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LA STORIA ________________________________________________::::::::::::::_____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ L'affresco fu commissionato a Leonardo da Vinci, artista alla corte di Ludovico il Moro, dai Domenicani di Santa Maria delle Grazie, in Milano, nella primavera del 1494 per il loro refettorio e venne terminato nel febbraio del 1498. Leonardo, spirito inquieto, perduto dietro la ricerca di una fluidità e di una morbidezza che il vecchio procedimento dell'affresco non gli concedeva, tentò nella pittura murale l'impiego dell'olio con tempera forte: la tecnica che veniva utilizzata per la pittura su tavola, ideale per raggiungere i migliori effetti di luce e di ombre e di ottenere il caratteristico “sfumato” nei passaggi tonali. Questa tecnica, che permise a Leonardo di procedere in modo molto meditato, rese tuttavia il dipinto estremamente fragile. La sua maniera di lavorare, caratterizzata insieme da un'intensa concentrazione intellettuale e da un'esecuzione piena di esitazioni, non si confaceva alla tecnica dell'affresco comunemente adottata, che richiedeva rapidità e sicurezza di scelta e impediva ogni cambiamento nel corso del lavoro. Il muro deve essere stato rivestito in un primo tempo da un fondo robusto, costituito da un materiale che non solo assorbisse l’emulsione della tempera ma che inoltre la proteggesse dall'umidità. 1

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LA STORIA________________________________________________::::::::::::::_____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

L'affresco fu commissionato a Leonardo da Vinci, artista alla corte di Ludovico il Moro, dai Domenicani di Santa Maria delle Grazie, in Milano, nella primavera del 1494 per il loro refettorio e venne terminato nel febbraio del 1498.

Leonardo, spirito inquieto, perduto dietro la ricerca di una fluidità e di una morbidezza che il vecchio procedimento dell'affresco non gli concedeva, tentò nella pittura murale l'impiego dell'olio con tempera forte: la tecnica che veniva utilizzata per la pittura su tavola, ideale per raggiungere i migliori effetti di luce e di ombre e di ottenere il caratteristico “sfumato” nei passaggi tonali. Questa tecnica, che permise a Leonardo di procedere in modo molto meditato, rese tuttavia il dipinto estremamente fragile.

La sua maniera di lavorare, caratterizzata insieme da un'intensa concentrazione intellettuale e da un'esecuzione piena di esitazioni, non si confaceva alla tecnica dell'affresco comunemente adottata, che richiedeva rapidità e sicurezza di scelta e impediva ogni cambiamento nel corso del lavoro.

Il muro deve essere stato rivestito in un primo tempo da un fondo robusto, costituito da un materiale che non solo assorbisse l’emulsione della tempera ma che inoltre la proteggesse dall'umidità.

Questo fondo ottenuto impastando gesso, pece e mastice si rivelò effimero.

Il colore ben presto cominciò a staccarsi dal fondo ed ebbe inizio un processo di progressivo deterioramento.

Già nel 1517 il dipinto appariva deteriorato.Il processo avanzò inesorabilmente durante i secoli.Frequenti e incauti restauri ridussero il dipinto in uno stato ancor

più deplorevole.L'anno 1652 vide l'apertura di una porta che eliminò brutalmente

la parte centrale della fascia inferiore del dipinto.Per almeno due secoli (1726-1924), i restauri furono appannaggio

della cultura accademica: quasi sempre disastrosi.L'occupazione francese fece il resto (1796): il refettorio diventò

magazzino e stalla; i soldati francesi usarono il dipinto come un bersaglio 1

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lanciandogli contro dei pezzi di legno.Allo scoppio della 2° Guerra Mondiale il "Cenacolo”·è protetto con

una parete di sacchi di sabbia che lo salvano quando, nell'agosto del 1943, il refettorio è colpito dalle bombe.

Da allora polvere, umidità, sbalzi termici danneggiano ulteriormente le superfici fino a quando Mauro Pelliccioli (1947-1954) realizza il primo importante restauro che elimina la parte delle ridipinture e degli antichi consolidamenti a cera, fissando con gomma lacca le superfici, ma lasciando una patina fumosa, scura, che evoca un Leonardo più tardo.

Nel 1978, prima dell'ultimo restauro, di quell'opera che lasciò attoniti i contemporanei non restava che un'ombra, una traccia, una trama, su cui la fantasia, a poco a poco, ricostruiva la prodigiosa bellezza che gli anni, l'Incuria, la barbarie, l'umidità e la mania leonardesca dei procedimenti tecnici mai esperimentati avevano contribuito a devastare.

Il nuovo restauro di Pinin Brambilla Barcilon (1978-1999), riporta la pittura chiara di Leonardo e si muove nel rispetto del testo originario fin dove è ricostruibile, con l'eliminazione dei rifacimenti e integrazione reversibile delle aree mancanti.

L’OPERA___________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________------ ------------ ------------ ------------ ------------ ------------ ------------ ------------ ------------ ------------ ------------ ------------ -------___________________________________________________________________________________________________________________________

Pochissime opere d'arte, anche fra i capolavori più famosi, sono davvero entrate nella coscienza di tutti, fino a diventare in un certo senso patrimonio spirituale del mondo intero.

Il Cenacolo è una delle poche opere elette e anzi, fra queste, ha un posto d'onore.

La sua perfezione non risiede soltanto nei meriti formali o puramente artistici della composizione, ma anche nel modo profondamente umano di Leonardo di trattare il soggetto, frutto di un'intensa partecipazione spirituale.

Egli realizzò una rappresentazione pittorica ideale dell'evento più importante in tutta la dottrina cristiana della salvezza, l'istituzione dell'Eucaristia, e questa rappresentazione ha mantenuto il suo valore assoluto sopra e oltre tutte le successive divisioni, dottrinali o meno,

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all'interno della Chiesa.Il soggetto che Leonardo prese ad affrescare non era nuovo nella

pittura italiana: Giotto, Beato Angelico, Andrea del Castagno e il Ghirlandaio - per citare soltanto i precedenti di maggior rilievo - già lo avevano trattato con tutta la forza della loro ispirazione.

L'ambiente del dipinto è una continuazione in prospettiva della stanza reale; in questo modo pare che il Cristo, "Priore Spirituale", partecipi al pasto dei monaci.

Fino ad allora la "Cena" era stata dipinta negli affreschi come un episodio del ciclo della Passione, ma in questo periodo emerge come una scena isolata e acquista importanza particolare come soggetto dei refettori. Qui nello stesso ambiente si trovano raffigurati l’episodio iniziale e quello finale della Passione di Cristo: l’istituzione dell’Eucarestia e la Crocifissione (affrescata dal pittore lombardo Giovanni Donato da Montorfano nel 1495).

L'esecuzione dell'affresco fu lenta.In una delle sue "Novelle”, Matteo Bandello, ci fornisce inte=

ressanti ragguagli sul metodo di lavoro del pittore."Spesse volte, Leonardo giungeva di buon mattino in Santa Maria

delle Grazie, saliva di corsa sull'impalcatura e lavorava fino a notte, dimenticando persino di prendere cibo, poi se ne stava assente per lunghi giorni.

Altre volte entrava nel refettorio e s'indugiava per un'ora o due a contemplare il lavoro fatto.

Oppure, dava qualche pennellata ad una figura, e se ne andava”.La pittura andava cosi per le lunghe; e Il priore dei Domenicani,

Padre Vincenzo Bandello, se ne dolse con Ludovico il Moro che, con discrezione, sollecitò l'artista a terminare il lavoro.

Leonardo si impegnò in una sottile discussione d'arte con il duca, spiegandogli come l'artista, anche nei suoi apparenti ozi, seguiti a lavorare.

Non gli mancavano più che due visi: quello del Redentore e quello di Giuda.

Per quest'ultimo disse che, se non avesse trovato di meglio, avrebbe preso a modello la faccia del priore.

Tutto ritornò tranquillo, quando il 29 giugno 1497, fu lo stesso 3

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Ludovico il Moro a sollecitare il termine dei lavori tramite il Marchesino Stanga, suo uomo di fiducia.

Leonardo si tormentava: il viso del Cristo lo ossessionava, gli forniva la prova della sua impotenza a esprimere i sentimenti interiori.

E confidava al suo amico pittore Bernardino Zenale la sua angoscia .Il vecchio architetto e pittore di Treviglio, dopo averlo ascoltato in silenzio, gli diceva :

“Tu, Leonardo, hai commesso un errore, che solo Dio te lo può rimediare. Nessuno potrebbe mai dipingere una figura più soave e divina di quelle che hai fatto per san Giacomo Maggiore e san Giacomo Minore.

Sappiti dunque rassegnare e lascia il Cristo incompiuto com'è ora, perché di fronte alla bellezza degli Apostoli, non sarebbe mai Cristo…”

Leonardo iniziò l'opera nell'autunno del 1494 e la fini nel febbraio del 1498.

Leonardo tende subito all'essenziale: una semplice aula rettangolare, addobbata con tappeti è il "luogo” ove Gesù celebrò l'Ultima Cena. (Mc 14,15)

Lo spazio vi è perfettamente scandito dal degradare di quattro damaschi arabescati per parte sulle pareti laterali, e dalla precisa prospettiva dei cassettoni nel soffitto.

Sulla parete di fondo si aprono tre finestre, quella centrale doppia in larghezza.

La lunga tavola che la bianca tovaglia mette in evidenza, non è sullo sfondo, vicino alle finestre, ma portata in avanti e, collocata com'é a circa m. 2,20 di altezza, diventa una balconata dalla quale sporgono tredici personaggi in grandezza una volta e mezza quella normale. Il dipinto ha l’altezza di m. 4,4 e una larghezza di m. 8,87, pari a quella del refettorio.

Se noi potessimo, alla metà esatta del refettorio, sollevarci col nostro occhio fino all'altezza di quello destro del Cristo, punto di fuga di tutte le linee, avremmo netta l'impressione che le travi del soffitto e le pareti laterali del dipinto ci passassero sopra la testa e ai Iati: ci sentiremmo cioè dentro al Cenacolo.

Collocando alla stessa altezza il piano d'orizzonte, Leonardo ci fa inoltre vedere che cosa c'é sopra la tavola imbandita: i piatti di peltro in

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cui si riflettono gli abiti degli Apostoli, i bicchieri trasparenti, il pane sbocconcellato, il pesce, le ossa dell'agnello.

Ci troviamo di fronte una delle prime "nature morte" dell'arte pittorica.

La tovaglia è l'aspetto che, già nel '500, colpì di più i visitatori, a causa del suo grande e inedito realismo.

Il restauro ne ha recuperata la luminosità.Gesù, il Maestro che da poco aveva lavato i piedi agli apostoli, è al

centro dell'intera composizione.Gli apostoli, collocati sei alla destra e sei alla sinistra del Maestro e

ulteriormente suddivisi in gruppi di tre ciascuno, si susseguono nel seguente ordine partendo dal centro.

Alla destra di Gesù, vicino a lui troviamo Giovanni, Pietro e Giuda; quindi vediamo Andrea, Giacomo il minore e Bartolomeo.

Alla sinistra di Gesù, cominciando da lui, troviamo l'irruente Tommaso, Giacomo maggiore e Filippo; infine l'ultimo gruppo con Matteo, Taddeo e Simone.

La disposizione degli apostoli è tutt'altro che causale o arbitraria, poiché tiene conto di quanto si legge nei Vangeli a loro riguardo.

Immediatamente a destra e a sinistra di Gesù stanno seduti i fratelli Giovanni e Giacomo, figli di Zebedeo.

Un giorno la loro madre chiese al Signore: "Dì che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno" (Mt 20,21; Mc 10,37).

Giovanni sarà l'unico a trovarsi sul monte Calvario ai piedi del Crocefisso; Giacomo sarà il primo apostolo a essere martirizzato per la sua fede In Cristo.

Pietro, chiamato tra i primi a seguire il Maestro, lo confessò pubblicamente come il "Cristo, il Figlio di Dio vivente" (Mt 16,15).

Ricevette la promessa del primato sopra gli altri apostoli e sulla Chiesa futura.

Giuda Iscariota è davanti a Pietro, la sua figura non è allineata agli altri commensali, ma invade la tavola appoggiandosi con l'avambraccio destro e torcendosi dietro con il busto.

Accanto a Pietro è seduto il fratello Andrea più anziano d'età e più pacato d'animo.

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Segue Giacomo il minore, detto "fratello" (cugino) del Signore (Mt 13,55).Ultimo è Bartolomeo (Mt 10,3) chiamato anche Natanaele (Gv

1,45).Alla sinistra di Gesù vediamo Tommaso, avanzato dietro le spalle

di Giacomo il maggiore (che si trova seduto) e Filippo alzato per rivolgersi direttamente al Maestro.

Tommaso è colui che dopo la risurrezione del Cristo si dimostrò talmente incredulo da provocare l'intervento personale del Risorto (Gv 20,24-29).

Filippo fu il quinto discepolo chiamato dal Maestro a seguirlo (Gv 1,43) e provò tanta gioia da convincere l'amico Natanaele ad andare incontro a colui che era stato riconosciuto come Il Messia (Gv 1,45).

Fanno parte del successivo ultimo gruppo Matteo il pubblicano che sarà il primo evangelista, Giuda Taddeo e Simone lo Zelota.

Nell'ora prossima al tramonto entra delicata dalle finestre di fondo la luce crepuscolare, invitando ognuno alla preghiera comune, alla serena conversazione, alle confidenze.

Ma all'improvviso arriva come una saetta a ciel sereno la dura Verità.

La visione di Leonardo coglie e fissa il momento immediatamente successivo alla terribile accusa del Cristo: "AMEN DICO VOBIS QUIA UNUS VESTRUM ME TRADITURUS EST" (In verità io vi dico che uno di voi mi tradirà) (Mt 26,21) Questa rivelazione sconvolgente è lo spunto che permette la sua attenzione sulle passioni che si scatenano nel gruppo degli apostoli nell’udire l’annuncio.

E prosegue Il Vangelo: "Essi ne furono molto turbati, e ognuno prese a dire: Sono forse io, Signore?" (Mt 26, 22)

Risvegliati bruscamente dal loro torpore gli Apostoli, in un moto quasi di solidarietà difensiva, si raggruppano a tre a tre, facendo il vuoto intorno a Lui.

La tempesta è scatenata, gli Apostoli inorridiscono, si agitano; soltanto il Cristo in mezzo ai suoi discepoli spaventati e disorientati, rimane tranquillo e composto.

Nella composizione di Leonardo l'antica aspirazione a unire l'avvenimento della Passione con l'istituzione dell'Eucarestia trova una soluzione nuova ed efficace.

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E cosi lo vediamo - In mezzo ai suoi più fedeli seguaci, che però non sono, dopo tutto, che uomini, capaci di cogliere l'avvenimento esteriore, senza tuttavia capirne il significato più profondo - come il Dio improvvisamente isolato, solo nella conoscenza del suo destino e nel suo dolore.

L'arte espressiva di Leonardo, nella sottilissima differenziazione del carattere di ciascun Apostolo, raggiunge in questo dipinto uno del suoi punti più alti. L’espressione dei volti, la postura dei corpi e il movimento delle mani esprimono così quei “MOTI D’ANIMO” che furono uno dei campi di indagine più importanti e innovativi nell’opera del Maestro.

La pittura misura in altezza m. 4,60 mentre in larghezza copre tutta la parete nord ed è di m. 8,87, che moltiplicato per 4 ci dà la

lunghezza totale di m. 35,48. Il refettorio è formato da 4 cubi esatti.Impossibile non pensare a un suggerimento architettonico di

Leonardo.

LEONARDO E IL CENACOLO

Leonardo si preparò all’esecuzione dell’affresco con un lungo lavorio interiore.

Egli rileggeva senza stancarsi la narrazione evangelica, si isolava: l’opera maturava nel suo spirito.

Mentre il volto del Cristo tardava e stentava ad emergere dall’ombra, le fisionomie degli Apostoli gli venivano incontro, ad una ad una.

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Cercava fisionomie suggestive, che l’aiutassero a definire le immagini ancora vaghe e approssimative della sua visione interiore; prendeva nota dei tipi, per studiarli e valersene. S’aggirava per le strade di Milano, in cerca di volti ispiratori.

“Avrebbe seguitato uno che gli fosse piaciuto un giorno intero - informa il Vasari – e se lo metteva talmente nell’idea che, poi arrivato a casa, lo disegnava come se l’avesse avuto presente”

Buttava giù note frettolose, per fissare gli atteggiamenti delle figure, la disposizione dei gruppi.

La visione d’insieme già cominciava a prender forma, ma i particolari passavano attraverso una continua trasformazione.

Bisognava che ogni figura esprimesse con l’atteggiamento “i moti dell’anima”, anziché disperdersi nel movimento. I sentimenti dovevano concentrarsi nella intensità espressiva dei volti.

Era necessario, secondo l’artista, abolire ogni elemento puramente teatrale, in vista d’una efficace interiorità.

Nessuna dispersione è consentita: per concentrare l'attenzione dello spettatore sui volti e sui gesti.

Quanto potere espressivo in quelle mani! E quanta varietà di sentimenti in quei volti!

Le fisionomie, pur cosi varie, cosi psicologicamente differenziate, presentano in generale un carattere di virilità energica e consapevole.

Soltanto i visi di san Filippo e di san Giovanni hanno una grazia mite di efebi quattrocenteschi.

Leonardo - che pure non amava l'uso di elementi architettonici in pittura - collocò l'azione in una severissima prospettiva di linee rette e di simmetrie, che favoriscono la concentrazione e il raccoglimento.

Nessun pittore aveva mai, prima del Vinci, dato prova d'una tale sapienza, d'una tale sicurezza, d'una tale musicalità nella disposizione dei gruppi.

La composizione della "Cena" segna, sotto questo aspetto, una tappa di suprema importanza nella storia della pittura italiana.

Il progressivo deteriorarsi del dipinto, il valore inestimabile dell’opera e il pericolo di perderla completamente ha fatto nascere la corrente delle “copie”: celebre quella che il Cardinale Federico Borromeo nel 1525 ha ordinato al pittore Andrea Bianchi, detto il

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Vespino, che si trova nella Pinacoteca ambrosiana.

IL CRISTO

Il Maestro, solenne, maestoso eppure dolcissimo, ha appena finito di pronunciare la terribile frase: le sue labbra si sono socchiuse in una piega di tristezza, la testa è leggermente inclinata sulla spalla sinistra, le palpebre si sono abbassate sugli occhi come a dissimulare le lacrime e non influenzare nessuno, per rispettare la libertà di tutti.

L'immagine del Cristo con le mani protese sul tavolo in un largo gesto formano il famoso triangolo equilatero tanto ammirato e imitato e simbolo di perfezione assoluta.

La mano destra che va verso Giuda è contratta come fosse la mano di uno che domina uno scatto d'ira. Gesù gli disse: "quello che devi fare fallo al più presto"(Gv 12,27). Con la mano destra, con la quale attinge il boccone per darlo a Giuda, Gesù indica misericordia, infatti crea un ponte fra lui e il traditore. Ma il discepolo rifiuta questa possibilità di riconciliazione allungandogli con sprezzo la sinistra, mentre con la destra stringe la borsa del denaro.

La mano sinistra aperta - che giace fra la coppa e il pane ancora intatto - pare indicare con questo gesto silenziosamente espressivo il pane e il vino e sembra ricordarci che Lui è misericordia, perdono: “ Sono venuto a salvare ciò che era perduto nella casa di Israele”. (Mt 9,13)

Il suo contegno e il suo sguardo seguono la stessa direzione, con ciò stesso guidando la nostra attenzione verso il luogo culminante della vicenda.

Notiamo un fatto curioso: la disposizione ordinata degli oggetti sulla tavola davanti al Cristo, mentre essi sono in disordine subito oltre, alla sua destra e alla sua sinistra.

In questo modo lo spazio davanti al Signore è preparato, per così dire, per l'azione sacra che il Cristo sta accingendosi a compiere - innalzandosi sopra l'onda di emozione che ancora si agita fra i discepoli intorno a lui - sottomesso e sublime nella divina risoluzione (ancora ignota ai suoi compagni) di offrirsi in sacrificio.

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GIUDA, GIOVANNI E PIETRO

Anche un altro personaggio oltre al Cristo non è sommerso dall'animazione che si è scatenata: Giuda.

Restando al di fuori del cerchio degli altri, egli, che è l'unico a spartire Il segreto con il Cristo, è la seconda figura solitaria del dipinto; ma il suo isolamento è provocato dalla colpa e non dalla posizione fisica in cui Leonardo lo pone.

E' questa un'altra interessante innovazione: Giuda non è più isolato dagli altri Apostoli, ma ben vicino a Cristo, tra Giovanni e Pietro; il contrasto non poteva essere più eloquente.

Qui egli è semplicemente un uomo seduto nell'ombra; il suo cupo profilo si staglia contro le teste chiare dei due apostoli preferiti, Pietro e Giovanni, e il suo fatale rapporto con Cristo, espresso dalle mani che si avvicinano e dallo sguardo, si trasforma nel contempo in un'invalicabile lontananza.

Il profilo è torvo, l'aspetto è buio, lo sguardo duro, fisso nel vuoto; è l'unico che si ritrae, si appoggia col gomito sulla tavola e stringe fra le dita la scarsella rigonfia.

E' come se fosse stato colpito in pieno petto da un macigno!La sua mano sinistra si protende verso lo stesso piatto sul

quale si porta anche la destra di Gesù:“Quello che ha messo con me la mano nel piatto, è lui che mi

tradirà" (Mt 26,23)Leonardo, attento oltre al testo sacro anche alle superstizioni,

dipinge il vasetto di sale che Giuda con il braccio rovescia. E ciò porta male, dice il popolino.

L'isolamento del traditore è sottolineato anche dall'accostamento dei colori: il suo abito grigio-azzurro è il solo a restare di tonalità indefinita e opaca, perché Leonardo non ha usato per il suo vestito la polvere di lapislazzuli (pietra molto cara) ma polvere di azzurrite, che costa pochissimo.

Giovanni, per la prima volta, in tutta l'iconografia cristiana, non 10

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posa il capo sulla spalla o sul petto di Gesù, anzi se ne allontana vistosamente, perché chiamato da Pietro.

Più che un volto di un giovane è il volto di una giovane, di una donna. Sembra una Madonna! Inoltre il volto di Giovanni, a differenze di quello degli altri, è diverso, è un volto mesto, meditativo: Giovanni sta già vivendo il dramma della croce.

Pietro, irruente, in terza posizione, scatta velocissimo, aggira alle spalle Giuda, s'accosta all'orecchio di Giovanni indicando Gesù con la mano sinistra tesa.

Vuol sapere, e subito, il nome dell'infame, deciso a far giustizia sommaria. Il suo braccio destro è in una posizione strana, "innaturale": non ha fatto in tempo a seguire il movimento del resto del corpo e, tuttavia, ha fatto in tempo ad impugnare il coltello.

ANDREA, GIACOMO IL MINORE E BARTOLOMEO

Andrea, fratello maggiore di Pietro, gli è posto vicino per tenerlo calmo. E' la figura del vecchio saggio che non si scompone più di tanto.

Avambracci sollevati, palme aperte con le dita divaricate, vistosa calvizie su una testa ruotata di tre quarti; la bocca ben chiusa col labbro inferiore sovrapposto a quello superiore, com'é abitudine delle persone anziane.

Giacomo Il Minore, è chiamato "fratello" di Gesù. (Galati 1,19).Sobrio nell'acconciatura dei lunghi capelli biondi, aggira con il braccio

Andrea, per cercare la spalla di Pietro, che però non è più al suo posto.Quella mano sospesa nell'aria è una semplice ma bellissima

trovata per dirci l'immediatezza dello scatto di Pietro e anche per legare i due gruppi in uno solo.

Guardiamolo bene: lo stesso "modello" ha posato qui di profilo, e per il Cristo di fronte.

Bartolomeo, sul lato minore, punta le grosse mani sulla tavola, si solleva, allinea la sua alle altre teste. Fatto curioso e misterioso è vestito da romano. Giovane forte, molto alto, profilo affilato, sopracciglia aggrottate, è tutto teso a capire ciò che sta succedendo

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GIACOMO IL MAGGIORE, TOMMASO E FILIPPO

Giacomo il Maggiore, fratello maggiore di Giovanni.Si gira veloce, si ritrae un po' indietro, creando anche lui il

vuoto .attorno al Maestro.Rimane letteralmente a bocca aperta, lo sguardo inorridito,

spaventatissimo apre le braccia, bloccando l'avanzata dei vicini.E cosi la composizione acquista profondità, con quella bellissima

mano protesa verso il fondo, sospesa nell'aria in cerca di spazio!Tommaso, facendo leva con la sinistra sulla tavola, schizza al di là

di Giacomo, spunta sulla spalla destra. Con i capelli arruffati, profilo nervoso di trequarti, sguardo duro, animo sconvolto dal dubbio, Tommaso lancia, con quel dito ritto1, una sfida: non ci credo!

Quella mano e quel dito ci ricordano la sera di Pasqua quando disse: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito al posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò” (Gv 20,24-28).

Filippo, con scatto repentino ma non violento, sale più in alto, le mani sul petto, si allunga e si inarca in avanti, perché Gesù lo deve sentire: "Sono forse io Signore?"

Profilo dolce, quasi femmineo, è la personificazione dell’innocente.

MATTEO, GIUDA TADDEO E SIMONE CANANEO

Matteo, bellissimo giovane che stende le braccia in orizzontale verso il Cristo mentre gira la testa verso i due alla sua sinistra. Ha i capelli ricci e ordinati, l’espressione sincera, aperta, le mani ben curate: nell’insieme vivace ma contenuto, nelle vesti splendide tradisce il ceto ricco dei pubblicani da cui proviene. 1 In certi luoghi del convento e in certe ore vigeva l’obbligo del silenzio. L’ora dei pasti, nel refettorio, era uno di questi. Era usuale, in queste circostanze di silenzio, utilizzare gesti in luogo di parole, secondo una mimica ben definita. Per esempio, per indicare Dio la prescrizione era:” LEVA POLLICES ET INDICES ET FAC TRIANGULUM, COMPRIME CAETEROS DIGITOS” che è il gesto di Tommaso.

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Giuda Taddeo si contorce alquanto: stava indirizzandosi verso Simone, s’accorge di Matteo e rovescia verso di lui il suo sguardo pieno di angoscia. I suoi capelli stopposi, la solenne barba bianca rafforzano la luminosità di questo angolo. Lo sguardo frontale ha fatto pensare ad un autoritratto di Leonardo.

Simone il Cananeo, detto anche Zelota, sembra essere il più anziano ed è giusto che rimanga seduto. Sulla calvizie rimbalza e si raccoglie tutta la luce della finestra che gli sta di fronte. Pensoso, parla con le mani; è rimasto colpito, ma forse non impressionato. La sua militanza fra gli Zeloti gli ha fatto conoscere tante vigliaccherie e tradimenti.

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1. Navata2. Presbiterio3. Coro4. Abside5. Cappella di S.Maria delle Grazie5a. Sagrestia attuale

6. Chiostro piccolo7. Sagrestia vecchia8. Refettorio8a. L’ultima cena di Leonardo8b. La crocifissione del Montorfano

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9 Il convento

A La chiesa di S.Maria delle Grazie B Il cenacoloANNOTAZIONI COMPLEMENTARI

PARTICOLARI DELLA COMPOSIZIONE

LA TOVAGLIA. Sono imitati i punti del tessuto, le ombre delle pieghe portate sulla tovaglia nella parte poco illuminata.

Lo SPICCHIO di ARANCIA che riflette la sua forma sul piatto. IL COLORE DEGLI ABITI degli apostoli sui bordi dei piatti di peltro. I BICCHIERI trasparenti.

LE FONTI DI LUCE

1) La luce viene dal fondo delle finestre dipinte e illumina l’ambiente.2) La luce viene dal refettorio stesso e illumina le figure frontalmente.3) La luce viene dalle finestre reali che stanno sulla parete sinistra.

LE LUNETTE

Furono trovate nel 1854 durante il restauro di Stefano Barezzi al di sotto di 4 strati di scialbo. Le tre lunette che si trovano sopra il dipinto son in gran parte autografe. Esse contengono imprese degli Sforza entro ghirlande di frutta, fiori e foglie, e iscrizioni su sfondo rosso; la lunetta centrale, in particolare, di dimensione maggiore di quelle laterali, è in uno stato di conservazione buono, con una precisa descrizione delle specie botaniche.

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1) LUNETTA CENTRALE. L’epigrafe allude a Ludovico Sforza e a sua moglie Beatrice d’Este, duchi di Milano. L’iscrizione recita: LV(dovicus) MA(ria) BE(atrix) EST(ensis) SF(ortia) AN(gliae) DUX(Mediolani).Essa campeggia ora in bianco sullo sfondo rosso della preparazione, ma doveva essere in oro su sfondo azzurro (ora poche tracce).Le iscrizioni racchiudono una ghirlanda di foglie e frutta al cui interno è collocato uno stemma con campi alternativamente in lamine d’argento e colore dorato, ora caduto.

2) LUNETTA DI DESTRA. E’ celebrato il secondogenito di Ludovico, Francesco II, come duca di Bari. L’iscrizione recita: SF(ortia) AN(gliae) DUX Bari.

3) LUNETTA DI SINISTRA. Si allude al primogenito Massimiliano, conte di Angera e Pavia. L’iscrizione recita: MA(ria) M(a) X(imilianus) SF(ortia) AN(gliae) CO(mes) P(a) P(iae).

LE GHIRLANDE

Le Ghirlande contengono e costituiscono al tempo stesso dei rebus figurati, attraverso l’uso di particolari frutti e piante che alludono al superamento del peccato attraverso l’avvento di Cristo, che è simboleggiato dai frutti del melo (il legno della croce sarebbe stato tratto dall’albero di pero o melo); poi le ghirlande di susine, frutti dolci o albicocche che rappresentano il peccato. Le foglie di quercia che alludono al ruolo quasi “regale” di Gian Galeazzo Sforza poi sostituito da Ludovico il Moro.

IL REFETTORIO DOMENICANO e LA CROCIFISSIONE

La vita conventuale era tutta “consacrata”, fin negli atti ordinari.

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Anche la mensa comune aveva il tono di un solenne atto liturgico. Precise norme prescrivevano le preghiere da recitarsi prima e dopo, e la lettura spirituale continuata, perché non si nutrisse solo il corpo, ma anche lo spirito. I Refettori domenicani erano sempre ambienti solenni, seppur austeri, ed avevano due grandi immagini a tema fisso, sulle pareti minori: la CROCIFISSIONE e l’ULTIMA CENA.Si è già scritto dell’ultima cena che ha nella parete opposta il dipinto della crocifissione.

La Crocifissione è opera di Giovanni Donato da Montorfano che si firma sulla pietra alla base della croce con la data 1495. Realizzata con la tecnica tradizionale dell’affresco, non presenta problemi gravi di conservazione. Le uniche figure compromesse sono ai lati estremi della composizione: i coniugi Sforza, dipinti da Leonardo con la disastrosa tecnica sperimentata nell’Ultima Cena.Beatrice d’Este con il piccolo Francesco II, sulla destra, viene presentata da Margherita d’Ungheria (con il crocifisso e il libro con la corona) e da santa Caterina Siena (che tiene con la destra il giglio e il cuore di Cristo).Sulla sinistra, Ludovico il Moro e il primogenito Massimiliano sono a fianco di san Pietro martire (con l’accetta sul capo) e di san Vincenzo Ferreri (con il libro aperto e la fiammella sull’aureola).

ULTIMA CENA (CENACOLO VINCIANO)

AutoreLeonardo da Vinci (Vinci, 15 aprile 1452   Amboise, 2 maggio 1519) 

Data 1495-1497

Tecnica tempera grassa su intonaco

Dimensioni 460×880 cm16

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Ubicazione Refettorio di chiesa di Santa Maria delle Grazie(Milano)

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