Vulture Magazine, 5 luglio 2011

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VULTURE MAGAZINE 1 Blog: Notizie dal VULTURE - il cuore della Basilicata Sommario 5 Luglio 2011 In Pellegrinaggio A Roma Per S. Giustino De Jacobis…………………..PAG. 2 Venere nera di Abdel Kechiché……………………………………………PAG. 5 Don Vincenzo Vigilante Missionario In Uruguay…………..……………..PAG. 6 A Ginestra Don Camillo e L'Onorevole Peppone………...………………PAG. 7 Da Orazio A Gaber …………………..………………………..……………..PAG.8 Inaugurata La Personale Di Romano Buratti ………………………...….PAG.10

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VULTURE MAGAZINE 1

Blog: Notizie dal VULTURE - il cuore della Basilicata

Sommario 5 Luglio 2011

In Pellegrinaggio A Roma Per S. Giustino De Jacobis…………………..PAG. 2 Venere nera di Abdel Kechiché……………………………………………PAG. 5 Don Vincenzo Vigilante Missionario In Uruguay…………..……………..PAG. 6 A Ginestra Don Camillo e L'Onorevole Peppone………...………………PAG. 7 Da Orazio A Gaber …………………..………………………..……………..PAG.8 Inaugurata La Personale Di Romano Buratti ………………………...….PAG.10

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IN PELLEGRINAGGIO A ROMA PER S. GIUSTINO DE JACOBIS In vista della chiusura dell’Anno

Giustiniano promosso dalla diocesi di Melfi.

di Michele Traficante Il 31 luglio prossimo si conclude l’Anno Giustiniano indetto nel giugno del 2010 dal vescovo della diocesi di Melfi, Rapolla, Venosa, mons. Gianfranco Todisco. La nobile e edificante iniziativa del presule di Melfi ha avuto come fine ricordare San Giustino de Jacobis, il Santo di San Fele il quale, come riconosceva il papa Paolo VI il 26 ottobre 1975, giorno della sua canonizzazione: “E un grande santo ma ha un solo torto, quello di essere troppo poco conosciuto”. Lo era e, forse, lo è ancora oggi, anche se San Giustino de Jacobis è assai venerato in terra africana, come ha personalmente constato qualche anno il vescovo mons. Gianfranco Todisco nel corso del suo viaggio in Eritrea fa, ove ha portato il segno della solidarietà della nostra diocesi che iniziato la costruzione

di un pozzo, nel piccolo villaggio di Maiellà, a pochi chilometri da Hebo, dove riposano le sue spoglie mortali. Proprio per ovviare a tale grave dimenticanza il Vescovo diocesano, il 29 giugno 2010, in occasione del 150° anniversario della morte di San Giustino de Jacobis, ha indetto un intero anno a lui dedicato: “Perché egli venga conosciuto ed amato dalla nostra comunità diocesana come lo è ancora oggi dai suoi figli spirituali dell’Abissinia” Non è mancato da parte di mons, Gianfranco Todisco la sollecitazione ai fedeli “ad accogliere con questo anno di grazia dedicato a San Giustino, perché incoraggiati dal suo esempio ed illuminati dalla sua testimonianza esso ci sproni a vivere con coraggio la nostra fede, pur in mezzo alle difficoltà ed alle sofferenze che ogni giorno accompagnano il cammino della nostra vita”. L’anno Giustianeo è iniziato il 30 luglio 2010, giorno della memoria liturgica di San Giustino e si concluderà il 31 luglio prossimo, giorno del suo trapasso con la presenza dell’arcivescovo di Volturno, mons. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli. Nel corso dell’anno sono state tante le iniziative, le manifestazioni, le conferenze, come quella di P. Biagio su “Le virtù vinceziane di S. Giustino de Iacobis”, “Spiritualia gli eventi dell’anima”, lo spettacolo teatrale “San Giustino santo dei due mondi” ecc. Sempre durante l’anno Giustianeo nelle varie parrocchie delle diocesi vi è stata “la peregrinatio” dell’urna contente una reliquia del Santo d’Etiopia. Ma chi è San Giustino de Jacobis, il santo di San Fele, piccolo paese dell’Appennino lucano? Egli è qui nato il 9 ottobre 1800 da Giovanni Battista de Jacobis e da Giuseppina Muccia, donna piissima che influì non poco sulla formazione religiosa di Giustino. ” Le virtù sublimi della madre mia, che decorano mirabilmente la mediocrità dei

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suoi natali, mi sono di grande conforto”, come si espresse, poi, il grande Santo. Entrato nell'Ordine religioso di San Vincenzo de’Paoli il 17 ottobre 1818, Giustino si distinse subito per zelo apostolico e per la sua profonda umiltà. Era stato ribattezzato dai suoi confratelli “Fratel Faccialei” perché ad ogni richiesta di parere o consiglio assentiva sempre con un “Faccia lei”. Il 12 giugno 1824, nella Cattedrale di Brindisi ( gli ultimi anni di studio erano trascorsi nella Casa di Oria), è ordinato sacerdote dall’arcivescovo Giuseppe Maria Tedeschi. Il 24 maggio 1839 partì per la terra abissina e si fece servo del Vangelo facendosi etiope fra gli etiopi adottandone lingue, usi costumi e nome: Abuna (padre) Iacob Mariam. Visse testimoniando i valori del Vangelo con profonda fede al servizio dei più miseri condividendone sofferenze e

privazioni. L'8 gennaio 1849 Giustino De Jacobis divenne vescovo ed istituì sul posto seminari per la formazione del clero locale. Subì persecuzioni e carcere. Morì a Massaua il 31 luglio 1860. Le sue spoglie, veneratissime in tutta l'Etiopia, riposano nella cappella del monumentale Santuario dell'odierna Missione cattolica a Hebo, presso Massaua. Il 25 giugno 1933, con decreto del papa Pio XII ci fu la Beatificazione nella Basilica di San Pietro. Paolo VI il 26 ottobre 1975 lo ha elevato all'onore degli altari nell'indimenticabile spettacolo della Basilica di San Pietro rigurgitante di luci e

di folla, fra cui una folta rappresentanza di africani provenienti dall’’Etiopia, molti lucani e numerosissimi sanfelesi. Alcuni aneddoti, relativi all’evento della santificazione, raccontano che i sanfelesi presenti a Roma dicessero “ San Giustino è nostro perché è nato a San Fele, mentre gli africani sostenessero “ San Giustino è nostro perché è vestito come noi”. Il 31 luglio 1976, a solo nove mesi dalla canonizzazione, a San Fele è stato inaugurato un monumento, consistente in una pregevole statua di San Giustino De Jacobis, posto sull’imponente scalinata che porta all’ingresso della maestosa chiesa Madre Santa Maria della Quercia. La sua festa si celebra a San Fele, con grande solennità, il 30 luglio di ogni anno. Per i festeggiamenti si costituisce un attivo comitato di volenterosi cittadini, coadiuvato dal giovane e dinamico parroco don Francesco Consiglio, originario di Rionero in Vulture, che per alcuni mesi è impegnato per la raccolta dei fondi e assicurare il massimo di solennità per onorare il Santo con un nutrito programma sia religioso sia civile. La statua di San Giustino è portata in solenne processione per le anguste strade del paese seguita con profonda devozione da una gran folla di fedeli compresi numerosi emigrati che, per tale occasione, immancabilmente tornano al paese natio da diverse parti d’Italia e anche dall’estero per testimoniare il grande attaccamento al loro Santo. In verità, sempre come riconosciuto da papa Paolo VI, San Giustino de Jacobis era ed è tuttora poco conosciuto in Basilicata e altrove. Eppure è un Santo molto venerato in Africa ove, come ha affermato Paolo VI “ Volle accostare i Copti etiopici, e anche i fedeli mussulmani; e, per questo andò incontro a gravi ostilità e incomprensioni, intese dare incremento ai valori cristiani ivi esistenti, mirando all’unità e all’integrità della fede”… Noi, dunque, dobbiamo invocarlo, perché egli continui a diffondere la sua luce, ad inculcare il suo esempio, a trasmettere la sua eredità

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spirituale ai Confratelli Vincenziani ed a tutti i Missionari.”.

A Brindisi, intanto, a San Giustino de Jacobis è stata intitolata la parrocchia del quartiere Bozzano, canonicamente eretta il 14 maggio 1978. Inoltre nella basilica cattedrale della città pugliese è collocata un’epigrafe con questo testo” In questo tempio sacro / il beato Giustino De Jacobis / missionario di S. Vincenzo de’ Paoli / primo vicario apostolico d’Abissinia / fu consacrato sacerdote / il 18 giugno 1824 / Le figlie della Carità con Arcivescovo - Capitolo / Popolo esultante / ricordandolo con solenni festeggiamenti il 21”. In vista della conclusione dell’Anno Giustianeo, il Vescovo della Diocesi di Melfi-Rapolla-Venosa mons. Gianfranco Todisco ha promosso un pellegrinaggio diocesano a Roma. L’appuntamento che si è tenuto il 22 giugno scorso ha visto la partecipazione di circa 500 fedeli provenienti dai centri della diocesi: San Fele, Ruvo del Monte, Melfi, Rionero in Vulture, Barile, Venosa ed in particolare Cecci e Sant’Ilario con ben 80 fedeli. Tutti, giunti a Roma di buon mattino con pulman, accompagnati dal vescovo della diocesi mons. Gianfranco Todisco, dal

vicepresidente del Consiglio Provinciale di Potenza, Donato Sperduto, dall’assessore del comune di San Fele, Donato De Carlo e dai rispettivi parroci, si sono portati alla chiesa Vincenziana di Santa Maria in Traspontina, ove, col sapiente coordinamento di don Donato Labriola, parroco della Cattedrale di Melfi, S.E. il Vescovo Gianfranco Todisco ha concelebrato, assistito dai parroci presenti, una santa messa non mancando, nell’omelia, di evidenziare come “La nostra vita è un pellegrinaggio e che saremo veri pellegrini dell’amore verso Dio e verso il prossimo, così come fece San Giustino de Jacobis che ha portato l’evangelizzazione ai lontani, il rispetto per ogni persona, accompagnato da fede ed umiltà”. Successivamente, in Piazza San Pietro, l’emozionante incontro col papa Benedetto XVI che, ricevuto il filiale saluto da parte del vescovo diocesano Gianfranco Todisco e di Donato Sperduto, ha salutato da vicino tutti i convenuti con la paterna esortazione: “Lasciamoci insegnare da Dio come pregarlo (Lc 11,1), aprendo il cuore ad accogliere la preghiera del Maestro, in cui tutte le preghiere giungono a compimento”. Il Papa non ha mancato di esaltare l’evangelizzazione ed il forte spirito di San Giustino de Jacobis e come esso sia ancora attuale”. Il pellegrinaggio diocesano a Roma si è concluso con la devota visita alla tomba di papa Giovanni Paolo II (Carol Wojtyla), il papa polacco che contribuì al crollo del Comunismo nell’Est europeo; l’uomo che fu coscienza e guida del Mondo libero e beatificato il 1° maggio scorso.

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Venere nera di Abdel Kechiché

Alla Mostra di Venezia 2010, dove è stato presentato in concorso, il film di Abdel Kechiché ha suscitato emozioni forti, di quelle che restano nel tempo. Schiaffi verso un Occidente che sembra dimentico del suo passato coloniale, come degli alibi che lo hanno alimentato. Il film dura oltre due ore che sembrano interminabili, come lunghe sono le sequenze di violenza verso la Venere nera, interpretata magistralmente dalla esordiente Yahima Torres, che in tanti avremmo voluto fosse premiata quale miglior attrice. Incontrata durante presentazione, ci confidava di aver talmente interiorizzato il personaggio che a fatica riuscirà a debellarne le caratteristiche: malgrado il proprio carattere brillante, potrebbe restare prigioniera del ruolo. La Venere nera ci riporta a due secoli fa, nei salotti buoni di Londra e di Parigi, dove una giovane ottentotta sudafricana, Saartjie, dagli organi sessuali ipertrofici, viene data in pasto a spettacoli da baraccone per squallidi passatempo anche di nobiltà decadenti e disumane. Ma ben più impietosi di loro, sono i presunti scienziati che la condurranno in laboratori accademici per studiarla come fosse un animale raro. Il fine nefasto e nemmeno troppo occulto è anche quello di giustificare le intense attività coloniali verso quei paesi da sfruttare, perché abitati (appunto) da esseri inferiori.

Il film del franco-tunisino Kechiché (che si era già imposto a Venezia con un altro capolavoro come “Cous cous” ) è un feroce atto d’accusa verso quell’epoca apparentemente remota, e questa epoca che ancora non sa guardarsi indietro per verificare il male causato a quel mondo (il terzo) che non riuscirà mai ad emergere. La vicenda della Venere nera ha assillato come un delirio le scelte artistiche del regista, che per anni ha cercato di portare sullo schermo, non senza difficoltà, questo soggetto, tratto dalla storia vera di una giovane sudafricana portata in Europa, abusata e sfruttata nel suo stesso corpo: sempre in calzamaglia, enorme, per far inorridire (divertendosi) le folle da circo come dei “salotti buoni”.

Vi è in Kechiché una esagerata presa di coscienza che declina nell’orrido, con pugni nello stomaco verso lo spettatore che deve chiedersi fin dove può arrivare la crudeltà umana, fino a ragguagliarsi in una sorta di colpevolizzazione. Il limite, tuttavia, sta proprio nella mancata contestualizzazione dell’epoca: siamo nell’800 e la crescita esponenziale dell’Occidente si farà a qualunque costo, giudicando inferiori quegli esseri di colore (e diversi) che abitano quelle terre promesse di ricchezze sbalorditive. Una forbice che nei secoli si è sempre più divaricata, fino ad oggi, con le nuove migrazioni. Eppure la forza di quest’opera rimane nelle sequenze in primo piano di una interprete del dolore che fa rivivere senza mediazioni tutta l’imponenza della

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violenza umana, del forte contro il debole. E sebbene ci siano momenti di suggestione: come la sua presa di posizione durante il processo, per darsi una dignità che nessuno le attribuiva; o nelle scene del rifiuto verso gli scienziati di togliersi il perizoma, unico ed ultimo indumento che la separava dalla totale ignominia che facesse scempio del suo corpo. Solo Mandela, a capo del suo Sudafrica finalmente libero, ha più volte richiesto ed ottenuto (solo nel 2002) la restituzione del corpo della giovane Saartjie, per troppo tempo esposto (per presunti scopi scientifici) al Museé de l’Homme di Parigi. Nei decenni scorsi, altri cineasti si sono occupati di violenza sulla presunta diversità della donna. Marco Ferreri con “La donna scimmia” (del 1964 con la Girardot e Tognazzi), e sui fenomeni da baraccone certamente il film cult del 1932 “Freaks” di Tod Browing. Come non citare lo straordinario “Elephant man” di un’incomparabile David Lynch, che menziona persino il Salmo 23 della Bibbia. Armando Lostaglio

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VINCENZO VIGILANTE MISSIONARIO IN URUGUAY. ERA

STATO GIA’ 20 ANNI FA Venosa. Nei giorni scorsi don Vincenzo Vigilante, rettore della Cattedrale di Venosa, ha lasciato il suo incarico per raggiungere l’Uruguay, come missionario. Prima di lasciare Venosa, don Vincenzo ha ringraziato la comunità di Venosa: “Carissimi, come già sapete domani, se Dio vuole, sono in partenza per l'Uruguay dove ritorno come “fidei donum” dopo 20 anni. Questo andare vuole essere segno di una disponibilità a un servizio alla Chiesa senza confini e allargamento del

cuore della nostra chiesa locale, che pur non navigando nell'abbondanza, sa di dover dare anche dal suo poco e dopo la partenza di don Ferdinando per l'Honduras, lascia partire anche me su richiesta del Vescovo di Mercedes, in Uruguay. Mi affido alla vostra fraterna preghiera. Vi saluto tutti con affetto, don Vincenzo Vigilante”. La diocesi dove va Don Vincenzo si chiama “Mercedes”, mentre la parrocchia “Nostra Signora della Salute” , letteralmente sarebbe “Nostra Signora dei farmaci”. La parrocchia è stata per oltre due anni senza parroco, ed è grande quanto la città di Venosa (poco più di 12.000 abitanti, ed estesa quanto tutta la nostra diocesi (1.316 kmq).

La richiesta di andare in missione, don Vincenzo l’aveva inoltrata lo scorso mese di Marzo al Vescovo della Diocesi, padre Gianfranco Todisco. Ecco in breve il contenuto di questa richiesta: “in tante occasioni lei ci ha invitato a renderci disponibili al servizio a chiese sorelle più povere di clero, come l’America Latina,sostenendo con sguardo di fede che non sarebbe un impoverimento per la

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nostra chiesa locale l’offrire uno o più presbiteri”fidei donum”. Il Vescovo di Mercedes in Uruguay, mons. Collazzi, mi ha comunicato che è in gravi difficoltà, avendo tre paesi, ognuno più o meno come Venosa, a cui provvedere. Il suo benestare e la sua decisione sono per me un segno di autenticazione che la mia scelta sia nella linea non solo della volontà di Dio, ma della dimensione missionaria della nostra chiesa locale. Chiedo a lei e a tutta la chiesa locale di sostenermi con la preghiera”. Ecco la risposta del vescovo dello scorso 20 giugno: “desidero confermare per iscritto il mio parere favorevole, ed esprimerti, anche a nome della nostra diocesi, la gratitudine e l’apprezzo per il tuo generoso gesto di andare incontro alle necessità della Chiesa che è in Mercedes, bisognosa di presbiteri, per far fronte non solo alla scarsezza di clero, ma alla diffusa mentalità secolarizzata, che impedisce al Vangelo di fare breccia nel cuore della gente, e di far maturare in esso frutti di pace, di amore e di giustizia. Dopo vent’anni, ritorni “sul luogo del delitto, come fa un assassino” - così hai scherzosamente detto nella messa di concedo dalla comunità della Concattedrale di Venosa – per guidare la parrocchia di Nuestra Señora del los Remedios - grande quanto la città di Venosa ed estesa quanto tutta la nostra diocesi - , che per più di due anni è stata senza parroco. La tua spiccata sensibilità missionaria, che si è senz’altro ravvivata durante la tua prima esperienza in Uruguay, non solo é maturata nel corso degli anni, ma hai saputo anche trasmetterla agli altri attraverso il servizio di direttore dell’Ufficio Missionario diocesano e regionale, al punto da indurti nuovamente a partire per la missione ad gentes. Non parti da solo. Ti accompagna tutta la Diocesi con la preghiera e l’impegno di starti vicino con ogni mezzo.

Pertanto, a nome anche di tutta la Diocesi, ti rinnovo il sincero ringraziamento per quanto hai fatto come Vicario generale, come coordinatore dell’attività pastorale a livello diocesano e zonale, e soprattutto per non aver lesinato parole e sforzi per far comprendere che ogni attività pastorale deve essere impregnata di spirito missionario, se realmente desideriamo che l’annuncio del Vangelo raggiunga il cuore della gente ed ogni angolo della terra. Il Signore guidi sempre i tuoi passi e renda fecondo di santità il tuo ministero in questa nuova ed entusiasmante tappa di vita missionaria in terra uruguayana. Di cuore Ti abbraccio e ti benedico. Con l’affetto E la stima di sempre”. Lorenzo Zolfo. La foto ritrae don Vincenzo Vigilante

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A Ginestra Siamo All'Ultimo Atto Del Don Camillo e L'Onorevole

Peppone ? Che ne pensa Antonio Ciriello, ex amministratore del

centro arbereshe e candidato per la lista Uniti per Ginestra.

Ginestra. Non si placano ancora i commenti sulla decisione presa dal consiglio comunale lo scorso 24 giugno, presieduto dal Sindaco Giuseppe Pepice, nella quale è stata revocata la delibera di una donazione fatta alla chiesa locale di una porzione suolo comunale ricadente nel cimitero del paese. Questo provvedimento era stato votato favorevolmente dall’allora Sindaco Fabrizio Caputo il 28 marzo scorso. Ecco il commento di Antonio Ciriello, ex amministratore negli anni ’90, candidato quest’anno con la lista Uniti per Ginestra, la stessa del Sindaco Pepice: “Una giornata memorabile per la vita amministrativa di Ginestra va in onda

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l'ultimo atto del famigerato film Don Camillo (Don Gilberto) e L'Onorevole Peppone (Giuseppe Pepice) vi ricordate Gino Cervi e Fernandel che se le davano di santa ragione il Parroco e il Sindaco del Paese, comunista e perciò avversario acerrimo del potere del parroco, il sottofondo della querelle è sempre lo stesso l'influenza che può avere un parroco a livello elettorale nelle decisioni dei fedeli; ma siccome pare che Don Gilberto non sia neanche andato a votare per non essere cacciato di partecipare per una coalizione e non per l'altra il motivo della cosiddetta lite pare essere la Revoca organizzata dal nuovo Sindaco sulla donazione del terreno Cimiteriale e dell'area delle querce dove noi Ginestrini da tempo memore siamo amanti del fresco del (Sottolecerze).

Il fatto strano è che secondo il mio umile parere fa pensare la decisione presa dal sindaco Uscente Fabrizio Caputo con la sola astensione di Pepice allora consigliere dava appunto al Caputo la responsabilità dell'operazione e non certo al nuovo Sindaco il quale nel Consiglio Comunale dello scorso 24 giugno ha detto " Io non regalo niente a nessuno " e portando una nota legale a difesa della sua decisione di Revoca comunque portando i suoi consiglieri e il vice Sindaco Fiorella Pompa su una situazione non facilmente sostenibile di fronte allo stupore di Don Gilberto che continuava a

dire "Voglio vedere se avranno il coraggio di guardarmi negli occhi quei consiglieri che nemmeno due mesi fa hanno votato per la donazione dell'area " Dopo il consiglio fuori dal Comune il punto focale dello scontro a denti stretti Don Gilberto accusava il Sindaco Pepice di essere distruttivo delle iniziative per il paese e che il costo per realizzare l'ingresso al cimitero è di gran lunga più oneroso del costo del terreno ceduto alla Curia Vescovile dal Comune! La replica di Pepice non si è fatta attendere " Il suolo comunale è di tutti i cittadini e io non regalo niente a nessuno si può trovare un'altra formula di vendita o di scambio come proposto dal capogruppo della minoranza Massimo Summa". Sarebbe bello-conclude Ciriello-sentire tutti i cittadini con un referendum. Per adesso non rispondono neanche su facebook”. Lorenzo Zolfo La foto ritrae Antonio Ciriello. :::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::

VENOSA. 1 LUGLIO 2011. DA

ORAZIO A GABER. UNA RAPPRESENTATIVA

SCOLASTICA DEL LICEO CLASSICO DI VENOSA CON LO SPETTACOLO”VIVA L’ITALIA”

RIPERCORRE LE TAPPE DEGLI ULTIMI 50 ANNI, RICORDANDO

SOPRATTUTTO GIORGIO GABER Venosa. Tra gli eventi culturali e musicali predisposti dall’amministrazione comunale e dalla pro-loco per l’Estate 2011 da segnalare quello del Liceo Classico “Q.O.Flacco” che per il 1 luglio nell’atrio del Castello Pirro Del Balzo a partire dalle ore 20,30 metterà in scena lo spettacolo intitolato “Viva l’Italia”. Con questo spettacolo, la scuola di Venosa è stata selezionata per il Premio Nazionale Giorgio Gaber, rappresentato il 2 Maggio

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scorso ad Arcidosso (Gr), organizzato dal Teatro Stabile di Grosseto, riscotendo notevoli consensi dagli altri istituti scolastici.

Lo spettacolo racconta, attraverso brani tratti da Pasolini, Manzoni e Swift, attraverso canzoni di Gaber e di De André, e monologhi inediti, gli ultimi cinquant’anni di storia del nostro paese. “È una un’esperienza pedagogica straordinaria”, riferisce il prof. Miranda, docente di Storia e Filosofia, che ha coordinato il progetto, “sia per l’intrinseca valenza culturale dei testi e dei temi affrontati, sia per la ricaduta dell’iniziativa sul piano formativo. I ragazzi hanno fatto immediatamente loro il motto gaberiano secondo cui la libertà è partecipazione e sono riusciti a montare, in tempo record, uno spettacolo che, in virtù del suo statuto formale sperimentale, evidenzia le qualità creative di queste giovani intelligenze non omologate.” Il premio Gaber, organizzato dal Teatro Stabile di Grosseto, con il prestigioso patrocinio della “fondazione Gaber”, ha ospitato quest’anno 46 istituti provenienti da tutte le regioni d’Italia, ed ha coinvolto complessivamente ben 3000 ragazzi. E questo dato è tanto più significativo in quanto il premio, che si rivolge esclusivamente alle scuole, “non persegue”, così recita il regolamento, “l’insensato intento di creare aspiranti attori in erba, quanto quello di stimolare la capacità critica e creativa dei giovani.” Si tratta, dunque, di un meritorio tentativo di

creare una sinergia reale tra le istituzioni culturali e la scuola. “Far conoscere l’opera di Gaber alle nuove generazioni”, ha commentato il prof. Miranda, “mi sembra un dovere ineludibile. Gaber, infatti, non è stato soltanto il grande artista che tutti conoscono, ma anche, probabilmente, l’ultima voce critica di una intellettualità, quella italiana, paga di riti autocelebrativi e sempre più distante dal sociale e dal mondo giovanile. Smettiamola di far finta di essere sani e guardiamo in faccia la realtà. Gaber ci ha insegnato questo: ci ha insegnato a coniugare la lucidità del disincanto con la speranza utopica, il pessimismo dell’intelligenza con l’ottimismo della volontà.” La rappresentativa del Liceo Classico che si esibirà è composta da circa 30 alunni di diverse classi, sarà supportata dall’associazione culturale “il Dubbio”, composta da ex alunni del Liceo Classico di Venosa, che fornirà il suo contributo tecnico. Lorenzo Zolfo

La foto ritrae un momento del musical del Liceo Classico “Viva l’Italia” fatto a Grosseto lo scorso 2 maggio. ::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::

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INAUGURATA LA PERSONALE DI ROMANO BURATTI

ALLA“GALLERIA 25” DI VENOSA

Venosa (Pz), 28 giugno 2011 – Domenica 26 giugno si è inaugurata a Venosa, negli spazi della Galleria 25, in piazza Orazio n. 25, la mostra personale del Maestro Romano Buratti. Al vernissage era presente lo stesso artista romagnolo, intrattenutosi per qualche ora con il numeroso pubblico giunto per ammirare le opere esposte, selezionate all’interno della sua vasta produzione degli ultimi decenni.

Romano Buratti è nato a Cesena nel 1937 e attualmente vive a Roncofreddo (FC). In gioventù interrompe gli studi all’Accademia di Belle Arti di Ravenna per intraprendere un proprio percorso artistico personale. Dal 1974 inizia a ricevere il consenso del pubblico e della critica, che successivamente cresce e si consolida. Nella sua ultratrentennale carriera ha esposto in varie collettive e ha allestito numerose personali in prestigiose gallerie e musei europei, ottenendo sempre vivo interesse dai

media e molteplici recensioni da parte della critica di settore. Per anni interessato alla grafica umoristica, ha collaborato con giornali e riviste.

Con la sua pittura “neorealista” Buratti racconta la propria storia e la condivide con lo spettatore. “La mia arte – ha dichiarato al pubblico venosino – nasce dai miei ricordi e dalle mie radici, dal periodo dell’infanzia in cui sono vissuto in campagna, in mezzo ai contadini, a contatto con la gente umile e operosa. Queste esperienze hanno lasciato in me dei sentimenti vivi e profondi, che cerco di trasmettere attraverso le mie opere.” Nei suoi dipinti sono rappresentati “episodi vissuti, immaginati e deformati”, scene di vita quotidiana tipiche della Romagna rurale della metà del Novecento. I protagonisti sono persone genuine e popolari, resi con un segno forte ed espressivo, che non lascia spazio alla bellezza apparente, ma è lo stesso capace di raggiungere momenti di grande intensità lirica. Il linguaggio è diretto e autentico, perché dialoga con lo spettatore e si rivolge alle emozioni umane, in particolare stimolando il sorriso.

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È la forte carica ironica ad emergere maggiormente dalle opere di Buratti, che possono essere definite quasi delle vignette su tela (ma in mostra sono presenti anche dei carboncini). I suoi personaggi, molte volte ritratti in situazioni divertenti o in pose bizzarre, ci raccontano con fare giocoso la quotidianità e i piaceri più semplici. Non c’è spazio per la fatica e la sofferenza, a prevalere è sempre la magia del sorriso. I loro volti caricaturali sono maschere velate di ironia, la quale lascia spazio soltanto alla tenerezza, quando l’autore si concentra su scene romantiche di amore al di là del tempo e dei canoni estetici. La mostra antologica in corso presso Galleria 25 resterà aperta al pubblico fino al prossimo 24 luglio, tutti i giorni dalle ore 17.30 alle 21. ::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::

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