vox militiae anno x 2011 n.3

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Poste Italiane SpA Spedizione in abbonamento postale 70% - L'Aquila ROC 9312 VOX MILITIAE VOX MILITIAE Anno X N° 3 www.voxmilitiae.it Ottobre 2011 CAVENDO TUTUS Il Risorgimento in posa La fotografia nacque ufficialmente nel 1839, quindi la sua evoluzione e il consenso sempre più ampio nei suoi confronti coincisero con l‟affermarsi della borghesia, con la crisi di una idea di potere e di nobiltà, con l‟affacciarsi sulla scena socio politica di nuovi soggetti, dunque con lo sviluppo dei fatti risorgimentali. La rivoluzione fotografica accompagnò quella risorgimentale poiché contò su una committenza e su un pubblico che si allargarono via via che migliorarono le tecniche (dal daguerrotipo, al calotipo di Talbot, al collodio, al formato carte de visite), si abbassarono i costi, si aumentò la riproducibilità dell‟immagine. La fotografia divenne ben presto uno strumento di comunicazione di massa efficace e decisivo, e per questo la propaganda patriottica se ne servì per costruire un immaginario del risorgimento, così come furono utilizzati la musica lirica, la canzone, la pittura, il teatro. Talvolta criticata, fu invece subito generalmente accettata, in partico- lare da parte di alcuni personaggi che ne compre- sero subito la portata rivoluzionaria, divenendo con il loro pieno consenso e appoggio delle ico- ne, che poi vennero utilizzate come modelli, pro- totipi. Dalla Leva ai Professioni- sti, un cammino lungo 150 anni La comunicazione Militare La storia nella fotografia Giornate di Storia delle Forze Armate Italiane Canta in italiano

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Poste Italiane SpA – Spedizione in abbonamento postale – 70% - L'Aquila – ROC 9312

VOX MILITIAEVOX MILITIAE

Anno X – N° 3 www.voxmilitiae.it Ottobre 2011

CAVENDO TUTUS

Il Risorgimento in posa

La fotografia nacque ufficialmente nel 1839,

quindi la sua evoluzione e il consenso sempre più

ampio nei suoi confronti coincisero con

l‟affermarsi della borghesia, con la crisi di una

idea di potere e di nobiltà, con l‟affacciarsi sulla

scena socio politica di nuovi soggetti, dunque

con lo sviluppo dei fatti risorgimentali.

La rivoluzione fotografica accompagnò quella

risorgimentale poiché contò su una committenza

e su un pubblico che si allargarono via via che

migliorarono le tecniche (dal daguerrotipo, al

calotipo di Talbot, al collodio, al formato carte

de visite), si abbassarono i costi, si aumentò la

riproducibilità dell‟immagine.

La fotografia divenne ben presto uno strumento

di comunicazione di massa efficace e decisivo, e

per questo la propaganda patriottica se ne servì

per costruire un immaginario del risorgimento,

così come furono utilizzati la musica lirica, la

canzone, la pittura, il teatro. Talvolta criticata, fu

invece subito generalmente accettata, in partico-

lare da parte di alcuni personaggi che ne compre-

sero subito la portata rivoluzionaria, divenendo

con il loro pieno consenso e appoggio delle ico-

ne, che poi vennero utilizzate come modelli, pro-

totipi.

Dalla Leva ai Professioni-

sti, un cammino lungo 150

anni

La comunicazione Militare

La storia nella fotografia

Giornate di Storia delle

Forze Armate Italiane

Canta in italiano

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VM Ottobre 2011

GARIBALDI Garibaldi ebbe una concezione moderna della comunicazione di

massa. Di lui, con o senza il suo consenso, vennero realizzate mi-

riadi di ritratti, utilizzati anche come foto segnaletiche.

Come il Che nelle foto di Korda, l‟eroe dei due mondi divenne una

icona pop (=popolare).

Oltre a reliquie devotamente conservate … e meno devotamente

rivendute (quali capelli o unghie tagliati, brandelli di abiti, ampolle

con la sua schiuma saponata!) le foto furono utilizzate come una

abitudinaria pratica: autografate o con una dedica particolare, veni-

vano date agli ammiratori e ai patrioti.

Tra il 1860 e il „70 l‟icona garibaldina si perfezionò: il nostro di-

venne personaggio anche attraverso l‟utilizzo di pose o particolari

dell‟abbigliamento (ad esempio in piedi con la sciabola, o a caval-

lo, con il poncho, poi da anziano seduto ma con la camicia rossa e

i jeans). È importante notare che in mancanza del reale importa il

verosimile: il personaggio Garibaldi era interessante non solo in sé,

ma per quel che rappresentava ed evocava.

Con lui per la prima volta si è creato il non visto, si è ricostruito un

falso documento visivo, orientando lo spettatore, facendo “storia”:

è il caso di una immagine di “Garibaldi” ferito all‟Aspromonte,

disteso, con in bella evidenza la ferita bendata, con la sciabola in

mano, con le decorazioni, anche con tanto di scritte (Aspromonte

1862; riproduzione vietata). Peccato che non si tratti del Nostro, ma

di un attore, e che si tratti di una messinscena (pure le medaglie

sono patacche, in quanto il vero Garibaldi non portò mai quella dei

reduci garibaldini). Il bello era che quel falso aveva diritti di ripro-

duzione!

Nel caso del famigerato ferimento in Aspromonte, il suo corpo

venne assimilato a quello di un santo, per cui ogni parte

(sineddoche) era utile per coinvolgere emotivamente lo spettatore,

divenendo reliquia di chi, martire laico, si era sacrificato per la

patria. Per questo vennero create tante immagini con il combattente

ferito, curato amorevolmente (dai dottori Nelaton o Partridge, che

quindi non erano solo comprimari, ma testimoniavano la partecipa-

zione, anche internazionale, alle vicende garibaldine) o in convale-

scenza.

Foto segnaletica 1860 G. Le Gray – Palermo Jeanne Grillet –

Reggia di Caserta 1865

MAZZINI

Apparentemente diverso da Garibaldi, in realtà usò la sua immagi-

ne (ora si direbbe il suo look). Come scrisse alla madre, vestiva di

scuro “per l‟oppressione del suo paese”. Le immagini venivano

usate per diffondere il messaggio mazziniano, per creare apostola-

to e ottenere finanziamenti (con la stessa finalità dei suoi scritti e

delle sue lettere). Le sue pose erano quindi sempre serie e penso-

se: quando era seduto una mano teneva la testa, l‟altra reggeva dei

fogli, oppure con il gomito sul bracciolo e la mano al mento, con

dei libri a fare da contorno.

F.lli Caldesi 1855-60 Lacombe 1860-65

CAVOUR Diversamente dai due, il conte utilizzò pose stereotipate, mirando

all‟essenziale, comunicando con atteggiamento da severo politico,

in mezzobusto o in piano americano. Eccezioni furono l‟immagine

del congresso di Parigi dopo la guerra di Crimea, per comunicare

l‟appartenenza del Piemonte al consesso internazionale, e quella

che con un collage, tipo santino, comprendeva gli “strumenti del

mestiere” del diplomatico. Peraltro Cavour comprese appieno

l‟importanza della fotografia, commissionando immagini che a

Venezia riprendevano piazza S. Marco piena di soldati austriaci,

in modo da suscitare un‟ondata popolare di sdegno ex rivolta con-

tro gli occupanti.

IL RISORGIMENTO IN POSA

col dr Nelaton L. Suscipj –col dr Partridge

Oggetti usati da S.E. il conte Camillo Benso di Cavour

provvisti dal suo cappellaio P. Della Rocca” 1861

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Febbraio 2003: Trattato Amici-

zia, Buon Vicinato e Cooperazio-

ne

VM Ottobre 2011

VITTORIO EMANUELE II

Il “re galantuomo” fu un prodotto, si può dire, di marketing ante

litteram. La sua immagine (nel senso più esteso del termine)

venne costruita; gli stessi soprannomi servirono a creare consen-

so intorno alla usa figura, e, per esteso, alla nascita dello stato

italiano (l‟altro soprannome “Padre della patria” venne ad inten-

dere anche il fatto che ebbe tanti figli illegittimi …). Egli preferi-

va immagini che lo ritraevano a caccia, sia per rispecchiarne la

sua indole, che per avvicinarlo alla gente, così come frequenti

furono i ritratti insieme alla “bella Rosina” (sua amante da quan-

do aveva 14 anni, poi divenuta contessa di Mirafiori). I ritratti

ufficiali lo immortalarono con l‟immancabile sciabola (che servi-

va anche a dare equilibrio alla scena …) e il petto pieno di meda-

glie, con lo sguardo raramente indirizzato verso l‟osservatore,

più spesso rivolto di tre quarti, verso gloriosi orizzonti.

L. Montabone – Valsavaranche 1865 ca

PIO IX

Se per il re la foto aveva più valore di souvenir e di scatto priva-

to, per Mastai Ferretti esso divenne strumento di foto-cronaca,

facendone un uso pubblico, dando un valore pubblico alle sue

azioni di pontefice, che negli anni ‟60-‟70, dopo gli entusiasmi

generati dalle sue aperture liberali, ebbe un atteggiamento rea-

zionario ma non chiuso verso le nuove tecnologie.

Quindi la gran parte delle immagini lo ritrassero nel corso di

cerimonie collettive, che potevano essere di tipo religioso, come

nel 1857, quando proclamò il dogma dell‟Immacolata Conce-

zione, o durante le esercitazioni dell‟esercito (durante le quali si

creavano coreografie a produrre la scritta viva Pio IX), o mentre

riceveva l‟esule Francesco II ad Anzio nel 1865. è da ricordare

che ritrattisti ufficiali furono i fratelli D‟Alessandri, di origini

aquilane.

F.lli D’Alessandri – Campi d’Annibale 1868

I MILLE Nel mondo iconografico risorgimentale, un posto a parte ebbe

L’album dei mille,

Il fotografo milanese Alessandro Pavia (con studio prima a Geno-

va, poi a Milano) raccolse i ritratti dei compagni dei Garibaldi

(manca la foto dell’unico abruzzese, Pietro Baiocchi di Atri, mor-

to a Palermo nel maggio 1860).

Egli, che della sua opera affermò: “io non cercai con essa la glo-

ria di artista, ma volli far opera di cittadino”, andò in giro per

l‟Italia o commissionò a terzi i ritratti. In realtà si trattò di

un‟operazione economica, parzialmente fallita per l‟alto costo

della pubblicazione (460 lire), che mirava a cavalcare l‟onda

emotiva generata dall‟impresa delle camicie rosse.

L‟album era non solo un contenitore, ma anche un oggetto d‟arte,

con borchie di decoro in bronzo, foto acquerellate, copertina in

pelle preziosa.

Esso comunque costituì un monumento iconografico che voleva

creare identificazione negli osservatori. Lo stesso “eroe dei due

mondi” ne consigliava l‟acquisto: “Raccomando all‟Italia, suppli-

rà alla debole mia memoria”.

Ritratti uguali come posa ma diversi perché identificativi per ogni

singolo protagonista. Si venne così a creare un pantheon portatile.

L’album dei Mille

Alessandro Pavia 1863-67

IL RISORGIMENTO IN POSA

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VM Ottobre 2011

SEPOLCRI

Allo stesso modo le esequie servirono per creare un senso comu-

ne, onorando sia gli eroi moderni, che quelli precedenti, come

Manin e Foscolo (di cui è inutile qui ripercorrerne il cammino),

sorta di padri fondatori della patria.

Al di là delle volontà espresse (è il caso di Garibaldi, che voleva

esequie templi, ma ne ebbe di solenni), quello che si nota è la

scenografia, il concorso di folla, l‟ambientazione melodrammati-

ca.

“Apoteosi di Garibaldi” – Roma 1882

I LUOGHI

I panorami risorgimentali sono stati particolari forme di paesaggio.

Anche in questo caso non comparivano mai i combattimenti (al

massimo, come in una foto dei D‟Alessandri a Mentana, appariva

un corpo, ma composto, forse addirittura un figurante messo appo-

sta lì …). Il protagonista, anche nella forma stereoscopica, antenata

del moderno tridimensionale, era il luogo, o meglio, il nome del

luogo, che dava valore all‟immagine. Un po‟ come negli album di

figurine, uno scatto assumeva valore in relazione con gli altri. Non

c‟era distruzione, non c‟era la morte: allo spettatore era lasciato il

compito di evocare, immaginare, ricordare. La veduta divenne un

monumento del ricordo, un luogo della memoria che contribuì note-

volmente a creare una coscienza, una cultura nazionale. Si poteva

fare un pellegrinaggio senza muoversi da casa: far conoscere l‟Italia

agli italiani. Le immagini di Ludovico Tuminello riguardanti Roma

si discostarono dal clichè della foto con le rovine, poiché mostrava-

no ambulanze improvvisate, cannoni pronti per una inutile difesa,

ma anche luoghi ameni, come un laghetto di un parco, in contrasto

con le scene di guerra, con la polvere e il fumo della battaglia. Tu-

minello era un fuoriuscito, costretto all‟esilio dopo la Repubblica

Romana: tornava quindi a casa dopo più di venti anni,quindi era

animato dall‟idea di riprendere tutto, di documentare il reale, senza

gerarchie, di mostrare la resa del papa-re. Quella della breccia di

Porta Pia è divenuta l‟immagine simbolo del Risorgimento, quella

emblematica dell‟Italia unita. In realtà essa non era “vera”: le im-

magini “vere” furono altre, che facevano vedere dove erano entrati i

bersaglieri: non gloriosamente, come passando in un arco di trionfo,

dalla porta, ma più a destra, come osservavano curiosi i passanti. E

allora? Ancora una volta il verosimile risultava ben più significativo

del reale: i “bersaglieri “ ricreavano la scena, illusionistica e teatra-

le. Il provvidenziale terrapieno all‟altezza della porta permetteva di

produrre la mise en scène, con i soldati che sparavano, o meglio

puntavano le armi verso il nemico invisibile (zuavi francesi? papali-

ni?): simbolicamente era l‟Italia intera che spingeva il nemico

dell‟unità a rinchiudersi, ad autoisolarsi. Il danese George Branders

scrisse “è stato attraverso questa breccia che il primo raggio di sole,

da secoli, è penetrato nella città dove Giordano Bruno venne brucia-

to e Galilei torturato”.

E poco importava se il bersagliere era in realtà una sagoma che

stava in piedi o stesa a simulare il morto in battaglia …

IL RISORGIMENTO IN POSA

Porta Pia

CHERCHEZ LA FEMME

Il ruolo della donna era codificato, come custode del focolare, ga-

rante della famiglia, madre e moglie esemplare. La fotografia ne

esaltò la figura come madre di eroi (la Bono Cairoli), o come icona

dell‟azione impegnata, come nel caso della White Mario, detta

Miss Uragano per la sua forza (giornalista, quattro volte al seguito

di Garibaldi come infermiera, polemista, agit prop …), o come

guida al fianco del marito in difesa della patria (Maria Sofia di

Borbone con alle spalle i cannoni, rievocandone le gesta come

quando a cavallo andava da una batteria all‟altra per incitare alla

difesa nell‟assedio di Gaeta ) .

Nel caso di quest‟ultima venne creata ad arte una campagna diffa-

matoria, come quando venne diffusa una foto che la ritraeva nuda.

Si trattava di un fotomontaggio realizzato montando la sua testa

sul corpo di una modella (Costanza Vaccari Diotallevi). Maria

Sofia aveva (per l‟epoca…) un atteggiamento in generale disinibi-

to, che ne causò critiche in ambiente vaticano, per cui si disse che il

fotomontaggio fu dovuto alla curia, mentre in realtà i colpevoli

furono patrioti piemontesi che volevano gettare discredito verso i

sovrani napoletani e verso la stessa curia che li ospitava.

Maria Sofia di Borbone 1861-62

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FATTA L’ITALIA

Quale Italia venne immortalata? Quali Italiani? Fare gli italiani

significò, come sappiamo, creare un senso comune, combattere

l‟ignoranza, le malattie, costruire strutture e infrastrutture.

Problemi che portarono migliaia di persone ad emigrare.

Spesso chi ha scattato volti, persone, era un intellettuale, o un

pittore, come Michetti, che se ne serviva come modelli per le

sue opere: “volti veri, di una cruda e triste realtà”, come affer-

mò d‟Annunzio.

Persone che appartenevano a un mondo rurale, arcaico, come

era ancora molta Italia.

Nelle immagini vennero a convergere visioni folcloriche e di

stampo positivista.

Il Sud non era formato solo dalle barricate di Palermo o dai

panorami dei luoghi delle battaglie.

Occorreva mostrare la gente. Alla stessa stregua delle foto di

Pietroburgo riprese da Carrick, che mostravano la fine della

servitù della gleba, si prendevano i popolani, li si mettevano in

posa in uno studio, con finti paesaggi come fondali.

Mentre in Carrick il fine era anche politico, nel nostro caso si

voleva perpetuare l‟idea romantica, pittoresca dell‟Italia; siamo

ancora lontani dal realismo di Street Life in London di John

Thomson e Adolphe Smith in cui foto e testi mostravano il

volto della città.

Dunque il fine artistico prevaleva su quello sociale, il pittorico

sull‟antropologico.

Fu dopo il ‟70, principalmente dagli anni ‟80 che cambiò la

prospettiva in tal senso, grazie allo sviluppo tecnico, ma anche

grazie ad un approccio critico nei confronti della fotografia da

parte di intellettuali come Capuana e Verga. In quegli anni le

inchieste parlamentari e statistiche avevano bisogno di dati

oggettivi, univocamente interpretabili, e la fotografia non pote-

va essere utile. Lo fu per altre inchieste: quella poliziesca, con

scopi esemplari, selettiva e tipizzante (di stampo lombrosiano)

e quella filantropica, che andava alla ricerca del “caso”, quindi

accettando le implicazioni emotive date dalla foto.

VM Ottobre 2011

IL RISORGIMENTO IN POSA

MONUMENTOMANIA

Nel 1872 con la prima celebrazione dell‟Unità, il Risorgimento ebbe

la sua apoteosi; la retorica prevalse; l‟inquadratura dava profondità

alla scena con i monumenti in primo piano, il palazzo, erede di vetuste

glorie, pronto ad accogliere il nuovo potere.

Altra missione sarebbe spettata all‟apparecchio fotografico: quella di

riprendere le città dell‟Italia unita, con le lapidi dedicate a fatti ed eroi,

le targhe (qui soggiornò Garibaldi etc), i monumenti commemorativi

(si parlò di monumentomania), i nuovi edifici (ad esempio la Mole

Antonelliana nel „63, la galleria Vittorio Emanuele II di Milano nel

„65) diventando così cronaca artistica e al contempo cronaca patriotti-

ca. Inoltre, fatto non secondario – anzi – raccontò passo dopo passo il

nuovo spazio, le nuove scenografie, anche a scapito della gloria e dei

monumenti passati, ora non più funzionali, che lasciarono il posto al

nuovo ordine.

prima festa italiana – Campidoglio 1872

Breve nota bibliografica.

Chi volesse approfondire aspetti legati al rapporto tra fotografia e Ri-

sorgimento, può consultare, tra gli altri, i seguenti testi:

Marco Pizzo (a cura di), Fotografie del Risorgimento Italiano, Roma,

Cangemi Editore, 2004 (Istituto per la storia del Risorgimento Italiano

– Repertori del Museo Centrale del Risorgimento, 1)

Marco Pizzo, L’Album dei Mille di Alessandro Pavia, Cangemi Edito-

re, Roma, 2004 (Istituto per la storia del Risorgimento Italiano – Reper-

tori del Museo Centrale del Risorgimento, 2)

Marco Pizzo, Lo Stivale di Garibaldi. Il Risorgimento in fotografia,

Mondadori, Milano, 2011

Michele Smargiassi, Un’autentica bugia. La fotografia, il vero, il falso.

Contrasto Due, Roma, 2009

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VM Ottobre 2011

Un Esercito di professionisti

Ore 0800 del mattino, inizia nei piazzali delle

caserme la cerimonia dell'alza bandiera. I

reparti sono allineati, un solo ordine e uomini

e donne dell'esercito italiano intonano l'inno di

Mameli. Sono professionisti e si nota subito

per la perfetta sincronia delle operazioni. La

leva obbligatoria è stata sospesa ed ora chi

entra a far parte delle Forze Armate lo fa per

propria volontà. Le Unità sono in termini di

numero assai ridotte rispetto a quelle degli

anni 80, ma sono preparate e pronte ad inter-

venire con spiccata professionalità. La strada

che ha portato alla trasformazione

dell‟esercito di leva a quello attuale non è

stata semplice, anzi si sono dovute superare

parecchie difficoltà e diffidenze.

Il 4 maggio 1861 comparve sul Giornale Mili-

tare la seguente Nota: Vista la legge in data

17 marzo, colla quale S.M. ha assunto il titolo

di Re d’Italia, il sottoscritto – il Ministro della

Guerra M. Fanti - rende noto a tutte le autori-

tà, Corpi ed Uffici militari che d’ora in poi il

Regio Esercito dovrà prendere il nome di

Esercito Italiano, rimanendo abolita l’antica

denominazione di Armata Sarda.. Qualche

giorno prima, a seguito dello scioglimento

dell‟esercito garibaldino, e per disposizione di

Cavour, molto sospettoso nei confronti degli

stessi garibaldini e dei lori comandanti, veni-

va istituito il Corpo Volontari Italiani con

l‟intenzione di mantenere, almeno in apparen-

za, in servizio gli ufficiali garibaldini, questi

successivamente vennero posti in aspettativa,

decretando in tal modo la chiusura di questo

Corpo, sciolto definitivamente con decreto del

28 marzo 1862, dopo però aver ammesso circa

duemila ufficiali garibaldini nell‟esercito ita-

liano. Così terminava la prima sperimentazio-

ne di Unità costituita da soli “volontari pro-

fessionisti”. Li ritroveremo, per un breve peri-

odo, impegnati nella 3^ guerra d'indipenden-

za, al seguito di Garibaldi. Da allora la storia

dell‟esercito è stata caratterizzata da una lunga

serie di riforme, mobilitazioni e smobilitazio-

ni, sono stati adottate varie configurazioni ed

ordinamenti che in qualche modo si adeguava-

no alle risorse finanziarie destinate alla difesa,

ma la prevenzione nei confronti dei volontari

non venne mai meno fino agli anni quaranta.

E‟ nota la diffidenza di Cadorna verso i volon-

tari provenienti dall‟irredentismo.

L‟esigenza di operare una profonda trasfor-

mazione dello strumento militare nazionale,

modificando il meccanismo della alimenta-

zione del personale di truppa da quello basato

sulla coscrizione obbligatoria a quello im-

prontato ad una stretta volontarietà, si concre-

tizza solo all‟inizio di questo secolo con la

legge 14 novembre 2000, n. 331 Norme per

l’istituzione del servizio militare professiona-

le, che trova la sua disciplina attutiva nel

decreto legislativo 8 maggio 2001, n. 215

Disposizioni per disciplinare la trasforma zio

ne progressiva dello strumento militare in

professionale, modificato con il decreto legi-

slativo 31 luglio 2003, n. 236.

Questa “rivoluzione” è stata la necessaria

conseguenza, da un lato, della spiccata spe-

cializzazione professionale e tecnologica

indispensabile per l‟utilizzazione, anche ai

più bassi livelli di impiego, degli armamenti

in dotazione alle Forze Armate, e, dall‟altro,

dei profondi mutamenti socio-politici che

hanno caratterizzato, alla fine del secolo scor-

so, lo scenario internazionale con la caduta

del muro di Berlino che hanno indotto tutte le

principali nazioni a rivedere la loro politica

estera e di difesa.

Questo ha comportato per l'Italia un profondo

ripensamento del ruolo da ricoprire nell'am-

bito delle alleanze militari e del contesto in-

ternazionale, con la conseguente modifica

delle missioni affidate all'esercito, estenden-

do il concetto di difesa, ancorato ancora alla

tutela del territorio nazionale, alla salvaguar-

dia anche degli interessi geostrategici del

Paese. Così si è sentita l‟esigenza di disporre

di unità anche a livello Brigata, costituite da

soli volontari, “spendibili” all‟estero. Questo

fu l‟atto conclusivo di un cambiamento già in

atto da parecchi anni; in effetti la professiona-

lizzazione, a livello di truppa, dell‟Esercito

italiano è avvenuta per passi successivi dopo

varie esperienze e non sempre con esiti positi-

vi. Inoltre non è da sottacere l‟aperta contra-

rietà che per molti anni caratterizzò una parte

della popolazione italiana nei riguardi di un

esercito costituito da soli professio-

nisti.

I volontari Lo Stato Maggiore, già nel dopo-

guerra aveva adottato alcuni prov-

vedimenti, per costituire piccole

(relativamente alla forza bilanciata)

aliquote di volontari di truppa a

lunga ferma. Nel 1945 veniva per-

seguito l‟obiettivo di impiegare

volontari a ferma biennale negli

incarichi specialistici. Dopo un

periodo di “incomprensioni” con il

Ministero del Tesoro (la storia inse-

gna…) a causa degli oneri aggiunti-

vi da sostenere, nel 1948 fu conces-

sa la facoltà di indire arruolamenti

volontari di specializzati

dell‟Esercito, con ferma triennale. I

Volontari Allievi Specializzati

(VAS) conseguivano il brevetto di

specializzazione mediante esperi-

mento teorico-pratico al termine di

appositi corsi, di durata variabile tra

le 25 e 39 settimane.

Ma gli arruolamenti non raggiunse-

ro numeri significativi e risultati

qualitativi soddisfacenti.

Nel 1964 l‟Esercito e l‟Aeronautica sospesero

i corsi di volontari specializzati, ormai non più

remunerativi sotto il profilo costo-efficacia.

Nel 1974 l‟Esercito introdusse la categoria dei

militari in ferma biennale con la qualifica di

“volontari tecnici operativi” (VTO). L‟iter

formativo dei VTO prevedeva un addestra-

mento di base presso l‟80° battaglione a Cas-

sino e poi corsi di specializzazione nelle varie

scuole militari. Anche questo tipo di arruola-

mento non produsse gli effetti auspicati, que-

sto soprattutto per l‟incerto sbocco i carriera

ed il conseguente status di precario, veniva

quindi soppresso l‟arruolamento dei VTO

sostituendolo con la commutazione a doman-

da della ferma ordinaria di leva con una

“ferma di leva prolungata” biennale e trienna-

le; con la legge n. 958 del 1986, si delineava

per la prima volta la figura professionale del

volontario in ferma di leva prolungata,

(VFLP) prevedendone il reclutamento priori-

tariamente dai militari di leva e, in subordine,

dai civili. Le domande di commutazione della

ferma dovevano essere presentate entro il

decimo giorno dall‟incorporazione, tuttavia,

siffatta esperienza non produsse risultati del

tutto soddisfacenti, a causa di un rendimento

qualitativo che non risultava confacente alle

mutate esigenze della Forza Armata, anche a

causa della permanenza dei VFLP nella stessa

sede (che agevolava l‟assegnazione

d‟incarichi logistico-amministrativi).

(continua a pagina 7)

I VOLONTARI NELL’ESERCITO ITALIANO

Gen. Carlo Luciani

Immagine tratta da un opuscolo dello S.M.E.

Page 7: vox militiae anno x 2011 n.3

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VM Ottobre 2011

(continua da pagina 6)

A partire dal 1992 attraverso l‟emanazione di

successivi provvedimenti legislativi, fu possi-

bile destinare questa tipologia di volontari ad

incarichi prettamente operativi, grazie alla

previsione di un ulteriore prolungamento della

ferma, che permise di migliorarne

l‟addestramento e di ampliare le riserve teori-

che di posti nelle Amministrazioni civili, ren-

dendosi così, di fatto, più appetibile tale op-

zione.

Il provvedimento in cui sono ravvisabili le

premesse della professionalizzazione delle

Forze Armate è stato, tuttavia, il decreto legi-

slativo n. 196 del 1995, che istituiva la figura

del volontario in ferma breve, con durata ini-

ziale di tre anni, estendibile a cinque anni su

domanda ed in base alle esigenze della Forza

Armata. I volontari in ferma breve -VFB- ora

sostituiti con i VFP4 (Volontari in ferma pre-

fissata di quattro anni), costituirono il bacino

privilegiato da cui fu possibile trarre il perso-

nale in servizio permanente, non solo per le

Forze Armate ma anche per i Corpi Armati e

le Forze di Polizia. Si profilava così un

«primo livello», già significativamente munito

in termini di capacità professionale e con sta-

tus chiaramente definito e disciplinato dalla

normativa vigente. Le possibilità di carriera

offerte ai volontari in ferma breve o prefissata,

con la previsione di transito nel ruolo di vo-

lontari in servizio permanente e successiva-

mente, in quelli dei Sergenti, dei Marescialli e

degli Ufficiali, nonché l‟assegnazione ad inca-

richi prevalentemente operativi – spesso assol-

ti al di fuori del territorio nazionale. Infine i

volontari in servizio permanente – VSP – che

hanno il proprio fondamento giuridico nel

citato decreto legislativo n. 196 del 1995,

costituiscono la base della piramide relativa al

personale con rapporto d‟impiego stabile con

lo Stato. I VSP, oltre a determinare, unitamen-

te ai volontari in ferma prefissata, il «nocciolo

duro» dell‟intero strumento, sono destinati

anche a svolgere elementari funzioni di co-

mando, implicanti una particolare assunzione

di responsabilità.

Come già sopra ricordato, la disponibilità, in

termini numerici, di volontari è stata la chiave

di volta della professionalizzazione ed è stato

conseguentemente uno degli obiettivi primari

per garantire un adeguato passaggio delle

Forze Armate ad uno strumento interamente

professionale, senza subire traumi organizzati-

vi o brusche diminuzioni di funzionalità, a tale

scopo sono stati introdotti i volontari a ferma

annuale VFA ora VFP1, anello di congiunzio-

ne tra il “civile” ed il volontario professioni-

sta, che oltre ad assicurare il completamento

della forza di alcune unità permettono una

selezione più accurata del personale intenzio-

nato a proseguire la carriera militare.

Servizio Volontario Femminile

Su proposta dell‟onorevole Spini, venne ap-

provata a larga maggioranza la legge 20 otto

bre 1999 n.

380 che istitui-

va il servizio

militare volon-

tario femmini-

le, ciò rivolu-

zionò la fisio-

nomia

dell‟esercito e

per le donne si

aprirono nuove

prospettive

lavorative.

Non aveva più

nessun senso,

infatti, riserva-

re interamente all‟uomo le attività finalizzate

alla difesa del nostro paese, negando alle don-

ne la possibilità di intraprendere la carriera

militare.

Per quanto concerne il processo di attuazione

dell‟arruolamento di personale femminile,

dopo un iniziale e prevedibile effetto di novi-

tà, si e„ verificato un consolidamento delle

«vocazioni», con una diminuzione numerica

delle partecipazioni ai concorsi tale da attesta-

re le adesioni del personale femminile sui

trend di reclutamento dei principali eserciti

europei. Tuttavia, le citate adesioni di perso-

nale femminile risultano adeguate alle attuali

potenzialità formative e infrastrutturali della

Forza Armata. Gli incarichi che le donne

ricoprono ed i criteri d'impiego, anche nei

teatri operativi, sono gli stessi utilizzati per il

personale maschile. Al conseguimento della

specializzazione il personale è assegnato in

maggioranza alle Unità operative della Forza

Armata (cioè i reparti predesignati per le mis-

sioni «fuori area»), tenendo conto di inviare

«pacchetti» di circa 25-35 unità per ognuno

dei Reggimenti designati, di non costituire

unità organiche di solo personale femminile, e

mantenendo presenza e visibilità in tutte le

branche (operative, logistiche ed amministrati-

ve) del reparto.

Conclusioni

Con la completa professionalizzazione, l'Eser-

cito Italiano ha sicuramente annullato il gap

che aveva con gli eserciti europei, sia perchè

ha aumentato la propria capacità operativa e lo

spettro delle missioni, sia perché ora dispone

di unità impiegabili in operazioni fuori area,

con un conseguente incremento della conside-

razione in ambito internazionale. Ma, e non

vuole essere una domanda retorica, poteva

essere “conservata” una aliquota di personale

proveniente dalla leva, in sintesi poteva essere

adottata una struttura mista? In termini di costi

mantenere una componente di leva per svolge-

re mansioni di supporto, avrebbe portato dei

vantaggi, evitando, inoltre, di dequalificare

personale professionista, ma forse si sarebbe

creata una frattura interna tra l'esercito d'èlite

e quello di supporto. Per ora una cosa è certa

lo Stato deve essere molto grato a questo eser-

cito di volontari che giornalmente svolge con

molto onore e pochi onori, un servizio prezio-

so per la nostra Patria.

Page 8: vox militiae anno x 2011 n.3

8

Aprile e Ottobre 2007: Missione

Min. D‟Alema

VM Ottobre 2011

La società civile ha sempre riconosciuto

all‟organizzazione militare un particolare

prestigio dovuto soprattutto al fatto che ad

essa chiedeva di rappresentarla e difenderla;

in realtà alla legittimazione non seguiva

automaticamente il consenso. Lo stesso Ma-

chiavelli nell‟”Arte della guerra” ne parla,

lamentando il fatto che la coscienza colletti-

va riteneva incompatibili vita civile e vita

militare.

Il mondo militare è rimasto, pertanto, quasi

sempre confinato nell‟immaginario sociale,

come se si volesse allontanare lo spettro

della guerra con la rimozione dell‟istituzione

deputata a condurla. E anche quando si è

passati alla coscrizione obbligatoria, questo

divario è rimasto, evidenziando due realtà

separate nella cultura e nell‟immaginario

collettivo.

Per contro le Forze Armate, vincolate dalla

riservatezza o dal segreto dei flussi comuni-

cativi e, per tradizione, diffidenti verso gli

operatori dei media percepiti come tenden-

zialmente portati a sfruttare gli eventi negati-

vi a sfavore dell‟istituzione militare, hanno

preferito nel passato ignorare il rapporto con

i mezzi di comunicazione di massa.

In Italia questa incomunicabilità, tranne nel

periodo della propaganda fascista peraltro

gestita unilateralmente dal regime attraverso

il Ministero della Cultura Popolare

(Min.Cul.Pop.), è stata resa particolarmente

significativa da una condizione storica di

separatezza regionale, con tanti Stati sotto

autorità diverse e con eserciti diversi.

Né la loro unificazione ha comportato un

processo di integrazione veloce e automati-

co: in merito è opportuno sottolineare che la

coscrizione obbligatoria, ponendo fianco a

fianco giovani italiani con usi, costumi, idio-

mi e tradizioni diverse, ha svolto

un‟importante funzione sociale di integrazio-

ne che ha contribuito notevolmente

all‟unificazione effettiva del Paese.

Fu solo negli anni ‟90, a seguito dei rivolu-

zionari eventi internazionali che si verifica-

rono in quel periodo e i sempre più numerosi

impegni - all‟interno del territorio per ordine

pubblico (Operazioni Forza Paris, Vespri

Siciliani, Riace, Partenope, Testuggine, Sa-

lento) e fuori dai confini nelle operazioni di

peace keeping (Kurdistan, Albania, Mozam-

bico, Somalia, Bosnia) - a cui furono chia-

mate le Forze Armate italiane, che

nell‟opinione pubblica avvenne un forte

processo di rielaborazione dell‟immagine del

militare, e sulla base di questa spinta sembrò

cambiare anche l‟atteggiamento dei mass-

media.

Ed è qui che i vertici dell‟Esercito, sulla spinta

anche del processo di trasformazione che

caratterizzò tutta la Pubblica Amministrazione

(Legge n.142/90 sulle regole per l’autonomia

degli enti e Legge n. 241/90 sulla trasparenza

amministrativa), sentirono il passo del nuovo:

si concepì una precisa

strategia che coinvol-

gesse anche la periferia,

si riorganizzò la propria

struttura comunicativa

potenziandola in tutto il

territorio nazionale e,

f i n a l m e n t e , s i

“cominciò” a comuni-

care .

Infine, la Legge del 7

giugno 2000 n. 150

sugli Uffici Stampa,

che dettava le norme

per la disciplina della

c o mu n i c a z i o n e e

dell‟informazione pub-

blica e consentiva alle

Amministrazioni dello stato di dotarsi di

portavoce e ufficio stampa costituito da per-

sonale iscritto all‟albo dei giornalisti (oppure

reperito all‟interno della pubblica ammini-

strazione tra coloro in possesso dei i titoli),

accelerò questo processo di apertura e rivolu-

zionò il modo di porsi delle Forze Armate

specie nei confronti dei media.

Volendo sintetizzare, possiamo dire che

questo processo di trasformazione si è verifi-

cato grazie alla sinergia di tre aspetti:

- quello normativo, legato, cioè, a leggi quali

quella sulla trasparenza o sulla formazione

del personale;

- quello tecnologico, legato alla informatiz-

zazione sempre maggiore degli Uffici Pub-

blici;

- quello relazionale, relativo, infine, al muta-

to rapporto tra Amministrazione e cittadino,

che ora diventa paritario e che tende a far

aumentare la consapevolezza e la partecipa-

zione da parte di quest‟ultimo alla vita pub-

blica del proprio Paese.

Ma cosa vuol dire comunicare?

Comunicare non significa “mandare messag-

gi”, ancora meno “tentare di apparire” su un

video accanto al cronista di turno, ma intera-

gire, mettere in comune, compiere un atto

sociale e reciproco di partecipazione tra indi-

vidui e gruppi diversi, utilizzando simboli

significativi. E la comunicazione, come nuo-

vo modo di rapportarsi con il cittadino, vin-

cola tutte le Istituzioni stimolandole a prose-

guire in un percorso evolutivo legato a nuove

applicazioni, nuove metodologie, nuove

tecnologie.

I requisiti per lo svolgimento delle attività

comunicativa, in particolare per le qualifiche

superiori, sono: l‟iscrizione all‟albo naziona-

le dei giornalisti per il capo Ufficio Stampa e

gli addetti stampa, e il possesso di un titolo

di studio in comunicazione o materie assimi-

labili a livello universitario o post-

universitario (specializzazione, perfeziona-

mento, master) per dirigenti e funzionari.

Sempre la legge n. 150 prevede inoltre che le

Amministrazioni possono scegliere nel pro-

prio ambito i comunicatori pubblici che sa-

ranno formati in specifici corsi dalla Scuola

superiore della pubblica amministrazione,

dalle università e da strutture pubbliche e

private con finalità formative.

Ed è qui che nasce il comunicatore militare.

Ma per le Forze Armate, specie per le unità

impiegate nei teatri operativi, le cose non

sono proprio così semplici e rimane l‟eterno

dilemma: dire tutto per soddisfare il bisogno

di notizie dell‟opinione pubblica, oppure

limitare la comunicazione di notizie imba-

razzanti e tali da generare effetti negativi

difficilmente controllabili? Abbiamo già

visto in più occasioni come il comportamen-

to anche di piccoli numeri di militari abbia

danneggiato gravemente l‟immagine di una

nazione e dei suoi contingenti creando pro-

blemi di sicurezza per il personale.

Per prevenire situazioni di crisi mediatica

occorre ovviamente esercitare una delle fun-

zioni tipiche dell‟azione di comando, quella

di controllo, che dovrebbe riguardare tutto il

personale ma, in particolare, indirizzare

l‟azione del comunicatore.

Ma come stanno le cose dal punto di vista

del comunicatore militare?

Il comunicatore militare ha una doppia pro-

fessionalità, militare e comunicatore, e cia-

scuna di queste professionalità è soggetta ad

un proprio codice deontologico, entrambi

molto forti e sostenuti da etiche precise e non

sempre coincidenti (ne sono prova, ad esem-

pio, l‟inconciliabilità tra il rispetto della

trasparenza e la tutela della riservatezza in

alcuni atti militari). E allora, quale dovrà

essere il suo comportamento?

Non è semplice trovare una risposta a questa

domanda. Ma risulta evidente che nel comu-

nicatore militare prevarrà il rispetto per

l‟etica militare che, avendo tra i suoi pilastri

il Regolamento di Disciplina basato sul man-

tenimento dell'ordine e sull‟osservanza

dell'obbedienza, rischierà fatalmente di mor-

tificare la deontologia del comunicatore.

Comunicazione Militare e Comunicatori

di Zopito DI GIOVACCHINO

Page 9: vox militiae anno x 2011 n.3

9

VM Ottobre 2011

La spedizione militare che si svolge nella

notte tra il dieci e l‟undici di febbraio

nell‟anno 1918 passata alla storia come la “

Beffa di Buccari” ( in croato Bakar ) ebbe il

grande merito di dare un rinvigorimento di

speranza alle truppe che si trovavano sul Car-

so.

L‟azione fu annoverata dagli storici “ tra le

imprese più audaci del conflitto “.

Fu un evento che segnò la riscossa

dell‟esercito Italiano dopo la grave sconfitta di

Caporetto verificatasi nel 1917.

A seguito dell‟estenuante attesa dell‟ordine di

iniziare l‟impresa, finalmente il 9 febbraio

1918 D’Annunzio annuncia a Ciano e Rizzo

che c‟è un conto da saldare con il popolo au-

striaco e di vendicare la battaglia di Lissa.

Udendo quel nome Rizzo ha un tonfo al cuore

poiché suo zio era morto proprio in quel com-

battimento e ad ucciderlo erano stati gli au-

striaci con la pece bollente.

A quell‟annuncio del poeta di iniziare la batta-

glia Rizzo, con la faccia quadrata ma tirata

dalla stanchezza “si apre al sorriso e dice: E‟

una pazzia, ma ormai è deciso…e il

d‟Annunzio lo carica affermando “ L‟audacia

è dei forti…e dei forti è la fortuna”.

Il poeta prese parte in maniera impavida a

questa spedizione e in un suo diario ci descri-

ve in maniera dettagliata tutta la gloriosa ge-

sta.

Egli usa una particolare attenzione nella pre-

parazione del corpo.

La descrizione delle cure, afferma, diventano

“profonde come un rito funebre”.

Si trova tra le mani due vasetti di unguento

contro il gelo: uno è intatto, l‟altro manomes-

so dal dito indice e medio di Maurizio Paglia-

no, compagno fraterno morto sul Cattaro.

Gabriele D‟Annunzio in un arcano silenzio

esita se usare l‟una o l‟altro .

La pietà e il ricordo struggente dell‟amico gli

fa dilaniare il cuore e il solo pensiero di pog-

giare le sue dita dove le aveva poste il suo

caro compagno di battaglie lo riempie di emo-

zione.

Infine avvolto nel silenzio dello straziante

ricordo decide di usare il vasetto con le im-

pronte del fraterno amico e si domanda : “Non

sono forse maturo per la morte” ?

Dalla descrizione sembra poter vedere il poeta

Gabriele D‟Annunzio che nell‟imminenza

della partenza a bordo dei tre M.A.S. ( Moto-

scafi Armati SVAN ) parla ai trenta

uomini allineati contro un muro di

mattoni del colore del sangue aggru-

mato alla Giudecca.

Quella fila di uomini è pervasa da una

coesione così forte ed il connubio di

spiriti ed intenti è tale che farà dire al

Poeta che “ più dei motori possono i

cuori” e che “credo che di rado uomini

furono così compiutamente pronti ad

un‟azione disegnata”.

La coesione tra equipaggio ed il capo è

come “ innesto e percotitoio “ e a di-

mostrazione di questa unione è la

canzone del Quarnaro “ Siamo trenta

d‟una sorte, e trentuno con la morte”.

D‟Annunzio parlando agli uomini, pur

non manifestando il luogo dove si

terrà l‟azione bellica, afferma che “ La

nostra impresa è tanto audace che già

questa partenza è una vittoria sopra la sorte.

Per ciascuno di Voi l‟averla compiuta sarà un

onore perpetuo. Domani il vostro nome , dora-

to come il siluro e diritto come la sua traietto-

ria, traverserà l‟ aspettazione della Patria “.

Al comando della spedizione è Costanzo Cia-

no medaglia d‟oro al valor militare attribuita

con la seguente indicazione “ Al comando di

una squadriglia di MAS percorreva novanta

miglia entro mari nemici, spingendosi per

angusti e sinuosi canali, sorpassando strettoie

difese da artiglierie ecc..” Buccari 1918 .

Come già esposto tra i partecipanti alla spedi-

zione è Luigi Rizzo ( medaglia d‟argento ) e il

volontario Gabriele D‟Annunzio ( medaglia

d‟argento ).

Luigi Rizzo, la settimana prima dell‟audace

impresa, con il suo mas era entrato impavido

da solo a Trieste e aveva affondato la corazza-

ta Wien. A riprova della sua temerarietà era il

suo amore per l‟azzardo purché ci fosse qual-

cosa da affondare.

I MAS impiegati per l‟eroica spedizione erano

tre: 94, 95, 96, del tipo Orlando 12 T una ver-

sione modificata dello Svan 12TE e possede-

vano un apparato ausiliario per la marcia si-

lenziosa a bassa velocità .

Le imbarcazioni erano rimorchiate ciascuna

da una torpediniera e protette da unità leggere,

i trenta dopo quattordici ore di navigazione

iniziarono a dirigersi verso l‟isola di Cherso e

la costa Istriana fino alla baia di Buccari dove,

secondo le informazioni dei servizi segreti,

erano attraccate le navi

austriache.

Dietro la ruota del timone

sta il motto “Memento

Audere Semper “ è un

latino che comprendono

tutti i marinai “ come se

fossero addottorati in Sala-

manca ( la più antica uni-

versità spagnola fondata

nel 1218 ).

“ Memento .Aaudere Sem-

per “ fu il motto che il

Vate urlò, rompendo il silenzio della traversa-

ta, per rincuorare i trenta arditi della spedizio-

ne . La foschia ricorda il D‟Annunzio nelle

pagine del diario è così fitta che non si scor-

ge né la costa di Cherso né quella dell‟Istria

ma le imbarcazioni procedono nel silenzio

ovattato della nebbia. “ Il silenzio è il nostro

timoniere più fido “ afferma D‟Annunzio .

Il poeta riflette su un percorso introspettivo e

si pone domande ancestrali che lo portano ad

affermare “ Credo che mai da che faccio la

guerra il sogno abbia tanto perfettamente ade-

rito all‟azione “ .

Non ci sono rumori , non ci sono luci il silen-

zio è rotto da un timido gorgheggio di un “

usignoletto inesperto” , qualcuno chiede di

che specie sia. “Canta in italiano “ risponde

D‟Annunzio .

Canta in italiano tutta la spedizione ancorché

sterile di risultati materiali fu come una cam-

pana che ebbe il pregio di sostenere psicologi-

camente le truppe e gli italiani tutti e fu cono-

sciuta anche all‟estero.

Gli austriaci temevano fortemente il

D‟Annunzio tanto che sul Suo capo misero

una taglia enorme per l‟epoca cioè di 20.000

corone d‟oro (pari agli attuali 175.000 €.).

Egli era passato dalla vita gaudente in Francia

dove si svolgeva l‟ultima parte della epoca

chiamata “Belle” alle azioni militari su Trie-

ste, Pola, Cattaro.

La spedizione che “ canta in italiano “ mise

in ridicolo tutto l‟esercito imperiale austro-

ungarico nonostante i siluri lanciati dai tre

MAS (tranne uno) si fossero impigliati alle

reti che erano a protezio-

ne della baia, il messag-

gio contenuto nelle tre

bottiglie ornate con na-

stro tricolore ebbe una

deflagrazione propagan-

dista, come fosse una

grande vittoria, una sorta

di NIKE alata..

(continua a pagina 10)

Canta in italiano… (dal diario di Gabriele D’Annunzio)

Di Patrizia ALBANI

Page 10: vox militiae anno x 2011 n.3

10

VM Ottobre 2011

(Continua da pagina 9)

Il messaggio contenuto era il seguente : “ in

onta alla cautissima flotta austriaca occupata a

covare senza fine dentro porti sicuri la glo-

riuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col

fuoco a scuotere la prudenza nel suo più co-

modo rifugio i marinai d‟Italia, che si ridono

d‟ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre a

Osare l‟Inosabile . E un buon compagno, ben

noto - il nemico capitale, fra tutti i nemici il

nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro - è

venuto con loro a beffarsi della taglia “

Il siluro che esplose illuminando la baia fece

si che i MAS riprendessero velocemente la

rotta verso l‟uscita ma uno ed esattamente il

94 si bloccò per un guasto al motore e Ciano

dietro l‟urlo di D‟Annunzio “ O tutti o nessu

no “ordina ai due MAS di tornare indietro, a

ricercare il MAS in difficoltà, ripassando sotto

il naso delle batterie nemiche. Solo quando il

MAS 94 riparata l‟avaria, riprende la naviga-

zione, solo allora il comandante Ciano ripassa

con la squadra completa per la quarta volta di

fronte alle batterie nemiche.

Quindi i MAS si dirigono verso Ancona, dove

giungono la mattina successiva mentre i cac-

cia austriaci muovevano verso Venezia.

Mentre i trenta uomini sono nei pressi di An-

cona al comando della Marina Austro-

ungarica di Fiume un marinaio consegna una

bottiglia di vetro spesso, nerastro e panciuta

raccolta nella baia di Buccari.

Ha un nastrino tricolore: “ Canta in italiano

Venezia - cippo commemorativo

di questa impresa sul sagrato

della Chiesa del Redentore

GIORNATE DI STORIA DELLE FORZE ARMATE ITALIANE La manifestazione, giunta alla VII^ edizione, si è svolta a L’Aquila nei giorni 21, 22 e 23 settembre 2011 e a Sulmona il giorno 24.

21 settembre 2011 L‟annuale appuntamento si è aperto nell‟ auditorium della Cassa di Risparmio di L‟Aquila, alla presenza di un folto pubblico, con la sezione

storica dedicata nel 150° anniversario dell‟Unità d‟Italia all‟Esercito con una relazione del Capo Ufficio Storico dello SME, Col. Antonino

Zarcone, dal tema L’Esercito Patria degli Italiani a cui ha fatto seguito l‟intervento del dottor Danilo De Masi dal tema c’è urgente bisogno di

carabinieri! 1861 - la nascita dello Stato Italiano come esigenza di una delle cicliche “Globalizzazioni” internazionali 1859 - 1860.

La giornata si è chiusa con la consegna del premio “Martiri di Cefalonia” dedicato a uomini e unità delle Forze Armate italiane che si sono

distinti per dedizione al dovere. I premi assegnati sono stati due, il primo al Col. Clemente D‟Amato per l‟attività svolta in soccorso alla popo-

lazione colpita dal sisma del 6 aprile 2009, il secondo al Cap. f. alpini Francesco Todisco (tenente all‟epoca degli avvenimenti) per l’esemplare

condotta nell‟ambito di un conflitto a fuoco nella missione ISAF in Afganistan. A latere è stata consegnata una “Menzione Speciale” al Mare-

sciallo dell‟Aeronautica Militare Davide Andreetti per la stesura di una tesi di laurea sul Gen. Antonio Gandin.

Al ten. f. (alp) Francesco Todisco Vice Comandante della 143^ compagnia

del battaglione alpini “L’Aquila” nella

missione NATO – ISAF in Afghanistan, coinvolto con il suo reparto in un attentato

terroristico durante un’operazione di pattu-

gliamento, pur nella caotica situazione determinatasi e in condizioni menomate per

un forte shock acustico, reagiva con deci-

sione impartendo le necessarie disposizioni ai suoi uomini per riprendere l’iniziativa

delle operazioni, mostrando doti non comu-

ni di uomo e di Comandante.

Al Col. a. (ter) Clemente D’AMATO Comandante del 33° rgt. a. ter. “ACQUI”

in L’Aquila, durante il terremoto del 6

aprile 2009, organizzava d’iniziativa squa-dre di pronto soccorso per avviare le opera-

zioni di primo intervento a favore della

popolazione civile per la rimozione delle macerie, permettendo di trarre in salvo

molte persone, e la distribuzione di viveri di

conforto, vestiario e coperte per coloro che sorpresi dal sisma avevano lasciato precipi-

tosamente la propria abitazione.

Al maresciallo Davide Andreetti per aver elaborato una tesi sul gen. Antonio

Gandin e per averne recuperato la figura,

scrutando l’attività, l’opera, i pensieri e gli atteggiamenti di un uomo che si trovò ad

affrontare una delle situazioni più aspre e

più dure che mente umana possa immagina-re essere toccata ad un Comandante.

Una interessante analisi critica sugli avve-

nimenti che hanno visto protagonisti i mili-tari della Divisione da Montagna “ACQUI”

e del loro comandante Gen. D. Antonio

Gandin.

Il pubblico in sala

Gli organizzatori ed i relatori. Da sinistra: Prof. D. Adacher, dr. D.

De Masi, Col. A. Zarcone e il gen.

R. Suffoletta Col. Antonino Zarcone Dr. Danilo De Masi

Page 11: vox militiae anno x 2011 n.3

11

VM Ottobre 2011

Con gratitudine e con commozione l'Abruzzo offre il premio "Ettore Troilo" a Nicola Troilo, il più giovane partigiano d'Italia, che con questo libro, "La

storia della Brigata Maiella", nella sua nuova e più importante edizione, ci consegna il documento fondamentale per la comprensione della più nobile espe-

rienza storica e morale vissuta dalla nostra regione nel XX secolo. Un messaggio vivo, un insegnamento per l'oggi: in un momento in cui tutto crolla tra

l'egoismo e la mediocrità, occorre ritrovare la strada della patria, della dignità e dell'orgoglio, l'unica che porta al futuro.

GIORNATE DI STORIA DELLE FORZE ARMATE ITALIANE

22 settembre 2011

L‟Aquila – Tensostruttura di Piazza Duomo

Mostra storico – documentale da Cefalonia all’Afghanistan

(con esposizione di foto e documenti sui Nove Martiri Aquilani)

23 settembre 2011

Ricordo dei Nove Martiri Aquilani

L‟Aquila: piazzale I. I. S. “Amedeo di Savoia duca D‟Aosta”. Alza bandiera ed onori ai caduti

I giovani lungo il sentiero percorso

dei Nove Martiri;

Deposizione corona presso il cippo commemorativo della caserma Campomizzi

24 settembre 2011 Archivio di Stato Sezione di Sulmona

Conferimento del premio Ettore Troilo

Al dottor Nicola Troilo

Page 12: vox militiae anno x 2011 n.3

12

L’Associazione Culturale VOX MILITIAE

si propone di:

Catalizzare le persone che condividono i Valo-

ri della Società Militare;

Diffondere la cultura e il ruolo dei militari

nella Nazione che cambia;

Condividere momenti di vita (Solidaristico-

Ricreativo) con persone che hanno identicche

motivazioni;

Fornire ai soci assistenza e consulenza giuridi-

ca e amministrativa.

La partecipazione è aperta a tutti coloro che vo-

gliono far sentire la loro voce. Gli articoli investo-

no la diretta responsabilità degli autori e ne ri-specchiano le idee personali, inoltre devono essere

esenti da vincoli editoriali. Di quanto scritto da

altri o di quanto riportato da organi di informazio-ne occorre citare la fonte. La redazione si riserva

di sintetizzare gli scritti in relazione agli spazi

disponibili; i testi non pubblicati non verranno restituiti.

Contattateci tramite telefono: 320.1108036;

E-Mail: [email protected].

ASSOCIAZIONE CULTURALE

VOX MILITIAE

QUOTA ASSOCIATIVA

ANNO 2011 € 25,00

CI SI ASSOCIA INVIANDO DOMANDA, CORREDATA DEI DATI ANAGRAFICI A:

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Via Puglia, 18 – 67100 L’AQUILA

Il versamento della quota associativa per i

nuovi soci ed il rinnovo della tessera per gli associati può essere effettuato sul C/C Bancario

n. 104934 intestato a :

“Associazione Culturale VOX MILITIAE” CARISPAQ di L‟Aquila, sede Centrale

CODICE IBAN

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VOX MILITIAE

DIRETTORE GENERALE

Raffaele Suffoletta

DIRETTORE RESPONSABILE

Alessia Di Giovacchino

COORDINATORE

Gianluca Romanelli

Hanno collaborato

Adacher Davide, Albani Patrizia, Di Giovac-

chino Zopito, Luciani Carlo.

Impaginazione e grafica

TIPOGRAFIA

LA ROSA – Via Costa di Bagno Piccolo 67042 L’Aquila

Autorizzazione Tribunale di L‟Aquila N. 480 del 21.11.2001

VOX MILITIAE

Tel. 320.11.08.036

Stampato il 27 ottobre 2011

Spedito il 31 ottobre 2011

VM Ottobre 2011

Sofia ed Elena SUFFOLETTA

con mamma Valentina e papà Mauro

annunciano con gioia la nascita di

Vittoria.

Ciao io sono Vittoria Sono nata a Trieste il 19 settembre 2011 ore 21.55

La Divisione da Montagna “ACQUI”, storica Unità della Forza

Armata, dislocata nelle isole dell'Egeo durante la Seconda Guerra

Mondiale, pagò un pesante tributo di sangue nelle dure giornate

conseguenti all'armistizio.

Il suo nome viene ereditato, nel 2002, dalla 3^ Divisione Italiana,

affiliata al Corpo di Reazione Rapida delle NATO (ARRC), che

assume l'attuale denominazione di Divisione "ACQUI".

Il comando divisione "Acqui" è un comando di proiezione senza

forze assegnate in tempo di pace che, all'esigenza, può essere ridi-

slocato anche al di fuori del territorio nazionale nel quadro di opera-

zioni internazionali.

Il Comando è dislocato presso la sede del 2° Comando Forze di

Difesa a San Giorgio a Cremano (NA).

Al fine di testare le procedure di lavoro per la gestione di un'opera-

zione militare a seguito di una crisi internazionale con l'adozione di

scenari operativi simili a quelli in cui potrebbe essere chiamata ad

operare la Divisione “ACQUI” è stata impegnata, presso il Com-

prensorio Militare di Persano (SA), nell'esercitazione interforze

“Mole Pit 2011” alla quale hanno preso parte oltre 500 militari.

Per l'occasione, il Comando Divisione è stato potenziato con perso-

nale delle altre Forze Armate (Marina, Aeronautica e Carabinieri) .

All'esercitazione ha preso parte anche un team di personale prove-

niente dal Corpo d'Armata di Reazione Rapida della NATO, dislo-

cato a Solbiate Olona (VA).

LA DIVISIONE ACQUI

Posto Comando ACQUI