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Web Gnomonices! La prima rivista digitale di Gnomonica by Nicola Severino 2004 Numero 4 Marzo 2004 Bellissima immagine della meridiana romana sferica di Volubilis. Per gentile concessione di Guido Tonello. In questo numero: Pier Paolo Benucci, Appunti sulla misurazione del tempo nella storia Paul Gagnaire, Da Mururoa alla Mecca Riccardo Anselmi, Il quadrante di Apiano

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Gnomonices!La prima rivista digitale di Gnomonica by Nicola Severino 2004

Numero 4 Marzo 2004

Bellissima immagine della meridiana romana sferica di Volubilis. Per gentile concessione di Guido Tonello.

In questo numero:

Pier Paolo Benucci, Appunti sulla misurazione del tempo nella storia Paul Gagnaire, Da Mururoa alla Mecca

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Riccardo Anselmi, Il quadrante di ApianoStefano Del Lungo, L’orologio di Augusto nella topografia di RomaNicola Severino, RecensioniGiacomo Agnelli, Cartoon: far west con…gnomonica!

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Appunti sulla misurazione del tempo nella storia.  di Pier Paolo Benucci - pubblicata anche come dispensa per studenti del "Russell-Newton" di Scandicci (FI).

1. Quanto dura un anno ? Anno siderale, anno tropico e precessione degli equinozi L'anno è il periodo di tempo che impiega la terra a compiere un giro completo intorno alla sua stella (sidus, sidereus). Questo anno si chiama anno siderale e dura 365,24219 giorni (giorni solari medi), o meglio dura 365 giorni, 6 ore, 9 minuti, 9,5 secondi. Solo da pochi anni possiamo tener conto di questo anno siderale, e la sua misurazione è soggetta a continue modifiche. Gli uomini hanno usato altri strumenti per calcolare la durata di un anno. Si aggiunga poi il fatto che esiste un anno solare, ed un anno lunare, nel quale i mesi durano più o meno 28 giorni. L'anno solare o anno tropico è quello che l'uomo può misurare con più facilità. A primavera, c'è un giorno nel quale la luce solare dura quanto la notte, è l'equinozio di primavera. Dal Concilio di Nicea (325 d.C.), abbiamo stabilito che quel giorno sia il 21 marzo. Ogni volta che, a Primavera, torna quel giorno si conclude un anno tropico (tropos = movimento con direzione), si conclude un anno che serve per la misurazione del nostro anno civile. L'anno tropico dura però solo 365 giorni, 5 ore, 48 minuti, 45,98 secondi. Il che vuol dire che per noi, sulla Terra, l'anno si completa venti minuti e ventiquattro secondi prima che la Terra sia tornata, per così dire, al punto di partenza. Nessun problema per gli storici i quali seguono solo l'anno tropico. Ma come si spiega questa differenza ? E' il fenomeno della precessione degli equinozi o del movimento di precessione dell'asse terrestre. L'asse terrestre è attualmente "puntato" verso la stella polare. Ma non è fisso, la forma irregolare della Terra, l'attrazione del Sole e della Luna modificano la direzione dell'asse con un movimento circolare. Si immagini la terra come una trottola, con la punta di appoggio sotto il polo sud, trottola già inclinata perché sta rallentando. Il manico, centrato sul polo nord, descrive un cerchio che è la base del cono che ha per vertice la punta della trottola. L'asse della terra (il manico della trottola) oggi punta, più o meno, verso la stella polare (Ursa Minor alfa), 12.000 anni fa (l'homo sapiens esisteva già) puntava verso Vega, tra 13.000 anni punterà di nuovo verso Vega. L'asse della terra (il manico della nostra trottola che rallenta) compie un giro completo ogni 25.000 anni. Una sciocchezza se si pensa che la terra ha 4 miliardi e 700 milioni di anni di età. Questa modifica dell'inclinazione dell'asse terrestre comporta variazioni e modifiche anche sull'equatore, e, ciò che conta per noi, un arrivo in anticipo dell'equinozio. Questo anticipo di venti minuti e ventiquattro secondi è la differenza fra un anno terrestre visto dalle stelle (siderale) e un anno calcolato da chi abita sul pianeta.

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  2. Il calcolo degli anni nell'antica Roma. L'anno del Console, l'anno dalla fondazione di Roma e l'Indizione.

Contrariamente a quanto si pensa di solito, i romani non usavano, nei loro documenti pubblici l'anno della fondazione di Roma (ab Urbe condita), non scrivevano primo anno, secondo anno, ecc. dalla fondazione di Roma. Il riferimento alla fondazione di Roma riguardava più il lavoro degli storici (Plinio, Tacito, ecc.). I romani calcolavano l'anno in un modo molto semplice: il primo gennaio veniva eletto un console, e quell'anno prendeva il nome del console. E l'abitudine di eleggere un console andò avanti fino al nostro 541 d.C. quando fu eletto l'ultimo console (Flavio Basilio Juniore). Facciamo un esempio, prendiamo l'anno 331 d.C. (secondo il nostro calcolo), che è l'anno durante il quale l'imperatore Costantino I trasferì la capitale dell'impero romano a Bisanzio. Per il calendario civile dei consoli romani è semplicemente l'anno dei consoli Annius Bassus e Ablabius. Usando invece il sistema dalla fondazione di Roma sarebbe l'anno 1084 (753+331) ab Urbe condita. Le cose si sono però complicate perché proprio dai tempi di Costantino si è cominciato un nuovo modo di scrivere gli anni sui documenti: è il sistema dell' Indizione. Questo sistema, diffuso sia in oriente che in occidente, si basava su un modulo di quindici anni, a partire dal 313 d.C. ad oggi. Si scriveva primo anno, secondo anno dell'Indizione. L'aspetto singolare di questa datazione è che non viene citata la serie delle quindicine. Il nostro 331 d.C. è semplicemente il quarto anno dell'Indizione, e non, come sembrerebbe più utile il quarto anno della seconda indizione (331-313 = 18 cioè 15+3+ il nostro anno). Se noi consultiamo però un documento medievale, le cose si complicano ancora. Prendiamo per esempio la prima pergamena del cosiddetto Placito di Capua (I Placiti di Montecassino). Noi diciamo che il placito è del 960 (d.C.) ma nel documento c'è scritto, in latino, ".. nel ventunesimo anno del principato del nostro glorioso principe don Landolfo, e nel diciassettesimo del principato di don Pandolfo e nel secondo del principato di don Landolfo, eccellentissimi principi di lui figli, nel giorno della seconda quindicina del mese di marzo, terzo dell'indizione..." Il che vuol dire che il 960 è il ventunesimo anno da quando è principe a Capua, don Landolfo, è il diciassettesimo da quando gli è nato il figlio Pandolfo, il secondo da quando gli è nato il figlio Landolfo, e il terzo dell'Indizione. Noi oggi possiamo dire che era la quarantaquattresima Indizione dal 313 d.C. ma è un calcolo che solo noi facciamo.

  3. Il mese dei romani.   Ciascuno dei dodici mesi è diviso in tre parti diverse: le Kalendae, le None e le Idi. Le Kalendae sono il primo giorno del mese, le None il quinto e le Idi il tredicesimo; nei mesi di marzo, maggio, luglio e ottobre le None cadevano il settimo giorno e le Idi il quindicesimo. Prendiamo per esempio il mese di marzo.  

1 marzo 2 marzo 3 marzo 4 marzo 5 marzo 6 marzo 7 marzo

Kalende di marzo

sesto giorno prima delle None di Marzo

quinto giorno prima delle None di Marzo

quarto giorno prima delle None di Marzo

terzo giorno prima delle None di Marzo

Vigilia delle None di marzo

None di marzo

8 marzo 9 marzo 10 marzo 11 marzo 12 marzo 13 marzo 14 marzo

15 marzo

ottavo settimo sesto quinto quarto terzo vigilia Idi di

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giorno prima delle Idi di marzo

giorno prima delle Idi di marzo

giorno prima delle Idi di marzo

giorno prima delle Idi di marzo

giorno prima delle Idi di marzo

giorno prima delle Idi di marzo

delle Idi di marzo

marzo

   16 marzo 17 marzo 18 marzo 19 marzo 20 marzo 21 marzo 22 marzo 23 marzo

  17° giorno prima delle Kalende di aprile

16° giornoprima delle Kalende di aprile

15° giornoprima delle Kalende di aprile

14° giornoprima delle Kalende di aprile

13° giornoprima delle Kalende di aprile

12 °giornoprima delle Kalende di aprile

11° giornoprima delle Kalende di aprile

10° giornoprima delle Kalende di aprile

  24 marzo 25 marzo 26 marzo 27 marzo 28 marzo 29 marzo 30 marzo 31 marzo

  9° giornoprima delle Kalende di aprile

8° giornoprima delle Kalende di aprile

7° giornoprima delle Kalende di aprile

6° giornoprima delle Kalende di aprile

5° giornoprima delle Kalende di aprile

4° giornoprima delle Kalende di aprile

3° giornoprima delle Kalende di aprile

vigilia delle Kalende di aprile

 

Nella tabella sotto si vede uno schema della suddivisione degli anni e dei sistemi orari al tempo dei Romani, pubblicata in Joanne Poleno, Thesauri Romanarum Graecarumque, Vol. I, Venetiis, 1737Biblioteca di N. Severino.

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4. La numerazione degli anni, oggi più diffusa nel mondo. Tutto cominciò con Dionigi il Piccolo.   Quella che di solito chiamiamo era cristiana o era volgare inizia con la nascita di Cristo. Ma questo sistema fu inventato più di cinque secoli dopo. Si pensa che lo sciita Dionigi il Piccolo, abate a Roma nel VI secolo, sia l'autore di questo tipo di datazione. Gli stessi cristiani usavano prima un altro tipo di datazione, la cosiddetta Era di Diocleziano o Era dei martiri. Questo tipo di datazione durò a lungo e fu usata, per esempio da S. Ambrogio a Milano ed è tuttora usata presso i Copti. E' una serie numerica che parte però dal nostro 284 d.C. (anno in cui Diocleziano operò contro la chiesa cristiana). Questo tipo di datazione viene superato da Dionigi il Piccolo, il quale, interessato solo al calcolo della Pasqua e non a problemi di datazione, fissa la nascita di Cristo al 25 dicembre del 753 dalla fondazione di Roma. In tal modo l'anno uno dell'era cristiana è il 754esimo dalla fondazione di Roma. Il che vuol dire che il nostro 1995 è il 2748 dalla fondazione di Roma, il terzo dell'Indizione (113°). Ma le cose non sono così semplici, gli storici concordano sul fatto che Dionigi il Piccolo aveva sbagliato (P.P. Maurini, E. Millosevich) poiché Cristo sarebbe nato sei o sette anni prima di quanto fissato, intorno al 747 dalla fondazione di Roma, o come potremmo scrivere, in modo paradossale, nel 6 a.C. Ed anche il giorno della nascita dovrebbe slittare di qualche mese, visto che i pastori dormono all'aperto, in Palestina, tra la primavera e l'autunno. Le cose si complicano poi perché Cristo risulterebbe morto in croce nell'anno 29 o 30 della nostra datazione ufficiale. Se la nostra era volgare è cominciata 6 o 7 anni prima noi non siamo nel 1996 d.C. ma nel 2001 o 2002. Questo errore non viene corretto per ovvi motivi di utilità.La scelta del 25 dicembre è ovviamente legata alla festa romana Dies Natalis Solis Invicti (giorno della nascita del Sole mai vinto). Il 25 dicembre è ritenuto erroneamente il solstizio d'inverno (21 dicembre), la notte più lunga ma anche il primo giorno in cui la durata della luce solare comincia a crescere (Natalis). Non meraviglia questa sovrapposizione di feste. E' intenzionale e giustificata, si tratta di far dimenticare le feste pagane. Lo stesso succederà con la pasqua ebraica, con il giubileo ebraico, con i saturnali romani, ecc. Anche molte chiese cristiane nascono sovrapponendosi a templi romani, fonti lustrali, ecc.

5. Il Calendario e i mesi. Torniamo ancora più in dietro, fino a Numa Pompilio.   Proprio Numa Pompilio avrebbe aggiunto, all'antico calendario romano (295 giorni circa, distribuiti in dieci mesi lunari) due mesi: gennaio e febbraio. In tal modo portava l'anno a 354 giorni (sei mesi di 30 giorni e sei mesi di 29 giorni), un anno lunare, che cominciava a marzo. Ogni due anni però bisognava pareggiare i conti perché l'anno civile non coincideva col passare delle stagioni. Si pareggiavano aggiungendo un mese di 22 o 23 giorni (mese mercedonio). Questo sistema, che già comportava degli errori, fu peggiorato con l'aggiunta di un 355esimo giorno, effettuata nel V secolo a.C., forse per eliminare un numero pari considerato infausto. giorni "infausti". Nel II secolo a.C. si era introdotta una novità, l'anno non iniziava più con le Idi di Marzo ma con le Calende di gennaio. Non si ritenne necessario cambiare i nomi dei mesi per cui Quintilis era il settimo mese, Sextilis era l'ottavo, e così via. Nessuno oggi potrebbe proporre di chiamare il nostro nono mese (settembre) novembre. Nell'anno 708 ab Urbe condita (46 a.C.) Caio Giulio Cesare, tornando dall'Egitto, dove da quasi due secoli era in vigore un anno della durata di 365,25 giorni, con l'aiuto del grande astronomo Sosigene di Alessandria, riformò il calendario romano. Prima di tutto pareggiò i conti con gli errori accumulatisi negli anni e stravolse l'anno 708 aggiungendovi ben 90 giorni (23 giorni del solito

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mese mercedonio e 67 giorni fra novembre e dicembre). Per cui oggi, quando studiamo l'anno 708 ab Urbe condita (o 46 a.C.), l'anno della sconfitta a Tapso dei Pompeiani, del suicidio di Catone ad Utica, della nomina di Cesare a dittatore decennale, dobbiamo ricordare che è un anno insolitamente lungo, dura ben 445 giorni. Ma la riforma giuliana ridusse le sfasature tra anno civile e anno delle stagioni: 1) L'anno dura 365 giorni. 2) Con le sei ore che restano, si aggiunge un giorno ogni 4 anni. 3) Il giorno va aggiunto al mese di febbraio, e l'anno di 366 giorni si chiama bisestile. 4) L'equinozio di primavera viene fissato per il 25 marzo. La riforma giuliana era però un po' più complicata. Il giorno in più veniva collocato tra il 24 e il 25 febbraio. Non veniva numerato, c'erano in realtà due 24 febbraio naturali, ed un solo 24 febbraio legale. E' in questo 24 febbraio l'origine della parola bisestile. Il 24 febbraio era la (femminile) dies sexta ante calenda martias, il giorno dopo, quello ripetuto, era la dies bis sexta.. (bis-sextus, bissextilis). E visto che si cambiava, tanto valeva per Giulio Cesare, anche cambiare il nome del settimo mese Quintilis in Julius (futuro luglio). E' difficile cambiare, riformare, per cui si cominciò subito a sbagliare. Invece di considerare bisestile il quarto, l'ottavo, il dodicesimo, ecc. anno, si considerarono bisestili gli anni terzo, sesto, nono, ecc. E questo dal nostro 45 a.C. al 10 a.C. per cui si ebbero 12 anni bisestili invece di 9. A questo punto si inserisce la miniriforma di Augusto: gli anni dal 745 al 756 ab Urbe condita, sono tutti di 365 giorni, senza anni bisestili. Undici anni per pareggiare con tre giorni in meno i tre giorni in più dell'errore. Qui ci troviamo però in un punto delicato: poiché si va dal 9 a.C. al 3 d.C. (attenzione: dal 745 al 756 sono undici anni, dal 9 a.C. al 3 d.C. sembrano dodici anni). Ed anche Augusto coronò la propria miniriforma dedicandosi un mese, l'ottavo, che si chiamava sextilis (vedi sopra) venne da allora chiamato Augustus (futuro agosto). In questo modo almeno due mesi di numero sbagliato venivano trasformati.

Nell’immagine è rappresentato un antico orologio solare romanoche ho identificato come “Pelignum”. Il disegno rappresenta il mese di Giugno in una tetrastica di Ausonio del IV sec. d.C. (N.Severino)

6. L'anno zero. Da avanti Cristo a dopo Cristo, un passaggio delicato.

Che il passaggio di data da prima di Cristo a dopo Cristo sia un momento delicato è facilmente dimostrabile. Questo uso di parlare degli anni prima di Cristo non nasce con Dionigi il Piccolo ma nel XVII secolo e non è una convenzione nata da storici o matematici. Si commise quindi un errore: si passava dall'anno uno a.C. all'anno uno d.C. saltando il necessario anno zero. Il 753 ab Urbe condita doveva essere l'anno

zero. La somma algebrica è possibile solo se esiste il punto zero. L'escursione termica tra tre sotto zero e tre sopra zero è di sei gradi solo se c'è lo zero. Caio Giulio Cesare Ottaviano nacque nel 63

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a.C. e morì nel 14 d.C. ma non morì a 77 anni (63+14) bensì a 76 anni. Tutte le volte che si calcola la distanza fra una data prima di Cristo ed una dopo, si può fare la somma algebrica, basta diminuirla di un'unità. Proprio durante il fascismo, in Italia, si celebrarono in modo solenne il bimillenario della nascita di Virgilio (70 a.C. - 1930), il bimillenario della nascita di Orazio (65 a.C. - 1935) e il bimillenario della nascita di Augusto (63 a.C. - 1937). Fu lo storico inglese J.K. Fotheringham, dell'Università di Oxford, a correggere l'errore degli storici di regime, i bimillenari dovevano, casomai, essere celebrati nel 1931, 1936 e 1938.

 

7. Si diffonde la datazione dell'era cristiana.   La riforma di Dionigi il Piccolo non fu subito operante, il calcolo degli anni secondo l'era cristiana appare in Italia agli inizi del VI secolo, in Inghilterra, Spagna e Francia nel VII secolo. Non nei documenti pubblici ma negli scritti degli storici. I primi ad usare questa datazione negli atti pubblici sono gli anglosassoni nell'VIII secolo. In Italia il più antico documento ufficiale con datazione cristiana è un testo laico, un Diploma di Lotario dell'840. Un primo caso di datazione cristiana in ambito religioso si trova in una lettera di Papa Giovanni VIII del 878. Solo con la Cancelleria di papa Giovanni XIII (965-972) la datazione cristiana diviene di uso comune. Ma quando comincia l'anno nell'era cristiana ? Un fatto spesso dimenticato nei manuali di storia è il problema della scelta del primo giorno dell'anno. Per cui capita spesso che l'anno ufficiale del manuale di storia sia avanti o in dietro di un anno con la data riportata in un documento citato in originale. E non è un problema di poco conto. Vi sono almeno tre modi diversi in cui, per secoli, è iniziato l'anno: 1) a nativitate Domini (il più diffuso): l'anno comincia il 25 dicembre. Tutti i documenti siglati tra il 25 e il 31 dicembre hanno un anno in più dell'anno che attribuiamo noi oggi. Se in un atto di proprietà, stilato da un notaio romano troviamo scritto 27 dicembre 1527 dovremo ricordare che per noi è il 27 dicembre 1526 e tale regola vale dal X al XVII secolo. 2) ab incarnatione Domini o stile fiorentino: l'anno comincia il 25 marzo, quando Cristo, con l'annunciazione si è incarnato. In questo modo si siglano documenti a Firenze fino al 1749. Per cui in tutti i documenti privati o pubblici si deve aumentare di un anno ogni data compresa fra il primo gennaio e il 24 marzo. 3) stile moderno o della Circoncisione (anno circumcisionis): inizia col primo di gennaio. Si ritorna all'anno romano del II secolo a.C. In Spagna, Francia e Portogallo non era mai stato abbandonato completamente. Riappare in Italia nel XV secolo, ma si afferma molto lentamente. A questi tre stili aggiungiamo brevi cenni su lo stile pisano (come a Firenze ma anticipando di un anno esatto), lo stile francese (cominciando dal giorno della Pasqua), lo stile veneto (usato nella Repubblica veneta e in Francia, l'anno comincia il primo di marzo), lo stile bizantino (in Puglia e in Calabria fino al XVI secolo, l'anno comincia il primo di settembre). Quando poi si passava da uno stile all'altro i problemi aumentavano. Quando in Inghilterra, nel 1571 (Elisabetta figlia di Enrico VIII e Anna Bolena, regina dal 1558 al 1603) si lasciò lo stile fiorentino (25 marzo) e si passò subito al primo gennaio del 1572, il 1571 perse tutti i suoi ultimi giorni, fra il primo gennaio e il 24 marzo. Negli Stati nei quali si usava la Pasqua come inizio anno, c'erano tutti i problemi legati ad una festa mobile. Si prenda per esempio l'anno 1358 e l'anno 1359. Il 1358 iniziò il primo aprile e il 1359 iniziò il 21 aprile, per cui nel 1358 furono ripetuti i giorni dal 1° al 20 aprile, e nel 1359 (Pasqua il 5 aprile) mancarono i giorni dal 5 al 19 aprile.    

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8. La Riforma Gregoriana. Tra l'anno di Giulio Cesare (365,25 giorni = 365 giorni e sei ore) e l'anno tropico (365,24219 = 365 giorni, 5 ore, 48 minuti, 45,98 secondi) c'è una differenza di poco meno di 11 minuti e 15 secondi. Col passare degli anni le date ufficiali non coincidevano più con le stagioni. Già il Venerabile Beda, monaco inglese dell' VIII secolo notava che l'equinozio di primavera, fissato dal Concilio di Nicea del 325 d.C. al 21 marzo, cadeva ormai il 18 marzo. Molti studi e molte proposte nel corso dei secoli. Al problema lavorarono tra gli altri anche Ruggero Bacone, papa Clemente VI, Sisto V, Giovanni Muller e i due concili di Costanza (1417) e di Basilea (1434). Papa Leone X (Giovanni de' Medici figlio di Lorenzo il Magnifico) e Paolo di Middelburg hanno il vero merito di aver promosso la riforma che prenderà il nome da Gregorio XIII. Nel XVI secolo, ormai l'equinozio cadeva l'11 marzo, con dieci giorni di anticipo. Gregorio XIII, applicando una delibera del Concilio di Trento, nomina una commissione per la riforma del Calendario sotto la presidenza del cardinal Sirleto. Il lavoro matematico da cui si parte è del medico e astronomo calabrese Luigi Giglio (Lilio), da poco morto, presentato alla commissione dal fratello Antonio, anche lui medico. Il piccolo saggio (10 pagine) si intitola "Compendium novae rationis restituendi kalendarium". L'esecuzione di tale progetto è affidata al cosmografo Egnazio Danti e all'astronomo tedesco, gesuita, Christopher Clavius. Danti aveva verificato l'errore dell'equinozio con una meridiana da lui costruita nella chiesa di San Petronio a Bologna. Tale meridiana fu poi distrutta in ristrutturazioni successive, quella odierna fu costruita un secolo più tardi dall'astronomo Gian Domenico Cassini. La Riforma Gregoriana nasce con la Bolla "Inter gravissimas" del 24 febbraio 1582 (nei documenti originali 24 febbraio 1581) e stabilisce che: 1) per riportare l'equinozio al 21 marzo si cancellano dieci giorni nel mese di ottobre, al giorno giovedì 4 ottobre 1582 seguirà il giorno venerdì 15 ottobre 1582. 2) per eliminare futuri errori (un giorno ogni 128 anni, circa tre giorni in quattro secoli) si stabilisce di considerare bisestili non tutti gli anni secolari (1600, 1700, 1800, ecc.) ma solo quelli i cui primi due numeri sono divisibili per 4. In tal modo 1700, 1800, 1900 che per l'anno giuliano dovevano essere di 366 giorni, sono stati invece di 365 giorni. Rimangono bisestili il 1600, il 2000, il 2400 ecc. (le prime cifre sono divisibile per 4). Con questo semplice modo si perdono 3 giorni ogni 400 anni, che era per l'appunto la sottrazione necessaria. Rimane ancora un piccolo errore da correggere, tra l'anno gregoriano e l'anno tropico c'è ancora una differenza di 26 secondi. Questo errore porta ad una sfasatura di un giorno ogni 3226 anni. Con una certa fiducia nell'avvenire della razza umana, abbiamo già deciso che il 4000, l'8000, il 12000 ecc. non siano bisestili ma comuni.     9. L'applicazione della Riforma gregoriana.   La Riforma Gregoriana non fu accettata tanto facilmente, specialmente dai greco ortodossi, dai Russi e dai Romeni. Italia, Spagna, Portogallo e Lorena non ebbero esitazioni e l'applicarono subito, almeno ufficialmente. Più problemi ebbe la sua applicazione nei contratti, negli affitti, nei debiti che scadevano nei giorni soppressi, ecc. Tra i paesi protestanti e antipapisti solo l'Olanda l'accolse subito. Lo stesso Voltaire, insolitamente filopapale, ironizzava su coloro che pur di essere contro il papa preferivano essere in disaccordo col sole. In Danimarca e negli stati germanici il salto fu fatto nel 1700 quando si passò dalla domenica 18 febbraio al lunedì 1° marzo. Nei cantoni protestanti svizzeri si passò direttamente dal 31 dicembre 1701 al 12 gennaio 1702. In Inghilterra e nelle colonie americane si saltò da mercoledì 2 settembre 1752 al giovedì 14 settembre 1752.

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Nella Russia socialista il salto avviene nel 1918: dopo il 31 gennaio del 1818, giovedì, si passò subito al venerdì 14 febbraio 1919. Le chiese ortodosse accettarono il passaggio solo nel 1923 e nel 1935 ci furono manifestazioni popolari ad Atene, per tornare all'anno giuliano. Tutti gli studenti notano che qualcosa non va, nelle date della rivoluzione d'ottobre. Per i russi che usavano l'anno giuliano la presa del potere avviene il 25 ottobre 1917, per noi "gregoriani" è invece il 7 novembre 1917. La data di nascita di Newton è una data "ballerina": secondo l'anno giuliano in vigore allora in Inghilterra Newton nasce nell'anno 1642. Proprio l'anno in cui muore Galilei ! Solo apparentemente, perché in Italia è in vigore l'anno gregoriano e Newton risulta invece nato il 5 gennaio del 1643. Nel 1752 il governo inglese e le colonie americane, non ancora indipendenti, passarono dal calendario giuliano (Old Style) al calendario gregoriano, per cui al giorno 2 settembre 1752 seguì il giorno 14 settembre. Inoltre, per complicare le cose, si spostò la data di inizio anno, al 24 marzo 1752 doveva seguire il 25 marzo 1753.    

TABELLA DI CONVERSIONE DAL GIULIANO AL GREGORIANO:  

per le date comprese tra il 5 ottobre 1582 e il 28 febbraio 1700, si aggiungono dieci giorni;

per le date comprese tra il 28 febbraio 1700 e il 28 febbraio 1800, si aggiungono undici giorni;

per le date comprese tra il 28 febbraio 1800 e il 28 febbraio 1900, si aggiungono dodici giorni;

per le date comprese tra il 28 febbraio 1900 e il 28 febbraio 2100, si aggiungono tredici giorni.

Cambio di secolo e di millennio: il nostro secolo non finisce il 31 dicembre del 1999 ma il 31 dicembre dell'anno 2000. Il ventunesimo secolo e il terzo millennio sono cominciati il 1° gennaio 2001.

10. Le ore. Nell'antica Roma, nel medioevo. I romani facevano iniziare il giorno partendo, come noi, dalla mezzanotte, ma questa divisione, nella pratica quotidiana, non andava d'accordo con l'uso di dividere il giorno in dodici ore diurne e dodici ore notturne partendo però dall'alba. Il giorno cominciava a mezzanotte, ma eravamo già alla sesta ora notturna romana. La prima ora romana iniziava alle nostre sei del mattino dopo il sorgere del sole, anche se il giorno, almeno in teoria era già cominciato da sei ore (notturne). Questo tipo di calcolo delle ore lo troviamo anche ne "I Promessi Sposi" (capp.VI e XVII) del Manzoni, ambientato nei terzo decennio del XVII secolo. La vera complicazione non è però nel fatto di iniziare una numerazione da due punti diversi: i romani dalle sei del mattino, noi dopo la mezzanotte. Le ore dei Romani non avevano, come le nostre una durata costante. Si divideva in dodici parti il giorno naturale, il giorno del sole e in dodici parti la notte. Ma il giorno e la notte non sono quasi mai uguali, o meglio lo sono solo due volte, il 21 marzo (equinozio di primavera) e il 21 settembre (equinozio d'autunno). Il 21 dicembre c'è la notte più lunga e il giorno più breve (solstizio d'inverno), il 21 di giugno c'è il giorno più lungo e la notte più breve (solstizio d'estate).     Prendiamo in esame solo il giorno 21 giugno, che dura dalle nostre 4.27 alle 19,33. Ciò vuol dire che l'ora romana diurna durava 75 minuti e qualche secondo, e quella notturna 44 minuti e pochi secondi. Il contrario accadeva il 21 dicembre, quando l'ora romana diurna durava 44 minuti e pochi secondi e quella notturna durava 75 minuti e pochi secondi.  

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  In sintesi, l'ora romana diurna cambiava di giorno in giorno partendo da 44 minuti (21/12) e crescendo fino a 75 minuti (21/6), poi diminuendo di nuovo fino a 44 minuti (21/12). In senso simmetricamente opposto si comportava l'ora romana notturna. Come già accennato, le ore notturne e le ore diurne avevano ugual durata solo nell'equinozio di marzo e di settembre.     QUESTO SISTEMA CONTINUO' ALMENO FINO AL XIII E XIV SECOLO QUANDO COMINCIARONO A DIFFONDERSI I PRIMI OROLOGI MECCANICI CIVICI. Posti su torri e palazzi comunali o su chiese modificarono anche il tempo scandito dalle campane. L'ora esatta del mercante modificava anche l'ora del Mattutino e della Laudi in conventi e monasteri. A differenza dal nostro sistema odierno rimaneva la scansione in ora prima (dalle sei alle sette), ora terza (dalle otto alle nove), ora nona (dalle quattordici alle quindici). Cambiava la durata delle ore, ma la loro scansione era inalterata. Si iniziava con l'ora prima, che si collocava in corrispondenza delle nostre ore sei e non oscillava più fra le 4 e mezzo e le 7 e mezzo. Questa numerazione delle ore, "all'italiana", rimase in vigore fino ai primi anni dell'Ottocento, quando con l'amministrazione napoleonica si introdusse l'hora gallicana che, come nell'antica Roma, iniziava il conteggio dalla metà della notte. L'hora gallicana si era già diffusa dalla Francia in altri paesi europei, fin dagli anni del Rinascimento. Traccia dell'ora "all'italiana" la troviamo nei quadranti di antichi orologi meccanici. La prima ora è posta in basso, in corrispondenza delle nostre sei, seguono poi altre ventitré ore, in un quadrante che ha 24 ore e non dodici come gli attuali. Vi è un'ulteriore complicazione. I primi orologi meccanici, per riprodurre il movimento antiorario delle meridiane solari, giravano in senso antiorario. Nel Duomo di Firenze (Cattedrale di Santa Maria del Fiore) un esempio di quadrante, con ore all'italiana in numeri romani (attenzione: il VIIII invece di IX, XIIII invece di XIV, ecc.) orientato in senso antiorario, affrescato da Paolo Uccello nel 1443.  

11. TABELLA DI CORRISPONDENZE, ESATTA SOLO NEI GIORNI DELL'EQUINOZIO  

LE ORE OGGI ORE ROMANE   CANONICHE e MEDIEVALI

        MEZZANOTTE SEXTA MEDIA NOX NOTTURNO  una

septima 

   

  due

octava 

   

  tre

NONA 

   

  MATTUTINO

  quattro

decima 

   

  cinque

undecima 

  diluculum

  LAUDI

  ALBA sei

DUODECIMA 

  SOLIS ORTUS

 

  sette

prima 

  mane

PRIMA

  otto

seconda 

  seconda

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  nove

TERTIA 

  TERZA

  dieci

quarta 

  quarta

  undici

quinta 

  quinta

  MEZZOGIORNO

SEXTA 

AD MERIDIEM SESTA

  tredici

septima 

  settima

  quattordici

octava   ottava

  quindici

NONA 

  NONA

  sedici

decima 

  decima

  diciassette

undecima 

SUPREMA undecima

  diciotto

DUODECIMA SOLIS OCCASUS vesper

VESPRO

  diciannove

prima   PRIMA

  venti

secunda   seconda

  ventuno

TERTIA   COMPIETA (TERZA)

  ventidue

quarta INTEMPESTUM (notte buia)

quarta

  ventitré

quinta   quinta

  MEZZANOTTE

SEXTA MEDIA NOX NOTTURNO (SESTA)

       

    12. Gli orologi.  I primi misuratori del tempo giornaliero furono ovviamente le meridiane. La più antica è del 1450 a.C. (quasi tremila cinquecento anni fa) ed è egizia. Più o meno dello stesso periodo la clessidra o orologio ad acqua, a sabbia. I primi orologi meccanici compaiono nella seconda metà del XIII secolo. Il meccanismo sul quale si basano è il bilanciere: due palette in un braccio oscillante ingranano con i denti di una ruota, a denti frontali, mossa da un peso in discesa. Altri pesi e ingranaggi collegati all'albero della ruota frontale, avevano il compito di far suonare le ore. L'orologio più antico, di questo tipo, di nuovo funzionante dal 1956 è quello della cattedrale di Salisbury. E' del 1386, nel pieno della guerra dei cent'anni,

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subito dopo le rivolte dei lollards, quando Geoffrey Chaucer scrive i Canterbury Tales. Anche a Wells, nel sud ovest dell'Inghilterra, esiste un orologio, dello stesso periodo, che oltre mostrare la data e la fase della luna, muove, ogni ora, quattro cavalieri con cavallo. L'orologio a molla comparve verso la metà del 1400. La molla permette di fare a meno dei pesi e quindi ci pone nella prospettiva di un orologio portatile, ma la molla ha un difetto, man mano che si distende esercita una forza decrescente, mentre i pesi esercitavano una forza costante. La soluzione tecnica sarà l'invenzione di un tamburo conico o piramide: una corda che unisce la molla al tamburo compensa l'allentamento della molla. Esiste un disegno di Leonardo da Vinci, del 1490, che descrive esattamente il funzionamento della piramide. Il principio del pendolo, scoperto da Galilei nel 1581 (il tempo di oscillazione di un pendolo è costante e indipendente dall'ampiezza dell'oscillazione) permetterà a Huygens, dopo il 1650, di costruire i primi orologi basati sul pendolo. Quando all'orologio a pendolo sarà applicato il meccanismo dello scappamento con ruota a pioli (inventato da Galileo e riscoperto quasi cento anni dopo) o ad ancora (1670) il salto qualitativo nella misurazione del tempo ci avrà già portato nel XIX secolo. I primi orologi portatili appaiono verso la metà del 1400 e, per quanto chiamati "uova di Norimberga", vennero in realtà costruiti a Milano.

 

DANTE ALIGHIERI, PARADISO.  Canto X, vv. 139-144 Indi, come orologio che ne chiamine l'ora che la sposa di Dio surgea mattinar lo sposo perché l'ami, che l'una parte e l'altra tira ed urge,tin tin sonando con sì dolce nota,che 'l ben disposto spirto d'amor turge; / così.. Canto XV, vv. 97-99 Fiorenza dentro la cerchia antica,ond'ella toglie ancora e terza e nona,si stava in pace, sobria e pudica. Canto XXIV, vv. 13-15 E come cerchi in tempra d'oriuolisi giran sì, che 'l primo a chi pon mentequieto pare, e l'ultimo che voli; / così.. 

        Quindi, come un orologio che con la sua sveglia ci chiama svegliandoci all'alba quando la Chiesa, figlia di Dio, si alza per cantare il Mattutino in onore di Cristo sposo, e in questo orologio un congegno tira e l'altro preme producendo un dolce tintinnio, che colma d'amore l'animo del credente a ciò predisposto; così..    Firenze, dentro la prima cerchia di mura, alle quali poggiava la chiesa della Badia, dal cui campanile ancora oggi riceve i rintocchi dell'ora terza (dalle otto alle nove) e dell'ora nona (dalle 14 alle 15), allora viveva in pace, senza lusso e corruzione.  E come le ruote nel meccanismo degli orologi, girano in modo tale che, se uno guarda la prima ruota gli pare ferma e l'ultima invece sembra volare; così.. 

 

 

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Da Mururoa alla Meccadi Paul Gagnaire Traduzione di Riccardo Anselmi

Tutte le moschee del mondo hanno il mirhab1 orientato verso la Mecca (Quibla). Ogni mirhab è, dunque, l’origine di un arco ortodromico che termina alla Mecca. Se si costruisce una moschea nel punto agli antipodi della Mecca, il suo mirhab può avere un orientamento qualunque: tutte le direzioni indicheranno la Mecca lungo un arco di un grande cerchio che misura 20000 kilometri.Le coordinate geografiche della Mecca sono:

latitudine 21° 26’ Nordlongitudine –39°49’ Est

Il punto agli antipodi si trova dunque nell’arcipelago di Gambier, a 21° 26 di latitudine Sud e a 140° 11’ di longitudine Ovest, praticamente a Mururoa. Sorridiamo.Immaginiamo di costruire, a Mururoa, 360 moschee, allineate, ciascuna, secondo un azimut particolare, scelto nel ventaglio da 0° a 359°. Possiamo immaginare che queste moschee si diano le spalle, mentre ognuna di esse guarda alla Mecca secondo il proprio azimut, diverso di 1° da quello della moschea vicina, alla

sua destra e alla sua sinistra. Immaginiamo ancora che tutte queste moschee si mettano in moto verso la Mecca; esse divergeranno le une dalle altre sino a quando avranno percorso 90° di arco ortodromico. Esse si troveranno allora su un grande cerchio che potrebbe essere chiamato equatore islamico; il loro scarto raggiunge qui il massimo valore e vale 40000 km / 360° = 111.111 km o 60 miglia nautiche.1 Mirhab è una nicchia nel muro della moschea rivolto alla Mecca dove l’Iman recita le preghiere

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Questo equatore islamico marca la metà del percorso; le moschee, da questo momento, inizieranno a convergere e, giunte alla Mecca, si troveranno di fronte. La situazione è esattamente inversa a quella riscontrata a Mururoa.Ecco le posizioni delle moschee al passaggio sull’equatore islamico.

Azimut Latit Longit dati cartografici================================================================== 10 + 66° W 114° a sud di Coppermine 20 + 61° W 95° a sud di Goulet de Chesterfield 30 + 54° W 83° all’isola di Belcher 40° + 45° W 74° vicino a Montréal 50° + 37° W 67° al largo de New-York 60° + 28° W 62° a sud-ovest delle Bermuda 70° + 19° W 58° al largo di Barbuda / Antigua 80° + 9° W 54° a nord di Paramaribo 90° 0° W 50° all’isola Caviana100° - 9° W 47° periferia di Pedro Afonso110° - 19° W 43° a Belo Horizonte120° - 28° W 38° al largo di Porto Alegre130° - 37° W 33° in mare, Atlantique Sud140° - 46° W 27° Georgia del Sud // Tristan da Cunha150° - 54° W 18° a est della Georgia del Sud160° - 61° W 5° in mare, a est delle Orcadi del Sud170° - 66° E 14° in mare, nei pressi delle Terra della Regina Maud180° - 69° E 40° Baia di Lutzow-Holm190° - 66° E 66° al largo di Mawson ( Mac Robertson )200° - 61° E 84° al largo del Mont Gauss210° - 54° E 98° all’est delle isole Kerguelen220° - 46° E 106° in mare, a sud della Fossa Diamantina230° - 37° E 113° Baia del Geografo ( Perth )240° - 28° E 118° nel Lago Moore250° - 19° E 122° tra Broome e Derby260° - 9° E 126° a Timor270° 0° E 130° nei pressi di Halmaeïna ( Molucche )280° + 9° E 134° nelle isole Palau290° + 19° E 137° nel mare delle Filippine300° + 28° E 142° nella Fosse del Japon ( -10554 m.)310° + 37° E 147° in mare, a sud delle Kouriles320° + 45° E 153° nella Fossa delle Kouriles330° + 54° E 162° al largo della Kamtchatka340° + 61° E 175° a sud isola di Saint-Laurent (Behring)350° + 66° W 166° nello stretto di Behring360° + 69° W 140° nella Baie di Mackensie==================================================================

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Il quadrante di ApianoDi Ricardo Anselmi

L’astronomo tedesco Peter von Bienewitz, meglio noto con il nome latinizzato di Apianus, ha realizzato, nel XVI° secolo, lo straordinario quadrante d’altezza rappresentato in figura 1. Esso è composto da due facce opposte, sulle quali sono incise le linee orarie e quelle di declinazione del sole. Un filo a piombo, dotato di perla scorrevole, è collegato in coincidenza con il vertice dell’angolo retto.

Il quadrante va puntato sul sole, per mezzo di due mirini con foro, ubicati su un cateto dello strumento. La perla, precedentemente posizionata in base alla data, oppure in base alla declinazione del sole, funge da indicatore dell’ora. L’orologio di figura 1 è stato predisposto per essere usato alle latitudini di 47, 48 e 49 gradi. La parte in alto è riservata alla lettura delle ore ineguali, quella in basso alle ore astronomiche.Il reticolo a destra serve per regolare la perla sulla data. In figura 2 si vedono chiaramente le linee di declinazione e le linee orarie astronomiche.Il grafico è stato calcolato per la latitudine di 47°. La

numerazione esterna mostra l’altezza del sole sull’orizzonte. Il quadrante, puntato sul sole in data 21 Maggio o 21 Luglio, indica chiaramente che sono le ore 7 del mattino o le 5 del pomeriggio. Il sole si trova a circa 25° di altezza sull’orizzonte. Dal quadrante si può ricavare anche l’ora dell’alba, circa le 4 e 30 e quella del tramonto, circa le 7 e 30.La parte del quadrante riservata alle ore planetarie (così è scritto sullo strumento) mantiene una certa precisione in concomitanza del solstizio estivo, mentre, diventa quasi inutilizzabile come le giornate si accorciano. In effetti, occorrerebbe posizionare la perla nella parte alta del quadrante per la lettura dell’ora ineguale. La figura 3 mostra

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come si presenterebbe la faccia occidentale del quadrante se fosse interamente ricoperta da una suddivisione ad ore ineguali.La perla si trova in concomitanza della linea zodiacale della Vergine oppure, simmetricamente al solstizio, in quella del Toro. Le date sono rispettivamente il 21 di Agosto o il 21 di Aprile. Con il sole alto 25° sull’orizzonte il quadrante indica le ore ineguali 2.2, se è mattino, oppure 9.8, se è pomeriggio. In

figura 4 è stata ipotizzata una versione del quadrante di Apiano, corredato di linee orarie italiche o babiloniche. In effetti la suddivisione del tempo in ognuno dei due sistemi non è diversa. Il sistema orario italico del mattino equivale a quello babilonico serale e quello italico serale equivale a quello

babilonico del mattino. Questi due sistemi presentano comunque, così come si verifica anche per altri tipi di orologi d’altezza, l’inconveniente dell’accavallarsi delle linee orarie del mattino con quelle del pomeriggio. La lettura, abbastanza chiara da marzo a settembre, diventa confusa nell’altro semestre. Forse questa è la vera ragione per cui, mi pare, non esista un quadrante di

Apiano ad ore italiche. Dall’immagine n° 4 si traggono le seguenti indicazioni:

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Se è il 21 di Agosto o il 21 di Aprile l’orologio, al mattino, indica la terza ora babilonica.Se, invece, il rilevamento viene effettuato di pomeriggio sono le ore italiche XXI. Il sole si trova, di poco, oltre i 30° sopra l’orizzonte.Immagini

Pietro Apiano

Un quadrante portatile con astuccio del 1672

Quadrante di Clavio, da Gnomonices Libri Octo, 1981p. 647. Immagine, N. Severino (per gentile concessionedella Biblioteca di Montecassino)

Quadrante di oronzio Fineo tratto dalla pagina 506 del libro “Opere di Orontio Fineo” di Cosimo Bartoli, Venetia, MDCLXX (per gentile concessione della Biblioteca di Montecassino)

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Costruzione geometrica del quadrante di Clavio (da Gnomonices Libri Octo, 1981)Immagine, N. Severino (per gentile concessione della Biblioteca di Montecassino)

Riferimenti bilbiografici sui quadranti d’altezza: A.Trinchero, L.Moglia, G.C.Pavanello, L’ombra e il Tempo, ed Vanel Torino 1988 Nicola Severino, Storia della Gnomonica, Roccasecca, 1994 Alessandro Gunella, Il quadrante delle ore ineguali sul verso dell’astrolabio, in Gnomonica

n. 6, maggio 2000, p. 26 Nicola Severino, Antologia di Storia della Gnomonica, Roccasecca 1994 Girolamo Fantoni, Orologi Solari, ed. Technimedia, 1988 Nicola Severino, Sulla successione cronologica degli orologi solari d’altezza, in

Gnomonica, n° 5, gennaio 2000 Archinard M., Les cadrans solaires rectilignes, in Nuncius, anno VI, fasc. 2, 1991, Firenze,

Olshki Ed. Fuller A.W.,Universal rectilinear dials, «The mathematical Gazette » febrary, 1957, vol. 41

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L'orologio di Augusto nella topografia di Roma di Stefano del Lungo

Pubblicato anche in : Bollettino Telematico dell'Arte, 11 luglio 2000, n. 35 - http://www.bta.it/txt/a0/00/bta00035.html

Partendo dalla viabilità attuale, l'orologio solare di Augusto, noto nelle fonti come "horologium" e "solarium", o, in riferimento al proprio obelisco, come "gnomon" e "obeliscum", occupava lo spazio compreso tra le odierne Piazza del Parlamento, Piazza S. Lorenzo in Lucina, via del Giardino Theodoli e vicolo della Torretta.

L'obelisco, utilizzato come asse indicatore del tempo (da cui i termini gnomon e gnomone), si trova attualmente davanti al palazzo di Montecitorio, un po' arretrato rispetto alla posizione occupata in antico (1) .

Le indagini e gli scavi relativi all'orologio di Augusto condotti periodicamente dal 1975 al 1986 sono stati curati dall'Istituto Archeologico Germanico, in relazione ad una serie di interventi nel Campo Marzio e, in particolare, nella chiesa di S. Lorenzo in Lucina, per il suo avanzato stato di degrado architettonico.

Le ricostruzioni che precedentemente erano state date del complesso orologio-obelisco erano del tutto errate (2), tanto che nellla seconda metà degli anni '70 il prof. E. Buchner, presidente dell'Istituto nella sua sede a Berlino, decise di intraprendere scavi accurati nella zona di S. Lorenzo, partendo dai calcolo compiuti dal suo collega prof. Rakob, direttore della sezione di Roma dell'Istituto.

La campagna portò al rinvenimento in via del Campo Marzio, a 8 metri di profondità, del livello augusteo e di un battuto che, subito, si pensò dovesse corrispondere al piano di giacitura delle lastre di pietra su cui poggiavano le strisce di bronzo della meridiana.

Ciò confermava le stime del prof. Rakob per una superficie occupata dall'orologio di m 160 x 75, paragonabile a metà della Piazza S. Pietro attuale, e che la meridiana non fosse lastricata su tutta la superficie, ma solo sulle linee più importanti, dove si trovavano lle strisce di bronzo della larghezza di 3-4 cm; la restante parte era ricoperta da prato, come mostrano gli studi di paleobotanica effettuati sul polline rinvenuto nello scavo.

Scoperte ancor più importanti si ebbero nel 1979, quando nelle cantine dello stabile al ndeg. 48 di via del Campo Marzio il medesimo prof. Buchner (3) trovò, quasi accanto allo scavo precedente ma, questa volta, a soli 6,30 m di profondità, sotto una falda d'acqua, un lastricato in travertino ricoperto da uno strato di cocciopesto, appartenente forse ad una vasca di età adrianea.

Sulle lastre vi erano impressi con lettere di bronzo i nomi in greco dei segni zodiacali e un asse con una serie di tacche perpendicolari, interpretato come uno dei punti di riferimento dell'ombra dell'obelisco.

Dato il dislivello con il piano augusteo, si pensò si trattasse di un rifacimento di fine I-inizi II sec. d. C., in cui si rialzò in parte la superficie dell'orologio, si calcolarono le angolazioni delle ombre, si usarono a rovescio le vecchie lastre di travertino e vi si incastrarono, in base alle nuove misure, le strisce di bronzo augustee.

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In previsione di nuove indagini, si calcolò che il Mezzogiorno del 23 Settembre (giorno della nascita di Augusto) si trovasse sotto il bar posto a circa 40 m di distanza dal palazzo. Per adesso, comunque, gli scavi sono in corso sotto la sacrestia della chiesa di S. Lorenzo in Lucina, dove dovrebbe trovarsi l'ora Nona di un mese invernale non ancora noto.

Partendo da questi elementi e unendo le informazioni tramandateci dal Medioevo sull,orologio, si ha il seguente quadro storico:

1) negli anni 10-9 a.C. Augusto realizza il primo orologio, sistemando il quadrante parte su travertino e parte sull'erba;

2) dopo poco inizia la progressiva ricopertura dell'area con i detriti lasciati dalle inondazioni del Tevere e dalle acque di scolo dei colli del Quirinale, Viminale e Pincio. Nell'arco di 30 anni (4) l'orologio non funziona più, essendosi spostato l'obelisco di qualche centimetro e apprestandosi il quadrante a sparire sotto uno spesso strato di terra;

3)in un anno non precisato del principato di Domiziano (forse subito dopo l'80 d.C., quando un terribile incendio devastò il Campo Marzio), su un accumulo di detriti di ben 2 m di spessore si rimonta l'orologio, con il quadrante tutto in travertino e parti in mosaico. Anche in questo caso, però, l'opera ha vita breve, visto che, poco dopo, di lei si perde ogni traccia e testimonianza, resta solo l'obelisco-gnomon, che diviene il simbolo del Campo Marzio, come si vede nella decorazione del basamento della colonna di Antonino Pio;

4) a partire dal 1463 si susseguono le segnalazioni di ritrovamenti fortuiti di parti della meridiana. Il Lanciani (5) per il 1484 cita la testimonianza di Pomponio Leto: "ubi est domus nova facta, quae est capellanorum cuiusdam capellae s. Laurentii" (l'autore si riferisce alla costruzione nel 1463 di una cappella in S. Lorenzo in Lucina ad opera del cardinal Calandrino) "fuit basis horologi notissimi" (ossia dell'obelisco). "Ubi est eph(ebeu)m capellanorum, ibi fuit effossum horologium, quod habebat VII gradus circum, et lineas distinctas metallo inaurato. Et solum campi" (cioè del Campo Marzio) "erat ex lapide amplo quadrato et habebat lineas easdem, et in angulis quattuor venti ex opere musivo cum inscriptione ut Boreas spirat, etc.";

5) gli ultimi ritrovamenti casuali del piano dell'orologio avvennero un po' prima del 1876. Infatti, i curatori della prima parte del Corpus Inscr. Lat. vol. VI, e. Bormann e G. Henzen, a proposito dell'iscrizione posta su due lati della base dell'obelisco (6) , scrissero: "...Senonchè i vicini, che intorno ad esso" (cioè l'obelisco) "hanno le case, asserivano che quasi tutti loro, nel corso degli scavi compiuti sulle rispettive proprietà per realizzare cantine, avevano trovato vari segni celesti di ottima fattura bronzea, posti su un pavimento intorno allo gnomone..."

Accanto ai risultati degli scavi, l'unica fonte antica utile per apprendere la tipologia, l'aspetto e le modalità di funzionamento dell'orologio è Plinio il Vecchio (per il testo si rimanda alla nota (7).

Innanzi tutto bisogna capire se è venuto prima l'obelisco o l'orologio: Augusto, cioè, ha portato a Roma l'obelisco al fine di usarlo come ago (gnomon) per il suo orologio, oppure, una volta a Roma l'obelisco, ha pensato solo in un secondo momento di servirsene come gnomon ?

L'iscrizione della base dell'obelisco non menziona minimamente l'orlogio (quindi ci si avvicinerebbe alla seconda ipotesi) ma le prime righe del testo pliniano non aiutano certo a risolvere il dubbio; infatti, le seguenti parole: "Di quello che si trova nel Campo Marzio il divino Augusto fece un uso degno di ammirazione", possono essere a favore tanto della prima che della seconda ipotesi. E' anche vero, però, che l'obelisco in Egitto è il simbolo del Sole e a tale divinità Augusto fa riferimento nell'iscrizione della base, riportandoci all'idea della meridiana (8).

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Altrettanto dubbia è l'identità del progettista dell'orologio. I manoscritti dell'opera pliniana riportano due diverse versioni, accettate dagli editori solo in base a scelte personali:

1) "...et ingenio fecundo Novi mathematici..." ("degna... dell'ingegno fecondo del matematico Novus"). Si congettura una lettura di Novus per Nonius, identificando il matematico con il cavaliere romano C. Nonio, accusato al tempo di Claudio di congiura ai danni dell'imperatore e condannato a morte (9); oppure con il questore Novio Nigro, implicato nella congiura di Catilina (10);

2) "...et ingenio Fecundi Novi mathematici..." ("degna... dell'ingegno del matematico Fecundo Novo"); questa è la versione più seguita, anche con variazione di Fecundo in Facundo.

A proposito della costruzione del piano della meridiana Plinio distingue diverse fasi. All'inizio, per determinare l'estensione del quadrante si osservò l'area coperta dall'ombra dell'obelisco nel giorno del solstizio d'inverno (21 Dicembre), momento in cui, raggiungendo il sole il punto più basso sull'orizzonte, l'ombra è alla sua massima lunghezza e oscura con la sua rotazione una porzione maggiore di terreno che nel resto dell'anno.

L'indicazione dei giorni di ogni mese fu data da un reticolo di linee orizzontali-curve (percorso seguito dall'ombra nell'arco di una giornata) e verticali-rette (lunghezza dell'ombra in relazione alla minore o maggiore altezza del sole sull'orizzonte). Delle orizzontali solo una linea era retta, quella il cui tracciato conduceva direttamente all'Ara Pacis il 23 Settembre (giorno dell'equinozio di Autunno e, come si è già detto, della nascita di Augusto). Delle verticali, invece, quella centrale, perpendicolare all'obelisco ecorrispondente alle h 12 di ogni giorno, non solo era più corta delle altre, ma anche era munita, in totale, di 182 barrette orizzontali, poste a distanze uguali e regolari, corrispondenti, ciascuna, a due giorni.

Accanto a queste erano incastrati nella pietra i nomi in greco delle costellazioni zodiacali e alcune indicazioni astronomiche, come "ETHESIAI PAUONTAI" (Etesìai pàuontai), cioè "cessano i venti Etesii", oppure "QEROUS ARCH" (Thérous arché), cioè "inizio dell'Estate".

Di queste note colpisce come si riferiscano a fenomeni celesti e meteorologici riscontrabili solo nella parte orientale del Mediterraneo, e automaticamente viene da pensare alla presenza di un modello alle spalle dell'orologio, da ricercare in Egitto, sulla costa siro-palestinese, in Asia Minore o in Grecia.

Infine, raffigurazioni a mosaico dei venti, come ci viene testimoniato nel Medioevo, dovevano trovarsi ai margini del quadrante.

In generale, partendo proprio da queste indicazioni, si è concordi nel ritenere che:

1) la posizione della meridiana nel Campo Marzio, a circa metà strada tra il Mausoleo di Augusto, l'Ara Pacis e il Pantheon di Agrippa non è casuale, ma obbedisce a precise regole propagandistiche;

2) il corredo nel quadrante di iscrizioni in greco e non in latino, come sarebbe più logico a Roma, unitamente ad indicazioni astronomiche tanto particolari quanto inutili per l'Italia, può essere la prova che si tratti della copia esatta da un originale alessandrino, riprodotta sulla scia di quel gusto egittizzante che già aveva ispirato Augusto per gli altri obelischi e per il suo Mausoleo, e che rientrava nel piano di assomigliare sempre più ad Alessandro Magno.

L'obelisco, divenuto poi gnomon dell'orologio, risaliva al faraone Psammetico II (VI sec. a.C) e si trovava ad Heliopolis (11), in Egitto. Augusto lo fece portare a Roma nel 10 a.C, forse

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contemporaneamente o anteriormente agli altri tre obelischi, presi sempre in Egitto e posti uno sulla spina del Circo Massimo e due innanzi al proprio sepolcro (12).

Era un monolite di granito rosso, alto quasi 22 m e ricoperto di geroglifici su tutti e quattro i lati. Per quanto la sua funzione di gnomon venisse presto meno, l'obelisco rimase ancora in piedi per molti secoli (13). Cadde in una data ignota (forse a causa del sisma dell'Aprile dell'849 (14) o nel 1048, durante l'assedio di Roma da parte di Roberto il Guiscardo, dopo che la sua base, ben raggiungibile tramite l'accumulo di macerie che aveva ricoperto il piedistallo, era stata arrotondata dall'azione del ferro e del fuoco) e si ruppe in cinque pezzi. Per la gran quantità di detriti depositatisi al di sopra, se ne perse presto ogni traccia. Solo la memoria di questa pietra bizzarra e della relativa ombra rimasero nella piazza antistante S. Lorenzo, dando vita ad una leggenda.

Si racconta, infatti, che ivi si ergesse una statua con il braccio e l'indice destro tesi, e sul dito la scritta "Percute hic", ossia "Batti qui". Dopo che molti avevano eseguito l'ordine della statua senza che nulla accadesse, vi provò il grande negromante Gerbert d'Aurillac (meglio noto come papa Silvestro II - 999-1003), ma in un modo del tutto particolare: attese il Mezzogiorno e segnò il punto dove cadeva l'ombra dell'indice, poi, la notte stessa, assistito da un servitore, aprì con un sortilegio la terra e si trovò in una reggia d'oro, piena di ricchezze e di statue di re, di dgnitari e di altri personaggi celebri, anch'esse d'oro e poste a guardia dell'immenso tesoro. I due avendo tentato di sottrarre i gioielli e gli altri beni facilmente trasportabili, si videro circondati dalle statue, improvvisamente animate, e furono costretti alla fuga, non potendo portare con sé nulla. Il tesoro da loro visto era quello dell'imperatore Ottaviano Augusto, che naturalmente non fu più rinvenuto (15).

L'obelisco venne ritrovato per caso nel 1502; i suoi avanzi erano riuniti in una cantina del Largo dell'Impresa (strada non più esistente) e furono scoperti da un barbiere che ivi aveva il suo negozio.

Dopo gli infruttuosi tentativi di Sisto V di rimontare l'obelisco e di rialzarlo, Benedetto XIV nel 1748 fece raccoglierne i frammenti, che rischiavano di andare perduti, e li mise in salvo nel cortile di un palazzo in via della Vignaccia (strada anch'essa scomparsa). Solo tra il 1789 e il 1792 Pio VI riuscì a restaturarlo, ricorrendo anche a pezzi presi dalla base di Antonino Pio, e a innalzarlo in Piazza Montecitorio, sullo stesso piedistallo antico dove tuttora si trova (16).

Nonostante la grandiosità, l'importanza e l'eccezionalità di un monumento come l'orologio di Augusto, le fonti sembrano, in generale, non avere mai sentito parlare di esso.

Se proprio un accenno deve essere fatto, questo va, seppure in breve, all'obelisco. Lo stesso Plinio tratta dell'orologio in funzione dell'obelisco, in quanto quadrante di uno gnomon (non a caso la descrizione è collocata all'interno del capitolo dedicato agli obelischi di Roma).

Naturalmente questo è un argomento "ex silentio", poiché dal naufragio della letteratura classica nel Medioevo a noi sono giunte per la maggior parte opere e frammenti di autori che di topografia e tecnologia si interessano poco o nulla; ma è anche una constatazione. Infatti, escludendo Plinio (23-79 d.C.), non si capisce come mai Strabone (I sec. d.C.), Ammiano Marcellino (330- 400 d.C.) e i Cataloghi Regionarii (IV sec. d.C.) tacciano del tutto dell'orologio; in più è strano che tra il I e il IV sec. d.C. già vi sia il vuoto completo di notizie (17).

Pur non conoscendo le vicende dell'orologio dalla fine del I sec. d.C. in poi, sono proprio gli scavi compiuti dai tedeschi a suggerirci la risposta.

Come si è visto, tra la fase dell'orologio di Augusto e quella del successivo rifacimento domizianeo vi è un dislivello di 2 m, creatosi nell'arco di quasi un secolo a causa delle piene del Tevere e delle acque di scolo dei colli circostanti. E' possibile, allora, che il progressivo interramento di questa

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parte del Campo Marzio sia proseguito inesorabile amche dopo il ripristino del quadrante della meridiana e che già nella metà del II sec. d.C l'orologio si trovasse ad una profondità tale da non essere più visibile: dell'intero complesso solo l'obelisco sarebbe rimasto a provarne l'esistenza e il passato splendore.

NOTE

(1) Per maggiore comodità del lettore si è ritenuto utile seguire la tradizione storico-topografica, trattando separatamente la storia dell'orologio da quella dell'obelisco e iniziando col parlare degli scavi più recenti, per poi andare alle testimonianze passate.

(2) Il Rodriguez Almeida (E. RODRIGUEZ ALMEIDA, Il Campo Marzio settentrionale: solarium e pomerium, Rend. Pont: Acc Arch. LI-LII, 1978-1980, pp. 195-212), sulla base del ritrovamento dei cippi delimitanti il Pomerio all'interno dell'area ipoteticamente occupata dal quadrante, riteneva addirittura che l'orologio funzionasse solo nella metà orientale, dal mezzogiorno al tramonto (cfr. S. BOSTICCO, Frammento inedito dell'obelisco campense, Aegyptus, XXXVII-1957, p. 63 sg.

(3) E. BUCHNER, Solarium Augusti und Ara Pacis, Mitt. deut. archaol. Inst., Rom. Abteil. LXXXIII-1976, pp. 319-365; E. BUCHNER, Horologium, Solarium Augusti. Vorbericht uber die Augsgrabungen 1979/80, Mitt. deut. archaol. Inst., Rom. Abteil. LXXXVII-1980, pp. 355-373; E. BUCHNER, L'orologio solare di Augusto, Rend. Pont. Acc. Arch., LIII-LIV 1981-1982, p. 330 sgg.; E. BUCHNER, Die sonnenhur des Augustus, Mainz am Rhein 1984

(4) Plin., Nat .Hist. XXXVI, 73

(5) R. LANCIANI, Storia degli scavi di Roma, Roma 1902, vol. I, p. 83; cfr. Codice topografico della Città di Roma, a cura di R. VALENTINI e G. ZUCCHETTI, Roma-Ist. Stor. Ital. 1953, vol. IV, p. 427, ll. 9-13

(6) CIL VI, 702: (lato della base rivolto a S) "imp. Caesar divi fil. / Augustus / pontIFEX MAXIMUS / imp. XII COS XI TRIB POT XIV / aEGYPTO IN POTESTATEM / pOPULI ROMANI REDACTA / SOLI DONUM DEDIT.

(7) Plin., Nat. Hist. XXXVI, 72-73: "All'obelisco che è nel Campo Marzio il divino Augusto attribuì la mirabile funzione di segnare le ombre proiettate dal sole, determinando così la lunghezza dei giorni e delle notti: fece collocare una lastra di pietra che rispetto all'altezza dell'obelisco era proporzionata in modo che, nell'ora sesta del giorno del solstizio d'inverno l'ombra di esso fosse lunga quanto la lastra, e decrescesse lentamente giorno dopo giorno per poi ricrescere di nuovo, seguendo i righelli di bronzo inseriti nella pietra: un congegno che vale la pena di conoscere, e che si deve all'acume del matematico Facondo Novio. Questi aggiunse sul pinnacolo una palla dorata, la cui estremità proiettava un'ombra raccolta in sé, perchè altrimenti la punta dell'obelisco avrebbe determinato un'ombra irregolare (a dargli l'idea fu, dicono, la testa umana. Questa registrazione del tempo da circa trent'anni non è più conforme al vero, forse perchè il corso del sole non è rimasto invariato, ma è mutato per qualche motivo astronomico, oppre perchè tutta la terra nel suo complesso si è spostata in rapporto al suo centro (un fatto che - sento dire - si avverte anche in altri luoghi), oppure semplicemente perchè lo gnomone si è smosso in seguito a scosse telluriche, ovvero le alluvioni del Tevere hanno provocato un abbassamento dell'obelisco, anche se si dice che se ne siano gettate sottoterra fondamenta profonde tanto quanto è alto il carico che vi si appoggia".

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(8) F. COARELLI, Roma sepolta, Roma 1984, p. 80; Collezione C. Orlando Castellano, L'Urbe, XXVII-1964, ndeg. 5, pp. 13-15

(9) Tac., Annales XI, 22

(10) Svet., Caes. 17

(11) Centro ad una cinquantina di miglia a N di Menfi, sulla riva destra del Nilo. Strab. XVII, C805; Amm. Marc. XVII, 4, 12

(12) Nel 1587 papa Sisto V, tramite l'architetto D. Fontana, porta il primo in Piazza del Popolo e il secondo in Piazza dell'Esquilino. Il terzo viene trasferito nel 1793 per ordine di papa Pio VI in Piazza del Quirinale.

(13) Negli Itinerarii dei secc. VIII e IX risulta ancora in piedi e alla vicina chiesa di S. Lorenzo in Lucina viene dato l'appellativo "Ad Titan", con chiaro riferimento all'obelisco.

(14) R. LANCIANI, Segni di terremoti negli edifizi di Roma antica, Bull. Comm. Arch. Com. 1918, pp. 3-28

(15) Questa versione della leggenda si trova in S. DELLI, Le strade di Roma, Roma-Newton Compton 1988, p. 230 sg. Il Tomassetti (G. TOMASSETTI, La Campagna Romana nel Medioevo, Archiv. Soc. Rom. St. Patria 23-1900, p. 153), suggestionato dal racconto e convinto che comunque abbia una base reale, tende a ricondurre alla stesso motivo la notizia di una località "ad digitum Solis" (IX sec.), situata tra le città di Ostia e di Porto. Infatti, a proposito del curioso toponimo afferma: "deve significare una statua relativa al sole, con un dito in alto, statua che doveva decorare l'orologio solare del porto. Ed aggiungo che anche nell'orologio monumentale del Campo Marzio in Roma si ricorda una statua ma col dito abbassato... Forse due statue decoravano due antiche meridiane, l'una col dito in alto, da Levante, l'altra col dito in basso, da Ponente".

(16) Cfr. C. FEA, Miscellanea filologica, critica e antiquaria, Roma 1790, tomo I, p. 74, 123, 166

(17) Cfr. A topographical dictionary of ancient Rome, a cura di AAVV, vol. II, p. 366 sg.

Stefano Del Lungo:

Si è laureato in Lettere presso l'Università "La Sapienza" di Roma nel 1993, con tesi in Topografia di Roma e dell'Italia antica (Relatore: Prof.ssa M. Fenelli) dal titolo: La Toponomastica Archeologica della Provincia di Roma. L'argomento riguarda la messa a punto di un nuovo tipo di prospezione archeologica, che usa i toponimi riportati sulle carte topografiche e il loro riferimento, in alcuni casi, a leggende e tradizioni popolari, formatesi nell'Alto Medioevo e perpetuatesi fino ai giorni nostri, per individuare complessi o singole rovine, sia antiche che medievali, presenti sul terreno. Ha poi conseguito il diploma di specializzazione in Archeologia (indirizzo: Archeologia Medievale): è tuttora in atto la frequenza del III anno di corso (aa. 1995/1996) per il suo conseguimento alla Scuola Nazionale di Archeologia, attivata presso la Facoltà di Lettere dell'Università "La Sapienza" di Roma. Collaborazioni a riviste: al Bollettino Telematico dell'Arte (Area Archeologia); al Bollettino della Società Tarquiniese d'Arte e Storia; a l'Universo, rivista dell'Istituto Geografico Militare. Collaborazioni a progetti di ricerca: progetto "Leopoli-Cencelle: una città di fondazione papale", diretto dalla Prof.ssa L. Ermini Pani, per quanto riguarda lo studio della Toponomastica della Bassa Valle del Mignone, e altri aspetti topografici della zona.

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RECENSIONI Su alcune misure di tempo degli Iblei, a cura di Giovanni Bellina

Quando la gnomonica esce dai suoi rigorosi canoni matematici ed astronomici, diventa meraviglioso veicolo di pura grazia spirituale, offrendoci sensazioni ed emozioni legate a un qualche cosa di impalpabile nella frenetica vita moderna. Aprire un plico arrivato per posta ed estrarne un libro la cui copertina offre subito

questa meravigliosa sensazione, è davvero una gradevole sorpresa. Giovanni Bellina, autore siculo di questo che secondo me è da annoverarsi tranquillamente tra i libri più belli della gnomonica italiana, è un autore da tempo attivo nel campo della gnomonica italiana e soprattutto per quella siciliana ed è responsabile regionale della Sezione Quadranti Solari dell’UAI. Questo bel libro, nato sotto gli auspici della Regione Siciliana Assessorato alla P.I., della Provincia Regionale di Ragusa e del Circolo Didattico “Paolo Vetri” di Ragusa, ci racconta (nelle parole dello stesso autore)…le residue tracce di un aspetto della cultura materiale poco frequentato dai manuali di storia. I quattro saggi che seguono, preceduti da una sintetica informazione sul censimento e la tutela degli orologi solari, raccontano alcuni fatti che hanno avuto attinenza con le misure del tempo giornaliere negli Iblei, denunciano le difficoltà proprie della nostra organizzazione sociale nell’armonizzare il tempo gratuito e il tempo della produttività, guidano alla scoperta di modelli di tempo e di spazio impliciti nelle opere di alcuni studiosi e scienziati iblei, ricordano alcune scansioni annuali fatte di sapori e di usanze che sono state patrimonio, fino ad un recente passato, della nostra tradizione”.Nei capitoli che si susseguono in questo bel libro, si può leggere e vedere, attraverso numerose ed affascinanti illustrazioni, una gnomonica finora sconosciuta, dedicata al popolo degli Iblei e costantemente in riferimento ai normali canoni di storia della misurazione del tempo.Concludono il volume due saggi letterari sul tempo: Il tempo e l’identità di Giovanni Belluardo e Modelli del tempo e dello spazio nella memoria degli Iblei di Mario Pavone.

The Analemmatic Sundial Source BookIncluding recent work and English translations of early source texts on the analemmatic sundial and the variable-center dials that derive from it.Compiled and Edited by Frederick W. Sawyer III A Festschrift on the Tenth Anniversary of The North American Sundial Society 2004 - © 2004 Frederick W. Sawyer III, Glastonbury CT, USA…for the use of such as are sciatherically affected.

Recita cosi’ il frontespizio di questa opera moderna e straordinaria realizzata curiosamente su un mini CD-R, ed è incredibile vedere poi sul PC cosa possa contenere un cosi’ piccolo oggetto. La NASS, North American Sundial Society, festeggia quest’anno il decimo anniversario di attività gnomonica in campo mondiale. Quest’opera, nonostante le dimensioni del CD, puo’ considerarsi davvero una mini enciclopedia gnomonica dedicata ad uno specifico argomento: l’orologio solare analemmatico. Fred Sawyer ha raccolto e sistemato mirabilmente in un file Acrobat PDF – di facilissima e immediata consultazione – tutto quanto gli è stato possibile leggere sull’argomento. Una sezione storica presenta gli scritti originali di Vaulezard e degli altri autori a iniziare dal XVII secolo per arrivare all’era moderna, fino agli ultimi articoli pubblicati di recente. In tre sezioni sono raccolti oltre 60 articoli specifici sull’argomento: davvero tutto quanto puo’ essere conosciuto su questo misterioso ed affascinante orologio solare. Inoltre, una completa bibliografia ed una sezione che raccoglie vari software per la progettazione di questo quadrante, chiudono il lavoro che puo’ essere considerato il piu’ completo finora mai realizzato in merito a questo specifico argomento.

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Bulletin, British Sundial Societi, Volume 16 (IV), December 2003Tra gli articoli principali:John Davis presenta uno studio sulla storia dell’equazione del tempo e la sua rappresentazione negli orologi solari, passando in rassegna storicamente le tavole astronomiche di Christiaan Huygens, John Flamsteed , John Smith. William Molyneux, ecc. Le foto che accompagnano il testo non rendono giustizia all’importanza storica dell’articolo in cui la rappresentazione dell’equazione del tempo non è mostrata nei familiari (a noi) orologi solari murali, bensì in quadranti solari storici incisi su metallo. John Foad traccia un profilo di Thomas Hogben, come un “map-makers” vissuto nel Kent nel diciottesimo secolo e descrive lil suo operato gnomonico con illustrazioni, disegni e informazioni storiche. Frank Evans descrive un tour ideale alla scoperta degli orologi solari nella Cornovaglia tenutosi nel settembre del 2003. Per gli appassionati degli orologi solari monastici, J. Wall parla degli orologi solari “Aglo-Sassoni”: 38 identificati, secondo l’autore, di cui 24 nel Nord, di cui 14 localizzati nella sola area dello Yorkshire e 9 di questi attorno al distretto di Ryedale. L’autore effettua alcuni importanti confronti con immagini rilevate in testi storici importanti, come un manoscritto dell’Università di Basilea, un altro proveniente dalla Biblioteca minucipale di Laon, entrambi molto simili ai codici pseudo-beda del IX secolo che ho riportato nella mia Storia della Gnomonica. Io penso che il confronto sia di difficile interpretazione in quanto, dal confronto con la similitudine dei disegni dei codici con quelli dei codici pseudo-beda, le immagini tratte dai suddetti manoscritti pubblicate dall’autore sono piu’ attinenti al metodo di misurazione della lunghezza delle ombre nell’unità di misura dei “piedi”, che non alla teoria della realizzazione degli orologi solari “aglo-sassoni” ad ore temporarie, ampiamente discussa nella rivista Gnomonica.

Denis Savoie, Les Cadrans Solaires, edizioni Belin Pour la Science, 2003www.editions-belin.com

Denis Savoie è senza dubbio uno dei maggiori studiosi della gnomonica moderna. Presidente della Commissiòn des cadrans solaires della Societé Astronomique de France e Direttore del Planetario del Dipartimento astronomico-astrofisico del Palais de la Decourverte a Parigi. Questo bel libretto, che si presenta coloratissimo nelle immagini e modernissimo nella sua veste, agevole mentre lo si sfoglia, è da annoverarsi tra i migliori libri di gnomonica pubblicati di recente. La bellezza delle immagini, già affascinanti di per sé, rendono la lettura di questo libro davvero piacevole, spaziando nei primi capitoli tra i fondamenti

dell’astronomia di posizione, sempre corredati di rigorosità scientifica di base, ai rudimenti della gnomonica classica.Nell’introduzione ai “quadranti solari” si possono ammirare stupende immagini inedite come il quadrante arabo-islamico del Museo d’Arte slamica del Cairo. Senza dilungarsi troppo nella storia della gnomonica, Savoie passa in rassegna i vari sistemi orari e dedicando un intero capitolo allo gnomone ed alle formule per ottenere tutte le informazioni gnomoniche dalle relative osservazioni.Quindi passa a descrivere i principali tipi di orologi solari ed introduce anche la recentissima applicazione dello gnomone conico negli orologi ad ore italiche e babiloniche.Un libro in cui la rigorosità scientifica non perde nulla, anzi è resa ancora piu’ affascinante dalla bellezza delle figure, dei disegni e delle immagini di meridiane classiche tra le piu’ belle del panorama gnomonico. Con straordinari disegni vengono presentati anche i quadranti d’altezza (si veda per esempio lo stupendo disegno che spiega ilfunzionamento del Cappuccino di Saint Rigaud).In appendice è riportato un formulario, delle utilità e alcune pagine di motti, oltre che una bibliografia essenziale.

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Un libro bellissimo che certamente deve far parte di ogni collezione gnomonica di tutti gli appassionati.

ANALEMA, Boletìn de la Asociaciòn de Amigos de los Relojes de Sol, Septiembre-Diciembre, 2003, n° 39

In 26 pagine Analema si presenta con la consueta edizione in fotocopia che non può rendere giustizia ai contenuti sempre innovativi ed interessanti di quella che è una delle prime riviste di gnomonica fondata nel 1988. Da qualche tempo si è arrichita di una pagina di abstract in inglese, evidentemente molto utile. Continua nella sua seconda parte l’innovatvo articolo di Rafael Soler Gayà su un metodo matematico applicativo per computer per il calcolo dell’orologio solare a rifrazione “ortomeridiano”. C.E. Esteve Secall, scrive un importante articolo sull’orologio solare multiplo su piedistallo di padre Alonso de Santo Tomas, già menzionato da Gatty 106 anni fa.V. Perez Villar scrive un altrettanto importante articolo sulle ore temporarie, delineando la storia delle discussioni che si sono avute negli ultimi secoli sulla loro vera natura geometrica: “el primero qe renegò de esta afirmaciòn fue Franciscus Maurolycus en su Opuscula Matemàtica de 1575, pg. 75 en la que comenta De lineis horarum inaequalium statius tacere duxi, quoniam neque periferiae, quae in dorso, neque illae, quae insane (Fallo de imprenta: in facie) Astrolabii delineari solent, certis innitur geometriae fundamentis”. E’ una delle citazioni importantissime di questo articolo che dimostra la validità della ricerca storia eseguita dall’autore, anche se in bibliografia non cita la mia opera “Storia della Gnomonica” del 1992 in cui le stesse cose sono trattate molto diffusamente.Alessandro Gunella, veterano gnomonista italiano, presenta uno studio geometrico sul Cappuccino meritandosi un “bravissimo” nell’abstract della rivista. Noi lo sappiamo già che Alessandro è un mago, appunto il nostro magun gnomonico.

ATTI del XII Seminario Nazionale di Gnomonica, 3-5 Ottobre 2003, Rocca di Papa, Roma, ed. Unione Astrofili Italiani, Sezione Quadranti Solari, con la partecipazione del Coordinamento Gnomonico Italiano.

Questo dodicesimo incontro degli “appassionati di gnomonica italiani”, è stato caratterizzato da almeno due cose: la prima è senz’altro l’efficienza e la professionalità dimostrata dall’Associazione Tuscolana di Astronomia (ATA) i cui soci – lavorando alacremente ed essendo in ogni momento sempre pienamente disponibili ad ascoltare le esigenze di tutti - hanno reso il piu’ possibile agevole e bella la partecipazione agli incontri; la seconda dalla (apparentemente inspiegabile) carenza delle partecipazioni e delle relazioni rispetto alle aspettative. Questi atti si presentano al lettore sicuramente come un libro tra i piu’ riusciti graficamente. Finalmente, una volta tanto, le immagini sono tutte (e sono davvero tante!) pienamente leggibili e godibili, anche se in b/n. Le 28 relazioni presentate sono tutte di alto livello. Di particolare interesse, per l’alto livello dei contenuti, originalità ed approfondimento tecnico-storico, devo menzionare gli interventi di Gianni Ferrari, Il foro delle meridiane a camera oscura e Possibili errori nel tracciamento di una meridiana a camera oscura, la relazione di Francesco Flora, La lemniscata ed il suo significato astronomic e quelle di Alessandro Gunella, Perché l’orologio analemmatico di chiama analemmatico? e Una sfera come gnomone. Ma non per questo gli altri interventi sono meno interessanti. Di alto livello per esempio anche le proposte software di Riccardo Anselmi e Giuseppe Zuccalà. Ma non me ne vogliano gli altri se non posso menzionarli tutti (compreso me!). Un volume che decora degnamente il notevole impegno dimostrato dall’Associazione Tuscolana Astronomica.

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Giacomo Agnelli Cartoon: Far West con…Gnomonica!

Dalla RedazioneCari Amici, tra non molto dovrebbe essere attivato un sito web, da parte dell’Associazione CDE di Roccasecca, che sarà dedicato esclusivamente alla gnomonica. Buona parte del materiale digitale di gnomonica in mio possesso confluirà in questo sito che ognuno potrà visitare liberamente senza alcuna iscrizione o registrazione. Allo stesso modo anche le due riviste International Gnomonic Bulletin e Web Gnomonices, saranno ospitate e raccolte sperando che questa possa essere una valida soluzione alle problematiche relative al download delle stesse dai siti di Yahoo! Groups.

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Inoltre il sito potrà ospitare, gratuitamente, anche collaborazioni e lavori di appassionati in ogni settore della gnomonica.Nicola Severino