Viviamo in unepoca di ipersviluppo tecnologico ma anche di sottosviluppo morale Le nuove tecnologie...

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Viviamo in un’epoca di ipersviluppo tecnologico ma

anche di “sottosviluppo morale”

“Le nuove tecnologie non stanno cambiando solo il modo di comunicare, ma la comunicazione in se stessa. Sta nascendo un nuovo modo di apprendere e di pensare, con inedite opportunità di stabilire relazioni e di costruire comunione”.

Assistiamo a un’accelerazione dello sviluppo della tecnica,

che dilata in modo fino a qualche anno fa impensabile le

nostre possibilità di comunicazione.

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La riflessione antropologica e etica, sulle implicazioni di queste trasformazioni rispetto alla nostra percezione di noi stessi, del mondo e degli altri è debole e nella maggior parte dei casi ideologizzata.

NUOVO CONTESTO ESISTENZIALE DOVE LE POSSIBILITÁ SONO INFINITE MA I CRITERI DI ORIENTAMENTO SONO DEBOLI E CONTRADDITTORI

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VIVIAMO NEL VILLAGGIO DIGITALE

Dalla comunicazione di massa, secondo un modello uno-a-molti, siamo passati alla mass self-communication, “autocomunicazione di massa”, un modello comunicativo uno-a-molti orizzontale, o molti-a-molti.

L’ autocomunicazione di massa è comunicazione di massa perché ha la possibilità di raggiungere un pubblico globale. Ma è contemporaneamente autocomunicazione perché la produzione del messaggio è autogenerata, la definizione dei potenziali destinatari è autodiretta e il reperimento di specifici messaggi o contenuti dal World Wide Web è autoselezionato. Le tre forme di comunicazione (interpersonale, comunicazione di massa e autocomunicazione di massa) coesistono e si completano.

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Oggi, nell’era della convergenza e della post o iper-medialità, il paradigma della comunicazione come “trasmissione” di contenuti va relativizzato, mentre il nuovo contesto ci obbliga a considerare la comunicazione come condivisione, quindi relazione.

Nel mondo digitale, trasmettere informazioni significa sempre più spesso immetterle in una rete sociale, dove la conoscenza viene condivisa nell’ambito di scambi personali. Questa dinamica ha contribuito ad una rinnovata valutazione del comunicare, considerato anzitutto come dialogo, scambio, solidarietà e creazione di relazioni positive.

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La Chiesa, che si fonda sull’autocomunicazione di Dio Padre in Cristo e sull’incontro con Lui attraverso i sacramenti, la liturgia, la preghiera può svolgere in questo momento un ruolo prezioso per accompagnare, in una direzione umanizzante, il cambiamento tecnologico

IN QUESTO NUOVO CONTESTO COMUNICATIVO, QUALI SONO LE SFIDE PER L’ETICA?

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L’ambiente ipermediale favorisce quella che Ricoeur chiama “la dialettica incrociata del sé e dell’altro da sé”.

Caratteristico dell’essere umano è il MOVIMENTO CHE VA DAL SE’ ALL’ALTRO, che consente la conoscenza del mondo: un processo, oggi, infinitamente potenziato dall’accessibilità alle fonti più svariate grazie al web;

altrettanto costitutivo è il MOVIMENTO DALL’ALTRO VERSO IL MEDESIMO, che costituisce una chiamata alla responsabilità, e che dunque pertiene all’etica. Anche questo movimento, oggi, è enormemente facilitato grazie alle nuove possibilità di connessione.

CHIAMO PROSPETTIVA ETICA LA PROSPETTIVA DELLA VITA BUONA CON E PER L’ALTRO ALL’INTERNO DI ISTITUZIONI GIUSTE

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OGGI SIAMO TUTTI INTERCONESSI E COINVOLTI: CONOSCERE NON SIGNIFICA SOLO “SAPERE MA ENTRARE IN RELAZIONE E FARSI

CARICO, NELLA SOLLECITUDINE, DI ALTRI ANCHE LONTANI.

Per Ricoeur LA SOLLECITUDINE è il movimento del sé verso l’altro. L’istanza etica più profonda è quella della reciprocità, che costituisce l’altro in quanto mio simile e me stesso come il simile dell’altro.

Nella definizione di etica è importante anche il concetto di ISTITUZIONE, per assicurare che anche ogni relazione all’altro che non consente d’essere ricostruita sul modello dell’amicizia si svolga secondo giustizia.

Con il termine altro occorre intendere due idee diverse: l’altro e il ciascuno. L’altro dell’amicizia e il ‘ciascuno’ della giustizia.

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I NUOVI MEDIA POSSONO DAVVERO ESSERE STRUMENTO DI UNA RIVOLUZIONE DEMOCRATICA?

Conoscenza e reciprocità, relazione e giustizia sono questioni rilevanti anche per comprendere i recenti fatti che hanno infiammato il nord Africa, che nell’opinione pubblica ha assunto le sembianze di una “rivoluzione digitale”.

Possono reti basate su “legami deboli” innescare cambiamenti e soprattutto sostenere il cambiamento nel tempo?Qui è la sfida per un’etica della comunicazione. Con un’avvertenza: non si può più parlare soltanto di “infoetica”. L’infoetica va coniugata con un’etica della testimonianza e della responsabilità, per l’altro concreto e per il “ciascuno” che può essere raggiunto dall’informazione.

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“Twitter non fa la rivoluzione”, i Social Network, strutturalmente costruiti su “legami deboli” (i contatti), aumentano la partecipazione, ma diminuiscono il livello di motivazione che la partecipazione richiede; in altre parole, sono efficaci per azioni “spot”, ma non per sostenere cambiamenti “di sistema” nel tempo.

L’ ORIZZONTALITÁ DI INTERNET È IN GRADO DI MINARE LA VERTICALITÁ DEL POTERE POLITICO, ECONOMICO, MILITARE?L’AUTOCOMUNICAZIONE DI MASSA PUÒ GENERARE UNA SOCIETÁ IN RETE?

Quella nordafricana è stata una rivoluzione virtuale e reale; il passaparola virtuale sulla inaccettabilità di una situazione reale ha consentito la “realtà” delle manifestazioni nelle piazze, che a sua volta ha fatto da volano alla moltiplicazione dei contatti e alla diffusione virale delle informazioni.

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Un potere che ha certamente a che fare con la libertà, ma che non è potere “su” qualcosa e qualcuno” ma un “potere-con”, un “potere-in-comune”, che consiste nel coltivare la “capacità che hanno i membri di una comunità storica di esercitare in modo indivisibile il loro voler-vivere insieme”.Un essere-con che anche a partire dalla nuove forme di reciprocità virtuale può essere fecondamente ripensato.

OCCORRE RIPENSARE L’IDEA DI POTERE, COMPRESA QUELLA DI POTERE DELLA COMUNICAZIONE

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EMERGENZA EDUCATIVA E MEDIA: UNA SFIDA DA AFFRONTARE

Un’etica della comunicazione deve essere attenta al linguaggio in sé.

Un linguaggio che certo giornalismo ha mortificato, spingendolo verso il cliché, privando i termini della loro ricchezza semantica; enfatizzando la componente emotiva-soggettiva (pathos) a scapito di quella conoscitiva-comunicativa (logos).

Leghein in greco significa parlare,

ragionare, ma anche legare: unire

attraverso la parola e il dialogo ciò che è

altrimenti diviso ma anche trovare un

vincolo a un pensiero che

altrimenti si perderebbe.

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Il linguaggio è il contesto vivente e pulsante nel quale i pensieri, le inquietudini e i progetti degli uomini nascono alla coscienza e vengono plasmati in gesti, simboli e parole.

Il comunicatore ecclesiale può offrire anche in questa direzione un contributo fondamentale per la riumanizzazione del linguaggio, in una chiave che è insieme etica ed educativa: perché nell’orizzontalità del web l’educazione non può più passare per la trasmissione, ma ha bisogno dell’incontro e prende la forma della testimonianza, di una verità incarnata in una vita, in un modo di entrare in relazione, in un medium che è insieme messaggio.

Il logos, come parola, pensiero, legame e fede si contrappone oggi a un pathos fatto di emotività, individualismo, rifiuto del vincolo, sottrazione alla responsabilità

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Rispetto alla verità da annunciare quale deve essere l’autenticità richiesta?Anzitutto e’ necessario un esercizio di ‘buona passività’, cioè di apertura a quanto fuori dal nostro io ci viene fatto scoprire.

VERITÁ, ANNUNCIO E AUTENTICITÁ DI VITA NELL’ERA DIGITALE

Su questo tema Benedetto da Norciascrive nella sua Regola al capitolo VII,

aproposito dell’umiltà.Egli fa riferimento

aduna serie di gradini che preparanoquest’atteggiamento di fondo: e cioè

I) il senso della presenza di DioII) il rinunciare a fare la propria

volontàIII) la sottomissione all’altro

riconosciuto superioreIV) la perseveranza mite e rocciosa

nelle contrarietà V) l’apertura del cuore all’abbaVI) la contentezza nelle situazioni

estremeVII) il senso di essere ultimo di tuttiVIII)l’esempio degli anziani

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Giunto poi al nono gradino e fino all’undecimo, Benedetto unisce parola e silenzio per delineare una comunicazione autentica. Possiamo considerarli in un colpo solo perché parola e silenzio sono relativi e il ridere parlando è invece una modalità inautentica.

AUSCULTA! OGNI PAROLA INTERUMANA HA COME TERRENO FECONDO DI ORIGINE IL SILENZIO, CHE INCLUDE BOCCA, CUORE E SENSI, QUALIFICATO DALL’APERTURA ALLA PAROLA

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“Il nono gradino dell’umiltà è quando il monaco tiene a freno la lingua e coltiva l’amore per il silenzio, non parlando se non interrogato. La Scrittura insegna infatti che: chi fa molte chiacchiere entra nel peccato, e che: l’uomo dalle troppe parole cammina sulla terra privo di orientamento.

Il decimo gradino dell’umiltà è non ridere per qualunque sciocchezza, perché sta scritto: l’uomo maleducato ride in modo sguaiato.

L’undecimo gradino dell’umiltà è quello in cui il monaco, quando parla, lo fa sottovoce, senza ridere, umilmente e con gravità, con brevi e assennate parole, senza alzare la voce, come sta scritto: il saggio si riconosce dalla poche parole”.

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Non si tratta solamente di esprimere il messaggio evangelico nel linguaggio di oggi, ma occorre avere il coraggio di pensare in modo più profondo il rapporto tra la fede, la vita della Chiesa e i mutamenti che l’uomo sta vivendo. È l’impegno di aiutare quanti hanno responsabilità nella Chiesa ad essere in grado di capire, interpretare e parlare il «nuovo linguaggio» dei media in funzione pastorale, in dialogo con il mondo contemporaneo, domandandosi: quali sfide il cosiddetto «pensiero digitale» pone alla fede e alla teologia? Quali domande e richieste?

CONDIZIONI AL BUON PARLARE PER DARE VOCE ALL’ANNUNCIO DELLA VERITÁ

Leniter, sine risu, humiliter, cum gravitate, pauca verba, rationabilia, non sit clamosus in voce