistenti, a progettare nuove regole e nuovi assetti organizzativi (mutamento).Per quanto la matrice politologica dell’approccio istituzionalista sia da attribuire a Huntington (Political Order in Changing Societies 1968) è interessante rilevare, a questo proposito, che il neoistituzionalismo non nasce nella scienza politica ma nella scienza economica. La teoria dei costi di transazione, recentemente rielaborata da Williamson (1998), North (1990) e Levi (1988), parte dall’idea centrale secondo cui lo scambio economico non è un fatto "naturale", esente da costi. Infatti senza un’adeguata costellazione di assetti istituzionali volta a ridurre i costi impliciti (grazie alla dimensione della fiducia), le transazioni economiche non potrebbero essere stabili e regolari. Tali costi sono essenzialmente di due tipi:

costi di incentivazione e monitoraggio (informazione sulla qualità dei beni e dei servizi scambiati, ecc.);

costi di coordinamento e di esecuzione degli accordi, legati ai disincentivi alla defezione che può minacciare il rispetto degli accordi contrattuali.

Partendo da queste basi, North (1981) si è prefissato di delineare i primi fondamenti di una teoria generale dello Stato basata essenzialmente sulla teoria dei costi di transazione, mentre M. Levi (1988) ha provato a coniugare questo nuovo approccio teorico con quello della

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politologia storico-comparata applicandola ai casi dei principali Paesi europei. Ciò che si può ricavare da questa impostazione è comunque una nuova concettualizzazione di istituzione che potrebbe offrire la possibilità di definire, se non un oggetto, almeno un linguaggio comune per le scienze sociali.

Definizione di istituzione

In quanto sistemi di pacificazione sociale caratterizzati da un insieme di norme sociali durevoli, coordinate e sottoposte a controllo unitario, le istituzioni infatti interpretano e semplificano la complessità. Esse sono di fatto i vincoli che gli uomini hanno posto in essere come risultato dell’azione collettiva per disciplinare i loro rapporti. In quanto strutture entro cui si svolgono le relazioni sociali, economiche e politiche, esse riducono il tasso di incertezza e introducono la regolarità e la stabilità nella vita di tutti i giorni.Dal punto di vista politologico, come sostengono March e Olsen (Rediscovering Institutions 1989), le istituzioni "modellano" la politica attraverso la costruzione e l’elaborazione del significato della vita individuale e collettiva, condizionando le preferenze e vincolando le aspettative e gli orientamenti degli attori sociali. Nello stesso tempo, informazioni, esperienze, opinioni e programmi possono indurre a cambiare linee di azione, a mettere in discussione istituzioni esistenti, a progettare nuove regole e nuovi assetti organizzativi. La dimensione culturale, quindi, non solo incide sui processi di persistenza e di mutamento degli assetti istituzionali, ma si può sostenere che ne costituisca una componente fondamentale, al punto che non si può sempre facilmente separare l’elemento istituzionale dal codice culturale che lo rende socialmente significativo. Al tempo stesso, le istituzioni politiche, in particolare quelle amministrative, conferiscono, secondo tale approccio, un ordine alla politica e ne influenzano i mutamenti al punto che, secondo gli autori, tali istituzioni possono essere trattate come attori politici veri e propri, dotati di coerenza e autonomia. Ciò significa ripensare la politica assumendo che:

l’azione politica è dominata più da regole che dal calcolo razionale e utilitaristico; il ruolo del potere politico risulta fortemente ridimensionato dalla routine, dalle

procedure, dalle convenzioni, dalle prassi amministrative consolidate.Per il neoistituzionalismo, infatti, la politica non è più il risultato dell’interazione tra una costellazione di singoli attori, portatori di interessi particolari, che si muovono in un’arena non meglio definita, ma piuttosto un insieme di regole, norme e istituzioni che definiscono il contesto (non più semplice arena) entro cui si muovono i vari attori. Secondo questo approccio, quindi, le molle più significative dell’azione politica non sono né il calcolo razionale utilitaristico né la lotta per il raggiungimento del potere a qualunque costo ma, al contrario, l’azione politica è resa comprensibile dall’adesione più o meno diffusa ad una

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"cultura", concepita come insieme di valori, aspettative e modalità di comportamento, che risulta essere radicata e sedimentata nelle istituzioni.Sono le istituzioni che definiscono il livello di fiducia tra i cittadini e i leader e che definiscono le aspirazioni di una comunità politica. Poiché le istituzioni interpretano e semplificano la complessità, fornendo le regole e i criteri per l’azione e interazione sociale, esse creano il proprio ambiente intervenendo anche sui processi decisionali accentuandone la dimensione simbolica accanto a quella orientata al raggiungimento dei risultati. Ecco perché i processi decisionali si caratterizzano infatti per uno spiccato simbolismo: la vita politica non è solo un susseguirsi di scelte, ma anche un accavallarsi di interpretazioni.

Passando all’analisi delle istituzioni "appropriate" in un contesto democratico, March e Olsen distinguono tra istituzioni aggregative e istituzioni integrative.Nel primo caso (istituzioni aggregative), gli interessi particolari hanno la prevalenza, pertanto l’ordine politico è garantito da istituzioni che hanno il compito di assemblare (aggregare) preferenze private e dotazioni alternative. -> prevale la logica dello scambioNel secondo caso (istituzioni integrative), prevalgono invece i valori condivisi e il senso di appartenenza alla comunità politica, pertanto l’ordine politico viene assicurato da istituzioni integrative in grado di subordinare gli interessi privati all’interesse pubblico e alle preferenze condivise. -> prevale la mutua comprensione e la fiducia nel rispetto delle regole del gioco.

Neoisituzionalismo: analogie e differenze rispetto ad altri approcci d’analisi

L’approccio neoistituzionalista arricchisce l’analisi sistemica tradizionale, consentendo di valutare gli outcomes, cioè il diverso impatto degli outputs sulle istituzioni di una data comunità, attraverso l’uso della comparazione istituzionale, tenendo conto della loro coerenza rispetto al "modo di regolazione" complessivo. La "coerenza rispetto al contesto", che richiama la causazione adeguata weberiana, introduce una nuova dimensione analitica che permette di distinguere diversi "modi di regolazione" politica. Allo stesso modo, il sistema politico non è più una “scatola nera” ma un sistema concreto di azione complesso, regolato a sua volta da norme, istituzioni e sistemi di significato che risultano essere espressione dell’ambiente sociale e del contesto complessivo. L’approccio neoistituzionalista, inoltre, diversamente dal più tradizionale approccio sistemico, concepisce il processo decisionale in modo molto più articolato e complesso, ritenendo che le fasi di input e di output non siano sempre così facilmente separabili. In questo senso l’approccio neoistituzionalista si avvicina a due altri approcci particolarmente significativi: - quello di sistema concreto di azione nel senso proposto da Crozier e Friedberg «come un insieme umano strutturato che coordina le azioni dei suoi partecipanti con regole del gioco

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relativamente stabili e che conserva la sua struttura, cioè la stabilità dei suoi giochi e i rapporti fra loro, con meccanismi di regolazione che costituiscono altri giochi»,- quello della new political economy secondo cui la distribuzione o allocazione delle risorse, seppure stabilizzata, non è mai spontanea, essa è piuttosto il risultato di uno scambio sociale, che si configura come un compromesso politico che dà forma ad un assetto istituzionale, anche se non assume sempre la forma di una decisione politica esplicita.In tutti questi casi la domanda è: come si sono formate le regole?L’analisi neoistituzionalista mette l’accento, inoltre, in particolare sugli aspetti della path dependency, cioè della dipendenza delle istituzioni dal percorso che deriva, storicamente, dalle interazioni degli attori sociali. Proprio la dimensione analitica delle istituzioni suggerisce, quindi, di passare da una thin description, una descrizione leggera, astorica, decontestualizzata, a una thick description, una descrizione densa, arricchita da quelle componenti antropologiche e culturali che danno senso all’azione sociale e politica.Secondo questo approccio, quindi, un’azione è prevedibile ed ha un senso non perché razionale in se stessa, ma perché adeguata ad una cultura diffusa nel contesto di quelle istituzioni. Questa è l’idea di razionalità dell’attore di tipo weberiano, in cui la complessità del fenomeno viene ridotta dall’osservatore, ai fini esplicativi, facendo ricorso al "sistema di significato" che orienta l’azione dell’attore sociale dentro un dato contesto.Tuttavia, esistono altri filoni che vengono ricondotti al neoistituzionalismo ma che partono da un’idea diversa di razionalità dell’attore, rispetto a quella weberiana, definita, cioè, non in relazione a un contesto di azione, ma in astratto, secondo i criteri, per esempio, dell’efficienza economica (massimizzazione dell’utilità individuale, indipendentemente dal contesto culturale di riferimento). Ciò avviene per esempio con:

la teoria della scelta razionale la teoria delle coalizioni la teoria dei giochi

che male si adattano all’analisi dei sistemi complessi che intendono mettere l’accento sulla dimensione del contesto. Anche la teoria delle reti va opportunamente differenziata dall’approccio neoistituzionalista. Il concetto di rete, infatti, può aiutarci a descrivere le relazioni di transazione tra gli attori e il modello organizzativo di tali relazioni, ma non ci dice con quali modelli cognitivi questo scambio conduce a una costruzione sociale della rete, divenendo quindi "istituzione", sedimentata nel tempo e in un dato luogo.

"Paradigmi della complessità" e modelli cognitivi dell’osservatore Analizzando la sfida della complessità dal punto di vista del "sistema osservante" ciò che viene messo in luce è, in primo luogo, il disagio dell'osservatore e l'inadeguatezza dei suoi strumenti concettuali, dal momento che egli si trova a dover rispondere a tale sfida senza aver ancora

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elaborato un paradigma scientifico adeguato e un metodo adeguatamente corroborato dall’esperienza.Tuttavia, una volta superato il disagio iniziale e ridefinito il ruolo che il soggetto può avere entro il contesto in cui opera, si scopre che il cambiamento del paradigma scientifico, reso necessario da tali "sfide", può offrire nuove opportunità che arricchiscono la capacità di analisi del ricercatore.Le analisi dei sistemi sociali complessi, come quelli post-industriali in cui viviamo, offrono quindi nuovi vincoli e nuove opportunità per sperimentare diversi "strumenti per pensare" e per progettare la nostra esistenza, in un gioco a cui l'osservatore partecipa, per la prima volta consapevolmente, come attore protagonista.Per quanto riguarda la Scienza Politica, la proposta è quella di seguire il suggerimento weberiano della costruzione di idealtipi, coerentemente con quanto proposto dall'epistemologia della costruzione e dal pensiero ecologico per l'analisi delle organizzazioni complesse.Ma la sfida più interessante arriva, paradossalmente, dalla crisi del paradigma statocentrico che ha caratterizzato le analisi politiche nazionali e internazionali della modernità. Il paradosso consiste nel fatto che la Scienza politica si è sviluppata come disciplina autonoma dal momento che ha superato il binomio politica-Stato, individuando nell'analisi del potere e del sistema politico gli oggetti di studio privilegiati. Ma nel fare ciò, probabilmente, si è dato, al tempo stesso, per scontato che la forma-Stato di dominio politico fosse una "realtà oggettiva", un dato di fatto da cui non si potesse prescindere. Lo Stato quindi è rimasto di fatto il perno attorno a cui hanno ruotato, più o meno implicitamente, le analisi politiche moderne. Ciò spiegherebbe perché la crisi della centralità dello Stato metta in luce oggi come sia proprio questo dato strutturale acquisito e abitualizzato nella nostra coscienza collettiva, questo «argomento invisibile», dato per scontato anche nella cultura scientifica contemporanea, ad aver bisogno di essere ridefinito e riconsiderato.Il ritorno allo studio delle istituzioni, con l’approccio neoistituzionalista, costituisce pertanto, in questo senso, un segnale importante di riflessione e rinnovamento concettuale, che risulta essere di rilevanza fondamentale per la Scienza politica del secondo Millennio

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