Vincoli finanziari, politiche di bilancio e azione...

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Vincoli finanziari, politiche di bilancio e azione amministrativa di Chiara Goretti e Maria Cristina Mercuri (*) (*) Senato della Repubblica e ISAE. Le opinioni e i giudizi espressi nel presente lavoro non impegnano le amministrazioni di appartenenza.

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Vincoli finanziari, politiche di bilancio e azione amministrativa

di Chiara Goretti e Maria Cristina Mercuri (*)

(*) Senato della Repubblica e ISAE. Le opinioni e i giudizi espressi nel presente lavoro non impegnano le

amministrazioni di appartenenza.

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The views expressed do not imply the expression of any opinion whatsoever on the part of the United Nations and of Italian Department for Public Administration and Formez.

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1. Premessa 4 2. I vincoli finanziari nelle decisioni di bilancio 6 2.1. I vincoli finanziari in Italia: dall’articolo 81 della Costituzione alle

regole europee 6 2.2. Vincoli europei e aspetti finanziari in Italia 17 3. Le politiche di contenimento dei saldi 31 3.1. Le politiche di controllo degli esborsi di cassa ai fini della regolazione

del fabbisogno finanziario 31 3.2. Il patto di stabilità interno 39 3.2.1 Le ragioni del patto 40 3.2.2 L’evoluzione normativa: il quadro generale 43 3.2.3 Alcune considerazioni quantitative 67 4. Il controllo della spesa tra Governo e Parlamento: il “blocca spese” 84 5. Vincoli finanziari e prestazioni in sanità 94 5.1 Introduzione 94 5.2. Effetti dei vincoli finanziari sulla spesa sanitaria complessiva 97 5.3. Il vincolo aggregato sulla spesa farmaceutica 105 5.4. Sanzioni e incentivi 107 5.5. Effetti sulle spettanze delle singole Regioni 111 5.6. Compatibilità tra decisioni di spesa e livelli essenziali 112 6. Le politiche sulle attività e passività pubbliche 115 6.1 Introduzione 115 6.2. Vendite di immobili e cartolarizzazioni sulle attività (crediti, proprietà

e ricavi futuri) 116 6.3. Esternalizzazione del finanziamento (e delle decisioni?) degli

investimenti 121 6.4. Le operazioni sul debito delle autonomie territoriali. Gli strumenti

tradizionali di indebitamento. Le operazioni sullo stock del debito. Il coordinamento della finanza pubblica 126

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1. Premessa Nel corso dell’ultimo decennio le regole fiscali hanno acquisito un

ruolo crescente nei processi decisionali delle politiche di bilancio, in genere attraverso l’imposizione di vincoli finanziari alla crescita del disavanzo o di limiti sulle spese complessive. La presenza della dimensione finanziaria tende a spostarsi dalla applicazione formale di regole ex ante nell’ambito della fase di decisione delle politiche, alla definizione di obiettivi precisi corrispondenti ad un principio di equilibrio di bilancio, il cui rispetto deve essere assicurato anche ex-post, nel corso della gestione del bilancio ed erogazione delle prestazioni pubbliche. Il dibattito politico si è soffermato sempre più frequentemente, anche a livello internazionale, sul valore della disciplina fiscale, principio che interviene e determina la fase decisionale, ma diventa altresì elemento di indirizzo nella stesso espletamento dell’attività amministrativa.

Si è spesso parlato, nei tempi recenti, di crisi del patto di stabilità e crescita e con esso delle regole fiscali europee; la discussione, peraltro, non investe il principio della disciplina fiscale e della esistenza di regole fiscali che guidano le decisioni sull’uso delle risorse pubbliche. Pur nel difficile contesto congiunturale, le Conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Bruxelles del marzo 2004 ricordano che il raggiungimento e il mantenimento di posizioni di bilancio sane rappresenta un fattore chiave per la realizzazione del potenziale di crescita dell’Unione europea e ribadiscono la necessità di garantire la sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche. Anche la Conferenza intergovernativa di giugno 2004 conferma l’impegno ad un

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coordinamento delle finanze pubbliche negli stati membri dell’Unione nel quadro del patto di stabilità e crescita.

Il presente lavoro illustra le politiche di contenimento e controllo della finanza pubblica in Italia, inquadrando le scelte operate negli anni più recenti nel contesto italiano e nel complesso delle esperienze internazionali. Le politiche adottate testimoniano lo sforzo, non sempre peraltro coronato da successo, di trasformare le regole di bilancio in vincoli finanziari incisivi, in grado di penetrare e influenzare l’azione pubblica e l’organizzazione amministrativa.

Il secondo capitolo presenta sinteticamente la normativa sui vincoli finanziari che informa le decisioni in materia di politiche pubbliche in Italia, illustrando l’evoluzione interpretativa dell’articolo 81 e le riforme delle norme di contabilità, anche alla luce del processo di unificazione monetaria europeo. Viene, in particolare, evidenziato l’impatto dei vincoli sopranazionali, espressi in termini di competenza economica ed ex-post, sulla complessa struttura delle procedure e dei conti del Paese.

Il terzo capitolo, dopo una breve descrizione delle politiche di controllo degli esborsi di cassa attuate nel corso degli anni ’90, si sofferma sulla esperienza del patto di stabilità interno, analizzando l’evoluzione normativa nei primi cinque anni di applicazione del patto e inserendo l’analisi nel nuovo contesto costituzionale derivante dalla recente riforma del titolo V della Costituzione. Il quarto capitolo analizza brevemente la problematica del controllo della spesa nell’ottica della evoluzione del rapporto tra Governo e Parlamento come riflesso con l’emanazione del d.l. “blocca spese”. Il quinto capitolo si sofferma sul comparto sanitario, ripercorrendo la difficile esperienza di un settore in cui l’obiettivo di disciplina fiscale si inserisce in modo emblematico nelle caratteristiche di universalità delle prestazioni e in cui opera una complessa intersezione tra livelli istituzionali di governo.

Il sesto capitolo chiude il lavoro con una analisi delle politiche di gestione del patrimonio pubblico, spesso adottate sull’onda del nuovo quadro di vincoli finanziari. Altrettanto spesso hanno peraltro corrisposto a cambiamenti nelle politiche di settore. Spiccano le vendite di immobili e le operazioni societarie che hanno spostato le politiche di investimento al di fuori del perimetro della pubblica amministrazione. Il capitolo propone, altresì, una breve ricognizione dell’evoluzione delle politiche sul debito effettuate dalle autonomie territoriali, con particolare attenzione alle operazioni innovative di gestione dello stock di debito.

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2. I vincoli finanziari nelle decisioni di bilancio

2.1. I vincoli finanziari in Italia: dall’articolo 81 della Costituzione alle regole europee

I vincoli finanziari in Italia, nella loro reale portata di controllo dei

saldi pubblici, sono notevolmente mutati nel corso del tempo e hanno avuto riferimenti normativi diversi. Ai periodi di differente interpretazione dell’articolo 81 della Costituzione, sono seguiti importanti cambiamenti legislativi. Questi sono avvenuti sia tramite costruzioni normative elaborate all’interno del nostro Paese, con le importanti leggi di riforma della contabilità pubblica del finire degli anni settanta e ottanta, sia grazie all’importazione delle regole fissate a livello europeo a partire dagli inizi degli anni ’90.

Gli andamenti della finanza pubblica italiana hanno rispecchiato l’interpretazione data al quarto comma dell’articolo 81 della Costituzione. Pur non essendo stato modificato il testo letterale di tale norma, «il suo significato e la sua cogenza sono profondamente cambiati nel corso degli anni»1.

La dinamica interpretativa del vincolo posto dall’articolo 81, quarto comma, riflette sostanzialmente le convinzioni prevalenti circa il limite dell’intervento pubblico nell’economia.

I diversi approcci concretizzatisi nel corso del tempo, contenutistico o procedurale («l’obbligo di copertura viene percepito come un impaccio

1 G. della Cananea, Indirizzo e controllo della finanza pubblica, Il Mulino,

Bologna, 1996, p. 127.

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contabile alla politica di programmazione»2), derivano di fatto dall’indirizzo politico espresso, nei vari periodi, dall’interagire delle posizioni del Governo e della sua maggioranza, da una parte, e dell’opposizione, dall’altra.

In un primo periodo, l’ultimo comma dell’articolo 81 viene considerato portatore di un principio sostanziale, quello del bilancio in pareggio. Tale vincolo viene rispettato grazie alla unitarietà di visione dei Governi che si susseguirono nell’ambito delle prime tre legislature circa3.

Successivamente, in una seconda fase, prevalse una interpretazione procedurale del quarto comma, in concomitanza con l’affermarsi di una maggiore presenza dello Stato nell’economia. La politica economica era, infatti, condotta sui principi del deficit spending e vennero soddisfatte le richieste provenienti dalla società, specialmente in tema di istruzione, previdenza e sanità. In quel periodo si riteneva che l’obbligo di copertura delle leggi di spesa dovesse riguardare sostanzialmente solo l’esercizio finanziario in corso, lasciando il finanziamento degli effetti esplicati dalle leggi negli anni successivi a previsioni generali sull’andamento evolutivo delle entrate di bilancio nel loro complesso. Inoltre, il ricorso al debito fu ritenuto un possibile strumento di copertura. È rimasta famosa la sentenza n. 1 del 1966 della Corte Costituzionale che dava una interpretazione meno vincolante, indicando un obbligo di copertura “ragionevole” per gli esercizi futuri4.

Il ricorso al mercato per reperire le risorse necessarie alla notevole espansione della spesa di allora fu contenuto, in parte, dall’utilizzo del conto corrente di Tesoreria istituito presso la Banca d’Italia. Solo nel 1981, con il cosiddetto divorzio tra il Tesoro e la Banca centrale, la politica monetaria smise di occuparsi del finanziamento del disavanzo pubblico.

In quegli anni, tuttavia, in Italia come negli altri Paesi industrializzati, era apparso chiaro che le risorse utilizzate per l’intervento pubblico stavano scarseggiando. Ciò condusse alla consapevolezza della necessità di una riforma dei meccanismi di gestione della finanza pubblica. Così nel 1978 fu ampiamente riformata la disciplina di bilancio tramite la

2 P. De Ioanna, Parlamento e spesa pubblica, il Mulino, Bologna, 1993, p. 83. 3 della Cananea, Indirizzo e controllo della finanza pubblica, cit. 4 De Ioanna, Parlamento e spesa pubblica, cit.

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legge 468, orientata a ripristinare l’equilibrio della finanza pubblica mediante l’utilizzo di un vincolo all’espansione della spesa.

Come è noto, le principali innovazioni di tale legge, che ha conferito una sistematizzazione generale delle regole di bilancio, hanno riguardato: l’introduzione delle legge finanziaria, l’istituzione di un bilancio di cassa dello Stato, da affiancare a quello redatto in termini di competenza giuridica esteso ad una versione triennale, la predisposizione delle Relazioni trimestrali di cassa, la nozione di settore pubblico allargato.

Con la legge finanziaria si attua la manovra di bilancio e all’interno del suo articolato sono fissati, in termini di competenza giuridica, i saldi obiettivo di tale manovra: il saldo netto da finanziare e il ricorso al mercato.

Successivamente, in Italia si esce finalmente dal torpore di un non riconoscimento della necessità del rigore fiscale e si supera il mancato risanamento che aveva caratterizzato la politica di bilancio della seconda metà degli anni ottanta. Infatti, è stato sottolineato5 che in quegli anni, caratterizzati da una favorevole intonazione della congiuntura economica, non si è colta una opportunità di riequilibrio della finanza pubblica, che avrebbe potuto probabilmente essere realizzato senza gravi risentimenti di natura economica e sociale.

Le scelte di politica di bilancio, nonostante le enunciazioni di successivi piani di rientro, sono state costantemente poste in un’ottica di breve periodo, tipica dei governi di breve durata, finalizzata all’ottenimento dei risultati annuali, realizzati con ampio ricorso a misure di natura temporanea. Le difficoltà di attuazione delle manovre programmate nei piani di rientro, si sono sostanziate in una regola di conduzione del bilancio secondo la quale si rincorreva «con affanno e scarsa efficacia il sistematico debordo dagli obiettivi di finanza pubblica»6. L’approccio estremamente gradualista adottato nel quinquennio 1986-’90 ha comportato che negli anni successivi la politica di risanamento abbia dovuto affrontare un debito pubblico molto elevato in un quadro congiunturale sfavorevole.

Negli anni ’90, infatti, si dà concreta attuazione, con manovre di correzione volte alla continuità dei risultati del processo di riequilibrio

5 N. Sartor, Il risanamento mancato, Carocci, Roma, 1998. 6 Sartor, Il risanamento mancato, cit., p. 140.

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della finanza pubblica, grazie soprattutto ai vincoli europei, alle intenzioni che erano emerse con la legge 362/1988 che aveva inserito la politica di bilancio nell’ambito di una programmazione pluriennale, superando le visioni di breve periodo. Le novità più importanti di tale legge, come è noto, riguardavano l’istituzione del Documento di programmazione economico-finanziaria (dpef), la tipizzazione della legge finanziaria, la previsione di provvedimenti ad essa collegati, l’introduzione del cosiddetto “ciclo della quantificazione” degli oneri delle leggi.

Il dpef, a imitazione della First Budget Resolution americana, si pone a soluzione dei problemi connessi al fallimento del bilancio pluriennale previsto dalla legge 468/1978. Le problematiche riguardavano sostanzialmente il fatto che il bilancio pluriennale era costruito solo a legislazione vigente, era redatto solo in termini di competenza giuridica e faceva riferimento al solo comparto del bilancio dello Stato. Il dpef si pone «come vincolo esterno, una vera e propria sessione macroeconomica in cui viene predeterminata la cornice finanziaria, vero e proprio autolimite, sia per il Governo che per il Parlamento nella definizione dei documenti contabili»7. Con il dpef si definiscono, infatti, i saldi di finanza pubblica programmatici per il triennio successivo e l’entità della manovra di correzione, dovendosi peraltro anche identificare gli indirizzi e gli interventi programmatici.

Il ciclo della quantificazione degli oneri finanziari derivanti di provvedimenti legislativi viene introdotto per rafforzare l’applicazione del quarto comma dell’articolo 81 della Costituzione8. Gli oneri sono valutati in un procedimento iniziale attraverso una relazione predisposta

7 Cfr. M. Degni, G. Salvemini, in M. L. Bassi (2001), a cura di, Le nuove regole del bilancio statale, p. 124.

8 Secondo la normativa del 1988, i disegni di legge e gli emendamenti governativi devono essere corredati da una relazione tecnica riguardante la quantificazione degli oneri (dovuti a nuove o maggiori spese e diminuzioni di entrate) e la relativa di copertura. La prassi della quantificazione si è poi estesa ai provvedimenti riguardanti maggiori entrate o riduzioni di spesa ed anche, come poi ratificato dalla legge 208/1999, agli schemi di decreti legislativi. Le Commissioni parlamentari possono, inoltre, chiedere al Governo, quantificazioni circa gli effetti delle proposte legislative e degli emendamenti parlamentari. Si intendeva, dunque, introdurre una maggiore trasparenza e informazione rispetto agli anni precedenti il 1988 e, inoltre, la copertura degli oneri, viene estesa, per le leggi a carattere pluriennale, agli anni successivi al primo.

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dalle amministrazioni competenti, verificata e integrata dal Ragioneria generale delle Stato, che con il suo intervento imprime il carattere di relazione tecnica alla stima iniziale, risolvendo la condizione di procedibilità nell’esame parlamentare del provvedimento. Segue una fase di verifica politica e tecnica, in sede parlamentare, presso le Commissioni e i Servizi del bilancio della Camera e del Senato. Chiudono il ciclo, dopo la promulgazione della legge da parte del Presidente della Repubblica, i referti quadrimestrali della Corte dei conti.

Con il trattato di Maastricht l’interpretazione dell’articolo 81 della Costituzione appare univoca9. Le regole europee, infatti, convogliano l’andamento della finanza pubblica verso il rispetto del divieto di disavanzi eccessivi. Si tratta di disposizioni che pongono un vincolo diretto sul livello del saldo di bilancio. L’importanza primaria della disciplina di bilancio è sancita anche nella giurisprudenza costituzionale italiana, relativamente alla impossibilità di sollevare questioni di legittimità costituzionale e di tentare l’esperimento del referendum abrogativo nei confronti delle leggi di attuazione della manovra finanziaria, volte ad adempiere gli obblighi che derivano dall’appartenenza all’Unione europea10.

Il progetto di costruzione di un’area monetaria unica tra gli stati dell’Unione europea ha richiesto la predisposizione di vincoli sulla finanza pubblica dei vari Paesi. Dagli inizi degli anni ’90, il processo di risanamento dei bilanci pubblici è stato guidato dalle regole fiscali adottate a livello europeo: dal Trattato di Maastricht (1992) al patto di stabilità e crescita (1997), alla proposta della Commissione europea circa il rafforzamento nel coordinamento dell’azione di politica fiscale (2002).

Anche in Europa, dunque, si affronta il problema di trasformare il dibattito sul controllo della finanza pubblica in politiche concrete di intervento, sull’esempio di quanto avvenuto qualche anno prima negli Stati uniti, dove a metà degli anni ottanta si era percepita la necessità di una azione continuativa di controllo dei saldi di bilancio – sfociata nella attuazione, con il Balanced Budget and Emergency Deficit Control Act,

9 Sull’argomento, cfr. F. Forte, “Le regole della costituzione fiscale per il

bilancio pubblico” in F. Forte (a cura di), Le regole della costituzione fiscale, notizie di Politeia, n. 49/50.

10 della Cananea, Indirizzo e controllo della finanza pubblica, cit.

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meglio conosciuto come il Gramm-Rudmann Act (1985) –, di un meccanismo in base al quale in via automatica, si riduceva la spesa nel momento in cui il bilancio non avesse rispettato un certo ritmo di riduzione del deficit.

Tuttavia dopo due anni di funzionamento, con la decisione della corte suprema degli Usa circa il ridimensionamento di quanto previsto dalla legislazione, a causa delle sue incostituzionalità, i poteri di taglio della spesa corrente veniva riattribuito all’esecutivo. E lo schema della Gramm-Rudmann venne definitivamente abbandonato nel novembre del 1990 con l’Omnibus Budget Reconciliation Act, che di fatto stabiliva la fine dell’approccio automatico e la riaffermazione della politica di contenimento del bilancio discrezionale e costruita con un processo politico di contrattazione tra Presidenza e Congresso11.

Dagli inizi degli anni ’90, le regole fiscali europee hanno indirizzato i vincoli finanziari interni. Esse nascevano dall’esigenza di promuovere la convergenza degli stati membri verso una finanza pubblica sana, nell’ambito di un contesto macroeconomico stabile in cui prevenire crisi finanziarie. Successivamente, con l’adozione effettiva della moneta unica, si sono dettate norme con l’obiettivo di mantenere la disciplina di bilancio, cercando anche di costruire lo spazio di manovra necessario affinché la politica fiscale dei governi nazionali potesse operare in funzione anti-ciclica.

In primo luogo, l’impostazione adottata con il Trattato di Maastricht si fonda sui principi del gradualismo e della convergenza macroeconomica. Alla base dei valori parametrici adottati dal Trattato, vi erano valutazioni delle esperienze empiriche riscontrate nei Paesi europei. La considerazione congiunta della cosiddetta “regola aurea” e del valore degli investimenti pubblici, per oltre quindici anni pari al 3% del prodotto interno lordo (pil), portò a stabilire al 60% la quota del debito sul pil, rappresentando esso il valore di equilibrio necessario alla stabilizzazione del rapporto stesso, nell’ipotesi che la crescita nominale del pil fosse al 5%.

I parametri per la convergenza relativi alla finanza pubblica si concretizzarono, dunque, nei noti criteri del 3% del pil, per quanto riguarda il deficit, e del 60% per il debito (o di una sua diminuzione

11 L. Verzichelli, La politica di bilancio, il Mulino, Bologna, 1999.

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significativa e a ritmi soddisfacenti), da raggiungere entro il 1997, in un arco temporale piuttosto lungo12.

Tali vincoli finanziari nascono dalla principale preoccupazione che elevati livelli di debito avrebbero potuto introdurre tensioni tra i Paesi dell’Unione riconducibili da un lato agli incentivi per i Governi a creare inflazione inattesa, finché c’è il controllo sulla propria banca centrale, e, dunque, a provocare spinte inflazionistiche, dall’altro alle esternalità negative sui Paesi virtuosi connesse con l’aumento dei tassi, causato dall’aumento del premio per il rischio, che deriva dal ricorso crescente al debito da parte di un Paese.

In secondo luogo, il Patto di stabilità e crescita integra il Trattato al fine di stabilire vincoli finanziari cogenti dopo la realizzazione dell’Unione monetaria13.

12 Il Trattato di Maastricht dedica al coordinamento della politica fiscale il capo I,

titolo VII della parte III (Politica economica). Più nello specifico, per quanto attiene agli equilibri di finanza pubblica, l’articolo 104 impone agli Stati membri di evitare disavanzi pubblici eccessivi e assegna alla Commissione l’obbligo di sorvegliare l’evoluzione della loro situazione di bilancio e dell’entità del debito pubblico, al fine di individuare errori rilevanti. In particolare, la Commissione deve vegliare a che il rapporto tra indebitamento netto della pubblica amministrazione e pil e il rapporto tra debito pubblico e pil non superino i valori di riferimento, specificati nel protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi allegato al Trattato. La Commissione può concedere scostamenti rispetto al primo valore di riferimento solo nel caso in cui tale rapporto sia diminuito in modo sostanziale e continuo o abbia raggiunto un livello che si avvicina al valore di riferimento o nel caso in cui il superamento di tale valore sia eccezionale e temporaneo e il rapporto sia comunque vicino al limite. Il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo può, invece, mantenersi al di sopra della soglia solo qualora si stia riducendo in misura sufficiente e si avvicini al valore di riferimento con ritmo adeguato. (Isae, Le regole della politica fiscale nell’Unione Europea: efficacia, aspetti critici e proposte di riforma, in Rapporto Annuale sullo stato dell’Unione Europea, luglio 2003, p. 81).

13 Formalmente, il patto di stabilità e crescita si compone di tre elementi: la Risoluzione del Consiglio europeo relativa al patto di stabilità e di crescita – G.U. C 236 del 2.8.1997 e Boll. 6-1997, allegato I, punto I.27; il Regolamento del consiglio 1466/97 del 7 luglio 1997 sul rafforzamento della sorveglianza sulle posizioni di bilancio e la sorveglianza e il coordinamento sulle politiche economiche. (G.U.E. L 209, del 02/08/1997); Regolamento (CE) n. 1467/97 del Consiglio del 7 luglio 1997 per l’accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi G.U. n. L. 209 del 02/08/1997. (Isae, Le regole della politica fiscale nell’Unione Europea, cit., p. 82).

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Il patto regolamenta l’applicazione di sanzioni in caso di deficit eccessivi, integrando i contenuti del Trattato, e rafforza i vincoli finanziari, introducendo la previsione di bilanci equilibrati. Al fine di assicurare in via permanente l’equilibrio delle finanze pubbliche, il patto, innovando rispetto al Trattato, prevede che gli Stati membri si impegnino a rispettare l’obiettivo di un bilancio vicino al pareggio o positivo a medio termine. Ciò permetterebbe alle autorità nazionali di politica fiscale di effettuare adeguate azioni anticicliche senza incorrere in disavanzi eccessivi, cioè superiori al 3%.

La regola, inoltre, sembra prendere atto, sulla base dell’esperienza europea, del fatto che al fine di stabilizzare il debito al 60% del pil, con un vincolo del deficit al 3%, la crescita del pil deve mantenersi su livelli nominali sostenuti, empiricamente non riscontrabili né in termini reali né nominali, dato il contenimento dell’inflazione. Con un bilancio in pareggio, sarebbe sufficiente una crescita nulla per mantenere costante il rapporto debito/pil.

I Paesi, al fine di costruirsi margini di manovra, cioè per poter lasciare operare gli stabilizzatori automatici e poter adottare misure discrezionali di intervento, devono porsi obiettivi di saldi negativi strutturali ben inferiori al 3%: solo così potrebbero essere sicuri di non oltrepassare tale limite in qualsiasi situazione congiunturale avversa14.

Il Patto contiene elementi di prevenzione ed elementi di dissuasione. Con riferimento ai primi, esso sancisce l’impegno politico di tutti gli attori coinvolti nel processo di sorveglianza (Consiglio, Commissione e Stati membri) alla piena e tempestiva applicazione delle norme15.

Con riferimento alla componente dissuasiva, il Patto rafforza la procedura per i disavanzi eccessivi stabilendone tempistica e sanzioni16.

14 Ivi, p. 80. 15 In forza di tale impegno gli Stati membri, in particolare, si impegnano a non

cercare di giustificare la formazione di un deficit eccessivo imputandolo ad una recessione grave quando essa non comporti una diminuzione annua del pil in termini reali pari almeno allo 0,75%. Il patto, sempre in via preventiva, prevede poi l’imposizione come obiettivo di medio termine di un saldo di bilancio in equilibrio o eccedentario, le modalità di raggiungimento del quale devono essere specificate in un Programma di stabilità presentato annualmente da ciascuno Stato. Nel Programma devono essere indicate le misure di politica economica che si intendono adottare, le previsioni di spesa e il percorso di aggiustamento. (Ivi, p. 82).

16 La decisione di irrogare le sanzioni deve essere adottata entro dieci mesi dalla data di comunicazione dei dati da cui risulta l’esistenza del deficit eccessivo; le

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Infine, nel 2002, la Commissione europea ha avanzato una proposta di riforma del patto di stabilità e crescita17 che muove dalla necessità di correggere alcuni errori emersi nei primi anni di applicazione, dando maggior rilievo alla situazione specifica dei singoli Paesi e alla qualità e sostenibilità dei conti pubblici18. circostanze che giustificano l’esistenza di un deficit “eccezionale e temporaneo” devono essere inusuali ed indipendenti dalla volontà dello Stato interessato e tali da provocare una “grave” recessione, intendendo per tale una diminuzione del pil in termini reali superiore al 2%. È facoltà dello Stato interessato dimostrare che anche una recessione di entità inferiore potrebbe essere qualificata come “grave”; tuttavia, l’impegno a non invocare la clausola sulla grave recessione se questa comporta una riduzione del pil inferiore allo 0,75%, riduce la portata potenziale di tale deroga. Infine, la Commissione può considerare temporaneo un disavanzo superiore al 3% se prevede che esso sia destinato a rientrare non appena cessata la causa eccezionale che lo ha determinato. Qualora il disavanzo eccessivo persista, nonostante le indicazioni del Consiglio, il patto prevede la possibilità di comminare sanzioni, consistenti in un deposito infruttifero di entità pari allo 0,2% del pil dello Stato interessato, aumentato di un decimo della differenza tra l’indebitamento registrato e la soglia di riferimento. Negli anni successivi, sino a che la decisione sull’esistenza di un disavanzo eccessivo non venga abrogata, il Consiglio valuta se lo Stato membro interessato ha dato seguito effettivo all’intimazione del Consiglio e in carenza può imporgli la costituzione di un deposito aggiuntivo, pari a un decimo della differenza tra il disavanzo espresso in percentuale del pil dell’anno precedente e il 3% del valore di riferimento del pil con il limite complessivo dello 0,5% del pil. Se dopo due anni la situazione persiste il deposito viene convertito in ammenda che integra, insieme agli interessi su di esso, il bilancio dell’Unione e viene poi ripartita tra gli altri Stati membri in proporzione al loro pil. (Ivi, pp. 82-3).

17 Comunicazione al Consiglio a al Parlamento europeo, dal titolo Strenghthening the coordination of the budgetary policies, inviata il 27 novembre 2002.

18 Tale proposta è articolata in cinque punti fondamentali. 1) L’impatto della congiuntura dovrebbe essere scontato nella determinazione del

“saldo vicino all’equilibrio o in attivo”. La Commissione può così valutare il rispetto degli impegni, basandosi su una rappresentazione fedele della situazione reale delle finanze pubbliche.

2) Per i Paesi ancora lontani dall’obiettivo del close to balance or in surplus si dovrebbe prevedere un aggiustamento del saldo corretto per il ciclo pari ad almeno lo 0,5% del pil annuo sino al raggiungimento dell’obiettivo; il miglioramento annuale richiesto dovrebbe essere maggiore per i Paesi con alto debito, così come l’aggiustamento dovrebbe risultare più ambizioso in condizioni di crescita favorevole.

3) Un rilassamento prociclico delle politiche di bilancio, in periodi di congiuntura positiva, dovrebbe essere considerato come una violazione delle regole di bilancio a livello europeo e determinare una reazione rapida e adeguata tramite gli strumenti previsti dal Trattato.

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Negli anni che vanno dal 1992 al 1997, e specie in prossimità dell’ingresso nella terza fase del processo di formazione dell’Unione monetaria, il risanamento della finanza pubblica nei vari Paesi europei ma soprattutto in Italia mostra risultati eccezionali, con ampie riduzioni dei deficit: nell’anno finale di questo periodo, undici Paesi rispettano il vincolo del Trattato di Maastricht.

Negli anni dal 1998 al 2002, di vigenza del patto di stabilità e precedenti alla proposta della Commissione, nei quali si dovevano consolidare le posizioni di bilancio, affiorano i primi problemi di applicazione delle regole europee, con l’avvio di alcune procedure per disavanzi eccessivi, e nel 2002 solamente sei Paesi, salvo la Spagna, tutti di piccole dimensioni, presentano situazioni di bilancio in quasi pareggio o in surplus.

Nel 2003, dopo la proposta della Commissione, solo due Paesi, tra quelli lontani dal pareggio di bilancio, rispettano la condizione di un calo del disavanzo strutturale pari allo 0,5% del pil19.

Dopo il periodo di difficoltà del ciclo economico, che ha caratterizzato gli ultimi anni con ripetuti modesti ritmi di crescita del pil, e riconoscendo gli sforzi attuati nei Paesi, nel novembre del 2003 il Consiglio europeo ha deciso di sospendere l’applicazione del patto di stabilità, congelando le procedure sui disavanzi eccessivi aperte nei confronti di Francia e Germania. La Commissione europea, ritenendo

4) L’attuazione di politiche di bilancio in linea con la strategia di Lisbona (cioè

finalizzate alla promozione di crescita e occupazione), che determinino temporanei peggioramenti dei saldi strutturali sono consentite, a condizione che corrispondano a riforme strutturali o ad investimenti produttivi (ad esempio, in infrastrutture o capitale umano) e che il Paese abbia compiuto sostanziali progressi verso il close to balance, rispettando i limiti sul debito al di sotto del 60% del pil. Il deterioramento temporaneo della posizione di bilancio, inoltre, è ammesso se la Commissione considera «chiare e realistiche» le scadenze indicate per il successivo rientro verso il close to balance, e in ogni caso, se esiste un margine di sicurezza adeguato a garantire che i disavanzi nominali non superino il valore di riferimento del 3% del pil.

5) La sostenibilità della finanza pubblica dovrebbe dare maggior peso alla sorveglianza del livello del debito. I Paesi molto al di sopra della soglia del 60% del rapporto debito/pil dovrebbero proporre «ambiziose strategie di aggiustamento a lungo termine nei loro Programmi di stabilità e convergenza». (Isae, Le regole della politica fiscale nell’Unione Europea, cit., pp. 83-4).

19 Per una descrizione dettagliata di questi avvenimenti, cfr. Ivi, pp. 88-95.

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non legittima tale decisione, ha presentato ricorso alla Corte di giustizia europea, di cui si attende la pronuncia del giudizio in materia20.

Le regole fiscali europee, soprattutto a causa del rallentamento economico, sono state oggetto di numerose critiche sia nella letteratura economica che tra gli analisti e gli operatori economici21.

I più rilevanti punti critici contestati alla validità delle regole hanno riguardato aspetti quali la scarsa flessibilità, il funzionamento asimmetrico, il disincentivo agli investimenti pubblici, il debole riferimento ai problemi di lungo termine, la mancanza di una visione aggregata a livello europeo.

Varie sono state, quindi, le proposte di revisione o di più flessibile interpretazione delle norme europee22. Esse si sono sostanziate in suggerimenti di vere e proprie modifiche delle regole o di cambiamenti istituzionali in ambito europeo. Tra questi ultimi, si ricordano le proposte di formazione di comitati di esperti a livello europeo, di definizione di un dpef costruito dalla Commissione europea, di istituzione di fondi di stabilizzazione all’interno del bilancio federale. Quanto alle regole parametriche, l’ipotesi di riforma più diffusa riguarda l’applicazione della cosiddetta golden rule, con caratteristiche diverse, riguardanti la più o meno ampia esclusione di varie tipologie di spese, ad incominciare dagli investimenti, dalla definizione del saldo pubblico.

Dopo la rassegna delle norme che hanno accompagnato l’evoluzione della finanza pubblica in Italia, sembra opportuno soffermarsi per ricordare i principali ingredienti che hanno consentito l’acquisizione di una solida posizione fiscale e che, si spera, permetteranno di mantenerla nel tempo.

20 Per una analisi degli eventi cfr. Isae, La procedura dei disavanzi eccessivi: regole

e discrezionalità, in Rapporto. Le previsioni per l’economia italiana, febbraio 2004. 21 Per un’esposizione dei principali aspetti critici, cfr. Isae, Le regole della politica

fiscale nell’Unione Europea, cit. e la letteratura ivi citata, in particolare M. Buti, S.C.W. Eijffinger e D. Franco, Revisiting the stability and growth Pact: grand design or internal adjustment?, in «European Commission Economic Paper», n. 180, gennaio 2003; M. Kell, An assessment of fiscal rules in the United Kingdom, in « IMF Working Paper», n. 162, 2001.

22 Per un’analisi delle principali proposte di modifica delle norme europee, cfr. Isae, Le regole della politica fiscale nell’Unione Europea, cit., pp. 98-117, e la letteratura ivi citata.

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In primo luogo, tra i principi indispensabili al successo di un consolidamento fiscale, appare determinante l’impegno del Governo, e della classe politica in generale, alla disciplina di bilancio. È di rilievo la considerazione posta sulla salvaguardia di valori di equilibrio, o di “sani” rapporti comunque, tra gli andamenti della finanza pubblica e l’evoluzione economica del Paese nel suo complesso. Impegni, peraltro, rafforzati dalla presenza di un vincolo esterno, cogente a livello internazionale.

In secondo luogo, e in collegamento con l’ultimo punto sopra indicato, assume particolare importanza l’individuazione di un preciso vincolo formale esplicito, un hard budget constraint, riferito al saldo del conto economico delle amministrazioni pubbliche, come definito dalle regole europee del Sec95. Nella vastità e complessità delle grandezze da monitorare e controllare, viene quindi riconosciuto un obiettivo ben delineato, a cui applicare in modo univoco regole sancite a livello europeo e condivise all’interno del Paese.

Infine, un ruolo chiave per un efficace controllo delle dinamiche di finanza pubblica è giocato dalle procedure istituzionali del processo di bilancio. E’ necessaria una visione non limitata al breve periodo, che si sostanzi quindi in una programmazione finanziaria a medio termine, mirata alla stabilità di obiettivi fiscali credibili. Ciò presuppone previsioni economiche prudenti, non distorte da sovrastime della crescita che, implicando tendenze irrealistiche delle entrate, comportino eccessive evoluzioni delle spese.

Al tempo stesso, deve essere posta attenzione alle dinamiche di lungo periodo, con proiezioni a lungo termine delle spese, specie per i settori della sanità e della previdenza.

È infine indispensabile trasparenza nelle decisioni di bilancio, con chiarezza sugli obiettivi del Governo e capacità di controllo del Parlamento.

2.2. Vincoli europei e aspetti finanziari in Italia Uno dei problemi per la conduzione di una politica di risanamento in

Italia è posto dalla individuazione del settore delle amministrazioni pubbliche quale soggetto a cui si applicano le regole parametriche di Maastricht. Tale settore, comprensivo oltre che delle amministrazioni

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centrali, anche delle amministrazioni locali e degli enti di previdenza, delinea quadri contabili diversi da quelli usualmente usati nel nostro Paese prima dell’avvio delle regole fiscali europee. Tanto che solo dal 1995 il conto economico delle amministrazioni pubbliche viene considerato all’interno del dpef, che dall’anno della sua introduzione al 1994 riportava conti consolidati del settore statale e del settore pubblico come riferimento per gli obiettivi di finanza pubblica.

L’insieme di questi diversi aggregati delinea un sistema di contabilità complesso, con problemi di trasparenza, dovuti anche alle difficoltà di raccordo tra gli aggregati e di verificabilità delle regole contabili utilizzate23.

I conti dei diversi operatori pubblici costituiscono una importante fonte di ricchezza informativa, assai utile per la gestione della politica economica.

23 Per quanto riguarda la definizione di operatore pubblico si distinguono le

seguenti definizioni: “Settore statale” (definizione Tesoro): partendo dallo Stato (gestioni di bilancio e di

Tesoreria), considerando la Cassa depositi e prestiti (sino al dicembre 2003) e l’Agenzia per il Mezzogiorno (sino al 1993, anno della sua soppressione), aggiungendo le ex-aziende autonome dell’amministrazione centrale (cioè Anas e Foreste demaniali) si arriva alla definizione di “settore statale”. Anche se nella nuova definizione, ormai seguita usualmente dal Tesoro, ma non dalla Banca d’Italia, si escludono le ex-aziende autonome e si fa riferimento unicamente al nucleo centrale: Stato-Cassa depositi e prestiti.

“Settore pubblico” (definizione Tesoro): sommando al settore statale altri enti dell’amministrazione centrale (ad esempio, Presidenza del Consiglio, Camera dei deputati, Senato della Repubblica, Cnel, Coni, enti di ricerca), le amministrazioni locali e gli enti di previdenza, si giunge alla definizione di “settore pubblico”. Anche qui è da sottolineare che, coerentemente con la nuova definizione di “settore statale” del Tesoro, nel “settore pubblico” del Tesoro si escludono le ex-aziende autonome dell’amministrazione centrale.

“Settore pubblico” (definizione Banca d’Italia): al settore pubblico, così come definito dal Tesoro, si aggiungono le altre ex-aziende autonome (Ferrovie dello Stato, Poste, Monopoli) e le Aziende municipalizzate e regionalizzate.

“Amministrazioni pubbliche” (definizione Istat): le amministrazioni pubbliche sembrano coincidere con il «settore pubblico» così come definito dal Tesoro; in realtà, rispetto a quest’ultimo, vanno aggiunti Anas e Foreste demaniali, e, in particolare, vanno considerati solo tutti gli enti pubblici che non producono beni e servizi per il mercato. Le amministrazioni pubbliche sono, inoltre, suddivise in amministrazioni centrali, amministrazioni locali ed enti di previdenza.

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I dati mensili del settore statale permettono di valutare le conseguenze finanziarie dell’azione pubblica sul ricorso al mercato del credito. Si possono monitorare tempestivamente24, in corso d’anno, gli effetti finanziari dell’attività dello Stato e degli altri enti ad esso collegati attraverso la gestione di Tesoreria25, nonché la formazione del debito pubblico, aspetto particolarmente importante per un Paese tuttora caratterizzato da un imponente debito.

Le informazioni sugli incassi e i pagamenti del bilancio dello Stato hanno, inoltre, una particolare importanza in quanto determinano il saldo votato dal Parlamento nella sessione di bilancio26.

Il conto del settore pubblico dà un quadro onnicomprensivo dell’operare del soggetto pubblico, indicando l’ammontare complessivo delle risorse assorbite, relativamente sia agli aspetti economici che a quelli di natura finanziaria27.

Tramite il conto delle amministrazioni pubbliche28, infine, si individuano gli effetti dell’azione pubblica sul settore privato

24 Relativamente a tale settore si dispone di informazioni a brevissimo termine:

viene, infatti, reso noto, sul sito internet del ministero dell’Economia e delle finanze, il saldo mensile il 1° giorno del mese successivo a quello in esame, dal lato della copertura (cioè attraverso i mercati finanziari e la raccolta postale). Dal lato della formazione (cioè attraverso i bilanci dei singoli enti), si trovano dati dettagliati in occasione delle presentazioni da parte del ministero dell’Economia e delle finanze, delle Relazioni trimestrali di cassa (anch’esse sul sito del ministero dell’Economia e delle finanze), ogni tre mesi con altrettanti mesi di ritardo.

25 FORMEZ (1989), “La tesoreria dello Stato”, in Guida alla lettura dei conti pubblici.

26 Tali informazioni sono disponibili su base mensile, con due mesi di ritardo. 27 Su di esso, si hanno informazioni (dati trimestrali cumulati) dal lato della

formazione nella Relazione trimestrale di cassa, con ritardo di tre mesi. Si dispone, inoltre, di dati mensili nel Supplemento al bollettino statistico della Banca d’Italia, reperibile nel sito di tale istituzione.

28 Il conto delle amministrazioni pubbliche, con il relativo saldo, è costruito dall’Istat ed è pubblicato, sul sito di tale ente, entro il 1° marzo dell’anno successivo a quello in esame (dati annuali). Infatti, il protocollo sui deficit eccessivi, cioè la specifica procedura di monitoraggio delle grandezze di finanza pubblica stabilita dal Trattato di Maastricht, prevede che due volte all’anno (entro il primo di marzo e di settembre) siano inviate alla Commissione europea le notifiche relative ai conti pubblici. Da poco tempo, sono disponibili dati trimestrali delle amministrazioni pubbliche, con quattro mesi di ritardo. Sono, inoltre, acquisibili informazioni sul fabbisogno delle amministrazioni pubbliche sul sito della Banca d’Italia, con dati

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dell’economia. Essendo l’aggregato adottato su base internazionale, consente di effettuare confronti con gli altri Paesi europei, essendo definito in base alle regole del Sec9529, stabilite e condivise a livello europeo.

annuali pubblicati sulla Relazione annuale e dati mensili pubblicati sul Supplemento al bollettino statistico.

29 Il Sec95 costituisce l’ultima versione del Sistema europeo dei conti, nazionali e regionali. Esso è un sistema contabile comparabile a livello internazionale, che descrive in maniera sistematica e dettagliata il complesso di un’economia, i suoi componenti e le sue relazioni con altre economie. È adottato sotto forma di Regolamento del Consiglio dell’Unione europea (decreto del 25 giugno del 1996). I conti nazionali del Sec95 e, in particolare, quello relativo alle amministrazioni pubbliche, oltre ad essere più significativi per l’analisi economica e per la comparabilità con gli altri Paesi rispetto a quanto consentito dai dati della contabilità pubblica, sono più trasparenti nelle regole di costruzione e rispecchiano una maggiore coerenza interna. Cfr. a tale proposito, R. Malizia R. (a cura di), La metodologia di costruzione dei conti delle Amministrazioni pubbliche ed analisi della coerenza di sistema, atti del convegno Icona, Finanza pubblica e contabilità nazionale. Rilevanza, affidabilità e coerenza nel quadro del Sistema Europeo dei Conti, Roma, 22 novembre 2002.

Il Sec95, sulla base della tipologia e omogeneità dei comportamenti economici dei soggetti, individua i settori istituzionali, distinguendoli in: società non finanziarie, società finanziarie, famiglie, amministrazioni pubbliche, istituzioni senza scopo di lucro al servizio delle famiglie (quelle le cui risorse principali provengono da contributi volontari in denaro o in natura versati dalle famiglie) e resto del mondo.

Il settore delle amministrazioni pubbliche comprende tutte le unità istituzionali che producono beni e servizi non destinabili alla vendita, la cui produzione è destinata ai consumi collettivi e individuali ed è finanziata in prevalenza da versamenti obbligatori effettuati da unità appartenenti ad altri settori; e comprende anche altre unità istituzionali la cui funzione principale consiste nella redistribuzione del reddito e della ricchezza del Paese. La produzione di queste Unità è offerta in prevalenza gratuitamente o a prezzi economicamente non significativi, cioè per cui i ricavi derivanti dalle vendite non coprono più del 50% dei costi di produzione sostenuti. I produttori pubblici (cioè quelli controllati da amministrazioni pubbliche, quelli in cui la politica generale e il programma sono controllati da amministratori e dirigenti pubblici; quelli in cui la proprietà pubblica è maggiore del 50%, quelli in cui la scelta degli amministratori è pubblica per legge e su cui la Corte dei Conti può esercitare una funzione di controllo in base alla legge 259/1958), le cui vendite coprono più del 50% dei costi di produzione, sono classificati tra le società e non tra le amministrazioni pubbliche. Per una chiara descrizione del Sec95, cfr. V. Siesto, La contabilità nazionale italiana. Il sistema dei conti del 2000, il Mulino, Bologna, 1996.

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Il confronto tra i diversi conti può aiutare, inoltre, a mettere in luce l’eventuale ricorso ad alterazioni di tipo contabile30.

I raccordi tra i vari saldi dipendono, oltre che dalle amministrazioni di riferimento, come visto in precedenza, anche dalla natura delle operazioni31 e dal momento di registrazione delle stesse.

In riferimento alle norme di registrazione contabile utilizzate, si hanno conti basati sul criterio della cassa e della competenza economica (sostanzialmente l’accrual adottato nella contabilità aziendale).

I conti del settore statale e del settore pubblico sono costruiti in termini di cassa, quelli delle amministrazioni pubbliche in termini di competenza economica32.

30 I conti del settore statale, delle amministrazioni pubbliche e del settore pubblico sono riportati, in termini di previsione, nel dpef (per tre anni), nella prima Relazione trimestrale di cassa di ogni anno (quando è noto il consuntivo dell’anno precedente) e, a consuntivo, nella Relazione generale sulla situazione economica del Paese. Il conto delle amministrazioni pubbliche viene anche aggiornato in occasione della Relazione previsionale e programmatica (II sezione). Per un’analisi dettagliata sulla validità di esaminare i conti dei diversi aggregati di finanza pubblica, cfr. G. Salvemini, Disavanzi e debito dell’operatore pubblico, in G. Ragazzi, (a cura di), Trasparenza nei conti pubblici e controllo della spesa, Collona Ciriec, FrancoAngeli, Milano, 1997.

Per uno studio particolareggiato, anche se in parte superato, sugli enti che compongono i vari aggregati, sui criteri che differenziano i conti presentati dalla Ragioneria generale dello Stato, dall’Istat e dalla Banca d’Italia e sui legami tra essi esistenti, cfr. P. Zanchi, La metodologia del settore pubblico allargato e i rapporti finanziari tra i diversi livelli di governo, FrancoAngeli, Milano, 1987.

31 Con riferimento alla natura delle operazioni, si hanno operazioni di natura finanziaria (quali concessioni di crediti, partecipazioni azionarie e conferimenti, variazioni di depositi bancari), che non comportano una variazione del patrimonio pubblico ma solo un cambiamento della sua composizione, e di carattere economico, cioè quelle finali, che incidono sulla domanda aggregata. Solo queste ultime si registrano nell’indebitamento netto (il saldo del conto economico) delle amministrazioni pubbliche, a differenza degli altri settori che includono anche operazioni di natura finanziaria, all’interno del più ampio concetto di fabbisogno (saldo di conto finanziario).

32 Nel paragrafo 1.57 del Sec95 si afferma che: il sistema dei conti registra i flussi in base al principio della competenza economica: ossia allorché un valore economico è creato, trasformato o eliminato o allorché crediti e obbligazioni insorgono, sono trasformati o vengono estinti, cioè quando avviene la transazione, il fatto generatore del fenomeno medesimo. Pertanto, la produzione è registrata nel momento in cui è prodotta, e non quando è pagata da un acquirente, e la vendita di un’attività è registrata nel momento in cui l’attività passa da un proprietario all’altro e non quando viene effettuato il relativo pagamento. Gli interessi sono registrati nel periodo contabile in cui

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L’adozione del criterio della competenza economica33 permetterebbe di comprendere gli effetti di certe prassi contabili che sono state spesso adottate.

Dalla lettura del conto del settore statale non emergono, infatti, i reali effetti finanziari di alcune operazioni: il criterio della cassa può consentire di ridurre il costo politico della spesa, creando debiti sommersi e stimolando una spinta alla spesa effettiva, peraltro rilevata nei conti di competenza.

Spesso infatti lo Stato fornisce agli enti esterni al settore statale dei trasferimenti insufficienti a finanziare le loro spese, per cui tali enti si trovano costretti a coprire i disavanzi indebitandosi con i fornitori o col sistema bancario, e vengono autorizzati per legge a contrarre mutui con rimborso, per capitali e interessi, a carico dello Stato34. Nel conto del

maturano, a prescindere dal fatto che essi vengono effettivamente corrisposti in tale periodo o meno. In alcuni casi, per quanto riguarda il momento di registrazione, è necessaria tuttavia una certa flessibilità (come per esempio nel caso delle imposte, per cui si segue un criterio misto competenza-cassa. Utilizzando dati di competenza quando essi costituiscono crediti certi dell’amministrazione e dati di cassa quando gli accertamenti, viceversa, mostrano elementi di incertezza, come per le iscrizioni a ruolo).

Nella contabilità nazionale si effettuano le stime a partire, generalmente, dai dati del bilancio di cassa degli enti pubblici, cercando di rettificarli (con rilevazioni trimestrali e dati del ministero dell’Economia e finanze, con dati delle statistiche fiscali, con indagini Istat-ministero dell’Interno e altre rilevazioni Istat).

Solo in alcuni casi particolari (ad esempio per le Aziende sanitarie locali e per la Cassa depositi e prestiti, sino al dicembre 2003), i dati rilevati dai bilanci originari degli enti seguono il criterio della competenza economica. Per maggiori informazioni circa le fonti statistiche utilizzate per la compilazione del conto economico delle amministrazioni pubbliche, cfr. Malizia, La metodologia di costruzione dei conti delle Amministrazioni pubbliche, cit.

33 Cfr. ISAE (1999). Per rilevanti riferimenti all’importanza del criterio della competenza economica, cfr. G. Ragazzi, Per l’introduzione del criterio della competenza economica nella contabilità pubblica, in «Economia pubblica», n. 5, 1997; R. Malizia, Finanza pubblica e contabilità nazionale, in G. Ragazzi, (a cura di), Trasparenza nei conti pubblici e controllo della spesa, Collana Ciriec, FrancoAngeli, Milano, 1997; Ragazzi, G. (1997),“Conti pubblici: finalità e trasparenza”, in (a cura di G. Ragazzi) Trasparenza nei conti pubblici e controllo della spesa, Collana Ciriec, F. Angeli, Milano.

34 Il caso tipico, come ampiamente illustrato in F. Giavazzi, La spesa occulta dello Stato, il Mulino, n. 3, 1994, è quello connesso al Fondo sanitario nazionale. Ogni anno, almeno dagli inizi degli anni ’80, il Fondo sanitario nazionale è insufficiente per

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settore statale viene sottostimata la spesa effettiva in quanto i pagamenti iniziano a gravare sul conto solo con la prima rata di ammortamento dei mutui e vengono poi distribuiti (maggiorati degli interessi) per quote annuali su un lungo arco di anni, spesso 15-20.

Secondo il criterio della competenza, invece, andrebbero registrate le spese nell’anno in cui si genera l’obbligo del pagamento (perché, ad esempio, sono stati forniti i beni e servizi richiesti), indipendentemente dal fatto che il pagamento venga rinviato, anche contrattualmente, ad anni successivi.

Si distingue, inoltre, il concetto di competenza economica da quello di competenza giuridica, proprio della contabilità pubblica, secondo il quale si individua l’impegno assunto dall’amministrazione a pagare (o il diritto a ricevere: accertamento) una certa somma nel corso di un esercizio, indipendentemente dal fatto che la transazione abbia luogo nel medesimo esercizio35.

Il bilancio redatto in termini di competenza giuridica, tuttavia, resta un importante strumento amministrativo di controllo sull’attività operativa delle varie amministrazioni.

Al fine di una maggiore comprensione dei legami tra i vari aggregati di finanza pubblica, sarebbe utile la costruzione di un raccordo analitico, con indicazione delle singole voci del conto delle amministrazioni pubbliche, analogo a quello operato tra il conto finanziario ed il conto

coprire la spesa delle Asl. Durante l’anno, dopo aver esaminato lo stanziamento del Fondo sanitario nazionale, le Asl soddisfano la domanda di servizi contraendo debiti verso fornitori vari e verso istituti di credito. Altro caso noto è stato quello verificatosi nel 1993 quando i debiti contratti dalle Regioni (con rimborso a carico dello Stato) per circa 20.000 miliardi, non essendo stati completamente utilizzati, in parte sono stati portati in riduzione dei trasferimenti correnti erogati dallo Stato alle Regioni. Grazie all’indebitamento delle Regioni si è così verificata una riduzione del fabbisogno, tramite un contenimento della spesa corrente.

35 Un esempio, per chiarire la differenza tra competenza giuridica, competenza economica e cassa, può far riferimento agli investimenti pubblici. Nel processo di attuazione della spesa pubblica, nella fase della competenza giuridica, e quindi con l’assunzione degli impegni, l’amministrazione si assume l’obbligo all’attuazione della spesa nei confronti di terzi e ciò implica l’appropriazione di somme stanziate per determinati impieghi, somme che, quindi, sono rese indisponibili per usi diversi. La competenza economica registra, invece, la spesa nel momento in cui il bene di investimento è prodotto. La cassa, infine, registra la spesa per il pagamento di tale produzione, che può avvenire anche dopo diversi anni.

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economico dello Stato36. Com’è stato sottolineato37, con riferimento al criterio della competenza economica nella spiegazione del raccordo tra fabbisogno del settore pubblico e indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche, per alcune voci soltanto vi è una stabilità di segno nelle differenze cassa-competenza, mentre per altre voci questo non accade. In quest’ultimo caso, ciò è dovuto all’effetto di fenomeni contingenti, come gli sfasamenti temporali. Nel caso, invece, della permanenza nel tempo delle differenze cassa-competenza economica, incidono fattori di natura strutturale, riguardanti ad esempio le imposte, per le quali i valori di competenza economica sono persistentemente più elevati di quelli di cassa, in quanto questi ultimi si verificano in un momento successivo rispetto al sorgere del fatto generatore, cioè rispetto alla base imponibile.

Dal momento che la base imponibile cresce nel tempo, a meno di andamenti congiunturali negativi, in termini reali e nominali, in ogni anno il prelievo fiscale di competenza è maggiore di quello di cassa.

Negli ultimi anni, inoltre, i rimborsi di imposte hanno causato una eccedenza della cassa rispetto alla competenza economica, con il persistere del divario positivo tra fabbisogno e indebitamento netto. Data, infatti, la recente politica di accelerazione dei rimborsi, le uscite ad essi connesse sono state maggiori di quelle di competenza dovute ai rimborsi di nuova generazione, dato il meccanismo della compensazione tra crediti e debiti di imposta.

Anche le consistenti regolazioni di debiti pregressi da parte delle Aziende sanitarie locali verso i fornitori determinano una lievitazione della cassa rispetto alla competenza.

Al fine di un più rapido e completo raccordo tra i vari aggregati, sarebbe necessario che tutti i conti pubblici fossero costruiti anche sulla

36 Il raffronto dettagliato per il bilancio dello Stato è pubblicato annualmente sul

sito dell’Istat. Infatti, per il collegamento più generale tra gli aggregati di contabilità pubblica e di quella nazionale, l’Istat si limita alla pubblicazione del raccordo tra i saldi, cioè tra il fabbisogno del settore pubblico (costruito dal ministero dell’Economia e delle finanze) e l’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche della contabilità nazionale. Il raccordo per gli anni 1999-2002, con le principali cause di scostamento tra i saldi, è l’ultimo reso noto sul sito dell’Istat.

37 Cfr. in proposito Malizia, La metodologia di costruzione dei conti delle Amministrazioni pubbliche, cit.

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base del criterio della competenza economica adottato dalla contabilità nazionale.

La necessità di una più ampia armonizzazione dei conti pubblici appare evidente anche ai fini di una maggiore corresponsabilizzazione al conseguimento degli obiettivi posti a livello nazionale e vincolanti in sede europea38.

Regole di contabilizzazione condivise, con classificazioni omogenee, dovrebbero riguardare l’intera struttura dei bilanci delle amministrazioni. L’uniformità delle norme contabili rappresenta, infatti, una pre-condizione indispensabile ai fini di una puntuale quantificazione dei quadri tendenziali e programmatici di finanza pubblica, di un efficiente processo di monitoraggio e di una analitica e stabile costruzione dei conti consuntivi settoriali e del conto consolidato delle amministrazioni pubbliche. Ciò dovrebbe riguardare sia le classificazioni economiche sia quelle funzionali, indispensabili per una corretta rappresentazione quantitativa delle politiche pubbliche.

Grazie alla legge di riforma 94/1997 e al d.lgs. 279/1997, per il bilancio dello Stato sono state adottate classificazioni economiche e funzionali aderenti a quelle del Sistema europeo dei conti nazionali e regionali (Sec95), con miglioramenti significativi nella conversione dei dati di bilancio in dati di contabilità nazionale. Tale processo, che in primo luogo andrà a regime per lo Stato, dovrà rapidamente essere applicato anche alle altre amministrazioni pubbliche, in particolare a quelle locali. Se, infatti, «per lo Stato si dispone, come già ricordato, di un raccordo sufficientemente esaustivo tra conto finanziario e conto economico, per gli enti territoriali, il collegamento tra i dati della contabilità pubblica e quelli della contabilità nazionale risulta ancora complesso e non immediatamente presentabile»39. Tuttavia, la legge 76/2000, coerentemente con quanto contenuto nella legge 94/1997, riferita al bilancio dello Stato, ha stabilito che anche le Regioni debbano

38 Di seguito si fa esplicito riferimento a quanto riportato nell’Audizione dell’Isae,

presso la V Commissione programmazione economica, Bilancio del Senato della Repubblica, Indagine conoscitiva sul processo di riforma delle norme di contabilità nazionale, Roma, 2 aprile 2003.

39 Cfr. Isae, Indagine conoscitiva sul processo di riforma delle norme di contabilità nazionale, Audizione presso la V Commissione Programmazione economica, Bilancio del Senato della Repubblica, Roma, 2 aprile 2003.

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conformare la loro contabilità agli schemi del Sec9540, così come la legge 77/1995 per i Comuni e le Province ha consentito notevoli progressi nei certificati dei conti di bilancio, con la predisposizione di dettagli sempre più utili alla derivazione dei conti nazionali41.

Anche in relazione al nuovo dettato costituzionale, che annovera tra le materie di legislazione concorrente l’armonizzazione dei bilanci pubblici (articolo 117) e quindi richiede la disposizione di una legge quadro per la determinazione dei principi fondamentali da parte dello Stato, è auspicabile che i lavori di omogeneizzazione contabile sino ad oggi effettuati trovino rapidamente una completa applicazione a tutti i livelli di governo.

Trasparenza, completezza e omogeneità della rendicontazione non appaiono, infatti, in contrasto con l’esplicarsi di una piena autonomia nella condotta finanziaria dei vari enti. In particolare, l’autonomia contabile riguarda la potestà di indirizzare verso determinati settori e di gestire efficientemente le risorse di bilancio, senza la necessità stringente di adottare schemi classificatori individualistici e, spesso, incomparabili. Pur salvaguardando le esigenze di peculiarità funzionale di ogni tipologia di ente, il sistema dei conti dovrebbe rispecchiare una omogeneità complessiva.

40 E a tal fine l’Istat, il ministero dell’Economia e delle finanze e alcune Regioni

hanno costruito un piano di fattibilità per poi procedere a una prima sperimentazione. 41 Tanto che il raccordo per tali enti locali risulta più semplice di quello riferito alle

Regioni. Minori problemi di rettifica delle classificazioni si riscontrano, invece, per altri enti pubblici, in particolare per le Aziende sanitarie locali, per le Aziende ospedaliere e per gli enti di previdenza a causa della semplificazione indotta dalla tipologia monofunzionale della loro attività. Per gli enti sanitari, peraltro un processo di armonizzazione dell’ordinamento contabile è indicato dal d.lgs. 317/1993.

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Fonte: Banca d’Italia

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Tabella 1 - Raccordo tra fabbisogno del settore pubblico ed indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche. Anni 2000-’03 (in milioni di euro) 2000 2001 2002 2003 Fabbisogno del settore pubblico (ministero Tesoro) ed. 2004

-36.048 -51.397 -38.674 -54.688

Partite finanziarie comprese nel fabbisogno del settore pubblico

(-) entrate da partite finanziarie 6.980 7.991 9.355 10.873 (+) uscite per partite finanziarie 13.632 17.448 16.983 22.142 Fabbisogno al netto della variazione delle attività finanziarie

-29.396 -41.940 -31.046 -43.419

Riclassificazioni da posta economica a finanziaria

(+) attività -1.983 -389 894 1.288 Dividendi Iri ed Eti derivanti da privatizzazioni

-3.094 -542 - -

dividendi da utili straordinari UIC - - - - acconto e saldo IRPEG su utili UIC e IRI derivanti da plusvalenze da privatizzazioni

- -1.030 - -

Concessione di crediti da parte di fondi di Tesoreria ed altre concessioni crediti

857 926 684 1.077

Conferimenti di capitali a municipalizzate

254 257 210 211

(-) passività -3.242 -3.262 -3.114 -3.445 Impatto delle operazioni Ue e dei trasferimenti correnti a imprese sui conti di tesoreria

-3.242 -3.262 -3.114 -3.445

Riclassificazioni da posta finanziaria a economica

(+) attività - - - - Dividendo straordinario Enel derivante da smobilizzo riserve

- - - -

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(-) passività 1.431 108 - - apporti di capitale a Fs e Poste a a copertura disavanzo di esercizio

1.431 108 -

Fabbisogno al netto variazione attività finanziarie e riclassificazioni

-29.568 -39.175 -27.038 -38.686

Altri conti attivi e passivi (differenza fra le valutazioni per competenza economica e quelle per cassa)

(+) Altri conti attivi 9.048 2.748 3.275 7.951 Contributi sociali effettivi 3.947 1.008 1.741 3.013 Imposte indirette (al lordo rimborsi) 2.540 834 2.123 -1.709 Imposte dirette (al lordo rimborsi) 1.627 -924 -617 -889 Imposte in conto capitale 85 24 88 7.004 Interessi attivi -408 -304 -633 -96 Vendita beni e servizi e vendite residuali

1.103 2.177 639 680

Altre voci 154 -67 -66 -52 (-) Altri conti passivi (a) 299 -4.577 2.380 1.101 Interessi passivi 5.749 3.307 3.178 4.181 Consumi intermedi e prestazioni sociali in natura

-22 -2.002 -392 -1.817

Contributi alla produzione -2.054 712 -119 1.147 Prestazioni sociali in denaro -474 1.033 -351 -612 Differenza competenza-cassa su rimborsi correnti di imposte indirette

-261 -1.693 -448 -407

Differenza competenza-cassa su rimborsi correnti di imposte dirette

-1.822 -2.516 -1.604 -1.393

Sentenze Corte costituzionale -1.107 -1.260 -499 -83 Quota Umts rateizzata -1.916 274 329 - Altre voci 2.206 -2.432 2.286 85 Fabbisogno al netto variazione attività finanziarie, rettificato per riclassificazioni e variazioni altri conti attivi e passivi

-20.819 -31.850 -26.143 -31.836

30

Altre voci (-) Erogazioni relative a scarti di emissione per titoli giunti a scadenza e non contabilizzate nel fabbisogno(a)

871 496 1.870 686

(+) Introiti Umts non contabilizzati nel conto del settore pubblico del Ministero del Tesoro

10.711 - - -

(+) Riclassificazione trasferimenti da Regioni a Comuni per finanziamento Aziende di trasporto locale

994 - - -

(-) Riclassificazione trasferimenti statali per ammortamento mutui ferrovie concesse

211 316 - -

(+) Riclassificazione degli introiti derivanti da operazioni di cartolarizzazione di crediti contributivi Inps e Inail a seguito delle decisioni Eurostat

1.579 1.074 657 955

(-) Cancellazioni dei debiti dei Paesi in via di sviluppo, registrata nei conti nazionali tra gli altri trasferimenti in conto capitale al Resto del Mondo

- - 1.145 667

Discrepanza statistica -1.073 674 -98 -402 Saldo Conto Amministrazioni pubbliche (indebitamento netto)

-7.544 -32.262 -28.403 -31.832

Fonte: Istat, comunicato del 5 luglio 2004. (a) Ai fini del raccordo fra il fabbisogno del Settore pubblico e l’indebitamento netto dagli altri conti passivi sono state escluse le regolazioni in titoli di debiti di imposta pregressi (pari a 2590 milioni di euro nel 2000, 563 milioni nel 2001, 555 milioni nel 2002 e 60 milioni nel 2003).

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3. Le politiche di contenimento dei saldi

3.1. Le politiche di controllo degli esborsi di cassa ai fini della regolazione del fabbisogno finanziario

Nel 1997 l’azione di contenimento dei conti pubblici è stata rafforzata

– essendo i risultati di tale anno determinanti ai fini dell’ammissione alla terza fase dell’Unione monetaria europea – da un insieme di misure volte al controllo dei flussi di spesa, con riferimento sia al bilancio dello Stato sia a quelli degli enti intestatari di conti di Tesoreria. Taluni dei provvedimenti adottati riproponevano interventi già utilizzati in precedenza negli anni 1992-’93, altri costituivano invece strumenti innovativi rispetto al passato. Tali provvedimenti vennero decisi in concomitanza del rallentamento nel processo di riequilibrio della finanza pubblica sperimentato nel corso, e in particolare negli ultimi mesi, del 1996 con il superamento degli obiettivi posti per quell’anno (alla vigilia della valutazione circa l’ammissione dell’Italia all’Unione monetaria), connesso anche a un andamento della gestione di Tesoreria decisamente fuori linea rispetto a quanto preventivato. Del resto, tale gestione, con i suoi 17.000 conti, costituisce il più complesso dei sistemi di conti che sono amministrati dal Tesoro.

Considerando le componenti del fabbisogno del settore statale, saldo di cassa del bilancio dello Stato e saldo delle operazioni di Tesoreria, negli anni immediatamente precedenti all’introduzione delle norme in

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esame si erano verificati scostamenti rilevanti tra previsioni e consuntivi specialmente con riferimento alla Tesoreria42.

Alla necessità originaria dell’istituzione della Tesoreria, cioè alla volontà di ricondurre all’interno del Settore Statale le disponibilità liquide che i vari Enti detenevano presso il sistema bancario, si è col tempo sovrapposta la necessità del Tesoro di monitorare, controllare e governare l’evoluzione degli aggregati finanziari di tutti gli Enti pubblici.

Per quanto riguarda lo Stato, sono state disposte norme indirizzate a 1) limitare l’impegnabilità degli stanziamenti di competenza e a 2) contenere le autorizzazioni di cassa. Per gli altri enti, sono state implementati interventi diretti a 3) indurre il prosciugamento delle giacenze di Tesoreria e a 4) contenere la dinamica della spesa.

1) Blocco degli impegni. In particolare, il d.l. 669/1996 consentiva la facoltà di impegnare le spese nei limiti dei fondi iscritti nel bilancio dello Stato e con riferimento unicamente a spese di natura obbligatoria (stipendi, pensioni, interessi, ecc.), o derivanti da accordi internazionali, o connesse a interventi per calamità naturali. Per tutte le altre diverse tipologie di spesa, erano previsti limiti di impegno (come già precedentemente avvenuto, anche se con modalità differenti), nella misura, per ogni bimestre, del 10% dello stanziamento annuo. Le percentuali di impegno potevano essere cumulate con cadenze temporali scelte autonomamente dalle amministrazioni, purché per l’intero anno non fosse superato il 60% dello stanziamento complessivo. Erano peraltro previste motivate possibilità di deroga, con proposte da parte delle amministrazioni riferite a casi specifici, previa autorizzazione della

42 Come noto, le attività della Tesoreria possono essere classificate in: a) operazioni

di esecuzione del bilancio statale, in cui la Tesoreria agisce da cassiere dello Stato tramite l’acquisizione delle entrate e l’esecuzione dei pagamenti; b) operazioni di gestione del debito pubblico, in cui la Tesoreria agisce da agente di raccolta dei mezzi di copertura del fabbisogno (operazioni di collocamento e di rimborso a scadenza dei titoli, di pagamenti degli interessi, etc.); c) operazioni di gestione dei conti di Tesoreria, in cui la Tesoreria agisce da banchiere degli enti pubblici collegati alla finanza statale ma esterni al settore statale (come Regioni, enti locali, Inps, etc.) e gestisce le giacenze liquide depositate da questi enti. Cfr. in proposito, A. Zanardi, La tesoreria statale: informazioni di consuntivo, previsioni gestionali e proposte di intervento strutturali, in L. Bernardi (a cura di), Analisi e modelli per la gestione della finanza pubblica, il Mulino, Bologna, 1991.

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Presidenza del Consiglio dei ministri, sentito l’allora ministero del Tesoro.

Tali limiti parziali, quantitativi e temporali, non riguardavano i residui passivi perenti ma reiscritti in bilancio, mentre valevano per i residui di stanziamento (somme stanziate ma non impegnate).

2) Riduzione delle autorizzazioni di cassa. Tramite due note di variazione al bilancio del 1997, veniva apportato un ridimensionamento molto rilevante alle disponibilità di cassa (e non alle corrispondenti dotazioni di competenza) degli enti o fondi destinatari di trasferimenti dal bilancio dello Stato (ad esempio, Regioni, Fondo sanitario nazionale, Usl, Comuni, Province, Anas, Ferrovie, Poste, Cnr, eccetera) e di alcune amministrazioni statali (ad esempio, ministero della Difesa). Era, infatti, operato un taglio di circa 85.000 miliardi di lire, che riguardava circa 120 capitoli di bilancio, alle autorizzazioni di cassa del bilancio a legislazione vigente.

Con il taglio alle autorizzazioni di cassa, e quindi con limiti alla possibilità di effettuare pagamenti (sia in conto competenza che in conto residui), si intendeva riportare sotto controllo la dinamica della spesa degli enti che detengono le loro disponibilità presso la Tesoreria.

Per consentire il finanziamento di eventuali riconosciute esigenze di cassa delle amministrazioni, era disposta l’istituzione di un Fondo di riserva nello stato di previsione del ministero del Tesoro (pari a 5.000 miliardi di lire).

3) Svuotamento programmato dei conti di Tesoreria. Tramite il provvedimento collegato (legge 662/1996) alla legge finanziaria per il 1997, è stato stabilito che per gli enti per i quali vale l’obbligo della Tesoreria, i pagamenti dal bilancio dello Stato vengono accreditati sui loro conti di Tesoreria solo dopo aver accertato che le disponibilità sui predetti conti si siano ridotte a un ammontare non superiore al 20% delle disponibilità presenti al 1° gennaio del 1997. Tale condizione doveva essere rispettata per tutto il corso dell’anno.

4) Vincolo sui prelevamenti. Sempre il d.l. 669/1996 fissava, infine, delle regole per il monitoraggio dei flussi di spesa, distinguendo tra due gruppi di enti.

Un primo gruppo, comprendente sostanzialmente Regioni, Comuni, Province, Comunità montane, consorzi tra enti locali, enti previdenziali, enti del Servizio sanitario nazionale e l’ente Poste, che non poteva superare, in ogni mese, spese pari ai pagamenti effettuati nel 1996

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incrementati del tasso di inflazione programmata. Un secondo gruppo composto dagli enti titolari di conti aperti presso la Tesoreria dello Stato, diversi da quelli appartenenti al primo gruppo, che non potevano effettuare prelevamenti dai rispettivi conti superiori al 90% dell’ammontare cumulativamente prelevato alla fine dei corrispondenti mesi del 1996.

Questi provvedimenti costituivano una risposta a quanto nel passato era spesso accaduto. Gli interventi correttivi predisposti in Parlamento non avevano ottenuto gli effetti stimati e sperati sui saldi finali di bilancio. Molti fattori possono determinare una minor efficacia, rispetto alle attese, delle azioni di contenimento della spesa. Un elemento importante è costituito certamente dalle articolate procedure in cui si sviluppa l’attuazione della spesa pubblica, dalla fase della decisione legislativa iniziale a quella finale del pagamento.

Durante il procedimento della spesa, le variabili in gioco in ogni esercizio finanziario sono il grado di realizzazione della competenza, la velocità di liquidazione dei residui passivi e le connessioni tra la gestione di bilancio e quella di Tesoreria43.

43Si ricordano i limiti relativi all’analisi della Tesoreria nel conto della formazione

del fabbisogno del settore statale. Il conto relativo alla Tesoreria è carente nell’analisi per voce economica e quindi non fornisce informazioni circa la composizione economica degli incassi e dei pagamenti dei moltissimi enti esterni al Settore Statale. La complessità della rete di relazioni tra centro e periferia ostacola la previsione della gestione di Tesoreria e le voci relative alle “altre operazioni di Tesoreria” (aot), nel quadro di costruzione del conto del settore statale (riportato in appendice delle Relazioni trimestrali di cassa; nel quadro di costruzione del settore statale, la colonna relativa alla voce “altre operazioni di Tesoreria” (aot) rappresenta in un’unica registrazione contabile i movimenti di Tesoreria relativi agli enti esterni al settore statale, senza alcuna distinzione, come ricordato, tra categorie economiche di entrata o di spesa che ne sono all’origine), presentano una rilevante componente di stima. Ciò dipende da reali problemi di informazione che colpiscono anche chi produce il conto del settore statale (la Ragioneria generale dello Stato). Data la mancanza di una codificazione economica delle operazioni sui conti correnti e sulle contabilità speciali di Tesoreria, l’area di stima (secondo la cosiddetta “regola della prevalenza”) risulta ampia, come è evidenziato anche dalle numerose rettifiche effettuate sulle aot (malgrado l’elevata professionalità e l’esperienza di chi elabora le stime). Gli organi di controllo, tra cui la Ragioneria, non riescono in sostanza a conoscere in modo approfondito i meccanismi che regolano i flussi di spesa della finanza decentrata. Cfr. Isae, Seminario sulla Relazione trimestrale di cassa, mimeo presentato al Seminario

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Le complesse relazioni che intercorrono tra queste variabili sembrano avere avuto un ruolo rilevante nel favorire l’incremento della spesa nel 199644. Allora, ad una ampia massa spendibile, composta dagli importi di competenza e dai residui passivi (accumulatisi questi ultimi in ingente quantità), si affiancavano consistenti somme giacenti in Tesoreria intestate ai vari enti pubblici (pari a oltre 150.000 miliardi di lire). Si ricorda, inoltre, che all’inizio del 1996 i residui passivi erano risultati particolarmente elevati a causa, tra l’altro, degli effetti indotti dal blocco degli impegni imposto per gran parte del 1995, relativamente alle uscite di natura non obbligatoria. La mancata assunzione degli impegni, infatti, genera la formazione di residui di stanziamento.

Con il venir meno del blocco si era verificata un’accelerazione nell’iter della spesa mediante un rapido completamento delle procedure, che ha comportato una più rapida realizzazione dei pagamenti, evitando, peraltro, la cosiddetta perenzione amministrativa. Da qui, dunque, la necessità di operare nuovi blocchi e limitazioni delle spese.

Inoltre, si era constatata, sulla base dell’esperienza precedente, l’inefficacia della politica dei “tetti” alla crescita dei trasferimenti dello Stato, quando la disponibilità di cospicue giacenze di Tesoreria consentiva tiraggi che di fatto eludevano gli interventi di contenimento della spesa. Da qui le modifiche, sopra ricordate, del meccanismo di corresponsione dei trasferimenti erariali agli enti decentrati e la fissazione di vincoli sui prelevamenti dalla Tesoreria.

Si deve sottolineare che i tagli operati sulle autorizzazioni di cassa, in mancanza di analoghi interventi sulle disponibilità di competenza, non implicavano un contenimento della legislazione e, quindi, dei programmi di spesa delle amministrazioni. Appare evidente che sistemi di controllo dei flussi di cassa debbano essere sostituiti da misure strutturali di contenimento della spesa45.

sulla Relazione trimestrale di cassa presso i Servizio Studi e Servizio del Bilancio della Camera dei Deputati, febbraio 1999.

44 Cfr. ISCO, La manovra di finanza pubblica per il 1997. Rapporto Semestrale, febbraio 1997.

45 Tuttavia, l’aumento significativo dei residui passivi sperimentato dopo gli interventi, in corrispondenza alla riduzione delle disponibilità in Tesoreria degli enti, risultava come facente parte di un più ampio obiettivo di controllabilità complessiva della spesa e non appariva come elemento di rischio. Cfr. P. D. Giarda, Indagine conoscitiva sulle politiche di contenimento del deficit pubblico. Audizione del

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Si ponevano allora in evidenza i problemi di metodo riguardanti la possibilità di valutare i programmi di spesa e i beneficiari degli stessi tramite la misurazione degli effetti di fabbisogno dovuti a singoli comparti di spesa.

Quanto poi al passaggio da un sistema di monitoraggio, implementato sulla osservazione tempestiva, ordinata e puntuale degli avvenimenti, ad uno di controllo dei flussi di spesa e di Tesoreria, dato il complesso delle deroghe effettivamente concesse in una situazione di evidente asimmetria informativa, di fatto, più che un rigoroso controllo sulle uscite, si è realizzata, una procedura diretta a governare la dinamica dei fabbisogni dei vari enti pubblici. Imponendo dei “ragionevoli vincoli di fabbisogno”, tramite tentativi di pianificazione contrattata, si è cercato di superare gli aspetti negativi di un sistema in cui si riscontrava la mancanza di una tradizione a definire e contrattare ex-ante i profili programmatici dei flussi di cassa. Si è trattato del primo, rilevante, tentativo di corresponsabilizzare gli enti periferici alla costruzione di obiettivi finanziari comuni, relativi all’intero Paese46.

In particolare, gli obiettivi sono stati raggiunti, ad esempio, dal sistema universitario che, grazie alla programmazione dei tempi e delle modalità di spesa, ha consentito di ottenere importanti risultati, in quel periodo di grande rilevanza per la capacità di controllo della finanza pubblica italiana.

Nella manovra per il 1998, gli interventi precedentemente delineati sono passati da una fase di sperimentazione ad una più duratura, in cui si sono definiti per un arco di tempo triennale gli obiettivi di fabbisogno di ciascun settore, con conseguente attenuazione dei vincoli sui prelievi. Così come sono state disposte nuove norme mirate alla riduzione dei residui accumulati.

Sottosegretario di Stato per il Tesoro, il Bilancio e la Programmazione Economica Piero Dino Giarda presso la V Commissione della Camera dei Deputati, 10 luglio 1997.

46 Ibidem. Cfr. anche Commissione Tecnica per la Spesa Publica (1998), “Controlli di cassa e monitoraggio del fabbisogno del Settore Statale”, Razionalizzazione e semplificazione dei documenti e delle procedure contabili, Documento n. 3, ottobre e Giarda P.D. (1998), Audizione del Sottosegretario di Stato per il Tesoro, il Bilancio e la Programmazione Economica Piero Dino Giarda, sul monitoraggio dei flussi di cassa e delle spese in conto capitale previste dalle leggi finanziarie per il 1997 e il 1998, presso la V Commissione della Camera dei Deputati, settembre.

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Più in generale, si può osservare che l’esistenza di aggregati differenti e la diversità delle convenzioni contabili, con la mancanza di trasparenza che ne deriva, secondo alcuni osservatori consentono di creare degli spazi a pratiche di finanza creativa47 e, dato il peso che la gestione della Tesoreria ha spesso assunto, permetterebbero modifiche nell’allocazione della spesa tra settori e funzioni rispetto a quanto stabilito nel bilancio approvato dal Parlamento. È da ritenere, tuttavia, che attualmente la manovrabilità della spesa sia piuttosto limitata e che non siano possibili rilevanti interventi sistematici, ma solamente azioni sporadiche di correzione, non attuabili quando un Governo ha responsabilità degli obiettivi per vari anni, e non riconducibili ad una vera “politica di Tesoreria”48. L’assenza di una tale politica è stata, infatti, più volte osservata e appare confermata dagli avvenimenti del 1996, anno in cui lo sforamento degli obiettivi di fabbisogno è stato ricondotto in larga misura ad inattesi tiraggi dalla Tesoreria.

Il contenimento della crescita del fabbisogno e, quindi, del debito può derivare solamente da una maggiore trasparenza e da una più ampia conoscenza dei fenomeni. E ciò può avvenire grazie al più diretto

47 Tra le più ricorrenti pratiche di finanza creativa, che evidenziano il ruolo di filtro

della gestione di Tesoreria rispetto a quanto deciso tramite la legge di bilancio, si possono ricordare: dinieghi temporanei da parte della Tesoreria di nulla osta ai pagamenti, rinvio di erogazioni alle imprese che si sostanziano in razionamenti dei fondi, rallentamenti nei pagamenti per le spese per investimento, richieste di depositi obbligatori. Per un ampio approfondimento su questi temi, cfr. Giavazzi, La spesa occulta dello Stato, cit.; G. Pisauro, Le tecniche budgetarie e il sistema dei controlli, in Banca d’Italia, Nuovo sistema dei controlli sulla spesa pubblica, giugno 1994; G. Ragazzi, Conti pubblici alla ricerca della trasparenza, in «Economia pubblica», n. 1 1995; C. Virno, I conti pubblici tra cambiamenti e insidie nascoste, in L. Bernardi (a cura di) La finanza pubblica italiana, il Mulino, Bologna, 1995; Corte dei Conti, Decisione e relazione della Corte dei Conti sul Rendiconto generale dello Stato, Istituto Poligrafico dello Stato, anni vari.

48 Tesi da lungo tempo sostenuta da M. T. Salvemini; in proposito cfr. M. T. Salvemini, La politica di Tesoreria, Giuffrè, Milano, 1969; Idem, Il Tesoro e la politica di bilancio, Officina, Roma, 1979; Idem, Spesa pubblica: è possibile governarla, Einaudi Notizie, Torino, 1983; Idem, Nuove frontiere dei controlli sulla spesa. Relazione di sintesi e conclusiva, in Banca d’Italia, Nuovo sistema dei controlli sulla spesa pubblica, giugno 1994; Idem, Il ruolo della Tesoreria in un sistema finanziario complesso, in G. Ragazzi, (a cura di), Trasparenza dei conti pubblici e controllo della spesa, Collona Ciriec, F. Angeli, Milano, 1997.

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coinvolgimento nel processo previsivo degli stessi enti intestatari dei conti di Tesoreria.

Nella legge 94/1997 e, in particolare, nel d.lgs. 279/1997, in vista del graduale superamento del sistema della Tesoreria unica, era prospettata l’integrazione tra flussi di bilancio e di Tesoreria, nonché la riorganizzazione del Conto riassuntivo del Tesoro, anche al fine di facilitare il raccordo tra il conto del settore statale e quello delle amministrazioni pubbliche.

La Tesoreria “riformata” dovrebbe costituire49 una importante fonte di informazione per la valutazione dell’andamento dei conti pubblici, realizzando un nuovo sistema integrato, che recepisca anche i dati delle tesorerie degli enti pubblici periferici.

La costruzione di una Tesoreria telematica integrata50, tramite l’estensione del “mandato informatico” e quindi la informatizzazione di tutti i pagamenti pubblici, potrebbe permettere di connettere insieme i sistemi informativi delle varie amministrazioni, attraverso la rete unitaria della pubblica amministrazione (rupa) e la sua “fusione” con la rete nazionale interbancaria (rni) gestita dalla Banca d’Italia. A medio termine, tutte le amministrazioni, la Banca d’Italia e il sistema bancario e postale sarebbero collegati in un’unica rete integrata, con la possibilità di ottenere informazioni sulle fasi di attuazione della spesa pubblica. Tutto ciò potrebbe consentire un adeguato monitoraggio, tempestive azioni correttive e, comunque, un più efficiente sistema di pagamenti. Si otterrebbe, nel tempo, un avvicinamento tra la contabilità di cassa e quella di competenza giuridica, grazie alla concreta possibilità di evitare l’accumulazione di ampie giacenze di Tesoreria nonché la formazione di elevati residui passivi.

49 Come sottolineato nell’Audizione dell’Isae presso la V Commissione

Programmazione economica, Bilancio del Senato della Repubblica, Indagine conoscitiva sul processo di riforma delle norme di contabilità nazionale, cit.

50 Per un’analisi dettagliata di tali aspetti, cfr. P. Ferro, La riforma del bilancio e la Tesoreria statale, in M. L. Bassi (a cura di) Le nuove regole del bilancio statale, F. Angeli, Milano, 2001.

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3.2. Il patto di stabilità interno Con la manovra di bilancio per il 1999 entra nel lessico degli

strumenti di finanza pubblica il “patto di stabilità interno”, detto “patto”. Esso nasce con lo scopo di regolare la riduzione del disavanzo e del debito degli enti decentrati nel nuovo contesto di vincoli sulla finanza pubblica connessi con l’adesione alla moneta unica.

I primi cinque anni di applicazione riflettono un difficile, ma continuo percorso di adattamento sia normativa, che del comportamento degli enti coinvolti. Da un lato, le disposizioni che regolano il patto sono state sottoposte a numerose modifiche e aggiustamenti e non si è ancora avuto un esercizio in cui la normativa è stata applicata in modo uguale all’anno precedente. Dall’altro lato, il patto, oltre ad essere entrato di fatto tra i contenuti annuali della legge finanziaria, ha ormai acquisito un ruolo centrale e condiviso nella strutturazione dei rapporti tra livelli di governo, diventando strumento che guida ed influenza il confronto istituzionale sui temi finanziari51.

Il nuovo assetto costituzionale, disegnato dalla legge costituzionale 3 del 2001 di riforma del titolo V della Costituzione, peraltro, ha sostanzialmente ridisegnato i rapporti, anche finanziari, tra livelli di governo. Seppur anche il nuovo testo costituzionale assegna al livello centrale una competenza specifica nel coordinamento della finanza pubblica (funzione elencata dall’articolo 117 Costituzione tra le materie di legislazione concorrente), tale competenza si inserisce, oggi, in un ambito di autonomia costituzionalmente riconosciuta degli enti territoriali. Con l’obbligo di pareggio della parte corrente sancito dal

51 Tra i numerosi contributi sul patto, si veda Balassone F., Degni M., Salvemini

G., Regole di bilancio, Patto di stabilità interno e autonomia delle amministrazioni locali, in «Rassegna parlamentare», 2002; Balassone F., Franco D., Il federalismo fiscale e il Patto di stabilità, in I Controlli delle gestioni pubbliche: atti del Convegno Banca d’Italia, Perugia, 2-3 dicembre 1999, 2000, pp.225-57; Balassone F., Franco D., Zotteri S., Il primo anno di applicazione del Patto di stabilità interno: una valutazione, in «Economia Pubblica», 2001, n. 2, pp. 5-26.; Balassone F., Franco D., Zotteri S., “La finanza decentrata nell’ambito dell’Unione economica e monetaria: quali regole?”, Stato e Mercato/n. 70, aprile 2004; Giarda P.D., Goretti C., Il patto di stabilità interno: l'esperienza del 1999-2000, in A.Verde (a cura di), Temi di finanza pubblica, Cacucci ed., Bari, 2001.

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nuovo articolo 119, inoltre, le regole finanziarie per le autonomie territoriali sono oggi costituzionalizzate.

Nonostante le formule introduttive degli articoli che regolano annualmente il patto richiamino il concorso delle autonomie territoriali alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica concordati a livello sopranazionale, la disciplina oggi applicata fa pensare ad uno strumento che persegue svariati obiettivi, dalla responsabilizzazione finanziaria degli enti, alla transizione verso l’attuazione del nuovo quadro costituzionale e, infine, al governo e coordinamento degli aggregati di finanza pubblica

3.2.1. Le ragioni del patto

Con l’unificazione monetaria europea e il perfezionamento del patto di stabilità e crescita, emerse l’esigenza di riportare sul complesso sistema degli enti decentrati (enti locali e Regioni) l’insieme delle obblighi che i trattati europei ponevano a carico dei Paesi membri. I vincoli posti dalle regole fiscali europee, infatti, adottando come parametro di riferimento un aggregato inclusivo dell’attività di entrata e di spesa di tutti i livelli di governo, imponeva il raccordo e coordinamento finanziario di tali enti. Le norme europee, inoltre, individuando il livello centrale come responsabile dell’obiettivo aggregato, rinviavano ai rapporti all’interno dei vari stati per modalità e procedure di realizzazione dell’obiettivo di bilancio.

Premesse concettuali del patto erano la legislazione diretta a regolare i rapporti finanziari tra centro e periferia nel nostro Paese e l’enfasi posta nella legislazione di controllo degli anni immediatamente precedenti all’introduzione del patto, sui saldi di bilancio computati sui dati di cassa (vedi paragrafo 2.1).

Serviva, peraltro, uno strumento capace di individuare il contributo di ciascun livello di governo al necessario processo di contenimento finanziario richiesto dal rispetto delle regole europee. Ci si domandò, poi, perché il Paese avrebbe dovuto sopportare il peso politico di una possibile violazione degli impegni internazionali dovuta a comportamenti non coerenti di un soggetto politico (Comune, Provincia o Regione) dotato di autonomia nelle proprie decisioni di bilancio. Da tale questione, affrontata nelle sedi di concertazione rappresentate dalle Conferenze interistituzionali, nacque il patto, definito come il

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riconoscimento da parte del sistema delle autonomie dell’opportunità e della condivisione di un obiettivo di politica finanziaria comune.

Vi sono, quindi, due problematiche che, allora come oggi,- risultano strettamente sovrapposte nella realtà italiana. La prima riguarda la definizione di meccanismi ed istituti che garantiscano un contesto di disciplina fiscale in un Paese caratterizzato da più livelli di governo. La seconda riguarda le procedure che guidano il coordinamento degli aggregati di finanza pubblica, qualora le regole di bilancio facciano riferimento ad un aggregato che comprende più livelli di governo (le amministrazioni pubbliche, nel caso delle regole europee)52.

Il tema della disciplina fiscale in Paesi caratterizzati da più livelli di governo si concentra principalmente sulla possibile minaccia che processi di decentramento e devoluzione di responsabilità di spesa producono appunto sui vincoli di bilancio. È stata sviluppata una ampia letteratura sulle cause e i fattori che potrebbero facilitare lo sviluppo di comportamenti di irresponsabilità finanziaria53. Vari modelli economici, basati principalmente sulle asimmetrie di informazione e sui connessi incentivi ad adottare comportamenti contrari all’interesse comune, guidano l’analisi di tali fenomeni (free rider, moral hazard, common pool, eccetera); spesso vengono richiamati particolari contesti istituzionali che faciliterebbero la deresponsabilizzazione: rapporto tra autonomia di entrata e autonomia di spesa; ambiti di responsabilità sovrapposti, rappresentatività delle Camere, eccetera54.

Diversa è la seconda questione, quella della condivisione di un obiettivo di finanza pubblica per l’intero settore pubblico, o per le pubbliche amministrazioni, in un sistema istituzionale in cui i vari livelli

52 Vi sono Paesi, come ad esempio negli Usa, in cui si sono definite regole e adottati comportamenti che guidano la disciplina fiscale degli specifici livelli di governo, ma in cui non si discute di coordinamento della finanza pubblica.

53 Nella letteratura viene spesso utilizzato il termine soft budget constraints, che indica un contesto in cui la spesa effettiva è superiore alle risorse inizialmente assegnate e quindi vi è la necessità di operare un ripiano ex post. Una definizione più restrittiva del termine richiede che l’eccesso di spesa derivi da un comportamento “strategico” mirato ad ottenere risorse maggiori da un altro livello di governo (vedi M. Bordignon, G. Turati, Bailing out Expectations and Health Expenditure in Italy, CESIfo, WP n. 1026, 2003.

54 Per una disamina del tema vedi J. A. Rodden, G. S. Eskeland, J. Litvack, Fiscal Decentralisation and the Challenge of Hard Budget Constraints, MIT Press, Cambridge, Massachusetts, 2002.

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di governo sono caratterizzati da autonomia istituzionale. In tal caso, un atteggiamento finanziariamente responsabile degli enti sub-nazionali è condizione preliminare affinché possa essere definita, in forma concordata, la partecipazione di ciascun livello agli obiettivi aggregati.

La distinzione concettuale di tali questioni può risultare, peraltro, meno precisa qualora lo schema istituzionale che guida le relazioni finanziarie tra livelli di governo presenti una natura ancora derivata delle fonti di finanziamento delle autonomie territoriali e nel caso vi siano ampie sovrapposizioni di competenze nell’ambito dello stesso settore di spesa.

Patto e nuovo quadro costituzionale

Tra la prima applicazione del patto, nel 1999, ed oggi il quadro istituzionale italiano è sostanzialmente mutato ed appare suscettibile di profonde ulteriori modifiche55.

Il decentramento di funzioni operato con le cosiddette leggi Bassanini e la riforma del titolo V della Costituzione (legge costituzionale 3/2001) intervengono profondamente sul contesto di regole che definisce i rapporti finanziari tra livelli di governo, inserendosi, peraltro, in una situazione già storicamente caratterizzata da elementi di insufficiente responsabilizzazione finanziaria delle autonomie. Il nuovo articolo 119 della Costituzione, poi, nel definire un diverso sistema di relazioni tra livelli di governo, richiede per l’attuazione profonde modifiche agli assetti e schemi vigenti. Attuazione che ad oggi è ancora frammentaria ed insufficiente.

Il patto voleva essere uno strumento finalizzato al coinvolgimento dei diversi livelli di governo nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica e all’individuazione delle rispettive responsabilità finanziarie aggregate. La fissazione di un obiettivo di riferimento avrebbe consentito di avere un parametro uniforme di valutazione dei comportamenti degli enti coinvolti; la trasparenza connessa con le procedure di monitoraggio avrebbe fatto emergere le responsabilità di ciascuno, sia positive, che negative, e si sarebbe prefigurato, in tal modo, uno schema nell’ambito del quale sviluppare i rapporti istituzionali tra livelli di governo.

55 Non si approfondisce in questa sede il contenuto del disegno di legge

costituzionale di riforma, attualmente all’esame del Parlamento.

43

Il patto, in attesa dell’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, sembra piuttosto aver acquisito un ruolo diverso o essersi svuotato di significato. Nel caso degli enti locali, è diventato strumento di gestione dei rapporti finanziari tra livelli di governo; nel caso delle Regioni è stato sostituito da meccanismi di negoziazione finanziaria ad hoc per la spesa sanitaria.

Il patto non può naturalmente avere una funzione risolutiva della frammentazione e della mancata definizione dei principi e delle regole per il finanziamento delle autonomie. Il successo dello strumento dipende, anche, da una attiva partecipazione dei soggetti coinvolti e dalla forte condivisione dell’obiettivo di disciplina fiscale, mentre la vigente procedura di coinvolgimento e consultazione degli enti risulta complessivamente debole, in parte per la mancanza delle sedi istituzionali di confronto su base rappresentativa, quale una Camera delle Regioni, adatte per la discussione degli obiettivi comuni.

3.2.2. L’evoluzione normativa: il quadro generale

L’analisi della normativa di riferimento e delle numerose circolari di attuazione evidenzia un complesso percorso di adattamento delle disposizioni alle difficoltà emerse nel corso della gestione dei patto dei vari anni.

In particolare, la delimitazione della platea degli enti coinvolti è stata accompagnata da un complesso percorso di ricerca delle modalità di calcolo degli obiettivi finanziari. Analogamente complessa è stata la definizione degli altri aspetti istituzionali, quali monitoraggio e obblighi informativi a carico dei vari soggetti coinvolti, le responsabilità di intervento, le sanzioni e gli incentivi connessi con i comportamenti degli enti.

Le sezioni che seguono illustrano l’evoluzione di ciascuno di questi aspetti.

Enti coinvolti

Nei primi due esercizi di applicazione, l’obiettivo di saldo programmatico riguarda indistintamente l’intero comparto delle autonomie territoriali. Le circolari esplicative precisano che, al fine di conseguire il risparmio a livello aggregato, ciascun ente concorre al risanamento migliorando il proprio saldo tendenziale. Se la formulazione del 2001, parlando dell’obbligo d riduzione del saldo finanziario,

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introduce una nozione implicita di regola individuale, a partire dal 2002 la normativa imbocca decisamente tale strada e indica regole finanziarie rivolte direttamente ai singoli enti56.

La prima formulazione del patto coinvolge tutti gli enti territoriali, senza distinzione di dimensione e di statuto. Il patto del 2000 opera una prima distinzione, in termini di normativa specifica, tra enti caratterizzati da autonomia speciale (Regioni a statuto speciale e Province autonome) e altri enti, introducendo caratteristiche di specificità coerenti con la posizione istituzionale dei primi. A partire dal 2001, con l’esclusione ulteriore dei Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, la platea degli enti coinvolti viene individuata in modo definitivo.

Fino al 2001, la normativa è indistinta per Regioni, Province e Comuni con popolazione superiore ai 5.000 abitanti. A partire dal 2002, peraltro, la normativa relativa alle Regioni si differenzia, anche come riflesso dell’accordo sulla sanità dell’8 agosto 2001. Differenziazione che permane nella legislazione successiva. Le disposizioni relative agli enti locali rimangono invece identiche, con l’eccezione della formulazione per il 2003, che introduce misure e definizioni degli obiettivi differenziate per Comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti e Province.

Nella formulazione vigente, le categorie di enti coinvolte nel patto e con trattamento normativo distinto, possono essere così identificate: Regioni a statuto speciali e Province autonome; Regioni a statuto ordinario; Province e Comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti.

Con riferimento specifico alle Regioni a statuto speciale e le Province autonome, tali enti, con l’eccezione del primo esercizio di applicazione, hanno sempre partecipato al patto con modalità e procedure specifiche. In particolare nel 2000 e 2001 la normativa, nel richiamare una disposizione del 1997, stabilisce che Regioni a statuto speciale e Province autonome partecipavano al risanamento finanziario secondo criteri e procedure stabiliti d’intesa tra il Governo e i presidenti delle Giunte regionali e provinciali, nell’ambito delle procedure previste negli statuti e nelle relative norme di attuazione.

Nel patto relativo alle Regioni per il 2002, viene esplicitamente richiamato che tali enti concordino con il ministero dell’Economia il

56 «(…) il disavanzo di ciascuna provincia e di ciascun comune».

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livello delle spese correnti e dei relativi pagamenti per gli esercizi 2002, 2003 e 2004.

A decorrere dal patto per il 2003, le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano concordano, entro il 31 marzo di ciascun anno, con il ministero dell’Economia e delle finanze, per gli esercizi 2003, 2004 e 2005, il livello delle spese correnti e dei relativi pagamenti. Fino a quando non sia raggiunto l’accordo, il ministro dell’Economia determina, con proprio decreto, i flussi di cassa degli enti, in coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica. Secondo quanto indicato in un’audizione parlamentare57, l’accordo per il 2003 è stato raggiunto da tutte le autonomie a statuto speciale su livelli che sono in linea con gli obiettivi stabiliti per gli altri comparti. Per l’anno 2004, gli accordi risultavano, alla data dell’audizione, quasi interamente perfezionati.

Sempre ai fini del coordinamento della finanza pubblica, le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano provvedono al coordinamento finanziario degli enti locali dei rispettivi territori. Qualora tali enti non provvedano entro il 31 marzo di ciascun anno, si applica, per gli enti locali dei rispettivi territori, la normativa generale del patto.

La natura dei vincoli finanziari

Il patto è basato essenzialmente sul governo e controllo del saldo tra uscite e entrate, saldo contabilizzato in termini di cassa. Le varie versioni del patto prevedono che ciascun ente concorra all’obiettivo fissato a livello aggregato, in termini di miglioramento del saldo finanziario. In genere, le disposizioni definiscono, quindi, i criteri per il calcolo di un obiettivo programmatico cui deve adeguarsi il saldo effettivo, come risultante dalla gestione in corso d’anno.

Il vincolo sul saldo non si applica in sede preventiva, ma solo in sede di consuntivo, venendo verificato in fase gestionale sui pagamenti e sulle riscossioni. Tale caratteristica rende sostanzialmente indipendenti il vincolo previsto ai fini del patto e il bilancio delle autonomie territoriali.

57 Audizione del 28 aprile 2004 presso il Comitato permanente per la verifica degli

andamenti della finanza territoriale della Commissione bilancio della Camera dei deputati.

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Le circolari del 1999 chiarivano specificamente che le indicazioni del patto non erano da considerare requisiti di legittimità dei documenti di bilancio e non rilevavano dal punto di vista della legittimità dei bilanci preventivi. Questo, si affermava, poiché il patto imponeva oneri e non obblighi; il raggiungimento di un risultato, ma non l’utilizzazione di certi strumenti per il suo raggiungimento. Non facendo le regole del patto riferimento alle previsioni di bilancio, risultava che tali regole potessero incidere solo indirettamente nella predisposizione del bilancio di previsione. In particolare, le circolari esplicative per il 2003 e il 2004, specificano che, tenendo conto che gli obiettivi del patto devono essere riscontrati in fase gestionale, il riferimento alla fase previsionale è puramente indicativo e durante la gestione di competenza avvengono situazioni di scostamento tra previsione e gestione che possono incidere sul saldo finanziario sia positivamente, sia negativamente.

Tuttavia, negli esercizi più recenti, le indicazioni contenute nelle circolari esplicative dei patto auspicano riflessi anche sulla fase previsionale, poiché azioni strutturali di contenimento dei disavanzi hanno verosimilmente conseguenze sul processo di formazione dei disavanzo e quindi sulle previsioni di competenza.

Nel 1999, primo anno di applicazione, l’obiettivo viene definito per un solo esercizio, quello di riferimento della finanziaria. La finanziaria 2000 reca per la prima volta, in aggiunta all’obiettivo annuale, anche parametri riferiti ad un arco triennale. Disposizioni peraltro mai applicate, in quanto soppresse con la finanziaria dell’anno successivo.

A partire dal 2002, nuovamente, si introduce, a fianco all’obiettivo annuale, un quadro di programmazione di medio periodo, definendo, sia per le Regioni che per gli enti locali58, obiettivi finanziari triennali.

Per il comparto delle Regioni, il modello triennale “a scorrimento” adottato nel 2002 è quello vigente oggi. Per gli enti locali è stato necessario un ulteriore intervento di adattamento della normativa nel 2003, per giungere allo schema vigente di programmazione degli obiettivi triennale.

Per gli enti locali, inoltre, la finanziaria per il 2003 introduce, a decorrere dall’esercizio 2005, uno schema generale di patto, in cui si prevede che la legge finanziaria fissi annualmente la percentuale di

58 In tale anno si diversifica la normativa relativa alle Regioni (cfr. paragrafo successivo).

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miglioramento del “disavanzo” rispetto a quello del penultimo esercizio. Gli altri aspetti costitutivi del patto – definizione del saldo-obiettivo, procedure informative, eccetera – vengono stabiliti in via preventiva e “definitiva” nella finanziaria 2003.

Definizione e misura degli obiettivi

I due elementi da analizzare per la valutazione dell’impatto del vincolo finanziario sulle autonomie territoriali sono: a) la definizione del saldo finanziario programmatico; b) la misura del miglioramento richiesto. I paragrafi che seguono sintetizzano le indicazioni normative relative a tali due aspetti distinte per gli esercizi di applicazione del patto.

- Il patto 1999 Per il 1999, il contributo al contenimento del disavanzo richiesto alle

autonomie territoriali viene indicato in percentuale del prodotto interno lordo: la formulazione del patto del 1999 stabilisce infatti, che la riduzione del disavanzo annuo sia pari ad almeno lo 0,1% del pil. La circolare di attuazione spiega che la riduzione del saldo deve intendersi come correzione di un disavanzo tendenziale, cioè del disavanzo che si avrebbe in assenza di interventi correttivi. In assenza di misure regionali e locali del pil, sempre la circolare prevede che la correzione sia determinata in percentuale delle spese rilevanti ai fini del patto.

Il disavanzo viene calcolato come differenza tra le entrate finali – inclusive dei proventi delle dismissioni di beni immobiliari e al netto dei trasferimenti dallo Stato, delle riscossioni crediti e dei proventi derivanti dalla vendita di valori mobiliari – e le uscite finali correnti, al netto degli interessi; ai fini del calcolo, devono essere sottratti i trasferimenti ordinari, perequativi e consolidati dello Stato per la parte corrente e quelli erogati da tutte le amministrazioni statali per la parte capitale. Non devono altresì essere considerate le entrate derivanti dall’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile (Rca) e dall’imposta provinciale sulle formalità di trascrizione al Pra, entrambe attribuite alle Province in sostituzione di trasferimenti erariali, e il gettito delle imposte di registro, ipotecaria e catastale di competenza dei Comuni, anch’esso in sostituzione di trasferimenti erariali. Per le Regioni, è inclusa l’attività relativa alla sanità.

L’esercizio 1999 è l’unico in cui la normativa include anche un richiamo alla riduzione del debito; la direttiva sull’applicazione precisa,

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peraltro, che la riduzione del debito non è un obiettivo diretto, quanto piuttosto derivato, nel senso che dipende dalla riduzione del disavanzo finanziario e dalle politiche di dismissione immobiliare59.

- Il patto 2000 Per il 2000, l’obiettivo viene fissato in forma analoga all’esercizio

precedente, prevedendosi la riduzione del disavanzo in misura pari ad almeno un ulteriore 0,1 punti percentuali del pil. Inoltre, viene previsto il recupero dell’eventuale non raggiungimento dell’obiettivo per il 1999. Anche per tale esercizio, la definizione del saldo programmatico deve passare, quindi, per il calcolo del saldo tendenziale cui viene applicata una correzione.

La definizione del saldo finanziario viene invece parzialmente modificata. Con riferimento alle entrate finali, viene confermata l’esclusione dei trasferimenti (di parte corrente e capitale) provenienti dallo Stato, dall’Unione europea e dagli enti che partecipano al patto e dei proventi finanziari (dismissioni e riscossione crediti, stabilita per il 1999 nelle circolari esplicative) e viene altresì prevista (a differenza della versione relativa al 1999) l’esclusione dei proventi della dismissione dei beni immobiliari. Le spese, analogamente all’esercizio precedente, non devono includere gli interessi passivi; viene altresì prevista l’esclusione delle spese corrispondenti a risorse trasferite con vincolo di destinazione, nonché includere il saldo degli interventi finalizzati a fronteggiare eventi aventi carattere di eccezionalità, rientrando in tale categoria gli eventi straordinari, ma non prevedibili.

Le circolari esplicative prevedono che le Regioni, in particolare, predispongano saldi separati per l’attività di stretta competenza regionale, per le Aziende sanitarie locali e per quelle ospedaliere, per il loro consolidato. Ai fini della costruzione del saldo relativo all’attività regionale, le entrate devono essere registrate al netto del gettito dell’Irap e dell’addizionale dell’Irpef e le uscite al netto dei trasferimenti agli enti del Servizio sanitario nazionale e di quelli allo Stato e agli enti locali a titolo di compartecipazione dell’Irap.

59 Agli enti che presentavano al ministero del Tesoro piani finanziari di progressiva

e continuativa riduzione del rapporto tra il proprio ammontare di debito e il pil, proiettati su un orizzonte temporale di almeno 5 anni, era consentito il rimborso anticipato dei prestiti contratti con la Cassa depositi e prestiti senza oneri aggiuntivi oltre a quelli del rimborso del residuo debito.

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La circolare esplicativa, peraltro, precisa che, ai fini del patto, la valutazione del concorso delle Regioni sia limitato alla sola gestione delle funzioni non riguardanti la sanità, disposizione che verrà confermata dalle successive versioni del patto relative alle Regioni. La medesima circolare, per analogia con il trattamento dei trasferimenti provenienti dall’Unione, prevede l’esclusione dalle entrate le quote di cofinanziamento a carico della Regione.

- Il patto 2001 Il patto per il 2001 innova nella fissazione della misura del contributo,

precisando che questo sia definito, per Regioni ed enti locali, in termini relativi rispetto al disavanzo di due esercizi precedenti. Il disavanzo di ciascun ente non può pertanto essere superiore a quello del 1999 incrementato del 3%. In tal modo, la determinazione dell’obiettivo programmatico non richiede il calcolo in via previsionale del saldo tendenziale, ma più semplicemente la proiezione di un saldo storicamente realizzato.

In relazione alla definizione del disavanzo, la versione 2001 del patto adotta i principi dell’esercizio precedente, confermando in via legislativa l’esclusione dell’assistenza sanitaria e precisando altresì che il saldo finanziario deve essere calcolato al netto delle entrate e spese per le quali siano intervenute modifiche legislative di trasferimento o attribuzione di nuove funzioni o di nuove entrate proprie.

- Il patto 2002 Il patto 2002 vede per la prima volta la separazione della normativa

relativa alle Regioni da quella per gli enti locali. Esso introduce altresì alcune ulteriori innovazioni di rilievo: la proiezione triennale degli obiettivi, il vincolo sulle spese correnti e l’imposizione di un vincolo oltre che sulle erogazioni, anche sugli impegni.

Le Regioni. La normativa viene precisata in sede di d.l. di recepimento dell’accordo sulla sanità60 e prevede la sostituzione del vincolo sul saldo, fino a quel momento applicato, con un limite alla crescita delle spese correnti. Tale parametro non è stato modificato dalla normativa successiva e, quindi, a partire dal 2002, le scelte di bilancio delle Regioni a statuto ordinario sono soggette, ai fini del patto, esclusivamente ad un regola di crescita delle spese (non più sul saldo).

60 D.l. 347/2001, convertito dalla legge 405/2001.

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Nel 2002 le Regioni non possono impegnare spese, né autorizzare pagamenti per spese correnti in misura superiore all’ammontare degli impegni e dei pagamenti dell’esercizio 2000 aumentati del 4,5%, misura corrispondente alla somma del tasso di inflazione del 2001 (2,8%) e al tasso d’inflazione programmato per il 2002 (1,7%). Per il 2003 e il 2004, la normativa prevede l’applicazione di un incremento pari al tasso di inflazione programmato.

Ai fini del calcolo dell’obiettivo, le spese correnti devono essere considerate al netto delle spese per l’assistenza sanitaria, delle spese per il trasferimento di funzioni (nel limite dei corrispondenti trasferimenti), delle spese finanziate da programmi comunitari (nel limite dei corrispondenti finanziamenti) e degli interessi passivi.

Come segnalato dalla Corte dei conti, le spese relative all’assistenza sanitaria, seppure diversamente regolate sulla base degli accordi tra Stato e Regioni, rientrano pur sempre nel quadro di un controllo complessivo sulla evoluzione degli aggregati di finanza pubblica, attuato attraverso l’imposizione di un tetto massimo di spesa (per una valutazione della efficacia dei vincoli finanziari nel settore sanitario si veda il paragrafo 4).

Province e Comuni

Il saldo compatibile con gli obiettivi di finanza pubblica comporta l’imposizione di un vincolo del 2,5% alla crescita del saldo finanziario effettivo del 2002 rispetto al corrispondente saldo 2000. Quindi, ai fini del calcolo del saldo programmatico 2002, gli enti devono aumentare o diminuire del 2,5% il saldo finanziario 2000 a seconda che tale saldo sia negativo o positivo. Per il 2003 e il 2004 viene disposto un ulteriore intervento correttivo, disposizione successivamente soppressa con la finanziaria 200361. La definizione del saldo di riferimento ricalca quella del 2000.

Anche per gli enti locali al vincolo triennale sul saldo si aggiunge un vincolo aggiuntivo sulla crescita degli impegni e dei pagamenti delle spese correnti: esse non possono superare il complesso degli impegni e

61 La formulazione è assai complessa. Il comma soppresso recita «(…) un ulteriore

intervento correttivo pari al 2% della spesa corrente dell’anno precedente rilevante ai fini del saldo. Tale intervento correttivo si applica al disavanzo dell’anno precedente incrementato del tasso di inflazione programmata».

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dei pagamenti assunti nel 2000 aumentati del 6%. Da notare che si tratta di un vincolo addizionale, operante sia sugli impegni (competenza giuridica) che sui pagamenti (cassa), correlato a quello sul disavanzo, nel senso che il vincolo aggiuntivo sulle spese non può determinare in alcun modo una crescita del saldo finanziario superiore al limite consentito sul disavanzo.

A differenza del comparto delle Regioni, per gli enti locali si tratta di un vincolo che compare nel solo esercizio 2002, mentre in tutti gli esercizi successivi tornerà ad essere adottato esclusivamente il principio del miglioramento del saldo finanziario.

La Corte dei conti ha commentato tale disposizione nel senso di un allontanamento dell’istituto del patto dall’originaria previsione di strumento atto ad indicare i risultati da raggiungere, lasciando libera le modalità per il loro raggiungimento. La disposizione che introduce un vincolo addizionale sulle spese è stata oggetto di ricorso presso la Corte Costituzionale da parte di alcune Regioni62. La decisione della Corte, nel

62 Sentenza 36/2004 della Corte Costituzionale. Ricorso delle Regioni Toscana, Basilicata ed Emilia Romagna alla Corte costituzionale contro il vincolo sulla spesa corrente degli enti locali. Norme impugnate: articolo 24 della legge n. 448, 28 dicembre 2001.

Le questioni sollevate dalle Regioni ricorrenti investono il patto per l’anno 2002, considerato lesivo degli articoli 3, 5, 114, 117, 118 e 119 della Costituzione.

Sono affrontati in particolare due gruppi di questioni: i limiti posti alla crescita della spesa corrente degli enti locali, con i relativi meccanismi sanzionatori, e le convenzioni sugli acquisti di beni e servizi e le altre economie di spesa.

Sul primo gruppo di disposizioni, la Corte dichiara la non fondatezza delle questioni, non essendo contestabile il potere statale di imporre vincoli, per ragioni di coordinamento connesse ad obiettivi nazionali (condizionati anche dagli obblighi comunitari), anche se questi si traducono in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti.

Se è vero, argomenta la Corte, che, stabilito il vincolo al disavanzo, potrebbe apparire superfluo un vincolo alla spesa, il contenimento della spesa è tuttavia uno degli strumenti principali per il riequilibrio finanziario. In via transitoria (“per un anno”), il legislatore statale può introdurre anche un limite alla crescita della spesa, tenendo conto che si tratta di un limite complessivo, che lascia agli enti libertà di allocazione delle risorse. La natura indifferenziata del vincolo evidenzia una misura di emergenza, ma non tanto da rendere manifestamente irragionevole la misura.

La Corte sentenzia la non fondatezza anche del secondo gruppo di questioni. Le convenzioni per gli acquisti hanno a che fare con il coordinamento della finanza

pubblica, competenza concorrente delle Regioni. E’ pertanto legittima la norma che consente agli enti di aderire alle convenzioni statali, trattandosi di previsione

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rigettare il ricorso, giustifica la disposizione in termini di eccezionalità del contesto di finanza pubblica.

Ai fini del calcolo dell’obiettivo, le spese correnti sono calcolate al netto di interessi passivi, delle spese finanziate da programmi comunitari, delle spese per trasferimento di funzioni e delle spese con carattere di eccezionalità.

- Il patto 2003 Regioni. La finanziaria 2003 si limita a richiamare la vigenza della

normativa 2002 per le Regioni. Province e Comuni. Il patto per il 2003 prevede una distinzione di

obiettivi tra Province e Comuni: per i Comuni il disavanzo del 2003 non deve essere superiore a quello del 2001, mentre per le Province il disavanzo non deve essere superiore a quello del 2001 migliorato del 7%. Per il 2004, viene fissato un obiettivo di disavanzo pari a quello per il 2003 incrementato del tasso programmato d’inflazione, mentre per il 2005 si rinvia ad una diversa normativa (vedi infra).

Il patto per il 2003 propone, per le Province e per i Comuni, due definizioni simili del saldo rilevante ai fini del patto. Si tratta di un

meramente facoltizzante. Ma anche l’obbligo di adottare i prezzi delle convenzioni come base d’asta, pur realizzando un’ingerenza non poco penetrante nell’autonomia degli enti, non supera i limiti di un principio di coordinamento; la previsione della trasmissione degli atti ai fini dei controlli, ha poi carattere strumentale rispetto all’obbligo suddetto.

L’obbligo degli enti locali dell’affidamento all’esterno di servizi che possano essere gestiti più economicamente, non è incostituzionale in quanto si configura come generica direttiva, al “fine di realizzare economie di spesa”, e non valica i confini propri di un principio di coordinamento.

Sulla riduzione del quantum dei trasferimenti erariali ai Comuni la Corte non nega allo Stato, in linea generale, la potestà di commisurare i trasferimenti alle effettive necessità finanziarie, ragionevolmente apprezzate.

spese finanziate da programmi comunitari, delle spese per trasferimento di funzioni e delle spese con carattere di eccezionalità.

Dalla definizione delle spese correnti rilevante ai fini del patto, viene, altresì, prevista l’esclusione do alcune poste, al fine di premiare il comportamento di quegli enti che avevano perseguito obiettivi di efficienza e di riduzione dei costi nella gestione dei servizi pubblici62. In particolare: 1) casi di adozione da parte degli enti di impostazioni contabili diverse tra gli esercizi 2000 e 2002, riferite a gestioni di servizi di carattere imprenditoriale; 2) spese interamente finanziate dai proventi di convenzioni stipulate con enti pubblici e privati.

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parametro che ricalca i principi di quello adottato negli anni precedenti63 e si differenzia per l’esclusione, nel caso delle Province, delle spese per trasferimento di funzioni. Per entrambi i comparti, le disposizioni fanno esplicito riferimento sia alla gestione di competenza, che di cassa.

La finanziaria 2003 introduce altresì: 1) un sistema di programmazione trimestrale dei flussi finanziari; 2) una nuova normativa, con decorrenza dal 2005.

Con riferimento al primo aspetto, gli enti locali sono tenuti a predisporre entro il mese di febbraio una previsione cumulativa, articolata per trimestri, in termini di cassa del disavanzo finanziario, coerente con l’obiettivo annuale, da comunicare al ministero dell’Economia e delle finanze. La circolare esplicativa chiarisce che, diversamente dal saldo finanziario programmatico, risultante di un procedimento predeterminato dalla normativa e quindi immodificabile, gli obiettivi trimestrali sono frutto di previsioni e di andamenti che nel corso dell’anno potrebbero essere addirittura di segno opposto dell’obiettivo annuale.

La finanziaria 2003 introduce altresì, con decorrenza dall’esercizio 2005, alcune rilevanti modifiche alla normativa, con l’intento di delineare un quadro stabile di riferimento per l’applicazione del patto. Viene, infatti, previsto che con la manovra finanziaria annuale, sia fissato il contributo richiesto al comparto per quell’esercizio; più specificamente, il disavanzo finanziario di ciascun ente nell’esercizio non può essere superiore a quello risultante dall’applicazione, al corrispondente disavanzo finanziario del penultimo anno precedente, di una percentuale di variazione definita, per ciascuno degli anni considerati, dalla legge finanziaria. In sede di prima applicazione, per l’anno 2005, la percentuale è fissata nel 7,8% rispetto al 2003.

La finanziaria 2003 definisce poi gli altri elementi rilevanti per il patto (in particolare, il saldo di riferimento e le sanzioni), nel presupposto che siano stabiliti una volta per tutte e non vengano modificati in ciascun esercizio come avvenuto in passato. A tal fine, la

63 Il saldo è dato dalla differenza tra le entrate finali e le spese correnti: le entrate

sono al netto dei trasferimenti interni alla pubblica amministrazione, delle compartecipazioni all’Irpef e dei proventi da dismissioni immobiliari e finanziari. Le spese sono al netto degli interessi passivi, delle spese sostenute sulla base di trasferimenti con vincolo di destinazione e delle spese connesse con calamità naturali.

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definizione del saldo di riferimento viene significativamente modificata e semplificata; esso viene infatti determinato come differenza tra le entrate e le spese finali; le entrate vengono considerate al netto dei trasferimenti statali attribuiti sotto forma di compartecipazioni ai tributi erariali e dei proventi da dismissioni immobiliari. Le spese sono incluse al netto di quelle derivanti dalla acquisizione di partecipazioni finanziarie. In tal modo, l’aggregato rilevante ai fini del patto include sia la spesa per interessi, che le spese in conto capitale, allineandosi in termini definitori all’aggregato rilevante per le regole di bilancio europee e il patto.

Le disposizioni fanno, infine, esplicito riferimento, sia alla gestione di competenza, che di cassa, confermando quindi, con riferimento ai criteri di registrazione contabile, la differenza delle regole interne con quelle europee, basate sulla competenza economica.

Pur risultando auspicabile e condivisibile il desiderio di dare una maggiore stabilità alla normativa di riferimento, occorre segnalare che tale soluzione presenta elementi di debolezza. Tale disposizioni infatti, essendo contenute nella legge finanziaria per il 2003, possono essere modificate nell’ambito delle finanziarie successive. Diverso sarebbe il caso in cui esse fossero inserite, insieme con la definizione dei parametri rilevanti, nella legge di contabilità (legge 468/1978 e successive modificazioni) con il vincolo esplicito di non poter essere modificate con legge finanziaria, come per le altre norme di contabilità64.

- Il patto 2004 La finanziaria 2004 non contiene ulteriori disposizioni sul patto,

rinviando implicitamente a quanto stabilito nell’esercizio precedente. La circolare esplicativa precisa quindi che il saldo programmatico 2004 corrisponde al saldo 2003 incrementato dell’1,7%, tasso programmatico di inflazione risultante dal dpef 2004-’07.

Vi è previsto, peraltro, un intervento minore sulla definizione dell’obiettivo di saldo, prevedendosi l’esclusione dalle spese dei maggiori oneri di personale relativi al biennio contrattuale 2002-’03 (connessi con il recupero del differenziale tra i tassi di inflazione

64 In senso favorevole ad una sistematizzazione delle materia sembrano numerosi

interventi effettuati nel ciclo di audizioni sulla riforma delle procedure di bilancio presso la Commissione bilancio del Senato nel corso del 2002.

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programmata ed effettiva del biennio precedente e con l’attività istruttoria di condono).

Il d.l. 168/2004, intervenendo a metà anno, introduce un ulteriore vincolo per Regioni a statuto ordinario, Province e Comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti. In particolare tali enti devono assicurare che la “spesa per l’acquisto di beni e servizi” sostenuta nell’anno 2004, con esclusione delle spese dipendenti dalla prestazione di servizi correlati a diritti soggettivi dell’utente65, non sia superiore alla spesa annua mediamente sostenuta per tali finalità negli anni 2002 e 2003, ridotta del 10%66. Nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati, viene introdotto un parziale temperamento della disposizione per Regioni ed enti locali virtuosi, cioè che hanno rispettato, nel 2003 e fino al 30 giugno 2004, gli obiettivi previsti dal patto: per tali enti viene previsto, con una formulazione non perfettamente coerente con il resto del comma67, che la riduzione del 10% non si applica con riferimento alle spese che siano già state impegnate alla data di entrata in vigore del decreto.

65 La formula utilizzata è abbastanza generica da non rendere facilmente

individuabili tali spese. Nella seduta del 27 luglio 2004 della Commissione bilancio del Senato, il sottosegretario Vegas ha chiarito che si tratta principalmente di spese corrispondenti a servizi a domanda individuale.

66 Tale obiettivo sembra dover essere realizzato indipendentemente della quota di stanziamenti per l’acquisto di beni e servizi disponibile, cioè non impegnata, alla data di emanazione del d.l. Occorrerebbe chiarire quali siano gli effetti della disposizione qualora la quota di risorse già impegnate sia tale da non consentire all’ente di ottenere, su base annua, il contenimento necessario per rispettare il nuovo vincolo finanziario.

67 Nel prevedere, infatti, che per gli enti “virtuosi” la riduzione non si applica alle spese già impegnate, la norma sembra fare riferimento ad una percentuale di riduzione operata direttamente sugli stanziamenti del 2004. Il primo periodo del comma, invece, applica la percentuale di riduzione alla spesa media dell’ultimo triennio (che diventa parametro di riferimento per la spesa del 2004). Per agevolare l’interpretazione, l’Anci ha predisposto una nota esplicativa nella quale viene precisato che - poiché il fine della modifica è quello di attenuare gli effetti della manovra correttiva per gli enti virtuosi - la nuova formulazione comporta che gli enti che non abbiano rispettato il patto devono ridurre la spesa secondo i criteri indicati dalla norma, mentre gli enti virtuosi devono ridurre le spese solo relativamente agli stanziamenti non ancora impegnati, senza fare riferimento alla media del triennio precedente.

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Alcune considerazioni sulla definizione degli obiettivi La misura del contributo individuale. La definizione dell’obiettivo

finanziario risulta determinante ai fini della ripartizione dell’onere della correzione all’interno di ciascun comparto di enti: a fronte di un obiettivo di miglioramento complessivo valutato in circa 2.200 miliardi annui, infatti, le versioni del patto per il 1999 e per il 2000 prevedono che, indipendentemente dalla propria situazione di bilancio, ciascun ente effettui una correzione proporzionata alle proprie spese e quindi alla propria dimensione: vengono quindi posti su un piano di parità enti in avanzo o in disavanzo, enti che hanno già intrapreso azioni di correzione di eventuali squilibri ed enti che presentano un peggioramento negli andamenti tendenziali, quelli che hanno perseguito l’incremento delle entrate proprie, rispetto a quelli che non hanno esercitato alcun potere di prelievo.

Critiche furono avanzate alla soluzione indicata e fu evidenziata l’opportunità di una maggiore equità rispetto alle condizioni di partenza del bilancio e alla “virtuosità” dell’ente.

La Commissione tecnica della spesa pubblica (2000), nel valutare il patto, precisa che tale definizione “si giustifica solo con l’esperienza politica e la facilità amministrativa”, sostenendo che il contributo dovrebbe essere maggiore per quegli enti che hanno maggiormente contribuito alla creazione del fabbisogno.

La scelta adottata a partire dal 2001, nell’indicare che il saldo non deve essere superiore a quello del 1999 aumentato del 3%, sembra in parte rispondere a tali considerazioni; pur nell’ambito della interpretazione restrittiva della disposizione data dalla circolare di attuazione68, la correzione richiesta risulta variabile a seconda degli andamenti tendenziali e del segno del saldo. Infatti, gli enti che hanno iniziato nel 1999 un percorso di contenimento delle spese o di aumento delle entrate, beneficiano della nuova definizione, così come quelli che presentano un tendenziale equilibrio. Occorre peraltro notare che essa tende a favorire gli enti più grandi: a parità di dinamica tendenziale del

68 La Circolare prevede che il saldo programmatico 2001 sia determinato applicando

al saldo finanziario per il 1999 un miglioramento (in aumento se in avanzo, in diminuzione se in disavanzo) del 3%; l’articolo 53 della legge 388/2001 indica che il disavanzo 2001 non potrà essere superiore a quello 1999 aumentato del 3% e sembra prescrivere più che un obbligo a migliorare, che un vincolo al non peggioramento.

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disavanzo e di valore del saldo, viene, infatti, richiesta una correzione della stessa entità a soggetti di dimensioni diverse e che, per tale motivo, dovrebbero presentare margini di azione differenziati per l’adozione di misure di contenimento della spesa.

Cosa escludere, cosa includere. Alcuni criteri stabiliti per la determinazione del saldo finanziario rilevante ai fini del patto mirano ad avvicinare tale parametro al saldo netto di contabilità nazionale, variabile di riferimento per la verifica degli adempimenti comunitari.

In particolare, la mancata considerazione dei trasferimenti provenienti dallo Stato, dall’Unione europea e dagli altri enti che partecipano al patto si giustifica con l’elisione che tali poste hanno nel consolidamento dei flussi interni dell’aggregato della pubblica amministrazione. Analogamente, la mancata considerazione delle entrate connesse con la riscossione dei crediti e dei proventi derivanti dalle dismissioni mobiliari è analogo al trattamento che le partite finanziarie hanno nella costruzione dei conti di contabilità nazionale.

Il saldo finanziario presenta, peraltro, alcune differenze significative rispetto all’indebitamento netto: in particolare, il diverso criterio di registrazione contabile – cassa e poi competenza giuridica, rispetto alla competenza economica – e l’esclusione, nel saldo finanziario, delle voci relative alla spesa in conto capitale e a quella per interessi.

Vi sono argomenti a favore o contro il mantenimento di tali divergenze e le soluzioni adottate, oltre a ricercare la semplicità di attuazione, riflettono l’esigenza di contemperare più obiettivi e di tenere conto che le prescrizioni normative possono incidere sulle valutazioni di convenienza indirizzando in modo non desiderato i comportamenti decisionali in materia di spesa pubblica.

Il diverso criterio di registrazione contabile tra i saldi di riferimento del patto e di quelli europeo, è riconducibile alla disponibilità immediata dei dati di cassa e alla esigenza di avere un monitoraggio tempestivo della dinamica della spesa a livello locale; le poste di competenza economica richiedono infatti elaborazioni dei dati gestionali. L’aver aggiunto un vincolo sugli impegni oltre che sulla cassa, mira probabilmente ad incidere sulla formazione dei flussi finanziari con lo scopo di produrre una azione più incisiva sul contenimento della spesa.

In relazione all’esclusione della spesa in conto capitale, la versione iniziale del patto, contenuta nel disegno di legge collegato alla finanziaria per il 1999 (A.C. n. 5267, articolo 22), fa riferimento ad un

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saldo che presenta le stesse modalità di calcolo dell’indebitamento netto rilevante ai fini della contabilità nazionale. Il successivo esame parlamentare optò per la definizione di un diverso parametro finanziario, al fine di evitare meccanismi disincentivanti e vincoli restrittivi alle spese in conto capitale; la maggiore facilità di contenimento, in termini di competenza e di cassa, della spesa per investimenti avrebbe potuto comportare, infatti, la concentrazione delle eventuali misure di correzione su tale tipologia di spesa. Fenomeno del resto rilevato anche a livello nazionale e che ha portato a numerose proposte di correzione delle regole europee al fine di escludere dall’aggregato di riferimento per la politica di bilancio la spesa in conto capitale.

Inoltre la dinamica di cassa di alcune spese in conto capitale, come quella corrispondente alla realizzazione di grandi opere, ha una incidenza particolare sul bilancio dei singoli enti, soprattutto se di piccole dimensioni, alterando significativamente il risultato dell’esercizio. Non appariva, quindi, auspicabile che un ente, in corrispondenza con il pagamento di uno stato di avanzamento, vedesse compromesso il raggiungimento dell’obiettivo di patto, pur in presenza di un’azione efficace di contenimento della spesa corrente.

La problematica relativa alla esclusione delle spese in conto capitale riemerge con la finanziaria 2003, la quale – per la formulazione del patto che decorre dal 2005 – sancisce infatti l’inclusione delle spese in conto capitale nel patto. La giustificazione di tale scelta risiede nel desiderio di pervenire ad un più sistematico coordinamento della finanza pubblica, avvicinando quanto più possibile i parametri di riferimento delle regole di bilancio interne ed esterne. La preoccupazione per una effettiva applicabilità di tale previsione nell’ambito del patto relativo agli enti locali rimane peraltro attuale, emergendo in modo chiaro nelle valutazioni delle associazioni di categoria (cfr. audizioni di Anci e Upi presso la Commissione bilancio del Senato del 10 marzo 200469).

69 Il rappresentante delle Province, in particolare, afferma in relazione alla inclusione della spesa in conto capitale …si tratterebbe di cosa è inapplicabile poiché il risultato sarà che tutte le Province usciranno dal patto di stabilità”. Analogamente il rappresentante dei Comuni: “Un elemento di preoccupazione proviene invece, a nostro avviso, dal patto di stabilità per il 2005. Infatti, se esso resta quello ipotizzato nella finanziaria per il 2003, rischiamo di assistere ad una forte contrazione degli investimenti degli enti locali, salvo uno sforamento dal Patto di stabilità della stragrande maggioranza dei Comuni e delle Province italiani. I Comuni per la loro

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Responsabilità, monitoraggio e certificazione dei risultati

Le procedure per il monitoraggio e la verifica della realizzazione degli obiettivi posti dal patto mostrano, analogamente alla definizione degli obiettivi stessi, una complessa evoluzione nel corso dei cinque anni di applicazione dello strumento.

La normativa vigente è formata da un complesso reticolo di obblighi di comunicazione e procedure, la cui efficacia nel promuovere la disciplina fiscale è di difficile valutazione. Il quadro di accountability delle autonomie nei confronti del rispetto del vincolo finanziario è ancora poco chiaro e l’effettivo rispetto scarsamente verificabile, soprattutto a causa della mancata diffusione da parte del ministero dell’Economia delle informazioni disponibili su risultati e adesione degli enti coinvolti.

Il collegamento con le altre procedure di controllo interno ed esterno non è mai stato sviluppato, anche se, in alcuni casi, le prescrizioni del patto sembrano finalizzate a definire strumenti di monitoraggio di portata più ampia del mero controllo del rispetto dell’obiettivo di cassa. L’attivazione di un sistema che garantisca la diffusione di informazioni specifiche sui comportamenti finanziari delle autonomie istituzionali risulta fortemente condivisibile ed auspicabile; maggiore attenzione dovrebbe, peraltro, essere dedicata alla verifica della coerenza di tali informazioni con altre fonti di dati esistenti o programmate, sia per la costruzione di adeguati raccordi che consentano il confronto tra le diverse fonti informative, sia per evitare duplicazioni nelle procedure di raccolta ed elaborazione dei dati.

Sin dalla prima versione del patto vengono introdotte procedure di monitoraggio e di trasmissione di informazioni in corso d’anno. In attuazione di tali prescrizioni, le circolari esplicative definiscono allegati e prospetti finalizzati alla individuazione degli elementi rilevanti per la verifica del raggiungimento del risultato, compito assegnato al ministero del Tesoro.

struttura di bilancio non sono in grado di reggere un patto di stabilità che veda tout court l’ingresso degli investimenti nei criteri di rispetto del patto. Se così fosse, l’inconveniente principale sarebbe che probabilmente i Comuni comincerebbero a ridurre notevolmente gli investimenti, con conseguenze negative sull’economia italiana e sulla stessa gestione dei propri territori”.

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Cadenza del monitoraggio

Nei primi esercizi di applicazione, la normativa prevede un monitoraggio mensile per Regioni, Province autonome e per Province e Comuni di grandi dimensioni (Province con popolazione superiore a 400.000 abitanti e Comuni con popolazione superiore a 60.000 abitanti), un monitoraggio su base trimestrale per i Comuni con popolazione compresa tra 15.000 e 60.000 abitanti e annuale per gli altri Comuni.

La circolare di attuazione del patto per il 2000, tenuto conto del confronto trimestrale nelle Conferenze Stato Regioni e Stato città, modifica la cadenza della trasmissione dei prospetti, spostandola su base trimestrale per Regioni, Province con popolazione superiore a 400.000 abitanti e per i Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti.

Tale normativa viene puntualizzata nell’ambito della finanziaria 2002. Il monitoraggio viene confermato su base trimestrale e viene limitato alle Regioni a statuto ordinario, alle Province e ai Comuni con popolazione superiore a 60.000 abitanti.

Oggetto del monitoraggio

La circolare di attuazione della normativa per il 1999 prevede, ai fini della verifica dell’andamento dei conti, la trasmissione al ministero del Tesoro di prospetti sui dati di cassa (pagamenti e riscossioni) effettivamente realizzati.

Nel 2000, la circolare di attuazione relativa agli enti locali prescrive che Province e Comuni di grandi dimensioni, oltre alle informazioni relative al monitoraggio per il patto, trasmettano al ministero del Tesoro informazioni in termini di conto economico, ai fini della costruzione dei conti di contabilità nazionale delle pubbliche amministrazioni.

Sempre con riferimento agli enti locali, il patto per il 2002, alla luce del vincolo aggiuntivo sulle spese, operante sia sulla cassa che sulla competenza, prevede la trasmissione delle informazioni su incassi e pagamenti effettuati e sugli impegni assunti.

Inoltre viene previsto che Province e Comuni con popolazione superiore a 60.000 abitanti trasmettano al ministero dell’Economia informazioni su eventuali operazioni finanziarie effettuate con istituti di credito e non registrate in tesoreria.

Il patto per il 2003 specifica che, in corrispondenza con la esplicita formalizzazione del vincolo sul saldo di cassa e competenza, le

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informazioni trasmesse devono riguardare entrambe le gestioni, di competenza e di cassa.

In coerenza con l’introduzione della programmazione trimestrale dei flussi finanziari di cassa, il patto per il 2003 prevede, altresì, che Province e Comuni trasmettano, entro febbraio, la previsione cumulativa in trimestri in termini di cassa del disavanzo finanziario, coerente con l’obiettivo annuale.

Inoltre, oltre alla rilevazione finalizzata al monitoraggio, viene previsto che gli enti forniscano informazioni trimestrali anche in termini di contabilità nazionale. Tale prescrizione non sembra direttamente collegata al patto, quanto piuttosto finalizzata a consentire all’Istat la conoscenza di particolari aspetti delle movimentazioni finanziarie registrate dagli enti anche in termini di competenza economica, tali da permettere di effettuare le valutazioni necessarie alla costruzione dei conti trimestrali delle amministrazioni pubbliche.

Destinatari dell’informazione e responsabilità della verifica. I primi cinque anni di applicazione del patto non fanno emergere un modello di responsabilità chiaro nella verifica del rispetto all’obiettivo di disciplina fiscale.

Inizialmente, il compito di verifica del rispetto dell’obiettivo di saldo finanziario viene implicitamente assegnato al ministero dell’Economia, allora ministero del Tesoro, unico ricevente delle informazioni trasmesse dagli enti. Successivamente altri soggetti sono stati progressivamente coinvolti nella trasmissione dei dati: il ministero dell’Interno e le associazioni di categoria degli enti locali (Anci e Upi).

Alle prescrizioni del monitoraggio, si affiancano sin dalla prima applicazione forme di confronto intergovernativo, sviluppato nelle sedi istituzionali e basato sulle medesime informative e su ulteriori relazioni, nonché meccanismi di promozione della responsabilità politica a livello locale.

Nel 2003 l’approccio alla verifica viene poi ribaltato, prevedendo, da un lato, la responsabilità diretta degli enti (che devono autocertificare il raggiungimento degli obiettivi) e, dall’altro, il coinvolgimento di soggetti esterni (i revisori dei conti) caratterizzati da autonomia rispetto agli enti e istituzioni coinvolte.

Più specificamente e con riferimento al confronto intergovernativo, le varie versioni del patto propongono obblighi diversificati. Si può distinguere a seconda della direzione delle informazioni.

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Dalle autonomie al governo. Il patto per il 2000, oltre a confermare il monitoraggio mensile sugli enti, introduce la previsione di trasmissione da parte di essi al Tesoro di una relazione illustrativa sulle misure che si intendono adottare per conseguire l’obiettivo.

Similmente, il patto per il 2001 prevede che, in caso di peggioramento dei disavanzi, le Regioni interessate informino il Governo sulle misure individuate per il rispetto del vincolo.

Nelle sedi di rappresentanza istituzionale. Le prime versioni del patto introducono previsioni finalizzate alla promozione di un confronto politico nelle sedi istituzionali sui temi dei vincoli finanziari. Per un maggiore coinvolgimento di Regioni ed enti locali nelle responsabilità connesse con le decisioni di finanza pubblica, il patto per il 2000 prevede che il ministro del Tesoro riferisca trimestralmente alle Conferenze Stato Regioni e Stato città sugli esiti del monitoraggio, in ordine al rispetto degli obiettivi.

Il patto per il 2001 prevede che i presidenti delle Giunte regionali garantiscano il rispetto dei vincoli derivanti dal patto per il sistema delle Regioni e che riferiscano alla Conferenza Stato Regioni sui risultati del comparto.

Analogamente, le associazioni degli enti locali (Anci e Upi) e riferiscono alla Conferenza Stato città sulle grandezze relative a Province, a Comuni con popolazione superiore a 60.000 abitanti e ad un campione rappresentativo degli altri Comuni. Analogamente, gli enti locali, attraverso le loro associazioni, riferiscono nella Conferenza Stato città.

Nelle sedi di rappresentanza politica di ciascun ente. La versione per il 2000 del patto, in linea con l’approccio esortativo dello strumento, spinge verso il radicamento e la consapevolezza del vincolo di bilancio a livello di singolo ente, eventualmente promuovendo il dibattito politico sul rispetto delle regole fiscali. Essa infatti prescrive che la relazione sulle misure adottate sia allegata ai bilanci e che le Giunte regionali, provinciali e dei Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti riferiscano ai rispettivi consigli.

Analogamente la finanziaria 2001 prevede che le Giunte regionali, provinciali e dei Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti riferiscano entro il 30 giugno ai rispettivi consigli sul perseguimento dell’obiettivo, presentando contestualmente la relazione relativa alle misure correttive.

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Con riferimento alle introduzione di una responsabilità diretta degli enti, l’autocertificazione viene richiamata per la prima volta dalla legge finanziaria per il 2003, nell’ambito della normativa relativa alle assunzioni di personale a tempo determinato; per procedere ad assunzioni di personale, i singoli enti locali devono certificare il rispetto delle disposizioni relative al patto per il 2002, mediante verifica del raggiungimento di ciascuno dei tre obiettivi fissati per tale esercizio70.

La finanziaria 200471 stabilisce esplicitamente che l’ente stesso provveda, con le forme e le modalità che ritiene opportune, alla autocertificazione del raggiungimento degli obiettivi di competenza e di cassa72.

Con riferimento, infine, a forme di revisione esterna, la medesima legge finanziaria 2003 assegna al collegio dei revisori il compito di verifica del conseguimento degli obiettivi finanziari annuali del patto e, qualora l’obiettivo non sia stato rispettato, nella comunicazione al ministero dell’Interno. Da notare che i revisori rispondono personalmente in caso di mancata comunicazione.

Il collegio dei revisori dei conti è tenuto, altresì, a verificare la coerenza dell’obiettivo trimestrale con l’obiettivo annuale e il rispetto da parte degli enti, avendo l’obbligo, in caso di inadempienza, di darne comunicazione sia all’ente che al ministero dell’Economia e delle finanze (Rgs) e alle associazioni di rappresentanza (Anci, Uncem e Upi).

Sanzioni e incentivi

Nelle formulazioni iniziali, il patto non assume la natura di norma imperativa, quanto di esortazione programmatica, tendente a realizzare obiettivi condivisi, una maggiore trasparenza nei rapporti tra livelli di governo, la responsabilizzazione dei rappresentanti politici. Almeno in una fase iniziale, era sembrato utile definire forme premianti e procedure di monitoraggio informativo, e non misure di penalizzazione, quali ad esempio poteri sostitutivi o sanzioni pecuniarie.

70 Articolo 34, comma 11 della legge 289/2002. 71 Articolo 3, comma 60 della legge 350/2003. 72 La circolare attuativa chiarisce poi che con riferimento alla determinazione del

saldo 2003, non è indispensabile l’approvazione formale del conto consuntivo dello stesso 2003, poiché il saldo può essere determinato con riferimento alle scritture di bilancio. L’approvazione del consuntivo individua peraltro il termine ultimo per la verifica del collegio dei revisori.

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Nelle versioni successive del patto si rafforza la componente sanzionatoria a scapito degli interventi incentivanti. Il primo tentativo di applicazione di sanzioni pecuniarie, basate sul taglio dei trasferimenti ordinari, si scontra con le esigenze di funzionalità dell’ente, che potrebbero esser minacciate in caso di applicazione della sanzione. La normativa relativa agli enti locali si sposta verso forme di sanzione che, in caso di inadempienza, dettano prescrizioni specifiche, limitando la discrezionalità dell’ente nella gestione delle principali voci di spesa: personale, spesa in beni e servizi, investimenti. Di fatto, in tali casi, la formulazione delle sanzioni produce un risultato simile alla limitazione dei volumi di spesa, applicata alle singole categorie.

Le modifiche descritte in materia di sanzioni hanno portato la Corte dei conti a sottolineare come l’istituto si fosse allontanato dalla originaria natura di esortazione programmatica verso un carattere di norma imperativa73.

Indicativa in tal senso è l’evoluzione della normativa che accompagna le prescrizioni del patto: se le versioni del patto del 1999 e 2000 “suggeriscono” le azioni che gli enti possono adottare per realizzare l’obiettivo di contenimento del disavanzo finanziario74, le formulazioni a

73 Corte dei conti , Deliberazione e relazione sui risultati dell’esame della gestione

finanziaria e dell’attività degli enti locali per l’esercizio finanziario 2000. 74 Tra le misure suggerite: perseguimento di obiettivi di efficienza, aumento della

produttività e riduzione dei costi nella gestione dei servizi pubblici; contenimento del tasso di crescita della spesa corrente rispetto ai valori degli anni precedenti; potenziamento delle attività di accertamento dei tributi propri ai fini di aumentare la base imponibile; aumento del ricorso al finanziamento a mezzo prezzi e tariffe dei servizi pubblici a domanda individuale; ridurre la spesa per il personale, secondo le procedure di programmazione delle assunzioni; limitare il ricorso ai contratti stipulati al di fuori della dotazione organica ed alle consulenze esterne e procedere alla soppressione degli organismi collegiali non ritenuti indispensabili; sviluppare le iniziative per la stipula di contratti di sponsorizzazione, accordi e convenzioni per i servizi pubblici non essenziali; ridurre il ricorso all’affidamento diretto di servizi pubblici locali a società controllate o ad aziende speciali ed al rinnovo delle concessioni di tali servizi senza il previo espletamento di un’apposita gara di evidenza pubblica; sviluppare iniziative per il ricorso, negli acquisti di beni e servizi, alla formula del contratto a risultato, di cui alla norma Uni 10685; procedere alla liberalizzazione del mercato dei servizi pubblici.

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partire dal 2003 “indicano” azioni da adottare in via preventiva75 e azioni obbligatorie in caso di inadempienza.

Sanzioni

Il patto per il 1999 affronta la questione in modo molto generico, stabilendo che qualora fosse stata comminata la sanzione europea per l’accertamento di deficit eccessivo, la sanzione stessa sarebbe stata posta a carico degli enti che non avessero realizzato gli obiettivi prefissati. La sanzione sarebbe stata assegnata per la quota ad essi imputabile, secondo modalità da definire in sede di Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano e di Conferenza Stato città ed autonomie locali.

La questione della definizione di strumenti di sanzionatori viene affrontata nuovamente nel Patto per il 2002, limitatamente al comparto degli enti locali. La finanziaria 2002 introduce una sanzione per gli enti locali che non abbiano raggiunto l’obiettivo 2001, prevedendo per gli enti inadempienti nel 2001 una limitazione della facoltà di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nell’esercizio 2002.

Viene, inoltre, introdotta la previsione di un taglio dei trasferimenti per gli enti inadempienti, cui, peraltro, viene associata la possibilità di redistribuzione delle medesime risorse a favore degli enti adempienti. La riduzione dei trasferimenti prevista è proporzionale alla differenza tra obiettivo e saldo effettivo. Tali disposizioni sono state prima modificate nel corso dell’esercizio 2002 e poi soppresse con la finanziaria 2003.

La normativa per il 2002 relativa alle Regioni non prevede specifiche sanzioni nel caso di mancato rispetto del patto; l’esercizio 2002 è peraltro il primo anno di applicazione dell’accordo in materia sanitaria nell’ambito del quale sono previste sanzioni nel caso di emersione di disavanzi nella spesa sanitaria (vedi paragrafo 4).

La formulazione del patto per il 2003 interviene nuovamente sul tema delle sanzioni, distinguendo esplicitamente la normativa per le Regioni da quella per gli enti locali.

Per quanto riguarda le Regioni, le sanzioni vengono ricondotte a quelle previste nell’ambito del più ampio accordo sulla sanità. In caso di mancato rispetto delle prescrizioni del patto (che è al netto della spesa

75 Sulla possibilità di prescrivere misure da adottare per il rispetto dei vincoli finanziari si era già pronunciata la Corte costituzionale nel 2002 (cfr. nota 62).

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sanitaria), scattano le penalizzazioni previste nell’accordo relativo alla sanità (il livello dei finanziamenti per tale spesa ritorna a quanto previsto nell’accordo 2000).

Per gli enti locali, la finanziaria 2003, analogamente alla finanziaria 2002, prevede una limitazione per le assunzioni di personale per quegli enti che nel corso del 2002 non avevano raggiunto gli obiettivi previsti.

Le prescrizioni relative alle sanzioni sono poi trattate in modo sistematico e rinforzate: il patto per il 2003 prevede, infatti, che il mancato rispetto degli obiettivi finanziari del patto nell’anno x, secondo le risultanze accertate dal collegio dei revisori, comporta limitazioni nell’anno x+1 sia alla facoltà di assumere personale a tempo indeterminato76, sia di indebitarsi per effettuare investimenti77. La normativa stabilisce altresì che, in caso di mancato rispetto dei vincoli finanziari, gli enti sono tenuti a ridurre almeno del 10% rispetto all’anno 2001 le spese per l’acquisto di beni e servizi.

Le misure previste si applicano per ciascun anno successivo a quello in cui è stato accertato il mancato conseguimento degli obiettivi (esempio relativamente al patto 2003, le sanzioni si applicano nel 2004).

In aggiunta il patto 2003 indica alcune prescrizioni che si applicano in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi trimestrali, come accertato dal collegio dei revisori. In tali casi, gli enti locali sono tenuti infatti ad intervenire tempestivamente, nel periodo successivo e sino al riassorbimento dello scostamento registrato, limitando i pagamenti correnti entro l’ammontare di quelli effettuati alla stessa data e allo stesso titolo nell’anno 2001.

La finanziaria 2003 prevedeva infine azioni obbligatorie per il raggiungimento degli obiettivi, tra cui l’obbligo di ricorrere alle convenzioni quadro stipulate dalla Consip spa per gli acquisti, pena la

76 Da notare che limiti per le assunzioni a tempo indeterminato sono stabilite anche

per gli enti che rispettano il patto, inclusi i piccoli Comuni (che sono invece esentati dal patto). Per tali enti, la percentuale delle nuove assunzioni, da stabilirsi con d.p.c.m., non può superiore al 50% delle cessazioni dal servizio nel 2002.

77 Da segnalare che nel corso dell’audizione presso la Commissione programmazione economica e bilancio del Senato della Repubblica del 10 marzo 2004, i rappresentanti dei Comuni hanno segnalato l’opportunità di rivedere i menzionati criteri poiché «…tutti gli enti che nel 2003 hanno sforato rispetto al Patto, per il 2004 di fatto avranno il blocco degli investimenti… e altrimenti già a partire dal 2003 ci sono Comuni nella condizione di non potere investire sul proprio territorio».

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nullità dei contratti stipulati in difformità. Tale disposizione è stata poi soppressa nel corso dell’esercizio 2003.

Incentivi

La legge finanziaria per il 2000 introduce un meccanismo premiante per gli enti che realizzano quanto prescritto dal Patto: qualora l’obiettivo di miglioramento del saldo finanziario fosse stato distintamente raggiunto da ciascun comparto di enti, viene concessa una riduzione di 50 punti base sul tasso di interesse nominale applicato sui mutui della Cassa depositi e prestiti78; qualora poi un singolo ente avesse realizzato nel biennio 1999-2000 un miglioramento del disavanzo superiore allo 0,3% del pil, la riduzione del tasso di interesse sugli stessi mutui veniva aumentata a 100 punti base. Il primo incentivo veniva concesso se il singolo comparto (Regioni o Province o Comuni) realizzava l’obiettivo: risultava quindi definito un sistema di monitoraggio del comportamento di gruppo, in cui poteva avere un ruolo il controllo reciproco sull’andamento della spesa in corso d’anno. Il secondo incentivo operava sul singolo ente e avrebbe dovuto indurre gli enti caratterizzati da una maggiore flessibilità di bilancio a fornire un contributo superiore a quello medio adottato dagli altri enti, aumentando in tal modo la probabilità dell’intero comparto di raggiungere l’obiettivo.

La questione degli incentivi compare in forma indiretta nella finanziaria 2002, in cui si prevede che le risorse eventualmente tagliate agli enti inadempienti siano redistribuite agli enti virtuosi. Con la soppressione della disposizione, il tema degli incentivi scompare completamente dalla normativa del patto.

3.2.3. Alcune considerazioni quantitative

Le indicazioni degli effetti attesi ex ante dalla applicazione del patto emergono in modo sintetico, espressi in termini di saldi aggregati, dalle relazioni tecniche ai disegni di legge finanziaria che regolano i patti dei vari anni. Scarse e frammentarie sono le indicazioni e le valutazioni ex post della rispondenza degli enti al vincolo finanziario.

78 La riduzione viene operata sul tasso di interesse nominale applicato sui mutui della Cassa depositi e prestiti, in ammortamento al 31/12/1998 ovvero concessi entro il 31/12/1997, con oneri a carico delle Regioni e degli enti locali, e il cui tasso di interesse risultasse superiore al tasso di interesse nominale praticato dalla sui mutui decennali a tasso fisso alla data di entrata in vigore della legge.

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Il ministero dell’Economia diffonde saltuariamente, in generale in sede di audizioni parlamentari, i dati aggregati sulle risultanze del patto, non producendo informative pubbliche stabili né sul rispetto dal parte delle autonomie territoriali delle prescrizioni finanziarie, né sul grado di adesione alle prescrizioni informative. Nelle medesime sedi parlamentari, emerge, in modo altrettanto saltuario, l’opinione delle autonomie territoriali, su efficacia e limiti dei vincoli finanziari.

Più continuativo è il contributo della Corte dei conti che effettua delle rilevazioni annuali sia per gli enti locali che per le Regioni, i cui risultati vengono riportati, con un certo ritardo, nelle relazioni trasmesse al Parlamento.

Le valutazioni ex-ante

Le relazioni tecniche delle leggi finanziarie individuano una quantificazione ex ante degli effetti attribuiti alla normativa (tabella 2).

Tabella 2. Gli effetti finanziari attesi dal Patto di stabilità interno - relazioni tecniche

1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Patto 1999

milioni di euro 1.140 1.140 1.140 miliardi di lire 2.200 2.200 2.200

Comuni e com. montane 720 720 720 Province 100 100 100 Regioni statuto ordinario 1.000 1.000 1.000 Regioni statuto speciale 380 380 380

Patto 2000 milioni di euro 1.140 1.140 1.140

Tutti gli enti (miliardi di lire) 2.200 2.200 2.200

Patto 2001

milioni di euro 1.290 1.290 1.290 miliardi di lire 2.500 2.500 2.500

Patto 2002

milioni di euro 1.447 2.527 3.872 75% 53%

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Regioni statuto ordinario 310 410 670 32% 63% Enti locali 1.137 2.117 3.202 86% 51%

Patto 2003 milioni di euro 2.200 2.550 3.060

Enti locali 1.800 1.850 2.060 Regioni statuto ordinario 400 700 1.000

Patto 2004 0 0 0 Fonte: relazioni tecniche ai disegni di legge finanziaria – Vari anni

Nei primi due esercizi di applicazione del patto (1999 e 2000),

l’importo complessivo di correzione che gli enti che partecipano al patto devono realizzare è pari allo 0,1% del pil, pari a circa 2.200 miliardi di lire (pari a circa 1.140 milioni di euro) in ciascuno dei due esercizi. Nel 1999, viene presentata la ripartizione del contributo tra i comparti, in proporzione alla spesa di ciascuno: 1.000 miliardi per le Regioni a statuto ordinario, 380 miliardi per le Regioni a statuto speciale, 100 miliardi per le Province, 720 miliardi per i Comuni e le Comunità montane.

Nella finanziaria per il 2000, viene previsto che gli enti, nel migliorare il saldo di ulteriori 0,1 punti percentuali, recuperino eventualmente il mancato obiettivo 1999 (recupero stimato pari a 1.100 miliardi di lire annui).

La relazione tecnica al disegno di legge finanziaria per il 2001 non indica una stima specifica del risparmio atteso dal patto, ricomprendendone gli effetti nella valutazione di una serie di misure (1.300 milioni di euro annui circa).

Nel 2002, in corrispondenza della separazione della normativa di riferimento, la valutazione degli effetti finanziari connessi con il patto viene presentata separatamente per le Regioni e per gli enti locali, per un importo complessivo pari a circa 1.500 milioni di euro per il 2002, 2.500 milioni per il 2003 e 3.800 milioni per il 2004. Sia le quantificazioni relative alle Regioni (310, 410, 670 milioni di euro circa per il triennio), sia quelle relative agli enti locali (1.100, 2.100, 2.200 milioni di euro circa) evidenziano una crescita molto elevata dei risparmi negli anni successivi al primo (75 % e 53 % in media per il 2003 e il 2004), a

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fronte di una previsione di evoluzione del vincolo finanziario pari al tasso programmato di inflazione.

La relazione tecnica alla finanziaria 2003 aggiorna le valutazioni per le Regioni per gli anni 2003-’05 in 400 milioni di euro per il 2003, 700 e 1.000 milioni di euro rispettivamente per il 2004 e 2005. Unitamente ai risparmi attesi sulle autonomie locali il complessivo impatto in termini di fabbisogno e di indebitamento netto viene valutato per il triennio 2003-05 pari a 2.200, 2.550, 3.060 milioni di euro.

La relazione tecnica alla finanziaria per il 2004 non modifica le quantificazioni proposte nell’esercizio precedente, confermando i risparmi della finanziaria 2003. Viene peraltro specificato esplicitamente che le modifiche relative agli oneri per il rinnovo contrattuale non incidono sulla quantificazione dei risparmi. La relazione tecnica al d.l. 168/2004 precisa che gli interventi previsti dal mirano a permettere il raggiungimento degli obiettivi finanziari già prefissati, in relazione alla disciplina del patto, in sede di legge finanziaria79.

I risultati: la posizione del ministero dell’Economia

Con riferimento al periodo 1999-2000, il ministero dell’Economia, allora ministero del Tesoro, ha certificato con decreto del ministro del Tesoro, il conseguimento da parte del comparto dei Comuni e delle Province degli obiettivi posti con il patto; tale certificazione risultava necessaria per consentire l’accesso alla riduzione dei tassi applicati sui mutui della Cassa depositi e prestiti.

Per i periodi successivi non viene fornita dal ministero alcuna informazione sull’andamento generale del patto.

Nel corso di audizioni parlamentari, peraltro, sono state fornite frequentemente indicazioni su risultante e comportamenti delle autonomie territoriali.

79 Secondo quanto esposto, l’intervento di metà anno sarà in grado di produrre un

effetto positivo sui saldi di finanza pubblica per circa 600 milioni di euro. L’importo indicato, peraltro, non è compreso nel quadro riepilogativo degli effetti complessivi del d.l., poiché i risparmi così ottenuti dovrebbero «compensare le criticità che stanno emergendo sul fronte della spesa per il personale (oneri per il contratto per il biennio 2002-03)», la cui incidenza sui saldi appare superiore a quella programmata.

71

In una recente audizione parlamentare80, il Ragioniere generale dello Stato presenta un quadro completo del funzionamento del patto. Con riferimento alle Regioni, precisa che nel 2002 tutti gli enti hanno rispettato gli obiettivi fissati dal patto81, con l’eccezione di una sola Regione; anche nel 2003, i dati del monitoraggio, seppur provvisori, evidenziano un sostanziale rispetto sia degli obiettivi di cassa che di competenza (tabella 3).

80 Audizione presso il Comitato permanente per la verifica degli andamenti della

finanza territoriale della Commissione bilancio della Camera dei deputati del 28 aprile 2004.

81 Si ricorda che il patto per le Regioni prevede un vincolo sulle spese correnti, al netto di quella sanitaria. Secondo i dati riportati dal Ragioniere generale, il vincolo su circa il 13% della spesa, poiché l’81% della spesa è per la sanità e circa il 6% corrisponde alle altre voci escluse dal computo dell’obiettivo di disavanzo.

72

Tabella 3. REGIONI a statuto ordinario: monitoraggio del patto di stabilità interno - ANNO 2003 15 regioni su 15 milioni di euro PAGAMENTI IMPEGNI al 31 dicembre al 31 dicembre 2000 2002 2003 2000 2002 2003 SPESE CORRENTI 67.243 77.924 82.824 67.986 80.857 84.574

meno interessi passivi 965 938 973 915 926 982 spese correnti relative all'assistenza sanitaria 54.295 62.775 66.979 54.961 64.611 68.031 spese correnti relative a programmi comunitari 597 970 1.309 391 1.161 1.296 spese correnti corrispondenti a funzioni statali trasferite 411 2.812 2.754 743 3.046 3.045 SPESE CORRENTI soggette al vincolo 10.975 10.429 10.809 10.976 11.113 11.220 OBIETTIVO PROGRAMMATICO 10.975 11.623 10.976 11.624 spese 2000 * (1 + 4,5% + 1,4%) DIFFERENZA tra risultato annuale ed obiettivo programmatico -814 -404

Fonte: Ministero dell'economia - RGS - Dati provvisori

Anche per le autonomie speciali riscontra un sostanziale

raggiungimento degli obiettivi programmati per il 2003, anno in cui la

73

maggior parte delle autonomie speciali è riuscito a contenere le spese correnti ad un livello inferiore a quello programmato.

Con riferimento alle Province e ai Comuni, evidenzia che le verifiche da parte del ministero dell’Economia in sede di monitoraggio evidenziano, al 31 dicembre 2003, che gli obiettivi di saldo sono stati conseguiti a livello aggregato sia in termini di competenza che di cassa dai rispettivi comparti. Dai dati risulta che, tra gli enti monitorati, solo 4 Province e 7 Comuni con popolazione superiore a 60.000 abitanti sembrano non aver rispettato gli obiettivi stabiliti (tabelle 4 e 5).

Tabella 4. PROVINCE: monitoraggio del patto di stabilità interno - ANNO 2003 96 province su 96; milioni di euro cassa competenza 2000 2003 2000 2003 ENTRATE FINALI 7.724 10.587 8.423 11.750

meno compartecipazioni all'Irpef 0 435 0 453 trasferimenti correnti dallo Stato 1.017 1.053 1.203 1.061 trasferimenti correnti da UE 18 88 43 100 trasferimenti correnti da altri enti partecipanti al patto 1.680 2.371 1.907 2.506 dismissioni beni immobiliari e attività finanziarie 430 767 411 858 trasferimenti in c/capitale dallo Stato 203 320 206 336 trsferimenti in c/capitale dalla UE 16 15 8 29

trasferimenti in c/capitale da altri enti partecipanti al patto 482 928 749 1.744 riscossione crediti 67 119 69 147 ENTRATE FINALI nette 3.811 4.926 3.827 4.516 pagamenti impegni SPESE CORRENTI 5.207 6.690 5.980 7.420

74

meno interessi passivi 341 350 343 354 spese correnti corrispondenti a trasferimenti con vincolo di destinazione dalla UE 40 42 56 96 spese correnti per calamità naturali 35 49 24 47

spese correnti corrispondenti a funzioni statali trasferite 1.381 2.464 1.754 2.819 spese per rimborsi eseguiti dallo Stato 0 203 0 215 SPESE CORRENTI nette 3.410 3.582 3.803 3.889 SALDO FINANZIARIO realizzato 401 1.344 24 627 SALDO FINANZIARIO programmatico 429 26 saldo 2001 * (1 + 7%) DIFFERENZA tra risultato annuale ed obiettivo programmatico 915 601

Fonte: Ministero dell'economia - RGS - Dati provvisori Tabella 5. COMUNI con popolazione superiore a 60.000 abitanti: monitoraggio del patto di stabilità interno – Anno 2003 94 comuni su 94

Gestione di cassa Gestione di competenza

2000 2003 2000 2003 incassi accertamenti ENTRATE FINALI 26.879 27.564 28.132 28.891

meno compartecipazioni all'Irpef 0 2.593 0 2.593 trasferimenti correnti dallo Stato 6.174 3.324 6.000 3.515

75

trasferimenti correnti da UE 20 17 14 17 trasferimenti correnti da enti partecipanti al patto 1.778 1.596 1.640 1.631 dismissioni beni immobiliari e attività finanziarie 673 1.013 820 1.193 trasferimenti in c/capitale dallo Stato 415 1.236 371 1.206 trsferimenti in c/capitale dalla UE 62 43 42 40

trasferimenti in c/capitale da enti partecipanti al patto 317 363 500 874 riscossione crediti 6.817 6.124 7.505 6.076 ENTRATE FINALI nette 10.623 11.255 11.240 11.746 pagamenti impegni SPESE CORRENTI 17264 16643 17.700 17.524 meno interessi passivi 1351 1027 1.163 1.039 spese correnti corrispondenti a trasferimenti con vincolo di destinazione dalla UE 51 49 38 44 spese correnti per calamità naturali 31 15 58 59 SPESE CORRENTI nette 15.831 15.552 16.441 16.382 SALDO FINANZIARIO realizzato -5.208 -4.297 -5.201 -4.636 SALDO FINANZIARIO programmatico -5.208 -5.201 DIFFERENZA tra risultato annuale ed obiettivo programmatico 911 565

Fonte: Ministero dell'economia - RGS - Dati provvisori

76

Con riferimento alle forme di monitoraggio e di controllo relative al patto, il Ragioniere generale precisa che sicuramente la normativa può essere, in accordo con le parti, migliorata e potenziata, anche alla luce dell’esperienza nel comparto sanitario, nel quale le forme di controllo sono state più incisive in quanto implicano penalizzazioni nell’accesso ai fondi per le Regioni che non rispettano gli accordi.

I risultati: l’opinione degli enti

Le audizioni parlamentari in materia di conti pubblici confermano che il patto è uno strumento ormai acquisito negli schemi dei rapporti finanziari tra livelli di governo. Le valutazioni espresse dai rappresentanti delle associazioni delle autonomie territoriali, infatti, non contestano l’opportunità del patto, quanto piuttosto si focalizzano su aspetti definitori, condizioni e misure del contributo richiesto a ciascun comparto. Sono già state riportate le valutazioni espresse in ambito parlamentare sulle definizioni dell’obiettivo finanziario e sulla struttura delle sanzioni.

Nel medesimo ciclo di audizioni, i rappresentanti delle Province82 dichiarano che il comparto degli enti locali, nell’ultima finanziaria, ha contribuito al patto di stabilità per l’11%, in misura maggiore rispetto alla propria partecipazione al bilancio pubblico, che per Comuni e Province è dell’8%. Di conseguenza precisano «...vorremmo contribuire, in termini di responsabilità, nella stessa misura in cui partecipano al bilancio pubblico e non in misura maggiore, perché ciò significa semplicemente uno spostamento di risorse dal sistema periferico a quello nazionale».

I risultati: le rilevazioni della Corte dei conti

La Sezione autonomie della Corte dei conti si sofferma ampiamente, nelle sue attività di controllo delle autonomie territoriali, sulla normativa del patto e sui risultati, sia per le Regioni che per gli enti locali83.

82 Audizione presso la Commissione bilancio del Senato dell’10 marzo 2004 83 Per le Regioni, la Corte redige la Relazione sulla gestione finanziaria delle

Regioni, ai sensi dell’articolo 3, comma 6, della legge 20/1994; nel luglio 2004 è stata trasmessa al Parlamento quella relativa all’esercizio 2002, con i primi risultati dell’esercizio 2003.

Per gli enti locali, la Corte redige annualmente la Relazione sui risultati dell’esame della gestione finanziaria e dell’attività degli enti locali. Nel luglio 2004, è stata

77

Con riferimento agli enti locali, la verifica dei risultati degli esercizi dal 2000 al 2003 è basata su un esame analitico della documentazione inviata dagli enti interessati, previa verifica formale dell’esattezza degli adempimenti richiesti, e quindi della corrispondenza tra i dati esposti nei modelli e gli omologhi dati riportati nel rendiconto (tabelle 6 e 7).

trasmessa al Parlamento la deliberazione relativa all’esercizio finanziario 2002, nonché sugli andamenti di cassa nell’esercizio 2003.

78

Tabella 6 PROVINCE (ripartizione per regione) Rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno

2000 2002 2003

enti esaminatirispetto

dell'obiettivo enti

esaminati rispetto dei tre obiettivi

rispetto del SF

programm. rispetto limite

pagamenti rispetto limite

impegni enti

esaminati rispetto saldo

di cassa rispetto saldo competenza

PIEMONTE 6 6 8 5 6 8 7 8 8 8 LOMBARDIA 10 10 11 9 11 10 10 11 10 10 LIGURIA 4 4 4 3 4 3 4 3 3 3 VENETO 7 7 7 7 7 7 7 6 5 5 F.VENEZIA GIULIA 4 4 4 4 4 4 4 E.ROMAGNA 7 7 9 9 9 9 9 9 9 9 TOSCANA 6 6 10 9 10 9 10 8 8 8 UMBRIA 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 MARCHE 3 3 4 3 4 4 3 4 4 4 LAZIO 5 5 5 5 5 5 5 4 4 4 ABRUZZO 2 2 4 2 4 3 3 2 2 2 MOLISE 2 2 2 1 1 2 1 CAMPANIA 4 4 5 3 4 3 4 3 3 3 PUGLIA 5 5 5 5 5 5 5 4 3 4 BASILICATA 2 2 2 2 2 2 2 2 1 1 CALABRIA 5 5 4 3 3 3 3 3 3 2 SICILIA 3 2 9 8 9 8 8 7 7 7 SARDEGNA 4 4 4 4 4 4 4 3 3 3

TOTALE 81 80 99 84 94 91 91 79 75 75 Fonte: corte dei conti

79

Tabella 7 COMUNI (ripartiti per regione) - Rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno

2000 2002 2003 - saldo di competenza 2003 - saldo di cassa

pop. sup. 60.000 ab.pop. inf. 60.000 ab. pop. sup. 60.000 ab. pop. inf. 60.000 ab. pop. sup. 60.000 ab. pop. inf. 60.000 ab.

enti

esaminati rispetto

obiettivoenti

esaminatirispetto

obiettivoenti

esaminati

rispetto dei tre

obiettivi

rispetto del SF

programm.

rispetto limite

pagamenti

rispetto limite

impegni enti

esaminatirispetto

dell'obiettivoenti

esaminatirispetto

dell'obiettivoenti

esaminatirispetto

dell'obiettivoenti

esaminatirispetto

dell'obiettivoPIEMONTE 4 1 56 32 109 81 106 92 90 4 4 64 62 4 4 64 62LOMBARDIA 11 7 168 77 332 242 311 288 273 10 9 181 167 10 9 181 173LIGURIA 1 1 18 14 44 33 42 37 36 2 2 20 19 2 2 20 20TRENTINO A.A - - 1 0 VENETO 5 4 105 66 211 150 200 175 174 5 5 120 110 5 5 120 116F.VENEZIA GIULIA 2 2 25 9 39 19 31 26 26 E.ROMAGNA 9 8 55 37 152 114 141 135 132 11 11 82 79 11 11 82 78TOSCANA 9 7 75 46 130 106 125 115 114 10 10 81 79 10 10 81 79UMBRIA 2 1 12 9 26 21 25 23 24 2 1 13 12 2 2 13 12MARCHE - - 28 15 56 38 51 43 45 2 2 33 31 2 2 33 32LAZIO 2 2 40 17 76 52 70 58 64 2 2 47 37 2 2 47 43ABRUZZO 2 2 15 8 41 28 38 32 33 2 1 21 20 2 2 21 20MOLISE - - 4 1 8 3 7 3 5 4 2 4 2CAMPANIA 9 5 69 39 142 78 118 98 99 6 6 83 75 6 6 83 71PUGLIA 5 1 88 39 143 104 134 115 120 6 6 98 89 6 6 98 88BASILICATA 1 1 10 4 27 18 26 23 20 1 1 6 6 1 1 6 6CALABRIA 4 3 27 11 58 29 44 39 44 3 2 27 23 3 2 27 22SICILIA 5 3 54 24 126 79 103 100 97 8 8 87 77 8 8 87 72SARDEGNA 1 1 20 10 38 19 31 24 24 3 2 21 20 3 3 21 17 TOTALE 72 49 870 458 1.758 1.214 1.603 1.426 1.420 77 72 988 908 77 75 988 913 68,1% 52,6% 69,1% 91,2% 81,1% 80,8% 93,5% 91,9% 97,4% 92,4%

Fonte: Corte dei Conti

L’esame dell’aggregato dei Comuni è stato effettuato su due distinti insiemi: da un lato, gli enti con popolazione superiore a 60.000 abitanti, per i quali è stato possibile un trattamento dei dati più accurato; dall’altro, gli altri Comuni, limitando l’analisi peraltro a quelli con popolazione superiore a 8.000 abitanti.

Esercizio 2000. La Corte rileva che il saldo finanziario delle Province

evidenzia un miglioramento di significativa entità rispetto a quello programmatico, producendo un risultato positivo per il comparto anche oltre alle attese; su 81 Province esaminate, 80 hanno raggiunto l’obiettivo finanziario.

Dai complessivi relativi alle amministrazioni comunali si evince che il comparto dei comuni raggiunge, nel complesso, l’obiettivo del patto, anche con un leggero margine positivo. La Corte rileva, peraltro, che distinguendo l’analisi sulla base della dimensione dei Comuni, i comuni con popolazione superiore a 60.000 abitanti non raggiungono l’obiettivo facendo rilevare uno scarto negativo; su 72 Comuni più grandi esaminati, solo 49 rispettano il vincolo imposto dal patto di stabilità. I Comuni di piccole dimensioni, d’altro canto, raggiungono l’obiettivo, costituendo un fattore di ausilio al rispetto del patto per l’intero comparto.

Esercizio 2001. Le verifiche della Corte per il 2001 sono effettuate in

una logica macroeconomica con l’esame dei risultati globali di comparto.

In termini aggregati, i risultati raggiunti da Province e Comuni nel 2001 sono conformi agli obiettivi previsti dalla legge finanziaria. tuttavia i margini positivi vanno assottigliandosi. Aumenta nel 2001 il numero delle Province che non rispettano l’obiettivo di saldo e queste si collocano in genere nelle Regioni meridionali. Per i Comuni di grandi dimensioni, la Corte conferma le difficoltà già rilevate nell’adeguarsi alla disciplina del patto, poiché in termini aggregati il comparto non riesce a raggiungere gli obiettivi programmatici. Migliore si dimostra la situazione dei piccoli Comuni.

La Corte rileva che permangono difficoltà nell’applicazione della normativa dovute alla complessità e alla continua mutevolezza delle disposizioni.

81

Esercizio 2002. Le risultanze del patto 2002 mostrano la tenuta complessiva di entrambi i comparti degli enti locali. Le Province sono state in grado di raggiungere l’obiettivo con uno scarto positivo considerevole, grazie al trend positivo delle entrate proprie. Nel 2002 vi sono 3 obiettivi simultanei e solo il rispetto di tutti e tre consente di non subire limitazioni nella facoltà di assumere personale. Su 99 enti esaminati, 84 Province rispettano tutti e tre gli obiettivi fissati dal Patto. Il vincolo maggiormente rispettato dal comparto è quello sul saldo finanziario (94 provincie su 99), seguito da quello sugli impegni e sui pagamenti (91 provincie su 99).

Per i Comuni, in termini aggregati su base nazionale e regionale, si verifica il raggiungimento dell’obiettivo programmatico. Su 1.758 Comuni esaminati, 1.214 rispettano i tre obiettivi; il vincolo sul saldo finanziario è quello più rispettato (1.603 Comuni su 1.758), seguito da quello sui pagamenti (1.426 Comuni su 1.758) e sugli impegni (1.420 Comuni su 1.758).

Esercizio 2003. La Corte rileva che i saldi finanziari di competenza e

cassa per i Comuni migliorano rispetto al 2001 e consentono in conseguimento degli obiettivi programmatici. I Comuni di maggiori dimensioni dimostrano un elevato livello di adempimento; l’obiettivo del saldo di cassa è raggiunto in quasi tutti i casi esaminati (75 Comuni su 77 esaminati), mentre il saldo di competenza viene raggiunto nel 93,5% dei casi (72 enti su 77 esaminati). Analogamente, per i Comuni di più limitate dimensioni, l’obiettivo di cassa è stato raggiunto dal 92,4% degli enti esaminati e quello di competenza dal 91,9% (913 e 908 Comuni rispettivamente su 988 esaminati). Con riferimento alle Province, la Corte rileva che gli obiettivi del saldo di competenza e di cassa sono stati ampiamente rispettati (75 per ambedue gli obiettivi enti su 79 esaminati).

82

Appendice

Riferimenti normativi relativi al Patto interno interno Anno 1999 Articolo 28, legge 448/1998 Direttiva sull’applicazione del patto (18 febbraio 1999) Anno 2000 Articolo 30, legge 488/1999 Decreto sulle modalità tecniche di computo del disavanzo ai fini del

“Patto” (pubblicato sulla G.U. n. 203 del 31 agosto 2000) Circolare n. 8 del 25 febbraio 2000 per le Regioni a Statuto ordinario Circolare n. 4 del 4 febbraio 2000 per gli enti locali (pubblicata nella

G.U. n. 36 del 14 Febbraio 2000) Anno 2001 Articolo 53, legge 388/2000 Circolare n. 6 del 6 febbraio 2001, concernente il “patto” per l’anno

2001 per le Province e i Comuni. Decreto del ministro del Tesoro, del bilancio e della programmazione

economica del 29 gennaio 2001 concernente i tempi e le modalità tecniche della certificazione in attuazione del comma 7, dell’articolo 30 della legge 488/1999

Anno 2002 Articolo 24, legge 448/2001 (come modificato dall’articolo 3 del d.l.

n. 13 del 22 febbraio 2002,): Province e Comuni Articolo 1 (commi 1, 2, 3), d.l. 347/2001: Regioni Decreto Ministeriale del 30 aprile 2002 pubblicato sulla G.U. n. 123

del 28 maggio 2002 concernente il monitoraggio del “patto” per l’anno 2002 per le Regioni a statuto ordinario, le Province e i Comuni con popolazione superiore a 60.000 abitanti.

Circolare n. 11 del 26 febbraio 2002 pubblicata sulla G.U. n. 76 del 30 marzo 2002 concernente il “patto” per gli anni 2002-’04 per le Province e i Comuni con popolazione superiore a 5000 abitanti.

Anno 2003

83

Articolo 29, legge 289/2002: Province e Comuni D.l. 50/2003, convertito dalla legge 116/2003 Decreto Ministeriale del 24 giugno 2003 pubblicato sulla G.U. n. 158

del 10 luglio 2003 concernente il monitoraggio del “patto” per l’anno 2003 per le Regioni a statuto ordinario, le Province e i Comuni con popolazione superiore a 60.000 abitanti

Circolare n. 7 del 4 febbraio 2003 pubblicata sulla G.U. n. 39 del 17 febbraio 2003, concernente il “patto” per gli anni 2003-2005 per le Province e i Comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti.

Anno 2004 Articolo 29, legge 289/2002 Articolo 3, commi 50 e 60, legge 350/2003 Circolare n. 5 del 3 febbraio 2004, concernente il “patto” per l’anno

2004 per le Province e i Comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti.

Articolo 1, comma 11, d.l. 168/2004 convertito dalla legge 191/2004.

84

4. Il controllo della spesa tra Governo e Parlamento:

il “blocca spese” Il cosiddetto decreto blocca-spese (d.l. 194/2002, convertito dalla

legge 246/2002) interviene nell’ambito delle procedure di formazione e gestione del bilancio dello Stato e delle leggi di spesa. Esso, di fatto, rivede gli assetti di potere in materia, riorientandoli in qualche modo dal Parlamento al Governo e, all’interno di questo, dai ministeri di spesa al ministero dell’Economia e delle Finanze84. Ciò appare, forse, come un segno dei tempi in cui, dati i vincoli europei, l’azione del settore pubblico risulta sempre più determinata dall’effettiva disponibilità di risorse piuttosto che saldamente ancorata a programmi di intervento.

Il nuovo strumento di controllo degli andamenti dei conti pubblici dispone sostanzialmente due novità.

In primo luogo, il decreto implica una più rigorosa applicazione dell’obbligo di copertura previsto dall’articolo 81 della Costituzione, prevedendo, per alcune tipologie di spesa, il blocco dell’applicazione delle leggi con mancanza di copertura, essendo gli oneri indotti dai provvedimenti legislativi posti come tetti di spesa.

In secondo luogo, il provvedimento consente di limitare l’assunzione degli impegni e l’emissione di titoli di pagamento, qualora si rilevi uno

84 Goretti C, Rizzuto L. (2004), Le eccedenze di spesa nella legge finanziaria 2004:

una prima applicazione del "tagliaspese", in via di pubblicazione su Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze.

85

scostamento degli andamenti degli aggregati di finanza pubblica rispetto agli obiettivi fissati dal Governo85.

Con riferimento al primo punto, si delinea un mutamento nei rapporti tra potere esecutivo e potere legislativo, in quanto, una volta definiti i tetti di spesa, il loro superamento in corso d’anno comporta una perdita di efficacia delle leggi sostanziali. Ciò si concretizza con la pubblicazione di un decreto del ministero dell’Economia e delle finanze che accerta l’esaurimento delle risorse disponibili.

Tuttavia, la discussione parlamentare sul decreto ha portato ad individuare la necessità di prevedere delle clausole di salvaguardia, per le leggi inerenti erogazioni di spesa discendenti da diritti soggettivi, che consenta interventi “di recupero” (con compensazioni via maggiori entrate o riduzioni di altre uscite), nei casi in cui l’evoluzione delle spese effettive risulti fuori linea rispetto a quanto definito nelle norme sostanziali. Il sistema di controllo della spesa deve, dunque, incorporare

85 I commi 3 e 4 dell’articolo 1 del d.l. 194/2002 prevedono che, in presenza di uno scostamento rilevante dagli obiettivi indicati per l’anno considerato dal dpef e da eventuali aggiornamenti, come approvati dalle relative risoluzioni parlamentari: il ministro dell’Economia e delle finanze riferisca al Consiglio dei ministri; con d.p.c.m., previa deliberazione del Consiglio dei ministri, possa essere adottato un atto di indirizzo per la definizione di criteri di carattere generale per il coordinamento dell’azione amministrativa del Governo, intesi al controllo e al monitoraggio degli andamenti di finanza pubblica; l’atto di indirizzo, corredato da apposita relazione, venga trasmesso al Parlamento per l’espressione del parere delle competenti Commissioni parlamentari; sulla base dell’atto di indirizzo, il ministro dell’Economia e delle finanze possa disporre, con proprio decreto, limitazioni all’assunzione degli impegni di spesa e all’emissione di titoli di pagamento a carico del bilancio dello Stato; degli enti e organismi pubblici non territoriali, con esclusione degli organi con il medesimo decreto del ministro dell’Economia, possa essere disposta la riduzione delle spese di funzionamento previste nei bilanci costituzionali.

La disposizione prevede altresì che le limitazioni di cui al quarto punto si applichino in modo uniforme, secondo una determinata misura percentuale, a tutte le dotazioni di bilancio, rimanendo, comunque, esclusi gli stanziamenti relativi a spese aventi natura obbligatoria.

Il comma 3 cita, in particolare, le seguenti categorie di spesa: spese relative agli stipendi, assegni, pensioni e altre spese fisse, nonché spese relative agli interessi, alle poste correttive e compensative delle entrate, comprese le regolazioni contabili, ad accordi internazionali, ad obblighi derivanti dalla normativa comunitaria, alle annualità relative ai limiti di impegno e alle rate di ammortamento mutui. È inoltre attribuita al ministro dell’Economia e delle finanze la facoltà di escludere dalla limitazione altre spese, anche non obbligatorie.

86

un meccanismo che permetta di soddisfare quei diritti che per loro natura non possono essere sottoposti a limitazioni di ordine finanziario.

In tale impostazione è implicito un trasferimento di potere, una delega di potere, dal legislatore al Governo (o alle sue amministrazioni). Il delegato dovrebbe poi avere il potere o l’obbligo di fare86.

Questa innovazione relativa alla individuazione delle eccedenze di spesa ha effetti di natura strutturale; dovrebbe, infatti, contribuire nel tempo a rendere più realistiche le previsioni concernenti le uscite pubbliche, grazie a una più corretta quantificazione degli oneri connessi alla legislazione di spesa.

Anche se, in occasione delle prime applicazioni, si riscontra una non completa trasparenza sulle cause degli scostamenti previsivi, sulla entità e sistematicità degli errori commessi e sulla attribuzione di responsabilità specifiche.

L’esperienza empirica ha assai spesso mostrato la non piena attendibilità delle previsioni, in genere con sovrastima delle entrate e sottostima delle uscite dei bilanci pubblici.

La riduzione della probabilità degli errori di previsione, del resto, risulta un aspetto importante ai fini della controllabilità della spesa pubblica. La difficoltà di effettuare stime corrette (per errori di calcolo, mancanza di informazioni dettagliate, problematica individuazione dei soggetti interessati, non agevole interpretazione delle norme, pressioni parlamentari, pressioni dovute al ciclo elettorale), sia per quanto riguarda le nuove leggi di spesa sia in riferimento alla predisposizione del bilancio in base alle leggi in essere, dipende dai vari elementi (indicati nelle leggi di contabilità e nei regolamenti parlamentari) che caratterizzano il ciclo della quantificazione e dai comportamenti degli agenti istituzionali in esso coinvolti (Parlamento, Governo, ministeri di spesa, ministero dell’Economia, Ragioneria generale dello Stato, Servizi del bilancio delle Camere), che spesso sfociano in accordi su irrealistici stanziamenti di bilancio con una conseguente riduzione della entità della manovra correttiva da disporre nella legge finanziaria.

86 Goretti C, Rizzuto L. (2004), Le eccedenze di spesa nella legge finanziaria 2004:

una prima applicazione del "tagliaspese", in via di pubblicazione su Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze, op. cit..

87

La quantificazione degli effetti finanziari delle leggi rappresenta un punto debole nel processo di governo della finanza pubblica. È evidente l’esistenza di interessi diffusi riguardo alla formulazione di stime ottimistiche relative agli oneri delle leggi di spesa: il Governo, il ministero dell’Economia e tutti i ministeri di spesa sono infatti orientati verso sottostime delle uscite e sovrastime delle entrate, che, implicando bilanci più favorevoli, consentono la possibilità di attuazione di più numerosi progetti.

La considerazione dei tetti di spesa e di eventuali clausole di salvaguardia dovrebbe, dunque, spingere a rendere vani i tentativi dei soggetti responsabili della spesa di prospettare previsioni favorevoli e dovrebbe stimolare una maggiore accortezza e cooperazione nell’ambito di un più trasparente processo di stima dei costi delle leggi. I comportamenti virtuosi indotti, rendendo più affidabili i metodi di quantificazione, dovrebbero migliorare le relazioni tecniche annesse ai nuovi provvedimenti legislativi.

Quanto all’aspetto della divergenza tra le tendenze degli aggregati di finanza pubblica e i rispettivi obiettivi, gli interventi previsti dal “blocca-spese” assumono una veste congiunturale, quali elementi operativi con efficacia immediata. E in tal senso, quanto disposto dal decreto è stato attuato alla fine del 2002, con lo scopo di correggere le tendenze al peggioramento dei conti pubblici di quell’anno87.

Si deve, inoltre, sottolineare che gli effetti dell’intervento dipendono dalla tipologia delle spese “bloccate”. Per quelle di natura corrente, infatti, il blocco degli impegni comporta economie di bilancio. Per le spese in conto capitale, il blocco implica la formazione di residui di stanziamento, successivamente utilizzabili, di norma nell’anno seguente essendo stato stabilito l’accorciamento dei termini di conservazione di tali residui.

Tuttavia, le disposizioni della legge di riforma del bilancio dello Stato, legge 94/1997, richiedono espressamente un decreto di accertamento dei residui, emesso discrezionalmente dal Governo, per mantenere in bilancio somme non impegnate. In mancanza di tale decreto di accertamento, non si formano residui. Sembra, dunque, che il

87 Per la valutazione dell’effetto degli interventi adottati nel 2002 sull’esercizio

2003, cfr. Corte dei Conti, Decisione e relazione della Corte dei Conti sul Rendiconto generale dello Stato. Esercizio 2003, Istituto Poligrafico dello Stato.

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problema dell’accumulo di ingenti quantità di residui possa essere affrontato anche senza l’utilizzo del “blocca-spese”, che appare più uno strumento atto a dissipare eventuali conflitti, circa la conservazione dei residui, tra ministero dell’Economia e ministeri di spesa88.

I limiti ai pagamenti si sostanziano, invece, in rinvii di erogazioni all’anno successivo. La disposizione relativa al limite temporale di conservabilità, se non accompagnata da un incremento del coefficiente di realizzazione degli impegni da parte delle amministrazioni, presumibilmente per interventi non prioritari, potrebbe consentire risparmi di spesa permanenti89.

Sempre in economia, vanno gli impegni, datati 31 dicembre, assunti dopo la fine dell’esercizio finanziario. E tale disposizione, almeno nel primo anno di applicazione del “blocca-spese”, in mancanza di adeguate procedure amministrative, ha dato luogo ad un contenimento delle uscite. Ha corretto, inoltre, una prassi secondo la quale i decreti di impegno di fine anno venivano accettati anche nella prima parte dell’anno successivo.

È evidente che l’efficacia del decreto, se è stata significativa, in termini di contenimento della spesa, la prima volta in cui esso è stato applicato, potrà risultare meno rilevante in futuro. In particolare la regola relativa alla non impegnabilità oltre il 31 dicembre può indurre le amministrazioni ad una modifica dei comportamenti al fine di evitare tale eventualità, così come la possibilità di un taglio ai pagamenti può incentivare una velocizzazione delle procedure di erogazione, con una razionalizzazione della gestione. Resta, comunque, la validità dello strumento in termini di rapido intervento in presenza di scostamenti indesiderati dagli obiettivi, di cui si abbia contezza a fine anno. Essendo, tuttavia, già state ampiamente sperimentate nel passato limitazioni

88 P. D. Giarda, C. Goretti, Leggi di spesa e stanziamenti di bilancio nella legge n.

246 del 2002, in R. Perez (a cura di) Le limitazioni amministrative della spesa, Giuffré, Milano, 2003.

89 Si è seguita l’analisi riportata in ISAE (2004c), “Andamento dei saldi di finanza pubblica”, Audizione presso il Comitato permanente per il monitoraggio degli interventi di controllo e contenimento della spesa, Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione, Camera dei Deputati, 24 marzo.

.

89

all’assunzione degli impegni, le disposizioni del decreto incanalano in una precisa definizione normativa pratiche informali già utilizzate.

Lo strumento appare maggiormente efficace se utilizzato nel corso dell’anno, in quanto il decreto ministeriale di attuazione del blocca-spese, di fatto, prende il posto di un eventuale d.l. di correzione, la cui attivazione sarebbe subordinata all’approvazione del Parlamento.

Come già ricordato, il “blocca-spese”, come del resto altri strumenti attualmente in vigore, implica uno spostamento di potere decisionale (in misura non pienamente definita) dal Parlamento al Governo, laddove permette a quest’ultimo di intervenire, in via amministrativa, sulle fasi di esecuzione della spesa, tramite limitazioni all’assunzione di impegni su stanziamenti approvati dalle Camere legislative.

Così, relativamente alla questione degli eccessi di spesa, la perdita di efficacia degli stanziamenti derivabile dall’attuazione del “blocca-spese” appare come un mezzo atto a rafforzare i poteri del ministero dell’Economia, in tema di controllo della spesa pubblica.

Quanto all’applicazione del decreto90, il Governo nel novembre del 2002 ha avviato le procedure previste, in seguito all’accertato scostamento degli andamenti dei conti pubblici rispetto agli obiettivi91. È stato emesso un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri92, come atto di indirizzo recante i criteri generali per il monitoraggio e il controllo della finanza pubblica, e, dopo il parere delle Commissioni parlamentari, il 29 novembre è stato emanato il decreto del ministro dell’Economia e delle finanze93 che ha disposto una limitazione del 15% agli impegni e ai pagamenti del bilancio dello Stato, con esclusione delle spese di natura obbligatoria, e un taglio, della stessa entità, delle spese di funzionamento degli enti e organismi pubblici non territoriali. La misura dell’intervento era calibrata sul miglioramento dell’indebitamento netto

90 Cfr. V.Grilli (2003), Audizione del Ragioniere Generale dello Stato, Vittorio

Grilli, sull’attuazione, nell’anno 2002, del decreto-legge n. 194 del 2002, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 246 del 2002, presso la V Commissione della Camera dei Deputati, marzo.

91 In particolare, nel secondo semestre dell’anno si era verificato un andamento negativo del fabbisogno, con saldi significativamente peggiori rispetto all’anno precedente. A fine ottobre, infatti, il fabbisogno del settore statale risultava superiore di oltre 11 miliardi di euro rispetto al corrispondente periodo dell’anno 2001.

92 D.p.c.m. 29 novembre 2002, pubblicato sulla G.U. n. 299 del 21 dicembre 2002. 93 D.m. 29 novembre 2002, pubblicato sulla G.U. n. 282 del 2 dicembre 2002.

90

da perseguire. Tuttavia due decreti successivi, emanati rispettivamente il 17 e il 19 dicembre, hanno corretto quanto precedentemente disposto, con l’esclusione dal blocco di alcuni stanziamenti relativi a capitoli aventi oggetti promiscui, in seguito ad una analisi più approfondita circa le tipologie di spese coinvolte nell’operazione. La ridefinizione attuata con i due nuovi decreti ha implicato diverse incidenze percentuali dell’intervento sulle singole amministrazioni, riducendo nel complesso al 12,3% il blocco degli impegni e al 14,2% quello dei pagamenti.

I tagli sono stati attuati in base all’analisi degli accantonamenti (di competenza e cassa) sul bilancio dello Stato con stimabile effetto diretto sull’economia, secondo i criteri della contabilità nazionale del Sec95. Per i trasferimenti alle amministrazioni diverse, l’esame ha tenuto conto delle giacenze delle stesse sui conti di Tesoreria.

Sono stati, dunque, bloccati nel bilancio statale impegni per oltre 6,4 miliardi di euro e pagamenti per circa 8,2 miliardi.

Con riferimento agli enti ed organismi pubblici non territoriali, una circolare ha diramato istruzioni ai Presidenti dei Collegi di revisione o sindacali degli enti interessati circa la rilevazione dei tagli alle spese di funzionamento da essi operate. Questi enti (tra cui: Camere di commercio, Agenzie fiscali, Autorità portuali, consorzi di difesa, Università, enti di ricerca, enti parco, enti previdenziali e altri) hanno ridotto le loro uscite per oltre 353 milioni di euro.

I miglioramenti riguardo al fabbisogno del settore statale (1,8 miliardi) e all’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche (2,1 miliardi, lo 0,2% del pil) sono stati stimati sulla base degli accantonamenti che si sostanziano, a consuntivo del 2002, in economie di bilancio oppure in residui, se riferiti a spese in conto capitale.

Nel 2003 l’atto di indirizzo è stato adottato nella prima parte dell’esercizio finanziario94, a prescindere dal verificarsi di uno scostamento degli andamenti di finanza pubblica rispetto agli obiettivi programmati. Di fatto, successivamente, non è stato emanato alcun decreto ministeriale di limitazione degli impegni e dell’emissione dei titoli di pagamento.

La diversa modalità di attuazione, nel 2003, di quanto previsto dal d.l. 194/2002 deriva da un’interpretazione che propone il superamento della condizione di “...rilevante scostamento dagli obiettivi...” quale

94 D.p.c.m. 18 aprile 2003, pubblicato sulla G.U. n. 113 del 17 maggio 2003.

91

presupposto dell’atto di indirizzo e attribuisce al d.p.c.m. una funzione preventiva. Infatti, secondo il Governo, la predisposizione del d.p.c.m. ad inizio d’anno, assumendo una funzione di coordinamento dell’azione amministrativa, potrebbe più efficacemente indurre i vari enti ad assumere comportamenti prudenti, volti ad evitare il verificarsi di allontanamenti rilevanti dai sentieri programmatici della finanza pubblica. La mancata attivazione, nel corso del 2003, di effettive procedure di blocco della spesa potrebbe forse confermare questa tesi. In tale visione, ad un d.p.c.m. di indirizzo di natura preventiva potrebbe seguire, solo in caso di scostamenti accertati dagli obiettivi, un decreto ministeriale di limitazione delle erogazioni.

Lo schema di d.p.c.m. per il 200495 riprende le disposizione previste dall’analogo provvedimento del 2003. Si ribadisce, infatti, la necessità di un coordinamento dell’azione amministrativa al fine di un più efficace controllo delle grandezze di finanza pubblica. Sono, quindi, indicati principi generali e specifici quali punti di riferimento per i vari organismi pubblici volti ad una responsabile gestione della cosa pubblica. Sono in particolare prefigurati sia il contenimento della spesa evitando l’assunzione di iniziative amministrative che comportino incrementi degli oneri, sia un controllo della dinamica delle erogazioni, attraverso l’utilizzo delle risorse nella prima metà dell’anno entro il limite del 50% delle dotazioni di bilancio.

Sulla base, inoltre, dell’interpretazione data all’atto di indirizzo già dal 2003, come condizione per l’emanazione del decreto ministeriale di correzione, è prevista la predisposizione di una Relazione del ministro dell’Economia e delle finanze, da presentare al Consiglio dei ministri e al Parlamento, in cui si dia conto dell’entità degli scostamenti dagli obiettivi e degli elementi di criticità ai quali gli scostamenti possano essere ricondotti.

Infine, come avvenuto nel 2003, si fa riferimento nel d.p.c.m. alla necessità di monitoraggio delle dinamiche delle poste di finanza pubblica.

In tale ambito rientra quanto disposto dall’articolo 28 (commi 3, 4 e 5) della legge 289/2002 (legge finanziaria per il 2003), secondo il quale tutti gl’incassi e i pagamenti, nonché i dati di competenza economica,

95 Presentato al Parlamento il 22 aprile 2004 per il prescritto parere. A settembre 2004 le competenti commissioni non risultano essersi ancora pronunciate.

92

degli enti del settore delle amministrazioni pubbliche devono essere codificati con criteri uniformi su tutto il territorio nazionale (secondo il Sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici (SIOPE)). Inoltre, da tempo presso il ministero dell’Economia e delle finanze è stato istituito un apposito gruppo di lavoro al fine di monitorare in tempo reale le spese delle amministrazioni, con l’obiettivo di avere una contabilità parallela e congruente con l’attuale contabilità pubblica, che rimane comunque il pilastro dell’ordinamento contabile.

L’intento è di costruire una contabilità pubblica “ristretta”, con le seguenti caratteristiche96:

1. sia uno strumento aggiuntivo e non sostitutivo di quelli esistenti; 2. riguardi soltanto i movimenti di cassa e registri ogni singolo flusso

in entrata o in uscita, da o per l’economia reale, e non prenda in considerazione alcun movimento contabile interno alle amministrazioni pubbliche;

3. si appoggi ai sistemi informativi della rete interbancaria, riguardando solo i pagamenti effettuati con bonifici per via telematica, attraverso i soggetti bancari o le Poste;

4. registri i pagamenti solo a condizione che siano specificati i codici fiscali caratterizzanti i due soggetti (chi paga e chi incassa) e un codice di causale, valido tassativamente per tutto il territorio nazionale e per ogni amministrazione.

Tale contabilità si realizza operativamente introducendo una copia telematica di ogni pagamento o incasso in un data base relazionale centrale, ma consultabile via Internet da ogni soggetto istituzionale interessato, con la produzione, quasi in tempo reale, di tutte le sintesi opportune. L’operazione di caricamento delle informazioni, completamente automatica, verrebbe effettuata dai sistemi informatici delle banche o delle Poste.

Con riferimento all’altro aspetto innovativo del decreto, e cioè alla necessità di integrare la copertura per le leggi che hanno esaurito le originarie dotazioni finanziarie, si sono verificate varie attivazioni, tramite decreti dirigenziali del ministero dell’Economia e delle finanze di accertamento del raggiungimento dei limiti di spesa.

96 Si riporta nel dettaglio quanto esposto nell’audizione dell’Isae presso la V

Commissione programmazione economica, Bilancio del Senato della Repubblica, Indagine conoscitiva sul processo di riforma delle norme di contabilità nazionale, cit.

93

L’applicazione più importante, tuttavia, è quella intervenuta tramite la legge finanziaria per il 2004. Quest’ultima, infatti, riporta in un apposito allegato le autorizzazioni legislative con eccedenze di spesa, la cui copertura finanziaria è da individuare all’interno della manovra correttiva disposta con la legge finanziaria stessa.

94

5. Vincoli finanziari e prestazioni in sanità

5.1. Introduzione Il comparto sanitario riveste un ruolo particolare nella trattazione, sia

per la natura del settore, un servizio sociale con aspetti di bene pubblico, sia per la necessità di limitare la progressiva crescita manifestatasi nella spesa sanitaria, tendenza comune in tutti i Paesi occidentali, riconducibile principalmente all’invecchiamento della popolazione e alla forte innovazione tecnologica del settore.

Tali aspetti sono resi più complessi, negli attuali assetti istituzionali, dal peso che la spesa sanitaria ricopre nell’ambito dei bilanci regionali (oltre il 70%), in una fase in cui le recenti riforme costituzionali hanno fortemente rafforzato l’autonomia di tali enti; le richiamate norme costituzionali riconducono, peraltro, al livello centrale alcuni compiti cruciali per la definizione delle politiche sanitarie, quali il controllo della politica macroeconomica di bilancio e la garanzia di un equilibrio tendenziale dei conti pubblici, nonché la titolarità della politica microeconomica di definizione e garanzia delle prestazioni essenziali.

La necessità di disegnare un sistema in cui le esigenze di equilibrio di bilancio e di stabilità finanziaria si concilino con la specificità del servizio e l’autonomia degli enti territoriali è emersa ripetutamente quale tema al centro del dialogo tra Stato e Regioni. Proprio a causa delle specificità richiamate, peraltro, l’introduzione e il rispetto del vincolo finanziario è risultato particolarmente difficile e rappresenta tuttora uno dei nodi del processo di devoluzione in atto.

L’esperienza degli ultimi anni ha mostrato la presenza di ancora complessi percorsi di aggiustamento nella gestione delle prestazioni

95

sanitarie sulla base di un sempre più percepito vincolo di bilancio. Gli schemi di finanziamento sperimentati nel corso degli ultimi decenni, che hanno visto confrontarsi, con fasi alternate, modelli di contrattazione e schemi di assegnazione delle risorse tramite formule predefinite, non sembrano aver adeguatamente affrontato la questione della efficienza nella prestazione del servizio, con la contemporanea introduzione di un vincolo di bilancio credibile e cogente per gli enti decentrati. Permangono elementi di criticità, dal mancato accordo sulla distribuzione territoriale delle risorse, alla scarsa responsabilizzazione di alcuni enti di spesa, alla tendenza alla sottostima delle risorse assegnate, alla conseguente conflittualità tra diversi livelli di governo.

Negli ultimi anni, il quadro normativo del settore è stato caratterizzato da una significativa variabilità, con l’adozione di misure e interventi, parzialmente sovrapposti nella vigenza e applicazione. Di particolare rilievo, sono l’adozione del d.lgs. 56/2000, la stipula degli accordi tra Governo e Regioni di agosto 2000 e agosto 2001, le misure contenute nelle leggi finanziarie per il 2003 e il 2004.

Il d.lgs. 56/2000 modifica i criteri per il finanziamento delle Regioni, disegnando un nuovo schema di relazioni finanziarie tra Stato e Regioni. Con la soppressione dei trasferimenti erariali e la ricerca di una maggiore trasparenza dei flussi perequativi, esso mira a responsabilizzare le autonomie regionali nella gestione del settore, realizzando una migliore disciplina fiscale e promuovendo una maggiore efficienza nel sistema. In tal senso, doveva rappresentare il primo, completo sistema di finanziamento delle Regioni e, in particolare della funzione pubblica di tutela della salute97.

97 Cfr. Giarda P.D. (2000), "Il federalismo fiscale in attuazione della legge n.133/1999: aspetti tecnici, ragioni e problemi aperti", Economia Pubblica, Anno XXX, n.5. Il decreto sostanzialmente prevede; a) l’abolizione, a decorrere dal 2001, dei trasferimenti erariali a favore delle Regioni a statuto ordinario; non vengono soppressi i trasferimenti erariali destinati a finanziare interventi nel settore delle calamità naturali e quelli a specifica destinazione per i quali sussista un rilevante interesse nazionale; b) la loro sostituzione con aumenti dell’addizionale regionale all’Irpef e dell’aliquota di compartecipazione regionale all’accisa sulla benzina, nonché con una compartecipazione regionale all’Iva, in una percentuale del gettito nazionale tale da garantire la compensazione dell’importo dei trasferimenti soppressi non coperto dagli aumenti sopra riportati; c) la previsione di un fondo perequativo nazionale, alimentato da una parte del gettito della compartecipazione all’Iva, che attui meccanismi perequativi delle risorse regionali in funzione di parametri riferiti alla popolazione

96

Gli accordi del 2000 e del 2001 tentano di porre le basi per superare la situazione di conflittualità nelle relazioni intergovernative, soprattutto finanziarie, del settore sanitario; essi rappresentano il primo esempio della evoluzione istituzionale, in cui livelli di governo che condividono la responsabilità della erogazione di un servizio si confrontano e ricercano un accordo, nel quadro dei rispettivi ambiti di competenza, per pervenire alla definizione delle responsabilità reciproche. Da un lato, gli accordi tendono ad attivare comportamenti regionali “virtuosi”, finalizzati al controllo della spesa, dall’altro impegnano il Governo ricercare uno schema di finanziamento adeguato alle caratteristiche del settore, risolvendo il problema dei disavanzi sommersi in sanità nel quadro degli obiettivi generali di controllo della finanza pubblica.

Gli esercizi 2003 e 2004, con le disposizioni introdotte con le rispettive leggi finanziarie, infine, vedono, oltre alla difficile attuazione dei richiamati accordi e della parziale applicazione dello schema di finanziamento del d.lgs. 56/2000, un ritorno verso regole di controllo di tipo verticale della spesa sanitaria, affiancate dall’introduzione di strumenti generali, applicati anche al settore sanitario, per il contenimento della spesa (il d.l. “blocca-spese”, vedi capitolo 5).

Lo schema di finanziamento e i meccanismi vigenti connessi con gli accordi Stato Regioni non sembrano essere stati sufficienti a imporre il contenimento della spesa entro i limiti previsti. Pur essendosi manifestata negli ultimi esercizi una progressiva riduzione del deficit rispetto al picco registrato nel 2001, le Regioni indicano che, considerate le risultanze del tavolo di verifica dei livelli essenziali di assistenza per l’anno 2001, il finanziamento dovrebbe essere superiore di 3,9 miliardi di euro; maggiore fabbisogno che peraltro, si riflette anche negli esercizi 2002, 2003, 2004 per un importo complessivo pari a 18 miliardi di euro98.

L’esperienza degli ultimi esercizi, pur avendo prodotto alcuni risultati positivi in termini di responsabilizzazione finanziaria delle Regioni, che si sono attivate in vario modo per coprire parte dei disavanzi, evidenzia, residente, alla capacità fiscale, ai fabbisogni sanitari e alla dimensione geografica. Per un’analisi dettagliata del provvedimento si rinvia a Arachi G., Zanardi A. (2000), "Il federalismo fiscale regionale:opportunità e limiti", in L.Bernardi (a cura di), La finanza pubblica italiana. Rapporto 2000, Bologna, Il Mulino.

98 Vedi in tal senso l’audizione della Conferenza dei Presidenti delle Regioni del 18 marzo 2004.

97

altresì, la necessità di procedere all’attuazione del nuovo articolo 119 della Costituzione, al fine di pervenire alla definizione di un più equilibrato modello di relazioni finanziarie tra livelli di governo99.

I rapporti finanziari tra Stato e Regioni nel comparto sanitario sono analizzati affrontando le seguenti problematiche:

- la spesa sanitaria: definizione di un quadro complessivo di risorse, coerente con la disciplina fiscale e la stabilità finanziaria;

- la ripartizione delle risorse; costruzione di un sistema di trasferimenti perequativi chiaro e condiviso;

- verifica della coerenza tra decisione finanziaria e principi di accesso al servizio, perseguendo l’allineamento tra risorse disponibili e livello di prestazioni;

- introduzione di incentivi per un uso efficiente delle risorse da parte delle Regioni.

5.2. Effetti dei vincoli finanziari sulla spesa sanitaria complessiva Il controllo della crescita della spesa complessiva nel settore sanitario

non è un problema recente, né è solo italiano. In Italia l’evoluzione del disegno istituzionale delle responsabilità e

dei criteri di finanziamento hanno significativamente caratterizzato l’assetto attuale del settore. Con riferimento ai principi che informano il finanziamento, si può individuare una fase, fino al 1992, in cui il sistema era caratterizzato dalla centralizzazione delle risorse nel bilancio dello Stato e dalla esclusività del finanziamento statale alle unità sanitarie locali, con criteri di ripartizione che privilegiavano la spesa storica; a partire dal 1993, si è osservata una lenta transizione verso una autonomia regionale, con l’attribuzione a tali enti prima della possibilità di aumentare i contributi sanitari, le tasse locali e le compartecipazioni alla spesa; poi con l’introduzione dell’Irap e dell’addizionale Irpef, infine con la soppressione dei trasferimenti erariali e la loro sostituzione con quote di tributi erariali e la contestuale istituzione del fondo perequativo nazionale.

I modelli basati sull’accentramento nel reperimento delle risorse e sul decentramento della spesa, hanno dato luogo a problemi di uniformità

99 Vedi anche Isae, Rapporto annuale sull'attuazione del federalismo, febbraio 2004.

98

territoriale nelle prestazioni e hanno sovente prodotto la sottostima del fabbisogno sanitario, cui ha fatto seguito la formazione di disavanzi, il ritardo nel pagamento dei fornitori, il ripiano a piè di lista dei deficit da parte del governo centrale.

L’enormità dei disavanzi pregressi e la certezza del successivo ripiano hanno fortemente contribuito alle quasi insuperabili difficoltà connesse, all’inizio degli anni ’90, con i primi tentativi di attribuire autonomia fiscale alle Regioni (Arachi e Zanardi, 2000).

La tabella 8 evidenzia l’evoluzione della spesa, del finanziamento e dei disavanzi regionali tra il 1992 e il 2004.

Tabella 8

Sanità - Spesa, finanziamento e disavanzo (anni 1992-2003)

milioni di euro (in % del Pil)

Anni Spesa Finanziam. Disavanzo Spesa Finanziam. Disavanzo

1992 49.637 48.049 1.588 6,33 6,13 0,20

1993 48.939 -1,41% 45.376 -5,56% 3.563 124,37% 6,06 5,62 0,44

1994 49.041 0,21% 45.179 -0,43% 3.862 8,39% 5,74 5,29 0,45

1995 48.465 -1,17% 47.427 4,98% 1.038 -73,12% 5,25 5,14 0,11

1996 52.585 8,50% 50.438 6,35% 2.147 106,84% 5,35 5,13 0,22

1997 57.014 8,42% 51.975 3,05% 5.039 134,70% 5,56 5,06 0,49

1998 59.640 4,61% 55.065 5,95% 4.575 -9,21% 5,56 5,13 0,43

1999 63.134 5,86% 59.385 7,85% 3.749 -18,05% 5,70 5,36 0,34

2000 70.173 11,15% 66.945 12,73% 3.228 -13,90% 6,02 5,72 0,30

2001 76.230 8,63% 72.301 8,00% 3.929 21,72% 6,27 5,94 0,33

2002 79.369 4,12% 76.705 6,09% 2.664 -32,20% 6,28 6,01 0,27

2003 81.385 2,54% 79.576 3,74% 1.809 -32,09% 6,25 6,01 0,27 Fonte: Relazione generale sulla situazione economica del Paese, vari anni

Il finanziamento presentato in tabella si riferisce agli stanziamenti

iniziali, più le integrazioni e i ripiani concessi successivamente da parte del Governo. Nel corso degli anni, si registrano ampie variazioni della entità del disavanzo nel primo periodo ed una maggiore stabilizzazione rispetto al pil negli esercizi più recenti. In tutti gli anni fino al 2000,

99

tranne l’esercizio 1996, il finanziamento concesso appare inferiore alla spesa effettiva dell’anno precedente: le politiche di finanziamento della sanità incorporano quindi un rigore finanziario del tutto irrealistico (Isae, 2003).

Dopo essersi ridotta fino al 1995, la spesa sanitaria aumenta, tra il 1996 e il 2003, ad un tasso medio annuo del 6,7%; l’incidenza della spesa sanitaria sul pil, dopo aver registrato il valore minimo pari al 5,4% nel 1995, mostra una crescita continua fino a superare nuovamente la soglia del 6% nel 2000 e pervenire ad una stabilizzazione intorno al 6,3% circa, a partire dal 2001.

Il finanziamento, d’altro canto, si riduce di un punto percentuale di pil tra il 1992 e il 1997, per poi risalire di 0,6 punti, ma mantenendosi sempre ad un livello inferiore della spesa.

Le disposizioni del d.lgs. 56/2000, nel prevedere la sostituzione dei trasferimenti dal bilancio dello Stato con l’assegnazione di quote di compartecipazione dei tributi erariali, ricercano uno schema di finanziamento preciso, stabile e strutturato. La soppressione dei trasferimenti rende le decisioni regionali più indipendenti dal livello centrale, separando la decisione sulla entità del finanziamento per la sanità da una contrattazione annuale sull’importo dei trasferimenti. Esso prospetta, infine, un aumento dei fondi disponibili alle Regioni, poiché affida l’evoluzione delle relative risorse alla dinamica delle basi imponibili dei tributi, che, secondo le previsioni di allora, era più sostenuta di quella dei finanziamenti allora previsti100. Al fine di tutelare le Regioni dagli errori di previsione connessi con la transizione al nuovo regime, viene altresì istituito per il triennio 2001-03 un Fondo di garanzia dell’Irap, per la compensazione delle eventuali minori entrate dell’Irap e dell’addizionale regionale all’Irpef101.

L’accordo Stato Regioni dell’agosto 2000 mira a costituire una base di riferimento per l’applicazione della nuova normativa. Con riferimento agli esercizi pregressi fino al 1999, l’accordo stabilisce che la quota a carico del bilancio dello Stato è pari a 16.000 miliardi di lire (8,2 miliardi di euro), restando a carico delle Regioni l’eventuale parte

100 Cfr. Giarda P.D. (2000), "Il federalismo fiscale in attuazione della legge

n.133/1999: aspetti tecnici, ragioni e problemi aperti", Economia Pubblica, Anno XXX, n.5.

101 Articolo 13, comma 3 del d.lgs. 56/2000.

100

residua. Per l’esercizio 2000, dispone un aumento dei fondi ed effettuando un’integrazione di circa 7.000 miliardi di lire, porta a 124.000 miliardi di lire (64 miliardi di euro circa) le risorse precedentemente destinate alla sanità. Per il 2001, l’accordo 2000 indica in 129.000 miliardi di lire (oltre 66 miliardi di euro)102 la somma da destinare alla sanità.

Nell’accordo, il Governo si impegna, altresì, a sottoporre entro il 30 settembre 2000 la proposta di riparto del Fondo sanitario nazionale per il 2001, al fine di evitare ritardi nella erogazione delle risorse e i connessi problemi di liquidità.

L’accordo dell’8 agosto 2001, dopo aver constatato un’ancora persistente divaricazione tra costi previsti e spese effettive, interviene nuovamente sulla entità complessiva dei trasferimenti in sanità. Tale accordo indica nel 6%, in termini di pil, un ragionevole obiettivo cui ragguagliare le risorse attribuite alla sanità, ma solo in prospettiva, quando le condizioni della finanza pubblica lo avessero reso possibile e in coerenza con un miglioramento del servizio. Tenuto conto che la quota della spesa sul pil raggiunge tale importo già a partire dal 2000, l’accordo, con il richiamato obiettivo del 6%, sancisce l’introduzione di una regola finanziaria per l’evoluzione della spesa. Esso conferma il principio dell’attribuzione della responsabilità di eventuali sforamenti di spesa al livello istituzionale che li avesse provocati103.

L’accordo provvede, poi, ad una ulteriore copertura per l’esercizio 2000 (2.700 miliardi di lire, a fronte di un maggior fabbisogno evidenziato di 7.080 miliardi), definendo altresì il quadro finanziario dell’esercizio 2001; fissa, poi, l’entità delle risorse per la sanità relative al triennio successivo (2002-’04). A tal fine, porta a 138.000 miliardi di lire la spesa complessiva per il 2001 (circa 71 miliardi di euro), con una

102 Da segnalare che la legge finanziaria per il 2001 (legge 388/2000) ridetermina

tale cifra in circa 130.800 miliardi. 103 In particolare, le Regioni devono “mantenere la stabilità della gestione” e in caso

di disavanzi quantificare i maggiori oneri a loro carico e indicare i mezzi di copertura, agendo attraverso misure di contenimento della spesa (anche in settori diversi da quello sanitario) e di incremento delle entrate fiscali, quali l’addizionale regionale all’Irpef; inoltre, esse devono aderire alle convenzioni in tema di acquisti di beni e servizi, adempiere agli obblighi informativi sul monitoraggio della spesa, adeguarsi alle prescrizioni del patto, mantenere l’erogazione delle prestazioni comprese nel livelli essenziali di assistenza.

101

quota aggiuntiva di 2.000 miliardi per finalità specifiche (riequilibrio territoriale e per i maggiori oneri connessi con l’esclusività del rapporto di lavoro). Esso dispone, infine, l’aumento a 75,5 miliardi di euro, 78,5 miliardi e 80,5 miliardi di euro la spesa per il triennio successivo.

In contropartita del sostanzioso incremento di risorse, le Regioni si impegnano ad adottare misure volte al controllo e al contenimento della spesa sanitaria e a far fronte ad eventuali ulteriori esigenze finanziarie con mezzi propri.

Già nel 2000 e poi nuovamente nel 2001 e negli esercizi successivi, pertanto, si intrecciano le norme del d.lgs. 56/2000 e quelle degli accordi Stato Regioni, prospettandosi di fatto una non applicazione dei contenuti della riforma. In secondo piano passa l’obiettivo di sostituire in via definitiva - come previsto dal d.lgs 56/2000, i finanziamenti iscritti nel bilancio dello Stato con le quote delle imposte erariali, al fine di rendere l’entità di tali risorse indipendente dalla contrattazione in sede di bilancio. L’accordo tra Stato e Regioni sulla spesa complessiva, che doveva precostituire una tantum la base per la determinazione della aliquota di compartecipazione Iva104, diventa strumento cardine della gestione delle relazioni finanziarie tra Stato e Regioni.

Nella attuazione del decreto n. 56, la compartecipazione Iva diventa la posta di chiusura del finanziamento del fabbisogno sanitario, voce che viene quindi dimensionata in termini residuali rispetto a quanto necessario per garantire l’intero ammontare delle risorse per la sanità concordate per l’esercizio di riferimento tra Stato e Regioni105. Una volta definito il livello di spesa sanitaria corrispondente, in base agli accordi sulla sanità, ai livelli essenziali riconosciuti dallo Stato, il Cipe provvede alla ripartizione della quota di parte corrente del Fondo sanitario nazionale, individuando la quota che, su base storica, ciascuna Regione dovrebbe ricevere delle risorse complessive (come individuate in sede di accordi e comprensive delle entrate proprie delle Asl, dell’Irap, dell’addizionale Irpef e della quota proveniente come concorso dello

104 Rideterminazione che in base al d.lgs. n. 56 del 2000 doveva avvenire entro il 30 luglio 2000 e il 30 luglio 2001 sulla base dei consuntivi risultanti per l’anno precedente ed in via definitiva entro il 30 novembre 2003 sulla base dei consuntivi risultanti per l’anno 2002.

105 La base di riferimento del d.p.c.m., in realtà, corrisponde alla somma dei trasferimenti soppressi, inclusivi del trasferimento a titolo di Fsn, al netto dell’accisa sulla benzina e (fino al 2003) dell’addizionale Irpef.

102

Stato). Successivamente, con d.p.c.m., viene individuata l’aliquota di compartecipazione ai sensi del d.lgs. 56/2000 in modo tale che le risorse trasferite dal bilancio dello Stato garantiscano la spesa sanitaria concordata e la copertura degli altri trasferimenti soppressi e determinata la ripartizione del fondo perequativo106. La fissazione della aliquota di compartecipazione sconta, quindi, l’accordo sulle risorse complessive, sulle stime di Irap, addizionale Irpef e entrate proprie e sulla loro ripartizione su base regionale.

In tutti gli anni a partire dal 2001, le delibere del Cipe relative alla individuazione delle risorse complessive hanno, quindi, preceduto l’emanazione dei d.p.c.m. di fissazione dell’aliquota e di riparto della compartecipazione Iva.

Il 2001 è stato l’unico esercizio in cui le procedure sono state completate entro maggio del medesimo anno.

L’esercizio 2002 ha scontato profondi disaccordi a tutti i livelli. Come già evidenziato, il finanziamento per il sistema sanitario nazionale risulta pari a oltre 74 miliardi di euro. In base al d.lgs. n. 56 tali risorse dovrebbero essere ripartite per il 95% su base storica e per il 5% in base alla formula prevista dal decreto medesimo. La mancanza di intese sui criteri di assegnazione delle risorse complessive su base storica, nonché sulla attivazione della formula prevista dalla normativa del 2000 produce notevoli ritardi. La delibera Cipe di ripartizione delle risorse complessive viene adottata ad esercizio finanziario chiuso (31 gennaio 2003). Nel marzo 2003, la Conferenza Stato Regioni sancisce l’intesa sull’aliquota di compartecipazione all’Iva, nella misura del 37,39%, ma il relativo d.p.c.m. viene adottato solo nel maggio 2004, con due anni di ritardo rispetto all’esercizio di riferimento107. Il d.p.c.m. di ripartizione della compartecipazione all’Iva viene adottato dal Consiglio dei ministri nel maggio 2004 in assenza di intesa con la Conferenza Stato Regioni108. Il 5% delle risorse derivanti dalla applicazione della formula perequativa rimane congelato dal ministero del Tesoro fino a tale data. Naturalmente tali ritardi producono notevoli problemi di liquidità per la gestione del

106 Vedi anche A. Zanardi, Federalismo fiscale: conflittualità e vincoli

all’autonomia in M. C. Guerra, A. Zanardi (a cura di), La finanza pubblica italiana - Rapporto 2004, il Mulino, Bologna, 2004.

107 D.p.c.m. 7 maggio 2004. 108 D.p.c.m. 14 maggio 2004.

103

settore sanitario, forzando al ricorso dello strumento delle anticipazioni e favorendo un rallentamento della crescita della spesa.

Anche con riferimento all’esercizio 2003, si rilevano notevoli ritardi: il Cipe ripartisce le disponibilità finanziarie complessive per il sistema sanitario nazionale nel primo quadrimestre dell’esercizio (delibera 14 marzo 2003), ma solo nel novembre 2003, la Conferenza Stato Regioni sancisce l’intesa sulla determinazione dell’aliquota di compartecipazione per il 2003 (nella misura del 38,69%), mentre la proposta di riparto della compartecipazione non risulta ancora (settembre 2004) presentata in sede di Conferenza Stato Regioni. Da segnalare che tali risorse dovrebbero essere ripartite per il 90% su base storica e per il 10% in base alla formula prevista dal decreto medesimo.

Nel 2004, la delibera Cipe a settembre non risulta adottata, pur avendo la ripartizione acquisito l’intesa della Conferenza Stato Regioni il 12 febbraio. Nel luglio, peraltro, vengono approvate modifiche al d.lgs. 56/2000109, estendendo al 2003 e 2004 il periodo nel quale le aliquote di compartecipazione sono determinate annualmente in via provvisoria e spostando al 2005 il termine per la fissazione delle aliquote definitive di compartecipazione regionale.

La descrizione degli avvenimenti rende esplicite difficoltà e tensioni nella gestione delle relazioni finanziarie tra Regioni e Stato nel settore sanitario, tanto da far dichiarare la crisi degli schemi vigenti.

Prima causa di tale crisi è da individuare nell’assenza di convergenza sulle stime alla base del nuovo modello di finanziamento previsto dal d.lgs. 56/2000. In particolare, come risulta nel parere delle Regioni sulla legge finanziaria per il 2001, non si trovò l’accordo sulla stima dei trasferimenti soppressi al netto del provento dei nuovi tributi attribuiti e quindi sulla nuova aliquota di compartecipazione. Tale rideterminazione risultava necessaria sia per la valutazione aggiornata della spesa sanitaria effettuata in seguito all’accordo Stato Regioni del 3 agosto 2000, sia per la revisione del gettito Irap per il 2001 rispetto alla stima inizialmente ipotizzata e del connesso importo del Fondo sanitario nazionale da abolire, sia per una più precisa quantificazione del gettito Iva.

Un ulteriore aspetto di crisi è derivato dalla variabilità della dinamica dei vari tipi di imposte compartecipate e dalle difficoltà connesse con le loro previsioni. Non solo la certezza delle risorse, uno degli obiettivi del

109 Articolo 3, comma 2, del d.l. 168/2004, convertito dalla legge 191/2004.

104

d.lgs., è finita per ridursi, ma soprattutto è risultata dipendente in modo sostanziale dagli effettivi incassi rispetto alle stime adottate per la determinazione degli importi assegnati ad inizio periodo. In tal senso, le Regioni chiedono la reintroduzione del fondo di garanzia per l’Irap, vigente fino al 2003 e prorogato al 2004 dal d.l. 168/2004, al fine di garantire che ogni Regione possa avere a disposizione effettivamente le risorse complessive indicate dalla delibera Cipe di ripartizione del fondo sanitario110.

Parzialmente connesso con tale aspetto, vi è il problema più generale del disallineamento tra risorse assegnate, connesse al ciclo economico, e spesa che dipende da numerosi fattori, la cui evoluzione risulta spesso superiore al tasso di crescita del pil nominale (invecchiamento della popolazione, innovazione tecnologica, eccetera). Disallineamento rafforzato dalla modesta dinamica dell’economia negli esercizi considerati.

Il modello di responsabilizzazione finanziaria proposto dal d.lgs. 56/2000 e confermato dai successivi accordi del 2000 e 2001, prevede che le Regioni assumano a proprio carico gli eventuali sfondamenti di spesa rispetto a quanto concordato con lo Stato in termini aggregati. Tale impegno presuppone l’attivazione di una quota di autofinanziamento, con interventi dal lato delle entrate fiscali. Infatti, tra le misure poste in essere negli anni 2001-’02, per i vincoli finanziari concordati con lo Stato, varie Regioni hanno fatto ricordo all’aumento addizionale Irpef (Veneto, Molise, Marche, Piemonte, Lombardia, Puglia, Umbria) alla maggiorazione Irap (Lazio, Marche, Lombardia) all’aumento delle tasse automobilistiche (Veneto, Marche).

La legge finanziaria per il 2003 ha sospeso l’applicazione di eventuali aumenti ulteriori (rispetto al 2002) delle aliquote delle addizionali all’Irpef e di maggiorazioni dell’aliquota Irap, a decorrere dal 29 settembre 2002 e fino al raggiungimento dell’intesa, in sede di Conferenza unificata, sui meccanismi strutturali del federalismo fiscale. E’ rimasta salva la possibilità di deliberare incrementi e maggiorazioni da parte delle Regioni, ma tali determinazioni non possono divenire immediatamente effettive. Tale sospensione degli aumenti delle addizionali Irpef e delle maggiorazioni dell’aliquota Irap è stata estesa dalla legge finanziaria 2004 anche al 2004.

110 Audizione presso la Commissione Bilancio del Senato del 18 marzo 2004.

105

Si prospetta in tal modo un problema di coordinamento di politiche in presenza di più centri decisionali, coordinamento reso difficoltoso dal ritardo nell’attuazione del federalismo fiscale in coerenza con i principi del nuovo titolo V della Costituzione.

5.3. Il vincolo aggregato sulla spesa farmaceutica La spesa farmaceutica, categoria di spesa particolare nell’ambito della

più ampia spesa sanitaria, è stata spesso trattata in modo autonomo, con l’individuazione di specifici tetti annuali di spesa complessiva. Nel gennaio 2002, essendosi registrato nel 2001 un incremento sostanzioso, pari al 35,7%, viene reintrodotto un tetto sulla spesa farmaceutica: 13% della spesa complessiva per sanità. Considerando la stima tendenziale di tale componente, l’introduzione del tetto doveva comportare una contrazione della spesa pari al 16%.

Nel 2004, il tetto della spesa farmaceutica viene prima innalzato al 16% di quella sanitaria complessiva, comprendendo tuttavia, a differenza dal passato, anche il costo dei medicinali utilizzati in ospedale111. Inoltre, tale percentuale viene considerata valore di riferimento sia a livello nazionale, che in ogni singola Regione. Un successivo intervento a metà anno112 riporta il limite, riferito alla sola spesa convenzionata, al 13%.

Al fine di creare le condizioni per il raggiungimento di tale obiettivo, a partire da aprile dello stesso 2002, si adottano alcune misure dirette al contenimento della spesa farmaceutica. In realtà tali misure erano state prospettate già dalla fine dell’esercizio 2001. Il d.l. 347/2001 e il successivo accordo del 22 novembre 2001, infatti, prevedono che la Commissione unica del farmaco (Cuf) individui le liste dei farmaci che potrebbero essere totalmente o parzialmente esclusi dalla rimborsabilità, in modo che le Regioni possano intervenire eventualmente attraverso il cosiddetto delisting, cioè lo spostamento di prodotti da una classe all’altra.

111 Articolo 48 del d.l. 269 del 2003, convertito dalla legge 326/2003. 112 D.l. 156/2004, convertito dalla legge 202/2004.

106

Dopo la riduzione, in aprile, del 5% del prezzo dei farmaci113, viene disposta la revisione del prontuario terapeutico, introducendo il rimborso di riferimento per classe terapeutica e consentendo in tal modo il delisting114. In seguito, il d.l. 138/2002 supera il criterio, precedentemente adottato, delle categorie terapeutiche omogenee in favore di quello di costo efficacia, affidando alla Cuf il compito di effettuare una revisione, con frequenza annuale, del prontuario dei medicinali rimborsabili; a fine anno, viene emanato il nuovo prontuario terapeutico115. In conclusione, la decisione sull’elenco dei farmaci rimborsabili torna ad essere di competenza del livello centrale.

Con la manovra per il 2004, al fine di garantire l’unitarietà delle attività in materia di farmaceutica, nonchè di favorire in Italia gli investimenti in ricerca e sviluppo, viene istituita l’Agenzia italiana per il farmaco116; viene rafforzato,a ltresì. il monitoraggio della spesa, anche con l’introduzione della tessera sanitaria.

Nel 2002 e nel 2003, il tetto del 13% non viene rispettato, anche se la spesa farmaceutica cresce solo dell’1% nel 2002 e si riduce del 5,4% nel 2003117. Nel 2004, a fronte di un disavanzo per l’esercizio stimato in 1.365 milioni di euro in base ai consumi dei primi tre mesi dell’anno (+8,2%), viene resa operativa la norma per il recupero a carico delle aziende farmaceutiche del 60% dello sfondamento del tetto del 13% imposto alla spesa di settore, lasciando il restante 40% a carico delle Regioni118. Il provvedimento pone in realtà a carico delle imprese il 40% dello sfondamento, per complessivi 495 milioni di euro che sono recuperati imponendo uno sconto del 6,8% sui margini dei produttori, pari al 4,12% del prezzo al pubblico, Iva compresa. Il “taglio” riguarda tutti i farmaci rimborsabili dal Ssn (con l’eccezione dei prodotti ospedalieri) anche se acquistati dal cittadino a proprie spese e sarà

113 D.l. 63/2002, convertito dalla legge 12/2002. 114 Decreto del ministro della Salute 27 settembre 2002. 115 Decreto del ministro della Salute 20 dicembre 2002. 116 Articolo 48, comma 2, del d.l. 269/2003 convertito dalla legge 326/2003. Viene

altresì prevista la contestuale soppressione della Commissione unica per il farmaco e il trasferimento di parte del personale del ministero alla predetta agenzia.

117 La spesa netta è stata di 11.095 mln di euro, pari al 14,6% del totale. Vedi anche Mapelli (2004).

118 D.l. 156/2004 convertito dalla legge 2002/2004.

107

applicato per tutto il tempo necessario al ripiano dello sfondamento effettivo per il 2004.

La spesa farmaceutica costituisce, quindi, un altro esempio in cui il rispetto del vincolo finanziario dipende dalla collaborazione e dal senso di responsabilità dei soggetti istituzionalmente coinvolti: la spesa complessiva è infatti la risultante di fattori diversi, sotto il controllo di enti diversi, difficilmente individuabili e monitorabili; alcune scelte di politica di settore, quali l’uniformità delle prestazioni su base nazionale, rendono più difficile la responsabilizzazione degli altri soggetti, che possono sostenere di non avere il controllo sugli strumenti di contenimento della spesa.

In concreto, il desiderio di rispettare il limite finanziario aggregato, ha portato il livello centrale a disporre una limitazione del prontuario, nonché ad un intervento dirigistico di taglio dei prezzi. Da notare che la limitazione del prontuario viene effettuata su base nazionale, superando l’opzione precedente di introdurre rimborsabilità differenziate sul territorio nazionale. L’introduzione di un tetto alla spesa non sembra, peraltro, aver inciso sulle variabili di spesa che sono sotto il controllo regionale (controllo sulle prescrizioni improprie, promozione dell’uso dei generici, budget per i medici di base).

5.4. Sanzioni e incentivi Anche per la spesa sanitaria, così come per il patto di stabilità interno,

gli interventi degli ultimi anni ripropongono il principio di affiancare il sistema di regole fiscali con una struttura di incentivi che promuova il raggiungimento degli obiettivi. Allo scopo di incentivare una maggiore efficienza nella gestione del settore sanitario, il decreto 56 del 2000 prevede – in connessione con la rimozione del vincolo di destinazione e il rafforzamento delle procedure di monitoraggio per la verifica del rispetto degli obiettivi di tutela della salute – che gli eventuali risparmi siano assegnati alla Regione, che ha facoltà di destinarli anche ad altri settori, nel rispetto dei livelli “essenziali e uniformi” di assistenza.

L’accordo del 2000 non disegna forme incentivanti o sanzionatorie esplicite. Esso peraltro, pone le basi per la soluzione individuata dall’accordo dell’anno successivo, in quanto prospetta iniziative al fine di rendere obbligatorio, contestualmente all’accertamento dei consuntivi

108

sulla spesa sanitaria, l’individuazione della copertura degli eventuali disavanzi da parte delle Regioni.

L’accordo Stato Regioni dell’8 agosto 2001 indica, per il 2001, risorse finanziarie aggiuntive rispetto a quelle definite nel precedente accordo del 2000, condizionatamente all’adozione da parte delle Regioni di un insieme di misure volte al controllo e al contenimento della spesa sanitaria, prevedendo altresì sanzioni nei confronti di eventuali comportamenti “non virtuosi”. Interventi legislativi successivi chiariscono che tali disposizioni si applicano alla singola Regione o Provincia autonoma inadempiente ed estendono le misure anche agli esercizi fino al 2005119. In particolare, il concorso da parte del Governo agli ulteriori finanziamenti viene condizionato all’adempimento, da parte delle Regioni, degli obblighi indicati ai punti 2 e 8 dell’accordo, cioè alla indicazione dei mezzi di copertura dell’eventuale ulteriore disavanzo rispetto al nuovo livello dei finanziamenti.

Da rilevare che la legge finanziaria per il 2003 ha aggiornato gli adempimenti cui le regioni sono tenute ad effettuare per non incorrere nella riduzione dei trasferimenti, includendovi l’attivazione delle procedure di monitoraggio delle prescrizioni, il rispetto del tetto della farmaceutica, l’adozione di meccanismi di erogazione volti a soddisfare criteri di appropriatezza ed economicità, l’attuazione di iniziative per il contenimento delle liste di attesa, l’adozione di provvedimenti che dispongano la decadenza dei direttori generali di aziende Asl e ospedaliere in caso di mancato raggiungimento dell’equilibrio economico.

Viene poi prevista la perdita dei trasferimenti aggiuntivi per la sanità anche nel caso di mancato rispetto da parte delle Regioni del vincolo derivante dal patto (vedi paragrafo 2).

La verifica intorno al livello dei disavanzi e alle misure di copertura si è svolta, con una certa lentezza, al tavolo tecnico costituito d’intesa con la Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome, e ha portato ad un risultato positivo per la maggior parte delle autonomie regionali. L’integrazione delle prime quote avviene, infatti, nel febbraio del 2003. Dopo la valutazione degli interventi a copertura dei disavanzi,

119 Il d.l. 63/2002, convertito dalla legge 112/2002 estende le sanzioni agli anni

2002-04; per il 2005, sono intervenuti la legge finanziaria per il 2003 e il d.l. 269/2003, convertito dalla legge 326/2003.

109

sono cinque le Regioni che nel 2001 non hanno avuto accesso a tale finanziamento integrativo (Abruzzo, Calabria, Campania, Molise, Sardegna); il confronto relativo al 2002 segnala tre Regioni nella condizione di subire la sanzione della decurtazione dei fondi aggiuntivi (Abruzzo, Molise e Sicilia)120.

L’introduzione di tali penalizzazioni sulla erogazione delle risorse ha indotto le regioni ad adottare provvedimenti che limitassero la formazione dei disavanzi. In tal senso, le regioni hanno assunto comportamenti assai differenziati, confermando le aspettative della teoria del federalismo fiscale, in cui una maggiore autonomia decisionale corrisponde, di norma, all’adozione di politiche diverse. Le regioni del Sud hanno attivato in prevalenza interventi di razionalizzazione della spesa, in particolare di quella ospedaliera e della medicina specialistica, soprattutto convenzionata (tramite l’adozione di tetti di spesa, come nel caso della Campania), mentre quelle del Centro-Nord hanno fatto ricorso soprattutto agli strumenti di inasprimento fiscale, alcuni anche applicati in modo progressivo121. Da notare che i ticket sanitari vengono introdotti in quasi tutte le realtà regionali. Alcune Regioni si sono attivate con altre operazioni, quali l’alienazione del patrimonio immobiliare e provvedimenti di cartolarizzazione122.

Aperta rimane peraltro la questione se la differenziazione degli interventi di riequilibrio dei conti della sanità risulti di fatto guidata dalla ricchezza relativa delle Regioni e cioè conseguenza dello squilibrio territoriale che caratterizza il Paese. In particolare, l’opzione sulle aliquote potrebbe essere riconducibile ad una più forte capacità fiscale, consentendo alle Regioni più ricche di operare dal lato delle entrate. Le Regioni meno sviluppate, non avendo la possibilità di generare un volume sufficiente di risorse aggiuntive, sarebbero, invece, costrette a

120 Audizione della Conferenza dei Presidenti delle Regioni presso la Commissione

bilancio del Senato del 18 marzo 2004. 121 T. Frattini, A. Zanardi, Federalismo regionale: un anno al palo, in M. C. Guerra,

A. Zanardi (a cura di), La finanza pubblica italiana - Rapporto 2003, il Mulino, Bologna, 2003; Corte dei Conti, Decisione e relazione della Corte dei Conti sul Rendiconto generale dello Stato, Esercizio 2003, Istituto Poligrafico dello Stato.

122 Operazioni di cartolarizzazione sono state intraprese dalle Regioni Sicilia e Lazio.

110

rivedere il livello dell’erogazione di servizi123. Frattini e Zanardi (2003), in particolare, sostengono che l’assenza, nell’ambito del d.lgs. n. 56 del 2000, di un meccanismo di perequazione sul potenziale fiscale, associato alla disparità presenti sul territorio nazionale, comporta che difficilmente le Regioni meridionali hanno incentivi sufficienti per esercitare lo sforzo fiscale. Tabella 9 - Misure regionali per il finanziamento dei disavanzi sanitari per gli anni 2001-’02 Nessuna misura Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia

Giulia, Liguria, Emilia Romagna, Marche, Toscana, Umbria

Razionalizzazione della spesa

Piemonte, Lazio, Abruzzo, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria

Ticket sui farmaci delisting

Veneto, Lombardia, Liguria, Lazio, Calabria, Sicilia.

Addizionale Irpef Piemonte, Veneto, Lombardia, Marche, Umbria, Molise, Puglia

Maggiorazione Irap Lombardia, Marche, Lazio Tasse automobilistiche Veneto, Marche Fonte: Frattini e Zanardi, 2003

Più specificamente, le principali misure poste in atto dalle Regioni per ottemperare agli obblighi richiesti dall’accordo, con riferimento agli anni 2001-2002, consistono, dal lato della spesa, principalmente in interventi di riduzione dei costi, sia sulla spesa farmaceutica, che sulla rete ospedaliera, che sulla spesa per il personale. Da segnalare, in particolare, la distribuzione diretta dei farmaci da parte delle strutture pubbliche, l’imposizione di tetti di spesa, le convenzioni per la centralizzazione degli acquisti, il blocco delle assunzioni, il potenziamento dei day hospital. Tra le misure di tipo fiscale, si registrano la maggiorazione Irap e l’aumento dell’addizionale Irpef e delle tasse automobilistiche. Diffusa è anche l’introduzione forme di compartecipazione alla spesa, come ticket su farmaci, su ricette e su pronto soccorso.

123 Utile ai fini di tale analisi sarebbe verificare se gli interventi dal lato della spesa

abbiano corrisposto ad una riduzione della quantità o qualità delle prestazioni oppure ad un migliore uso delle risorse.

111

5.5. Effetti sulle spettanze delle singole Regioni Il disegno istituzionale per il finanziamento del settore sanitario

conferma difficoltà relative alla allocazione dei fondi alle singole Regioni. Tali difficoltà sono principalmente riconducibili al frequente cambiamento delle formule per la determinazione dei fabbisogni sanitari, la loro suddivisione regionale e il connesso finanziamento, nonché dalla differenza tra i criteri effettivamente adottati dal Cipe124, rispetto ai criteri previsti dal d.lgs. 56/2000. Ampia divergenza sui criteri adottati per la distribuzione si è avuta poi, non solo in relazione alle risorse primarie, ma anche con riferimento ai fondi per il ripiano dei disavanzi pregressi.

Il d.lgs. 56/2000 introduce nella legislazione una formula che definisce i criteri per la determinazione dei flussi perequativi tra Regioni. L’obiettivo è quello di rendere più trasparenti i meccanismi di finanziamento regionali; la formula di assegnazione delle risorse, costruita sulle capacità fiscali regionali, integrate da un meccanismo perequativo rende infatti espliciti apporti e assegnazioni al fondo di solidarietà interregionale.

Il modello perequativo presenta caratteristiche proprie della perequazione orizzontale, ma viene gestito verticalmente dallo Stato. La piena implementazione della formula di perequazione sconta un periodo di transizione: nel 2001, l’assegnazione delle risorse avviene in base alla spesa storica, dal 2002 inizia una fase transitoria sino al 2012 in cui si abbandona progressivamente il criterio della spesa storica e si introducono pro quota i nuovi principi perequativi, per arrivare al 2013 in cui la perequazione sarà basata totalmente sui nuovi parametri individuati.

Il sistema disegnato dal d.lgs. 56/2000, peraltro, oltre che più trasparente, è anche meno perequato rispetto allo schema precedente basato sui trasferimenti e, per tali motivi, è stato contestato delle

124 In particolare, il fabbisogno finanziario del Cipe è determinato in base ai livelli

essenziali di assistenza, con riferimento alla quota capitaria ponderata del Piano sanitario nazionale, che tiene conto della struttura per età della popolazione e degli indicatori di morbilità.

112

Regioni, specie del centro-sud, maggiormente penalizzate. La formula prevede, infatti, che le distanze rispetto alla media della capacità fiscale dovrebbero essere ridotte del 90%, le differenze dalla media dei fabbisogni sanitari dovrebbero essere perequate al 100% e quelle dalla media dei fabbisogni derivanti dalle dimensioni geografiche essere compensate al 70%. Di conseguenza, la perequazione parziale rispetto alle capacità fiscali comporta una minore redistribuizione di risorse tra Regioni, lasciando alle Regioni più ricche parte del gettito prodotto sui loro territori. Anche la perequazione totale dei fabbisogni sanitari comporta una riduzione delle quote a favore delle Regioni del Mezzogiorno, la cui popolazione presenta una concentrazione relativamente maggiore nelle fasce di età giovani.

Come evidenziato dall’esperienza del 2002, anno che avrebbe dovuto vedere l’abbandono del criterio di perequazione basato unicamente sulla spesa storica, l’avvio della componente del finanziamento riferita ai nuovi parametri di perequazione ha contribuito ad aggravare tensioni e disaccordi nella gestione degli aspetti finanziari del settore sanitario, producendo uno dei periodi più conflittuali nella storia dei rapporti tra Stato e Regioni in questo campo.

La difficoltà di definire uno schema perequativo condiviso per il finanziamento della spesa sanitaria sembra originare da un aspetto strutturale del Paese e da alcune scelte fondamentali della politica sanitaria. La maggiore autonomia finanziaria e la ricerca di un superamento della finanza derivata si accompagnano alle esigenze di finanziamento di prestazioni che si vogliono mantenere omogenee ed uniformi sul territorio nazionale, in un contesto di profonde differenze territoriali sul piano della capacità fiscale per abitante.

5.6. Compatibilità tra decisioni di spesa e livelli essenziali Nel 1999, il d.lgs. 229/1999, di razionalizzazione del Servizio

sanitario nazionale, sancisce, in forma chiara e precisa, il principio di una contestualità tra la definizione dei livelli essenziali ed uniformi di assistenza e le risorse finanziarie destinate al Servizio sanitario nazionale. L’articolo 1 di tale provvedimento, infatti, nel ribadire che la tutela della salute è un diritto fondamentale dell’individuo ed è un interesse della collettività, e quindi è garantita dal Servizio sanitario

113

nazionale, precisa che l’individuazione di tali livelli è effettuata contestualmente all’individuazione delle risorse finanziarie destinate al Ssn, nel rispetto delle compatibilità finanziarie definite per l’intero sistema di finanza pubblica nel dpef.

Il periodo ed il contesto in cui matura tale disposizione è lo stesso che porta alla introduzione del patto di stabilità interno: l’adesione ad un vincolo finanziario esterno, sopranazionale, per la finanza pubblica produce la consapevolezza che il vincolo finanziario deve partecipare sin dall’inizio alla definizione delle condizioni di accesso ed erogazione dei servizi pubblici, sia al fine di definire politiche in cui diritti e risorse disponibili risultassero coerenti e compatibili, sia al fine di influenzare, in forma cogente, l’azione amministrativa di erogazione del servizio.

Purtroppo, anche dopo il d.lgs. 229/1999, la decisione sui principi per la tutela della salute non è diventata contestuale a quella sulle risorse disponibili e il Piano sanitario nazionale, documento in cui tale sintesi doveva essere operata, è rimasto relegato ad un ruolo marginale, lasciando scarsa traccia nel dibattito politico-istituzionale del settore.

L’esistenza di un problema di compatibilità tra risorse e prestazioni compare nuovamente nel d.lgs. 56/2000, nel quale si dispone il monitoraggio dell’assistenza sanitaria effettivamente erogata in ogni Regione, in cui la verifica del rispetto delle garanzie di tutela della salute viene associata a quella delle compatibilità finanziarie. Il Governo con proprio decreto doveva individuare un insieme di indicatori rilevanti ai fini del monitoraggio del rispetto dei livelli essenziali ed uniformi di assistenza nonché dei vincoli di bilancio.

Nell’accordo fra Governo, Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano del 3 agosto 2000, nuovamente, il Governo si impegna a presentare un proposta sulla definizione dei livelli di assistenza e le Regioni concordano che tali livelli siano definiti in modo tale da essere compatibili con le risorse indicate per la sanità dall’accordo stesso. Analogamente, l’accordo dell’8 agosto 2001, incrementando l’entità delle risorse da attribuire al Servizio Sanitario Nazionale, richiama la necessità di legare tali risorse ai cosiddetti “livelli essenziali di assistenza” (lea), che individuano le prestazioni e i servizi da garantire in ogni Regione ai cittadini.

L’Accordo impegnava altresì il Governo ad adottare un provvedimento per la definizione dei livelli essenziali di assistenza, d’intesa con la Conferenza Stato Regioni. I livelli essenziali di assistenza

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avrebbero dovuto essere indicati in relazione alle risorse stanziate, e il Governo era vincolato ad accompagnare con finanziamenti aggiuntivi eventuali provvedimenti, da esso stesso emanati, di incremento dei livelli essenziali di assistenza. Rimaneva per le Regioni la possibilità di offrire prestazioni eccedenti i livelli essenziali di assistenza, ricorrendo tuttavia a risorse proprie.

Circa un anno dopo viene emanato il d.p.c.m. che individua i livelli essenziali di assistenza125, ma che, di fatto, si limita ad una elencazione delle prestazioni già offerte dal servizio pubblico, escludendone alcune (poche) e ponendo qualche limite all’erogazione di talune altre. La corrispondenza effettiva tra i costi complessivi di erogazione dei livelli essenziali di assistenza e le risorse assegnate resta inoltre incerta.

Il desiderio di rendere contestuali l’analisi delle compatibilità finanziarie e le decisioni sul diritto di accesso alle prestazioni, sembra infine dissolversi nel quadro delineato dal nuovo titolo V della Costituzione. La definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, competenza esclusiva dello Stato elencata esplicitamente nell’ambito del nuovo testo dell’articolo 117, non risulta infatti elemento rilevante nello schema di rapporti finanziari tra Stato e autonomie territoriali che emerge dal nuovo articolo 119 Costituzione.

125 D.p.c.m. 29 novembre 2002.

115

6. Le politiche sulle attività e passività pubbliche

6.1. Introduzione Oltre al controllo dei flussi di finanza pubblica, i vincoli finanziari

europei spingono verso il governo dello stock del debito; in particolare, ciò risulta di estrema importanza per Paesi, come l’Italia, ancora caratterizzati da elevati ammontari di passività finanziarie.

Alle misure dirette di riduzione dello stock del debito, nel nostro Paese, si sono accompagnate azioni volte a “utilizzare” anche le attività del patrimonio pubblico. La pubblica amministrazione, infatti, ha per molto tempo continuato a gestire in modo non sistematico molti dei suoi assets, la cui sola individuazione è risultata spesso problematica. Molti di questi assets, in realtà, rappresentano dei veri e propri centri di spesa e l’obiettivo è quello di tramutarli in centri di imputazione di ricavi, oltre che di costi126. Agli interventi di politica fiscale si vogliono affiancare, quindi, efficienti misure di finanza patrimoniale.

Diventano, dunque, rilevanti l’intero stato patrimoniale dell’operatore pubblico, la gestione contemporanea di attività e passività patrimoniali, la più o meno ampia definizione dei confini del settore pubblico. In riferimento a quest’ultimo aspetto, infatti, appare di interesse il tentativo di spostare verso enti esterni all’amministrazione pubblica, come la Cassa depositi e prestiti e le due nuove società Patrimonio spa e Infrastrutture spa, le operazioni di finanziamento di interventi di interesse pubblico e sociale, come la realizzazione degli investimenti in infrastrutture e in opere pubbliche. Quanto al patrimonio, nel corso degli

126 Ministero dell’Economia e delle finanze, Dipartimento del tesoro, Infrastrutture e Patrimonio dello Stato Spa: due strumenti per lo sviluppo, 14 maggio 2002.

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anni ’90 si regolamentano le vendite di immobili, che possono avvenire con modalità diverse, e si utilizza successivamente il sistema delle cartolarizzazioni quale procedimento per l’alienazione delle attività pubbliche.

6.2. Vendite di immobili e cartolarizzazioni sulle attività (crediti, proprietà e ricavi futuri)

La cessione del patrimonio pubblico appare, per la prima volta, come

strumento di risanamento della finanza pubblica nel dpef del 1990. In precedenza, la gestione degli immobili rientrava in quella ordinaria del patrimonio statale, con una impostazione volta ad interessi di carattere pubblicistico e sociale, più che economico e produttivo127, che spesso comportava canoni di affitto simbolici o assegnazioni a titolo gratuito, con scarsa attenzione alla manutenzione degli immobili.

Con una serie di norme legislative, inserite forse senza una visione di insieme in varie leggi finanziarie e nei provvedimenti ad esse collegati, è stata rinnovata la disciplina delle procedure di gestione del patrimonio immobiliare. L’alienazione degli immobili è avvenuta, come ricordato, con differenti modalità, dalle vendite dirette all’uso delle aste e tramite i fondi immobiliari. Successivamente, le operazioni di cartolarizzazione hanno consentito un’accelerazione del processo di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico.

La disciplina concernente l’alienazione degli immobili statali si è andata configurando in un processo di stratificazione di norme contenute in provvedimenti successivi128.

La legge 35/1992, in una situazione di carenza informativa sia sul patrimonio immobiliare sia sulle condizioni delle alienazioni effettuate nel passato, in primo luogo, disponeva la costruzione di un inventario dei beni alienabili dello Stato e inoltre, insieme a una delibera del Cipe

127 Come sottolineato in S. Parlato, G. Vaciago, La dismissione degli immobili pubblici: la lezione del passato e le novità della legge n. 410, 23 novembre 2001, in «Quaderni ref.», n. 8, maggio 2002.

128 Per una dettagliata analisi riguardante la vendita e le operazioni di cartolarizzazione del patrimonio pubblico, cfr. G. Pisauro, Cartolarizzazione e vendita del patrimonio immobiliare pubblico, in M. C. Guerra, A. Zanardi (a cura di) La finanza pubblica italiana. Rapporto 2003, il Mulino, Bologna, 2003.

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dello stesso anno, avviava alla costituzione della Società Immobiliare Italia, di fatto mai divenuta operativa. La legge 579/1993 e quella 549/1995 introducevano norme volte ad agevolare il trasferimento agli enti locali dei beni immobili dello Stato, con specifiche disposizioni sull’alienazione.

La legge 662/1996 imponeva un cambiamento di strategia, basandosi su un doppio binario di azione: per i beni di maggior valore era previsto il conferimento a fondi immobiliari pubblici, per gli altri beni veniva consentita la possibilità di vendita diretta da parte dell’Amministrazione finanziaria tramite asta pubblica o in caso di asta deserta, mediante trattativa privata, sulla base del miglior prezzo di mercato. Questo secondo canale ha portato alla vendita, nel 1998, di beni dello Stato per un valore di circa 43 miliardi di lire. L’attività dei fondi immobiliari si bloccò nella fase iniziale129, in relazione soprattutto alla difficoltà di predisporre appositi elenchi in cui individuare e classificare, secondo specifiche caratteristiche, i beni da dimettere.

Con la legge 127/1997 si volevano semplificare le procedure di alienazione, anche grazie a una delegificazione in materia, e con la legge 449 dello stesso anno si disponeva un valore limite (non superiore ai 300 milioni di lire) per la vendita dei beni a trattativa privata. La legge 448/1998 focalizzava l’attenzione sulla valorizzazione degli immobili, anche tramite la loro gestione in forme privatistiche.

Con la legge 488/1999 si proponeva, tra l’altro, l’attuazione di vendite in blocchi, grazie anche all’intervento di intermediari privati, costituiti da società specializzate. L’ultimo provvedimento varato prima dell’introduzione dell’utilizzo delle cartolarizzazioni è stata la legge 136/2001, che consentiva a soggetti pubblici e privati di proporre specifici progetti (valutati dall’Agenzia del demanio) volti alla valorizzazione o all’utilizzo di beni o complessi immobiliari appartenenti allo Stato.

Oltre che su quello dello Stato, l’attenzione è stata posta sul patrimonio degli enti previdenziali, a partire dal 1996 (tramite il d.lgs. 104/1996). E’ stato, dunque, costituito un Osservatorio sul patrimonio immobiliare degli Enti Previdenziali con compiti ricognitivi e di dismissione dei beni. In conseguenza di tali attività è stato predisposto un Programma ordinario di cessione (Poc) e, successivamente, un

129 Parlato, Vaciago, La dismissione degli immobili pubblici, cit., p. 9.

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Programma straordinario di cessione (Psc), fissato con la legge 140/1997. In base al primo programma, nel 2000 l’incasso derivante dalla vendita delle abitazioni è stato pari a 108 milioni di euro, nel 2001 le entrate hanno raggiunto gli 844 milioni di euro. Il Programma straordinario ha, invece, fornito introiti per 473 milioni di euro nel 2001. Tali programmi sono poi confluiti, alla fine del 2001, nel piano di cartolarizzazioni previsto dalla legge 410/2001.

Nello stesso anno, alla cessione diretta di beni si è affiancato lo strumento della dismissione tramite fondo immobiliare, in particolare attraverso il primo fondo pubblico, denominato Alpha, che ha dismesso beni per un valore di 247 milioni di euro.

Le operazioni di cartolarizzazione, subentrate ai vari tentativi di vendita diretta, hanno consentito di contribuire in modo significativo al contenimento dei conti pubblici.

La cartolarizzazione (securitisation) è una tecnica finanziaria, in passato utilizzata nel settore privato soprattutto per i crediti bancari, che consiste in una “operazione in cui la proprietà di una attività, finanziaria o non finanziaria, o il diritto di incassare proventi futuri sono trasferiti da un ente cedente ad una società appositamente costituita, denominata società veicolo130, che finanzia l’acquisto attraverso l’emissione di obbligazioni (cosiddette asset backed), ossia titoli la cui copertura è garantita dal valore dell’attività trasferita o da quello dei proventi dei quali la società si è assicurata il diritto di riscossione”131. In questo modo, al posto dell’ente pubblico, è una società creata allo scopo che si occupa della vendita dell’attività. Questa attività è inizialmente acquisita dalla società veicolo in proprietà, grazie a un atto amministrativo che indirizza tale attività in un patrimonio separato. Praticamente, la società di cartolarizzazione ha un incarico di vendita. Il ministero dell’Economia

130 Queste società, con la cartolarizzazione come oggetto esclusivo, hanno la forma

di società a responsabilità limitata, caratteristiche proprie delle società private pur differenziandosi da esse a causa del vincolo dell’interesse pubblico alla dismissione del patrimonio pubblico. La costituzione di queste società è effettuata direttamente dal ministero dell’Economia e delle finanze.

131 F. Nusperli (a cura di), Il Manuale sul deficit e il debito delle Amministrazioni pubbliche: problemi di definizione e classificazione delle operazioni, atti del convegno Iscona Finanza pubblica e contabilità nazionale. Rilevanza, affidabilità e coerenza nel quadro del Sistema Europeo dei Conti, Roma, 22 novembre 2002, p. 9.

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e delle finanze può concedere, con proprio decreto, la garanzia dello Stato sui titoli emessi.

La scelta del nuovo strumento della cartolarizzazione, che permette una rapida vendita a blocchi, la riorganizzazione dell’Agenzia del demanio (istituita in base al d.lgs. 300/1999), che ha comportato importanti progressi dal punto di vista conoscitivo, e la semplificazione adottata, connessa con la riduzione dei soggetti a vario titolo interessati nel processo di dismissione, hanno consentito il superamento della stasi operativa verificatasi negli anni ’90132, a causa sostanzialmente di una legislazione complessa, a volte contraddittoria e con cambiamenti frequenti di impostazione.

Negli ultimi anni vari Paesi, e non solo l’Italia, hanno effettuato cartolarizzazioni e si è reso necessario individuare, da parte dell’Eurostat, delle regole per il trattamento contabile133 di tali operazioni. Secondo le norme europee, si distingue tra cartolarizzazioni di attività, finanziare o non, facenti parte del patrimonio delle amministrazioni pubbliche (in Italia quelle riferite ai crediti contributivi e agli immobili) e operazioni non riferite al patrimonio, come nella fattispecie italiana dei flussi di entrate future (relative al gioco del Lotto e Superenalotto). In questo caso, si tratta dell’acquisizione di una passività finanziaria (un prestito) che concorre alla formazione del debito pubblico. Nel primo, si può verificare o una vendita di attività o, di nuovo, un’acquisizione di passività (un prestito).

Per definire le operazioni o come vendite effettive di assets o come accensioni di prestiti, si fa riferimento alla presenza o meno di un effettivo trasferimento del rischio134 dall’ente pubblico alla società veicolo. L’assunzione o meno del rischio a carico di quest’ultima viene determinata in funzione dell’eventuale presenza di garanzie pubbliche e degli accordi di pagamento. Le garanzie non consentono un pieno addossamento del rischio, così come accade se il prezzo pagato dalla società veicolo all’ente pubblico risulta notevolmente inferiore (sotto

132 Parlato, Vaciago, La dismissione degli immobili pubblici, cit., pp. 21-6. 133 Per una dettagliata descrizione delle regole contabili e delle procedure che hanno

portato alla loro definizione, cfr. Nusperli (a cura di), Il Manuale sul deficit e il debito delle Amministrazioni pubbliche, cit.

134 Il rischio è trasferito se la società veicolo non ha la certezza di riuscire a rimborsare il proprio debito verso gli acquirenti delle obbligazioni emesse al fine di finanziare l’acquisto dell’attività dell’ente pubblico cedente.

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all’85%) al valore di mercato dell’attività in questione ceduta. L’assenza di garanzie pubbliche e un prezzo pagato superiore all’85% consentono di classificare l’operazione come vendita, con effetti riduttivi del debito pubblico e, in caso di attività non finanziarie, anche dell’indebitamento netto del conto economico delle amministrazioni pubbliche.

Le cartolarizzazioni possono assumere diverse tipologie ed essere connesse, ad esempio, alla cessione di attività di proprietà, alla cessione di crediti, all’acquisizione di ricavi futuri. In Italia, tali operazioni hanno riguardato, in una prima fase, crediti della Sace e crediti contributivi vantati dall’Inps e dall’Inail e, successivamente, il patrimonio immobiliare pubblico nonché i flussi delle entrate del Lotto e Superenalotto degli anni 2002-06.

Con riferimento alle prime operazioni, la cartolarizzazione dei prestiti della Sace ai Paesi emergenti ha fruttato 650 milioni di dollari nel 1998 e 525 milioni di euro nel 2001. Le cartolarizzazioni dei crediti contributivi dell’Inps hanno permesso di incassare 4.650 milioni di euro nel 1999, 1.710 nel 2001, 3.000 milioni sia nel 2002 che nel 2003; le operazioni sui crediti dell’Inail hanno dato 1.350 milioni nel 2000 e quelle relative a Lotto ed Enalotto 3.000 nel 2001. Le cartolarizzazioni del patrimonio immobiliare pubblico hanno garantito introiti pari a 2.300 milioni nel 2001 e a 6.637 nel 2002. Nel 2003, operazioni hanno riguardato attività della Cassa depositi e prestiti, per 3.200 milioni, e l’Inpdap per 5.500.

Nel periodo 1998-2003 sono state effettuate operazioni per circa 35,5 miliardi di euro.

Tale modello di alienazione del patrimonio immobiliare è stato successivamente esteso anche alle Regioni e agli enti locali, nonché alle Asl ed alle Aziende ospedaliere, tramite la legge finanziaria per il 2003 (articolo 84 della legge 289/2002). In particolare, all’inizio del 2003, la Regione Lazio ha effettuato una operazione di sale-and-lease-back di 56 ospedali per un valore di 1,1 miliardi di euro. Questa operazione implica la possibilità per le amministrazioni di vendere gli immobili e contemporaneamente pagare un canone di affitto in luogo del precedente utilizzo gratuito.

Secondo le disposizioni espresse dall’Eurostat, nel luglio 2002, i vari tipi di cartolarizzazione determinano effetti differenti sui conti pubblici. Le operazioni sui crediti (attività finanziarie) comportano un miglioramento dei saldi finanziari e, per questa via, del debito. Quelle relative agli immobili (attività non finanziarie) implicano un

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miglioramento dei saldi di natura economica e quelle riferite ai flussi futuri di entrate si sostanziano in acquisizioni di passività finanziarie, che contribuiscono quindi ad alimentare il debito pubblico.

6.3. Esternalizzazione del finanziamento (e delle decisioni?) degli investimenti

Nelle priorità dell’attuale Governo rientra chiaramente la volontà di

ampliare e ammodernare la dotazione di infrastrutture del nostro Paese, ai fini di una maggiore omogeneità territoriale e di un contributo alla competitività dell’intero sistema produttivo. E l’intero quadro giuridico in materia è stato recentemente reimpostato, a cominciare dalla cosiddetta “legge obiettivo” (legge n. 443 del 21 dicembre 2001) e dal suo d.lgs. di attuazione (d.lgs. n. 190 del 20 agosto 2002), con cui si è inteso costruire un percorso agevolato per la realizzazione delle grandi opere, diverso e distinto rispetto a quello seguito per l’attività ordinaria di investimento, e al tempo stesso razionalizzare la fase della programmazione degli investimenti pubblici.

Una regolamentazione generale e principi di coordinamento appaiono necessari in un mercato, quale quello delle infrastrutture, in cui possibili inefficienze derivano dalla presenza di esternalità positive. I benefici delle opere, infatti, varcano i confini del luogo di finanziamento e si estendono altrove, inducendo comportamenti opportunistici che, di fatto, conducono alla sottoproduzione del bene infrastrutture. Ciò necessita dell’attivazione di strumenti e mezzi atti a superare le difficoltà presenti e, in particolare, giustifica la creazione di intermediari specializzati nel finanziamento degli investimenti in infrastrutture, con disponibilità di risorse finanziarie, appropriate competenze professionali e, come nel caso della “nuova” Cassa depositi e prestiti, ormai sperimentati legami con le amministrazioni cui competono le decisioni di investimento.

L’impulso alla realizzazione di nuove opere deve, comunque, cercare di pesare limitatamente sul bilancio delle amministrazioni pubbliche, dati i vincoli europei.

La conseguenza di tale approccio sull’azione amministrativa consiste nella esternalizzazione delle decisioni di finanziamento, con disintermediazione quindi del bilancio pubblico.

122

Nella complessa architettura che lega la gestione del patrimonio al finanziamento degli investimenti, assume importanza la creazione della società Patrimonio spa.

Questa società è stata istituita tramite l’articolo 7 del d.l. 63/2002 (convertito dalla legge 112/2002). Essa è di proprietà del Ministero dell’Economia e delle Finanze e ha per obiettivi la valorizzazione, la gestione (redditizia) e l’alienazione del patrimonio dello Stato, anche attraverso operazioni di cartolarizzazione. Essa, in sostanza, dovrebbe riuscire a far assumere valori di mercato ai valori di libro attribuiti alle singole componenti del patrimonio pubblico e dovrebbe consentire di generare ricavi dalla valorizzazione del patrimonio stesso. Si cerca di introdurre il calcolo economico all’interno delle amministrazioni.

L’elenco delle iniziative da intraprendere vede, in primo luogo, la redazione di un inventario dei beni, con individuazione dei diritti di proprietà tra i livelli di governo; in secondo luogo, la rilevazione dei vincoli di utilizzo dei beni, poi l’individuazione del loro uso potenziale. Una volta completate queste operazioni può iniziare l’attività di valorizzazione. Soggetti specializzati, società di scopo ad esempio, dovrebbero focalizzare la loro azione nelle singole fasi di ricognizione e valorizzazione graduale del patrimonio pubblico.

A società Patrimonio spa, mediante decreto del ministero dell’Economia, possono essere trasferiti diritti sui beni immobili facenti parte del patrimonio, disponibile e indisponibile, dello Stato nonché sugli altri beni del conto del patrimonio statale, cioè le partecipazioni e i crediti. Il trasferimento dei beni deve avvenire secondo quanto disposto dalla legge n. 410 del 23 novembre 2001, di regolazione del processo di privatizzazione del patrimonio immobiliare pubblico. È prevista, inoltre, la possibilità, in base all’articolo 12 del decreto 63, di trasferimento, a titolo oneroso, dei beni della Patrimonio spa alla Infrastrutture spa, istituita tramite l’articolo 8 dello stesso decreto. Tale norma autorizza, infatti, la Cassa depositi e prestiti a costituire una società volta al finanziamento “sotto qualsiasi forma” delle infrastrutture e delle grandi opere pubbliche suscettibili di utilizzazione economica e degli investimenti per lo sviluppo economico generale135. La nuova società

135 Come sottolineato nelle Linee direttrici per l’operatività della Infrastrutture

S.p.a. del ministero dell’Economia e delle finanze, i finanziamenti di investimenti per lo sviluppo economico generale sono concessi, nel rispetto dei principi comunitari in

123

può anche concedere garanzie per i fini appena descritti e assumere partecipazioni minoritarie di soggetti terzi, nonché acquisire quote azionarie di società già partecipate dalla Cassa Depositi e Prestiti operanti nel settore delle infrastrutture. La struttura della società è simile a quella di istituzioni che operano in altri Paesi europei136.

Infrastrutture spa (Ispa) ha la possibilità di raccogliere risorse sui mercati, nazionali e internazionali, a condizioni più vantaggiose di quelle usualmente ottenibili dai privati, favorendo la loro copartecipazione, grazie anche alla facoltà di porre a garanzia i beni trasferiti alla società dalla Patrimonio spa. Ispa offre gli immobili trasferiti “come garanzia per la contrazione di un prestito sul mercato, che utilizza per finanziare (o co-finanziare) una società privata che ha avuto la concessione per la costruzione di una importante opera pubblica”137.

Ma la reale disponibilità del concorso dei capitali privati dipende in larga misura dal prefigurarsi di un adeguato ritorno economico dovuto alla gestione delle opere programmate.

Ispa deve, dunque, fornire risorse per la realizzazione di quelle infrastrutture il cui utilizzo sia in grado di generare un ritorno economico. Ispa, infatti, finanzia i soggetti privati che ottengono dall’amministrazione pubblica la concessione di gestire l’opera costruita e che saranno in grado di ottenere almeno la remunerazione dell’investimento iniziale.

I finanziamenti della nuova società hanno carattere di sussidiarietà e sono effettuati in maniera complementare e non in concorrenza con quelli delle banche e degli altri intermediari finanziari. I finanziamenti sono in genere a medio e lungo termine e indirizzati verso quegli

materia di aiuti di Stato, unicamente per il tramite delle banche e di altri intermediari finanziari (non è dunque previsto, come negli altri casi, il finanziamento diretto) e sono ammessi esclusivamente nelle seguenti aree di investimento: aiuti alle piccole e medie imprese, concessione di prestiti per l’edilizia residenziale pubblica, finanziamento per lo sviluppo regionale.

136 Come la KfW in Germania, che si occupa di project financing e di finanziamenti a piccole e medie imprese, l’Ico in Spagna che ha funzioni simili, il GCdD in Francia che gestisce fondi di risparmio per lo sviluppo di immobili pubblici o il CeKB in Austria che tratta di export financing.

137 P. D. Giarda, Dove andranno Patrimonio spa e Infrastrutture spa?, disponibile

sul sito www.lavoce, luglio 2002.

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interventi che, per le loro caratteristiche, richiedono modalità di finanziamento non reperibili ordinariamente sul mercato. Ispa dovrebbe poter consentire, infatti, anche il finanziamento di opere ad elevato costo, caratterizzate da lunghi tempi di costruzione, che spesso gli usuali finanziatori reputano troppo rischiose. Così l’obiettivo di favorire la partecipazione dei privati al finanziamento delle infrastrutture si coniuga con quello di ridurre gli oneri a carico del bilancio pubblico.

Ispa reperisce la provvista necessaria per il finanziamento dei propri interventi prevalentemente mediante emissione di titoli, favorendo il coinvolgimento delle banche e degli altri intermediari finanziari e dei capitali privati.

Ispa può costituire “patrimoni separati”, a tutti gli effetti da quello della società e da quelli relativi ad altre operazioni, destinati a soddisfare i diritti dei portatori dei titoli e dei concedenti di finanziamenti mediante i quali la società stessa raccoglie la relativa provvista.

Sui titoli emessi, sui finanziamenti concessi, sulle operazioni di copertura dai rischi e sulle garanzie prestate dalla società può essere concessa la garanzia138 dello Stato con decreto del ministero dell’Economia. Entro certi limiti, la garanzia diviene automaticamente operante. Questa garanzia statale limita il rischio economico di Ispa, in quanto, come ricordato, permette alla società di procurarsi più facilmente degli altri operatori la provvista per i suoi investimenti.

Varie sono le cause che, come è stato sottolineato139, hanno portato nel corso del tempo a cercare di coinvolgere il settore privato nel finanziamento delle infrastrutture.

In primo luogo, un più dialettico rapporto tra Stato e mercato e l’affermarsi di un orientamento favorevole ai criteri di mercato. Inoltre, lo sviluppo dei mercati finanziari che permette la raccolta di consistenti risorse, grazie anche alla differenziazione degli strumenti finanziari. Ancora, i limiti posti dalle regole europee ai finanziamenti pubblici e la necessità di non comprimere ulteriormente la spesa in conto capitale, dopo il contenimento della spesa per investimenti finalizzato al

138 Non si tratta di una garanzia sul capitale, in quanto, per legge, è esclusa l’applicazione dell’articolo 2362 del codice civile, sull’azionista unico, ma di una garanzia sul debito emesso.

139 A. Pedone, Pubblico e privato nel finanziamento delle infrastrutture, in M. C. Guerra e A. Zanardi (a cura di), La finanza pubblica italiana. Rapporto 2003, il Mulino, Bologna, 2003.

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risanamento dei conti pubblici conseguito negli anni ’90. Ma anche «lo spostamento di enfasi verso il principio del beneficio piuttosto che quello della capacità contributiva nella ripartizione del costo dei servizi pubblici»140. Principio che deve potersi concretizzare nell’applicazione di adeguati sistemi di tariffe (variabili a seconda dei costi, strutturate per incentivi alla qualità, differenziate per categorie di utenti).

Quanto al rispetto dei vincoli finanziari europei, l’alleggerimento del bilancio pubblico sarebbe possibile solo nel caso in cui risultino sufficientemente elevati i ricavi derivanti dalla vendita sul mercato dei servizi prodotti grazie ai finanziamenti di Ispa.

Sempre in riferimento agli effetti sui conti pubblici, è da considerare la questione relativa ai titoli emessi da Ispa, con garanzie prestate dallo Stato. Queste, secondo le norme contabili europee del Sec95, costituiscono delle cosiddette “passività contingenti” e, in quanto tali, non vanno registrate nel bilancio statale sino a che non sono effettivamente esercitate. Queste garanzie non si configurano come delle effettive passività in quanto non esiste la certezza che si trasformino in un debito futuro. Rappresentano, dunque, un possibile debito pubblico futuro. È prevista, per motivi di trasparenza, una loro registrazione extracontabile, in allegato allo stato di previsione del ministero dell’Economia e delle finanze. Solo se l’evento contingente si verificherà, le passività saranno contabilizzate nei conti pubblici. I debiti di Ispa, invece, pur se garantiti dallo Stato, vanno contabilizzati nel suo bilancio.

La ricerca di una maggiore efficienza e la considerazione del calcolo economico dovrebbero spingere verso una razionalizzazione dei comportamenti, con la definizione di una scala delle priorità delle infrastrutture da costruire, la predisposizione di studi di fattibilità nonché l’individuazione e l’utilizzazione di strumenti finanziari nuovi, dopo l’avvenuta ripartizione dei rischi (politici, economici, di redditività) tra soggetti pubblici e privati.

Ispa intrattiene ovviamente rapporti con vari organi governativi, durante il processo di selezione e finanziamento degli investimenti. Da una parte, la decisione di effettuare un investimento viene presa dal Governo, che ha competenza politica, dal Cipe, che ha competenza economica e tecnico-giuridica, e da uffici con particolare competenza

140 Ivi, p. 177.

126

tecnica. Dall’altra, la decisione circa il finanziamento viene presa da Ispa, tramite apposito decreto del Ministero dell’Economia d delle Finanze. Tuttavia, la decisione circa il finanziamento sembra poter in qualche modo influenzare quella sull’investimento.

Sino ad ora, la società Infrastrutture spa. ha investito sul mercato cinque miliardi di euro, nel campo delle linee ferroviarie ad alta velocità. Questa rappresenta la prima tranche di un intervento che prevede investimenti per 25 miliardi di euro.

6.4. Le operazioni sul debito delle autonomie territoriali Gli anni più recenti hanno visto una profonda modificazione delle

procedure di programmazione e gestione del patrimonio degli enti territoriali.

Vari elementi hanno prodotto una accelerazione del ricorso all’indebitamento e hanno indotto una più attiva gestione del patrimonio, con la diversificazione delle forme di finanziamento, le politiche di modificazione della struttura del capitale e la ricerca di nuovi strumenti finanziari, tra cui i prodotti derivati.

Da un lato le maggiori competenze trasferite con il decentramento amministrativo, nonché quelle connesse con la riforma costituzionale del titolo V, hanno portato ad una cresciuta responsabilità delle autonomie territoriali, anche nella spesa di investimento.

Tali maggiori competenze sono naturalmente state programmaticamente accompagnate da una diversa responsabilità finanziaria, separata e autonoma rispetto alla finanza statale; sebbene il nuovo articolo 119 della Costituzione non risulti ad oggi attuato, il ricorso all’indebitamento da parte degli enti territoriali rappresenta indubbiamente uno dei primi segni visibili del nuovo assetto istituzionale.

Dall’altro le limitazioni finanziarie connesse ai vincoli imposti al Paese dagli accordi internazionali (patto di stabilità e crescita) e dalle conseguenti politiche domestiche di contenimento del disavanzo, che hanno inciso sulle risorse disponibili, promuovendo politiche tese a migliorare l’efficienza della gestione patrimoniale e il ricorso a strumenti e prodotti che potessero fornire una liquidità non altrimenti disponibile.

127

La diffusione di tali comportamenti introduce nuovi elementi di complessità nella gestione della finanza pubblica. Oltre alla sempre più forte esigenza di coordinamento dei comportamenti finanziari tra livelli di governo, emerge la necessità di una più incisiva individuazione e separazione delle responsabilità. Nell’ambito delle politiche di indebitamento degli enti territoriali, in particolare, l’esclusione della garanzia statale prevista dall’articolo 119 Costituzione deve essere pienamente applicato, in modo tale che il ricorso ai mercati finanziari sia effettuato da tali enti in un quadro di responsabilità e consapevolezza dei rischi connessi con gli strumenti finanziari prescelti.

Nella gestione finanziaria tradizionale sono quindi confluite le strategie e le politiche relative alla acquisizione e all’impiego dei fondi e si è promossa una gestione integrata dell’attivo e del passivo (asset and liability management), nonché il ricorso a strumenti di finanza derivata. Questi ultimi strumenti, in particolare, presentano una forte attrattività poiché consentono di modulare la capacità di spesa, ma introducono anche una componente di rischio nella gestione finanziaria dell’ente.

La normativa da lungo tempo stabilisce in modo esplicito e rigoroso che il ricorso all’indebitamento da parte degli enti territoriali è ammesso esclusivamente nelle forme previste dalle leggi in materia e per la realizzazione degli investimenti.

Tale principio è stato poi “costituzionalizzato” con la legge costituzionale n. 3 del 2001, di riforma del titolo V della Costituzione. Il nuovo testo dell’articolo 119, sesto comma, Costituzione infatti sancisce la facoltà per le autonomie territoriali di ricorrere all’indebitamento esclusivamente per finanziare spese di investimento.

Il ricorso all’indebitamento solo per finanziare la spesa in conto capitale (cosiddetto golden rule) è stato sostenuto dalla teoria economica, sulla base della considerazione che l’uso del debito per finanziare spese correnti corrisponde ad una distruzione di capitale del Paese. Se in un certo periodo gli individui (siano essi i privati o lo Stato) consumano di più di quanto producono, essi, secondo la teoria economica, distruggono il valore del capitale. In altre parole, il ricorso all’indebitamento per finanziare il consumo corrente consentirebbe di utilizzare oggi il reddito che sarà prodotto in periodi futuri, con pregiudizio delle generazioni future. Solo se l’indebitamento è utilizzato per finanziare beni di investimento, l’effetto netto intertemporale sarà neutro.

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In passato erano state ammesse diverse deroghe al principio generale del ricorso all’indebitamento solo per il finanziamento di investimenti, soprattutto con riferimento alla accensione di nuovi mutui. L’articolo 202 del testo unico enti locali prevede che gli enti locali potevano ricorrere a mutui passivi per il finanziamento di alcuni debiti fuori bilancio141. Gli enti in stato di dissesto potevano contrarre mutui con la Cassa depositi e prestiti per ripianare i debiti pregressi, con la contribuzione statale sul relativo onere. Le Regioni sono state autorizzate a più riprese a contrarre mutui per il ripiano dei disavanzi sanitari e gli enti locali sono stati autorizzati a contrarli per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto pubblico locale.

La nuova formulazione del sesto comma dell’articolo 119 della Costituzione modifica sostanzialmente il quadro normativo, non consentendo la sussistenza delle deroghe descritte.

Ai fini dell’attuazione della richiamata disposizione costituzionale, la legge finanziaria per il 2003 (articolo 30, comma 15 della legge 289/2002) stabilisce che, qualora gli enti territoriali ricorrano al debito per finanziare spese diverse da quelle di investimento, i relativi atti e contratti sono da ritenersi nulli e le sezioni giurisdizionali della Corte dei conti possono irrogare agli amministratori che hanno assunto la relativa delibera la condanna ad una sanzione pecuniaria.

La legge finanziaria per il 2004142 interviene nuovamente sulla materia, ribadendo il vincolo dell’impiego nelle spese di investimento e, al fine di evitare ambiguità terminologiche di classificazione contabile, indica quali operazioni costituiscono indebitamento143 e quali costituiscono investimenti144.

141 In alcuni casi specifici previsti dall’articolo 194 del testo unico: per esempio, sentenze esecutive, procedure espropriative, alcune ricapitalizzazioni di società per l’esercizio di servizi pubblici locali.

142 Articolo 3, commi 16, 17 e 18 della legge 350/2003. 143 Costituiscono indebitamento: l’assunzione di mutui; l’emissione di prestiti

obbligazionari; le operazioni di cartolarizzazione, nel caso in cui non sussistano le caratteristiche individuate da Eurostat per classificarle come operazioni economiche.

144 Costituiscono investimento: acquisto, ristrutturazione, manutenzione straordinaria di beni immobili, residenziali e non; costruzione, demolizione, ristrutturazione, recupero e manutenzione straordinaria di opere e impianti; acquisto di impianti, macchinari, attrezzature tecnico-scientifiche, mezzi di trasporto e altri beni mobili ad utilizzo pluriennale; oneri per beni immateriali ad utilizzo pluriennale; acquisizione di aree, espropri, servitù onerose; partecipazioni azionarie e conferimenti

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Gli strumenti tradizionali di indebitamento

Gli strumenti tradizionali di indebitamento sono costituiti dalle accensioni di mutui passivi e le altre forme di ricorso al mercato finanziario consentite dalla legge.

La normativa prevede alcune condizioni specifiche affinché gli enti territoriali possano ricorrere all’indebitamento: oltre alla destinazione delle risorse al finanziamento di investimenti, la somma degli interessi annuali su mutui già contratti e sulle garanzie prestate non può superare il 25% delle entrate correnti, come risultanti dal rendiconto del penultimo esercizio per gli enti locali e dell’ammontare complessivo delle entrate tributarie non vincolate per le Regioni.

Si possono segnalare alcune perplessità riscontrate sulla significatività di tale limite. Le voci che compongono il rapporto, infatti, sono soggette ad una estrema dipendenza da fattori esterni non controllabili dagli amministratori locali. Ad esempio, la composizione delle entrate correnti varia in funzione del livello dei trasferimenti dallo Stato, aspetto particolarmente significativo per gli enti di piccole dimensioni; diverse modalità di gestione dei servizi pubblici si riflettono in modo determinante sui bilancio degli enti locali, risultando le relative entrate derivanti dai proventi classificate all’interno o all’esterno del parametro di riferimento; la combinazione tra peso dei mutui indicizzati e variazione dei tassi di interesse determina impatti variabili sul limite dell’indebitamento.

La crescente autonomia tributaria amplia in modo notevole, a parità di vincolo, il volume di mutui che può essere attivato. Ma soprattutto il livello dei tassi di interesse influisce sul volume attivabile di nuovo indebitamento, indipendentemente dalle prospettive future sull’andamento dei tassi di interesse; ad esempio, in periodi in cui i tassi di interesse sono bassi, il volume di mutui attivabile nel rispetto del

di capitale; trasferimenti in conto capitale a favore di enti appartenenti alla pubblica amministrazione, destinati alla realizzazione di investimenti; trasferimenti in conto capitale a favore di concessionari di lavori pubblici, di proprietari o gestori di impianti funzionali alla erogazione di servizi pubblici, le cui concessioni prevedono la retrocessione degli investimenti alla scadenza; interventi contenuti in programmi urbanistici attuativi, dichiarati di preminente interesse regionale, aventi finalità pubblica, volti al recupero e alla valorizzazione del territorio.

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limite del 25% risulta elevato, con il rischio di portare ad un superamento del limite qualora si manifesti un innalzamento dei tassi.

I mutui passivi. L’accensione di mutui rappresenta storicamente una delle maggiori fonti di finanziamento degli investimenti, configurandosi come un mezzo che fornisce la copertura di un fabbisogno finanziario concentrato in un esercizio, consentendone il rimborso in un periodo prolungato di tempo.

La Cassa depositi e prestiti rappresenta il canale di reperimento delle risorse più noto a tutta la pubblica amministrazione italiana. La Cassa fu istituita nel 1850 e nel 1928 le venne riconosciuta la possibilità di destinare anche i fondi raccolti attraverso i buoni postali al finanziamento delle spese di investimento di Comuni e Province. Dal 1999, la Cassa non è più vincolata a reperire risorse dal sistema postale per il finanziamento delle proprie funzioni e può utilizzare fondi provenienti da operazioni di indebitamento. La Cassa ha inoltre la facoltà di investire le proprie risorse in titoli, obbligazioni o altri strumenti finanziari emessi dai soggetti da essa finanziabili. In tal modo, gli impieghi attuali vanno oltre i classici finanziamenti concessi agli enti locali ai sensi della normativa che disciplina la concessione e l’erogazione di mutui, ma si può avere anche la sottoscrizione di emissioni obbligazionarie effettuate da enti territoriali (Bor, Bop, Boc).

Fino al 1990 la Cassa depositi e prestiti aveva il monopolio nella erogazione dei finanziamenti agli enti locali. Prima di tale data, gli enti che avessero voluto accendere un mutuo avevano l’obbligo di inoltrare la richiesta alla Cassa che, qualora non avesse avuto disponibilità, concedeva loro l’autorizzazione per rivolgersi ad un istituto di credito.

Dagli anni ’90 il ricorso al mercato del credito è stato completamente liberalizzato, affiancando al classico ricorso alla Cassa depositi e prestiti anche l’accesso al credito gestito dagli istituti del sistema bancario.

A partire dal 1999145, i mutui contratti con banche e non assistiti da contributi statali in conto interessi non sono compresi nel regime di tesoreria unica. Il mutuo entra quindi nelle casse del tesoriere dell’ente, riducendo in tal modo il costo dell’operazione poiché sulle somme non utilizzate maturano gli interessi.

Le emissioni obbligazionarie. L’emissione di titoli obbligazionari si è affermata negli anni più recenti come strumento finanziario alternativo

145 Articolo 31, comma 34, della legge 448/1998.

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alla accensione di mutui e rappresenta ormai una espressione significativa del sistema di finanza autonoma degli enti territoriali.

Le emissioni obbligazionarie degli enti territoriali non costituiscono un’innovazione in senso assoluto. Già negli anni ’20, in Italia, si ebbero le prime emissioni obbligazionarie in valuta estera ad opera di alcune grandi città italiane. L’utilizzo di tale forma di finanziamento rimase peraltro marginale fino a scomparire negli anni ’70, in seguito alla grave crisi della finanza locale e alla più stringente normativa ad essa connessa.

Soltanto nel 1994 si giunse ad una regolamentazione delle emissioni obbligazionarie per gli enti territoriali, consentendo a Regioni, Province, Comuni, unioni di Comuni, consorzi tra enti locali, città metropolitane, Comunità montane, ad emettere obbligazioni146.

Il trattamento fiscale delle cedole rende convenienti per gli enti territoriali le emissioni obbligazionarie rispetto alla contrazione di mutui. I premi e gli altri frutti corrisposti ai possessori di titoli sono soggetti ad una ritenuta di interessi del 12,5% e il 50% del gettito di tale imposta rimane di competenza degli enti emittenti147.

Sulla base delle elaborazioni pubblicate da Dexia Crediop (dati BackOnline dell’agenzia Kler’s), dalla prima emissione del giugno 1996 a tutto il 2002 sono state effettuate 659 emissioni domestiche ed internazionali per un importo di quasi 16 miliardi di euro. Di queste 537 sono state effettuate ad opera di Comuni e Comunità montane (per un ammontare complessivo di 3,5 miliardi di euro), 82 da parte di Province (per un ammontare di 0,7 miliardi di euro) e 40 da Regioni (per un ammontare complessivo di 11,8 miliardi di euro).

L’ammontare in circolazione di titoli obbligazionari degli enti territoriali supera, all’inizio del 2003, i 14 miliardi di euro, di cui più di 11 miliardi relativi ad emissioni internazionali. Dell’ammontare complessivo, oltre 12 miliardi corrispondono ad emittenti dotate di rating, principalmente posizionati sulle classi di rating più elevate.

Tra il 1996 e il 2002 il volume annuo delle emissioni complessive da parte degli enti territoriali è cresciuto molto rapidamente, passando da 246 milioni di euro a 5.502 milioni di euro nel 2002.

146 Articoli 35 e 37 della legge 724/1994. 147 Articolo 1 comma 2, del d.lgs. 239/1996, come modificato dall’articolo 27,

comma 1 della legge 342/2000.

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Più specificamente, con riferimento alle emissioni effettuate dai Comuni, si registra una fase di crescita molto sostenuta tra il 1997 e il 1999, sia in termini di numero di emissioni che di volumi. Nel periodo successivo, il numero delle emissioni mostra una crescita continua, mentre si osserva una lieve riduzione dei volumi emessi nel 2000, per poi riprendere nel 2001 e 2002.

Con riferimento alle emissioni effettuate dalle Province, gli andamenti del numero e del volume delle emissioni mostrano una tendenza meno definita, in cui fasi di crescita (1998 e 2001; 2002) si alternato a fasi di riduzione (1999 e 2000). Tali andamenti risentono del numero limitato di emissioni e dalla frazione residuale del volume di emissioni operato dalle Province.

Con riferimento alle Regioni, infine, le indicazioni della Dexia Crediop indicano che il numero delle emissioni è in costante crescita nel periodo di riferimento, con l’eccezione del 2001. Le emissioni regionali sono di numero più limitato rispetto a quelle comunali, ma riguardano volumi abbastanza significativi, sia in termini medi che aggregati.

Il rimborso bullet. La legge finanziaria 2002 introduce una novità rilevante nell’universo delle operazioni di indebitamento effettuabili dalle autonomie territoriali148. Fino a tale data, la normativa, nello stabilire le modalità di rimborso dei mutui e dei prestiti obbligazionari, imponeva sin dalla prima rata la corresponsione degli interessi ed il rimborso di una quota capitale, per evitare di rinviare alle future gestioni l’onere del rimborso dell’intero capitale.

L’articolo richiamato prevede la possibilità di scegliere il sistema di ammortamento di tipo bullet: secondo tale metodo, nel corso del periodo di ammortamento, viene effettuata la restituzione delle sole rate di interessi, mentre il rimborso del capitale avviene in un’unica soluzione alla scadenza. Tale opzione è consentita a condizione che sia costituito un fondo ammortamento per il debito, non soggetto al regime di tesoreria unica, o previa conclusione di swap per l’ammortamento del debito.

Il decreto di attuazione previsto dal medesimo articolo 41149 introduce una limitazione alle attività speculative per il fondo ammortamento, nel timore che l’utilizzazione delle risorse accantonate in strumenti rischiosi

148 Articolo 41 della legge 448/2001. 149 Articolo 2 del decreto del ministero dell’Economia 1 dicembre 2003, n. 389.

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possa compromettere il rimborso della quota capitale alla fine del periodo. A tal fine, viene precisato che i contratti di swap o l’ammortamento bullet possono essere conclusi solo con intermediari aventi un adeguato merito di credito, come risultante dalla certificazione di agenzie di rating riconosciute a livello internazionale. Il decreto stabilisce, inoltre, che le somme accantonate potranno essere investite esclusivamente in titoli obbligazionari di enti e amministrazioni pubbliche nonché di società a partecipazione pubblica di Stati appartenenti all’Unione europea.

Le operazioni sullo stock di debito

I limiti posti all’espansione dell’indebitamento e la favorevole congiuntura dei mercati finanziari, caratterizzata da tassi bassi, hanno spostato l’attenzione degli enti territoriali verso nuove forme di gestione attiva dello stock di debito esistente (liability management), politiche che si affiancano alla normale attività di acquisizione di nuovo debito. Tale gestione attiva del debito parte dal presupposto che l’ammontare di debito da restituire non è una variabile immodificabile delle proprie attività, ma operazioni e politiche di ristrutturazione del debito possono ottimizzare i costi e massimizzare il volume delle entrate.

Molti enti territoriali hanno deciso di procedere ad un allungamento delle scadenze di mutui e prestiti obbligazionari, alla rimodulazione dei piani di ammortamento con il rinvio nel tempo della restituzione di quote di capitale. In crescita è anche il ricorso a nuovi strumenti finanziari derivati che consentono di ridurre il costo del debito (come ad esempio, le operazioni di swap che possono ridurre il pagamento degli oneri per interessi sui prestiti a tassi fissi) o migliorare il passivo150.

Le operazioni di ristrutturazione, così come quelle sui derivati, spesso peraltro effettuate in modo contestuale, producono risparmi nei primi anni per trasferire maggiori oneri in un tempo futuro. Oneri futuri certi nel caso delle rimodulazioni; oneri che dipendono dalla variazione dei

150 Con riferimento all’espressione “finanza derivata”, occorre segnalare una

ambiguità semantica del termine, che viene usato per indicare sia un sistema di finanziamento agli enti territoriali caratterizzato da trasferimenti gestiti dal livello centrale (contrapposto ad un sistema caratterizzato da una autonomia tributaria degli enti territoriali), sia l’insieme di strumenti finanziari il cui rendimento è collegato ad altre attività (cfr. definizione nel paragrafo 4.2).

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tassi nel caso delle operazioni derivate, accollando l’amministrazione del rischio di un eventuale rialzo dei tassi di interesse.

La dimensione quantitativa del ricorso a strumenti di finanza derivata è difficilmente catturabile, non esistendo ad oggi fonti disponibili per la misurazione del fenomeno.

La rinegoziazione o l’estinzione anticipata dei mutui: La rinegoziazione ha l’obiettivo di ridurre i tassi concordati al momento della stipula, prevedendo un nuovo piano di ammortamento che allunga i termini di scadenza per la restituzione del capitale, mentre l’estinzione anticipata ha l’obiettivo di chiudere il rapporto finanziario, versando il capitale residuo (cui di solito viene aggiunta una certa penalità).

La normativa centrale promuove la rinegoziazione dei mutui da parte delle autonomie in presenza di condizioni di rifinanziamento che consentano una riduzione del valore finanziario delle passività151.

Gli strumenti finanziari derivati. I derivati sono strumenti finanziari il cui valore è determinato (“derivato”, appunto) da quello di altri parametri relativi ad attività finanziarie scambiate sul mercato, parametri di Borsa o ricavati dal mercato finanziario. Si tratta di strumenti complessi, i cui rendimenti dipendono dalla dinamica di indicatori o titoli sottostanti, finalizzati alla gestione della variabilità dei tassi di interesse o di cambio, fornendo coperture contro il rischio di cambio, il rischio di interessi sulla speculazione, vendita di opzioni per incassare contanti in cambio di una esposizione futura ai rischi di mercato.

Si tratta di operazioni fuori bilancio cui si ricorre, nell’ambito delle politiche di gestione del debito, per una ridefinizione, in fase successiva al lancio di un titolo, delle condizioni finanziarie del debito. In alcuni casi, l’uso di tali strumenti è legato al fatto che gli enti territoriali preferiscono emettere bond con strutture molto semplici, affinché risultino appetibili per il mercato152 per poi procedere in un secondo momento ad adattare, attraverso l’uso di prodotti derivati, l’emissione alle proprie esigenze.

151 In tal senso, l’articolo 41 della legge 448/2001, per il mutui contratti

successivamente al 31 dicembre 1996. 152 Ad esempio, scelgono come parametro di riferimento per l’emissione l’Euribor a

6 mesi, facilmente individuabile dagli investitori, e utilizzano il sistema di rimborso bullet, gradito ai mercati.

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Tra i prodotti derivati, i più rilevanti per la finanza locale sono gli swap, generalmente su tassi di interesse153. Lo swap è uno strumento finanziario, in cui due controparti si impegnano a scambiarsi flussi monetari in entrata o in uscita e a compiere l’operazione inversa a una data futura predeterminata.

Le operazioni effettuate dalle autonomie territoriali riguardano principalmente lo swap sui tassi di interesse, al fine della copertura del rischio sugli interessi154. La normativa prevede, altresì, che in caso di operazioni di indebitamento effettuate in valute diverse dall’euro è obbligatorio prevedere la copertura del rischio di cambio mediante swap di valute.

Lo swap sui tassi di interesse (Irs) è una operazione finanziaria caratterizzata dallo scambio tra due controvalori di flussi di interessi calcolati su un capitale nozionale di riferimento in base a criteri differenziati (ad esempio, una controparte corrisponde un flusso a tasso fisso, l’altra a tasso variabile), per un periodo di tempo predefinito, pari alla durata del contratto stesso. Il capitale convenzionale di riferimento, peraltro, non viene mai scambiato tra le parti contraenti.

L’Irs è una operazione finanziaria che permette di trasformare le caratteristiche dell’indebitamento dell’ente territoriale, per esempio da una operazione di mutuo a tasso fisso, ad un impegno indicizzato a tasso variabile. Tale operazione può risultare conveniente se, fatta un’analisi dei costi per interessi che vengono pagati sui mutui o sulle obbligazioni in essere, si ritiene che sul debito residuo verrà pagato un tasso più elevato rispetto alle condizioni del mercato finanziario.

Il contratto di swap risulta però essere un contratto aleatorio in quanto si basa su una previsione sull’andamento futuro dei tassi e un movimento in salita dei tassi aumenta gli oneri per interessi negli anni futuri. Per tale motivo, sottostante ad un contratto di swap deve però esserci una valutazione attendibile circa l’andamento dei tassi che il mercato si aspetta, date le attuali condizioni (tasso forward).

153 Non esiste una norma specifica che disciplina le operazioni di swap, ma ad esse

fanno riferimento l’articolo 41 della legge 448/2001 (finanziaria 2002) e il relativo regolamento per l’utilizzo degli strumenti derivati da parte degli enti territoriali.

154 Vi sono varie tipologie di swap, inquadrabili, in base all’oggetto (sugli interessi, sulle valute, sulle merci e sugli indici di mercati) e in base allo scopo del contratto (di tipo speculativo e di copertura del rischio).

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Gli esercizi più recenti hanno visto una crescita significativa del ricorso a tali strumenti da parte delle autonomie territoriali, tale da suggerire l’adozione di una regolamentazione specifica da parte del Ministero dell’economia155. In particolare vengono indicate la tipologia di operazioni che gli enti territoriali possono operare156, che devono essere effettuate nella forma più semplice e priva di qualsiasi opzionalità. In relazione alle operazioni derivate dirette a ristrutturare le passività esistenti, la viene esclusa la possibilità di traslare il peso finanziario delle esposizioni in essere sugli esercizi futuri. Viene, infine, prevista l’istituzione di una banca dati che consenta di monitorare le operazioni di indebitamento delle autonomie.

Data la tecnicità degli strumenti, il ricorso alle forme derivate richiede, nelle amministrazioni interessate, uffici specializzati in grado di affrontare, con le controparti istituzionali, banche e società finanziarie, valutazioni complesse sulla convenienza e accettabilità del rischio.

In tal senso risulta il progetto del ministero della Funzione pubblica (con il Formez e l’Upi) sulla governance finanziaria, le cui capofila sono le Province di Milano e di Napoli. Il piano punta creare modelli validi nei settori della finanza, dei controlli e delle strategie territoriali, da proporre alle amministrazioni, soprattutto al fine della formazione di manager.

Il coordinamento della finanza pubblica

Le considerazioni svolte nei precedenti paragrafi evidenziano alcune caratteristiche delle politiche di indebitamento delle autonomie territoriali che richiedono una specifica attenzione, soprattutto con riferimento al tema del coordinamento della finanza pubblica.

L’analisi di tale aspetto risulta particolarmente rilevante alla luce del quadro costituzionale vigente in seguito alla modifica attuata dalla legge 3/2001. Si ricorda, al riguardo, che la materia del coordinamento della finanza pubblica risulta elencata tra le materie di legislazione concorrente delle Regioni (articolo 117, comma terzo, Costituzione) e

155 Decreto del ministero dell’Economia 1 dicembre 2003, n. 389; circolare

interpretativa del regolamento, emanata il 27 maggio 2004. 156 Swap di tasso di interesse; acquisto di cap di tasso di interesse; acquisto di collar

di tasso di interesse; acquisto di forward rate agreement.

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che comunque la potestà legislativa delle Regioni (analogamente a quella dello Stato) è esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (tra cui anche naturalmente i trattati di Maastricht e di Amsterdam). L’articolo 119, secondo comma, Costituzione inoltre, nel regolare i rapporti finanziari tra livelli di governo, stabilisce che le autonomie territoriali abbiano risorse autonome e stabiliscano tributi, nel rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica.

Indicatore della rilevanza della materia risulta il ricorso, presentato da alcune Regioni aventi la Corte Costituzionale, sull’articolo 41 della finanziaria 2002: si confronti la sentenza n. 376/2003157. La Corte ha

157 La sentenza n. 376/2003. La sentenza 376/2003 decide nel senso della non fondatezza sui ricorsi presentati

dalle Regioni Marche, Toscana, Campania, Emilia Romagna ed Umbria contro l’articolo 41 della legge finanziaria per il 2002 (legge 448/2001). Gli argomenti portati dalle Regioni a sostegno del ricorso:

- la regolazione dell’accesso al mercato dei capitali da parte degli enti territoriali è una materia residuale in quanto non è compresa né nella lista delle competenze esclusive dello Stato, né in quella delle competenze concorrenti. Il coordinamento dell’Economia sarebbe quindi lesivo della competenza legislativa riconosciuta alle Regioni;

- anche qualora si voglia comprendere l’aspetto dell’accesso ai mercati finanziari nell’ambito della competenza concorrente “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario” (articolo 117, terzo comma), l’articolo 41 sarebbe lesivo delle competenze regionali in quanto recherebbe una disciplina stringente e prescrittiva, anche introducendo un coordinamento operativo del ministero sugli enti territoriali e un controllo sui dati finanziari;

- nel nuovo ordinamento costituzionale non sarebbe più ammessa la funzione di indirizzo e coordinamento in via amministrativa; volendola ritenere ammissibile nella materia di coordinamento della finanza pubblica, sarebbe illegittima la previsione del suo esercizio da parte di un singolo ministro;

- l’articolo 41 viola il principio di leale collaborazione, stabilendo vincoli all’attività che non sarebbero in linea con le alternative di scelta coerenti con tale autonomia. La norma finirebbe per affidare allo Stato un forte potere di controllo ed incidenza sulle scelte che spettano agli enti territoriali;

- la disposizione attribuisce di fatto una norma in bianco anche laddove individua la possibilità per il ministero dell’Economia di emanare norme relative all’ammortamento del debito e di utilizzazione degli strumenti derivati da parte degli enti territoriali.

La Corte Costituzionale dichiara la questione infondata poiché: - la disciplina delle condizioni e dei limiti dell’accesso degli enti territoriali al

mercato dei capitali rientra nell’ambito del “coordinamento della finanza pubblica” assegnato alla potestà legislativa concorrente;

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deciso nel senso della non fondatezza, ma rimane certamente aperta la questione su quale sia il “coordinamento della finanza pubblica” che il livello centrale può attivare nel rispetto della autonomia finanziaria costituzionalmente tutelata degli enti territoriali.

Appare utile segnalare che il contenuto di tale “coordinamento” si potrebbe configurare diversamente a seconda dell’ente cui si riferisce, potendo assumere una rilevanza diversa a seconda che si tratti delle Regioni o degli altri enti locali.

Politiche di indebitamento e vincoli finanziari

Due aspetti principali devono essere analizzati quanto si esaminano le politiche di indebitamento degli enti territoriali in relazione ai vincoli imposti dal Patto di stabilità e crescita: gli effetti sul debito delle amministrazioni pubbliche e gli effetti sul disavanzo (o indebitamento netto).

Gli effetti sul debito delle amministrazioni pubbliche. L’attivazione di nuovo debito da parte degli enti territoriali, con l’accensione di nuovi mutui, l’emissione di titoli obbligazionari, influenza il volume complessivo del debito delle pubbliche amministrazioni.

L’uso degli strumenti finanziari derivati non modifica in genere il volume di debito complessivo.

- il coordinamento finanziario può richiedere anche l’esercizio di poteri di ordine

amministrativo, di regolazione tecnica, di rilevazione di dati e di controllo. Il carattere “finalistico” dell’azione di coordinamento consente poteri puntuali, affinché la finalità di coordinamento possa essere concretamente realizzata;

- i poteri centrali sono anche connessi con la competenza statale in materia di “tutela del risparmio e mercati finanziari” (articolo 117, secondo comma, lettere e));

- la previsione della comunicazione periodica dei dati non contrasta con i parametri costituzionali, poiché si tratta di un coordinamento meramente informativo.

La Corte aggiunge peraltro che: - tale azione deve comunque essere esercitata nell’ambito del rispetto delle sfere di

autonomia, rispetto a cui l’azione del governo non può eccedere i limiti; - il potere di coordinamento deve avvenire con modalità idonee a consentire di

“contenere il costo dell’indebitamento e di monitorare gli andamenti di finanza pubblica”, in armonia con i vincoli e gli indirizzi concernenti la finanza pubblica allargata, escludendosi che il ministero possa incidere sulle scelte autonome degli enti quanto alla provvista o all’impiego delle loro risorse, se nel rispetto;

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Il rapporto debito/pil è uno dei parametri prescelti dalle regole comunitarie, anche se ad oggi non assume la valenza del parametro dell’indebitamento netto, cioè del saldo del conto economico.

Gli effetti sull’indebitamento netto. Un rilievo significativo assumono le politiche di indebitamento degli enti territoriali ai fini del calcolo dell’indebitamento netto, poiché il crescente ricorso ai mercati finanziari e agli strumenti di finanza derivata potrebbe introdurre elementi di rischio ai fini del raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica. In particolare, tali politiche possono produrre effetti in termini di spesa per interessi e di maggiore spesa in conto capitale.

Con riferimento al primo aspetto, l’attivazione di crescenti volumi di indebitamento comporta un connesso aumento della spesa per interessi. Qualora tale indebitamento sia effettuato a tassi variabili, un eventuale rialzo dei tassi di interesse provocherebbe un corrispondente aumento della quota interessi corrisposta su mutui o obbligazioni. Analogamente, nel caso di ricorso ad alcuni tipi di strumenti di finanza derivata, un incremento rilevante dei tassi di interesse, comporterebbe un maggiore onere per interessi. Poiché gli interessi rientrano nel calcolo dell’indebitamento netto nel caso di procedure di disavanzi eccessivi, gli enti territoriali sarebbero forzati a comprimere altre spese (o aumentare le entrate) in forma compensativa rispetto all’aumento della quota interessi, al fine di mantenere l’obiettivo di disavanzo concordato. Qualora, peraltro, non avessero lo spazio in bilancio per tali aggiustamenti, l’aumento della spesa per interessi si trasferirebbe sull’aggregato della pubblica amministrazione.

Con riferimento al secondo aspetto, l’indebitamento degli enti territoriali è consentito solo per finanziare spesa per investimenti. Tale spesa è inclusa nel calcolo dell’indebitamento netto rilevante ai fini di Maastricht, mentre le entrate derivanti dalle operazioni di indebitamento (esempio mutui o emissioni obbligazionarie), in quanto partite finanziarie, non vengono considerate nel computo. Ne deriva che volumi di spesa per investimenti finanziata con debito superiori a quanto incorporato nelle valutazioni programmatiche per la pubblica amministrazione provocano un peggioramento del saldo calcolato ai fini di Maastricht.

Poiché l’obiettivo di disavanzo richiesto dal patto di stabilità interno non include la spesa in conto capitale, la scelta relativa al volume di spesa finanziata con debito è ad oggi lasciata alla totale discrezionalità

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delle autonomie territoriali. È evidente la necessità di introdurre strumenti di coordinamento della finanza pubblica, con specifico riferimento alla spesa in conto capitale, al fine di garantire il rispetto del patto di stabilità e crescita.

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