Federalismo, concorrenza e Titolo V della Costituzione...

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Formez Federalismo, concorrenza e Titolo V della Costituzione Risultati e proposte da una ricerca sul campo Tomo I – Sviluppo economico

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Formez

Federalismo, concorrenza e Titolo V della Costituzione Risultati e proposte da una ricerca sul campo

Tomo I – Sviluppo economico

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INDICE Presentazione.................................................................................................................................3 Finalità e oggetto della ricerca ..................................................................................................4

Parte I Federalismo e concorrenza: problemi generali e rimedi per la legislazione italiana, di Marco D’Alberti ..........................................................................................................5

1 Il lento avvio del diritto della concorrenza in Italia. La sua influenza nei confronti delle imprese e dei regolatori ........................................................................................................................... 5

2 Il nuovo titolo V della Costituzione. Il principio e le regole di concorrenza al livello comunitario e internazionale e i limiti per la legislazione statale e regionale................................ 7

3 Segue. L’espansione della regolazione economica delle Regioni e la “tutela della concorrenza” affidata in via esclusiva al legislatore statale .......................................................... 10

4 Criteri generali e particolari per rivedere la regolazione economica, statale e regionale, in senso pro-concorrenziale............................................................................................... 14

5 Conclusioni .............................................................................................................................................. 23

Parte II La disciplina dell’energia e delle telecomunicazioni, di Rino Caiazzo .............................27

1 Le norme costituzionali in materia di servizi a rete, con particolare riferimento ai settori dell’energia (energia elettrica e gas) e delle telecomunicazioni ..................................... 27

2 Cenni in prospettiva comparata sulle norme costituzionali e sui principi legislativi nazionali nei settori dell’energia e delle telecomunicazioni........................................................... 29

3 La normativa comunitaria: le recenti direttive in materia di elettricità, gas e comunicazioni elettroniche................................................................................................................... 30

4 La legislazione italiana dei settori in esame ....................................................................................... 38 5 La legislazione regionale in Lombardia, Toscana, Lazio, Campania, Sicilia, Puglia e

Sardegna .................................................................................................................................................. 56 6 Le misure per la liberalizzazione del mercato dell’energia contemplate nel nuovo

pacchetto “Bersani”......................................................................................................................... 63 7 Gli interventi necessari od opportuni sulla regolazione statale e regionale nelle

materie in esame, per informarla ai principi della concorrenza: conclusioni e raccomandazioni.................................................................................................................................... 65

Parte III La disciplina del commercio, dei trasporti e del turismo diMaria De Benedetto..............71

1 Premessa ................................................................................................................................................... 71 2 Il commercio ............................................................................................................................................ 73 3 I trasporti.................................................................................................................................................... 87 4 Il turismo...................................................................................................................................................105 5 Le novità introdotte dalla legge 4 agosto 2006, n. 248..................................................................117 6 Gli interventi necessari od opportuni sulla regolazione statale e regionale nelle

materie in esame per informarle ai principi della concorrenza: raccomandazioni.................120

Parte IV Quadro sintetico dei criteri e delle raccomandazioni per rendere la legislazione economica italiana più conforme alla libera concorrenza .............................................123

Allegati Schede di settore (a cura di Hannelore Rocchio) ..............................................................127

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Presentazione di Giuseppe Pennella, Responsabile Ricerca & Sviluppo Formez Nei due tomi sono esposti i risultati di due indagini svolte dal Formez sugli effetti dell’attuazione del Titolo V della Costituzione in alcuni settori dello sviluppo economico e del welfare locale. L’obiettivo è stato quello di individuare, in alcune aree di questi due settori, il punto d’equilibrio, il trade off tra federalismo-decentramento e concorrenza-mercato e tra sussidiarietà verticale e orizzontale. Gli studi e le ricerche realizzate dal Formez, in attuazione di una convenzione con il Dipartimento della Funzione Pubblica (Empowerment), sono stati, in più occasioni, presentati e commentati con il sistema delle amministrazioni regionali e locali nonché con il mondo delle imprese e delle istituzioni preposte alla promozione della concorrenza e alla regolazione dei mercati. Il “pendolo” simbolo della nostra ricerca, relativa pubblicazione e del seminario oscilla completamente sia sull’asse verticale del federalismo-decentramento che su quello delle ascisse della concorrenza-mercato nella consapevolezza che si tratta di equilibri instabili che, reciprocamente, si condizionanano sia nell’esercizio delle funzioni in materia dello sviluppo economico che del welfare. Per la promozione della concorrenza ed applicazioni ad alcune aree dello sviluppo economico sono stati affrontati i seguenti temi:

• Federalismo e concorrenza: problemi generali e rimedi per la legislazione italiana • Concorrenza e servizi a rete: energia, telecomunicazioni e trasporti • Disciplina proconcorrenziale del commercio e del turismo • Legislazione comunitaria nazionale in materia di concorrenza • Settore farmaceutico, grande distribuzione, distruzione dei carburanti, servizi

pubblici locali. Per il welfare e promozione dei mercati del lavoro locali sono stati elaborati i sottoelencati documenti di studio:

• Integrazione europea e governance delle politiche sociali • Evoluzione delle strutture del welfare sociale italiano • Modelli di regolamentazione economico-finanziario dei servizi socio-sanitari • Emersione del lavoro sommerso in campo sociale • Struttura dell’offerta e costi dei servizi di cura per gli anziani • Politiche regolative regionali • Effetti sui mercati del lavoro regionale • Ruolo giustiziale della Corte Costituzionale tra i livelli di governo

Nelle due ricerche, oltre alle analisi, proposte ed indicazioni di merito su come migliorare, perfezionare e sviluppare policies amministrative utili alle amministrazioni centrali, regionali e alle autonomie locali è indicato come pervenire ad un giusto equilibrio nell’attuazione di due principi costituzionali: il decentramento e la concorrenza.

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Finalità e oggetto della ricerca

Lo scopo principale della presente ricerca consiste nel formulare proposte concrete

di revisione della legislazione economica italiana - statale e regionale - per renderla più conforme al principio e alle regole di libera concorrenza, che hanno ricevuto maggiore riconoscimento a seguito della riforma del titolo V, parte II, della Costituzione italiana (legge costituzionale n. 3/2001).

A tal fine, la ricerca è articolata nel seguente modo. La parte I (di Marco D’Alberti) ha carattere generale. Ricostruisce sinteticamente la

genesi della disciplina della concorrenza in Italia e i suoi stretti legami con le norme comunitarie. Sottolinea i due profili del diritto della concorrenza: l’aspetto tipico, e più noto, consistente nell’influenza delle regole antitrust sul comportamento delle imprese nei mercati; l’aspetto meno conosciuto, e sviluppatosi più di recente, che si concreta nell’impatto del principio e delle regole di concorrenza sulla legislazione e sulla regolazione pubblica dei mercati. Si sofferma sull’importanza delle innovazioni introdotte in materia di concorrenza dalla menzionata riforma costituzionale del 2001. Ne mette in luce gli effetti sulla legislazione economica dello Stato e delle Regioni, che è tenuta a rispettare il principio e le regole di libera concorrenza, quali risultano dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Dà conto delle maggiori criticità della legislazione italiana in materia economica: sottolinea, in particolare, le contraddizioni del legislatore statale, che alterna scelte di liberalizzazione e di neo-protezionismo; ed evidenzia i limiti della legislazione regionale, in termini di particolarismo, localismo e chiusura dei mercati. Individua criteri generali e particolari per rivedere in senso pro-concorrenziale la legislazione statale e regionale: tiene conto, in proposito, degli esiti delle parti II e III.

Le parti II e III si occupano di settori particolari di legislazione. La parte II (di Rino Caiazzo) tratta dei settori dell’energia (elettricità e gas) e delle

telecomunicazioni. Ricostruisce il quadro delle norme costituzionali dedicate a tali settori. Effettua una sintetica analisi comparata delle legislazioni di settore in vari Paesi europei. Esamina analiticamente la legislazione italiana, statale e regionale. Dà conto delle proposte avanzate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato per rimuovere le distorsioni arrecate dalla legislazione alla concorrenza e al corretto funzionamento del mercato. Raccomanda rimedi ulteriori per rendere le normative - statali e regionali - più conformi al principio e alle regole di concorrenza.

La parte III (di Maria De Benedetto) è dedicata all’esame dei settori del trasporto, del turismo e del commercio. Nella trattazione segue un percorso esattamente simmetrico a quello proprio della parte II.

La parte IV offre un quadro sintetico dei criteri e dei rimedi per rendere la legislazione economica italiana più conforme al principio e alle regole di libera concorrenza.

La ricerca è corredata, nei suoi allegati, da schede esplicative (a cura di Hannelore Rocchio) che evidenziano e descrivono la struttura di mercato e la normativa concernenti tutte le materie trattate nel lavoro.

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Parte I Marco D’Alberti

FEDERALISMO E CONCORRENZA: PROBLEMI GENERALI E RIMEDI PER LA LEGISLAZIONE ITALIANA

INDICE 1. Il lento avvio del diritto della concorrenza in Italia. La sua influenza nei confronti

delle imprese e dei regolatori 2. Il nuovo titolo V della Costituzione. Il principio e le regole di concorrenza al

livello comunitario e internazionale e i limiti per la legislazione statale e regionale 3. Segue. L’espansione della regolazione economica delle Regioni e la “tutela della

concorrenza” affidata in via esclusiva al legislatore statale 4. Criteri generali e particolari per rivedere la regolazione economica, statale e

regionale, in senso pro-concorrenziale 5. Conclusioni

1. Il lento avvio del diritto della concorrenza in Italia. Le norme sulla concorrenza contenute nel Trattato di Roma del 1957, che vietano

le intese restrittive fra imprese e gli abusi di posizione dominante, non hanno avuto una forte influenza in Italia per almeno trent’anni1. Cartelli e monopoli, ampiamente presenti in un Paese a lungo abituato a interventi pubblici dirigisti e protezionisti, hanno continuato a prosperare. Il diritto della concorrenza era oggetto di grande attenzione da parte degli autori più moderni di diritto commerciale, come Tullio Ascarelli, ma non penetrava ancora nella legislazione e nella giurisprudenza, ad eccezione delle sentenze dei giudici ordinari che applicavano le norme del codice civile sulla concorrenza sleale.

Gli equilibri hanno cominciato a mutare dalla seconda metà degli anni Ottanta del XX secolo, quando la Corte costituzionale ha accettato definitivamente il primato del diritto comunitario sul diritto interno e quando in Europa si sono sviluppate con forza le politiche di liberalizzazione in vari settori, dal credito alle telecomunicazioni ad altri servizi di pubblica utilità. In tale contesto è nata la legge n. 287 del 1990, che detta la disciplina generale della concorrenza al livello nazionale.

La legge ricalca sostanzialmente le norme degli articoli 85 e 86 del Trattato (ora 81 e 82 CE) sul divieto di intese restrittive e di abusi di posizione dominante, e riprende i criteri del Regolamento comunitario n. 4064 del 1989 sulle concentrazioni tra imprese, vietando le operazioni di fusione o di acquisizione di controllo che comportino la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato nazionale in modo da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza (articoli 2 – 6).

Si tratta di norme che contengono clausole molto ampie. Sono vietate in via generale le intese che, per oggetto o per effetto, siano idonee a restringere o falsare in

1 Sulla normativa comunitaria in materia di concorrenza si vedano, fra l’altro: D.J. GERBER, Law and Competition in Twentieth Centiry Europe, Oxford, University Press, 2001; I. VAN BAEL e J.F. BELLIS, Competition Law of the European Community, The Hague, Kluwer Law International, 2005.

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maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale (art.2): la norma indica specifiche ipotesi di intese restrittive - che includono, fra l’altro, i cartelli di prezzo e di ripartizione dei mercati, e le pratiche limitative degli accessi al mercato, della produzione o del progresso tecnologico - ma è un elenco che ha valore esclusivamente esemplificativo e non esaurisce l’ambito delle possibili intese vietate. Analogamente, vi è un divieto generale di abusare di una posizione dominante all’interno del mercato nazionale (art. 3): anche qui, la norma elenca in modo solo esemplificativo alcune figure particolari di abuso - fra le quali gli abusi diretti a imporre condizioni ingiustificatamente gravose, o volti a discriminare o ad escludere i concorrenti dal mercato - lasciando aperta la possibilità di censurare altri tipi di comportamenti abusivi. Allo stesso modo, sono vietate in via generale le concentrazioni idonee a costituire o rafforzare una posizione dominante con effetti limitativi della concorrenza (art. 6).

La legge nazionale non si limita a riprendere soltanto il testo delle regole comunitarie sulla concorrenza. Ne recupera in pieno anche lo “spirito”, disponendo che le norme italiane su intese, abusi e concentrazioni si interpretano in base ai principi dell’ordinamento comunitario in materia di disciplina della concorrenza (art. 1.4): in tal modo, tutta la giurisprudenza elaborata dalla Corte di giustizia di Lussemburgo è venuta a sorreggere l’applicazione del diritto interno.

L’ambito coperto dalle norme è molto vasto. La legge si applica a tutte le imprese, private e pubbliche, e a tutti i settori economici, senza esenzioni. L’unica eccezione è costituita dall’art. 8.2, che esclude l’applicazione delle regole di concorrenza alle imprese che esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio, a condizione che si tratti di ciò che è strettamente connesso all’adempimento degli specifici compiti affidati a tali imprese. L’eccezione riprende quella prevista dall’art. 90 del Trattato (ora 86 CE): come tutte le norme eccezionali è soggetta a stretta interpretazione.

Viene istituita l’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Le norme riconoscono ad essa una particolare indipendenza nei confronti del governo. Le nomine del Presidente e dei quattro componenti del collegio di vertice dell’Autorità sono affidate alla decisione congiunta dei Presidenti di Camera e Senato e sfuggono del tutto all’influenza del potere esecutivo; il mandato è lungo (sette anni) e non rinnovabile; vi è piena incompatibilità con uffici pubblici e attività private (art. 10).

L’Autorità ha poteri decisionali riguardo a tutte e tre le infrazioni anticoncorrenziali: intese restrittive, abusi di posizione dominante e concentrazioni che ostacolano la concorrenza (Capo II e Capo III della legge). In materia di intese e di abusi, ove ravvisi il comportamento vietato, l’Autorità fissa alle imprese il termine per eliminare le infrazioni e i loro effetti; nei casi di infrazioni gravi, come i cartelli di prezzo o di ripartizione dei mercati, può disporre una sanzione pecuniaria fino al dieci per cento del fatturato complessivo realizzato dalle imprese (art. 15). In materia di concentrazioni l’Autorità, ove accerti che l’operazione è suscettibile di costituire o rafforzare una posizione dominante sul mercato nazionale in modo da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza, vieta la concentrazione o l’autorizza prescrivendo le misure necessarie a impedire le conseguenze anticoncorrenziali (art. 6.2 e 18).

L’Autorità ha, inoltre, il potere di segnalare al Parlamento, al Governo e agli enti locali i casi in cui leggi, regolamenti o provvedimenti amministrativi generali determinano distorsioni della concorrenza o del corretto funzionamento del mercato; e può esprimere pareri sui progetti di legge o di regolamento e, più in generale, sui

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problemi riguardanti la concorrenza e il mercato (artt. 21 e 22). Si tratta, in sostanza, di poteri di raccomandazione, che riguardano le alterazioni del mercato causate non dalle imprese, ma da interventi pubblici di natura normativa o amministrativa2.

Ciò premesso, si deve sottolineare che la disciplina della concorrenza incide non soltanto sui comportamenti delle imprese, consentendo di accertare e di sanzionare le infrazioni da esse poste in essere nei confronti delle norme antitrust, ma può incidere anche sulle autorità pubbliche - parlamento, governo e amministrazioni - permettendo di mettere in campo rimedi nei confronti di misure normative o amministrative che alterano gli equilibri di mercato e la concorrenza. Ciò è consentito non solo dai poteri di segnalazione dell’Autorità antitrust, di cui s’è detto, che indicano ai regolatori pubblici le vie per eliminare le distorsioni provocate alla concorrenza e al corretto funzionamento del mercato da misure normative e amministrative, ma anche da altri strumenti, sui quali si tornerà più analiticamente nel seguito del lavoro3.

Si può qui anticipare che le misure normative e amministrative nazionali in contrasto con le regole comunitarie di concorrenza aventi efficacia diretta nel nostro ordinamento possono e debbono essere disapplicate dai giudici e dalle amministrazioni pubbliche nazionali. Inoltre, le misure nazionali contrastanti con le regole comunitarie di concorrenza, pur non dotate di efficacia diretta, possono essere oggetto delle procedure di infrazione previste dal Trattato CE. Ancora, le norme primarie nazionali, statali e regionali, incompatibili con la concorrenza, possono essere dichiarate incostituzionali; in particolare, le leggi regionali devono comunque rispettare la legislazione statale esclusiva in materia di “tutela della concorrenza”: ciò in base all’art. 117 cost., modificato dalla legge costituzionale n. 3/2001. Infine, le misure amministrative in contrasto con il principio e le regole di concorrenza possono essere oggetto di annullamento da parte dei giudici amministrativi.

L’incidenza della libera concorrenza sulle misure normative e amministrative, recentemente consolidatasi in tutti i Paesi dotati di una disciplina antitrust, costituisce il profilo centrale della presente analisi. 2. Il nuovo titolo V della Costituzione. Il principio e le regole di concorrenza al livello comunitario e internazionale e i limiti per la legislazione statale e regionale.

La riforma del titolo V della Costituzione italiana, varata con la legge costituzionale n. 3/2001, viene a conferire maggior rilievo al principio e alle regole di concorrenza e ne fa discendere limiti per la legislazione statale e regionale4.

Innanzitutto, l’art. 117, primo comma, Cost., specifica che la potestà legislativa dello Stato e delle Regioni si esercita nel rispetto della Costituzione e dei “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.

Sia le regole che il principio di libera concorrenza hanno preso pieno corpo nell’ordinamento comunitario. Le regole che vietano le intese restrittive della concorrenza e gli abusi di posizione dominante sono state dettate fin dalla prima 2 Sulla legislazione antitrust italiana si vedano: A. FRIGNANI, R. PARDOLESI, A. PATRONI GRIFFI e L.C. UBERTAZZI, Diritto antitrust italiano, Bologna, Zanichelli, 1993, 2 volumi; V. MANGINI e G. OLIVIERI, Diritto antitrust, Torino, Giappichelli, 2000; P. FATTORI e M. TODINO, La disciplina della concorrenza in Italia, Bologna, Il Mulino, 2004. 3 Sull’incidenza delle regole di concorrenza nei confronti dei poteri pubblici si veda M. D’ALBERTI, Libera concorrenza e diritto amministrativo, in “Rivista trimestrale di diritto pubblico”, 2004, p. 355 ss. 4 Si vedano in proposito: G. CORSO, La tutela della concorrenza come limite della potestà legislative (delle Regioni e dello Stato, in “Diritto pubblico”, 2002, p. 981 ss.; e M. D’ALBERTI, La tutela della concorrenza in un sistema a più livelli, in “Diritto amministrativo”, 2004, p. 705 ss.

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versione del Trattato di Roma (artt. 85 e 86, oggi 81 e 82 CE). Le norme sulle concentrazioni fra imprese sono intervenute nel 1989 (regolamento CEE n. 4064/1989, modificato più volte fino al regolamento CE n. 139/2004). Le fattispecie previste da tutte queste regole hanno trovato compiuta applicazione nella giurisprudenza dei giudici comunitari.

Più in generale, si è progressivamente enucleato un principio giuridico di libera concorrenza, ora previsto chiaramente nell’art. 4, n. 1, CE, in cui si stabilisce che la politica economica della Comunità europea e degli Stati membri deve conformarsi al “principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza”. Tale principio si pone come canone generale del mercato libero, in virtù del quale sono garantite tendenzialmente eguali chances alle imprese che, avendone adeguata capacità, intendano entrare in un certo mercato o continuare ad operare in esso. Il canone generale trova sostegno nelle singole regole che si sono dianzi elencate.

La disciplina internazionale dell’economia accoglie in misura sempre più ampia non solo la garanzia del libero scambio di beni e servizi, ma anche alcune regole di concorrenza. E’ il caso del diritto del commercio internazionale. Gli accordi stipulati in sede di Organizzazione mondiale del commercio (“OMC”) si ispirano alla liberalizzazione degli scambi di beni e servizi e al rispetto di norme pro-concorrenziali. Ad esempio, il GATS (General Agreement on Trade in Services) impone agli Stati membri dell’OMC di non adottare domestic regulations restrittive del free trade e di assicurare che le loro imprese fornitrici di servizi non commettano abusi di posizione dominante5. Più in generale, le Conferenze governative dell’OMC da alcuni anni tentano di riconoscere spazio sempre più esteso al principio di concorrenza accanto a quello di libera circolazione.

Da tutto ciò risulta che, in base all’art. 117, comma 1, cost., letto assieme alle fonti comunitarie e internazionali, il rispetto delle regole e del principio di concorrenza dettati dal diritto comunitario e derivanti dagli obblighi internazionali può considerarsi vincolo per la legislazione sia statale che regionale e condizione della sua legittimità. Un vincolo esisteva anche prima, ma ora è più chiaro e non passa per il percorso tortuoso dell’art. 11 Cost.

E’ opportuno soffermarsi ora sui rimedi dati nei confronti di leggi, statali o regionali, che non osservino i vincoli comunitari e internazionali.

La Corte di giustizia delle Comunità europee e la Corte costituzionale hanno già chiarito, ben prima del nuovo titolo V, che possono e debbono essere disapplicate, dai giudici o dalle pubbliche amministrazioni, le norme interne contrastanti con le regole comunitarie aventi efficacia diretta nel nostro ordinamento6. In materia di concorrenza, certamente sono dotate di efficacia diretta le norme contenute negli artt. 81 e 82 del Trattato CE, che vietano intese restrittive e abusi di posizione dominante. Di recente, la Corte di giustizia di Lussemburgo ha precisato che le autorità nazionali di concorrenza possono e debbono disapplicare norme interne che impongono o facilitano intese o abusi di imprese: si trattava, nella specie, di norme statali italiane che avevano istituito

5 Sul GATS si veda M. Krajewsky, National Regulation and Trade Liberalization in Services. The Hague, Kluwer Law International, 2003. 6 Fra le varie pronunce v.: Corte giustizia CE, sentenza 9 marzo 1978, Causa 106/1977, Simmenthal, in Racc. 1978, p. 629; Corte giustizia CE, sentenza 22 giugno 1989, Causa 103/1988, Fratelli Costanzo, in Racc. 1989, p. 1839; Corte cost., sentenza 8 giugno 1984, n. 170; Corte cost., sentenza 11 luglio 1989, n. 389.

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un consorzio per la produzione dei fiammiferi, venendo a imporre o agevolare intese fra le imprese aderenti7.

Nei casi di contrasto fra norme statali o regionali, da un lato, e regole o principi comunitari privi di efficacia diretta, dall’altro, valgono le procedure comunitarie d’infrazione (artt. 226 e ss. Trattato CE) e il nuovo titolo V apre una porta più larga al sindacato di costituzionalità, poiché si tratta pur sempre di vincoli alla legislazione nazionale derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.

Per quel che riguarda il livello internazionale, gli accordi OMC producono obblighi nei confronti dei membri di quell’organizzazione: nel nostro caso, gli obblighi valgono sia per la Comunità europea sia per i singoli Stati che la compongono. Rispetto alla Comunità gli accordi non hanno efficacia diretta, mentre gli Stati membri potrebbero adottare soluzioni diverse8. Il rimedio previsto dalla disciplina del commercio internazionale in caso di mancato rispetto di quegli obblighi da parte degli Stati e delle loro domestic regulations consiste nel ricorso proposto dallo Stato che lamenta l’inadempimento dinanzi agli organismi di risoluzione delle controversie dell’OMC, i Panels in primo grado e l’Appellate Body in seconda istanza, con esiti che si possono concretare, fra l’altro, nell’adozione di sanzioni commerciali nei confronti dello Stato inadempiente.

Per quel che riguarda i riflessi degli accordi OMC sul nostro ordinamento, in virtù della norma di cui all’art. 117 Cost., primo comma, potrebbe ipotizzarsi un ricorso a censura di incostituzionalità formulata dall’impresa pregiudicata dall’inadempimento agli obblighi internazionali, con possibilità di annullamento, da parte della Corte costituzionale, della legge irrispettosa del vincolo: ad esempio, nel caso di legge che neghi ad un fornitore di servizi di un altro Stato il trattamento accordato ad analoghi fornitori di altri Paesi, in violazione della cosiddetta “clausola della nazione più favorita”.

Inoltre, le iniziative legislative e regolamentari nonché le leggi dello Stato e delle Regioni, i regolamenti e i provvedimenti amministrativi generali idonei a determinare “distorsioni della concorrenza o del corretto funzionamento del mercato che non siano giustificate da esigenze di interesse generale” possono essere oggetto dei menzionati pareri e segnalazioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che le invia al Parlamento, al Governo o alle pubbliche amministrazioni indicando i rimedi necessari per rimuovere le situazioni distorsive (artt. 21 e 22 della legge 287/1990). I pareri e le segnalazioni dell’Autorità garante hanno ricevuto maggiore ascolto nei casi in cui hanno sottolineato difformità delle iniziative legislative e della normazione vigente nei confronti di scelte comunitarie di liberalizzazione dei mercati. In particolare, Governo e Parlamento hanno modificato diversi progetti di legge considerati dall’Autorità distorsivi della concorrenza in materia di telecomunicazioni, energia, trasporti. Di recente, il decreto legge n. 223/2006, convertito in legge n. 248/2006, ha tradotto in norme numerosi pareri e segnalazioni dell’Autorità garante in varie materie, che vanno dai servizi professionali alla distribuzione commerciale, dal trasporto locale alle banche, dalle assicurazioni ai panifici. Sul punto si tornerà più avanti.

7 In tal senso: Corte Giust. CE, sentenza 9 settembre 2003, causa C-198/01, Consorzio industrie fiammiferi, in Racc. 2003, p. I-8055. 8 Si veda sul punto: Corte giust. CE, sentenza 14 dicembre 2000, Cause riunite C-300/98 e C-392/98, Parfums Christian Dior, in Racc., 200, p. I-11307.

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Infine, le misure amministrative che siano in contrasto con il principio o con le regole di concorrenza possono essere annullate dal giudice amministrativo: è quel che avviene, ad esempio, in materia di aggiudicazioni di contratti pubblici avvenute nel mancato rispetto della gara, o in materia di autorizzazioni conferite in modo da avvantaggiare le imprese incumbent in determinati settori, a danno delle imprese new comers9.

Si rafforza quel che si era anticipato a conclusione del precedente paragrafo. Le regole e il principio di libera concorrenza valgono innanzitutto per le imprese, vietando collusioni dirette a tenere i prezzi al di sopra del livello determinato dal libero scambio o a ripartire i mercati, abusi di posizione dominante che escludono i concorrenti o pregiudicano i consumatori, fusioni o acquisizioni di controllo che ostacolano in modo sostanziale la competizione economica. Al tempo stesso, quelle regole e quel principio, che si consolidano al livello comunitario e internazionale, divengono sempre più chiaramente “vincoli” anche per i regolatori statali e regionali: la loro osservanza è condizione di legittimità di tutta la regolazione economica nazionale. Il diritto dell’economia, nel suo insieme, ne è condizionato.

3. Segue. L’espansione della regolazione economica delle Regioni e la “tutela della concorrenza” affidata in via esclusiva al legislatore statale.

E’ nota la logica generale cui si ispira il nuovo titolo V. Esso ribalta il vecchio art. 117 Cost. ed enumera in modo tassativo le materie che spettano alla legislazione esclusiva dello Stato, fra le quali rientra la “tutela della concorrenza”, e le materie affidate alla legislazione concorrente di Stato e Regioni, per poi stabilire che tutto il resto appartiene alla potestà normativa residuale delle Regioni. Rispetto a quest’ultima non vi è posto per i principi fondamentali stabiliti con legge dello Stato, che valgono solo per le materie di legislazione concorrente.

Vanno qui individuate le materie di rilievo economico che, in via concorrente o residuale, spettano alla legislazione regionale. Il quadro è quello di un allargamento molto significativo delle funzioni di regolazione economica attribuite alle Regioni.

Vi è, da un lato, il rafforzamento della potestà regionale nell’ambito della legislazione concorrente, che marcia per due vie distinte. La prima è l’attribuzione alla legislazione concorrente di nuove materie che prima erano di esclusiva spettanza statale, come il commercio con l’estero, le professioni, la produzione il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia. La seconda via di rafforzamento della legislazione concorrente passa per l’ampliamento di materie che vi erano già ricomprese nel vecchio sistema: ad esempio, la tutela della salute era limitata all’assistenza sanitaria e ospedaliera; ora riguarda tutti gli aspetti della salute. Un altro esempio, i porti: nella competenza legislativa regionale - salvi i principi dettati dalla legge statale - erano prima ricompresi soltanto i porti lacuali; adesso tutti i porti rientrano nella legislazione concorrente Stato-Regioni.

Vi è poi l’altro aspetto dell’allargamento del ruolo delle autonomie regionali, che consiste nel conferimento di una potestà legislativa residuale alle Regioni, soluzione estranea al vecchio sistema. Anche qui ci sono due vie: la prima è il passaggio di alcune materie dalla legislazione regionale concorrente, secondo il vecchio articolo 117 Cost., alla competenza legislativa residuale delle Regioni. Si tratta, per esempio, di materie come il turismo, i lavori pubblici di interesse regionale, l’agricoltura, l’artigianato. La

9 Su quest’ultimo profilo si veda: Cons. Stato, sez. VI, decisione n. 336/2004.

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seconda via consiste nel passaggio dalla legislazione statale esclusiva alla legislazione regionale residuale: questo è il salto più ampio dal vecchio sistema al nuovo: l’industria e il commercio interno possono essere addotti come esempi di materie interessate da questo passaggio alle mani esclusive del legislatore regionale.

L’esito di tutto ciò è che materie economiche di primario rilievo sono oramai sempre più di spettanza regionale, in via concorrente o esclusiva. Il fatto che gran parte dell’industria e il commercio interno rientrino ormai nella potestà pressoché esclusiva delle Regioni costituisce una modificazione rilevante rispetto al sistema preesistente. Va considerato poi che, in base al nuovo testo costituzionale, vi è l’attribuzione di una potestà amministrativa generale ai Comuni, contenuta nell’art. 118 Cost.

E’ importante che la “democrazia subnazionale” - secondo un’espressione cara alla letteratura anglosassone - si rafforzi anche nel campo del diritto dell’economia. Ma non mancano i rischi. Infatti, la “regolazione economica decentrata”, cioè l’attribuzione a Stati membri di ordinamenti federali, a Regioni o ad enti locali, di funzioni regolatorie in settori economici così importanti come l’agricoltura, l’industria, il commercio, può creare rischi di particolarismo, di frammentazione, di neocorporatismo, di iper-regolazione, che si collegano al forte decentramento del potere.

Sulla consapevolezza di tali rischi si fonda la commerce clause della Costituzione statunitense, che affida alle competenze federali il commercio interstatale. A tale clausola la Corte suprema ha dato un’interpretazione larga a partire dal caso Gibbons v. Ogden del 182410, con qualche ripensamento fra la fine del XIX secolo e gli anni Trenta del Novecento, poi con la ripresa nel New Deal di una lettura molto ampia della norma: ne è risultato attribuito al Congresso federale il potere di regolare non soltanto il commercio interstatale in senso stretto, ma numerose altre attività, anche non economiche, purché producano un substantial economic effect nei rapporti fra Stati11.

Dunque, al giusto ossequio per la democrazia subnazionale, va affiancata la consapevolezza dei rischi che possono derivare dall’ampio affidamento di potestà regolatorie dell’economia a Stati membri di federazioni, a Regioni e ad enti locali.

Quali pericoli per la concorrenza, in particolare, possono derivare dalla “regolazione economica decentrata”? Prima e dopo il nuovo titolo V, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha segnalato numerose norme regionali e regolazioni locali restrittive o distorsive della concorrenza. Norme e regolazioni che hanno favorito forme di coordinamento anticompetitivo tra imprese, derivanti da consorzi o associazioni di varia natura12; o che hanno previsto limiti alla liberalizzazione del commercio stabilita al livello nazionale13; o che hanno determinato prezzi e tariffe, in diversi settori economici14; ovvero, che hanno circoscritto i canali di distribuzione della

10 Gibbons v. Ogden, 22 U.S. (9 Wheat.) 1 (1824). 11 Per la ricostruzione della giurisprudenza sulla commerce clause v. L.H. TRIBE, American Constitutional Law, Mineola, New York, The Foundation Press, 1978, p. 232 ss.; sulle pronunce più recenti della Corte suprema M. TUSHNET, The New Constitutional Order, Princeton, University Press, 2003, p. 38 ss. 12 V. AGCM, Segnalazione 22.6.200, AS 202, Norme per la tutela e la valorizzazione del bergamotto, in Boll. 25/2000. 13 AGCM, Segnalazione 25.2.1998, AS 124, Riforma della disciplina del commercio, in Boll. 7/1998; e AGCM, Segnalazione 1.7.2004, AS 281, Regolamentazione della Regione siciliana in materia di commercio, in Boll. 27/2004. 14 AGCM, Segnalazione 12.12.1996, AS 081, Attività di guida, interprete ed accompagnatore turistico, in Boll. 52/1996.

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stampa quotidiana e periodica15; ovvero, che hanno ristretto l’offerta del servizio di taxi nelle maggiori città16. Quali i rimedi possibili?

Innanzitutto, la legislazione regionale è soggetta, come si è visto, a limiti che sono comuni anche alla legislazione statale (art. 117 Cost., comma 1): quelli relativi ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali che, nella nostra materia, sono le regole e il principio di libera concorrenza. Il mancato rispetto di tali vincoli conduce, come si è detto, alla disapplicazione della norma interna, se il vincolo esterno ha efficacia diretta, o al giudizio di costituzionalità. Tra i limiti comuni rientrano anche i poteri consultivi e di segnalazione spettanti all’Autorità di concorrenza.

Valgono per la legislazione regionale, inoltre, i limiti e i contrappesi ulteriori affidati alla normazione statale: in particolare, la disciplina a “tutela della concorrenza”, materia-funzione attribuita allo Stato in via esclusiva (art. 117, comma 2, lett. e). Su quest’ultimo punto è necessario soffermarsi. Cosa può e deve fare il legislatore statale a “tutela della concorrenza”?

Innanzitutto, è chiaro che la Costituzione ha voluto affidare in via esclusiva al legislatore statale la disciplina antitrust, a garanzia della concorrenza. Si tratta delle norme che vietano le condotte anticompetitive delle imprese, come le intese restrittive, gli abusi di posizione dominante e le concentrazioni suscettibili di eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza; prevedono rimedi e sanzioni; individuano le autorità, amministrative e giurisdizionali, competenti a decidere in materia di concorrenza. Sono le norme attualmente dettate dalla legge 287 del 1990. Nell’emanazione della disciplina generale antitrust non emergono spazi per le potestà regionali.

Vi sono, poi, possibili intersezioni fra la competenza statale esclusiva a “tutela della concorrenza” e le competenze regionali. Si pensi alle legislazioni e alle regolazioni concernenti particolari settori economici, come il commercio, l’industria, l’agricoltura, alcuni servizi pubblici e privati. In tali materie le Regioni hanno amplissima potestà legislativa; al tempo stesso, sulle medesime materie incidono problemi di tutela della concorrenza. Ci si limita ad alcune esemplificazioni.

Nella disciplina di ogni settore economico, la previsione di subordinare l’attività d’impresa al rilascio di autorizzazioni largamente discrezionali e conferibili ad un numero limitato di operatori costituisce una forte barriera nei confronti dell’accesso delle imprese ai relativi mercati e comporta, dunque, una rilevante restrizione della concorrenza. Autorizzazioni basate su criteri obiettivati, idonei a ridurre la discrezionalità, e non connesse ad una limitazione quantitativa delle imprese ammesse ad operare, sono assai meno distorsive dell’accesso al mercato e della concorrenza.

Nella regolazione dei servizi professionali, la scelta di istituire un albo o un registro non sempre assicura la buona qualità delle prestazioni e può incidere negativamente sul livello di concorrenza.

Nella disciplina del commercio, il modo in cui si regola la gamma dei prodotti che possono essere offerti incide direttamente sulla concorrenza. Limitare i tipi di prodotti che gli esercizi commerciali possono distribuire, prevedendo numerose “tabelle merceologiche”, significa circoscrivere gli àmbiti in cui si esercita la concorrenza ed 15 AGCM, Segnalazione 17.4.2003, AS 259, Riordino del sistema di diffusione della stampa quotidiana e periodica, in Boll. 16-17/2003. 16 V. AGCM, Segnalazione 26.2.2004, AS 277, Distorsioni della concorrenza nel mercato del servizio taxi, in Boll. 9/2004.

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eliminare i possibili vantaggi per il consumatore derivanti dall’offerta congiunta. Ampliare le tipologie dei prodotti che gli esercizi commerciali possono distribuire, sopprimendo o riducendo al minimo le “tabelle”, consente di aumentare le possibilità di competizione e di massimizzare i benefici dei consumatori in termini di prezzi e di innovazione.

Nella disciplina dei servizi pubblici economici, l’esclusione o la limitazione di procedure di gara per l’affidamento della gestione preclude od ostacola il confronto fra diverse imprese aspiranti.

Come si ordina l’intreccio fra regolazione di settore, di ampia spettanza regionale, e tutela della concorrenza, per la quale lo Stato ha ricevuto l’investitura esclusiva?

La Corte costituzionale ci ha già fornito insegnamenti in diverse materie affidate in via esclusiva al legislatore statale: anzitutto, l’ambiente. La Corte ha precisato che in realtà l’ambiente non è una materia in senso proprio, ma è piuttosto una sorta di “valore trasversale”, in ordine al quale si manifestano competenze diverse, sia statali che regionali, concorrenti o residuali. Spetta comunque allo Stato la determinazione di standard di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale17.

Trasponendo il ragionamento nel campo della tutela della concorrenza, può ritenersi che la potestà legislativa esclusiva dello Stato non si esaurisca nella competenza a dettare la disciplina antitrust, ma si estenda alla determinazione di soglie di garanzia e promozione della concorrenza, alle quali le regolazioni regionali di settore devono adeguarsi18.

Riprendendo alcune delle precedenti esemplificazioni, è da ritenere che se la legge statale stabilisce un regime autorizzatorio che si basa su criteri obiettivati e prescinde dalla predeterminazione di un numero massimo di imprese ammesse ad operare in un certo ambito geografico, le leggi regionali non possano prevedere autorizzazioni discrezionali e quantitativamente limitate in relazione ad una corrispondente area territoriale. E può reputarsi che se la legge statale circoscrive le tabelle merceologiche degli esercizi commerciali, le Regioni non possano determinarne un numero maggiore. Inoltre, le norme regionali non possono derogare alle disposizioni di carattere generale dello Stato che “disciplinano le modalità di gestione e l’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica”, come quelle relative alle gare pubbliche per il conferimento dell’attività19.

Dalla norma costituzionale sulla “tutela della concorrenza”, dunque, la legge statale è chiamata a dettare in via esclusiva la disciplina antitrust e, in più, a fissare le soglie di garanzia della concorrenza nei diversi settori economici, ove la potestà legislativa regionale può ampiamente esplicarsi ma è tenuta al rispetto degli standard stabiliti dallo Stato. Quest’ultimo, del resto, ha la responsabilità, derivante dal diritto

17 V. le sentenze 26 luglio 2002, n. 407; 20 dicembre 2002, n. 536; 7 ottobre 2003, n. 307. 18 Una prima conferma in tal senso in Corte cost., sentenza 13 gennaio 2004, n. 14. Sostiene un’interpretazione ampia di “tutela della concorrenza”, affermando che “una parte della materia di competenza regionale viene integrata dal principio di concorrenza”, G. Corso, La tutela della concorrenza come limite della potestà legislativa (delle Regioni e dello Stato), in “Diritto pubblico”, 3/2002, p. 981 ss., già citato. Critica la sentenza 14/2004 e l’eccessiva dilatazione della materia “tutela della concorrenza” R. Caranta, La tutela della concorrenza, le competenze legislative e la difficile applicazione del Titolo V della Costituzione, www.forumcostituzionale.it; sul punto v. anche L. Cassetti, La Corte e le scelte di politica economica: la discutibile dilatazione dell’intervento statale a tutela della concorrenza, federalismi.it.. 19 Così Corte cost., sentenza 27 luglio 2004, n. 272.

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comunitario, di garantire che la politica economica nazionale - e dunque la legislazione nazionale, statale e regionale - sia “condotta conformemente” al “principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza”, come è previsto dall’art. 4, n. 1, CE.

E’ da stabilire se gli standard statali siano immodificabili da parte delle Regioni o costituiscano livelli minimi di garanzia che possono essere modificati da normazioni regionali in senso più favorevole alla concorrenza. Si può anche qui prendere a raffronto l’insegnamento della Corte costituzionale in materia di ambiente: sono ammissibili leggi regionali di maggior favore rispetto ai livelli di protezione stabiliti dalla legislazione dello Stato20. Le Regioni, dunque, non potrebbero far retrocedere i livelli di apertura e di concorrenza dei mercati che lo Stato ha stabilito; avrebbero semmai facoltà di migliorarli. Si vedrà in seguito, tuttavia, che vi sono limiti a questa facoltà.

In definitiva, al legislatore statale spetta, nei limiti dei vincoli comunitari e internazionali, dettare la disciplina antitrust e determinare gli standard generali del mercato libero, che condizionano le regolazioni regionali di specifici mercati e settori economici.

4. Criteri generali e particolari per rivedere la regolazione economica, statale e regionale, in senso pro-concorrenziale.

Già nei due paragrafi precedenti si sono evidenziate alcune distorsioni del mercato e della concorrenza che possono derivare da misure normative e amministrative, statali o regionali.

Si tratta ora di individuare criteri sistematici di revisione della regolazione economica, tenendo conto anche degli esiti delle analisi di settore dedicate all’energia, alle telecomunicazioni, ai trasporti, al turismo, al commercio (per le quali si fa rinvio alle parti II e III).

Occorre esaminare, anzitutto, quale sia l’incidenza della disciplina sopranazionale, nazionale e sub-nazionale nei diversi settori economici.

È da premettere, in proposito, che in tutti i settori economici vale il principio della libera concorrenza, stabilito dal Trattato Ce e sempre più presente nella disciplina internazionale dell’economia. In tutti i settori economici valgono altresì, senza eccezioni, le regole di concorrenza previste dal Trattato, là dove vieta le intese restrittive e gli abusi di posizione dominante (artt. 81 e 82). Poiché tali regole hanno efficacia diretta negli ordinamenti nazionali, la loro violazione da parte di misure statali o regionale rende queste ultime misure disapplicabili dalle autorità nazionali, amministrative e giurisdizionali. Una legge statale o regionale, ad esempio, non può imporre o facilitare né un’intesa restrittiva fra imprese, né un abuso di dominanza: previsioni di forme consortili o associative possono ricadere nel primo caso, come è accaduto nel citato caso CIF; previsioni di esclusive a favore di imprese in particolari mercati possono rientrare nel secondo caso.

Passando a considerare la normativa comunitaria derivata, essa ha diverso peso a seconda dei differenti settori economici. Il peso comunitario è massimo in un settore come quello delle telecomunicazioni, ove le direttive a favore della liberalizzazione e della concorrenza riguardano ormai tutti gli aspetti delle reti e dei servizi, secondo la logica che è stata denominata “full competition”. Il peso della normativa comunitaria è forte in settori quali l’energia elettrica e il gas, dove segmenti importanti delle rispettive

20 Così Corte cost., sentenza 26 luglio 2002, n. 407.

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filiere, come la produzione e la vendita, sono stati liberalizzati e aperti alla concorrenza; è forte anche nel settore del trasporto aereo, nel quale tariffe e diritti di imbarco e sbarco di passeggeri e merci sono stati liberalizzati; e nel settore delle ferrovie, dove le infrastrutture sono rimaste riservate, agli Stati o ai loro concessionari, ma i servizi di trasporto sono stati, almeno in parte, liberalizzati e aperti alla concorrenza. Meno intenso è l’impatto comunitario in un settore come quello dei servizi postali, che è stato oggetto di una liberalizzazione più parziale e cauta. Scarso, o nullo, è il peso comunitario nelle radiotelevisioni, nelle professioni, nel commercio interno, nel trasporto pubblico locale, nel turismo.

Le misure normative e amministrative nazionali, statali o regionali, subiscono dunque un eguale condizionamento, in tutti i settori, nei confronti del principio di concorrenza e delle regole contenute nel Trattato. Subiscono, invece, un condizionamento variabile, a seconda dei diversi settori economici, nei confronti della normativa comunitaria derivata.

Va poi considerato il riparto della potestà normativa fra Stato e Regioni, in base al titolo V, seconda parte, della Costituzione. Per quel che riguarda la legislazione economica, vi è stato - come si è visto - un largo decentramento a favore delle Regioni. Si è prevista la legislazione concorrente, che affida la normazione alle Regioni nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dallo Stato, in materie fondamentali: fra queste, l’ordinamento della comunicazione; la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia; le grandi reti di trasporto e di navigazione; le professioni; l’alimentazione; i porti e aeroporti civili (art. 117 Cost., comma 3). Vale, invece, la legislazione regionale residuale, o esclusiva, in materie quali: il commercio interno, il turismo, il trasporto pubblico locale, per limitarsi ai settori qui esaminati analiticamente (art. 117, comma 4).

Alla legislazione statale esclusiva, nella materia economica, spetta la disciplina di alcuni settori rilevanti, come la moneta, la tutela del risparmio e i mercati finanziari (ad esclusione delle casse di risparmio, delle casse rurali e delle aziende di credito a carattere regionale, che rientrano nella legislazione concorrente), il sistema valutario. Ha valore intersettoriale, invece, la legislazione esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale; in materia di pesi, misure e determinazione del tempo; e nella materia che qui più interessa, cioè la tutela della concorrenza (art. 117, comma 2).

Si può ora venire all’esame delle principali distorsioni anti-concorrenziali provocate dalla legislazione nei settori qui analizzati in dettaglio, e in altri settori ancora, e all’indicazione di criteri per rimediare.

a) Comunicazioni Si può iniziare dal settore delle comunicazioni, che comprende le

telecomunicazioni e le radiotelevisioni. a1) Telecomunicazioni Nelle telecomunicazioni vi è stata un’intensa liberalizzazione al livello

comunitario, che si è consolidata con le direttive del 2002. La legislazione italiana ha assicurato un’attuazione tempestiva delle direttive, pur con qualche limite, grazie al codice delle comunicazioni elettroniche, varato con decreto legislativo n. 259/2003. L’art. 117 Cost. ha incluso l’ordinamento della comunicazione fra le materie di

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legislazione concorrente. La potestà legislativa delle Regioni, sia pure nell’ambito dei principi fissati dalla legge statale, crea non pochi problemi. Nel settore in esame, infatti, le direttive comunitarie affidano l’intera disciplina di dettaglio alle autorità nazionali di regolazione; i mercati rilevanti sono, di regola, mercati di dimensione geografica nazionale; l’uniformità della disciplina è essenziale.

L’ambito che appare più appropriato per la normazione regionale è quello della localizzazione degli impianti e dell’attribuzione dei siti di trasmissione21, che, come tale, esula - almeno in parte - dalle esigenze di uniformità della disciplina, le quali trovano rispondenza nella pervasività della normativa comunitaria, nella legislazione statale e nella regolazione delle autorità nazionali. Localizzazione degli impianti e attribuzione dei siti di trasmissione, peraltro, implicano valutazioni relative al governo del territorio e alla tutela della salute, materie di legislazione concorrente.

La legge quadro dello Stato n. 36/2001, sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, che si applica ad impianti che possono comportare tali esposizioni, ha dettato gli standard di protezione dall’inquinamento elettromagnetico. Lo Stato fissa le soglie di esposizione. Le Regioni disciplinano l’uso del territorio ai fini della localizzazione degli impianti; non possono fissare soglie più basse rispetto a quelle statali, ma neanche più alte. Le soglie determinate dallo Stato, infatti, rappresentano il punto di equilibrio fra limite delle emissioni - a tutela della salute - e realizzazione degli impianti necessari allo sviluppo dei sistemi di telecomunicazione, che risponde a preminenti interessi nazionali di politica economica e di tutela della concorrenza, specialmente nella forma della competizione economica fra reti diverse22.

In definitiva, nel settore delle telecomunicazioni la normativa comunitaria, e la sua recezione con legge statale (il codice citato), sono sufficientemente evolute in senso pro-concorrenziale. La previsione costituzionale della legislazione concorrente è assolutamente da ripensare, stanti le esigenze di uniformità nazionale di cui si è parlato. Per ora, la legislazione regionale può legittimamente esercitarsi sulla localizzazione degli impianti, ma in limiti ben precisi e nell’ambito dei criteri statali che assicurano il bilanciamento tra valori attribuiti alla legislazione esclusiva dello Stato, come la tutela della concorrenza e l’ambiente, e valori affidati alla legislazione concorrente, come il governo del territorio e la tutela della salute.

a2) Radiotelevisioni L’altra parte rilevante delle comunicazioni è costituita dalle radiotelevisioni. Si

tratta di un settore in cui il diritto comunitario è penetrato essenzialmente per i profili disciplinati dalle menzionate direttive del 2002 sulle comunicazioni elettroniche. Tali direttive si applicano alle reti e ai servizi di comunicazione elettronica, cioè alle infrastrutture che consentono la trasmissione di segnali via cavo, via radio, via fibra ottica o mediante altri mezzi elettromagnetici, comprese le reti satellitari, le reti terrestri mobili e fisse, le reti per la diffusione dei programmi sonori e televisivi, e ai relativi servizi di trasmissione dei segnali, ad esclusione di quelli che forniscono i contenuti trasmessi23. Le direttive del 2002 si applicano, dunque, tanto alle telecomunicazioni quanto alle radiotelevisioni, ad esclusione dei contenuti dei programmi.

21 Si veda sul punto Corte cost., n. 324/2003. 22 Si veda Corte cost., n. 307/2003. 23 Si veda la direttiva quadro 2002/21/CE, artt. 1 e 2.

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Su ulteriori profili delle radiotelevisioni, la normativa comunitaria è rimasta in disparte, lasciando ampi margini agli Stati membri dell’Unione europea. La disciplina italiana è stata dettata, di recente, dalla cosiddetta legge Gasparri (n. 112/2004), poi refluita nel Testo unico della radiotelevisione (decreto legislativo n. 177/2005). Si tratta di una normativa che per molteplici profili produce distorsioni anticoncorrenziali. Fra l’altro, si può rammentare che il “tetto” imposto ai ricavi conseguibili dalle imprese di comunicazione è calcolato nella misura del venti per cento rispetto al “sistema integrato delle comunicazioni” (“SIC”), che include tutte le attività svolte da imprese che operano nei settori della stampa quotidiana e periodica, dell’editoria annuaristica ed elettronica, della radio e della televisione, del cinema, della pubblicità, delle iniziative di comunicazione di prodotti e servizi, delle sponsorizzazioni. Si tratta di un insieme assolutamente eterogeneo di beni e servizi, che non trova riscontri sul piano internazionale, e che, in sostanza, rende vano il “tetto” del venti per cento. Inoltre, le norme sulle frequenze consentono la prosecuzione dell’esercizio dell’attività radiotelevisiva a quegli operatori che hanno posto in essere quella che la Corte costituzionale ha definito “occupazione di fatto delle frequenze” (n. 466/2002), a scapito di quelle imprese che, pur in possesso della concessione a seguito di gara, non hanno potuto esercitare l’attività, non essendo stati immessi nell’uso delle risorse frequenziali24.

È significativo che il Consiglio di Stato abbia rinviato la legge Gasparri alla Corte di giustizia delle Comunità europee per sospetta violazione della libertà di espressione, garantita dall’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dei principi di libera prestazione dei servizi e di libera concorrenza, stabiliti dal Trattato CE, e delle direttive comunitarie sulle comunicazioni elettroniche25.

La legislazione concorrente vale anche in questo settore, riguardando “l’ordinamento della comunicazione” nel suo insieme. Le leggi regionali hanno un ambito di intervento simile a quello che si è visto parlando di telecomunicazioni e che riguarda essenzialmente le scelte di localizzazione degli impianti trasmissivi.

In definitiva, per quel che concerne le radiotelevisioni, il legislatore comunitario potrebbe assumere maggior coraggio, declinando più specificamente il principio e le regole di libera concorrenza anche in questo settore, come ha fatto in materia di telecomunicazioni. Del resto, la convergenza tecnologica, sempre più evidente fra radiotelevisioni e telecomunicazioni, dovrebbe costituire un incentivo al maggior coraggio. Una declinazione più precisa della concorrenza nelle radiotelevisioni sarebbe un buon supporto, peraltro, per un consolidamento del pluralismo informativo e culturale. Quel che va assolutamente e rapidamente modificato è il quadro della legislazione nazionale, recependo le indicazioni più volte fornite dall’Agcm e, ora, anche dal Consiglio di Stato: il SIC e gli attuali meccanismi di assegnazione e di esercizio delle frequenze vanno soppressi26.

b) Energia elettrica e gas Passando alla materia dell’energia elettrica e del gas, la normativa comunitaria,

come s’è detto, ha previsto una liberalizzazione graduale e progressiva, intervenendo su alcuni segmenti delle rispettive filiere. Restano ancora diversi nodi da sciogliere. La

24 Si veda sul punto Agcm, Segnalazione 19 dicembre 2002, Assetto del sistema radiotelevisivo e della Società RAI-Radiotelevisione italiana, AS 247, in Boll. n. 49/2002. 25 Si veda Cons. Stato, n. 3846/2005. 26 Si veda ora sul punto il disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri il 12 ottobre 2006.

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Commissione europea ha di recente indicato alcuni persistenti limiti all’apertura dei mercati in entrambi i settori energetici. Fra questi: la permanenza di alti livelli di concentrazione, non dissimili da quelli propri del periodo pre-liberalizzazione; il limitato accesso alle infrastrutture e la forte integrazione verticale delle imprese incumbent, fattori che ostacolano l’offerta da parte di nuovi entranti; l’insufficienza degli scambi transnazionali e, più in generale, il persistere di mercati nazionali non integrati fra loro; la scarsa trasparenza informativa; la fissazione dei prezzi fondata su meccanismi ancora poco «market based»27.

La legislazione italiana di attuazione è stata efficace ed è andata oltre le previsioni delle direttive, in senso pro-concorrenziale. Rimangono, tuttavia, alcuni limiti che riguardano, fra l’altro, la sottovalutazione, da parte della normativa, delle differenze di qualità fra gli impianti di generazione elettrica di cui dispone l’ENEL e quelli in dotazione agli altri operatori, il ruolo dell’Acquirente unico per le forniture di energia elettrica ai clienti vincolati, l’assenza di incentivi alla realizzazione di nuovi gasdotti.

L’art. 117 Cost., come si è anticipato, elenca fra le materie di legislazione concorrente la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia. Si pongono problemi analoghi a quelli esaminati nel settore delle comunicazioni. Vi sono evidenti interessi nazionali alla disciplina uniforme di grandi servizi a rete, il cui sviluppo equilibrato in tutto il Paese risponde a esigenze unitarie di politica industriale e di tutela della concorrenza, poiché la realizzazione di nuovi impianti e l’aumento di capacità produttiva rappresentano un fattore essenziale di concorrenzialità nel settore energetico. Le leggi regionali trovano il loro ambito più appropriato nelle scelte di localizzazione degli impianti, come si è visto anche nel settore delle comunicazioni: nell’energia emergono, però, problemi maggiori, legati al più consistente impatto delle infrastrutture sull’ambiente, che è materia di legislazione statale esclusiva.

Con la cosiddetta legge Marzano (n. 239/2004) il legislatore statale ha posto in essere un intervento normativo molto esteso e ha accentuato le competenze amministrative dello Stato: è lo Stato che detta i criteri generali per l’attuazione a livello territoriale della politica energetica nazionale. Le Regioni, dunque, sono chiamate a disciplinare la localizzazione degli impianti in armonia con le scelte di politica economica nazionale relative allo sviluppo dei settori energetici.

Per di più, va ribadito che la realizzazione di nuovi impianti e l’aumento della capacità produttiva costituiscono fattori fondamentali per la promozione e la tutela della concorrenza nel settore dell’energia: le leggi regionali non possono frenare ingiustificatamente lo sviluppo di questi fattori, venendo a incidere negativamente sulla materia concorrenziale, che è estranea alla potestà normativa delle Regioni. Sotto questo profilo, le analisi settoriali condotte nella parte II di questa ricerca e la scheda normativa sottolineano criticamente le iniziative regionali (come la proposta di legge del Lazio del 25 febbraio 2006) che rendono più rigide, rispetto alla normativa statale, le condizioni per il conferimento delle autorizzazioni per la realizzazione di nuovi elettrodotti.

Inoltre, la Commissione europea ha più volte ribadito la necessità di rafforzare l’apertura transnazionale dei mercati energetici, che risultano troppo chiusi negli ambiti nazionali28: la legislazione regionale non può pregiudicare l’integrazione dei mercati incidendo negativamente sui corridoi transnazionali.

27 Si veda: European Commission, Sector Inquiry on the Gas and Elecricity Markets, 16 February 2006. 28 Si veda, di recente, European Commission, Energy Sector Inquiry, Draft Preliminary Report of 16 February 2006.

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Infine, è chiaro che le leggi regionali non possono dettare discipline della liberalizzazione e della concorrenza peculiari rispetto alla disciplina statale, anche se apparentemente migliorative dei livelli di apertura dei mercati. È il caso della legge Toscana (n. 39/2005), segnalata nell’analisi di settore, che anticipa di un anno l’idoneità dei clienti elettrici nel territorio regionale, detta norme sui contratti elettrici fra produttori e clienti idonei, prospetta rimedi in caso di posizioni dominanti “nel mercato dell’energia elettrica e gas in ambito regionale”. La modifica dei tempi di idoneità dei clienti, cioè della liberalizzazione della domanda, in relazione al territorio regionale è suscettibile di alterare un complessivo equilibrio di apertura del mercato nazionale. I contratti elettrici necessitano di una disciplina uniforme. Le posizioni dominanti si devono individuare secondo i criteri antitrust (nazionali e sopranazionali) e si devono riferire a specifici mercati rilevanti: non esiste “un mercato dell’energia elettrica e gas in ambito regionale”, esistono diversi mercati dell’energia e del gas, quasi tutti di dimensione nazionale, su ciascuno dei quali va valutata l’eventuale sussistenza di posizioni dominanti, individuali o congiunte. Un aspetto, invece, sul quale legittimamente la legislazione regionale può modificare, migliorandole, le regole nazionali di liberalizzazione è quello della semplificazione delle procedure di gara o di autorizzazione.

In definitiva, nei settori dell’energia elettrica e del gas, è auspicabile una maggiore ambizione liberalizzatrice delle direttive, che contribuisca a sciogliere i nodi che la Commissione europea ha di recente sottolineato e che si sono prima rammentati.

La legislazione nazionale, che può definirsi avanzata in relazione all’attuale stato delle direttive comunitarie, necessiterebbe di alcuni miglioramenti: ad esempio, la cosiddetta legge Marzano (n. 239/2004), ha spostato troppo le competenze a vantaggio del Governo e a scapito dell’Autorità indipendente di settore (l’Aeeg); nel settore elettrico, in particolare, è da definire meglio il ruolo dell’Acquirente unico all’approssimarsi del termine finale che segnerà il definitivo superamento dei clienti vincolati, e sarebbe bene individuare misure adatte a potenziare quantità e qualità degli impianti a disposizione degli operatori alternativi all’incumbent.

La formula della legislazione concorrente prevista dall’art. 117 Cost. per la materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» è infelice e andrebbe modificata. La legislazione esclusiva dello Stato, per le ragioni che si sono esposte, sarebbe più fondata.

Le leggi regionali, stando all’attuale art. 117 Cost., dovrebbero limitarsi alla disciplina concernente la localizzazione degli impianti, sempre nell’ambito dei criteri generali di politica energetica fissati dallo Stato. Sono comunque da evitare misure regionali più limitative di quelle statali in materia di autorizzazioni a realizzare impianti. Vanno, altresì, evitati interventi regionali che pretendano di dettare discipline peculiari antitrust, ad esempio sulle posizioni dominanti, in ambito locale.

c) Commercio Sul piano sopranazionale, la materia del commercio è regolata per quel che

riguarda, essenzialmente, la libera circolazione delle merci e dei servizi a livello europeo (nelle rispettive norme del Trattato CE) e a livello planetario (negli accordi dell’Organizzazione mondiale del commercio, GATT e GATS del 1994). Il commercio interno è ampiamente lasciato dal diritto comunitario alla regolazione degli Stati membri dell’Unione.

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Le legislazioni nazionali presentano, nei vari Paesi europei, forti differenze: si va da normative più aperte alla liberalizzazione (come in Germania, Gran Bretagna, Olanda, Svezia) a normative ancora legate a forti chiusure (ad esempio, in Austria, o in Grecia).

La legge statale italiana (n. 114/1998), come si è anticipato, ha introdotto vari elementi di liberalizzazione: ha ridotto le barriere all’entrata, abolendo o semplificando le autorizzazioni all’apertura di esercizi; ha limitato a due le tabelle merceologiche (alimentare e non alimentare), consentendo agli operatori efficienti maggiori margini di offerta; ha soppresso il registro degli esercenti commerciali; ha anteposto la pianificazione urbanistica alla programmazione commerciale.

In base all’art. 117 Cost., il commercio interno è materia di legislazione regionale residuale. Non vi è spazio per la determinazione di principi fondamentali della materia da parte del legislatore statale. Restano fermi gli interventi a «tutela della concorrenza» attribuiti in via esclusiva alla legge dello Stato.

Le leggi regionali sul commercio si sono caratterizzate, finora, per ritardi e rinvii nell’attuazione della liberalizzazione nazionale, e per reintroduzione di vincoli che la legge statale menzionata aveva soppresso. Il quadro che ne emerge è molto preoccupante. Sono stati elaborati - come risulta dall’analisi di settore contenuta nella parte III di questa ricerca - indicatori della resistenza regionale alla liberalizzazione. La situazione concreta indica il «nanismo» degli operatori, la lenta e difficile penetrazione delle grandi strutture di vendita, i bassi livelli di qualità dei servizi.

L’analisi del settore ha evidenziato le principali disfunzioni delle leggi regionali e le distorsioni della concorrenza che esse provocano.

Alcune leggi regionali richiamano genericamente l’«utilità sociale» come limite alla liberalizzazione del commercio.

Si tratta di una clausola generale, adatta ad una Costituzione, non a leggi regionali che dovrebbero dettare la disciplina specifica del settore: o si precisa e si giustifica il tipo di esigenza locale che può limitare la liberalizzazione, o non si pongono limiti ulteriori rispetto a quel che prevede la legge dello Stato in nome della concorrenza e dell’apertura del mercato.

Sono riemerse le pianificazioni regionali del commercio; la liberalizzazione è consentita nei limiti della sostenibilità, dell’equilibrato sviluppo dell’offerta, della garanzia della pluralità delle insegne: tutto ciò ha consentito larga discrezionalità alle Regioni, basata, come ha sottolineato l’Autorità antitrust, su ipotetiche simulazioni della domanda e dell’offerta.

Diverse Regioni hanno reintrodotto contingentamenti e limiti all’apertura i nuovi punti vendita, soprattutto di medie e grandi dimensioni. Sono state abbassate le dimensioni degli esercizi di vicinato per i quali l’autorizzazione è stata soppressa dalla legge statale, riducendone la portata liberalizzatrice. Si è nuovamente elevato il numero delle tabelle merceologiche.

In definitiva, il settore del commercio è affetto da limiti concorrenziali gravi. Il recente decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, è intervenuto in questa materia. Ha

stabilito che le attività economiche di distribuzione commerciale, compresa la somministrazione di alimenti e bevande, devono svolgersi senza prescrizioni riguardanti - fra l’altro - l’iscrizione a registri abilitanti, il rispetto di distanze minime obbligatorie fra attività commerciali del medesimo tipo, le limitazioni quantitative all’assortimento merceologico offerto, il rispetto di limiti riferiti a quote di mercato predefinite a livello locale. Il decreto prevede l’abrogazione delle leggi e dei regolamenti statali che

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contengono simili prescrizioni limitative. Stabilisce che le Regioni e gli enti locali «adeguano» le proprie misure legislative e regolamentari alle nuove disposizioni.

È un importante passo avanti. Ma occorre andare oltre. Non tutte le distorsioni anticoncorrenziali provocate dalla legislazione regionale sono risolte. La clausola dell’«adeguamento» utilizzata in relazione alle misure regionali e locali appare troppo debole.

La cosiddetta direttiva comunitaria «Bolkestein» per la liberalizzazione europea nel settore dei servizi, ora riproposta in nuova versione dalla Commissione europea, prevede misure importanti di deregolazione e di semplificazione che si applicano anche alla distribuzione commerciale. Si tratta della soppressione o attenuazione dei limiti che in ciascuno Stato ostacolano lo scambio transnazionale di servizi, come le autorizzazioni, le approvazioni ed altro. Stato, Regioni e Comuni potrebbero utilmente mettere in campo simili interventi da subito, senza attendere la definitiva approvazione della nuova proposta di direttiva.

d) Trasporti Il diritto comunitario regola alcuni settori che rientrano nell’ambito dei trasporti

pubblici. È così, ad esempio, per il trasporto aereo e per il trasporto ferroviario. Nel primo, vi è stata un’estesa e progressiva liberalizzazione, che ha riguardato - fra l’altro - le tariffe e i diritti di imbarco e di sbarco dei passeggeri e delle merci in ambito europeo. Nel settore ferroviario, le infrastrutture di rete sono rimaste riservate agli Stati, mentre i servizi di trasporto sono stati - in parte - liberalizzati e aperti alla concorrenza.

Nel trasporto pubblico locale, settore che più si collega al decentramento regionale e locale, l’Unione europea lascia larghi margini di scelta agli Stati membri per la regolazione dei servizi urbani, extraurbani e regionali.

Le leggi nazionali si presentano molto diverse fra loro. Vi sono Paesi che hanno liberalizzato ampiamente, come la Gran Bretagna, o parzialmente, come la Germania. E Paesi che conservano normazioni assai restrittive, come l’Austria, il Belgio, la Francia, la Grecia. Ovunque, numerosi limiti incidono sui trasporti urbani e locali. Minori limiti, in genere, riguardano i trasporti regionali e interregionali.

La legislazione statale italiana - con i decreti legislativi n. 422/1997 e n. 400/1999 - ha trasferito numerose competenze alle Regioni, specialmente in materia di finanziamento e programmazione dei servizi di trasporto; ha stabilito la separazione tra funzioni di regolazione e programmazione, da un lato, e funzioni di gestione, dall’altro; ha introdotto elementi di concorrenza per il mercato, prevedendo la gara pubblica come regola di affidamento dei servizi alle imprese.

In base all’art. 117 Cost., la materia del trasporto pubblico locale è da considerarsi affidata alla legislazione regionale residuale. Resta salva la legislazione statale esclusiva in materia di «tutela della concorrenza» e, trattandosi di servizi al pubblico, in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.

La legislazione regionale è suscettibile di provocare molteplici distorsioni anticoncorrenziali.

In diversi casi, le leggi regionali prevedono le cosiddette «clausole sociali», in virtù delle quali l’impresa che subentra nella gestione del servizio deve assicurare il mantenimento delle condizioni lavorative garantite dalla precedente impresa. Simili clausole attenuano profondamente la concorrenza per il mercato che dovrebbe collegarsi all’espletamento della gara per l’individuazione dell’impresa chiamata a gestire il

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servizio, alla quale sono preclusi margini importanti di scelte per l’efficienza. Sarebbe necessario modulare queste «clausole sociali», rendendole più flessibili e, soprattutto, diverse a seconda delle circostanze concrete: la legge regionale dovrebbe dettare criteri alle amministrazioni locali aggiudicatici, lasciando a queste ultime la definizione adeguata delle clausole nei bandi di gara.

In altri casi, le leggi regionali prevedono periodi transitori che restano immuni dalle gare, pur previste dalla legislazione statale. Quanto alla disciplina delle gare, in taluni casi le leggi regionali dicono poco e lasciano ampi spazi alle amministrazioni locali: i bandi confezionati da queste ultime sono spesso restrittivi della concorrenza, talora omettendo di regolare il contratto di servizio con le imprese, talaltra prevedendo corrispettivi non appetibili per lo svolgimento del servizio, o non risolvendo i conflitti d’interesse fra soggetto aggiudicatore e impresa aspirante. In altri casi, le restrizioni sono direttamente riconducibili al contenuto delle norme regionali: ad esempio, quando la legge regionale definisce in modo rigido i bacini d’utenza, la cui individuazione andrebbe lasciata alle offerte formulate dalle imprese aspiranti, dalle quali potrebbero trarsi informazioni utili, ad esempio, sulla ottimale ripartizione delle tratte fra più gestori.

In definitiva, nel trasporto pubblico locale i maggiori problemi vengono dalle leggi regionali. Le «clausole sociali», come si è visto, andrebbero rese meno rigide. I periodi di sospensione delle gare sono ingiustificati sul piano concorrenziale. Le leggi regionali dovrebbero vietare qualunque forma di conflitto d’interesse fra stazione appaltante e imprese aspiranti e dovrebbero dettare alle amministrazioni locali criteri adeguati sulle regole di gara, seguendo le raccomandazioni più volte formulate dall’Autorità antitrust in materia di appalti pubblici.

e) Turismo L’Unione europea non ha adottato una politica comune in materia di turismo. La

normativa comunitaria si limita a disciplinare alcuni aspetti particolari del settore, come le guide turistiche. Larga autonomia è lasciata alle decisioni degli Stati membri dell’Unione.

In Italia, la materia del turismo è da considerare affidata alla legislazione regionale residuale, nei limiti delle disposizioni statali a «tutela della concorrenza» (art. 117 Cost.).

Le leggi regionali presentano numerosi limiti sul piano della concorrenza, puntualmente segnalati dall’Autorità antitrust. Vi sono previsioni di autorizzazioni contingentate per l’apertura di agenzie di viaggio; fissazioni di livelli tariffari per le guide e gli accompagnatori turistici; determinazioni di periodi minimi di alloggio presso strutture extra-alberghiere, a scapito di queste ultime nei confronti degli alberghi e, comunque, a danno dei consumatori; previsioni di albi per operatori turistici. Sono limiti che vanno rimossi, per iniziativa delle stesse Regioni, o del legislatore statale, in nome della «tutela della concorrenza», che gli compete in via esclusiva.

f) Altre materie Oltre ai settori sopra esaminati - che sono stati oggetto di analisi specifica nella

presente ricerca - vi sono molte altre materie nelle quali si rendono necessari interventi urgenti per rimuovere distorsioni anticoncorrenziali causate da leggi statali o regionali.

Il già menzionato decreto legge n. 223/2006 è intervenuto in diversi ambiti. Fra l’altro, ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari - statali - che per le

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professioni libere prevedono la fissazione di tariffe fisse o minime, il divieto di pubblicità, il divieto di servizi professionali interdisciplinari. Ha abrogato, come si è anticipato, alcune disposizioni statali restrittive della concorrenza in materia di distribuzione commerciale, prevedendo l’adeguamento da parte di Regioni ed enti locali. Ha semplificato l’apertura di nuovi panifici. Ha consentito la vendita dei farmaci da banco e non soggetti a prescrizione medica presso i supermercati ed altri esercizi di distribuzione moderna, con determinate modalità e con libertà di sconto. Ha previsto la facoltà dei Comuni di bandire pubblici concorsi per l’assegnazione di licenze per servizio taxi eccedenti la vigente programmazione numerica. Ha vietato, a pena di nullità, clausole contrattuali di distribuzione esclusiva e di imposizione di prezzi minimi o di sconti massimi in materia di polizze di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile auto. Ha stabilito garanzie per i consumatori in materia di contratti bancari.

Sono progressi importanti. Occorre proseguire. Vi sono ulteriori aspetti da approfondire nelle materie riguardate dal decreto. Ad esempio, la Commissione europea ha sottolineato, per quanto concerne il settore bancario, le distorsioni esistenti nella fornitura di prodotti e di servizi finanziari ai consumatori individuali e alle piccole e medie imprese; in materia di assicurazioni, la stessa Commissione ha evidenziato i rischi di restrizioni anticoncorrenziali derivanti da forme di cooperazione e di coordinamento fra compagnie assicuratrici nell’offerta di polizze alla clientela business29.

Vi sono, inoltre, ulteriori materie nelle quali saranno necessari interventi sulla regolazione in senso pro-concorrenziale. Ad esempio, nei settori dei porti, degli aeroporti, delle autostrade e dei servizi pubblici locali si richiedono profonde modifiche di leggi statali e regionali che sono fortemente restrittive della concorrenza.

5. Conclusioni. In poco più di un secolo, dallo Sherman Act statunitense del 1890 ad oggi, la

disciplina della concorrenza si è sviluppata in tutti i continenti. L’Europa comunitaria ha progressivamente rafforzato e modernizzato le sue

regole di libera concorrenza, dal Trattato di Roma del 1957 ai recenti regolamenti su intese, abusi e concentrazioni.

Accanto al profilo tradizionale delle regole antitrust – quello della loro incidenza sui comportamenti delle imprese al fine di vietare e sanzionare i cartelli, i tentativi di monopolizzazione, le fusioni e le acquisizioni di controllo suscettibili di limitare il gioco concorrenziale – si è sviluppato un altro aspetto rilevante: l’influenza della disciplina di concorrenza sulla legislazione e sulla regolazione economica.

Le regole che riguardano i vari settori dell’economia – dalle comunicazioni all’energia, dai trasporti al commercio, dai servizi bancari alle assicurazioni, dall’agro-alimentare al turismo – devono rispettare il principio e le regole di concorrenza.

Il primato della concorrenza sulla regolazione economica è sancito dal Trattato CE, secondo cui la politica economica e l’azione della Comunità europea e degli Stati membri si conformano al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza (art. 4, par. 1).

29 Si vedano, rispettivamente: Commission Decision of 13 June 2005, Initiating an Inquiry into the Retail Banking Sector; Commission Decision of 13 June 2005, Initiating an Inquiry into the Business Insurance Sector.

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La Costituzione italiana – a seguito della riforma del titolo V varata nel 2001 – stabilisce che le leggi dello Stato e delle Regioni devono rispettare i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario (art. 117, comma 1, Cost.): certamente, il vincolo costituito dal principio e dalle regole di concorrenza. La Costituzione, inoltre, affida alla legislazione esclusiva dello Stato la “tutela della concorrenza”, che può costituire un limite per la legislazione regionale, sia concorrente che residuale.

L’affermazione del primato della concorrenza sulla legislazione e sulla regolazione economica non significa che tutti i problemi siano risolti. Permangono, anzi, disposizioni statuali e regionali che producono distorsioni e restrizioni anticoncorrenziali.

Questa ricerca ha individuato le principali distorsioni in diversi settori e ha evidenziato una serie di rimedi concreti, che sono esposti nelle tre parti iniziali e vengono sintetizzati nella parte IV, che contiene il quadro sintetico finale dei criteri e delle raccomandazioni.

Il decreto legge n. 223/2006, come si è visto, è già intervenuto in alcuni settori, con misure che si sono evidenziate. Occorre andare avanti. In quegli stessi settori toccati dal decreto sono da affrontare ulteriori problemi anticoncorrenziali e sono da perfezionare i rimedi: ad esempio, in materia di taxi è stata prevista soltanto la facoltà dei Comuni di aumentare il numero delle licenze o di adottare altre misure per il miglioramento del servizio. Il legislatore statale, in nome della “tutela della concorrenza”, che spetta alla sua esclusiva potestà, potrebbe fare di più. Occorre, poi, intervenire in altri settori: qui si sono analizzati le comunicazioni, l’energia, il commercio, il trasporto pubblico locale e il turismo. Ulteriori settori, come i porti, gli aeroporti, le autostrade, necessitano di misure pro-concorrenziali.

Per poter effettuare un’analisi complessiva e per poter individuare ulteriori rimedi, sarebbe opportuno tener conto delle segnalazioni dell’Agcm e delle inchieste della Commissione europea; ma anche dei Rapporti dell’OCSE sui nessi fra regulatory reform e competition, e degli orientamenti dell’OMC.

L’analisi e le raccomandazioni potrebbero essere affidate ad un’apposita Commissione tecnica, che dovrebbe individuare le norme statali e regionali da abrogare o da modificare e le disposizioni che sarebbe utile adottare, proponendo concreti interventi abrogativi e modificativi.

La Commissione potrebbe stabilire raccordi operativi con le unità che per il Governo si occupano di semplificazione normativa e amministrativa. Ma è evidente che la Commissione per la revisione pro-concorrenziale della legislazione e della regolazione economica assumerebbe un compito che differisce in modo sostanziale dalla mera semplificazione.

Vi possono essere, infatti, leggi, regolamenti o procedure amministravi assolutamente semplici, ma idonei a provocare impatti anticompetitivi gravi. Basti pensare a leggi che si limitano a istituire consorzi o associazioni fra imprese: se l’attività consortile o associativa si risolve nel coordinamento sui prezzi o sulla ripartizione dei mercati, la legge “semplice” elimina radicalmente la concorrenza su elementi primari degli scambi economici.

Distorsioni gravi della concorrenza, d’altra parte, possono essere causate da leggi o regolamenti che tacciono su determinati punti. E’ il caso – che è stato esaminato in questa ricerca – delle leggi regionali che non forniscono alcun criterio alle amministrazioni locali per l’aggiudicazione di contratti pubblici a imprese, omettendo di vietare conflitti d’interesse o di dettare condizioni sulla partecipazione associata di

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imprese alle gare, che potrebbe comportare forme di intesa restrittiva. Qui non ci sarebbe proprio nulla da semplificare: sarebbe necessario dettare regole a favore della concorrenza.

La Commissione, pertanto, dovrebbe avere una sua funzione autonoma, interagendo primariamente con l’Autorità antitrust italiana, con la Commissione europea e con gli uffici governativi e parlamentari che operano per la migliore qualità della normazione.

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PARTE II RINO CAIAZZO

LA DISCIPLINA DELL’ENERGIA E DELLE TELECOMUNICAZIONI

INDICE

1. Le norme costituzionali in materia di servizi a rete, con particolare riferimento ai settori dell’energia (energia elettrica e gas) e delle telecomunicazioni.

2. Cenni in prospettiva comparata sulle norme costituzionali e sui principi legislativi nazionali nei settori dell’energia e delle telecomunicazioni.

3. La normativa comunitaria: le recenti direttive in materia di elettricità, gas e comunicazioni elettroniche.

4. La legislazione italiana dei settori in esame. 5. La legislazione regionale in Lombardia, Toscana, Lazio, Campania, Sicilia,

Puglia e Sardegna. 6. Le misure per la liberalizzazione del mercato dell’energia contemplate nel nuovo

pacchetto “Bersani”. 7. Gli interventi necessari od opportuni sulla regolazione statale e regionale nelle

materie in esame, per informarla ai principi della concorrenza: conclusioni e raccomandazioni.

1. Le norme costituzionali in materia di servizi a rete, con particolare riferimento ai settori dell’energia (energia elettrica e gas) e delle telecomunicazioni

La disciplina dei servizi a rete si inquadra nel più ampio settore dei servizi pubblici “economici” (acqua, gas, luce, trasporti, ecc.), tradizionalmente contrapposti ai servizi pubblici di carattere “sociale” (l’istruzione, ad esempio). Si tratta, in sostanza, di attività imprenditoriali suscettibili di intervento da parte dei poteri pubblici, in ragione della specifica rilevanza riconosciuta loro ai fini dello sviluppo e del benessere della collettività. Sicché, lo Stato può intervenire per garantirne la disponibilità a condizioni più favorevoli rispetto a quelle che risulterebbero dal libero gioco della concorrenza30.

Più in dettaglio, all’interno dei servizi pubblici economici, i servizi “a rete” si contraddistinguono per la presenza di un’infrastruttura di base difficilmente replicabile. Si pensi, al riguardo, (i) alla rete telefonica di Telecom Italia S.p.A., (ii) alla rete di trasmissione dell’energia elettrica31 di Terna S.p.A., inizialmente gestita dalla società per azioni governativa denominata Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale (il “GRTN”), ed, ancora, (iii) alla rete nazionale dei gasdotti32, principalmente in mano alla Snam Rete Gas S.p.A.. In ambito comunitario si parla, non a caso, di infrastrutture essenziali (“essential facilities”), proprio in ragione della loro insostituibilità (o non replicabilità)33.

30 Cfr. F. TRIMARCHI BANFI, “Considerazioni sui nuovi servizi pubblici”, in Riv. it. dir. pubbl. comunit. 2002, 5, 945. 31 Cfr. http://www.grtn.it/ita/sistemaelettrico/Cartografia.asp. 32 Cfr. http://www.snamretegas.it/italiano/business/anno_termico_04_05/info_utenti/rete_nazionale.html. 33 Anche l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha evidenziato l’importanza dell’infrastruttura di base nella propria Relazione annuale dell’attività svolta nel 2004 (datata

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Sotto il profilo costituzionale, la disciplina dei servizi a rete è il risultato del combinato disposto di varie norme: principalmente, gli artt. 2, 41, 43 e 117. Nel complesso, come verrà esaminato nel prosieguo, ne deriva un sistema economico “misto”, caratterizzato dalla coesistenza dell’iniziativa economica privata e dell’intervento pubblico.

In linea di principio, infatti, nulla osta a che un privato imprenditore si occupi dell’offerta di servizi pubblici economici, potendo anch’essa rientrare nella libertà di iniziativa economica sancita dall’art. 41, comma 1, Cost.34. Si tratta, però, di una libertà soggetta ad alcune misure “correttive”. In primo luogo, non deve svolgersi in contrasto con l’“utilità sociale” (ex art. 41, comma 2, Cost.) e, dunque, nel rispetto dei doveri inderogabili di solidarietà di cui all’art. 2 Cost.35. Secondariamente, può essere indirizzata e coordinata a fini sociali dai pubblici poteri, sebbene l’unico vero piano di programmazione economica fu introdotto (ex art. 41, comma 3, Cost.) dalla legge 27.07.1967, n. 685 (la legge “Pieraccini”), definita da Fanfani il “Libro dei Sogni” per via degli esiti fallimentari che effettivamente la accompagnarono.

Lo strumento di maggiore ingerenza da parte dello Stato resta, tuttavia, l’espropriazione per pubblica utilità di cui all’art. 43 Cost.36. Fu in forza di tale norma che si procedette, in Italia, alla nazionalizzazione della produzione dell’energia elettrica, attraverso la costituzione dell’E.N.E.L. (ai sensi della legge 6.12.1962 n. 1463).

In materia di servizi pubblici rileva, inoltre, l’art. 117 Cost., che detta la ripartizione di competenze fra Stato e Regioni. In particolare, rientrano nella legislazione esclusiva dello Stato (i) la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (comma 1, lett. “m”) e (ii) la “tutela della concorrenza” (comma 1, lett. “e”). A questo proposito, la Corte Costituzionale ha precisato che “la tutela della concorrenza non deve essere intesa soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in senso dinamico, quale fondamento di misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le

30.04.2005), affermando quanto segue: “Nel promuovere la concorrenza nei servizi di pubblica utilità, le principali difficoltà traggono origine dalla frequente necessità per un nuovo entrante nei mercati liberalizzati di dover comunque utilizzare una infrastruttura non duplicabile e generalmente controllata dall'ex monopolista legale. Molto spesso il proprietario dell'infrastruttura, quando opera anche nelle fasi concorrenziali, ha un forte incentivo a discriminare i concorrenti, trovando sempre nuove modalità e nuove strategie di esclusione, peraltro non sempre facilmente individuabili come tali” (Parte I, pag. 10; http://www.agcm.it/dwnD2115.htm). 34 Secondo l’art. 41 della Costituzione, “(1) L’iniziativa economica privata è libera. (2) Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. (3) La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. 35 In particolare, l’art. 2 della Costituzione così recita: “La Repubblica riconosce garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali, ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. In tal senso, vd. FABIO GIGLIONI F., “Osservazioni sulla evoluzione della nozione di servizio pubblico” in Foro. Amm. 1998, 7-8, 2265, secondo cui “il limite dell’utilità sociale sembrerebbe essere ricompresso in quello più generale di solidarietà e uguaglianza presenti negli artt. 2 e ss. Cost., che compenetra tutto l’ordinamento e ogni attività sociale”. 36 Secondo l’art. 43 della Costituzione, “Ai fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti, determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”.

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condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali” (Corte Cost., sent. 14/2004).

Spetta invece alle Regioni, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, la legislazione sulle seguenti materie: “grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia” (facendo essa parte della cd. legislazione concorrente)37.

Da ultimo, sono attribuite ai Comuni le funzioni amministrative, “salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza” (art. 118, comma 1, Cost.)38.

In conclusione, il carattere composito della Costituzione italiana, nella quale sono confluiti principi di ispirazione liberista, socialista e cattolica, legittima tanto l’impresa privata, quanto l’intervento della mano pubblica. Del resto, come testimonia l’esperienza storica, il passaggio da una massiccia ingerenza statale39 alle liberalizzazioni dei primi anni Novanta non ha trovato ostacoli, di fatto, nei principi costituzionali.

2. Cenni in prospettiva comparata sulle norme costituzionali e sui principi legislativi nazionali nei settori dell’energia e delle telecomunicazioni

Rispetto agli altri Paesi europei, l’Italia si colloca dunque in una posizione intermedia: fra il liberismo di mercato della Gran Bretagna ed il protezionismo francese dei grandi monopoli pubblici.

Da un lato, la Francia fu il primo Stato a teorizzare la nozione giuridica di servizio pubblico e ad applicare allo stesso un complesso di norme a tutela dell’interesse generale, distinte dal comune diritto civile (costituenti il diritto amministrativo)40. Tale 37 A tal proposito, secondo quanto precisato dalla Corte Costituzionale in materia di localizzazione degli impianti per le telecomunicazioni, “in presenza di una legge quadro statale che detta una disciplina esaustiva della materia (…), interventi regionali di tipo aggiuntivo devono ritenersi, a differenza che in passato, incostituzionali, traducendosi l’aggiunta in una alterazione, e quindi violazione, dell’equilibrio tracciato dalla legge statale di principio” (Corte Costituzionale, 7.11.2003, n. 331). Inoltre, in senso fortemente critico rispetto al sistema di competenze concorrenti di cui all’art. 117 Cost. in relazione al settore dell’energia elettrica, vd. F. DI PORTO ed F. SILVA, “Riformare le utilities è difficile: il caso elettrico italiano”, in Mercato, concorrenza e regole, 2005, n. 1, pagg. 11-50. In particolare, secondo gli Autori, “benché nato dall’esigenza, tutt’altro che peregrina, di differenziazione più o meno marcata della gestione tecnica del settore [dell’energia elettrica] in alcune aree geografiche del paese, il regionalismo (o federalismo) in questo settore finisce con l’aumentare i costi transattivi di governo del sistema elettrico, e la litigiosità inter-istituzionale” (pag. 31). 38 Per un’interpretazione dei principi di sussidiarietà ed adeguatezza, cfr., in particolare, Corte Cost. sent. 303/2003, secondo cui “ai principi di sussidiarietà ed adeguatezza va riconosciuta una valenza squisitamente procedimentale, poiché l'esigenza di esercizio unitario che consente di attrarre, insieme alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un "iter" in cui assumono il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà”. 39 Cfr. M. CLARICH: “i limiti all'espansione della presenza pubblica diretta (non solo tramite la costituzione di imprese pubbliche, ma anche tramite interventi di nazionalizzazione, tra i quali quella del settore elettrico nel 1962) e indiretta (sottoforma di regolazione pubblica e di interventi di pianificazione e programmazione) nell'economia sono stati, se non inesistenti, comunque assai ridotti” “Servizi pubblici e diritto europeo della concorrenza: l’esperienza italiana e tedesca a confronto” (in Riv. trim. dir. pubbl. 2003, 1, 91). 40 Cfr. GERARD MARCOU, “I servizi pubblici tra regolazione e liberalizzazione: l’esperienza francese, inglese e tedesca”, in Riv. it. dir. pubbl. comunit. 2000, 1, 125.

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sensibilità verso gli obblighi di servizio pubblico si riflette nella costituzione francese, che ad esempio proibisce la privatizzazione dei servizi pubblici nazionali, quali la gestione della rete di trasmissione dell’energia elettrica41.

Il Regno Unito, d’altro canto, non ha mai formulato dei principi generali a presidio dei servizi pubblici. L’utente dei servizi economici (“public utility”) viene sostanzialmente equiparato ad un normale consumatore, tanto che le garanzie connesse all’offerta di tali servizi (come, ad esempio, la continuità della fornitura) non sono espressione di principi generali, bensì frutto di singoli precedenti giurisprudenziali o delle obbligazioni contemplate nelle rispettive autorizzazioni. Questo spiega l’elevato livello di liberalizzazione che contraddistingue la Gran Bretagna, sin dai tempi di Margaret Tatcher.

Alla luce di tali divergenze42, il Legislatore europeo ha preferito parlare, invece, di “servizi di interesse economico generale”, lasciando ai singoli Stati membri la libertà di stabilire quali servizi includervi (in virtù della “freedom to define”)43, nonché la scelta circa il relativo assetto proprietario (stante il principio di neutralità di cui all’art. 295 Tr. CE)44. Tali servizi trovano inoltre menzione nell’art. 16 del Trattato di Amsterdam e nell’art. 36 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che ne riconoscono l'importanza al fine promuovere la coesione sociale e territoriale.

Parimenti, è di derivazione comunitaria anche il concetto di “servizio universale”, un sottoinsieme dei servizi di interesse economico generale da cui discende l’obbligo di garantire a chiunque ne faccia richiesta (e da qualsiasi luogo) determinate prestazioni essenziali, di una certa qualità, a prezzi abbordabili. 3. La normativa comunitaria: le recenti direttive in materia di elettricità, gas e comunicazioni elettroniche 3.1. I principi comunitari generali in materia di liberalizzazioni

In generale, la disciplina comunitaria dei servizi a rete è affidata all’art. 86 Tr. CE., che detta i seguenti principi: (1) le imprese pubbliche, così come quelle che godono di diritti speciali o esclusivi, non devono essere assoggettate a regimi giuridici contrastanti con le norme del Trattato e, in particolare, con le regole di concorrenza; (2) in secondo luogo, le medesime norme devono essere altresì rispettate dalle imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale (o di monopolio fiscale), salvo che (e nella misura in cui) ciò non comporti un impedimento

41 Cfr. il contributo di T. M. LAURIOL in “Legal aspects of European energy regulation”, (a cura di P.D. Cameron), Oxford University Press, 2005, pag. 141. 42 G. MARCOU (cit. in nota Errore. Il segnalibro non è definito.) sintetizza i particolarismi nazionali come segue: “in Francia c’è una legislazione che mira a mantenere le finalità ed i principi del servizio pubblico nel nuovo quadro di mercato; in Germania vi è un accentuato <arretramento> dello Stato che, tuttavia, deve garantire un livello minimo di regolamentazione legislativa; in Gran Bretagna l’apertura alla concorrenza è maggiore in tutti i settori, e spetta alle autorità di regolazione badare al rispetto da parte delle imprese delle norme di servizio garantite ai clienti”. 43 Cfr. art. 86(2) Tr. CE: “Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme del presente trattato, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi della Comunità” (http://europa.eu.int/eur-lex/pri/it/oj/dat/2002/c_325/c_32520021224it00010184.pdf). 44 Cfr. art. 295 Tr. CE: “Il presente trattato lascia del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri”.

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all’adempimento della missione loro affidata; (3) infine, la Commissione può emanare direttive e decisioni per garantire l’applicazione di quanto sopra.

In buona sostanza, in ossequio al principio di proporzionalità, le deroghe al regime di libera concorrenza sono ammesse soltanto se, e nella misura in cui, si rivelino necessarie ad espletare la missione di interesse generale affidata dallo Stato a specifiche imprese, tramite un apposito atto di incarico. Sennonché, la norma in parola ha trovato concreta attuazione soltanto a partire dagli anni Novanta, attraverso una progressiva “erosione” (più o meno contrastata) dei grandi monopoli pubblici.

Il primo mercato ad essere liberalizzato è stato quello delle telecomunicazioni, attualmente regolato dal cd. “Pacchetto Telecom”45, in cui rientrano le seguenti direttive: (i) la Direttiva Accesso (DIR. 19/2002/CE), (ii) la Direttiva Autorizzazioni (DIR. 20/2002/CE), (iii) la Direttiva Quadro (DIR. 21/2002/CE), (iv) la Direttiva Servizio Universale (DIR. 22/2002/CE) ed, infine, (iv) la Direttiva Vita Privata e Comunicazioni Elettroniche (DIR. 58/2002/CE). A completare il quadro normativo si aggiunge, inoltre, la Decisione Spettro Radio (Dec. n. 676/2002/CE).

Il settore dell’energia elettrica ha conosciuto, invece, due principali tappe di apertura alla concorrenza: la prima nel 1996, attraverso la Direttiva 96/92/CE, e la seconda nel 2003, attraverso la Direttiva 54/2003/CE (complessivamente denominate le “E-Directives”)46. Ugualmente a dirsi per il mercato del gas, regolato dapprima dalla Direttiva 30/98/CE e, quindi, dalla Direttiva 55/2003/CE (complessivamente denominate le “G-Directives”)47.

Nell’insieme, la liberalizzazione dei tre settori in oggetto si conforma ai seguenti principi:

(i) la separazione tra rete e servizio (il servizio viene liberalizzato, pur restando la rete monopolistica);

(ii) la libertà di entrata nel mercato su semplice autorizzazione (il cui rilascio è soggetto a discrezionalità limitata, trasparente, non discriminatoria e motivata);

(iii) obblighi reciproci di accesso alle reti (anche tramite interconnessione); (iv) obblighi di servizio universale (o di contribuzione dello stesso), inteso come

una serie di prestazioni minime da garantire a chiunque ne faccia richiesta; (v) l’imposizione di misure asimmetriche, affinché gli operatori monopolisti (e/o

quelli dichiarati di notevole forza di mercato) rispettino particolari obblighi differenziali dettati in favore dei nuovi entranti (come, ad esempio, l’obbligo di orientamento dei prezzi all’ingrosso ai costi sostenuti dall’“incumbent”);

(vi) l’assegnazione trasparente e non discriminatoria delle risorse scarse, specialmente mediante procedure di gara (come avviene, ad esempio, per l’assegnazione delle frequenze);

(vii) la soggezione delle imprese al controllo generale esercitato dalle autorità di concorrenza, chiamate ad intervenire principalmente “ex post” per reprimere eventuali infrazioni della disciplina antitrust;

45 Cfr. quadro normativo tlc (http://europa.eu.int/scadplus/leg/it/lvb/l24216a.htm). 46 Cfr. quadro normativo energia elettrica (http://europa.eu.int/scadplus/leg/it/lvb/l27005.htm). 47 Cfr. quadro normativo gas (http://europa.eu.int/scadplus/leg/it/lvb/l27006.htm).

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(viii) la soggezione delle imprese al controllo delle autorità indipendenti di settore, impegnate, soprattutto, a prevenire eventuali fallimenti di mercato attraverso una regolamentazione “ex ante”48.

Vi sono, poi, delle misure peculiari ai singoli settori, di seguito descritte nei loro aspetti fondamentali. 3.2. Il settore delle telecomunicazioni: il “Pacchetto Telecom”

La Direttiva Quadro, menzionata innanzi, stabilisce i principi fondamentali della nuova regolamentazione di settore, che si applica alla fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica, ad esclusione (i) dei contenuti e (ii) dei cd. “servizi della società dell’informazione” (una vasta gamma di attività economiche svolte on-line) non consistenti, interamente o prevalentemente, nella trasmissione di segnali su reti di comunicazione elettronica (art. 1). In particolare, vengono stabilite (i) le funzioni delle autorità nazionali di regolamentazione (le “ANR”) ed (ii) alcune procedure per garantire l’applicazione di un quadro normativo armonizzato.

In merito al primo aspetto, l’operato della ANR deve essere ispirato a principi di competenza, indipendenza, trasparenza ed imparzialità, anche attraverso lo scambio di informazioni rilevanti con le autorità nazionali antitrust, la Commissione europea e le ANR di altri Paesi (pur sempre nel rispetto degli obblighi di riservatezza; artt. 3 e 5). Alle ANR, inoltre, deve essere attribuito il potere di richiedere informazioni, anche di carattere finanziario, ai fornitori di reti/servizi di comunicazione elettronica, purché (i) in misura proporzionale all’assolvimento dei propri compiti e (ii) su istanza adeguatamente motivata (art. 5). D’altro canto, però, le stesse ANR sono tenute, a loro volta, a raccogliere i pareri degli operatori di mercato e degli utenti, mediante precise procedure di consultazione pubblica, tutte le volte in cui intendono adottare misure suscettibili di avere un rilevante impatto di mercato (art. 6). Quanto, poi, ai principi dell’attività di regolamentazione affidata alle ANR, rivestono particolare rilevanza la tutela della concorrenza (evitando distorsioni o restrizioni della stessa), la neutralità tecnologia, la promozione dello sviluppo e degli investimenti, la gestione efficiente delle risorse scarse (come le radiofrequenze e le numerazioni), l’interoperabilità dei servizi, la parità di trattamento delle imprese operanti nel mercato, la protezione degli utenti disabili, la sicurezza delle reti e la riservatezza della vita privata (art. 8).

Da un punto di vista procedurale, invece, oltre al predetto meccanismo di consultazione pubblica, si prevedono:

(i) procedure obiettive, trasparenti e non discriminatorie per l’assegnazione delle radiofrequenze e delle numerazioni (artt. 9 e 10);

(ii) meccanismi efficienti per ricorrere dinnanzi ad un organo indipendente (che può anche essere un tribunale) contro le decisioni delle ANR (art. 4);

(iii) analisi di mercato che le ANR devono effettuare periodicamente per accertare se uno o più operatori dispongono, individualmente o congiuntamente, di un significativo potere di mercato e verificare, conseguentemente, l’opportunità di imporre, mantenere, modificare o revocare gli obblighi a carico di tali imprese, avendo riguardo al livello di concorrenza di ciascun mercato rilevante (artt. 14,15 e 16). A tal fine, peraltro, le ANR devono conformarsi ai principi sviluppati dalla disciplina antitrust, per cui, ad esempio, “si presume che un’impresa disponga di un

48 Sul punto, cfr. S. CASSESE, “La costituzione economica europea”, in Riv. it. dir. pubbl. comunit. 2001, 6, 907.

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significativo potere di mercato se, individualmente o congiuntamente con altri, gode di una posizione equivalente ad una posizione dominante ossia una posizione di forza economica tale da consentirle di comportarsi in misura notevolmente indipendente dai concorrenti, dai clienti e, in definitiva, dai consumatori” (art. 14, comma 2). Lo stretto collegamento con il diritto antitrust è testimoniato, inoltre, dall’obbligo delle ANR di tenere in massimo conto due atti appositamente adottati dalla Commissione europea: la “Raccomandazione avente ad oggetto i mercati rilevanti dei servizi e dei prodotti” e gli “Orientamenti per l’analisi del mercato e la valutazione del significativo potere di mercato “ (art. 15)49;

(iv) meccanismi rapidi di risoluzione delle controversie fra imprese, anche di carattere transnazionale, da attivarsi dinanzi alle ANR (e destinati a concludersi entro 4 mesi), senza precludere alle parti interessate, in ogni caso, la possibilità di adire un organo giurisdizionale (art. 20).

I criteri di cui sopra devono essere integrati, come anticipato, dalle disposizioni contenute dalle altre direttive del “Pacchetto Telecom”. In particolare, ai sensi della Direttiva Autorizzazioni, la fornitura di reti/servizi di comunicazione elettronica può essere subordinata soltanto ad una autorizzazione generale, da rilasciarsi su mera dichiarazione, da parte dell’impresa istante, dell’intenzione di iniziare l’attività in oggetto, con contestuale indicazione dei soli dati strettamente necessari per costituire un registro di tutti gli operatori (ovvero: i dati identificativi dell’istante, una breve descrizione dei servizi forniti e la probabile data di inizio dell’attività). La Direttiva elenca, inoltre, le condizioni alle quali può essere assoggettata ogni autorizzazione (come, ad esempio, il pagamento di determinati contributi amministrativi), specificando che “tali condizioni devono essere obiettivamente giustificate rispetto alla rete o al servizio in questione, proporzionate, trasparenti e non discriminatorie” (art. 6).

Il rilascio dell’autorizzazione generale dà diritto, fra l’altro, ad ottenere l’accesso alle reti di altro operatore (anche mediante interconnessione della propria rete), secondo le condizioni previste dalla Direttiva Accesso. In base a quest’ultima, in particolare “gli operatori di reti pubbliche di comunicazione hanno il diritto e, se richiesto da altre imprese titolari di un’autorizzazione dello stesso tipo, l’obbligo di negoziare tra loro l’interconnessione”. In aggiunta, qualora un’impresa venga designata quale operatore avente un significativo potere di mercato, la ANR può imporre alla stessa, in relazione all’interconnessione e/o all’accesso:

(i) obblighi di trasparenza, fra cui anche l’obbligo di pubblicare un’offerta di riferimento sufficientemente disaggregata, affinché le imprese non debbano pagare per risorse non necessarie ai fini del servizio richiesto (art. 9);

(ii) obblighi di non discriminazione, sia fra diverse imprese esterne che richiedono l’accesso/interconnessione, sia anche fra imprese esterne e divisioni interne dell’operatore con significativo potere di mercato (art. 10);

(iii) obblighi di separazione contabile, specialmente in presenza di un’integrazione verticale del medesimo operatore (art. 11);

49 Al riguardo, cfr. (i) la Raccomandazione sui mercati rilevanti dei prodotti e dei servizi nell’ambito del nuovo quadro regolamentare delle comunicazioni elettroniche, relativamente all’applicazione di misure ex ante secondo quanto disposto dalla direttiva 2002/21/CE, adottata l’11 febbraio 2003, e (ii) le Linee direttrici della Commissione per l’analisi del mercato e la valutazione del significativo potere di mercato ai sensi del nuovo quadro normativo comunitario per le reti e i servizi di comunicazione elettronica, adottate dalla Commissione il 9 luglio 2002.

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(iv) obblighi di accogliere richieste ragionevoli di accesso, a condizioni di equità, ragionevolezza e tempestività (art. 12);

(v) obblighi in materia di controllo dei prezzi e di contabilità dei costi, come l’obbligo di praticare prezzi orientati ai costi (art. 13).

La Direttiva Servizio Universale mira, infine, a (i) garantire la fornitura di “un insieme minimo di servizi di qualità specifica cui tutti gli utenti finali hanno accesso a prezzo abbordabile” (ovvero del cd. “servizio universale”) e (ii) stabilire, altresì, determinati obblighi in relazione alla fornitura di alcuni servizi obbligatori (come la fornitura al dettaglio delle linee affittate). Rientrano nell’ambito del servizio universale, ad esempio, l’accesso alla rete telefonica pubblica da postazione fissa (art. 4), l’elenco abbonati, i servizi connessi di consultazione (art. 5) e la disponibilità di alcuni telefoni pubblici a pagamento (art. 6). Al fornitore del servizio universale (ossia una o più imprese designate dalla ANR) che sia gravato, per l’effetto, di un onere eccessivo, viene riconosciuto un contributo, da ripartire fra gli altri operatori e commisurato ai costi netti effettivamente sostenuti (artt. 12 e 13).

Di minore impatto ai fini dell’assetto concorrenziale del mercato risultano, invece, gli obblighi previsti a diretta tutela dei consumatori finali dalla Direttiva Servizio Universale (come il diritto di recesso dal contratto in caso di proposta di modifica delle condizioni negoziali) e dalla Direttiva Vita Privata e Comunicazioni Elettroniche (come le disposizioni anti-“spamming”), di cui si tralascia, in questa sede, la trattazione. 3.3. Il settore dell’energia elettrica: la seconda “E-Directive” (DIR. 54/2003/CE)

Il settore dell’energia elettrica è attualmente regolato, a livello comunitario, dalla Direttiva 54/2003/CE, che ne ha imposto l’attuazione da parte dei singoli Stati Membri entro il 1° luglio 2004 (art. 30). Il nuovo quadro normativo tratta, sostanzialmente, i seguenti aspetti: (i) alcune norme generali per l’organizzazione del sistema, (ii) la generazione di energia, (iii) il trasporto, (iv) la distribuzione, (v) la separazione contabile ed, infine, (v) l’accesso al sistema.

L’organizzazione del sistema deve tendere, anzitutto, alla realizzazione di un mercato dell’energia elettrica concorrenziale e sicuro. A tal fine, gli Stati membri possono imporre alle imprese elettriche vari “obblighi di servizio pubblico”, purché gli stessi siano chiaramente definiti, trasparenti, non discriminatori e verificabili. In particolare, deve essere garantito ai clienti civili (e alle piccole imprese, se ritenuto opportuno) il servizio universale: il “diritto alla fornitura di energia elettrica di una qualità specifica a prezzi ragionevoli, facilmente e chiaramente comparabili e trasparenti” (art. 3), anche mediante la designazione di un fornitore di ultima istanza. In generale, inoltre, devono essere assicurati un elevato livello di protezione dei consumatori (soprattutto dei clienti vulnerabili) e l’effettiva possibilità di cambiare fornitore, da parte di quei clienti che sono liberi di acquistare energia elettrica dal fornitore di propria scelta (i cd. “clienti idonei”, che si contrappongono ai clienti vincolati nella scelta del fornitore).

La filiera produttiva dell’energia elettrica viene quindi regolamentata nelle sue varie fasi: (i) la generazione (o produzione), (ii) il trasporto e (iii) la distribuzione. In relazione alla generazione occorre distinguere fra costruzione di nuovi impianti ed altre misure volte a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento (ovvero, “nuove capacità o misure di efficienza/gestione della domanda”). Invero, mentre la costruzione di nuovi impianti è soggetta ad una procedura di semplice autorizzazione, le altre attività citate

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possono essere aggiudicate mediante procedure di gara (o procedure equivalenti) e, soprattutto, soltanto se le attività svolte su semplice autorizzazione non sono sufficienti a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento (artt. 6 e 7). In ogni caso, entrambe le procedure (quella autorizzatoria e quella di gara) devono essere condotte secondo criteri di trasparenza e non discriminazione.

La trasmissione (sui fili ad altissima tensione) e la distribuzione (sui fili a tensione più bassa) dell’energia50 sono regolate in base a criteri comuni. Per ciascuna delle due attività è prevista, infatti, la designazione di uno o più gestori specifici (il gestore del sistema di trasmissione e quello del sistema di distribuzione), preposti alla gestione, manutenzione, sviluppo (se necessario) ed interconnessione dei rispettivi tratti di rete. Qualora il gestore faccia parte di un’impresa verticalmente integrata, deve esserne assicurata comunque l’indipendenza dalle altre attività non pertinenti, quanto meno sotto il profilo (i) della forma giuridica, (ii) dell’organizzazione e (iii) del potere decisionale, sebbene non necessariamente a livello di assetto proprietario (artt. 10 e 15). I gestori devono operare in base a criteri di sicurezza, efficienza e non discriminazione, benché possa essere data precedenza, nel dispacciamento (i.e. l’ordine in base al quale i vari produttori di energia sono chiamati ad immettere l’energia da loro generata nella rete), a particolari impianti di generazione: (i) quelli che impiegano fonti energetiche rinnovabili o rifiuti, (ii) quelle che assicurano la produzione mista di calore ed energia elettrica ed, infine, (iv) quelli alimentati con fonti nazionali di energia combustibile primaria (questi ultimi, però, in una proporzione che non superi il 15% di tutta l’energia primaria necessaria per generare l’energia elettrica consumata nello Stato membro interessato). Non è preclusa, comunque, la gestione di un sistema combinato di trasmissione e distribuzione in mano ad unico soggetto, purché ugualmente indipendente.

La Direttiva impone, quindi, obblighi di trasparenza e di separazione contabile (per ciascuna attività di trasmissione e distribuzione) a carico di tutte le imprese elettriche, onde evitare discriminazioni, trasferimenti incrociati di risorse tra settori diversi e, più in generale, distorsioni della concorrenza.

Quanto all’accesso dei terzi, si prevede “l’attuazione di un sistema di accesso dei terzi ai sistemi di trasmissione e di distribuzione basato su tariffe pubblicate, praticabili a tutti i clienti idonei, ed applicato obiettivamente e senza discriminazioni tra gli utenti del sistema” (art. 20). Qualsiasi diniego di accesso da parte dei rispettivi gestori deve essere pertanto giustificato dalla mancanza della necessaria capacità, oltre che debitamente motivato in tal senso. Per garantire ulteriormente l’apertura del mercato, gli Stati devono altresì provvedere affinché i clienti idonei (che possono scegliere liberamente il proprio fornitore) siano: (i) fino al 1° luglio 2004, i clienti idonei ai sensi della prima “E-Directive” (ossia, in sostanza, i clienti aziendali di maggiori dimensioni); (ii) a partire dal 1° luglio 2004, tutti i clienti finali non domestici e (iii) dal 1° luglio 2007, tutti i clienti finali. Ciascun cliente idoneo, inoltre, deve essere rifornito (da un produttore e da imprese fornitrici) mediante una linea diretta, subordinata a semplice autorizzazione a costruire.

50 Per la precisione, la trasmissione indica il “trasporto di energia elettrica sul sistema interconnesso ad altissima tensione ai fini della consegna ai clienti finali o ai distributori, ma non comprendente la fornitura” (art. 1, n. 3), mentre la distribuzione indica il “trasporto di energia elettrica su sistemi di distribuzione ad alta, media e bassa tensione per le consegne ai clienti, ma non comprendente la fornitura” (art. 1, n. 5).

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Il rispetto degli obblighi summenzionati viene controllato, in particolare, dalle autorità nazionali di regolamentazione: organismi indipendenti che devono garantire la non discriminazione, l’effettiva concorrenza e l’efficace funzionamento del mercato. Ad esse, peraltro, può essere deferita la risoluzione in tempi rapidi (2 mesi, salvo proroghe) delle controversie insorte a seguito di reclamo contro i gestori dei sistemi di trasmissione e distribuzione. Infine, tra i compiti affidati alle autorità di settore assume particolare rilevanza il controllo sulle tariffe di trasmissione e distribuzione, da effettuarsi, quanto meno, sotto forma di fissazione o approvazione preventiva (i.e. prima dell’entrata in vigore) delle corrispondenti metodologie di calcolo. 3.4. Il settore del gas naturale: le seconda “G-Directive” (DIR. 55/2003/CE)

Come anticipato, la Direttiva 55/2003/CE definisce norme comuni relative alle attività di (i) stoccaggio, (ii) trasporto (attraverso una rete di gasdotti ad alta pressione), (iii) distribuzione (ovvero il trasporto locale del gas a bassa pressione) e (iv) fornitura (consistente nella vendita di gas agli utenti finali a livello locale) di gas naturale, configurando un quadro normativo simile, per certi versi, a quello vigente per il settore elettrico.

Anzitutto, anche in questo settore gli Stati membri possono imporre alle imprese determinati obblighi di servizio pubblico (concernenti, fra l’altro, la sicurezza, la regolarità, la qualità, il prezzo delle forniture e la tutela dell'ambiente) ed adottare misure appropriate per la tutela dei clienti finali, specialmente se vulnerabili (art. 3).

Quanto ai titoli abilitativi, la Direttiva precisa che, qualora la costruzione e la gestione di impianti di gas naturale (o la semplice fornitura di gas) siano soggette ad un'autorizzazione preliminare, la stessa deve essere rilasciata secondo criteri obiettivi e non discriminatori (art. 4).

Gli Stati membri sono chiamati a garantire, inoltre, il controllo della sicurezza degli approvvigionamenti51, anche mediante l’introduzione di norme tecniche, obiettive e non discriminatorie, volte ad assicurare l'interoperabilità dei sistemi (e da notificarsi alla Commissione; artt. 5 e 6).

E’ prevista, poi, la designazione di vari gestori (i gestori dei sistemi di stoccaggio, trasporto, distribuzione e del gas naturale liquefatto, anche definiti come “Transmission System Operator”), ciascuno dei quali deve gestire, mantenere e sviluppare i relativi impianti a condizioni economicamente accettabili, astenendosi da discriminazioni tra gli utenti del sistema e fornendo le informazioni sufficienti a garantire un efficiente accesso al sistema, anche mediante interconnessione. Al riguardo, la Direttiva precisa altresì che, in caso di integrazione verticale, i gestori del sistema di trasporto e distribuzione devono essere comunque indipendenti, rispetto alle altre attività non connesse al trasporto e/o alla distribuzione, quantomeno sotto il profilo della forma giuridica, dell'organizzazione e del potere decisionale (attraverso il cd. “unbundling” societario e gestionale)52. 51 Verificando, in particolare, (i) l'equilibrio tra domanda e offerta sul mercato nazionale, (ii) il livello della domanda prevista e delle scorte disponibili, (iii) le capacità addizionali previste in corso di programmazione o di costruzione, (iv) la qualità e il livello di manutenzione delle reti, nonché (v) le misure richieste per far fronte ai picchi della domanda e alle carenze di uno o più fornitori (cfr. art. 5). 52 In caso di integrazione verticale, la Direttiva in esame detta dei criteri minimi per garantire l’indipendenza dei gestori del sistema di trasporto e di distribuzione. Si richiede, infatti, che: (i) le persone responsabili dell’amministrazione del gestore del sistema non facciano parte di strutture societarie dell’impresa di gas naturale integrata responsabili, direttamente o indirettamente, della gestione ordinaria delle attività di produzione, distribuzione/trasporto o fornitura di gas naturale; (ii) le stesse

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Anche in questo caso, tuttavia, l’indipendenza non comporta necessariamente l’obbligo di separare la proprietà dei mezzi del sistema dall’impresa verticalmente integrata (attraverso l’“unbundling” proprietario; artt. 9 e 13), né preclude la possibilità di nominare il gestore di un sistema combinato di trasporto, stoccaggio e distribuzione del gas (incluso quello liquefatto e le operazioni connesse; cfr. art. 15). Ai gestori può essere imposto l’obbligo di rifornire i clienti con sede in una data zona e/o di una data categoria, anche mediante la regolamentazione delle relative tariffe.

La separazione delle varie fasi della filiera del gas trova espressione, inoltre, a livello contabile (attraverso il cd. “unbundling” contabile). Invero, come previsto per il settore dell’energia elettrica, le imprese di gas naturale integrate devono tenere conti separati per le loro attività di trasporto, distribuzione e stoccaggio (oltre alle attività connesse alla liquefazione del gas naturale), al fine di evitare discriminazioni, trasferimenti incrociati e distorsioni della concorrenza (artt 16 e 17).

Per l'accesso di terzi ai sistemi di trasporto, distribuzione e degli impianti di gas naturale liquefatto è prevista una procedura di “accesso regolato”, che si basa su tariffe regolamentate (fissate o approvate dall’autorità di settore), pubblicate prima della loro entrata in vigore. Solo per l’attività di stoccaggio permane la possibilità, per i singoli Stati, di optare per la procedura di “accesso negoziato”, fondata su accordi commerciali volontari da negoziarsi in buona fede (e secondo il criterio della pubblicazione delle principali condizioni per l'utilizzo del sistema). In entrambi i casi, comunque, si devono rispettare criteri obiettivi, trasparenti e non discriminatori. Ogni eventuale diniego di accesso al sistema può dipendere esclusivamente da ragioni tassativamente previste: (i) mancanza della capacità necessaria; oppure (ii) impossibilità di adempiere, in caso di accoglimento della relativa richiesta, agli obblighi di servizio pubblico; o, infine, (iii) difficoltà economiche e finanziarie nel quadro dei contratti «take-or-pay» (contratti a lungo termine in cui il produttore garantisce la fornitura del gas e l'operatore il pagamento, anche se il gas non viene ritirato).

Da ultimo, analogamente al mercato dell’energia elettrica, la direttiva prevede che i clienti idonei (i.e. quelli liberi di acquistare gas naturale dal fornitore di propria scelta) si identifichino: (i) fino al 1º luglio 2004, con i clienti idonei ai sensi della prima “G-Directive” (ossia i clienti aziendali di maggiori dimensioni); (ii) a partire dal 1º luglio 2004, con tutti i clienti finali non domestici; (iii) a partire dal 1º luglio 2007, con tutti i clienti finali. Agli stessi, inoltre, deve essere attribuito il diritto di essere riforniti tramite linee dirette: “un gasdotto per il gas naturale complementare al sistema interconnesso” (art. 24).

In conclusione, il 1° luglio 2007 è la scadenza imposta a livello comunitario per la piena liberalizzazione dei mercati dell’energia elettrica e del gas. A quella data, infatti, ogni singolo utente del servizio dovrà poter scegliere liberamente il proprio fornitore.

persone possano agire in modo indipendente; (iii) il gestore del sistema disponga di effettivi poteri decisionali, indipendenti dall’impresa di gas naturale integrata, in relazione ai mezzi necessari alla gestione, alla manutenzione e allo sviluppo della rete; (iv) il medesimo gestore predisponga un programma contenente le misure adottate per escludere comportamenti discriminatori. Per la sola distribuzione, tuttavia, gli Stati membri possono optare per un regime derogatorio in favore delle imprese del gas naturale integrate che riforniscono meno di 100.000 clienti allacciati.

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4. La legislazione italiana dei settori in esame 4.1. Telecomunicazioni: il nuovo Codice delle Comunicazioni Elettroniche 4.1.1. L’attuale quadro normativo nazionale

Il primo quadro regolamentare nazionale delle telecomunicazione si fondava principalmente su due fonti: (i) il D.P.R. 318/97, recante il “Regolamento per l’attuazione di direttive comunitarie nel settore delle telecomunicazioni”, e (ii) la legge 249/97, recante l’“Istituzione dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo”.

Tale assetto normativo è stato quindi superato a seguito dell’emanazione del “Pacchetto Telecom”, interamente recepito in Italia attraverso il D.lgs. 1.08.2003, n. 259, che ha introdotto, a far data dal 16 settembre 2003, il “Codice delle Comunicazioni Elettroniche” (il “CCE”)53. Il CCE traspone in maniera organica il nuovo quadro regolamentare europeo, di cui si richiamano, pertanto, le considerazioni svolte al riguardo (cfr. par. 3.2 sopra). In particolare, la fornitura di reti/servizi di comunicazione elettronica viene assoggettata ad un’autorizzazione generale del Ministero delle Comunicazioni, che si intende rilasciata una volta decorsi 60 giorni dalla presentazione di un’apposta denuncia di inizio attività (secondo un meccanismo di silenzio-assenso; art. 25 CCE). La concessione di diritti d’uso delle risorse scarse (ossia, le frequenze radio e i numeri) è subordinata, invece, a “procedure pubbliche, trasparenti e non discriminatorie” (art. 27 CCE).

Sono attualmente in corso, ed in via di completamento, dinanzi all’Autorità Garante per le Comunicazioni (l’“AGCom”), le analisi di mercato previste dall’art. 19 del CCE. Fintantoché non verranno concluse tali analisi, rimarranno a carico dell’operatore notificato come avente speciale potere di mercato (Telecom Italia) gli obblighi derivanti ai sensi della normativa precedentemente in vigore.

4.1.2. Il riparto di competenze fra Stato, Regioni ed Enti Locali

Quanto al riparto di competenze fra Stato, Regioni ed Enti Locali, l’art. 5 del CCE (rubricato “Regioni ed Enti locali”) specifica che i soggetti summenzionati “operano in base al principio di leale collaborazione anche mediante intese ed accordi” ed istituisce, all’interno della Conferenza Unificata di cui all’art. 8 d.lgs. 281/97, un Comitato Paritetico “con il compito di verificare il grado di attuazione delle iniziative intraprese, di acquisire e scambiare dati ed informazioni dettagliate sulla dinamica del settore e di elaborare le proposte da sottoporre alla Conferenza”. Lo stesso articolo prevede, inoltre, che le Regioni e gli Enti locali, ciascuno nell’ambito delle rispettive competenze, dettino disposizioni in alcune materie specifiche, fra cui, in particolare, “l’individuazione di livelli avanzati di reti e servizi di comunicazione elettronica a larga banda, da offrire in aree locali predeterminate nell’ambito degli strumenti di pianificazione e sviluppo, anche al fine di evitare fenomeni di urbanizzazione forzata ovvero di delocalizzazione di imprese” (comma 2, lett. “a”)54. 53 Cfr. il testo del CCE (http://www.agcom.it/L_naz/cod_comunicaz_dl259_03.htm). 54 Ai sensi dell’art. 5, comma 2, CCE: “In coerenza con i principi di tutela dell’unità economica, di tutela della concorrenza e di sussidiarietà, nell’ambito dei principi fondamentali di cui al Codice e comunque desumibili dall’ordinamento della comunicazione stabiliti dallo Stato, e in conformità con quanto previsto dall’ordinamento comunitario ed al fine di rendere più efficace ed efficiente l’azione dei soggetti pubblici locali e di soddisfare le esigenze dei cittadini e degli operatori economici, le Regioni e gli Enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze e nel rispetto dei principi di cui al primo comma dell’articolo 117 della Costituzione, dettano disposizioni in materia di: (a) individuazione di livelli avanzati di reti e servizi di comunicazione elettronica a larga banda, da offrire in aree locali

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Altre norme che di fatto incidono sul ruolo affidato agli enti territoriali in materia di comunicazioni elettroniche sono contenute all’interno del Capo V, Titolo II del CCE, dedicato all’acquisizione dei titoli abilitativi richiesti per l’installazione di reti ed impianti (artt. 86-95). In particolare, secondo le disposizioni in oggetto:

(i) le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria di cui al Testo Unico sull’Edilizia (D.P.R. 380/2001), pur restando di proprietà dei rispettivi operatori (art. 86, comma 3);

(ii) le Regioni sono tenute ad uniformarsi ai limiti di esposizione, ai valori di attenzione e agli obiettivi di qualità stabiliti dalla legge 22.02.2001, n. 36, ossia, la “Legge quadro sulla protezione delle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici” (art. 86, comma 7);

(iii) parimenti, l’installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici e la modifica delle loro caratteristiche di emissione (come, ad esempio, l’installazione di stazioni radio base per la telefonia mobile) sono autorizzate dagli enti locali, previo accertamento, però, da parte dell’organismo competente ad effettuare i controlli (ossia, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente; l’ARPA), della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità (art. 87, comma 1);

(iv) in caso di motivato dissenso espresso da un’amministrazione interessata in sede di esame delle istanze dirette all’adozione del provvedimento di autorizzazione all’installazione di un impianto di comunicazione elettronica, viene convocata una conferenza di servizi, dalla quale può derivare un’approvazione da parte della maggioranza dei presenti che “sostituisce ad ogni effetto gli atti di competenza delle singole amministrazioni e vale altresì come dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori”, salvo deferimento della decisione al Consiglio dei Ministri in caso di dissenso proveniente da un’amministrazione preposta alla tutela ambientale, della salute o del patrimonio storico-artistico (art. 87, comma 6-8);

(v) per le istanze di autorizzazione e le denunce di attività per l’installazione di cui sopra (o di modifica delle caratteristiche di emissione degli impianti già esistenti) vale un meccanismo di silenzio-assenso di 90 giorni. Gli Enti locali, tuttavia, possono prevedere termini più brevi per la conclusione dei relativi procedimenti ovvero ulteriori forme di semplificazione amministrativa (art. 87, comma 9);

predeterminate nell’ambito degli strumenti di pianificazione e di sviluppo, anche al fine di evitare fenomeni di urbanizzazione forzata ovvero di delocalizzazione di imprese; (b) agevolazioni per l’acquisto di apparecchiature terminali d’utente e per la fruizione di reti e servizi di comunicazione elettronica a larga banda; (c) promozione di livelli minimi di disponibilità di reti e servizi di comunicazione elettronica a larga banda, nelle strutture pubbliche localizzate sul territorio, ivi comprese quelle sanitarie e di formazione, negli insediamenti produttivi, nelle strutture commerciali ed in quelle ricettive, turistiche ed alberghiere; (d) definizione di iniziative volte a fornire un sostegno alle persone anziane, ai disabili, ai consumatori di cui siano accertati un reddito modesto o particolari esigenze sociali ed a quelli che vivono in zone rurali o geograficamente isolate”.

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(vi) lo strumento della conferenza dei servizi ed il meccanismo del silenzio-assenso sopra descritti valgono anche per l’ipotesi in cui l’installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica presupponga la realizzazione di opere civili o, comunque, l’effettuazione di scavi e l’occupazione di suolo pubblico. In tal caso, il CCE stabilisce anche regole affinché gli enti pubblici definiscano i programmi di manutenzione ordinaria e straordinaria delle rispettive opere (art. 88);

(vii) le Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre, per l’impianto di reti o per l’esercizio di servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano fissati per legge (art. 93)

(viii) infine, nessuna conduttura di energia elettrica può essere costruita, spostata o modificata senza il nulla-osta dell’Ispettorato del Ministero delle Comunicazioni.

Le disposizioni di cui sopra sono state recentemente sottoposte al vaglio di costituzionalità dalle regioni Toscana e Marche, per la presunta eccessiva ingerenza statale rispetto al riparto di competenze delineato dagli artt. 117, 118 e 119 Cost. La Consulta, tuttavia, ha rigettato tutte le censure di incostituzionalità, argomentando in base all’“esistenza di un preciso vincolo comunitario ad attuare un vasto processo di liberalizzazione del settore, armonizzando le procedure amministrative ed evitando ritardi nella realizzazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica” (Corte Cost., sent. 336/2005, par. 4.1). Segnatamente, tale vincolo troverebbe conferma nell’art. 4 (comma 3) CCE, secondo cui la disciplina delle reti (e dei servizi) è volta, anche, a “promuovere la semplificazione dei procedimenti amministrativi e la partecipazione ad essi dei soggetti interessati, attraverso l’adozione di procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti nei confronti delle imprese che forniscono reti e servizi di comunicazione elettronica”.

4.1.3. Le proposte dell’AGCM per incentivare la concorrenza

Infine, sotto il profilo dei risultati concretamente realizzati, l’AGCM ha riscontrato quanto segue: “fin dall’avvio della liberalizzazione, gli abusi dell’operatore dominante, soprattutto quelli volti ad escludere i concorrenti dai mercati liberalizzati, sono stati numerosi. Ciò discende essenzialmente dal fatto che gli elevati margini di concorrenza, pur consentiti dal processo tecnologico, sono tuttavia accompagnati dal mantenimento di una posizione di monopolio nei collegamenti finali agli utenti, il cosiddetto ultimo miglio della rete”55. Per rimediare a tale criticità, l’AGCM ha proposto di adottare una soluzione intermedia tra la separazione proprietaria e l’integrazione verticale dell’impresa che detiene e gestisce la rete commutata (soluzione mutuata dall’OFCOM, il regolatore britannico), consistente nell’introduzione di una separazione funzionale fra infrastrutture non duplicabili e servizi, all’interno di un’impresa che rimarrebbe verticalmente integrata.

Nel complesso, in ogni caso, il settore delle telecomunicazioni è quello che, rispetto agli altri settori in esame (elettricità e gas), sembra aver raggiunto un maggior grado di apertura del mercato alla concorrenza.

55 Cfr. la Relazione annuale dell’AGCM cit. in nota.

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4.2. Energia elettrica: il decreto Bersani (d.lgs. 79/99) e la legge Marzano (l. 239/04) 4.2.1. L’attuale quadro normativo nazionale

Il quadro regolatorio nazionale relativo dell’energia elettrica appare di più difficile lettura rispetto agli altri settori in esame, vuoi per il progressivo stratificarsi di graduali tentativi di apertura del mercato alla concorrenza, vuoi per la pluralità di soggetti di nuova istituzione. Di conseguenza, per meglio inquadrare le recenti misure di liberalizzazione volte a recepire le “E-Directives”, sembra opportuno ripercorrere, in via preliminare, i principali interventi normativi che si sono succeduti in Italia dopo la legge 1643/62 (la “Legge di Nazionalizzazione”), con la quale tutte le attività dell’industria elettrica (produzione, importazione, esportazione, trasporto, trasformazione, distribuzione e vendita) sono state trasferite ed affidate in via esclusiva all’Ente Nazionale per l’Energia Elettrica (l’ENEL)56.

Le prime forme di attenuazione di tale regime di esclusiva a favore di Enel sono state introdotte con i seguenti atti normativi:

(i) la legge 393/75, che ha consentito a comuni e province di produrre elettricità mediante fonti rinnovabili e in abbinamento alla generazione di calore (co-generazione); e

(ii) la legge 308/82, che ha liberalizzato la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili o fonti assimilate a quelle rinnovabili (come, per l’appunto, la co-generazione), seppur nel rispetto di una soglia massima di produzione (pari a 3MW) e a condizione che venisse ceduta ad Enel l’energia in eccesso rispetto al consumo.

Il monopolio legale di Enel è stato ulteriormente circoscritto dalla legge 9/91, che ha consentito la produzione di energia per utilizzi diversi dal mero autoconsumo (già autorizzato ai sensi della Legge di Nazionalizzazione), come, ad esempio, la cessione dell’elettricità ad Enel o alle aziende del gruppo di appartenenza.

La legge 359/92 (legge di conversione del decreto legge 333/92) ha previsto, poi, (i) la trasformazione di Enel in una società per azioni ed (ii) il passaggio dal regime di riserva legale del servizio elettrico a quello di concessione dello stesso; concessione che è stata quindi attribuita ad Enel con decreto ministeriale 28.12.1995. Nello stesso anno, inoltre, la legge 481/95 ha istituito l’Autorità per l’energia elettrica e il gas (l’“AEEG”)57, alla quale sono stati attribuiti rilevanti compiti, quali la determinazione e l’aggiornamento delle tariffe per il settore elettrico. In tale contesto si è incardinato, successivamente, il decreto Bersani (d.lgs. 79/99), che ha recepito la DIR. 96/92/CE stabilendo, in particolare:

(i) la liberalizzazione, a far data dal 1° aprile 1999, delle attività di produzione, importazione, esportazione, acquisto e vendita di energia elettrica;

(ii) la separazione della proprietà della rete di trasmissione dalla gestione della stessa mediante le attività di dispacciamento e trasmissione;

56 Gli unici soggetti a cui la Legge di Nazionalizzazione consentiva di operare in deroga al monopolio di Enel erano: (i) le aziende municipalizzate di cui al Testo Unico del 1925, a condizione che presentassero, entro due anni dall’entrata in vigore della legge predetta, domanda atta ad ottenere la concessione all’esercizio delle attività nel settore elettrico da parte di Enel, rilasciata previa autorizzazione del Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato; (ii) le imprese minori, che distribuissero meno di 15 GWh l’anno ed, infine, (iii) le imprese produttrici di energia elettrica destinata a soddisfare il proprio fabbisogno energetico (l’autoconsumo), limitatamente alla copertura dei fabbisogni dei cicli industriali, a condizione che utilizzassero almeno il 70% dell’energia prodotta, con l’obbligo di cedere ad Enel le relative eccedenze. 57 Cfr. il sito web dell’AEEG (http://www.autorita.energia.it/).

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(iii) l’affidamento in concessione dell’attività di gestione della rete di trasmissione (svolta, al tempo, da Enel) al Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale, una società per azioni interamente controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze;

(iv) l’affidamento in regime di concessione dell’attività di distribuzione dell’energia elettrica (ossia la fornitura della stessa ai clienti finali);

(v) il mantenimento della proprietà della rete di trasmissione in capo ai soggetti proprietari (Enel, in netta prevalenza), con l’obbligo di questi ultimi di costituire, però, una o più società di capitali a cui trasferire i beni e i rapporti, le attività e le passività relativi alla trasmissione di energia elettrica (attuando, così, un “unbundling” societario).

Il esecuzione del decreto Bersani sono state istituite, pertanto, diverse nuove figure (di emanazione diretta o indiretta di Enel), rappresentate schematicamente nel grafico che segue.

ENEL S.p.A.

GRTN S.p.A. (GESTORE DELLA RETE DI TRASMISSIONE NAZIONALE)

AU S.p.A. (ACQUIRENTE UNICO)

GME S.p.A. (GESTORE DEL MERCATO ELETTRICO)

TERNA S.p.A.

costituzione (27.04.1999) e cessione a titolo gratuito del

100% delle azioni al Ministero dell’Economia e delle Finanze (1.04.2000)

costituzione (31.05.1999) e cessione della proprietà della rete

In particolare, la distinzione fra proprietà e gestione della rete è stata realizzata

mediante la costituzione, da parte di Enel, di due nuove società: (i) Trasmissione Elettricità Rete Nazionale S.p.A. (“Terna”)58, alla quale sono stati ceduti i diritti di proprietà della rete, e (ii) Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale S.p.A. (“GRTN”)59, a cui è stato conferito il ramo d’azienda destinato alla gestione della rete stessa. Inoltre, come anticipato, l’intero capitale sociale di GRTN è stato ceduto a titolo gratuito al Ministero dell’Economia e delle Finanze, mentre le azioni di Terna sono state progressivamente acquistate, in parte, da vari soggetti.

Tuttavia, questo assetto organizzativo è mutato sostanzialmente. La legge 290/200360 ha previsto, infatti, (i) la riunificazione di proprietà e gestione della rete e

58 Cfr. il sito web di Terna (http://www.enel.it/it/terna/Home.asp). 59 Cfr. il sito web del GRTN (http://www.grtn.it/ita/index.asp). 60 La riunificazione della proprietà e della gestione della rete e la successiva privatizzazione del soggetto risultante dall’unificazione sono state disposte, più precisamente, dall’art. 1-ter D.L. 29 agosto 2003, n. 239 (“Disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo del sistema elettrico nazionale e per il recupero

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(ii) la successiva privatizzazione del soggetto risultante dall’unificazione. A tale scopo, il 4 agosto 2005, l’AGCM ha autorizzato la contestuale acquisizione (i) da parte della Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (di seguito, “CDP”) di una partecipazione di controllo nel capitale sociale di Terna (pari al 29,99% dello stesso, da sottrarsi alla partecipazione del 36% circa detenuta al tempo da Enel) e (ii) del ramo d’azienda di GRTN relativo alla trasmissione e al dispacciamento dell’energia elettrica da parte di Terna61. L’operazione è stata subordinata, però, al rispetto di alcune condizioni, volte ad evitare potenziali conflitti di interesse. In particolare, la CDP dovrà cedere, entro il 2009, la propria partecipazione detenuta in Enel, pari al 10,2% del capitale sociale, lanciando così sul mercato una quinta “tranche” di Enel (“Enel 5”)62.

A seguito dell’acquisizione della quota detenuta da Enel in Terna, avvenuta il 15 settembre 2005, il capitale sociale di quest’ultima risulta così ripartito: (i) il 29,99% del capitale è detenuto dalla CDP, (ii) il 6% circa dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, (iii) il 5% da Generali ed (iv) il restante 59% circa è flottante.

Il ramo d’azienda del GRTN relativo alla trasmissione e al dispacciamento dell’energia elettrica è stato invece ceduto a Terna il 1° novembre 2005. Da allora, Terna ha assunto sostanzialmente i seguenti compiti: (i) la trasmissione di energia elettrica sulla rete ad alta ed altissima tensione (ad esclusione, pertanto, della distribuzione) ed (ii) il dispacciamento, che consiste nel coordinamento degli impianti di produzione, della rete nazionale di trasmissione e delle reti ad essa connesse (oltre ai servizi ausiliari del sistema elettrico). In concreto, Terna deve adottare le misure idonee ad assicurare la sicurezza, l’affidabilità e la continuità del servizio elettrico, garantendo altresì a tutti gli operatori/utenti l’accesso alla rete secondo regole eque, non discriminatorie e trasparenti.

A seguito della cessione summenzionata, il GRTN si concentra sulla gestione, promozione e incentivazione delle fonti rinnovabili in Italia, oltre ad essere capogruppo delle due società controllate Acquirente Unico S.p.A. (l’“AU”)63 e Gestore del Mercato Elettrico S.p.A. (il “GME”)64.

I nuovi protagonisti del settore elettrico non si esauriscono, pertanto, in Terna e GRTN. Quest’ultimo, infatti, ha a sua volta costituito, ai sensi del decreto Bersani, due nuove entità: (i) l’AU ed il (ii) GME. Per inquadrarne le rispettive funzioni, occorre anzitutto precisare che il decreto summenzionato ha introdotto una rilevante distinzione nell’ambito del mercato elettrico: (i) da un lato vi sono i clienti idonei a presentarsi direttamente sul nuovo mercato scegliendo a proprio piacimento da chi acquistare energia elettrica (i “clienti idonei”); e (ii), dall’altro lato, i piccoli clienti vincolati al rispettivo distributore locale (i “clienti vincolati”). Al riguardo, si consideri che, ai sensi della normativa nazionale ad oggi in vigore, è attualmente qualificato come cliente idoneo (dal 1° luglio 2004) ogni cliente finale non domestico , mentre, dal 1° luglio 2007, sarà tale ogni cliente finale. Ne deriva, allora, che il “cliente vincolato” rappresenta, in realtà, una categoria transitoria, volta a tutelare gli utenti di minori

di potenza di energia elettrica”), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 27.10. 2003, n. 290. 61 Ramo d’azienda meglio definito dal DPCM 11.05.2004. 62 Cfr. il provv. AGCM 14542 del 4.08.2005, in Boll. 29/2005, pagg. 70-118 (http://www.agcm.it/agcm_ita/BOLL/BOLLETT.NSF/0ef77801432afc41c1256a6f004d522a/7c2a8acf0cccd365c1257057002802fe/$FILE/29-05.pdf). 63 Cfr. il sito web dell’AU (http://www.acquirenteunico.it/ita/home/procedure/home.asp). 64 Cfr. il sito web del GME (http://www.mercatoelettrico.org/GmewebItaliano/Default.aspx).

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dimensioni da eventuali aumenti di prezzo che potrebbero verificarsi nella prima fase di liberalizzazione del mercato.

Ciò posto, a partire dal 1° gennaio 2004, l’AU è subentrato ad Enel nella funzione di garantire che ai clienti vincolati (e ai clienti idonei temporaneamente compresi, per loro scelta, nel mercato dei clienti vincolati) venga fornita energia elettrica a prezzi competitivi e in condizioni di continuità, sicurezza ed efficienza del servizio65. In concreto, l’AU acquista energia elettrica dai produttori alle migliori condizioni di mercato, per poi rivenderla ai distributori che la forniscono, a loro volta, ai clienti vincolati.

Il GME si occupa, invece, della domanda di energia proveniente dai clienti idonei, gestendo ed organizzando il mercato elettrico secondo criteri di neutralità, trasparenza, obiettività, concorrenza tra produttori ed assicurando, inoltre, la gestione economica di un’adeguata disponibilità della riserva di potenza66. Dal 31 marzo 2004 è stato avviato, infatti, il mercato elettrico, anche indicato come “borsa elettrica italiana”, per consentire a produttori, consumatori e grossisti di stipulare contratti orari di acquisto e vendita di energia elettrica per il giorno successivo. Il mercato elettrico si articola, infatti, in tre sottomercati:

(i) il mercato del giorno prima (“MGP”), dove i produttori, grossisti ed il clienti finali idonei possono vendere/acquistare energia elettrica per il giorno successivo;

(ii) il mercato di aggiustamento (“MA”), dove i produttori e i grossisti possono modificare i programmi di immissione di energia determinati sul MGP; ed, infine,

(iii) il mercato per il servizio di dispacciamento (“MSD”), sul quale il GRTN (ora Terna) compra e vende energia elettrica per mantenere l’equilibrio “in sicurezza” fra immissioni e prelievi di energia elettrica nella rete, considerando sia i vincoli del sistema, sia gli scostamenti fra le operazioni di immissione/prelievo comunicate dagli operatori e quelle effettivamente realizzate.

Non deve trascurarsi, tuttavia, che la borsa elettrica è un mercato ad accesso facoltativo ed opera, pertanto, parallelamente ad un sistema di scambi all’ingrosso decentrati, basato su contratti bilaterali tra operatori. Le modalità di approvvigionamento vengono scelte, infatti, dai singoli operatori.

Una novità ulteriore introdotta nel 2004, insieme all’avvio della borsa elettrica, è rappresentata dall’adozione del criterio di dispacciamento “di merito economico”, vale a dire preferendo il dispacciamento dell’energia offerta a condizioni economicamente più vantaggiose.

Esaminate le figure di nuova costituzione sopra elencate, si possono ora ripercorrere le varie fasi della filiera dell’energia elettrica (di seguito schematicamente rappresentate), secondo quanto previsto dal decreto Bersani, così come integrato e modificato dalla successiva legge Marzano.

65 Tale ruolo di garante è stato attribuito all’AU in forza del decreto MSE 19.12.2003. 66 Al GME è affidata, inoltre, l’organizzazione delle sedi di contrattazione (i) dei “certificati verdi”, attestanti la generazione di energia da fonti rinnovabili, e (ii) dei “certificati bianchi”, attestanti la realizzazione di politiche di riduzione dei consumi energetici (ossia di titoli di efficienza energetica).

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PRODUZIONE attività libera, nel rispetto degli obblighi di servizio pubblico e della soglia massima del 50% dell’energia elettrica nazionale

IMPORTAZIONE attività libera, nel rispetto degli obblighi di servizio pubblico e della soglia massima del 50% dell’energia elettrica nazionale

TRASMISSIONE E

DISPACCIAMENTO (attività riservate allo Stato, attribuite in concessione a

Terna)

DISTRIBUZIONE attività svolta in regime di

concessione, rilasciata dal MSE

VENDITA attività liberalizzata

Per le vendite ai clienti “vincolati”: intermediazione obbligatoria dell’Acquirente Unico (AU) fra produttori e distributori

Per le vendite ai clienti “idonei”:

contrattazioni sulla borsa elettrica, organizzata dal

Gestore del Mercato Elettrico

(GME), oppure contratti bilaterali

Le attività di produzione e importazione, come anche quelle di esportazione,

acquisto e vendita di energia elettrica ai clienti idonei (e la trasformazione delle fonti di energia) sono libere, purché nel rispetto (i) degli obblighi di servizio pubblico derivanti dalla legislazione vigente e della soglia massima imposta dall’art. 8 del decreto Bersani, che vieta a qualsiasi soggetto di produrre o importare, direttamente o indirettamente, più del 50% del totale dell’energia elettrica prodotta o importata in Italia.

La trasmissione ed il dispacciamento, invece, sono riservati allo Stato ed affidati in concessione al GRTN (ora Terna), su cui grava l’obbligo di connettere in rete tutti coloro che ne facciano richiesta, senza discriminazione di utenti e secondo criteri di imparzialità e trasparenza.

La distribuzione è subordinata al rilascio di una concessione da parte del Ministero dello Sviluppo Economico (di seguito, il “MSE”), purché non operi più di un’impresa per ogni Comune67. 67 Le imprese distributrici operanti alla data del 1° aprile 1999 continueranno a svolgere tale servizio sulla base di concessioni rilasciate dal MSE con scadenza 31 dicembre 2030, salvo il rispetto del predetto limite legale. A tale riguardo, il decreto Bersani ha previsto, in caso di più distributori, (i) un meccanismo di aggregazione spontanea o, in subordine, (ii) il diritto delle società di distribuzione partecipate dagli enti locali di chiedere all’Enel la cessione dei rami d’azienda dedicati all’esercizio dell’attività di distribuzione

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La vendita, infine, è stata anch’essa liberalizzata e si configura diversamente, come innanzi descritto, a seconda che il cliente sia “idoneo” a partecipare direttamente alle contrattazioni della borsa elettrica (gestita dal GME) oppure “vincolato” al proprio distributore locale, che a sua volta acquista l’energia dall’AU.

4.2.2. Il riparto di competenze fra Stato, Regioni ed Enti Locali

Come anticipato, il riparto di competenze fra Stato, Regioni ed Enti locali trova fondamento, in materia energetica, nel nuovo testo dell’art. 117 Cost., che affida alle Regioni competenze legislative nelle materie della “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, nel rispetto dei principi fondamentali fissati dallo Stato. Sicché, resta (i) allo Stato la normativa di principio, (ii) alle Regioni quella di dettaglio ed (iii) ai Comuni, infine, le funzioni amministrative. Si è parlato, al riguardo, di “federalismo energetico”, proprio a sottolineare l’obiettivo di decentramento cui si è ispirata la riforma costituzionale del Titolo V della Costituzione.

Sennonché, il “federalismo energetico” si è tradotto, di fatto, nel proliferare di tentativi di pianificazione regionale che hanno sollevato, talvolta, dubbi di incostituzionalità68. A parziale rimedio, è intervenuta la legge Marzano, che ha attribuito nuovamente allo Stato compiti di rilievo, come (i) le determinazioni inerenti l’importazione e l’esportazione di energia e (ii) la definizione del quadro di programmazione del settore energetico (art. 1, comma 7, lett. “a” e “b”).

Il ritorno ad un sistema in certa misura centralizzato è testimoniato anche in altri punti della legge in commento. La costruzione e l’esercizio di elettrodotti facenti parte della rete nazionale di trasporto dell’energia elettrica vengono assoggettati, ad esempio, ad un’autorizzazione unica ministeriale, rilasciata dal MSE, sebbene di concerto con il Ministero dell’Ambiente e previa intesa con le Regioni interessate (a seguito di un procedimento unico che si deve concludere entro il termine di 180 giorni; art. 1, comma 26)69.

Pure i rapporti fra Regioni ed Enti locali sembrano nuovamente ispirati ad una logica accentratrice. A carico dei proprietari di nuovi impianti di produzione di energia elettrica di potenza termica non inferiore a 300 MW, si prevede, ad esempio, un contributo compensativo (per il mancato uso alternativo del territorio e per l’impatto

nei Comuni nei quali tali società servono almeno il 20% delle utenze, secondo condizioni determinate di comune accordo o, in caso di dissenso, da un collegio di arbitratori ex art. 1349 c.c.. 68 Si pensi, al riguardo, ai giudizi promossi dinanzi alla Corte Costituzionale avverso le leggi emesse in materia energetica dalle regioni Piemonte e Friuli Venezia Giulia, rispettivamente conclusi con le sentenze nn. 7 e 8 del 2004. In particolare, in relazione al primo caso citato, la Corte ha escluso l’illegittimità costituzionale asserita dal Presidente del Consiglio dei Ministri (pronunciandosi con una sentenza interpretativa), poiché “la norma impugnata, afferente alla materia, di competenza concorrente, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, si limita a prevedere la emanazione, da parte dei competenti organi regionali, di linee guida che dettino criteri per la progettazione tecnica degli impianti di produzione e distribuzione dell'energia, nonché per la costruzione dei relativi edifici, aggiuntivi rispetto a quelli individuati dalle "regole tecniche" adottate dal gestore nazionale, fermo restando che gli impianti dovranno comunque uniformarsi agli standard stabiliti dal gestore della rete di trasmissione nazionale e che, ove si reputasse che le linee guida regionali fossero, in concreto, contrastanti con queste ultime, ne potrà essere fatta valere la relativa illegittimità con gli ordinari rimedi”. 69 Il sistema dell’autorizzazione unica ministeriale per la costruzione di impianti di generazione è stato introdotto, in origine, dal decreto 5.10.2001, il decreto cd. “Sblocca-Centrali”, per superare l’ostruzionismo derivante dai dinieghi di autorizzazione solitamente frapposti dagli enti locali interessati.

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logistico dei cantieri gravante), che spetta ai Comuni interessati, ma viene ripartito dalla Regione ove hanno sede gli impianti (art. 1, comma 36).

Infine, anche nei confronti dell’autorità di settore (l’AEEG), si assiste ad una forte ingerenza dei poteri statali. Segnatamente, in caso di inerzia da parte dell’AEEG (anche in relazione al settore del gas), si prevede l’esercizio di un “potere sostitutivo” da parte del Governo, previo invio di un sollecito ad adempiere entro 60 giorni (art. 1, comma 14).

Nel complesso, esaminando il riparto di competenze legislative fra Stato e Regioni, che “ruota attorno al meccanismo impreciso della separazione fra normativa di principio e disciplina di dettaglio”, è stato tuttavia rilevato come “l’ambiguità di fondo di tale criterio non sembra aver trovato composizione nella legge di riordino del settore, n. 239/04, che (…) disciplina anche molti aspetti di dettaglio con norme auto-applicative”70. 4.2.3. Le proposte dell’AGCM per incentivare la concorrenza

Delineati i principali meccanismi di funzionamento del settore elettrico, non resta che verificare l’esito concreto della liberalizzazione perseguita a livello nazionale. Al riguardo, gravi criticità sono state messe in luce dall’Indagine conoscitiva sullo stato di liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica71 svolta congiuntamente dall’AGCM e dall’AEEG. E’ stato rilevato, in particolare, che il processo di dismissione delle società di produzione (le cd. “Genco”: Elettrogen S.p.A., Eurogen S.p.A. e Tirreno Power S.p.A.) attivato dal decreto Bersani non è stato sufficiente, di per sé, per lasciare spazio a concorrenti effettivi di Enel. Ciononostante, si è anche affermato che “l’aver affidato la ricerca dell’equilibrio nelle attività di negoziazione all’ingrosso a sistemi di mercato e non già a determinazioni amministrate, oltre che essere una scelta irreversibile, è certamente in grado di indirizzare i comportamenti degli operatori (...) verso la realizzazione, nel medio termine, di un vero assetto competitivo ed una riduzione del livello dei prezzi dell’energia all’ingrosso rispetto ai livelli attuali”72. Per promuovere un assetto maggiormente concorrenziale, le Autorità summenzionate hanno proposto alcune misure correttive, fra cui spicca, in particolare, la rimozione o minimizzazione delle situazioni di potenziale esercizio di potere di mercato da parte di Enel.

In conclusione, la liberalizzazione del settore elettrico ha dato, sinora, risultati meno soddisfacenti rispetto a quelli ottenuti nel settore delle telecomunicazioni. 4.3. Gas: il decreto Letta (d.lgs. 164/00) e la legge Marzano (l. 239/04) 4.3.1 L’attuale quadro normativo nazionale

Il riordino del mercato nazionale del gas è stato avviato nel 2000 dal decreto Letta (che ha recepito la prima “G-Directive”), successivamente emendato, nel 2004, dalla legge Marzano.

70 Cfr. F. DI PORTO ed F. SILVA, cit. in nota Errore. Il segnalibro non è definito.. 71 L’indagine, avviata il 20 febbraio 2003, si è conclusa il 9 febbraio 2005. Al riguardo, cfr. il provv. AGCM n. 14031 del 09.02.2005, pubblicato in Boll. 6/2005, pagg. 25-42 (http://www.agcm.it/agcm_ita/BOLL/BOLLETT.NSF/0ef77801432afc41c1256a6f004d522a/bd6f264e9c67d385c1256fb6005c6381?OpenDocument). 72 Cfr. par. 6.6 dell’Indagine cit. in nota Errore. Il segnalibro non è definito..

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Il decreto Letta si divide in due parti: (i) un primo gruppo di disposizioni mirano al riordino del settore del gas naturale, disciplinando separatamente le singole attività della filiera produttiva (importazione, produzione nazionale, trasporto, dispacciamento, stoccaggio, distribuzione e vendita), mentre (ii) una seconda sezione è dedicata ad alcune norme generali per la tutela e lo sviluppo della concorrenza.

In relazione al primo aspetto, la nuova disciplina di settore sembra potersi rappresentare come segue.

IMPORTAZIONE

• da Paesi UE: su comunicazione al MSE e all’AEEG;

• da Paesi extra-UE: su autorizzazione del

COLTIVAZIONE su concessione del MSE

TRASPORTO E

DISPACCIAMENTO

• obbligo di allacciamento e accesso alla rete; • entro il 31 dicembre 2008: soglia massima di

partecipazione nella società che detiene e

STOCCAGGIO su concessione del MSE

DISTRIBUZIONE su concessione rilasciata dall’ente locale competente, tramite gara

VENDITA su autorizzazione del MSE

(limite massimo: 50% del consumo annuo nazionale )

limite massimo di immissione di gas nella rete nazionale di

trasporto: 75%, a scalare fino al 61%, del consumo annuo

nazionale

Più in dettaglio, si prevede quanto segue:

(i) l’importazione da Paesi comunitari è libera e soggetta ad un mero obbligo di comunicazione, da effettuarsi entro 60 gg. al MSE e all’AEEG. L’importazione da Paesi extracomunitari è subordinata, invece, ad un’autorizzazione preventiva, rilasciata dal MSE in base a criteri obiettivi e non discriminatori, purché vengano soddisfatti determinati requisiti (art. 3);

(ii) la produzione nazionale, tramite coltivazione degli idrocarburi (che consiste nell’estrazione di gas naturale da giacimenti), è soggetta a concessione del MSE, mentre è libera l’attività di prospezione geofisica (purché condotta dai titolari dei permessi di ricerca o di concessioni di coltivazione per idrocarburi). Per incrementare le riserve nazionali, sono incentivate, anche mediante contributi statali, la ricerca di nuovi giacimenti e la coltivazione dei giacimenti “marginali”, contraddistinti da una economicità critica per ragioni tecnico-economiche (artt. 4-7);

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(iii) il trasporto e il dispacciamento del gas naturale costituiscono attività di interesse pubblico. Le imprese che svolgono tali attività sono sottoposte, pertanto, ad un obbligo di allacciamento e di accesso alla rete, purché il sistema presenti un’idonea capacità e a condizione che le opere richieste a tal fine siano tecnicamente ed economicamente realizzabili. L’AEEG controlla l’effettiva sussistenza di parità di condizioni di accesso al sistema (anche attraverso una verifica di conformità dei “Codici di Rete”73 che le imprese del gas devono adottare), mentre il MSE definisce gli obblighi di sicurezza e le misure da seguire in caso di emergenza (artt. 8-10);

(iv) lo stoccaggio74 del gas (ossia il deposito del gas utilizzato come riserva) è subordinato, invece, ad una concessione del MSE, di durata massima ventennale. Il concessionario è quindi tenuto a (i) soddisfare le richieste degli utenti (secondo i consueti criteri di libertà di accesso, parità di condizioni, massima imparzialità e neutralità del servizio) ed a (ii) gestire in modo coordinato e integrato il complesso delle capacità di stoccaggio di “working gas”75, per garantire l’ottimizzazione delle capacità e la sicurezza del sistema nazionale. Viene altresì incentivata, tramite contributi finanziari, la conversione dei giacimenti in fase di esaurimento in stoccaggi di gas (artt. 11-13)76;

(v) la distribuzione del gas, espressamente definita come attività di servizio pubblico, può essere affidata dagli enti locali esclusivamente mediante gara, per periodi massimi di dodici anni77. Sulla base di un contratto-tipo

73 Il decreto prevede, infatti, che l’AEEG adotti, con delibera, dei “criteri atti a garantire a tutti gli utenti della rete la libertà di accesso a parità di condizioni, la massima imparzialità del trasporto e del dispacciamento, in condizioni di normale esercizio e gli obblighi dei soggetti che svolgono le attività di trasporto e dispacciamento del gas”. Le imprese di gas naturale devono quindi adottare un proprio Codice di Rete, che viene trasmesso all’AEEG per la verifica di conformità ai suddetti criteri (al riguardo, cfr. il Codice di Rete adottato il da Snam Rete Gas S.p.A.: http://www.snamretegas.it/italiano/business/codice_di_rete/codice_rete.html). 74 Il decreto Letta distingue, più precisamente, fra tre diverse forme di stoccaggio: (i) lo stoccaggio di modulazione, finalizzato soddisfare la modulazione dell’andamento giornaliero, stagionale e di punta dei consumi; (ii) lo stoccaggio minerario, necessario per motivi tecnici ed economici a consentire lo svolgimento ottimale della coltivazione di giacimenti di gas naturale nel territorio italiano ed, infine, (iii) lo stoccaggio strategico, finalizzato a sopperire a situazioni di mancanza o riduzione degli approvvigionamenti o di crisi del sistema del gas (cfr. art. 2, lett. “ff”, “gg” e “hh”). 75 Per “working gas” si intende il quantitativo di gas presente nei giacimenti in fase di stoccaggio che può essere messo a disposizione e reintegrato, per essere utilizzato ai fini dello stoccaggio e che risulta essenziale per assicurare le prestazioni di punta che possono essere richieste dalla variabilità della domanda in termini giornalieri ed orari (cfr. art. 2, lett. “kk”). 76 In relazione allo stoccaggio, l’AEEG ha recentemente inviato una segnalazione a Parlamento e Governo (datata 3.08.2005), con osservazioni e proposte che mirano a garantire la terzietà della gestione degli stoccaggi sotterranei e il loro potenziamento, a favore sia dello sviluppo della concorrenza sia della sicurezza energetica nazionale. L’AEEG propone, in particolare, misure di separazione proprietaria volte a sottrarre dall’attuale controllo del gruppo Eni Stogit S.p.A., la società che detiene circa il 98% delle capacità di stoccaggio operative nel nostro Paese (http://www.autorita.energia.it/docs/pareri/segnalazione_050803.htm). 77 Per un approfondimento circa la fase di distribuzione del gas, vd. L. AMMANNATI, “Tutela della concorrenza e accesso al mercato dei servizi pubblici locali dell’energia: il caso del gas”, simple 27/04 (http://www.unisi.it/lawandeconomics/simple/001_Ammannati.pdf). L’Autrice contesta, in particolare, (i) la reintroduzione, in favore degli enti locali, del diritto di riscatto anticipato del servizio di distribuzione durante il regime transitorio ed (ii) il divieto per le imprese di distribuzione di operare nell’area dei “servizi post-contatore”.

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predisposto dall’AEEG, gli enti locali stipulano appositi contratti di servizio per regolare i loro rapporti con le imprese aggiudicatarie. Quest’ultime, in ogni caso, devono allacciare gli utenti che ne facciano richiesta, purché ne abbiano la necessaria capacità e a condizione che le opere necessarie a tal fine siano economicamente e tecnicamente realizzabili (artt. 14-16);

(vi) la vendita del gas naturale può essere svolta (a decorrere dal 1° gennaio 2003) su autorizzazione preventiva del MSE, che verifica la sussistenza, in capo all’impresa istante, delle condizioni necessarie a garantire un servizio sicuro al cliente finale. L’AEEG vigila, inoltre, sulla trasparenza delle condizioni contrattuali e sul rispetto del Codice di Condotta Commerciale dalla stessa adottato78 (artt. 17-18).

Come anticipato, la Direttiva detta, altresì, un insieme di norme di carattere “trasversale”, che abbracciano varie fasi della filiera produttiva. Si prevede, in particolare, quanto segue:

(i) alle imprese del gas si applicano le norme antitrust in materia di intese restrittive della libertà di concorrenza, abuso di posizione dominante ed operazioni di concentrazione. In aggiunta, le imprese che immettono gas (auto-prodotto o importato) nella rete nazionale e quelle che lo vendono ai clienti finali (in entrambi i casi, anche attraverso società controllate e/o collegate) devono rispettare, dal 1° gennaio 2003, due importanti tetti antitrust, rispettivamente pari al 50% ed al 75% (a scalare, quest’ultimo, fino al 61%) dei consumi nazionali di gas naturale su base annua79 (art.19);

(ii) al fine di garantire un accesso alle reti trasparente e non discriminatorio, sono oggetto di separazione societaria (dall’1.01.2003) le attività di trasporto, dispacciamento e distribuzione (salvo che l’impresa di distribuzione abbia meno di 100.000 clienti), mentre resta soggetta a mera separazione contabile e gestionale l’attività di stoccaggio (art. 21);

(iii) dal 1° gennaio 2003, tutti i clienti finali sono teoricamente liberi di scegliere il fornitore da cui comprare il gas (essendo tutti qualificati come clienti idonei);

(iv) per meglio garantire la contendibilità degli utenti, vige una procedura di accesso regolamentato, secondo cui le tariffe di accesso al sistema (per la distribuzione primaria del gas) sono definite dall’AEEG, assicurando comunque una congrua remunerazione del capitale investito dalle imprese interessate (art. 23);

(v) le imprese di gas naturale devono consentire l’accesso alle proprie reti, salvo che ricorra una delle cause tassative di giustificazione previste “ex lege” (mancanza della capacità disponibile, impossibilità di svolgere gli obblighi di servizio pubblico o, infine, gravi difficoltà economico-finanziarie derivanti da contratti di “take-or-pay”). In ogni caso, qualsiasi diniego di accesso deve essere notificato all’interessato con dichiarazione motivata e comunicato, altresì, all’AEEG, all’AGCM e al MSE (art. 24);

78 Il Codice di Condotta Commerciale attualmente in vigore è stato adottato dall’AEEG con Del. 126/04 (cfr. http://www.autorita.energia.it/consumatori/index.htm). 79 I suddetti limiti antitrust, non previsti a livello comunitario, rappresentano un passo significativo nel processo di apertura del mercato, imponendo una concreta riduzione delle quote di mercato detenute dal gruppo Eni nella fase di approvvigionamento del gas.

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(vi) tutte le infrastrutture di sistema sono soggette ad un medesimo iter di dichiarazione di pubblica utilità da parte del MSE (art. 30);

(vii) sussistono particolari condizioni di reciprocità a livello internazionale, volte a garantire pari opportunità di accesso ai diversi mercati nazionali (art. 33).

La riforma Marzano ha apportato alcune modifiche al quadro normativo delineato dal decreto Letta. In particolare:

(i) nel riparto di competenze fra Stato e Regioni, vengono nuovamente centralizzate, come esposto innanzi, rilevanti funzioni (come le determinazioni inerenti l’importazione e l’esportazione di energia e la definizione del quadro di programmazione del settore energetico; art. 1, comma 7, legge 239/04);

(ii) l’indipendenza della rete viene rafforzata da una soglia antitrust che, dal 31 dicembre 2008, vieta alle imprese impegnate nella produzione, importazione, distribuzione e vendita del gas naturale di possedere, anche indirettamente, quote superiori al 20% del capitale delle società proprietarie di reti nazionali di trasporto del gas80;

(iii) possono beneficiare di un’esenzione dall’obbligo di dare accesso ai terzi le imprese del gas che investono nella creazione, e/o nel significativo potenziamento, di infrastrutture di interconnessione, terminali di rigassificazione del gas naturale liquefatto, stoccaggi in sotterraneo. L’esenzione viene accordata dal MSE, previo parere dell’AEEG (art. 1, comma 17-18, legge 239/04);

(iv) infine, come anticipato dinanzi, allorquando l’AEEG non adotti atti o provvedimenti di sua competenza, il Governo può intervenire, esercitando un potere sostitutivo (valevole, peraltro, anche in materia di energia elettrica; art. 1, comma 14, legge 239/04).

Nel complesso, dal 1° gennaio 2003, il venditore del gas al cliente finale (che agisce in base ad una mera autorizzazione del MSE) deve essere un soggetto distinto dal distributore (il quale opera, invece, in forza di una concessione rilasciata dall’ente locale), benché quest’ultimo continui a gestire l’impianto locale del gas fino al contatore (incluso lo stesso). Infatti, anche se è ancora il distributore a provvedere all’allacciamento del cliente alla rete, quest’ultimo intrattiene rapporti contrattuali con il solo venditore, che inoltra al distributore la richiesta di allacciamento per conto dell’utente finale (in qualità di mandatario).

80 In particolare, secondo il testo originario del DL 29 agosto 2003, n. 239 (art. 1-ter, co. 4): “Ciascuna società operante nel settore della produzione, importazione, distribuzione e vendita dell'energia elettrica e del gas naturale, anche attraverso le società controllate, controllanti, o controllate dalla medesima controllante, e ciascuna società a controllo pubblico, anche indiretto, solo qualora operi direttamente nei medesimi settori, non può detenere, direttamente o indirettamente, a decorrere dal 1° luglio 2007, quote superiori al 20 per cento del capitale delle società che sono proprietarie e che gestiscono reti nazionali di trasporto di energia elettrica e di gas naturale”. Tuttavia, la legge 23 dicembre 2005, n. 266 (la "Finanziaria-2006"; art. 1, co. 373) ha successivamente previsto quanto segue: “In considerazione del contenzioso in essere, relativamente alla rete nazionale di trasporto del gas naturale, la scadenza di cui al comma 4 dell'articolo 1-ter del decreto-legge 29 agosto 2003, n. 239, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 ottobre 2003, n. 290, è prorogata al 31 dicembre 2008”.

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4.3.2. Il riparto di competenze fra Stato, Regioni ed Enti locali Per quanto concerne il riparto di competenze fra Stato, Regioni ed Enti locali, si

richiamano le considerazioni svolte dinanzi in merito all’art. 117 Cost. e ai dettami contenuti nella legge Marzano (cfr. par. 4.2.2.).

Il settore del gas sembra, anzi, maggiormente esposto ai rischi derivanti dal federalismo energetico, per due ordini di motivi: (i) i problemi di accettabilità sociale legati alla costruzione di nuove infrastrutture, specialmente quando si tratta di impianti di rigassificazione, e (ii) le distorsioni alla concorrenza derivanti dall’introduzione di tributi regionali sulle infrastrutture di trasporto.

In merito al primo aspetto, è stato rilevato che “l’iter procedurale per la categoria degli impianti ad alto pericolo, nella quale rientrano le condotte ad alta pressione e i terminali di rigassificazione, è assai complicato e prevede diversi passaggi a livello nazionale e locale. Tra questi possiamo menzionare due dei più importanti: la VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) presentata al Ministro dell’Ambiente e l’approvazione del progetto da parte delle autorità locali. Spesso quest’ultimo passaggio diventa una barriera insuperabile anche per i progetti che presentano condizioni più favorevoli, specie per ciò che concerne i terminali di rigassificazione, a motivo del loro maggiore impatto paesaggistico ed ambientale”81.

Quanto al secondo problema, il caso paradigmatico è rappresentato dal “tubatico siciliano”: il “tributo ambientale” imposto dalla regione Sicilia ai proprietari dei gasdotti che consentono di importare il gas algerino in Italia (gravante, di fatto, su Snam Rete Gas), formalmente giustificato dall’esigenza di finanziare gli investimenti per la prevenzione del potenziale danno ambientale connesso alla presenza delle condutture in oggetto. Avverso tale imposizione si è aperto un contenzioso alquanto articolato, principalmente scandito dalle seguenti tappe:

(i) dapprima, con ricorso notificato il 27.04.2001, il Commissario dello Stato nella regione Sicilia solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 del disegno di legge n. 1168/01, approvato dall’Assemblea regionale siciliana il 20.04.2001, recante “Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2001”, per asserita imposizione di un illecito dazio fra Regioni sotto forma di “tributo ambientale”82;

(ii) prima che la Corte Costituzionale si pronunci al riguardo, la legge derivante dal disegno impugnato è fatta oggetto di promulgazione parziale da parte del Presidente della Regione, con omissione di tutte le disposizioni censurate (legge regionale 3.05.2001, n. 6, recante “Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2001”)83;

(iii) sempre nelle more del giudizio incardinato dinanzi alla Consulta, il tributo in oggetto viene sostanzialmente reintrodotto attraverso l’approvazione della legge regionale 26.03.2002, n. 2 (art. 6), che

81 Cfr. la ricerca “Il Federalismo possibile nel settore dell’energia”, a cura di S. DA EMPOLI, presentata al Convegno tenuto dall’Osservatorio sulla Politica Energetica della Fondazione Einaudi (l’OPEF) il 15-16 aprile 2003, pag. 58 (http://www.opef.it/ricercaOPEF.pdf). 82 Del ricorso promosso dal Commissario dello Stato è data notizia nel BUR n. 27 dell’1.06.2001, pagg. 47-49 (http://gurs.pa.cnr.it/gurs/Gazzette/g01-27.HTM - 32). 83 Cfr. il dettato normativo di cui all’art. 5 della legge regionale n. 6/2001, in BUR n. 21 del 7.05.2001, prima che lo stesso venisse modificato dall’art. 6 della successiva legge regionale n. 2 del 26.03.2002 (http://gurs.pa.cnr.it/gurs/Gazzette/g01-21.HTM - 1).

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sostituisce l’art. 5 della precedente legge 6/2001 (questa volta, però, senza che il Commissario dello Stato ne denunci l’illegittimità) 84;

(iv) quindi, con proposta tariffaria del 28.03.2002 (integrata il 5.04.2002), la società Snam Rete Gas, essendo proprietaria dell’unico gasdotto gravato dal “tubatico”, chiede all’AEEG che l’onere aggiuntivo determinato dal nuovo tributo regionale venga riconosciuto in tariffa di trasporto del gas, in attuazione del principio di aderenza delle tariffe ai costi;

(v) nell’imminenza di pronunciarsi sulla proposta tariffaria di Snam Rete Gas, nel periodo compreso fra maggio-giugno 2002, l’AEEG segnala l’illegittimità dell’art. 6 della legge regionale 2/2002 al Governo (Del. 96/02)85, al Parlamento (Del. 113/02)86 e alla Commissione Europea (De. 112/02)87, sostenendo che la formale denominazione di “tributo ambientale” mascheri, in realtà, l’imposizione di un vero e proprio “dazio”, in contrasto, per sua stessa natura, con la disciplina interna e comunitaria. Viene evidenziato, in particolare, che “la realizzazione della finalità ambientale non già attraverso la fiscalità generale comporta l’induzione di una variabile esogena nella formazione del prezzo della merce e quindi un ostacolo alla sua circolazione”88;

(vi) a pochi giorni di distanza, con Del. 120/02 (del 26.06.2002)89, la stessa AEEG chiede a Snam Rete Gas che il costo del “tubatico” venga espunto dalla propria proposta tariffaria, attesa la richiesta di rimborso avanzata dalla medesima società alla Regione Sicilia (dopo l’avvenuto pagamento della prima rata d’imposta), “con motivazioni di particolare consistenza, (…) dimostrando così di volere reagire all’imposizione del tributo regionale, che risulta conseguentemente, soggetto a contestazione e incerto nella sua definitiva sopportazione da parte della predetta società”90;

(vii) contro tale delibera, Snam Rete Gas propone ricorso al TAR della Lombardia, il quale, pur dichiarando (in via incidentale) l’incompatibilità con il diritto comunitario del tributo ambientale

84 Cfr. l’art. 6 della legge regionale 2/2002, in BUR n. 14 del 27.03.2002, pagg. 1-48 (http://gurs.pa.cnr.it/gurs/Gazzette/g02-14.HTM - 1). 85 Come da Del. AEEG 23.05.2002, n. 96/02 (http://www.autorita.energia.it/docs/02/96-02.htm). 86 Come da Del. AEEG 20.06.2002, n. 113/02 (http://www.autorita.energia.it/docs/02/113-02.htm). 87 Come da Del. AEEG 20.06.2002, n. 112/02 (http://www.autorita.energia.it/docs/02/112-02.htm). 88 Cfr. par. 3 della Del. AEEG n. 96/02 (cit. in nota Errore. Il segnalibro non è definito.), ove si aggiunge altresì che “l’articolazione del tributo è scollegata dalla sua finalità nominale: da una parte le opere di ambientalizzazione delle condotte sono già state realizzate in virtù di vincoli che già incombono sull’esercente; secondariamente, la quantificazione del tributo appare svincolata da qualsiasi rapporto di proporzionalità ai costi dell’opera e degli interventi di ambientalizzazione”. 89 Cfr. Del. AEEG 26.06.2002, n. 120/02 (http://www.autorita.energia.it/docs/02/120-02.htm). 90 L’eliminazione in oggetto risulta, pertanto, condizionata all’accertamento definitivo circa l’effettiva debenza del tributo contestato. Infatti, nella medesima delibera (cit. in nota Errore. Il segnalibro non è definito.), l’AEEG aggiunge che “la richiesta di espunzione dalle proposte della Snam Rete Gas del costo conseguente al tributo ambientale della Regione Sicilia è dovuta esclusivamente alla disapplicazione della disposizione regionale che istituisce detto tributo, non essendovi altre ragioni per negare l’approvazione, con la conseguenza che, ove fosse successivamente e definitivamente accertata la debenza del tributo regionale, ne deriverebbe la considerazione in tariffa del costo, con effetto dalla data della [presente] deliberazione [120/02]”.

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siciliano, rigetta l’istanza della ricorrente, muovendo dal rilievo che “la delibera impugnata, al di là del suo carattere formale di diniego di approvazione delle proposte tariffarie, riveste in sostanza il limitato valore di stimolo all’esercizio dei mezzi apprestati dall’ordinamento per reagire all’illegittima pretesa tributaria”: ovvero, il ricorso alla competente commissione tributaria (sent. n. 130 del 24.01.2203)91;

(viii) a seguire, con sentenza 5.12.2003, n. 351, la Corte Costituzionale si pronuncia sul ricorso originariamente presentato dal Commissario dello Stato, dichiarando cessata la materia del contendere per mancata promulgazione delle disposizioni impugnate92;

(ix) nel frattempo, però, Snam Rete Gas ricorre dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Palermo, la quale, accertata l’illegittimità del tributo per violazione della normativa comunitaria (in quanto avente natura di dazio), ne dispone la disapplicazione e, per l’effetto, condanna la regione Sicilia alla restituzione delle somme pagate dalla ricorrente (sent. 1203 del 5.01.2004)93;

(x) in aggiunta, nel mese di luglio 2004, la Commissione Europea richiede all’Italia (sotto forma di parere motivato ex art. 226 Tr. CE) di abolire il tributo ambientale in esame, in quanto contrario alla tariffa doganale comune dell’Unione Europea94;

(xi) sennonché, stante l’inerzia manifestata dalle autorità italiane, nel mese di dicembre 2004 la stessa Commissione adisce la Corte di Giustizia, dinnanzi a cui sembra tutt’ora pendente l’ultima fase della procedura di infrazione intentata contro l’Italia (ex art. 226 Tr. CE) per non aver reso conforme ai principi comunitari la legislazione interna relativa al “tubatico siciliano”95.

4.3.3. Le proposte dell’AGCM per incentivare la concorrenza

Nonostante la completa liberalizzazione dal lato della domanda, testimoniata dalla facoltà di scegliere liberamente il proprio fornitore, stenta a decollare una concorrenza effettiva fra operatori dal lato dell’offerta. L’Indagine conoscitiva svolta

91 Cfr. par. 5 della sentenza n. 130 emessa dal TAR Lombardia, Sez. II, il 21 novembre-19 dicembre 2002, depositata in cancelleria il 24.01.2003 (http://www.giustizia-amministrativa.it/Sentenze/MI_200300130_SE.doc). 92 Cfr. Corte Cost., sent. n. 351 del 5.12.2003 (sent. 351/03), pubblicata in G.U. 10.12.2003 (http://www.cortecostituzionale.it/ita/attivitacorte/pronunceemassime/massime/schedaMS.asp?Comando=LET&NoMS=28115&TrmT=&TrmL=). 93 Sul punto, cfr. la nota a sentenza di F. MORFINI, nella Rivista della Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze, ANNO I, Numero 10, Ottobre 2004 (http://rivista.ssef.it/site.php?page=20040216102505842&edition=2004-08-01). 94 Come da relativo comunicato stampa del 19 luglio 2004; IP/04/948 (http://europa.eu.int/rapid/pressReleasesAction.do?reference=IP/04/948&format=HTML&aged=1&language=en&guiLanguage=en). 95 Come da relativo comunicato stampa del 20 dicembre 2004; IP/04/1504 (http://europa.eu.int/rapid/pressReleasesAction.do?reference=IP/04/1504&format=HTML&aged=0&language=en&guiLanguage=en).

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dall’AGCM e dall’AEEG sullo stato della liberalizzazione del settore del gas naturale96 ha messo in luce, del resto, che il mercato italiano del gas risulta ancora caratterizzato da insufficienti livelli di concorrenza e, soprattutto, da prezzi superiori a quelli dei principali mercati europei. Si è dunque concluso che la definizione nazionale di norme di liberalizzazione relativamente avanzate rispetto alla media dei Paesi aderenti all’Unione europea è condizione necessaria, ma non sufficiente, per il raggiungimento di un adeguato contesto concorrenziale nel mercato della vendita del gas naturale.

Invero, nello svolgimento dell’indagine sono state riscontrate varie criticità, fra cui una persistente posizione dominante di Eni nella fase dell’approvvigionamento, sia in relazione alla produzione di gas, sia grazie al canale -ben più significativo- delle importazioni, da cui dipende di gran lunga la disponibilità di gas del nostro Paese (atteso che da vari anni le importazioni rappresentano circa l’80% del gas immesso in rete). E’ stato accertato, in particolare, che Eni controlla tutte le infrastrutture di trasporto internazionale utilizzate per l’importazione di gas in Italia, in virtù delle garanzie storicamente prestate per il finanziamento di tali opere. Le medesime infrastrutture, per di più, sono saturate dal gas veicolato in esecuzione dei contratti a lungo termine di “take-or-pay” stipulati e/o rinegoziati da Eni poco prima che entrassero in vigore le misure di liberalizzazione di cui alla DIR. 98/30/CE (secondo una logica evidentemente opportunistica).

Anche i tetti antitrust imposti al fine di sottrarre progressivamente ad Eni il controllo del gas immesso sul territorio nazionale sono stati sostanzialmente aggirati mediante vari “escamotage”, fra cui, in particolare, le cessioni di gas libico (sostanzialmente dipendenti da Eni, attraverso il controllo esercitato sul fornitore del gas in territorio libico e sulla relativa infrastruttura di trasporto) e le cd. “vendite innovative” (acquisiti oltre frontiera di gas di Eni da parte di altri operatori divenuti, di fatto, “clienti-concorrenti” dell’ex-monopolista). Il risultato è stato, in breve, un “sostanziale fallimento (…) del tentativo di creare condizioni concorrenziali nel segmento dell’approvvigionamento”97.

Come risultato, si assiste ad un duplice fenomeno: (i) una forte concentrazione nei segmenti di mercato a monte della vendita ed (ii) un’aggregazione degli operatori a valle, prevalentemente orientata alla costituzione di monopoli locali (su scala provinciale o regionale). I prezzi finali non hanno sperimentato, pertanto, alcuna tendenza al ribasso. L’AEEG ha previsto, anzi, che il venditore finale presenti, accanto alle proprie condizioni economiche, anche un prezzo di riferimento calcolato in base a parametri predeterminati, allo scopo di garantire i consumatori da eventuali rincari. Di fatto, come evidenziato in dottrina, “in presenza di una sostanziale continuità della struttura di mercato, permane ancora la necessità di regolare i monopoli locali attraverso il controllo del loro potere di mercato”98.

A fronte di tali esiti, le Autorità summenzionate hanno proposto alcune misure per incentivare la concorrenza, fra le quali:

(i) la creazione di un operatore indipendente del sistema che detenga e gestisca le infrastrutture di trasporto e stoccaggio (sostanzialmente in

96 L’indagine, avviata il 20 febbraio 2003, si è conclusa il 17 giugno 2004. Al riguardo, cfr. il provv. AGCM n. 13267 del 17.06.2004, in Boll. 25/2004, pagg. 41-58 (http://www.agcm.it/agcm_ita/BOLL/BOLLETT.NSF/0ef77801432afc41c1256a6f004d522a/cca1782772cced80c1256ec8002c54c1?OpenDocument). 97 Par. 1.6 dell’Indagine (cit. in nota Errore. Il segnalibro non è definito.). 98 Cfr. L. AMMANNATI, pag. 20 (doc. cit. in nota Errore. Il segnalibro non è definito.).

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mano ad Eni, ad oggi, attraverso le controllate Snam Rete Gas S.p.A.99 e Stogit S.p.A.100) pienamente separato nella proprietà da Eni;

(ii) lo sviluppo di un mercato centralizzato (o Borsa del Gas) integrato con gli altri mercati europei; e

(iii) la cessione, da parte di Eni, di adeguati quantitativi di gas ad un prezzo prossimo al costo di approvvigionamento e senza controllo sui destinatari (“gas release”).

L’adozione di alcuni correttivi suggeriti al termine dell’Indagine in parola potrebbe avvenire, peraltro, in sede di recepimento della DIR. 55/2003/CE, atteso che la stessa non ha ancora trovato, in Italia, piena attuazione.

Giova infine segnalare che il 15 febbraio 2006 l’AGCM ha comminato all’Eni una sanzione pari a 290 milioni di euro per un abuso di posizione dominante sul mercato nazionale dell’approvvigionamento all’ingrosso di gas naturale perpetrato attraverso l’interruzione della procedura di potenziamento del gasdotto TTPC (il “Trans Tunisian Pipeline”). La citata sanzione pecuniaria avrebbe dovuto essere maggiore (390 milioni), ma durante l’istruttoria Eni ha offerto di assumere degli impegni consistenti nella ripresa accelerata degli investimenti sui gasdotti verso l’Austria e l’Algeria e la cessione ad operatori terzi di capacità di trasporto addizionale sui gasdotti in oggetto. L’AGCM ha valutato positivamente tali impegni, li ha trasformati in condizioni ed ha ridotto la sanzione.

5. La legislazione regionale in Lombardia, Toscana, Lazio, Campania, Sicilia, Puglia e Sardegna 5.1. Il settore delle telecomunicazioni 5.1.1. Il rapporto Stato-Regioni in materia di telecomunicazioni

A livello costituzionale, l’articolo 117, che detta la ripartizione di competenze tra Stato e Regioni, riconosce nella esclusiva competenza legislativa del primo “la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio e la tutela delle concorrenza”. Rientrano nell’ambito della legislazione concorrente, invece, le materie che attengono a “grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento delle comunicazioni; produzione, trasporto e distribuzione dell’energia”.

Nell’ambito del richiamato elenco di materie, al quale, com’è noto, «è, in massima parte, rimessa la funzione di individuare il punto di equilibrio tra le ragioni dell’unità e quelle dell’autonomia: tra gli interessi unitari ed infrazionabili (il cui soddisfacimento richiede l’intervento del legislatore statale) e le esigenze di differenziazione (che chiamano in causa i legislatori periferici)», l’«ordinamento della comunicazione» rientra tra le materie di legislazione concorrente (art. 117, comma 3, Cost.).

In via preliminare, si precisa che la formula “ordinamento della comunicazione” - sebbene nella sua assolutezza semantica potrebbe far ritenere che tutte le forme di comunicazione (da quella «interindividuale e riservata» a quella «pubblica e impersonale»), e quale che sia il mezzo trasmissivo da esse utilizzato, rientrino, sia pure per la sola disciplina di dettaglio, nella competenza legislativa concorrente – concerne

99 Cfr. http://www.snamretegas.it/italiano/. 100 Cfr. http://www.stogit.it/italiano/.

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esclusivamente le telecomunicazioni e la radiotelevisione (ossia le comunicazioni elettroniche).

Peraltro, la stessa previsione costituzionale contenuta nell’articolo 117, anche nell’interpretazione “restrittiva” sopra riportata, risulta mutata a seguito dell’adozione della dir. 2002/21/CE (cd. direttiva «quadro») del Consiglio e del Parlamento europeo nell’ambito delle direttive in materia di comunicazione elettronica.

Con tale direttiva, infatti, come sottolineato da autorevole dottrina, l’Unione europea ha limitato la stessa autonomia degli Stati «nello scegliere l'assetto organizzativo e il funzionamento dell'autorità di regolazione»: «(g)li Stati nazionali, dopo la nuova direttiva, non sono più liberi di stabilire l’organizzazione, i compiti, le procedure e l’attività delle autorità di regolazione, perché ognuno di questi quattro aspetti è condizionato da principi dettati dalla direttiva quadro (…). Per l’organizzazione, l’art. 3, commi 1-3, stabilisce i seguenti vincoli: che tutti i compiti assegnati alle autorità nazionali siano affidati a un organismo competente; che esso sia distinto legalmente e (sia) funzionalmente indipendente dagli operatori; che esso eserciti i suoi poteri imparzialmente e in modo trasparente»101.

Ebbene, da quanto sopra discende una decisiva conseguenza sul rapporto Stato – Regioni nella disciplina delle comunicazioni elettroniche.

“Poiché la competenza a porre in essere la regolamentazione delle reti di comunicazione elettronica è stata intestata ad autorità nazionali (art. 3), ne consegue che è il solo legislatore statale a poter disciplinare, anche nel dettaglio, le competenze dell’autorità nazionale di regolazione siano esse attribuite alla sola AgCom - come dovrebbe essere alla luce del disegno comunitario che pretende l’indipendenza e l’imparzialità di tali autorità: art. 3, commi 2 e 3, dir. 2002/21/CE - o anche al Ministero delle comunicazioni, come invece disposto dall’art. 7 d.lvo 1° agosto 2003, n. 259”102.

Tale conclusione si ritiene non possa essere messa in dubbio neppure dalla premessa secondo cui le norme comunitarie non potrebbero comportare «un’alterazione nell’ordine delle competenze attribuite dalla Costituzione».

Sul rapporto tra norme comunitarie e ordine delle competenze attribuite dalla costituzione di uno Stato membro si è pronunciata, in più di una decisione, la Corte Costituzionale ancor prima della stessa legge cost. n. 3 del 2001. Secondo la Corte, al fine di esigere il rispetto da parte della UE dell’ordine delle competenze costituzionali degli Stati membri, il conflitto con la carta costituzionale deve essere fatto positivamente valere dallo Stato interessato dinanzi alla Corte di Giustizia del 101 S. CASSESE, “Il concerto regolamentare europeo delle telecomunicazioni”, in G. Morbidelli e F. Donati (a cura di), “Comunicazioni: verso il diritto della convergenza?”, Torino, Giappichelli, 2003, pag. 33 e ss. 102 Cfr. A. Pace, “L'ordinamento delle telecomunicazioni”, in Diritto Pubblico, 2004, n. 3, pp. 939-964. L’articolo riproduce una delle relazioni al Convegno su «Le garanzie nel sistema locale delle comunicazioni: le deleghe ai Co.re.com.» organizzato dal Formez e dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, tenuto a Roma il 5 ottobre 2004. Alla conclusione dell’esclusione della potestà legislativa delle Regioni in materia di telecomunicazioni pervengono, seppure attraverso un iter argomentativo diverso da quello di A.Pace, G. De Minico, Brevi note sul segmento delle telecomunicazioni , in L. Chieffi e G. Clemente di San Luca (cur.), Regioni ed enti locali dopo la riforma del titolo V della Costituzione fra attuazione ed ipotesi di ulteriore revisione, Giappichelli, Torino, 2004, p. 242 e M. Orofino, “L’ordinamento della comunicazione tra direttive comunitarie e riforma del titolo V della Parte II della Costituzione”, Giappichelli, Torino, 2003, p. 103. In particolare secondo la prima l’esclusione della materia dal perimetro di competenza regionale sarebbe l’unica coerente con l’unicità del mercato, con l’armonizzazione dell’implementazione normativa, con la disciplina uniforme ad ogni livello.

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Lussemburgo, e ciò sempre che la violazione dell’ordine interno delle attribuzioni costituzionali - da parte degli organi comunitari - derivi da un abuso delle funzioni ad essi spettanti in forza dei Trattati vigenti.

Ebbene, né lo Stato italiano, né le Regioni hanno ritenuto di dover impugnare le direttive de quibus davanti alla Corte di Giustizia comunitaria, anzi le stesse sono state recepite nel nostro ordinamento con il d.lvo 1° agosto 2003, n. 259.

Le considerazioni svolte conducono alla conclusione che, “ove una Regione pretendesse di legiferare in materia di reti di comunicazione elettronica, essa violerebbe l’art. 117, comma 1, Cost. (nella parte in cui vincola il legislatore all’ordinamento comunitario), per il fatto stesso di aver contravvenuto la norma interposta, nella specie costituita dall’art. 1, comma 1, dir. 2002/21/CE. Unico spazio disponibile alla potestà legislativa concorrente delle Regioni, per ciò che riguarda le reti, è infatti solo quello relativo alla localizzazione degli impianti, come riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale nella sent. n. 324 del 2003103, ancorché nell’ambito di una decisione di accoglimento di una legge regionale”104.

Riferendosi alle materie «governo del territorio», «tutela della salute» e «ordinamento della comunicazione», la Corte ha infatti affermato che «non può escludersi una competenza della legge regionale in materia, che si rivolga alla disciplina di quegli aspetti della localizzazione e dell’attribuzione dei siti di trasmissione che esulino da ciò che risponde propriamente a quelle esigenze unitarie alla cui tutela sono preordinate le competenze legislative dello Stato nonché le funzioni affidate all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni».

Ai fini di una compiuta analisi del riparto di competenze tra Stato e Regioni, rilevano oltre il disposto costituzionale sopra esaminato, anche le norme contenute nel Capo V, Titolo II, del Codice sulle Comunicazioni elettroniche, dedicato all’acquisizione dei titoli abilitativi richiesti per l’installazione di reti ed impianti.

Deve, infine, essere considerata anche la legge quadro 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge quadro sulla protezione delle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici) che si applica a tutti gli impianti che possono comportare l'esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici con frequenze comprese tra 0 Hz e 300 GHz, e in particolare sia agli elettrodotti, sia agli impianti radioelettrici (art. 2, comma 1).

Tale legge stabilisce, infatti, distintamente le funzioni spettanti allo Stato (artt. 4 e 5) e le competenze delle Regioni e degli enti locali (art. 8), e disciplina specificamente i piani di risanamento (art. 9), i controlli (art. 14), le sanzioni (art. 15) e il regime transitorio applicabile in attesa dell'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sulle soglie di esposizione per la popolazione, previsto dall'art. 4, comma 2.

In particolare, nel sistema della legge 36/2001, gli standard di protezione dall'inquinamento elettromagnetico si distinguono (art. 3) in "limiti di esposizione", definiti come valori di campo elettrico, magnetico ed elettromagnetico che non devono essere superati in alcuna condizione di esposizione della popolazione e dei lavoratori per assicurare la tutela della salute; "valori di attenzione", intesi come valori di campo da non superare, a titolo di cautela rispetto ai possibili effetti a lungo termine, negli ambienti abitativi e scolastici e nei luoghi adibiti a permanenze prolungate; e "obiettivi di qualità".

La legge attribuisce: 103 Vedasi anche le sentenze 307 e 308 del 2003. 104 Cfr. A. Pace, L’ordinamento delle telecomunicazioni, cit.

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(i) allo Stato la determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità del primo dei due tipi indicati, cioè dei valori di campo definiti ai fini della ulteriore progressiva "minimizzazione" dell'esposizione (art. 4, comma 1, lettera a);

(ii) alla competenza delle Regioni l’indicazione degli obiettivi di qualità del secondo dei tipi indicati, consistenti in criteri localizzativi, standard urbanistici, prescrizioni e incentivazioni (art. 3, comma 1, lettera d, n. 1, e art. 8, comma 1, lettera e).

E’ evidente come la logica della legge sia quella di affidare allo Stato la fissazione delle "soglie" di esposizione e alle Regioni la disciplina dell'uso del territorio in funzione della localizzazione degli impianti, cioè le ulteriori misure e prescrizioni dirette a ridurre il più possibile l'impatto negativo degli impianti sul territorio.

Sul punto merita inoltre di essere precisato come l’attuale sistema non consente alle Regioni di fissare valori-soglia più bassi, o regole più rigorose o tempi più ravvicinati per la loro adozione. Un tale intervento a livello regionale sarebbe ammissibile solo ove l’obiettivo di tali limiti fosse esclusivamente di tutelare la salute dai rischi dell'inquinamento elettromagnetico.

In realtà, come la stessa Corte Costituzionale ha affermato Sentenza 1° - 7 ottobre 2003, n. 307, “la fissazione di valori-soglia risponde ad una ratio più complessa e articolata. Da un lato, infatti, si tratta effettivamente di proteggere la salute della popolazione dagli effetti negativi delle emissioni elettromagnetiche (e da questo punto di vista la determinazione delle soglie deve risultare fondata sulle conoscenze scientifiche ed essere tale da non pregiudicare il valore protetto); dall'altro, si tratta di consentire, anche attraverso la fissazione di soglie diverse in relazione ai tipi di esposizione, ma uniformi sul territorio nazionale, e la graduazione nel tempo degli obiettivi di qualità espressi come valori di campo, la realizzazione degli impianti e delle reti rispondenti a rilevanti interessi nazionali, sottesi alle competenze concorrenti di cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione, come quelli che fanno capo alla distribuzione dell'energia e allo sviluppo dei sistemi di telecomunicazione. Tali interessi, ancorché non resi espliciti nel dettato della legge quadro in esame, sono indubbiamente sottesi alla considerazione del "preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee" che, secondo l'art. 4, comma 1, lettera a, della legge quadro, fonda l'attribuzione allo Stato della funzione di determinare detti valori-soglia. In sostanza, la fissazione a livello nazionale dei valori-soglia, non derogabili dalle Regioni nemmeno in senso più restrittivo, rappresenta il punto di equilibrio fra le esigenze contrapposte di evitare al massimo l'impatto delle emissioni elettromagnetiche, e di realizzare impianti necessari al paese, nella logica per cui la competenza delle Regioni in materia di trasporto dell'energia e di ordinamento della comunicazione è di tipo concorrente, vincolata ai principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato”. 5.1.2. Profili anticoncorrenziali desunti dall’analisi della legislazione regionale

Di seguito, si riportano le principali evidenze emerse dall’analisi della normativa regionale.

In via preliminare si segnala che su diverse legge regionali si è pronunciata la Corte Costituzionale dichiarando l’illegittimità delle disposizioni che, ad esempio, introducevano a livello regionale valori-soglia più bassi o rigorosi di quelli previsti dalla

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legge quadro, pregiudicando in tal modo l’interessa nazionale allo sviluppo di un sistema di comunicazioni (sentenze 307, 308 e 324 del 2003).

In particolare si segnala la L.R. 11 maggio 2001, n. 11 (Lombardia) che, al fine di salvaguardare la salubrità e la sicurezza negli ambienti di vita e di proteggere la popolazione dall'esposizione ai campi elettromagnetici a radiofrequenza e microonde, in attuazione del decreto ministeriale 10 settembre 1998, n. 381 (Regolamento recante norme per la determinazione dei tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana) ed in conformità alla legge 22 febbraio 2001 n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici) detta indirizzi per l'ubicazione, l'installazione, la modifica ed il risanamento degli impianti per le telecomunicazioni e la radiotelevisione. In merito a tale legge, si è pronunciata la Corte Costituzionale che, con sentenza 27 ottobre-7 novembre 2003, n. 331 (Gazz. Uff. 12 novembre 2003, n. 45 - 1a serie speciale), ha dichiarato tra l'altro l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 12, lettera a) della L.R. 6 marzo 2002, n. 4 (che aveva sostituito il comma 8 dell’art. 4 della L.R. 11 maggio 2001, n. 11) nella misura in cui vietava, senza limitazioni, l'installazione di impianti per le telecomunicazioni e per la radiotelevisione in corrispondenza di asili, edifici scolastici nonché strutture di accoglienza socio-assistenziali, ospedali, carceri, oratori, parco giochi, orfanotrofi e strutture similari, e relative pertinenze, che ospitano soggetti minorenni. Il comma del citato articolo è stato riformato, circoscrivendo il divieto all’installazione di impianti per le telecomunicazioni entro il limite inderogabile di 75 metri di distanza dal perimetro di proprietà di asili, scuole, ecc.

Ai fini della presente analisi si segnala, inoltre, la L.R. 8 marzo 2002, n. 5 (Puglia), in particolare l’articolo 7 che prevede che la Giunta regionale, entro novanta giorni dalla data di presentazione dei "Piani annuali di installazione", si esprime su detti piani o ne suggerisce modifiche, finalizzate a minimizzare l'eventuale esposizione della popolazione, anche in relazione alla tipologia e alle caratteristiche degli impianti già esistenti oltreché all'insieme degli impianti da installare, compatibilmente con la qualità del servizio svolto dal sistema. La disposizione si segnala per l’ampiezza dei poteri riconosciuti alla Giunta regionale che può suggerire modifiche al piano con il solo limite della “compatibilità” con la qualità del servizio svolto dal sistema. 5.2. Il settore energetico (energia elettrica e gas) 5.2.1. Il rapporto Stato-Regioni in materia energetica

A livello costituzionale, l’articolo 117, che detta la ripartizione di competenze tra Stato e Regioni, riconosce nella esclusiva competenza legislativa del primo “la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio e la tutela delle concorrenza”. Rientrano nell’ambito della legislazione concorrente, invece, le materie che attengono la “produzione, trasporto e distribuzione dell’energia”.

Il decreto Marzano ha successivamente attenuato la portata del novellato articolo 117, disponendo che “gli obiettivi e le linee della politica energetica nazionale, nonché i criteri generali per la sua attuazione a livello territoriale, sono elaborati e definiti dallo Stato che si avvale anche dei meccanismi di raccordo e di cooperazione con le autonomie regionali previsti dalla presente legge” 105.

105 Nel testo del decreto sono indicati anche in modo tassativo i compiti e le funzioni amministrative riconosciute alla competenza dello Stato. In particolare, l’art. 1, co. 7 e co. 8, lett. “a”, legge 239/04

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prevede quanto segue: “sono esercitati dallo Stato, anche avvalendosi dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, i seguenti compiti e funzioni amministrative: a) le determinazioni inerenti l'importazione e l'esportazione di energia; b) la definizione del quadro di programmazione di settore; c) la determinazione dei criteri generali tecnico-costruttivi e delle norme tecniche essenziali degli impianti di produzione, trasporto, stoccaggio e distribuzione dell'energia, nonché delle caratteristiche tecniche e merceologiche dell'energia importata, prodotta, distribuita e consumata; d) l'emanazione delle norme tecniche volte ad assicurare la prevenzione degli infortuni sul lavoro e la tutela della salute del personale addetto agli impianti di cui alla lettera c); e) l'emanazione delle regole tecniche di prevenzione incendi per gli impianti di cui alla lettera c) dirette a disciplinare la sicurezza antincendi con criteri uniformi sul territorio nazionale, spettanti in via esclusiva al Ministero dell'interno sulla base della legislazione vigente; f) l'imposizione e la vigilanza sulle scorte energetiche obbligatorie; g) l'identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale con riferimento all'articolazione territoriale delle reti infrastrutturali energetiche dichiarate di interesse nazionale ai sensi delle leggi vigenti ; h) la programmazione di grandi reti infrastrutturali energetiche dichiarate di interesse nazionale ai sensi delle leggi vigenti; i) l'individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti strategici, ai sensi della legge 21 dicembre 2001, n. 443, e del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, al fine di garantire la sicurezza strategica, ivi inclusa quella degli approvvigionamenti energetici e del relativo utilizzo, il contenimento dei costi dell'approvvigionamento energetico del Paese, lo sviluppo delle tecnologie innovative per la generazione di energia elettrica e l'adeguamento della strategia nazionale a quella comunitaria per le infrastrutture energetiche; l) l'utilizzazione del pubblico demanio marittimo e di zone del mare territoriale per finalità di approvvigionamento di fonti di energia; m) le determinazioni in materia di rifiuti radioattivi; n) le determinazioni inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, ivi comprese le funzioni di polizia mineraria, adottate, per la terraferma, di intesa con le regioni interessate; o) la definizione dei programmi di ricerca scientifica in campo energetico, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano; p) la definizione dei princìpi per il coordinato utilizzo delle risorse finanziarie regionali, nazionali e dell'Unione europea, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281; q) l'adozione di misure temporanee di salvaguardia della continuità della fornitura, in caso di crisi del mercato dell'energia o di gravi rischi per la sicurezza della collettività o per l'integrità delle apparecchiature e degli impianti del sistema energetico; r) la determinazione dei criteri generali a garanzia della sicurezza degli impianti utilizzatori all'interno degli edifici, ferma restando la competenza del Ministero dell'interno in ordine ai criteri generali di sicurezza antincendio. 8. Lo Stato esercita i seguenti compiti e funzioni: a) con particolare riguardo al settore elettrico, anche avvalendosi dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas: 1) il rilascio della concessione per l'esercizio delle attività di trasmissione e dispacciamento nazionale dell'energia elettrica e l'adozione dei relativi indirizzi; 2) la stipula delle convenzioni per il trasporto dell'energia elettrica sulla rete nazionale; 3) l'approvazione degli indirizzi di sviluppo della rete di trasmissione nazionale, considerati anche i piani regionali di sviluppo del servizio elettrico; 4) l'aggiornamento, sentita la Conferenza unificata, della convenzione tipo per disciplinare gli interventi di manutenzione e di sviluppo della rete nazionale e dei dispositivi di interconnessione; 5) l'adozione di indirizzi e di misure a sostegno della sicurezza e dell'economicità degli interscambi internazionali, degli approvvigionamenti per i clienti vincolati o disagiati, del sistema di generazione e delle reti energetiche, promuovendo un accesso più esteso all'importazione di energia elettrica; 6) l'adozione di misure finalizzate a garantire l'effettiva concorrenzialità del mercato dell'energia elettrica; 7) la definizione dei criteri generali per le nuove concessioni di distribuzione dell'energia elettrica e per l'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio degli impianti di generazione di energia elettrica di

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Nel decreto viene nuovamente riconosciuta e valorizzata “l’unicità del mercato dell’energia”, anche al fine di migliorare la tutela della concorrenza in materia.

Secondo quanto evidenziato dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza n. 383/2005, la legge n. 239/2004, di riordino dell’intero settore energetico, appare caratterizzata “sul piano del modello organizzativo e gestionale, dalla attribuzione dei maggiori poteri amministrativi ad organi statali, in quanto evidentemente ritenuti gli unici a cui non sfugge la valutazione complessiva del fabbisogno nazionale di energia e quindi idonei ad operare in modo adeguato per ridurre eventuali situazioni di gravi carenze a livello nazionale…non sembrano esservi problemi al fine di giustificare in linea generale disposizioni legislative come quelle in esame dal punto di vista della ragionevolezza della chiamata in sussidiarietà, in capo ad organi dello Stato, di funzioni amministrative relative ai problemi energetici di livello nazionale, al fine di assicurare il loro indispensabile esercizio unitario”. 5.2.2. Profili anticoncorrenziali desunti dall’analisi della legislazione regionale

Di seguito, si riportano le principali evidenze emerse dall’analisi della normativa regionale.

L’art. 30 della L.R. della regione Toscana del 24-2-2005 n. 39 (“Disposizioni in materia di energia”) configura una disciplina autonoma della concorrenza nel settore energetico a livello regionale: in particolare, il comma 1 prevede un termine diverso (il primo gennaio 2006) rispetto a quello nazionale (primo gennaio 2007: secondo il dettato dell’art. 14, comma 5 quinquies del d.lgs. 79/1999, da ultimo ribadito dalla Dir. 2003/54/CE, art. 21) a partire dal quale far scattare l’effettiva liberalizzazione del mercato energetico, mentre i commi 3 e 4 prefigurano indebite ingerenze regionali nella materia della concorrenza, addirittura prevedendo una disciplina specifica per i contratti diretti tra produttore e cliente idoneo106; ne deriva una disciplina differenziata della concorrenza, a base regionale, in materia di energia. Nei confronti della legge citata, si segnala come il Governo abbia promosso un giudizio davanti alla Corte Costituzionale, ai sensi dell’art. 127 Cost., nella misura in cui la stessa ha illegittimamente disciplinato molte delle materie riservate allo Stato dalla legge n. 239/2004, invadendo quindi le competenze statali ritenute legittime dalla Corte con la sentenza n. 383/2005. potenza termica superiore ai 300 MW, sentita la Conferenza unificata e tenuto conto delle linee generali dei piani energetici regionali”. 106 Art. 30 L.R. 39/2005 “Promozione dei mercati dell'energia elettrica e del gas. (1) A decorrere dal 1 gennaio 2006 ogni cliente finale domestico di energia elettrica nel territorio regionale può acquisire la qualifica di cliente idoneo di cui al D.Lgs. n. 79/1999 dando comunicazione al suo fornitore di recedere dal preesistente contratto di fornitura secondo procedure stabilite con deliberazione di Giunta regionale. (2) La Regione, tramite accordo con le associazioni dei consumatori e avvalendosi anche della R.E.A. S.p.A., promuove attività di orientamento per chi ha acquisito o acquisirà la qualifica di cliente idoneo ai sensi della presente legge, del D.Lgs. n. 79/1999 o del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164 (Attuazione della direttiva n. 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell'articolo 41 della legge 17 maggio 1999, n. 144.). (3) Nel caso di persistenza di situazioni dominanti nel mercato dell'energia elettrica e gas in ambito regionale, la Regione promuove per quanto di sua competenza misure a favore dello sviluppo della concorrenza, propone ai competenti organismi nazionali misure in tal senso, impone ai soggetti di distribuzione e di fornitura obblighi di comunicazione e trasparenza verso i clienti aventi le medesime finalità. (4) Sono consentiti contratti diretti fra produttore di energia elettrica e cliente idoneo nel rispetto delle disposizioni dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas. Entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, la Giunta regionale emana una disciplina specifica tesa anche alla diffusione di tali contratti per i clienti idonei collocati in aree limitrofe ai produttori e in particolare connessi a questi con un collegamento fisico diretto”.

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Si segnala, inoltre, l’art. 12 (“Insediamento elettrodotti”) della Proposta di Legge Lazio, deliberata da Giunta Regionale il 25/2/2006, recante“Norme concernenti gli impianti radioelettrici con frequenza di trasmissione fino a 300 Ghz e gli elettrodotti”, per i seguenti aspetti:

(i) con riguardo alla previsione di distanze specifiche (50 o 100 metri) degli elettrodotti da aree e manufatti di varia tipologia (aree vincolate, ospedali, parchi gioco), la disposizione regionale contrasta con i principi fondamentali contenuti nella Legge 36/01, nella misura in cui aggiunge limiti di cautela espressi in distanze;

(ii) la previsione del divieto di inserire nuove cabine elettriche a media tensione all’interno di edifici contrasta con la legge 36/2001 in base alla quale tali cabine devono esclusivamente rispettare i “valori-soglia”, espressi in termini di limiti e non di distanze;

(iii) la previsione di aree in cui l’autorizzazione per nuovi elettrodotti è rilasciata dalla Regione solo ed esclusivamente a condizione che l’elettrodotto venga realizzato con cavo interrato, pone vincoli ulteriori non richiesti dalla normativa nazionale che pregiudicano l'interesse, protetto dalla legislazione nazionale, alla realizzazione delle reti elettriche.

6. Le misure per la liberalizzazione del mercato dell’energia contemplate nel nuovo pacchetto “Bersani” Prima di trarre alcune conclusioni in merito al “federalismo energetico”, sembra opportuno completare la descrizione del quadro normativo vigente con un breve accenno alla normativa “in fieri”. A questo proposito, riveste particolare interesse il nuovo pacchetto “Bersani” sull’energia, approvato dal Consiglio dei Ministri il 9 giugno 2006 per la successiva presentazione dello stesso alle Camere107.

Il disegno di legge in esame, recante “Misure per la liberalizzazione del mercato dell’energia, per la razionalizzazione dell’approvvigionamento, per il risparmio energetico e misure immediate per il settore energetico”, si inserisce nel solco tracciato dal precedente decreto “Competitività” (il decreto legge 14.03.2005, n. 35, convertito in legge 15.05.2005, n. 80)108, sebbene miri ad introdurre innovazioni dalla portata decisamente più incisiva in relazione alle dinamiche del mercato energetico.

A ben vedere, si tratta peraltro di misure pressoché obbligate o proposte, quanto meno, sotto la pressione incalzante della Commissione europea. Quest’ultima, infatti, ha notificato allo Stato italiano, nel mese di aprile 2006, due lettere di messa in mora per mancato recepimento delle ultime direttive in materia energetica, lamentando (i) l’assenza o l’insufficienza di separazione gestionale dei gestori delle reti di trasporto del gas per garantirne l’indipendenza, (ii) l’assenza o l’insufficienza di separazione dei gestori delle reti di distribuzione dell’energia elettrica e del gas per garantirne, anche in questo caso, l’indipendenza, (iii) l’esistenza di prezzi regolamentati che bloccano

107 Per l’informativa connessa, cfr. il comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 3 del 9 giugno 2006 (http://www.governo.it/Governo/Provvedimenti/dettaglio.asp?d=28315). 108 Si tratta, in particolare, delle misure a sostegno e garanzia dell’attività produttiva di cui all’art. 11 del decreto n. 35/05, volte a prorogare precedenti regimi di agevolazione tariffaria in favore di determinate categorie di utenza, nonché a prevedere l'affidamento, da parte della regione Sardegna, di una concessione integrata per la gestione della miniera di carbone del Sulcis e la produzione di energia elettrica, secondo le modalità di gara ivi previste.

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l’ingresso di nuovi concorrenti nel mercato elettrico e (iv) l’accesso preferenziale per alcuni contratti storici nel mercato dell’energia elettrica e del gas109.

Per evitare che l’Italia venga trascinata dinanzi alla Corte di Giustizia a causa di tali inadempienze, il disegno di legge Bersani prevede una delega di ampio respiro affinché il Governo provveda a completare il processo di liberalizzazione intrapreso, a suo tempo, mediante i decreti legislativi nn. 79/99 e 164/00. Ai fini della presente trattazione, preme evidenziare almeno tre delle misure ivi proposte.

In primo luogo, il conferimento di un potere di delega al Governo per “promuovere, nel rispetto dei principi di cui alle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE, un'effettiva concorrenza attraverso l'adozione delle misure relative alla separazione societaria, organizzativa e decisionale tra le imprese operanti nelle attività del trasporto e della distribuzione di energia elettrica e di gas naturale e dello stoccaggio di gas naturale e le imprese operanti nelle attività di produzione, approvvigionamento e vendita, prevedendo l'accesso non discriminatorio alle reti e all'attività di misura e, ove necessario, limiti alla partecipazione azionaria o forme di separazione proprietaria tra le attività di trasmissione di energia elettrica, trasporto e stoccaggio di gas naturale e le attività di produzione, approvvigionamento e vendita di energia elettrica e di gas naturale” (art. 1, co. 2, lett. “g”). In breve, si prevede la possibilità di contrastare gli effetti anticoncorrenziali derivanti dall’integrazione verticale degli ex-monopolisti storici mediante una separazione proprietaria, anziché meramente societaria o contabile.

In secondo ordine, nell’ottica di “promuovere la concorrenza nelle forniture di gas dall’estero”, il decreto prospetta una rimodulazione dei tetti antitrust imposti dal D.lgs. 164/00 per l’importazione di gas in Italia, “purché in presenza di effettive condizioni di reciprocità nel settore con le imprese di Stati non appartenenti all’Unione europea” (art. 1, co. 2, lett. “l”). Al riguardo, è interessante notare che già la legge n. 239/04, nell’intento di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti energetici nazionali, aveva munito il Presidente del Consiglio dei Ministri di un penetrante potere di intervento volto a definire condizioni e vincoli ai quali sottoporre eventualmente “operazioni di concentrazione di imprese operanti nei mercati dell’energia elettrica e del gas cui partecipino imprese o enti di Stati membri dell’Unione europea ove non sussistano adeguate condizioni di reciprocità”110. Il pacchetto Bersani tende a definire un nuovo ambito territoriale di applicazione del principio della reciprocità che da infra-comunitaria, con riferimento alle concentrazioni, norma di dubbia legittimità ai sensi dei principi giuridici dell’ordinamento comunitario, si applicherà, se adottato in questa forma, ai soli paesi non appartenenti all’Unione Europea, limitatamente all’importazione e vendita di gas in Italia.

109 Cfr. il comunicato stampa della Commissione europea del 4 aprile 2006 (http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=MEMO/06/152&format=HTML&aged=1&language=EN&guiLanguage=en). 110 In particolare, ai sensi dell’art. 1, co. 29 della legge n. 239/04 : “Fino alla completa realizzazione del mercato unico dell'energia elettrica e del gas naturale, in caso di operazioni di concentrazione di imprese operanti nei mercati dell'energia elettrica e del gas cui partecipino imprese o enti di Stati membri dell'Unione europea ove non sussistano adeguate garanzie di reciprocità, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, può, entro trenta giorni dalla comunicazione dell'operazione all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, definire condizioni e vincoli cui devono conformarsi le imprese o gli enti degli Stati membri interessati allo scopo di tutelare esigenze di sicurezza degli approvvigionamenti nazionali di energia ovvero la concorrenza nei mercati”.

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Infine, allo scopo di incentivare la realizzazione di nuove infrastrutture energetiche, il disegno di legge in esame prevede che venga istituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico un fondo “ad hoc” da utilizzarsi, fra l’altro, per finanziare interventi di carattere sociale a favore dei residenti nei territori interessati dalla “realizzazione di nuove infrastrutture di trasporto di energia, di coltivazione di idrocarburi, di stoccaggio di gas naturale o di importazione di energia elettrica o gas naturale che (…) abbiano rilevanza nazionale” (art. 4).

Nel complesso, si prospetta pertanto un mutamento significativo della regolamentazione attualmente vigente, considerando però che le proposte ministeriali innanzi illustrate potrebbero subire emendamenti a seguito del successivo esame parlamentare. Il disegno di legge in questione risulta infatti essere stato trasmesso al Parlamento soltanto in data 28 giugno 2006, mediante presentazione al Senato della Repubblica111. 7. Gli interventi necessari od opportuni sulla regolazione statale e regionale nelle materie in esame, per informarla ai principi della concorrenza: conclusioni e raccomandazioni Al termine di questa analisi normativa si possono svolgere alcune considerazioni conclusive in merito al rapporto che intercorre fra federalismo e concorrenza con riferimento ai settori esaminati e si possono quindi anche formulare alcune raccomandazioni.

Il dubbio circa l’insorgenza di potenziali conflitti fra Stato e Regioni connessi alla competenza normativa concorrente nei settori delle telecomunicazioni e dell’energia, alla luce della unitarietà invece della tutela della concorrenza, sorge spontaneo. Il rischio di confusione nella concreta applicazione del principio della competenza concorrente è massimo e si coglie dalla stessa lettura dell’art. 117 Cost. che, se da un lato mantiene in capo allo Stato una competenza trasversale quale la “tutela della concorrenza” e dell’ “ambiente”, d’altro canto attribuisce alle Regioni materie come il “governo del territorio”, la “salute”, ma anche apoditticamente l’”ordinamento della comunicazione”, la “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” (art. 117, co. 3, lett. “s”).

A giudicare dalle risultanze emerse dallo studio sembra, tuttavia, che finora l’impatto concreto della legislazione emanata dalle regioni sulla disciplina nazionale dettata a presidio della concorrenza sia di natura alquanto circoscritta, soprattutto a seguito di sentenze della Corte Costituzionale che hanno interpretato la competenza concorrente regionale in tali materie in senso molto restrittivo.

La ragione di questo fenomeno risiede, probabilmente, nel fatto che tutti i settori esaminati (telecomunicazioni, elettricità e gas) si collocano nell’area tipica dell’industria a rete che, per sua natura tecnica, richiede assetti regolatori unitari e coerenti e mal sopporta una regolamentazione frammentaria e diversificata. Inoltre, tali settori, a cui si riconosce universalmente una valenza strategica in termini di competitività del sistema economico e di benessere collettivo, sono, appunto, ormai disciplinati in modo unitario e coerente a livello comunitario, almeno per quanto concerne gli obiettivi generali imposti dall’Unione Europea ai legislatori nazionali.

Se un singolo Stato membro se ne discosta, non potrà farlo altro che per perseguire l’obiettivo di inserire nel sistema elementi di maggiore competitività, si pensi 111 Per ulteriori aggiornamenti sull’iter normativo del disegno di legge in questione, cfr. il documento del Senato n. 691 (http://www.senato.it/leg/15/BGT/Schede/Ddliter/25915.htm).

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ad esempio alla “rimodulazione” dei c.d. tetti antitrust ventilata nel disegno di legge recentemente presentato dal Governo in materia di energia (il “pacchetto Bersani”).

Non a caso, persino la recente legge di riforma costituzionale ispirata alla “devolution” (sebbene la stessa non abbia ottenuto l’approvazione referendaria di cui all’art. 138 Cost.) sembrava riportare verso lo Stato il baricentro delle competenze regionali astrattamente in conflitto con lo sviluppo di un mercato aperto e concorrenziale. Più precisamente, secondo tale progetto di riforma, sarebbero ricadute nelle materie di competenza esclusiva statale l’“ordinamento della comunicazione”, nonché la “produzione strategica, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia” (art. 39, co. 8), eliminando quindi la confusione potenziale creata dall’attuale formulazione dell’art. 117 e confinando invece la legislazione regionale in tali settori ad aree di interesse strettamente locale. Nello specifico, è stato riscontrato qualche tentativo regionale di “deviazione” rispetto a quanto previsto in linea generale dalla disciplina statale e/o comunitaria, ma si è trattato pur sempre di episodi sporadici dettati forse più che altro da una limitata comprensione dei meccanismi di funzionamento dei mercati relativi ai settori in questione o dal perseguimento di obiettivi economici immediati – ad esempio il tentativo di creare una normativa di tipo regolatorio/antitrust (sic!) specifica nel settore elettricità-gas o quello di imporre un tributo ambientale al passaggio delle tubazioni del gas - in precedenza illustrati.

Come detto, peraltro, la giurisprudenza ha arginato l’ampiezza delle competenze regionali, mirando a tutelare, piuttosto, lo sviluppo di quelle infrastrutture di rete considerate essenziali per la fruizione dei servizi di pubblica utilità da parte delle imprese e dei cittadini, nel rispetto dei principi e delle regole del diritto comunitario, anche di natura antitrust. Nel complesso, giova comunque evidenziare che il settore energetico, rispetto a quello delle telecomunicazioni in cui il problema è limitato alla localizzazione delle antenne e degli scavi per reti cablate, appare maggiormente esposto a rischi di sovrapposizione fra legislazione regionale e disciplina nazionale. In questo caso, infatti, si pongono più spiccati problemi di accettabilità sociale connessi alla creazione di nuove infrastrutture (come, ad esempio, i terminali di rigassificazione), poiché le stesse si scontrano inevitabilmente con interessi ambientali e paesaggistici di carattere locale. Sicché, in questi casi il coinvolgimento degli enti locali può confliggere con l’obiettivo nazionale di potenziare le infrastrutture esistenti, rallentandone –se non impedendone- l’attuazione.

D’altronde, l’opera di bilanciamento fra gli interessi legati alla tutela del territorio e della salute dei cittadini da una parte e la concorrenza nelle nuove iniziative economiche dall’altra dovrebbe essere già stata effettuata, a monte, dal legislatore nazionale, nell’ambito delle leggi-cornice alle quali si devono attenere le regioni nel legiferare in materie di competenza concorrente. E’ nel perimetro di tali principi, in concreto abbastanza stringenti, che dovrebbe svilupparsi la normativa regionale. Allo stato attuale, pertanto, non sembra possibile, né tanto meno auspicabile, che l’autonomia legislativa riconosciuta alle regioni stravolga gli assetti regolatori, frammentando la politica energetica in una moltitudine di politiche locali. Se così fosse, si prospetterebbe il rischio di una disciplina energetica “a geometria variabile” e a “macchia di leopardo”, in stridente contrasto con le esigenze di unitaria gestione delle infrastrutture di base che attraversano il Paese.

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Inoltre ciò, oltre che essere, come detto, in contrasto con le norme di liberalizzazione dettate dall’ordinamento comunitario, potrebbe facilitare pratiche opache di attribuzione di diritti di sfruttamento economico (ad esempio concessioni minerarie) non strettamente legate a logiche pro-concorrenziali di efficienza e pari opportunità imprenditoriale, ma alle “utilità” che l’ente concedente possa conseguire dall’attribuzione della concessione. Da ultimo, va rilevato che un quadro regolatorio chiaro ed uniforme costituisce uno dei presupposti affinché gli operatori di mercato possano agire in un contesto aperto al confronto concorrenziale. Di conseguenza, un eccessivo decentramento decisionale finirebbe per creare una indebita frammentazione del mercato a livello normativo, frenando lo sviluppo dei settori in questione. D’altra parte, la stessa esigenza di creare una regolamentazione asimmetrica pro-concorrenziale nei settori in questione, secondo la logica dettata dalla Corte Costituzionale nella propria interpretazione dinamica della normativa antitrust, è incompatibile con il decentramento decisionale in settori fortemente unitari come le industrie a rete.

Nei settori in esame, infatti, le direttive comunitarie affidano l’intera disciplina di dettaglio alle autorità nazionali di regolazione, i mercati rilevanti sono di dimensione geografica nazionale o sopranazionale. L’uniformità della disciplina è pertanto essenziale, anche nella logica di evitare distorsioni concorrenziali.

Certo, la normativa comunitaria e statale è pervasiva. Le norme del Codice delle Comunicazioni Elettroniche relative al riparto di competenze tra Stato ed enti locali sono state portate davanti alla Corte Costituzionale per presunta eccessiva ingerenza statale rispetto alle disposizioni del Titolo V. La sentenza della Corte, come abbiamo visto, ha però rigettato tale obiezione affermando l’esistenza di precisi ed ineludibili vincoli normativi comunitari nonché la necessità di evitare ostacoli e ritardi nella realizzazione delle necessarie infrastrutture.

E’ ovviamente del tutto esclusa dallo stesso Titolo V la possibilità di dar vita ad una legislazione antitrust regionale. Rimangono ciononostante spazi importanti per le competenze legislative regionali. Nelle telecomunicazioni ad esempio l’ambito che appare più appropriato è quello della localizzazione degli impianti e dell’attribuzione dei siti di trasmissione (si veda sul punto Corte cost., n. 324/2003), che, come tale, esula - almeno in parte - dalle esigenze di uniformità della disciplina. Localizzazione degli impianti e attribuzione dei siti di trasmissione, peraltro, implicano valutazioni relative al governo del territorio e alla tutela della salute, materie di legislazione concorrente.

Nel settore dell’energia si pongono problemi analoghi a quelli del settore delle comunicazioni. Vi sono evidenti interessi nazionali alla disciplina uniforme di grandi servizi a rete, il cui sviluppo equilibrato in tutto il Paese risponde a esigenze unitarie di politica industriale e di tutela della concorrenza, poiché la realizzazione di nuovi impianti e l’aumento di capacità produttiva rappresentano un fattore essenziale di concorrenzialità nel settore energetico. Le leggi regionali trovano il loro ambito più appropriato nelle scelte di localizzazione degli impianti, come si è visto anche nel settore delle comunicazioni: nell’energia emergono, però, problemi maggiori, legati al più consistente impatto delle infrastrutture sull’ambiente, che è materia di legislazione statale esclusiva.

Con la cosiddetta legge Marzano (n. 239/2004) il legislatore statale ha ricentralizzato l’intervento normativo, accentuando le competenze amministrative dello Stato: è lo Stato che detta i criteri generali per l’attuazione a livello territoriale della

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politica energetica nazionale. Ciò, peraltro, ha suscitato un aspro dibattito fra Stato e Regioni, conclusosi con un sostanziale temperamento di tale tendenza centripeta ad opera dell’adita Corte Costituzionale (sent. 383/05). In particolare, quest’ultima ha valorizzato il meccanismo della concertazione, richiedendo da parte dello Stato l’“intesa con la Conferenza Unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281”, ossia la Conferenza Stato-città ed autonomie locali unificata con la Conferenza Stato-regioni, per vari processi decisionali: (i) l’identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale con riferimento all’articolazione territoriale delle reti infrastrutturali energetiche dichiarate di interesse nazionale, (ii) la programmazione di tali reti, (iii) l’approvazione degli indirizzi di sviluppo della rete di trasmissione nazionale dell’energia elettrica e (iv) la definizione dei criteri generali per le nuove concessioni di distribuzione dell’energia elettrica e per l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio degli impianti di generazione di energia elettrica di potenza termica superiore ai 300 MW112. Parimenti, lo strumento dell’“intesa con le Regioni e le Province autonome direttamente interessate” è stato esteso sia (i) all’individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti strategici, sia anche (ii) alle determinazioni inerenti lo stoccaggio di gas naturale in giacimento.

La pronuncia in questione ha inoltre rafforzato la valenza ostativa di un eventuale dissenso regionale. A questo proposito, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la legge Marzano nella parte in cui consentiva l’esercizio del potere sostitutivo del Governo di cui all’art. 120 Cost. qualora la regione interessata dalla localizzazione di un elettrodotto rientrante nella rete nazionale di trasporto dell’energia elettrica esprimesse disaccordo con il Ministero dello Sviluppo Economico, chiamato ad agire di concerto con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, rispetto all’autorizzazione della costruzione e dell’esercizio di tale infrastruttura113. Similmente, la medesima legge è stata dichiarata illegittima nella parte in cui privava di efficacia sospensiva il mancato raggiungimento di un accordo con la regione e/o gli enti locali territoriali sulle misure di compensazione e di riequilibrio

112 Lo stesso strumento dell’intesa con la Conferenza Unificata è stato introdotto, altresì, per l’emanazione degli indirizzi per lo sviluppo delle reti nazionali e di trasporto di energia elettrica e di gas naturale da parte del Ministero dello Sviluppo Economico, modificando in tal senso l’art. 1-ter, comma 2, del decreto-legge 29 agosto 2003, n. 239, essendo stato anch’esso ritenuto costituzionalmente illegittimo. 113 In particolare, in merito alle intese fra organi statali e organi regionali previste dalla legge, la Corte Costituzionale ha specificato quanto segue: “Tali intese costituiscono condizione minima e imprescindibile per la legittimità costituzionale della disciplina legislativa statale che effettui la <chiamata in sussidiarietà> di una funzione amministrativa in materie affidate alla legislazione regionale, con la conseguenza che deve trattarsi di vere e proprie intese <in senso forte>, ossia di atti a struttura necessariamente bilaterale, come tali non superabili con decisione unilaterale di una delle parti. In questi casi, pertanto, deve escludersi che, ai fini del perfezionamento dell'intesa, la volontà della Regione interessata possa essere sostituita da una determinazione dello Stato, il quale diverrebbe in tal modo l'unico attore di una fattispecie che, viceversa, non può strutturalmente ridursi all'esercizio di un potere unilaterale”. Quid iuris, dunque, in caso di disaccordo? La Corte ha sollecitato un intervento normativo al riguardo, esprimendo il seguente orientamento: “L'esigenza che il conseguimento di queste intese sia non solo ricercato in termini effettivamente ispirati alla reciproca leale collaborazione, ma anche agevolato per evitare situazioni di stallo, potrà certamente ispirare l'opportuna individuazione, sul piano legislativo, di procedure parzialmente innovative volte a favorire l'adozione dell'atto finale nei casi in cui siano insorte difficoltà a conseguire l'intesa, ma tali procedure non potranno in ogni caso prescindere dalla permanente garanzia della posizione paritaria delle parti coinvolte. E nei casi limite di mancato raggiungimento dell'intesa, potrebbe essere utilizzato, in ipotesi, lo strumento del ricorso a questa Corte in sede di conflitto di attribuzione fra Stato e Regioni”.

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ambientale connesse alla localizzazione di nuove infrastrutture energetiche o al potenziamento/trasformazione di quelle già esistenti.

Anche in presenza di tali aggiustamenti, l’attuale quadro normativo sembra suggerire, tuttavia, che le Regioni, sono chiamate a disciplinare la localizzazione degli impianti in armonia con le scelte di politica economica nazionale relative allo sviluppo dei settori energetici. Ad esempio, le anzidette misure di compensazione e di riequilibrio ambientale richieste dagli enti locali territoriali devono essere comunque “coerenti con gli obiettivi generali di politica energetica nazionale”114.

Va però ribadito che la realizzazione di nuovi impianti e l’aumento della capacità produttiva costituiscono fattori fondamentali per la promozione e la tutela della concorrenza nel settore dell’energia: le leggi regionali non possono frenare ingiustificatamente lo sviluppo di questi fattori, venendo a incidere negativamente sulla materia concorrenziale, che è estranea alla potestà normativa delle Regioni.

Le leggi regionali, stando all’attuale art. 117 Cost., dovrebbero limitarsi alla disciplina concernente la localizzazione degli impianti, sempre nell’ambito dei criteri generali di politica energetica fissati dallo Stato. Sono comunque da evitare misure regionali più limitative di quelle statali in materia di autorizzazioni a realizzare impianti.

Non si cada nell’errore di pensare che il problema della resistenza locale a concedere permessi alla realizzazione degli impianti sia solo italiano. La letteratura statunitense in materia, con il tipico gusto anglosassone per gli acronimi, ha definito tale approccio come “nimby” (“not in my back yard”). In proposito, una sorta di competitività positiva tra Regioni alla localizzazione di nuovi impianti potrebbe essere innescata dai benefici a favore dei residenti previsti dal “pacchetto Bersani”.

114 Come da art. 1, co. 5 della legge Marzano.

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PARTE III

LA DISCIPLINA DEL COMMERCIO, DEI TRASPORTI E DEL TURISMO (Maria De Benedetto)

INDICE

1. Premessa 2. Il commercio 3. I trasporti 4. Il turismo 5. Le novità introdotte dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 6. Gli interventi necessari od opportuni sulla regolazione statale e regionale nelle

materie in esame per informarle ai principi della concorrenza: raccomandazioni

Premessa

Le materie oggetto del presente lavoro sono eterogenee, sotto molteplici punti di vista: l’attività economica, la disciplina pubblicistica interna, l’incidenza della regolamentazione comunitaria, il grado di apertura dei rispettivi mercati alla concorrenza. La trattazione si è, pertanto, articolata per sviluppi settoriali in cui sono sinteticamente analizzate:

- le caratteristiche principali della regolamentazione del mercato; - le competenze istituzionali ai diversi livelli di governo (centrale, regionale e

locale), in Italia e in altri ordinamenti europei; - la rilevanza, nell’assetto regolamentare, delle discipline comunitaria, nazionale,

regionale e locale; - i riflessi di tale assetto sul grado apertura concorrenziale dei mercati, con la

segnalazione delle più manifeste evidenze distorsive. Viene dato conto delle principali novità introdotte dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 e vengono, inoltre, proposte alcune indicazioni su linee istituzionali e regolative di promozione della concorrenza. Le osservazioni conclusive, pur nella distinzione delle esemplificazioni settoriali, convergono nel richiamare gli aspetti di maggior rilievo anticoncorrenziale.

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IL COMMERCIO

1. Le norme costituzionali in materia di commercio Nella vecchia formulazione dell’art. 117 della Costituzione il commercio non era espressamente richiamato. Spettavano alla potestà legislativa concorrente delle regioni le sole materie contigue delle fiere e mercati e dell’urbanistica. Il pervasivo sistema di regolamentazione pubblicistica del commercio ha, peraltro, trovato un solido ancoraggio costituzionale nell’art. 41 Cost.: nelle previsioni del II e nel III comma dell’art. 41 i pubblici poteri hanno rinvenuto “l’armamentario” del governo dell’economia, i valori e gli strumenti da raccordare con il progetto costituzionale di trasformazione sociale espresso nell’art. 3, che hanno giustificato, tra l’altro, l’intervento di regolamentazione del commercio fondato su una programmazione settoriale e su un controllo degli accessi al mercato 115. L’iniziativa economica privata viene, infatti, nel quadro costituzionale, tutelata ma, al contempo, assoggettata a programmi, controlli, impulsi, orientamenti pubblicistici. E’, quindi, fuor di dubbio che - per la Costituzione - il diritto d’iniziativa economica privata non è un diritto inviolabile della persona, diversamente da quanto era sancito nelle Costituzioni borghesi. In particolare, il settore del commercio ha visto realizzarsi una originale combinazione di un sistema di pianificazione ed un regime autorizzatorio, che è stato considerato costituzionalmente legittimo anche dalla giurisprudenza della Corte costituzionale116. L’art. 4 della legge 15 marzo 1997, n. 59 aveva delegato il Governo a ridefinire la materia del commercio nella prospettiva di realizzare il cd. federalismo a Costituzione invariata. Con il d.lgs. n. 112/1998 venne rivista la disciplina delle camere di commercio, industria e artigianato. Subito dopo, è intervenuta la vera e propria riforma della disciplina del commercio (d.lgs. n. 114/1998). Ispirandosi ai principi di decentramento e semplificazione amministrativa, la nuova disciplina ha individuato nella Regione il livello istituzionale più adeguato ai fini di una programmazione che collegasse lo sviluppo degli insediamenti commerciali alla programmazione territoriale ed urbanistica. L’art. 2 del d.lgs. n. 114/1998 afferma che “la libertà commerciale si fonda sul principio della libertà di iniziativa economica privata ai sensi dell’art. 41 della Costituzione”. Con la riforma del titolo V della Costituzione (legge costituzionale n. 3/2001) sono state attribuite alla esclusiva competenza dello Stato alcune materie che incidono sulla disciplina del commercio, prima fra tutte la tutela della concorrenza: pertanto, il legislatore regionale sarebbe vincolato ad adottare, in materia, una legislazione conforme ai principi di liberalizzazione, di cui è portatrice la riforma statale del commercio117.

115 Cfr. M. LUCIANI, voce Economia nel diritto costituzionale, in Digesto delle discipline pubblicistiche, V, Torino, UTET, 1990, pag. 382 116 Corte costituzionale, sentenza 18 maggio 1959, n. 32, in “Giurisprudenza costituzionale”, 1959, pag. 394 su cui v. A. ORLANDO, Il commercio, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, parte speciale, tomo III, Milano, Giuffrè, 2000, pag. 2703 117 cfr. A. ORLANDO, Il commercio, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, parte speciale, tomo III, Milano, Giuffrè, 2003, pag. 3542

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E’ stata, poi, espressamente attribuita alla potestà legislativa concorrente la materia del commercio estero. Il commercio interno rientrerebbe tra le materie di competenza esclusiva delle Regioni, per l’operatività della clausola residuale (art. 117, IV comma, Costituzione). Tale orientamento era stato, peraltro, confermato anche nella respinta proposta di revisione dell’art. 117 Cost.118. La disposizione ha posto alcuni problemi, in particolare, relativamente al mantenimento di una competenza del legislatore statale ad intervenire sulla materia, anche nella prospettiva di garantire una omogeneità di disciplina sul territorio nazionale. E’ stata, in proposito, richiamata la giurisprudenza della Corte costituzionale riguardo il limite delle “grandi riforme economico-sociali”119, ed è stato segnalato il rischio di “una frammentazione del sistema economico e [di] seri ostacoli allo sviluppo delle imprese pluriregionali” che potrebbe determinare “una disparità di trattamento tra operatori”120 2. Cenni in prospettiva comparata sulle norme costituzionali e sui principi legislativi nazionali nel settore del commercio La materia del commercio viene considerata nella Costituzione spagnola come inerente al sistema di garanzie dei consumatori e degli utenti (art. 51, III comma: “En el marco de lo dispuesto por los apartados anteriores, la ley regulará el comercio interior y el régimen de autorización de productos comerciales”). E’, pertanto, previsto che la legge regoli il “commercio interno”. Solo il commercio estero (oltre al commercio di armi) viene espressamente considerato di esclusiva competenza statale (art. 149), ma la legislazione generale della materia ha dettato criteri per la ripartizione dei compiti tra Stato, cui spetterebbe la legislazione di carattere generale, e comunità autonome, titolari di competenze proprie, articolate sulla base dei diversi statuti di autonomia. Alcuni territori con maggiore autonomia hanno competenze di carattere esclusivo (come i Paesi baschi e la Catalogna), altri competenze di attuazione legislativa ed esecutiva (Aragona), altri solo competenze di esecuzione (come le Isole Canarie)121. La riforma del commercio – che ha disciplinato l’assetto ripartito di competenze tra Stato e comunità autonome122 - risale al 15 gennaio 1996, quando sono state approvate

118 Disegno di legge costituzionale 17 novembre 2005, non approvato dal referendum del 25-26 giugno 2006 119 cfr. M. CLARICH-A. PISANESCHI, La legge costituzionale n. 3/2001, la competenza esclusiva delle regioni in materia di commercio e il limite delle grandi riforme economico-sociali, in “Disciplina del commercio e dei servizi”, 2002, pag. 259 120 U. GIRARDI, Riforma costituzionale e politiche per il commercio, in “Disciplina del commercio e dei servizi”, 2002, pag. 268 121 Camera dei deputati, Recenti riforme del commercio in Francia e Spagna, 1998, pag. 5 122 L’art. 1 della Ley 7/1996 dispone che: “1. La presente Ley tiene por objeto principal establecer el régimen jurídico general del comercio minorista, así como regular determinadas ventas especiales y actividades de promoción comercial, sin perjuicio de las leyes dictadas por las Comunidades Autónomas en el ejercicio de sus competencias en la materia”. E’, poi, previsto che le comunità autonome mantengano competenze relative alla definizione dei grandi esercizi di vendita (art.2, comma 3, Ley 7/1996). “3. Las Comunidades Autónomas establecerán los requisitos, en virtud de los cuales se otorgará la calificación de gran establecimiento. En todo caso, tendrán esta consideración, a efectos de las autorizaciones y de lo establecido en la normativa mercantil, los establecimientos comerciales, que destinándose al comercio al por menor de cualquier clase de artículos, tengan una superficie útil para la exposición y venta al público superior a los 2.500 metros cuadrados”.

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la Ley 7/1996, “de ordenacìon del commercio minorista” e la Ley organica 2/1996, “complementaria de la ordenacìon del commercio minorista”. Il commercio viene fatto rientrare nella generale libertà d’impresa, disciplinata dall’art. 38 della Costituzione spagnola: la regolamentazione del commercio viene espressamente orientata ai principi della libera concorrenza e del mercato (“la actividad comercial se ejerce bajo el principio de libertad de empresa y en el marco de la economía de mercato”). Viene dettata una disciplina speciale per i “grandi esercizi commerciali”, dove esposizione e vendita al pubblico si svolga in una superficie maggiore di 2500 mq. L’apertura di questi esercizi è soggetta al rilascio da parte delle Comunità autonome di una licenza (art. 6 e 7), anche sulla base di una valutazione concernente il livello delle strutture commerciali nella zona e gli effetti sulla concorrenzialità e sul piccolo commercio. L’autorizzazione è rilasciata su parere del Tribunal de Defensa de la Competencia. E’ previsto che le Comunità autonome che ne abbiano competenza possano costituire commissioni territoriali “de equipamientos comerciales”. Nel sistema sono, poi, oggetto di specifica disciplina le vendite speciali e sottocosto. Con la legge n. 2/1996 è affermato il principio generale di libertà degli esercenti di determinare orari e giorni di apertura e chiusura. Un regime speciale viene mantenuto per le farmacie. Un Observatorio de la distrubucìon comercial è stato istituito con compiti di studio e proposta presso la direzione per il commercio interno del Ministero dell’economia e delle finanze per seguire l’evoluzione della distribuzione commerciale in Spagna La disciplina del commercio in Francia non è oggetto di disciplina costituzionale ed è frutto di un approccio settoriale, tuttora condizionato da intenti di pervasiva regolamentazione pubblica. La precedente legislazione venne emanata nel 1973 (legge Royer, n. 73-1193 del 27 dicembre 1973 “d’orientation du commerce et de l’artisanat”) e ha rappresentato un primo organico tentativo di contrastare la tendenza alla crescita delle dimensioni delle superfici di vendita123. La legge del 1973 è stata in seguito modificata dalla legge n. 96-603, del 5 luglio 1996 “relative au développement et à la promotion du commerce et de l'artisanat” (legge Raffarin, di cui è stata approvata una versione consolidata il 3 agosto 2005). L’inasprimento delle misure nei riguardi delle grandi superfici di vendita è stato significativo. Con la precedente normativa la creazione di nuovi esercizi commerciali fino a 1000 mq (1500 mq per i comuni più grandi) era possibile senza preventiva autorizzazione. Con l’attuale normativa è stata ridotta a 300 mq la superfice al di sopra della quale è necessario richiedere l’autorizzazione amministrativa. Sono previste altre forme di autorizzazione, come per il cambiamento di tipo di attività commerciale. Nel campo della normativa del commercio sono fatte rientrare le attività alberghiere e le sale cinematografiche. Norme più restrittive sono dettate per la distribuzione dei carburanti, norme di favore per le attività di vendita o riparazione di automobili. L’istruttoria delle richieste di autorizzazione è semplificata se il progetto riguarda esercizi commerciali, fino a 1000 mq di superficie. Per i progetti fino a 6000 mq è 123 Camera dei deputati, Recenti riforme del commercio in Francia e Spagna, 1998, pag. 1

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necessario presentare uno studio sull’impatto previsto, tra l’altro, in relazione alle attività già esistenti e ai livelli occupazionali. Oltre i 6000 mq (grand surfaces) è prevista una vera e propria inchiesta pubblica sulle implicazioni economiche, sociali, urbanistiche ed ambientali del progetto. Le autorizzazioni sono rilasciate da Commission dèpartementaux d’équipement commercial, sotto la presidenza del Prefetto. Ricorso gerarchico avvero il diniego di autorizzazione può essere presentato alla Commission nationale d’équipement commercial. Esistono osservatori dipartimentali istituiti nel 1993 con il compito di elaborare Schémas de développement commercial da parte del Governo. In Gran Bretagna il sistema di regolamentazione del commercio è ispirato a principi di libero accesso all’attività economica, ed è assoggettato esclusivamente ad un sistema di pianificazione urbanistica124, sulla scorta della disciplina contenuta nel Town and country planning act . Anche la valutazione delle autorizzazioni è competenza di una Commissione urbanistica (Planning committee). Questa può rilasciare due distinte tipologie di permessi (a seconda del livello di dettaglio dei progetti di insediamento presentati)125. Un particolare rilievo in Gran Bretagna ha rivestito l’azione del Town centre management, volto a contrastare la tendenza alla concentrazione degli spazi commerciali – spesso extraurbani - che ha ridotto la vitalità dei centri storici. Il Town centre management, noto anche in altre esperienze europee, è strutturato sulla collaborazione di autorità cittadine, operatori economici del centro storico e comunità locale. Il municipio svolge compiti di direzione strategica nella pratica di rivitalizzazione urbana126. 3. La normativa comunitaria Alcune direttive avevano regolato nella prima fase dell’integrazione europea aspetti riguardanti il commercio127, ma la regolamentazione non è stata così intensa come in altri settori nella convinzione che esso non costituisse un settore cruciale per la realizzazione di un mercato unico128. Nel 1991 è, comunque, intervenuta la Comunicazione “Verso un mercato mercato unico della distribuzione”129.

124 Anche in Germania la natura delle limitazioni degli accessi alla distribuzione commerciale è prevalentemente informata a vincoli di carattere urbanistico. In termini di riparto delle competenze, nella Costituzione della Germania il commercio ricade tra le materie di competenza legislativa concorrente (art. 74). 125 Cfr. P. BERTOZZI, Il nuovo quadro normativo del settore della distribuzione in Italia, in “Regione e governo locale”, 1999, pag. 649 126 Cfr. I. ROSSI, Politiche urbane e commerciali, in “Disciplina del commercio e dei servizi”, 2001, pag. 470 e L. ZANDERIGHI, Town centre management. Uno strumento innovativo per la valorizzazione del centro storico e del commercio urbano, giugno 2001, in http://www.economia.unimi.it/pubb/wp70.pdf 127 Direttive 64/223/CEE (commercio all’ingrosso), 68/363/CEE (commercio al dettaglio), 75/369/CEE, (agenti di commercio), 64/224/CEE (intermediari di commercio, dell’industria e dell’artigianato), 86/653/CEE (agenti di commercio). 128 Cfr. M.P. CHITI, Referendum e riforma delle leggi sul commercio, in “Giornale di diritto amministrativo”, 1995, pag. 584 e L. RIGHI, Commercio e distribuzione, in a cura di M.P. CHITI, G. GRECO, Trattato di diritto amministrativo europeo, parte speciale, vol. I, Milano, Giuffrè, 1997, pag. 430 129 COM 91/41 (11 marzo 1991).

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L’espressione più importante del diretto intervento comunitario in materia è rappresentata dal Libro Verde sul commercio130 (1996), basato su uno studio sull’efficacia e gli impatti dell’integrazione del mercato interno sull’organizzazione e sui risultati della distribuzione. Nel Libro Verde viene espressamente riconosciuto nel commercio un settore che, per le sue specifiche caratteristiche e per il suo stretto legame con l’ambito territoriale in cui si svolge, poco si presta ad un intervento della Comunità di tipo primario rispetto a quello dei singoli Stati membri, lasciando invece ampio spazio ad un intervento in termini di sussidiarietà131. L’indicazione fondamentale offerta è che, per mantenere flessibile e competitivo il commercio, è necessario che l’intero settore subisca una sorta di deregolamentazione, attraverso lo snellimento e la semplificazione legislativa e amministrativa. Vanno, poi, ricordate in materia le intervenute normative sull’armonizzazione tecnica in materia di composizione dei prodotti, sul loro imballaggio, sull’etichettatura, quella riguardante il trasporto delle merci e il sostegno delle piccole e medie imprese132. E’, in seguito, intervenuto il Libro bianco sul commercio133 (1999) che ha raccolto le proposte formulate dalla Commissione - al termine del dibattito avviato con il Libro verde - avanzando una richiesta di riduzione di oneri amministrativi di settore e sottolineando come l’obbligo di autorizzazione amministrativa rappresenta un ostacolo all’ingresso dei concorrenti. E’, attualmente, all’esame una proposta di direttiva comunitaria del parlamento europeo e del consiglio relativa ai servizi interni nel mercato comune, che riguarda anche la distribuzione commerciale134. La Commissione intende adottare una direttiva per eliminare gli ostacoli giuridici che limitano le imprese nell’offerta dei loro servizi o nello stabilirsi in altri Stati membri. La proposta di direttiva costituisce un quadro giuridico volto ad eliminare gli ostacoli alla libertà di stabilirsi dei prestatori di servizi e alla libera circolazione dei servizi fra gli Stati membri, garantendo nel contempo ai prestatori e ai destinatari dei servizi la sicurezza giuridica necessaria all'esercizio delle libertà previste dal trattato. L'approccio della direttiva consiste nell'eliminazione degli ostacoli che possono essere rimossi più rapidamente, salvo l'avvio di un processo di valutazione, di consultazione e di armonizzazione complementare dei sistemi regolamentari nazionali per le attività di servizi. In questa prospettiva, dovranno essere adottate misure di semplificazione amministrativa, quali l'apertura di sportelli unici presso i quali un prestatore di servizi possa sbrigare le formalità relative alla sua attività, anche rendendo possibile lo svolgimento delle procedure per via elettronica. Le condizioni e le procedure per il rilascio delle autorizzazioni dovranno evitare di discriminazioni non giustificate e limitare il numero di documenti richiesti.

130 COM 96/530 (21 novembre 1996) 131 Il “Libro Verde del commercio”, par. 37 e par. 69 e ss. 132 cfr. L. RIGHI, Commercio cit., pag. 432 133 COM 99/6 (27 gennaio 1999) 134 COM 2004/2 def. (13 gennaio 2004). Sull’argomento v. http://europa.eu.int/scadplus/leg/it/lvb/l70001.htm

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4. La legislazione italiana e il riparto di competenze fra Stato, regioni ed enti locali La prima disciplina organica del commercio è il r.d.l. n. 2174 del 1926 con cui si provvide ad una regolamentazione pubblicistica del settore introducendo licenze comunali per l’esercizio del “commercio di vendita al pubblico”. Un sistema di controllo del commercio si mantenne anche con l’approvazione della Costituzione, manifestando l’ambivalenza della regolamentazione economica del commercio, assoggettato a poteri di pianificazione, di autorizzazione e controllo, pur nel quadro del riconoscimento della libertà di iniziativa economica ai sensi dell’art. 41 della Costituzione. Con la legge 11 giugno 1971, n. 426 venne rafforzato il modello della programmazione commerciale a livello locale, valorizzando il quadro costituzionale disposto nell’art. 41, comma 3. L’introduzione dei piani di commercio135 comportava che il legislatore dettasse piani di sviluppo e di adeguamento della rete di vendita cui avrebbe dovuto essere vincolata l’attività autorizzatoria del sindaco. Non vi era una libertà assoluta di accesso al settore del commercio ma occorreva un accertamento preventivo dei requisiti, morali e tecnico-professionali, del privato secondo quanto stabilito dalla legge. Presso le camere di commercio veniva istituito un Registro degli esercenti il commercio (R.e.c.), alla cui iscrizione era subordinato il rilascio dell’autorizzazione commerciale. A seguito di alcuni limitati tentativi di apertura del settore si avviò un processo di parziale liberalizzazione nel corso degli anni ’90, determinato prevalentemente dal modificato contesto dell’intervento pubblico nell’economia e dall’introduzione di una legislazione a tutela della concorrenza e del mercato (legge n. 287/1990). Tra le normative settoriali intervenute negli ultimi anni, la riforma del commercio appare il caso più sintomatico di un ambito in cui sono state combinate istanze di promozione della concorrenza e politiche di semplificazione136. Il settore del commercio è stato, per lungo tempo, caratterizzato da una intensa disciplina pubblicistica, in cui venivano a combinarsi provvedimenti autorizzatori e pianificazione settoriale137, con l’effetto di contingentare gli accessi al mercato e di ridurre lo spazio della libera intrapresa. L’esigenza di liberalizzare attraverso una semplificazione del regime di accesso è, dunque, nata da una lettura pro-concorrenziale della disciplina amministrativa del

135 cfr. F.P. PUGLIESE, La nuova disciplina del commercio, in “Rivista trimestrale di diritto pubblico”, 1972, pag. 986 136 Sul punto v. L. PELLEGRINI, La distribuzione commerciale, in M. D’ALBERTI-G. TESAURO (a cura di), Regolazione e concorrenza, Bologna, Il Mulino, 2000, in particolare pag. 90 ss. V., inoltre, E. PIZZICHETTA, Il principio di sussidiarietà orizzontale come possibile strumento di semplificazione dell’attività amministrativa in materia di commercio, in “Disciplina del commercio e dei servizi”, 2005, pag. 71, R. VARALDO, La disciplina del commercio tra liberalizzazione e regolamentazione, in “Rivista trimestrale di diritto pubblico”, 1998, pag. 983, F. AMMASSARI, La riforma della regolamentazione del commercio: liberalizzazione e decentramento nel decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, in “Il diritto dell’economia”, 2004, pag. 113, A. ARGENTATI, La disciplina giuridica del commercio tra diritto interno e influssi comunitari. Profili evolutivi e prospettive, in “Il diritto dell’economia”, 2004, pag. 141, B. ARGIOLAS, Il principio della concorrenza nella disciplina giuridica del commercio al dettaglio, in “Il diritto dell’economia”, 2004, pag. 331 137 Per una ricostruzione della previgente disciplina del commercio v. G. SANVITI, Autorizzazione al commercio, in Digesto delle discipline pubblicistiche, Torino, UTET, 1987, pag. 51 e M.A. SANDULLI, L’autorizzazione al commercio di vendita a posto fisso, Milano, Giuffrè, 1990. Sul punto v. anche M. CLARICH, Tempestività e semplificazione dell’azione amministrativa, in L. VANDELLI-G. GARDINI (a cura di), La semplificazione amministrativa, Rimini, Maggioli, 1999, pag. 80 ss. e L. CICI, Attività produttive e semplificazione, ivi, in particolare pag. 288 ss.

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settore138, che era stata evidenziata da una importante segnalazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato139: ad altro, ma connesso, proposito è stato sostenuto che “la regolamentazione amministrativa, vista alla luce della disciplina antitrust, mostra a volte le sue ambiguità”140. Lo strumento della semplificazione viene, pertanto utilizzato nella disciplina del commercio: il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 disciplina, tra l’altro, i requisiti di accesso all'attività commerciale, e introduce il principio della piena libertà di iniziativa economica privata. Un regime di liberalizzazione è stato introdotto per gli esercizi di vicinato141. La riforma si pone quale legislazione “quadro”, demandando alle Regioni ed ai Comuni l’emanazione della disciplina di dettaglio. La nuova normativa disciplina l’esercizio del commercio in sede fissa e su aree pubbliche. Elimina il REC e modifica radicalmente i meccanismi per l’accesso all’attività: fatti salvi i requisiti morali, la qualificazione professionale è circoscritta al solo settore alimentare142; sopprime le tabelle merceologiche, prevedendo due sole merceologie, rispettivamente concernenti il settore alimentare e quello non alimentare; ridefinisce il procedimento autorizzatorio, “liberalizzandolo” fino ad una data soglia dimensionale (i negozi di vicinato) e ancorandolo esclusivamente a valutazioni di impatto urbanistico – territoriale. Le Regioni sono chiamate a stabilire i principi in base ai quali i Comuni individuano negli strumenti urbanistici le aree destinate agli insediamenti commerciali, i limiti derivanti dalla tutela dei beni artistici e culturali, nonché i vincoli di natura urbanistica e di disponibilità degli spazi pubblici o di uso pubblico. Tali indirizzi avrebbero dovuto essere impostati sulla base di indagini conoscitive regionali; a tal fine si è prevista l’attivazione da parte delle Regioni, con la collaborazione dei Comuni e delle Camere di commercio, di un sistema di monitoraggio

138 Sul punto v. F. AMMASSARI, La riforma cit., pag. 131 e A. ARGENTATI, La disciplina cit., pag. 155. Sulle ragioni della liberalizzazione v. ancora B. LUBRANO, Autorizzazioni al commercio, in “Rivista amministrativa”, 2004, pag. 441 139 Il riferimento è alla segnalazione “Regolamentazione della distribuzione commerciale e concorrenza”, del 1 gennaio 1993 [le cui proposte di semplificazione vennero poi recepite nella legge n. 537/1993: sul punto A. ARGENTATI, La disciplina cit., pag. 158. Sull’evoluzione della disciplina del commercio v. anche S. CASSESE, Licenza commerciale e silenzio assenso: giustizia di Cadì, in “Giornale di diritto amministrativo”, 1996, pag. 434, S. BATTINI, Il commercio, in “Giornale di diritto amministrativo”, 1995, pag. 540]. E’, poi, intervenuta la segnalazione “Riforma della regolazione e promozione della concorrenza” del 14 gennaio 2002, con riguardo soprattutto al punto 2 dove - nel nuovo quadro dell’ordinamento decentrato a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione - si afferma che “in questo contesto assume particolare rilievo l’esigenza di garantire che i processi di revisione in senso pro-concorrenziale si estendano anche alla regolazione di livello regionale e locale”. 140 G. NAPOLITANO, Il diritto della concorrenza svela le ambiguità della regolamentazione amministrativa, in “Giornale di diritto amministrativo”, 2003, pag. 1138. Sul punto si vedano anche M. DE VITA, Regolamentazioni pubbliche: principi comunitari e disciplina italiana antitrust, in “Diritto dell’unione europea”, 1997, pag. 707 e V. MELI, Attuazione della disciplina antitrust e regolazione amministrativa dei mercati, in “Giurisprudenza commerciale”, 1997, pag. 243 141 "L'esercizio di vicinato" è una struttura con superficie di vendita non superiore a 150 metri quadrati nel Comuni al di sotto dei 10.000 abitanti e 250 metri quadri per quelli con popolazione superiore. Sull’argomento v. L. PELLEGRINI, Concorrenza e regolamentazione: la distribuzione commerciale, in M. D’ALBERTI-G. TESAURO, Regolazione e concorrenza, Bologna, Il Mulino, 2000, pag. 89 142 Sull’argomento v. M. FIORE, I limiti delle competenze regionali in materia di disciplina dei pubblici esercizi e di determinazione dei requisiti soggettivi, in “Disciplina del commercio e dei servizi”, 2004, pag. 527

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riferito all’entità e all’efficienza della rete distributiva, attraverso la costituzione di appositi osservatori, coordinati da un Osservatorio Nazionale costituito presso il Ministero dell’Industria. Attenzione alla ratio della riforma del commercio è stata prestata dal giudice amministrativo che ha espressamente applicato il principio di concorrenza affermando che la vicinanza o contiguità degli esercizi commerciali non giustifica di per sé il diniego di una licenza di commercio143. 5. La legislazione regionale La legislazione regionale in materia di commercio, che avrebbe dovuto essere adottata sulla base dei termini previsti dalla riforma statale disposta con il d.lgs. n. 114/1998, è intervenuta con ritardo: nessuna regione ha infatti adottato nei termini i provvedimenti previsti 144. Nel 2002, è finanche stato elaborato uno studio per misurare il “grado di avversione delle regioni al d.lgs. 114/98”145. Si è evidenziato in seguito come lo stesso differenziale di inflazione tra l’Italia e gli altri paesi europei, sia dovuto prevalentemente dal ricarico dei prezzi al consumo su quelli alla produzione, evidenziando come il fenomeno è “spiegabile, in gran parte, con i problemi strutturali della nostra catena distributiva”146. Così, ha efficacemente rappresentato la vicenda il Governatore della Banca d’Italia: “nel commercio al dettaglio, il numero medio di dipendenti delle imprese è circa la metà di 143 Consiglio di Stato, V, 29 aprile 2000, n. 2551 144 Per una ricostruzione v. M. VENTURA, La liberalizzazione del commercio al dettaglio nelle Regioni italiane: un tentativo di analisi economica, in “Regione e governo locale”, 2005, pag. 395 145 Lo studio è stato condotto dall’ISAE ed è contenuto nel rapporto “Priorità nazionali: trasparenza, flessibilità, opportunità”, aprile 2002. La definizione dell’indicatore “di avversione” al recepimento delle istanze liberalizzatici della disciplina nazionale del commercio, si è basato su tre componenti (lentezza nell’attuazione, incompletezza nell’attuazione, contingentamento di grandi strutture di vendita). L’alto valore dell’indicatore segnala la maggiore resistenza alla liberalizzazione.

REGIONI GRADO DI AVVERSIONE

REGIONI GRADO DI AVVERSIONE

Lazio 2,69 Basilicata 1,33

Molise 2,63 Liguria 1,20

Sardegna 1,91 Calabria 1,18

Campania 1,85 Valle d'Aosta 1,12

Sicilia 1,81 Toscana 1,04

Abruzzo 1,56 Friuli V.G. 0,99

Veneto 1,50 Piemonte 0,75

Puglia 1,46 Marche 0,70

Umbria 1,39 Emilia Romagna 0,30

Lombardia 1,33

146 CONFINDUSTRIA, Nota “Differenziale di inflazione con l’Europa e regolamentazione del commercio al dettaglio” (C. RAPACCIUOLO-G. SGARRA), 30 ottobre 2003, pag. 4

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quello dell’area dell’euro. La frammentazione pesa sull’efficienza; rallenta l’adozione delle nuove tecnologie, fonte importante di crescita della produttività del settore in altri paesi. La legge di riforma del 1998, nel liberalizzare l’apertura dei piccoli esercizi, ha demandato alle Regioni il potere di regolamentare l’apertura sul territorio di quelli più grandi. Non tutte hanno colto l’occasione per liberalizzare. Nelle regioni dove si sono adottati criteri più restrittivi, efficienza produttiva e diffusione delle nuove tecnologie ne sono risultate frenate, a scapito dei consumatori e della stessa crescita dell’occupazione nel settore”147. I profili di anticoncorrenzialità non sono presenti nella sola legislazione delle Regioni, ma anche nell’attività amministrativa di attuazione delle norme, come è stato rilevato in un recente Rapporto sulla legislazione commerciale148. I modelli di attuazione regionale sono stati tre. Alcune regioni sono intervenute dapprima con delibere della Giunta, introducendo misure di urgenza e rinviando ad una successiva legislazione la definizione organica della disciplina. Altre regioni hanno approvato leggi di contenuto parziale adempiendo solo a parte degli adempimenti posti dalla legislazione statale. Altre regioni hanno dettato norme di carattere generale, di principio, rinviando all’adozione di successivi atti gli adempimenti puntuali previsti dalla legislazione statale149. Molte delle leggi regionali hanno introdotto una ri-regolamentazione, con l’adozione di misure contrarie alla concorrenza, prevalentemente con l’obiettivo di ostacolare gli accessi al mercato, prevedendo direttamente o indirettamente forme di pianificazione150 (reinserimento delle tabelle merceologiche, valutazione delle autorizzazioni con riferimento alle unità territoriali, meccanismi di zonizzazione). In questo ambito, uno specifico richiamo merita la legge della Regione siciliana 22 dicembre 1999, n. 28, recante “Riforma della disciplina del commercio” oggetto di una segnalazione ai sensi dell’art. 21 della legge n. 287/1990 da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato151. La segnalazione ha riguardato i criteri di valutazione delle domande di autorizzazione relative all’apertura, trasferimento o ampliamento delle grandi strutture di vendita. Tra i vari criteri posti dalla legge, infatti, erano state rilevate considerazioni attinenti alla quota di mercato dell’impresa ed erano stati fissati limiti quantitativi per il rilascio delle autorizzazioni. All’interno degli obiettivi della programmazione commerciale la legge indicava, tra l’altro, quello di “assicurare […] il rispetto del principio di libera concorrenza, favorendo l’equilibrato sviluppo delle diverse tipologie distributive e la pluralità delle insegne, nonché […] un rapporto equilibrato tra gli insediamenti commerciali e la capacità di domanda della popolazione residente e fluttuante” (art. 5). L’Autorità ha, pertanto, richiamato l’esigenza di evitare che la programmazione regionale si traduca “nel mero mantenimento dell’assetto concorrenziale esistente” e ha stigmatizzato il ricorso alla proroga dei periodi transitori – senza peraltro

147 Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia all’Assemblea generale ordinaria dei partecipanti, 31 maggio 2006, pag. 12 148 ASSOCIAZIONE NAZIONALE COOPERATIVE TRA DETTAGLIANTI, Rapporto 2006 sulla legislazione commerciale, Federalismo commerciale, concorrenza e liberalizzazione del mercato distributivo, Roma, 2006 149 Sul punto v. B. ARGIOLAS, Il principio della concorrenza nella disciplina giuridica del commercio al dettaglio, in “Il diritto dell’economia”, 2004, pag. 338 150 cfr. B. ARGIOLAS, op. cit., pag. 341 151 AGCM, Segnalazione del 1 luglio 2004, in Bollettino n. 27/2004

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determinazione dei limiti temporali – in relazione ai limiti quantitativi per il rilascio delle autorizzazioni per grandi strutture di vendita152. In sintesi, la legislazione regionale ha tentato di adottare misure accomunate dal carattere elusivo dei principi di liberalizzazione del mercato della distribuzione commerciale. Diversi gli escamotage seguiti, alcuni tra i quali già ricordati. In primo luogo, sono a volte inserite nelle finalità della legge di disciplina del settore clausole di salvaguardia che reintroducono forme di protezionismo locale evocando genericamente “interessi generali” o riferendosi a nozioni tipiche della regolamentazione pubblicistica di matrice costituzionale, quale quella di “utilità sociale”153. In secondo luogo, le Regioni hanno dato attuazione tardiva e meramente formale della riforma del commercio, adottando leggi che rinviano, per l’individuazione degli indirizzi generali di insediamento e dei criteri di programmazione urbanistica, a successivi atti amministrativi che re-introducono criteri di “pianificazione” del mercato, attraverso il riferimento, ad esempio, a concetti non definiti di “sviluppo sostenibile” che occorrebbe considerare ai fini della definizione degli indirizzi per l’insediamento delle attività di vendita154. Sono, in terzo luogo, a volte previsti limiti quantitativi all’apertura delle medie e grandi strutture di vendite155. In quarto luogo, alcune leggi regionali hanno previsto per gli esercizi di vicinato limiti dimensionali massimi inferiori rispetto quelli previsti nel decreto, con conseguente limitazione degli impatti del processo di liberalizzazione156. Infine, a volte, le leggi regionali hanno suddiviso, ai fini della programmazione commerciale, il territorio in aree predefinite (unità territoriali), con conseguente 152 Il d. P. Reg. n. 165/2000 aveva disposto una proroga per un periodo di trenta mesi dall’entrata in vigore della legge regionale. La proroga è stata rinnovata (senza limiti di tempo) con l’art. 17 della l. regionale 30 ottobre 2002, n. 16, “Disposizioni urgenti nei settori dell’artigianato, del commercio, della cooperazione e della pesca”. 153 Come, ad esempio nella Legge Regionale del Lazio, 18 novembre 1999, n. 33, art. 2, comma 1, lett. a), che indica tra le finalità della legge quella di “assicurare la trasparenza, la libera concorrenza, la libera circolazione delle merci e la libertà d’impresa, compatibilmente con gli interessi generali delle popolazioni e dei territori e non in contrasto con l’utilità sociale” 154 Anche qui v. Legge Regionale del Lazio 18 novembre 1999, n. 33 che rinvia al Documento Programmatico, adottato con la deliberazione C.R. 6 novembre 2002, n. 131. Il Documento, si legge nel testo della deliberazione, “definisce gli indirizzi generali per l'insediamento delle attività di vendita al dettaglio (...) in modo particolare definisce gli indici di presenza e di sviluppo delle medie e grandi strutture di vendita, avuto riguardo allo sviluppo sostenibile all'interno di ogni ambito territoriale, tenuto anche conto del disposto dell'articolo 6, comma 3, del decreto” 155 Legge della Regione Sicilia, 22 dicembre 1999, n. 28, art. 5, comma 1, lett. b), secondo la quale – come già ricordato - la programmazione commerciale deve “assicurare nell’individuare i limiti di presenza delle medie e grandi strutture di vendita, il rispetto del principio della libera concorrenza favorendo l’equilibrato sviluppo delle diverse tipologie distributive e la pluralità delle insegne, nonché, per il settore dei generi di largo e generale consumo, un rapporto equilibrato tra gli insediamenti commerciali e la capacità di domanda della popolazione residente e fluttuante”. Il riferimento “all’equilibrato sviluppo” introduce limiti all’apertura delle medie e grandi strutture di vendita, tanto che il decreto presidenziale 11 luglio 2000, n. 165 prevede che siano stabiliti limiti quantitativi al rilascio di autorizzazioni per grandi strutture di vendita per un periodo transitorio della durata iniziale di 30 mesi, poi sostanzialmente prorogata sine die dalla L.R. 30 ottobre 2002, n 16. 156 Anche qui v. Legge della Regione Sicilia, 22 dicembre 1999, n. 28, art. 2, comma 1, lett. f), per cui costituiscono esercizi di vicinato le superfici di vendita: fino a 100 mq nei comuni con popolazione residente fino a 10.000 abitanti; fino a 150 mq nei comuni con popolazione residente superiore ai 100.000 abitanti; fino a 200 mq in quelli aventi oltre 100.000 abitanti

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inserimento di non giustificati elementi di rigidità. Tali disposizioni, come evidente dalla lettura delle disposizioni di seguito riportate, sono generalmente funzionali all’obiettivo di realizzare una mera protezione dell'esistente, così arrestando artificialmente l'evoluzione dell'offerta, sulla base dell’assunzione che la domanda sia adeguatamente soddisfatta dall'esistente. Inoltre, le stesse, oltre a rispondere ad una non corretta visione della distribuzione commerciale come un settore statico, in cui non vi sono rilevanti progressi dal punto di vista delle modalità di offerta, compromettono gravemente il processo di liberalizzazione, nella misura in cui re-introducono elementi di rigidità, in evidente contrasto con lo spirito della riforma157. Un rapido cenno merita l’adozione da parte di alcune Regioni di leggi di disciplina delle aree commerciali integrate (cd. factory outlet)158. Questa tipologia di insediamento commerciale, diffusa in Gran Bretagna e in Francia (dove, peraltro, è stata contrastata, come già ricordato), è variamente disciplinata dalle leggi regionali che distinguono la procedura di rilascio della concessione edilizia (unica) da quelle di autorizzazione commerciale (esercizi di vicinato o medie strutture di vendita). Queste ultime, in alcuni casi, discendono da un unico provvedimento generale159. Si è registrata una comune tendenza delle leggi regionali a “ricondurre ad un disegno di programmazione regionale anche quelle polarizzazioni commerciali costituite da più medie strutture di vendita”160 combinando alla disciplina urbanistica vincoli propri della programmazione commerciale161. 157 A tale riguardo v. Deliberazione del consiglio regionale del Lazio 6 novembre 2002, n. 131 che stabilisce, salvo alcune eccezioni, che per ciascun ambito territoriale individuato dalla legge 18 novembre 1999, n. 33, la superficie massima autorizzabile per medie e grandi strutture di vendita debba rispettare determinati indici espressi in misura percentuale fissa sulla superficie totale censita, e quindi esistente, da distribuire nel triennio di validità della deliberazione; legge della regione Lombardia 23 luglio 1999, n. 14 (modificata dalla L.R. 24 marzo 2004, n. 5) che individua precise porzioni di territorio (unità territoriali che raggruppano più comuni costituenti diversi bacini di utenza) rispetto alle quali valutare la autorizzabilità o meno di nuove strutture, in funzione della situazione esistente; legge della Regione Campania, 7 gennaio 2000, n. 1, che ha individuato precise porzioni di territorio (aree funzionali che raggruppano più comuni costituenti diversi bacini di utenza) rispetto alle quali valutare la autorizzabilità o meno di nuove strutture, in funzione della situazione esistente. Tale legge ha assoggettato la compatibilità territoriale delle grandi superfici di vendita a contingentamenti di superficie in ciascuna area di successiva zonizzazione. Il contingentamento è rideterminato ogni due anni dalla giunta regionale. 158 Questi differiscono dai cd. centri commerciali perché costituiti da più unità edilizie fisicamente separate. In proposito v. O. ZAPPI, Lo sviluppo dei factory outlet centre e le procedure amministrative per la loro realizzazione, in “Disciplina del commercio e dei servizi”, 2004, pag. 535. Sull’argomento di è pronunciato il Tar Lazio, sezione seconda ter, decisioni riunite del 14 luglio, 6 ottobre e 15 dicembre 2003: “l'attuale normativa sul commercio, sia in sede nazionale sia in sede regionale, non prevede una nozione di "outlet factory center", di conseguenza, ai fini del rilascio di autorizzazione all'apertura di uno di tali format distributivi, occorre far riferimento alle nozioni presenti nella legislazione in vigore e, dunque, ai centri commerciali ed alle grandi strutture di vendita. Di conseguenza, fino a che non verrà introdotta nell'ordinamento una nozione di "outlet factory center" , tali strutture potranno ottenere l'autorizzazione alla vendita, nel caso soddisfino tutti i requisiti di legge, quali grandi strutture di vendita.” 159 Come nel caso della Legge della Regione Piemonte 12 novembre 1999 e successive modificazioni (e del D.G.R. n. 4329533, 1 marzo 2000, all. A “Disposizioni relative al procedimento per il rilascio delle autorizzazioni per le grandi strutture di vendita”) dove è previsto che il provvedimento generale viene adottato dalla conferenza dei servizi cui partecipano rappresentanti della Regione della provincia e del comune 160 O. ZAPPI, Lo sviluppo dei factory outlet cit., pag. 535 161 Così la legge della Regione Puglia, 1 agosto 2003, n. 11. V. anche la legge regionale del Veneto 13 agosto 2004, n. 15, art. 12, comma 2, in cui si prevede che il rilascio dell’autorizzazione all’apertura o all’ampliamento è soggetto agli obiettivi di sviluppo quantitativo su cui si basa la programmazione

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Un richiamo deve, inoltre essere fatto anche alla normativa regionale in materia di commercio equo e solidale su cui erano intervenute due risoluzioni del Parlamento europeo162. Con la legge Regione Toscana, 23 febbraio 2005, n. 37, “Disposizioni per il sostegno alla diffusione del commercio equo e solidale in Toscana”, si è dettata una prima disciplina regionale del settore attribuendogli “una funzione rilevante nella promozione dell’incontro fra culture diverse e nel sostegno alla crescita economica e sociale, nel rispetto dei diritti individuali, dei paesi in via di sviluppo” (art. 1). Destinatari del provvedimento sono quei soggetti senza fini di lucro che si conformano ai contenuti della Carta Italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale, approvata dall’associazione Assemblea generale italiana del commercio equo e solidale (AGICES). Il provvedimento prevede l’istituzione del registro regionale dei soggetti operanti in tale ambito (art. 3), a cui sono destinati incentivi e agevolazioni (art. 5), come la priorità nell’accesso ad aiuti e investimenti. Viene, inoltre, disciplinata la promozione del commercio equo e solidale (art. 4) con l’espresso obiettivo di orientare ad un “consumo consapevole e attento”. A tale scopo sono previste azioni educative da realizzarsi nelle scuole. Anche altre regioni hanno allo studio progetti di legge in materia (tra queste la Lombardia163 e il Veneto164). La previsione di albi regionali non è contenuta nelle indicazioni ricavabili dalle risoluzioni del Parlamento europeo, che prevedono solo registri relativi ai prodotti. 6. Questioni di rilievo concorrenziale Il primo intervento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato sulla materia è giunto nel 1993. Con il rapporto su “Regolamentazione della distribuzione commerciale e concorrenza” (1 gennaio 1993) erano stati individuati i principali ostacoli normativi al funzionamento del mercato del commercio interno. Quando tali ostacoli non trovavano giustificazione in esigenze di carattere generale, l’Autorità forniva indicazioni volte ad un liberalizzazione, anche nella prospettiva della tutela dei consumatori. In accoglimento delle indicazioni dell’Agcm venne formulato uno schema di decreto legislativo recante “Riforma della disciplina in materia di commercio, in attuazione della delega conferita dall’art. 4, comma 4, lettera c), della legge 15 marzo 1997, n. 59”, su cui l’Autorità rese parere, nell’esercizio della sua funzione consultiva165. Nella prima formulazione dello schema erano già presenti misure di liberalizzazione (l’accorpamento delle tabelle merceologiche in due soli settori, alimentare e non commerciale del Veneto. Inoltre, la legge prevede che gli outlet debbano distare tra loro almeno 100 km in linea d’aria. 162 PARLAMENTO EUROPEO, Risoluzione n. A3-0373/93 del 19 gennaio 1994 sulla promozione del commercio equo e solidale e Risoluzione 198/98/CE 163 Tra le proposte, l'istituzione di un Albo regionale degli operatori del settore, l'organizzazione di momenti di formazione e sensibilizzazione, l'istituzione della Giornata regionale del commercio equo e solidale e l'inserimento di un'apposita voce di bilancio per sostenere progetti di cooperazione allo sviluppo tramite commercio equo. 164 “Interventi in favore dello sviluppo del commercio equo e solidale in Veneto”. La Regione del Veneto, prevede l’istituzione dell’Albo regionale del commercio equo e solidale, agevolazioni in favore degli enti del commercio equo e solidale, e attività di promozione. 165 AGCM, Parere sullo schema di decreto legislativo recante “Riforma della disciplina in materia di commercio, in attuazione della delega conferita dall’art. 4, comma 4, lettera c), della legge 15 marzo 1997, n. 59”, del 25 febbraio 1998

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alimentare; il mantenimento di requisiti professionali per il solo settore alimentare e l’abolizione del Rec; la semplificazione del regime autorizzatorio). Vennero peraltro avanzate dall’Autorità osservazioni relativamente alla disciplina dei poteri regionali di regolazione e programmazione, a quella degli esercizi commerciali, agli orari di vendita, auspicando che le Regioni legiferassero in modo coerente con gli obiettivi di semplificazione e di apertura concorrenziale perseguiti dalla riforma statale del commercio. Nel 1999, sempre nell’esercizio della sua attività consultiva (ai sensi dell’art. 22 della legge n. 287/1990), l’Autorità garante della concorrenza e del mercato si è espressa riguardo l’esercizio da parte delle Regioni del potere di adottare gli indirizzi generali per l’insediamento delle attività commerciali e i criteri di programmazione urbanistica riferiti al settore commerciale (ex art. 6 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114). Con parere su progetto di legge della Regione Lombardia166 l’Autorità ha evidenziato la portata anticoncorrenziale del tentativo di introdurre norme suscettibili di una attuazione contrastante con la tutela della concorrenza e del mercato. In particolare, è stata evidenziata la inopportunità di costituire Unità territoriali, quale suddivisione del territorio della regione, come “base geografica per la programmazione regionale la quale […] definisce le compatibilità di sviluppo dell’offerta in rapporto alla domanda esistente e prevedibile sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo”. E’ stato, peraltro, richiesto di evitare l’adozione di un modello di valutazione delle autorizzazioni per le medie e grandi superfici “rigidamente impostato in termini di regolamentazione strutturale del mercato” e di evitare “il reinserimento, a livello regionale, di misure equivalenti alle tabelle merceologiche”. Con parere167 “volto ad illustrare gli indirizzi e i criteri di carattere generale che le regioni dovrebbero seguire, nell’esercizio dei propri poteri in attuazione del decreto legislativo n. 114/1998, al fine di evitare restrizioni della concorrenza non strettamente giustificate da esigenze di interesse pubblico”, l’Autorità ha fornito indicazioni volte all’adozione da parte delle regioni di normazioni pro-concorrenziali in materia. Nel parere viene ricordato alle regioni che la portata innovatrice della riforma del commercio “risiede nella circostanza che esso cessa di avere quale obiettivo centrale la pianificazione quantitativa dell’offerta, per adottare una prospettiva di tutela di interessi generali, principalmente di tipo urbanistico […] o connessi all’esigenza di promuovere un adeguato livello di servizi per consumatori nei diversi contesti geografici”. E’ stato, altresì, confermato che i criteri di programmazione urbanistica riferiti al settore commerciale (che le regioni devono adottare in base all’art. 6, comma 2 del d.lgs. 114/1998) devono essere indirizzati alla tutela dell’assetto territoriale e non utilizzati per una strumentale programmazione commerciale. Qui di seguito si riporta una sintesi elaborata dall’Autorità riguardante i principali suggerimenti, relativi alle diverse tipologie distributive, che l’Agcm ha ritenuto di indicare alle Regioni168.

166 AGCM, Parere del 4 marzo 1999, in Bollettino n. 9/1999 167 AGCM, Parere del 15 aprile 1999, in Bollettino n. 13-14/1999 168 AGCM, Parere del 4 marzo 1999

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Esercizi di vicinato versione attuale dei progetti normativi Modifiche suggerite Rinvio della liberalizzazione (articolo 10,1,c)

Condizioni: -per 6 mesi se in corso di adozione i provvedimenti comunali -per altri 6 mesi se sono stati adottati i provvedimenti dovuti -per altri 12 mesi, se avviati programmi di qualificazione della rete commerciale.

Condizioni: -per 6 mesi se in corso di adozione i provvedimenti comunali -successivamente solo se sono avviati programmi di qualificazione della rete commerciale che verrebbero significativamente pregiudicati dall'accoglimento della domanda.

MEDIE SUPERFICI DI VENDITA

Criteri per diniego autorizzazione:

tra l'altro, il Comune dovrà considerare se la superficie richiesta superi il contingente quantitativo per la media distribuzione assegnato all'U.T. a livello regionale

soltanto se l'accoglimento della domanda pregiudica il conseguimento di obiettivi di interesse generale; la decisione di non accoglimento della domanda dovrebbe contenere una puntuale giustificazione, a questo riguardo; il fatto che la superficie richiesta sia inferiore al contingente quantitativo per la media distribuzione assegnato, in via orientativa, all'U.T. a livello regionale, andrebbe esplicitamente menzionato nel provvedimento. Le Linee guida vanno riviste.

Vincoli particolari derivanti dalla disciplina urbanistica

disponibilità di aree con specifica destinazione d'uso per la media distribuzione

eliminare la rigida e generalizzata distinzione tra le aree con specifica destinazione d'uso per la media e per la grande distribuzione

GRANDI SUPERFICI DI VENDITA

Criteri per il diniego dell'autorizzazione:

se la superficie supera il contingente quantitativo per la grande distribuzione assegnato all'U.T. (resta un contingente di superficie di riserva, assegnabile a livello regionale in base a un punteggio basato sulle Linee guida

soltanto se l'accoglimento della domanda pregiudica il conseguimento di obiettivi di interesse generale; la decisione di non accoglimento della domanda dovrebbe contenere una puntuale giustificazione, a questo riguardo; il fatto che la superficie richiesta sia inferiore al contingente quantitativo per la grande distribuzione assegnato, in via orientativa, all'U.T. a livello regionale, andrebbe esplicitamente menzionato nel provvedimento. Le Linee guida vanno riviste.

Vincoli particolari derivanti dalla disciplina urbanistica

disponibilità di aree con specifica destinazione d'uso per la grande distribuzione

eliminare la rigida e generalizzata distinzione tra le aree con specifica destinazione d'uso per la media e per la grande distribuzione

Di recente l’Agcm con parere dell’ottobre 2005169 ha auspicato che venisse eliminato dal disegno di legge di conversione del decreto legge n. 182/2005, art. 2 bis, l'obbligo di riserva di spazi commerciali a favore dei prodotti agricoli regionali. La norma prevedeva la fissazione, da parte delle Regioni, di una percentuale minima della superficie di vendita delle grandi strutture commerciali da destinare esclusivamente alla vendita dei prodotti agricoli e agroalimentari regionali. La percentuale era stata fissata in via provvisoria al 20 per cento. Per l'Autorità, la previsione si sarebbe posta in contrasto con i principi nazionali e comunitari a tutela della concorrenza, producendo gravi effetti distorsivi delle

169 Agcm, Parere su “Obbligo di riserva di spazi commerciali a prodotti agricoli e agroalimentari regionali” del 19 ottobre 2005, in “Bollettino”, n. 40/2005

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dinamiche concorrenziali esistenti sia nel settore della distribuzione commerciale dei prodotti agricoli e agroalimentari, sia nei settori a monte della produzione di tali beni. Secondo l'Agcm l'introduzione di forti vincoli alla libertà d'impresa in materia di politiche di approvvigionamento della grande distribuzione organizzata (GDO) avrebbe comportato una riduzione del grado di concorrenza tra le imprese attive nel settore distributivo, dovuta al ridimensionamento dei margini di manovra possibili su una variabile competitiva. La certezza di uno sbocco commerciale per le imprese che operano nel settore avrebbe potuto, peraltro, rappresentare un disincentivo all’efficienza e costituire un’ingiustificata discriminazione nei confronti dei produttori di altre regioni. Con la legge di conversione 11 novembre 2005, n. 231 (“Interventi urgenti in agricoltura e per gli organismi pubblici del settore, nonchè per contrastare andamenti anomali dei prezzi nelle filiere agroalimentari”) l’art. 2 bis è stato modificato eliminando la previsione di una quantificata riserva di spazi commerciali170.

170 Art. 2 bis, legge n. 231/2005: “1. Al fine di migliorare l'accesso ai mercati dei prodotti agricoli, freschi e deperibili, tenendo conto degli interessi dei consumatori, le intese di filiera di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 27 maggio 2005, n. 102, definiscono azioni per consentire che nelle grandi strutture di vendita e nei centri commerciali di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, in cui si esercita anche attività di vendita di prodotti agricoli, siano posti in vendita prodotti provenienti dalle aziende agricole ubicate nel territorio delle regioni in cui operano le predette strutture, in una congrua percentuale, in termini di valore, della produzione agricola annualmente acquistata”.

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IL TRASPORTO

1. Le norme costituzionali in materia di trasporto La precedente formulazione dell’art. 117 Cost. prevedeva che la Regione potesse emanare norme legislative “nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato” (“semprechè le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni”) su alcune settori relativi al servizio di trasporto pubblico: tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale, navigazione e porti lacuali. Nel quadro della ripartizione costituzionale spettavano alle Regioni anche le relative competenze amministrative, ai sensi dell’art. 118 Cost. Il settore è stato caratterizzato dalla presenza di un diffuso regime di riserva, autorizzato dall’art. 43 Cost., in base al quale si è giustificato che “un intero settore venga sottratto al libero mercato e lasciato al potere pubblico riservatario o ai pochi operatori ai quali lo stesso potere pubblico decida di conferire la concessione di esercizio delle attività”171. La giustificazione economica del monopolio naturale nei servizi di trasporto pubblico a rete si è tradotta nell’attribuzione di gestioni in esclusiva dei servizi, con una applicazione estensiva (come, ad esempio, per il caso del trasporto autolinee che, a rigore, non presenta tutti i caratteri dei trasporto a rete): aziende autonome statali e aziende municipalizzate, enti pubblici economici, società partecipate titolari di concessioni amministrative, concessionari privati hanno, per lungo tempo, assicurato i servizi di trasporto pubblico (ferroviario, marittimo, aereo, urbano, ecc.) in una logica escludente per cui l’affermazione del servizio pubblico comportava negazione del mercato e centralizzazione delle funzioni. In occasione della realizzazione di infrastrutture di trasporto le competenze amministrative dello Stato si sono, peraltro, estese alle opere che – pur localizzate in una regione – sono state considerate di “interesse sovraregionale”: “poiché la materia regionale è circoscritta, nel testo originario della Costituzione, non solo dal limite territoriale, ma anche dal limite dell’interesse, lo Stato può penetrare all’interno dei confini regionali quando l’interesse […] ha carattere sovraregionale”172. In attuazione del disegno costituzionale - dapprima con il d.p.r. 14 gennaio 1972, n. 5 e, poi, con d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616 - venne realizzato un primo decentramento di compiti amministrativi, attribuendo alle regioni funzioni in materia di linee ferroviarie in concessione, linee ferroviarie secondarie gestite dalle Ferrovie dello Stato e in materia di linee automobilistiche di servizio pubblico (fissando la nozione di linea automobilistica "di interesse regionale") (art. 1 d.p.r. n. 5/72, e art. 84, d.p.r. n. 616/77). Con la legge quadro in materia di trasporto pubblico locale (legge 10 aprile 1981, n. 151) vennero disciplinati le autolinee, urbane ed extraurbane, le tramvie, le filovie e il trasporto metropolitano. Si era prevista la partecipazione delle regioni alla stesura della pianificazione settoriale (Piano nazionale dei trasporti) e vennero fissati i criteri per la ripartizione dei contributi alle imprese, ponendo un principio di raccordo tra costi e ricavi e contribuzioni (Fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio).

171 M. D’ALBERTI (a cura di), Concessioni e concorrenza, Roma, IPZS, 1997 172 Cfr. G. CORSO, Rapporti tra Stato e regione in materia di infrastrutture e di trasporti alla luce della legge cost. n. 3/2001, in “Nuova rassegna”, 2002, pag. 1707

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Nel 1997, con la legge n. 59/1997 si è rovesciata la tradizionale impostazione, che vedeva una competenza statale prevalente nella materia del trasporto173: le regioni e gli enti locali sono divenuti, pertanto, a Costituzione invariata, titolari della generalità delle competenze in materia. La delega prevista (art. 4, comma 4, lett. a e b) non si ispirava al solo principio di deconcentrazione delle competenze ma anche a quello della riorganizzazione economica del settore e a quello della apertura concorrenziale del mercato. A seguito della riforma legislativa del settore, con il d.lgs. n. 422/1997174, è intervenuta la legge costituzionale n. 1/2003 che ha riformato il titolo V della Costituzione. In base al nuovo assetto di competenze, lo Stato, stante la natura di servizio pubblico del trasporto, è innanzi tutto titolare della funzione di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (art. 117, II comma, lett. m) e di altre materie cd. trasversali (come la tutela della concorrenza e la tutela dell’ambiente), le quali a vario titolo incidono sul trasporto. Sono, poi, rimaste alla legislazione concorrente le materie inerenti al “governo del territorio”: porti e aeroporti civili e grandi reti di trasporto e di navigazione. Secondo la respinta proposta di revisione dell’art. 117175, avrebbero dovuto essere nuovamente attribuite alla competenza dello Stato le “grandi reti strategiche di trasporto e di navigazione di interesse nazionale e relative norme di sicurezza” ed essere confermate materie di legislazione concorrente i porti e aeroporti civili e le reti di trasporto e di navigazione. Infine, le Regioni hanno una competenza legislativa esclusiva residuale sulla materia dei trasporti176. Nonostante l’apparente estensione delle competenze legislative regionali la competenza esclusiva dello Stato sulle materie cd. trasversali (come i “livelli essenziali”, la tutela della concorrenza e la tutela dell’ambiente) è sembrata potenzialmente in grado di interferire con l’esercizio della potestà legislativa regionale. A tale proposito, è recentemente intervenuta una sentenza della Corte costituzionale, volta a verificare la legittimità di alcune leggi regionali che – in vario modo – avevano introdotto per affidamenti preesistenti proroghe del termine, previsto dal legislatore statale (l. n. 422/1997), per l’entrata in vigore del nuovo regime di affidamento di tutti i servizi di trasporto pubblico locale, che avrebbe dovuto essere imperniato su procedure

173 Sull’argomento v. C. GALLUCCI, Trasporti, in G. FALCON (a cura di), Lo Stato autonomista. Funzioni statali, regionali e locali nel decreto legislativo n. 112 del 1998 di attuazione della legge Bassanini n. 59 del 1997, Bologna, Il Mulino, 1998, pag. 341. V. anche L. CICI, Il trasporto e le attività economiche, in “Giornale di diritto amministrativo”, 1997, pag. 418 174 Cfr. L. CICI, La riforma del trasporto pubblico locale, in “Giornale di diritto amministrativo”, 1998, pag. 289 175 Disegno di legge costituzionale 17 novembre 2005, non approvato dal referendum del 25-26 giugno 2006 176 Sull’argomento si è, peraltro, pronunciata la Corte costituzionale, sentenza 8 giugno 2005, n. 222: “Non vi è dubbio che la materia del trasporto pubblico locale rientra nell’ambito delle competenze residuali delle Regioni di cui al quarto comma dell’art. 117 Cost., come reso evidente anche dal fatto che, ancor prima della riforma del Titolo V della Costituzione, il decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 (Conferimento alle Regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell’art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59) aveva ridisciplinato l’intero settore, conferendo alle Regioni ed agli enti locali funzioni e compiti relativi a tutti i «servizi pubblici di trasporto di interesse regionale e locale con qualsiasi modalità effettuati ed in qualsiasi forma affidati» ed escludendo solo i trasporti pubblici di interesse nazionale (cfr., in particolare, gli artt. 1 e 3)”.

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ad evidenza pubblica177. Le disposizioni sono state impugnate perché in contrasto con l’articolo 117, comma I, Cost., in altri termini in quanto suscettibili “di alterare il regime di libero mercato delle prestazioni e dei servizi, in violazione degli obblighi comunitari in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici, derivanti dagli articoli 49 e seguenti del Trattato CE”178 e in quanto contenenti discipline violative della competenza statale esclusiva in materia di tutela della concorrenza (art. 117, comma II, lettera e), Cost.). Le disposizioni delle leggi regionali impugnate sono state dichiarate costituzionalmente illegittime. 1.1 La disciplina unitaria e speciale del trasporto pubblico locale La materia dei trasporti è, in realtà, la sommatoria di una serie di discipline settoriali, rispetto alle quali complesso si è rivelato l’intervento volto a ripartire le competenze tra distinti livelli di governo. La materia è attraversata al suo interno da due distinte logiche di ripartizione concettuale, cui corrispondono discipline giuridiche parzialmente diverse: la logica dell’organizzazione economica dei servizi (verticale o modale) e quella del mercato geografico (orizzontale). La logica economica ordina la materia in subsettori, individuabili in base al mezzo di trasporto (ad es. trasporto ferroviario, trasporto aereo, ecc.). Questa logica prevale nell’approccio della normativa comunitaria, che ha regolato dettagliatamente in numerosi settori sia gli aspetti legati alla gestione delle reti di trasporto che quelli relativi alla gestione del servizio179. La logica del mercato geografico accorpa, invece, più modalità di trasporto in una unitaria categoria, unificata dall’ambito territoriale di riferimento: particolare rilevanza in ordine alla disciplina applicabile si registra nel caso dei trasporti pubblici locali (TPL, che comprendono servizi di trasporto autolinee, ferroviario, marittimo, aereo). La più ridotta estensione del mercato geografico rispetto a quello di rilevanza comunitaria ha reso le diverse modalità di trasporto pubblico locale più sensibili alla regolamentazione nazionale e regionale. La normazione comunitaria in materia di TPL

177 Corte costituzionale, sentenza 22 febbraio 2006, n. 80. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 1, comma 7, della legge della Regione Lazio 3 marzo 2003, n. 5 (Norme in materia di società esercenti servizi di trasporto pubblico locale a partecipazione regionale), l’art. 2, comma 2, della legge della Regione Liguria 17 giugno 2003, n. 17 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 9 settembre 1998, n. 31, recante norme in materia di trasporto pubblico locale), l’art. 3 della legge della Regione Veneto 26 novembre 2004, n. 30 (Disposizioni di interpretazione autentica e di modifica in materia di trasporto pubblico locale di cui alla legge regionale 30 ottobre 1998, n. 25 «Disciplina ed organizzazione del trasporto pubblico locale» e successive modificazioni), l’art. 1, comma 11, lettere b) e f), della legge della Regione Calabria 29 dicembre 2004, n. 36 (Modifiche alla legge regionale 7 agosto 1999, n. 23, recante «Norme per il trasporto pubblico locale»), l’art. 25 della legge della Regione Veneto 25 febbraio 2005, n. 8 (Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2004 in materia di edilizia residenziale pubblica, viabilità, mobilità, urbanistica ed edilizia), per contrasto con l’art. 117, primo e secondo comma, lettera e), della Costituzione. 178 Nel caso delle leggi della Regione Lazio e della Regione Liguria veniva, inoltre, eccepita la violazione delle direttive n. 93/38/CEE (Direttiva del Consiglio che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni) e n. 92/50/CEE (Direttiva del Consiglio che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi). 179 Cfr. A. TRAVI, Servizi pubblici locali e tutela della concorrenza fra diritto comunitario e modelli nazionali, in G. FALCON (a cura di), Il diritto amministrativo dei paesi europei tra omogeneizzazione e diversità culturali, Padova, Cedam, 2005, pag. 188

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ha, infatti, limitato e circoscritto gli interventi nel settore, in osservanza del principio di sussidiarietà180. L’ambito del TPL presenta, dunque, per la ricerca un interesse maggiore, sia per il grado di incidenza della legislazione regionale che per il potenziale – che la legislazione attuativa ha manifestato – fortemente elusivo delle norme a tutela della concorrenza, sia – infine – per i problemi che derivano dalla difficile compatibilizzazione tra il bacino ottimale del servizio e l’estensione territoriale del livello di governo competente sul servizio. Anche il servizio pubblico locale di trasporto è tradizionalmente caratterizzato dalla presenza di operatori monopolistici, a diverso titolo collegati con l’ente locale (aziende e concessionari dapprima, società miste in seguito). Il settore ha, inoltre, conosciuto l’ampio ricorso a forme di sussidiazione pubblica (autolinee, trasporti marittimi, ferrovie locali, trasporto metropolitano, trasporto a fune) per compensare i disavanzi delle gestioni causati dall’assolvimento di oneri di servizio pubblico da parte delle imprese incaricate. A seguito della prima legislazione quadro del 1981, nella materia del trasporto pubblico locale la trattazione unitaria della disciplina è stata resa possibile dalla emanazione del d.lgs. 19 novembre 1997, n. 422, di conferimento a Regioni ed enti locali di funzioni e compiti statali inerenti ai servizi di trasporto ferroviario, marittimo e aereo di dimensione locale181. Con questa normazione settoriale si è, al contempo, superata la visione modale dei servizi di trasporto182 e si è dettata, per i TPL, una disciplina speciale rispetto a quella generale che regola gli altri servizi pubblici locali. La prevalenza della disciplina speciale del trasporto pubblico locale su quella per gli altri servizi pubblici locali è stata, anche di recente, confermata dalla Corte costituzionale183. 2. Cenni in prospettiva comparata sulle norme costituzionali e sui principi legislativi nazionali nel settore del trasporto Il settore del trasporto pubblico locale è oggetto, in Spagna, di una disciplina che presenta numerose analogie con quella italiana. A livello costituzionale, è previsto che rientrino nell’ambito delle competenze delle comunità autonome le ferrovie locali ed i trasporti a fune (art. 148). Appartengono allo Stato i compiti relativi al trasporto aereo, ferroviario e agli altri trasporti interregionali (art. 149). Nell’ambito della più generale disciplina dei servizi pubblici l’art. 128 della Costituzione spagnola ha largamente legittimato un regime di riserva di attività

180 Cfr. TRAVI, Servizi pubblici cit., pag. 188 181 Sull’argomento v. N. RANGONE, I trasporti pubblici di linea, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, parte speciale, tomo II, Milano, Giuffrè, 2000, pag. 1697 182 Sull’argomento v. D. GARIGLIO, L’organizzazione del trasporto locale, in A.G. ARABIA-D. GARIGLIO-C. RAPALLINI, La governance del trasporto pubblico locale, milano, Giuffrè, 2004, pag. 18 183 Corte costituzionale, sentenza n. 80 del 22 febbraio 2006: al settore del trasporto pubblico locale si applica la disciplina speciale del d.lgs. n. 422/1997 “e non quella contenuta nell’art. 113, comma 15-bis, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), che individua nel 31 dicembre 2006 la data entro cui cessano le precedenti concessioni in tema di servizi pubblici locali”.

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d’impresa e la gestione monopolistica dei servizi: “la idea de reserva contenida en artìculo 128 CE parece estar emparentada con su homònima italiana”184. In base alla legge 7/1985, del 2 aprile 1985, “reguladora de las bases del Régimen local”, viene dichiarata la riserva di “attività o servizi essenziali” a favore delle Entitades locales anche riguardo al transporte pùblico de viajeros (art. 86, comma 3). In particolare, il Municipio svolge le relative competenze amministrative sulla base della legislazione statale e di quella delle Comunidades Autònomas (art. 25, legge 7/1985, del 2 aprile 1985). Analogamente a quanto avviene in Italia, sono state previste forme dirette ed indirette di gestione e vi è stato un ampio ricorso all’istituto della concessione amministrativa per lo svolgimento del servizio. Sono, inoltre, istituiti anche interventi di compensazione degli obblighi di servizio pubblico (art. 127 del Reglamento de Servicios de las Corporaciones locales). Come in Italia, peraltro, la disciplina è stata coinvolta in un processo di progressivo adeguamento al diritto comunitario dei servizi pubblici185, con l’introduzione di forme di concorrenza regolamentata, come nel caso del trasporto urbano186. In Francia la materia non è oggetto di specifico riferimento a livello costituzionale ed è disciplinata dalla legge n. 82-1153 del 30 dicembre 1982, “loi d'orientation des transports intérieurs » (LOTI), con cui si è realizzato un decentramento del trasporto urbano e si sono fornite linee guida per la regolazione settoriale. La legge ha attribuito ai comuni (o ai raggruppamenti di comuni)187 la responsabilità di organizzare i trasporti pubblici urbani, e ha posto una serie di principi, tra l’altro, riaffermando la missione di servizio pubblico del trasporto collettivo urbano. L’Autorità locale organizza il trasporto scegliendo fra la gestione diretta del servizio, l’affidamento ad un operatore o la creazione di una società mista188. Definisce, inoltre, le condizioni per la sussidiazione dell’impresa, che vengono regolate da un contratto189.

184 F. SOSA WAGNER, La gestìon de los servicios publicos locales, Madrid, Civitas, 1999, pag. 37 185 Sul punto v. S. MUNOZ MACHADO, Servicio publico y mercato. I – Los fundamentos, Civitas, Madrid, 1998 186 C. CAPEZZUOLI (a cura di), Il mercato europeo del trasporto pubblico, in http://www.ataf.net/DN@Files/nonsolobus_area/giu01_schedaoperativa.pdf 187 Considerate le piccole dimensioni dei comuni il settore è, infatti, terreno privilegiato di cooperazione intercomunale 188 Quanto ai profili finanziari dell’affidamento a privati esistono tre tipi di convention di délégation de service : la gérance (assunzione del rischio d’impresa da parte dell’autorità responsabile dell’organizzazione del servizio); la gestion à prix forfaitaire (l’impresa assume il rischi industriale, l’autorità responsabile il rischio commerciale); la compensation financière forfaitaire (il rischio è totalmente assunto dall’impresa, salvo compensazioni pattuite). 189 Cfr. B. BUZZO MARGARI-M. PIACENZA, I sussidi al trasporto pubblico locale: esperienze di regolamentazione a confronto e implicazioni di efficienza produttiva, Hermes, working papers, n. 10/205, pag. 12, dove, riguardo il caso francese, si legge: “[…] il complesso dei diritti e degli obblighi dell’operatore e le regole per la gestione dei ricavi da traffico ed il rimborso dei costi da parte dell’Autorità Locale sono esplicitati in un contratto formale stipulato tra il Principale (il regolatore) e l’Agente (l’impresa che eroga il servizio). Le forme contrattuali utilizzate sono sostanzialmente quella fixed-price e quella costplus: gli operatori sottoposti a contratti fixed-price ricevono sussidi a ripiano delle perdite previste, mentre quelli soggetti regolamentazione di tipo cost-plus ottengono un ripiano ex post dei deficit di esercizio. Il raggiungimento dell’equilibrio economico, già reso difficoltoso per via del basso livello delle tariffe applicate, è reso ancora più complicato a causa della presenza di asimmetrie informative dal lato dei costi, che come si è visto conducono a situazioni di inefficienza”

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Stato e collectivités territoriales assicurano elaborazione ed attuazione della politica dei trasporti attraverso un processo di pianificazione che prevede la partecipazione degli interessati. A tal fine Stato e collectivités territoriales possono stipulare contratti (art. 4). Un Conseil national des transports e Comités régionaux des transports contribuiscono alla elaborazione ed attuazione della politica dei trasporti interni per quanto di competenza dello Stato (art. 16). La legge disciplina, inoltre, il trasporto ferroviario nazionale che assolve, anche, a funzioni di trasporto regionale e locale: in quest’ambito vi è una intensa regolamentazione pubblicistica190 in cui sono previste forme di compensazione degli oneri di servizio pubblico sostenuti dalla SNCF. Già con la legge n. 93-122, del 29 gennaio 1993, « relative à la prévention de la corruption et à la transparence de la vie économique et des procédures publiques » (legge Sapin), sono stati introdotti obblighi di gara per l’assegnazione dei servizi pubblici con l’obiettivo di migliorare la competizione tra operatori privati191. In Germania il trasporto ferroviario di interesse federale e il trasporto aereo sono espressamente demandati dalla Costituzione alla competenza legislativa esclusiva della federazione (art. 73)192. Sono, inoltre, attribuiti alla amministrazione federale diretta (art. 87 d ed e), così come le vie navigabili federali (art. 89). Oggetto di una specifica norma costituzionale è il finanziamento del trasporto pubblico di persone (art. 106 Cost.)193. Nel 1996 è intervenuta una riforma del trasporto pubblico regionale e urbano, ora integralmente affidato alla cura di Lander, Distretti e Comuni. A livello locale è istituita ed opera una Autorità pubblica (Verkehrverbund) con funzioni di coordinamento nell’organizzazione dei servizi e nella gestione del rapporto con le imprese. I servizi di trasporto sono distinti a seconda della loro natura commerciale o meno, il che comporta conseguenze sulle compensazioni finanziarie pubbliche194. In Gran Bretagna il trasporto locale è regolato in modo competitivo e vige una disciplina unitaria, salvo che per Londra e l’Irlanda del Nord. Il trasporto collettivo su gomma è costituito da:

- servizi commerciali, che non sono sussidiati e che possono essere svolti liberamente salvo l’obbligo di iscrizione al Traffic Commissioner 40 giorni prima dell’inizio del nuovo servizio (sistema di licensing degli operatori di Public Service vehicles, PSVs)195;

190 Cfr. J. FURNIER, Il trasporto ferroviario in Francia, in E. FERRARI (a cura di), I servizi a rete in Europa, Milano, R. Cortina ed., 2000, pag. 275 191 Sull’argomento v. A. BOITANI-C. CAMBINI, Le gare per i servizi di trasporto locale in Europa e in Italia: molto rumore per nulla?, in “Economia e politica industriale”, 2004, pag. 68 192 Anche in Austria la materia del trasporto ferroviario ed aereo è nell’ambito delle competenze esclusive della federazione (art. 10). 193 Art. 106 Cost. tedesca: “Trasporto pubblico di persone – Per i trasporti pubblici di persone spetta ai Länder dal 1 gennaio 1996 un contributo sulle entrate fiscali della Federazione. Una legge federale che necessita dell'assenso del Bundesrat regola i dettagli. Il contributo di cui al primo periodo prescinde dalla valutazione della capacità finanziaria di cui all'articolo 107, secondo comma”. 194 Cfr. A. BOITANI-C. COMBINI, Le gare per i servizi di trasporto locale cit., pag. 6 195 http://www.dft.gov.uk/stellent/groups/dft_roads/documents/divisionhomepage

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- servizi non commerciali, sussidiati “la cui funzione sociale è individuata dal decisore pubblico (Public Transport Authority-PTA) e le cui regole sono definite dalle Public Transport Executive-PTE”196.

Il mercato del trasporto è deregolamentato dal 1997, parzialmente assoggettato ad una concorrenza regolata con la previsione di bandi di gara (come per l’assegnazione dei trasporti effettuati con autobus a Londra)197. Con il Transport Act del 2000 e il Transport (Scotland) Act del 2001, l’Office of Fair Trading è stato incaricato di svolgere una verifica degli impatti concorrenziali (competition test) quando le autorità locali competenti in materia di trasporto concludono quality partnership, creano profili tariffari (ticketing scheme), offrono servizi. Il test verifica i possibili e significativi effetti negativi sulla concorrenza che possono essere superati - a seguito del risultato negativo del competition test - se vi è una giustificazione (migliorie nei veicoli, nelle strutture, nei servizi locali, o se si riduce il traffico o l’inquinamento) che sia proporzionata e non sia suscettibile di eliminare del tutto la concorrenza. Se il competition test non viene superato, l’Office of Fair Trading può fornire istruzioni o prendere delle decisioni, se necessario perfino ordinare la cessazione degli effetti del ticketing scheme198.

3. La normativa comunitaria Nell’ambito del trasporto pubblico si è registrata la tardiva adozione di una politica comunitaria comune199. L’intervento comunitario è stato, peraltro, caratterizzato da normative settoriali volte all’apertura concorrenziale dei grandi servizi di trasporto a rete e dalla ricerca di limitare e rendere trasparenti gli aiuti di Stato alle imprese nel settore del trasporto pubblico (anche locale), fortemente caratterizzato da sussidiazioni pubbliche. I principi affermati in materia riguardano la separazione tra servizio pubblico e gestione pubblica, il libero accesso al mercato in base ad autorizzazioni non discrezionali, accompagnate da contratti di servizio pubblico e, inoltre, “la piena separazione tra regolazione e gestione, la soppressione di tutti gli obblighi non strettamente necessari al perseguimento degli obiettivi del servizio pubblico”200. In materia è intervenuto nel 2001 il Libro bianco dei trasporti (“La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte”)201, che ha posto, tra l’altro, la prospettiva di rafforzare le reti transeuropee di trasporto e valorizzare il trasporto ferroviario e marittimo.

196 Sul punto v. A. BOITANI-C. COMBINI, Le gare per i servizi di trasporto locale cit., pag. 8. Le PTE sono organismi tecnici cui competono le funzioni di pianificazione del trasporto, gestione delle risorse, selezione degli operatori su base competitiva, contrattualizzazione del rapporto tra i soggetti, monitoraggio-controllo del contratto. 197 C. CAPEZZUOLI (a cura di), Il mercato europeo del trasporto pubblico, in http://www.ataf.net/DN@Files/nonsolobus_area/giu01_schedaoperativa.pdf 198 http://www.oft.gov.uk/Business/Legal/Transport/default.htm. L’Office of Fair trading svolge il suo competition test sulla base di una Guidance on the Competition Test (ottobre 2003, OFT393), 199 Cfr. N. RANGONE, I trasporti pubblici di linea cit., pag. 1699 200 ivi, pag. 1699-1670 201 Commissione delle Comunità europee, COM(2001) 370 def., del 12 settembre 2001

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Anche in ambito locale, come nella disciplina settoriale delle diverse modalità di trasporto (ferroviario, aereo), la regolamentazione comunitaria ha cercato di conformarsi ai principi di separazione tra la gestione della rete e l’erogazione del servizio, alla distinzione tra il ruolo di pianificazione e di produzione del servizio, utilizzando lo strumento del contratto di servizio e la nozione di “servizi minimi”202. Nonostante la dimensione locale del servizio è stato sostenuto che non sembrerebbe, infatti, più giustificabile l’adozione di un regime differenziato per il trasporto pubblico locale203. Sulla materia erano, peraltro, intervenuti il Regolamento CEE n. 1191/69 del 26 giugno 1969 relativo all’azione degli Stati membri in materia di obblighi inerenti alla nozione di servizio pubblico nel settore dei trasporti per ferrovia, su strada e per via navigabile e il Regolamento CEE n. 1893/91 del 20 giugno 1991 che aveva modificato il Regolamento del 1969. Nella prima disciplina, le imprese esercenti servizi di TPL erano espressamente escluse dall’ambito applicativo della normativa comunitaria. La seconda disciplina intervenne, invece, proprio per estendere la regolamentazione del trasporto anche al TPL, per quanto fosse stata, poi, prevista la possibilità per gli Stati membri di escludere, dall’ambito applicativo del Regolamento, “le imprese la cui attività è limitata esclusivamente alla fornitura dei servizi urbani, extraurbani o regionali”. E’, allo stato, in corso di approvazione il Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio204 relativo ai servizi pubblici di trasporto passeggeri su strada e per ferrovia che la Direzione Generale Trasporti dell'UE ha recentemente approvato, dopo un iter travagliato, durato più di cinque anni. Le revisioni intervenute sulla originaria proposta di regolamento del 2000, infatti, hanno dovuto tener conto di una maggiore concorrenzialità internazionale nella prestazione di servizi di trasporto pubblico, della crescita delle dimensioni degli operatori economici del settore e di una più efficace competitività di operatori nazionali “storici” sui mercati del TPL di altri stati membri. Le compensazioni degli oneri di servizio pubblico - che hanno sempre rappresentato un nodo critico negli interventi comunitari in materia di aiuti di Stato - sono così, nel settore dei TPL balzate al centro di un importante contenzioso. Dopo una giurisprudenza ondeggiante la Corte di Giustizia205 si è pronunciata riguardo le condizioni in cui uno Stato membro può accordare delle sovvenzioni alle imprese che gestiscono un servizio pubblico di trasporto locale di persone. Ha, nel merito, statuito che non costituiscono "aiuti di stato" le sovvenzioni pubbliche volte a consentire l'esercizio di servizi di linea urbani, extraurbani o regionali qualora debbano essere considerate una compensazione atta a rappresentare la contropartita delle prestazioni

202 Cfr. R. CANGIANO, La liberalizzazione del trasporto pubblico locale: dall’affidamento diretto alle procedure a evidenza pubblica… e ritorno”, in “Economia pubblica”, 2005, pag. 54 203 Cfr. RANGONE, I trasporti pubblici di linea cit., pag. 1723 204 Proposta di Regolamento del parlamento europeo e del Consiglio relativo ai servizi pubblici di trasporto passeggeri su strada e per ferrovia, COM(2005) 319 def., 20 luglio 2005 205 Corte di Giustizia – 24 luglio 2003, Causa C-280/00. Sull’argomento v. anche la sentenza del TPG del 16 marzo 2004, Danske Busvognmænd/Commissione, T-157/01 (Combus) dove viene chiarito che non possono essere concessi ex post sussidi in misura maggiore a quella fissata in un bando di gara.

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effettuate dalle imprese beneficiarie per adempiere obblighi di servizio pubblico (causa Altmark Trans)206. La proposta di Regolamento, che ha recepito l’orientamento della Corte di Giustizia nella causa Altmark Trans, potrebbe “costringere il legislatore a ridisegnare nuovamente (e radicalmente) il quadro normativo di riferimento”207, e sembra costituire un vero e proprio “ripensamento sulla strada della liberalizzazione del TPL”208. Partendo dalla considerazione che “attualmente, molti servizi di trasporto terrestre che rappresentano una necessità sul piano dell’interesse generale non possono essere forniti secondo le regole di mercato” (V considerando) il regolamento in corso di adozione valuta l’opportunità che le autorità competenti degli Stati membri per garantire la fornitura dei servizi possano attribuire diritti esclusivi agli operatori, concedere compensazioni finanziarie e porre regole generali per l’esercizio dei trasporti pubblici. Quale alternativa alla deregolamentazione viene richiamata la “concorrenza disciplinata” per assicurare trasparenza ed efficienza dei servizi di trasporto collettivo (IV e XIV considerando), il ruolo cruciale del contratto di servizio (VII considerando, art. 3) e l’opportunità che questo abbia una durata limitata (XII considerando). Viene riconosciuta alle collettività locali la decisione “se fornire essa stessa i servizi pubblici di trasporto passeggeri nel suo territorio o se affidarli a un operatore interno senza ricorrere a procedure concorsuali” (XV considerando, art. 5). L’obbligo di gara per gli affidamenti di TPL a privati vede, inoltre, altre limitazioni: quando il servizio ha ad oggetto prestazioni “di modesta entità” (XVIII considerando) e quando è necessario adottare misure di emergenza (XIX considerando). Indicazioni rigorose vengono, poi, offerte riguardo il sistema delle compensazioni degli oneri di servizio pubblico (art. 6). 4. La legislazione italiana e il riparto di competenze fra Stato, regioni ed enti locali. Il settore dei trasporti pubblici locali è stato caratterizzato da un diffuso regime monopolistico, sia attraverso gestioni dirette che in regime di concessione amministrativa con cui veniva garantita all’impresa, pubblica o privata, l’esclusiva nella gestione del servizio. I servizi automobilistici di linea, ad esempio, sono stati assoggettati a concessione amministrativa, disciplinata dalla legge 28 settembre 1939, n. 1822 e successive modificazioni209. Erano previste autolinee di competenza statale210, autolinee di competenza regionale211 e autolinee di competenza comunale212.

206 Nelle sue conclusioni l'a.g. Léger aveva proposto alla Corte di capovolgere la sua giurisprudenza Ferring del 22 novembre 2001, e di ritornare alla giurisprudenza del TPG sulle cause FFSA e SIC, che considera le compensazioni degli oneri di servizio pubblico come aiuti di Stato. 207 R. CANGIANO, La liberalizzazione cit., pag. 93 208 ivi 209 In particolare il D.P.R. 28.6.1955, n. 771, con l'attuazione del decentramento dei servizi del Ministero dei Trasporti, aveva provveduto a trasferire funzioni statali di interesse esclusivamente locale a province, Comuni ed altri enti locali realizzando una deconcentrazione delle competenze in materia di concessioni di autolinee. 210 Art. 85, II comma d.p.r. n. 616/77, la cui relativa competenza al rilascio spettava al Ministero dei Trasporti (Ordinarie , cioè ultraregionali, Gran turismo ed Internazionali). In attuazione della legge 1 marzo 2005, n. 32 ("Delega al Governo per il riassetto normativo del settore dell'autotrasporto di persone e cose") è intervenuto, in materia, il d.lgs. 21 novembre 2005, n. 285 che ha riordinato i servizi automobilistici interregionali di competenza statale con la finalità di introdurre la concorrenza nel settore,

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Alcuni profili del precedente regime si presentavano, pertanto, come marcatamente distorsivi della concorrenza. Nel caso di servizi di TPL svolti in concessione le alterazioni del funzionamento del mercato erano legate alla discrezionalità nella scelta del concessionario (senza la previsione di obblighi di gara) e ai diritti di esclusività e di preferenza accordati ai concessionari di autolinee213. Analoghe distorsioni concorrenziali hanno caratterizzato, tra gli altri, i servizi marittimi di collegamento con le isole. Ora, l’intervenuta riforma dei servizi di trasporto pubblico locale si è fondata sulla previsione dell’art. 4, comma 4, lettera b), della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed agli enti locali, per la riforma della Pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa), secondo il quale il decreto delegato in materia di trasporto pubblico locale avrebbe dovuto – tra l’altro – «definire le modalità per incentivare il superamento degli assetti monopolistici nella gestione di servizi di trasporto urbano ed extraurbano». Con il d.lgs. 19 novembre 1997, n. 422 che ha disciplinato i servizi pubblici di trasporto di interesse regionale e locale “con qualsiasi modalità effettuati ed in qualsiasi forma affidati” (art. 1) sono definiti di interesse nazionale (art. 3) i trasporti aerei e marittimi ultra-regionali, i trasporti autolinee di interesse nazionale, internazionale e coinvolgenti il territorio di più di due regioni, i trasporti ferroviari internazionali e a medio-lunga percorrenza. Rimangono, inoltre, allo Stato alcune competenze di tipo verticale (art. 4, ad esempio, relative alla sicurezza). Alle Regioni spettano prevalentemente compiti di programmazione (art. 6). Agli enti locali le funzioni, conferite dalle Regioni, “che non richiedono l’unitario esercizio a livello regionale” (art. 7). Con l’art. 14 è stata dettata una disciplina della programmazione che si svolge su tre livelli: il coordinamento di programmazione statale e regionale, svolta dalla Conferenza Stato-Regioni; la programmazione regionale (formulazione di indirizzi, redazione dei piani regionali, approvazione dei programmi triennali dei servizi); la programmazione locale. rimuovendo il sistema concessorio ed introducendo un regime autorizzatorio (fino al 31 dicembre 2010 resteranno però valide le concessioni rilasciate) 211 Art. 84, d.p.r. n. 616/77, regionali (art. 1, I comma, d.p.r. n. 5/72) e interregionali (se la parte non prevalente del percorso si svolge nel territorio di un'altra regione) (art. 1, II comma, d.p.r. n. 5/72); 212 La linea costituiva l’oggetto della concessione, ed era definita con riguardo alla propria finalità e non al percorso (art. 10, III comma, l. n. 1822/39). Diverso il caso degli autoservizi sostitutivi o integrativi di servizi ferroviari, la cui relativa competenza concessoria era esercitata dal Ministero dei Trasporti che poteva affidare il servizio automobilistico sostitutivo tanto all'industria privata che alle Ferrovie dello Stato, le quali - a loro volta - possono subconcedere ad imprese da questa partecipate. 213 A partire dal R.D.L. 21.10.23 n. 2386 il diritto di esclusiva sulla linea, si è accompagnato al diritto di preferenza nell'assegnazione di nuove linee riconosciuto ai concessionari di servizi pubblici di trasporto potenzialmente concorrenti, o ai concessionari di autoservizi finitimi (art. 5, l. 1822/39). Su tale questione si era più volte pronunciata la giurisprudenza amministrativa nel senso di confermare il diritto di preferenza riconosciuto dalla legge. Il regolamento che intervenne per semplificare il procedimento di concessione di autolinee ordinarie di competenza statale (D.P.R. 22.4.1994, n. 369) stabiliva che venisse allegata alla domanda di concessione "cartina geografica nella quale siano individuati, con colorazioni diverse, il percorso richiesto, il percorso delle eventuali autolinee finitime, il percorso delle linee ferroviarie gestire dalle F.S. s.p.a., da concessionari o da gestioni commissariali governative, il percorso delle autolinee di competenza della regione e dei comuni" (art. 2, III co., lett. b). Dal medesimo decreto di semplificazione si registra, comunque, l'assenza di gare pubbliche per l'assegnazione delle concessioni, essendo solo prevista una pubblica riunione istruttoria (art. 4) all'interno della quale si "discutono" le domande di concessione.

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Sono, poi, forniti criteri214 per la definizione dei cd. servizi minimi, ovvero quei servizi “qualitativamente e quantitativamente sufficienti a soddisfare la domanda di mobilità dei cittadini e i cui costi sono a carico del bilancio delle Regioni” (art. 16), e per la definzione degli obblighi di servizio pubblico (art. 17). Quanto all’organizzazione dei servizi (art. 18-21), la disciplina è ordinata all’obiettivo di introdurre nel settore una maggiore concorrenzialità (art. 18, comma 2, lett. a) attraverso la previsione di forme di concorrenza “per il mercato”, come il ricorso a procedure concorsuali per l’inviduazione dell’assegnatario del servizio (in particolare si vedano le modificazioni apportate all’art. 18 dal d.lgs. n. 400/1999). Tra le previsioni più rilevanti l’individuazione del gestore attraverso una gara, la trasformazione delle aziende regionali e locali in società per azioni, lo strumento del contratto di servizio pubblico (art. 19). La disciplina del TPL è stata interessata da modifiche intervenute circa le modalità di gestione dei servizi pubblici locali215 (art. 35 della legge finanziaria per il 2002, l. n. 448/2001, che ha modificato l’art. 113 del t.u. enti locali), con l’introduzione dell’affidamento in house216. Tali modifiche hanno comportato una fase di incertezza nella disciplina degli affidamenti217, e hanno contribuito a giustificare la tendenza elusiva manifestata da parte delle Regioni circa il rispetto dei termini in origine previsti per lo svolgimento delle gare: il ricorso a reiterate proroghe ha fatto parlare di spinta alla “controliberalizzazione”218. Ma la Corte costituzionale ha confermato che nel settore del trasporto pubblico locale prevale la disciplina speciale del d.lgs. n. 422/1997 “e non quella contenuta nell’art. 113, comma 15-bis, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), che individua nel 31 dicembre 2006 la data entro cui cessano le precedenti concessioni in tema di servizi pubblici locali”219.

214 I fattori da considerare nella definizione dei servizi minimi sono: l'integrazione tra le reti di trasporto, il pendolarismo scolastico e lavorativo, la fruibilità dei servizi da parte degli utenti per l'accesso ai vari servizi amministrativi, sociosanitari e culturali, le esigenze di riduzione della congestione e dell'inquinamento. 215 CNEL, Osservazioni e proposte. Trasporto pubblico locale, 28 aprile 2005, pag. 6: “è opportuno considerare un errore l’effettuazione di interventi legislativi ripetuti e spesso contraddittori sui modelli di gestione […]. Un eccesso di regolazione al di fuori della riserva di legge, determina solo atteggiamenti dilatori tali da mettere in crisi gli assi portanti della riforma” 216 Riguardo la legittimità dell'affidamento diretto di servizi pubblici a società a capitale interamente pubblico, dopo l'entrata in vigore dell'art. 14 del d.l. n. 269/03, convertito dalla l. n. 236/03, v. anche Consiglio di Stato, V, n. 679 del 19 febbraio 2004. Di recente v. il pronunciamento della Corte di Giustizia CE, sezione I, Sentenza 11 gennaio 2005 n. C-26/03 (causa Stadt halle): “Nell’ipotesi in cui un’amministrazione aggiudicatrice intenda concludere un contratto a titolo oneroso relativo a servizi rientranti nell’ambito di applicazione ratione materiae della direttiva 92/50, come modificata dalla direttiva 97/52, con una società da essa giuridicamente distinta, nella quale essa detiene una partecipazione insieme a una o più imprese private, devono essere applicate le procedure di affidamento degli appalti pubblici previste dalla citata direttiva”. 217 Cfr. D. GARIGLIO, L’organizzazione cit., pag. 48 218 Così L. LANZILLOTTA, Controliberalizzazioni: il caso del trasporto locale a Roma”, in “Mercato, concorrenza e regole”, 2004, pag. 549 219 Corte costituzionale, sentenza 22 febbraio 2006, n. 80: “Ciò sia perché lo stesso comma 15-bis dell’art. 113 esclude la propria applicabilità nel caso in cui siano «previsti per i singoli settori» congrui periodi di transizione, ciò che appunto fa la legislazione sui trasporti pubblici locali con il comma 3-bis dell’art. 18 del d.lgs. n. 422 del 1997; sia perché il comma 1-bis del medesimo art. 1 del Testo unico – introdotto dall’art. 1, comma 48, della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione) –

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Inoltre, lo stesso comma 2 dell’art. 18 del d.lgs. n. 422 del 1997, esplicitamente, finalizza il conferimento dei poteri a Regioni ed enti locali in tema di affidamento dei servizi di trasporto locale «allo scopo di incentivare il superamento degli assetti monopolistici e di introdurre regole di concorrenzialità nella gestione dei servizi di trasporto regionale e locale». Così, il d.lgs. 422/1997 aveva previsto che entro la data del 31 dicembre 2003 le concessioni sarebbero state assegnate con gara e non avrebbero avuto durata maggiore di 9 anni. Anche tale termine, però, come ricordato è stato più volte modificato dal legislatore statale220. Particolarmente controversa, infine, è la questione dei sussidi e dei contributi di cui godono le aziende di trasporto pubblico locale. Non sono, infatti, rare le controversie innanzi al giudice amministrativo nazionale in cui si verte della spettanza dei sussidi e contributi alle imprese di TPL. In particolare, è emersa l’ipotesi in cui autolinee di interesse nazionale assolvano, al contempo, funzioni di trasporto pubblico locale: la commistione dei servizi – legata ad evidenti ragioni di economicità delle gestioni - e la natura statale della concessione non possono “impedire che l’autolinea stessa fruisca del sostegno finanziario riservato agli operatori del trasporto pubblico locale”221. E’ stato, peraltro, confermato dalla giurisprudenza che “la funzione del contributo di esercizio non è quella di consentire, sia pure in via eventuale, il conseguimento di un utile, ma solo quella di garantire una forma di abbattimento totale o parziale delle perdite di esercizio”222. Di recente, è emersa la questione del sostegno economico alle compagnie low-cost che hanno rappresentato un importante elemento di sviluppo del traffico aereo sugli aeroporti regionali. La Commissione europea ha reputato illeciti parte degli aiuti concessi dalla regione belga Vallonia alla linea RyanAir223, chiedendo il rimborso dei benefici goduti. La decisione della Commissione ha riguardato gli accordi tra l’Aeroporto di Charleroi (BSCA), la Regione Vallona e Ryanair, e la loro conformità al principio dell’imprenditore operante in un’economia di mercato224. La Commissione ha ritenuto stabilisce che il settore del trasporto pubblico locale resta disciplinato dal d.lgs. n. 422 del 1997 e che ad esso non si applicano le disposizioni dell’art. 1 del T.U.”. 220 L’art. 11, comma 3, della legge 1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti), ha previsto la possibilità di prorogarlo per un biennio per i servizi di trasporto ferroviario; l’art. 23, del decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 355 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), come risultante dalla conversione in legge operata dall’art. 1 della legge 27 febbraio 2004, n. 47, lo ha – a sua volta – direttamente prorogato al 31 dicembre 2005 per i trasporti automobilistici; di recente, e successivamente alle impugnative di leggi regionali, la legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2006), con il comma 394 dell’articolo 1, ha ulteriormente modificato il termine di cui al suddetto comma 3-bis dell’art. 18 del d.lgs. n. 422 del 1997 portandolo al 31 dicembre 2006, mentre il comma 393 del medesimo articolo ha inserito, dopo il citato comma 3-bis, altri cinque commi, che disciplinano anche la possibilità che le Regioni prevedano, a determinate condizioni, alcuni tipi di ulteriore proroga dell’affidamento, fino ad un massimo di altri dodici mesi. 221 Così Consiglio di Stato, VI, 2 maggio 2005, n. 2066 e Consiglio di Stato, VI, 4 aprile 2005, n. 1482 222 Consiglio di Stato, IV, 23 aprile 2004, n. 2398 223 Commissione europea, IP/04/157, del 3 febbraio 2004, reperibile in http://europa.eu.int/rapid/pressReleasesAction.do?reference=IP/04/157&format=HTML&aged=1&language=IT&guiLanguage=en. Il procedimento era stato avviato l’11 dicembre 2002 (GUCE n. C 18 del 25 gennaio 2003) 224 “Nel caso di Charleroi, la Commissione ha concluso che nessun operatore privato, posto nelle stesse condizioni di BSCA, avrebbe potuto concedere gli stessi vantaggi. Poiché, nella fattispecie, il principio

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che gli aiuti di stato corrisposti a Ryanair “possono risultare compatibili con il mercato comune con riferimento alla politica comunitaria dei trasporti, nella misura in cui tali aiuti consentono lo sviluppo e la valorizzazione delle infrastrutture aeroportuali secondarie, che sono attualmente sottoutilizzate e rappresentano un costo per la collettività”. Il Comitato delle Regioni si è sull’argomento più volte pronunciato. In particolare, ha - di recente - richiesto l’applicazione del principio de minimis, in base al quale “gli aiuti di Stato al di sotto di un certo valore o le rotte che operano con un volume annuo di passeggeri inferiore ad una determinata soglia sarebbero esonerati dall’obbligo di notifica”225. 5. La legislazione regionale L’attuazione regionale della normativa nazionale sul trasporto pubblico locale è stata pressoché completa226. Le regioni, anche se non tutte tempestivamente, hanno adottato una normativa per la disciplina dei servizi di TPL. Tra le questioni di maggiore rilevanza concorrenziale, solo indirettamente collegata alla legislazione regionale, si evidenziano quella delle gare per l’affidamento dei servizi227 che viene, pertanto, ad essere oggetto di autonoma analisi. Nell’ambito della legislazione sono state individuate alcune ricorrenti previsioni distorsive dell’assetto concorrenziale del mercato di TPL. In primo luogo, le leggi regionali prevedono a volte le cd. “clausole sociali” 228 da inserire nei bandi di gara a protezione dei lavoratori occupati nelle aziende affidatarie di servizi di TPL: in carenza di un adeguato sistema di ammortizzatori sociali che consenta una liberalizzazione del mercato è prevedibile la ricerca di diverse forme di tutela per gli interessi dei lavoratori addetti al settore229. Le leggi regionali hanno, poi, previsto in alcune occasioni la proroga dei termini relativi al “periodo transitorio” per gli affidamenti in house230. In altri casi, hanno provveduto a definire rigidamente i “bacini di traffico”, sovrapponendoli, ad esempio, al territorio della provincia231: la definizione legislativa del bacino - indipendentemente dall’analisi economica del mercato che consenta di definirlo come bacino ottimale – impone una costruzione artificiale del mercato per

dell'investitore privato operante in economia di mercato non era stato rispettato, i vantaggi accordati a Ryanair costituiscono aiuti di Stato idonei a falsare la concorrenza a favore di Ryanair” 225 Comitato delle regioni, Parere, 2006/C 31/06 del 7 luglio 2005 226 A. GIORDANO-G. ZOPPI, Il nuovo trasporto pubblico regionale e locale, Milano, Giuffrè, 2000, pag. 31. V. anche F. DI LASCIO, La legislazione regionale sui trasporti pubblici locali, in “Quaderni del Consiglio della Regione Marche”, n. 50/2003, pag. 87 227 Come, peraltro, evidenziato dal Presidente Catricalà nella presentazione alla Relazione annuale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, 11 luglio 2006, pag. 17 228 In caso di subentro di nuova impresa con la clausola sociale si effettua il trasferimento del personale dipendente dall'impresa cessante all'impresa subentrante. 229 Così, l’art. 37 della legge Regione Campania 28 marzo 2002, n. 3; l’art. 22 della legge Regione Lazio 16 luglio 1998, n. 30; l’art. 18 della Legge Regione Toscana 31 luglio 1998, n. 42; l’art. 24 della legge regione Puglia 25 marzo 1999 come modificato dall'art. 56, comma 15, della legge Regione Puglia 12 aprile 2000, n. 9. 230 Come nel caso delle leggi regionali della Campania (art. 46, L.r. 28 marzo 2002, n. 3) e del Lazio (art. 36, comma 6 bis, L.r. 16 luglio 1998, n. 30) 231 Come nel caso della legge regionale del Lazio (art. 5, L.r. 16 luglio 1998, n. 30)

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adeguarlo all’ambito territoriale dell’istituzione. L’inefficienza che ne consegue determina un alto livello di oneri di servizio pubblico e di correlate sussidiazioni. 5.1 La questione delle gare Il mercato del trasporto pubblico locale è caratterizzato da fattori di squilibrio, in particolare tra domanda e offerta del servizio e tra costi e ricavi nella gestione delle imprese di TPL232. L’apertura concorrenziale dei mercati potrebbe essere, senz’altro, facilitata da una regolazione che valorizzi istanze concorrenziali e miri a recuperare efficienza nella prestazione del servizio, a ridurre il ricorso ai sussidi pubblici, a responsabilizzare finanziariamente regioni ed enti locali, a promuovere la crescita industriale del settore233. E’, infatti, stato sostenuto che la scarsa concorrenzialità realizzata anche a seguito della riforma del 1997 sia, in parte, dovuta alla inidonea formulazione dei bandi di gara234. La normativa regionale è, in questo, assai carente. Quando è intervenuta sono state introdotte regole per ridurre l’effetto concorrenziale dei bandi di gara. Limitato, per i sopra menzionati motivi, è stato lo svolgimento effettivo delle gare235. In questa prospettiva sembrano rilevare una serie di elementi, alcuni dei quali di ordine più generale. Le gare possono, infatti, fungere da stimolo alla concorrenza ma solo ad alcune condizioni:

- che le leggi regionali non impongano “modalità di costruzione dei bandi di gara tali da ridurre l’insieme dei partecipanti all’insieme vuoto”;

- che non si impongano “clausole sociali” le quali avrebbero l’effetto di trasformare l’impresa entrante “nella fotocopia esatta di quella uscente”;

- che non si consenta di partecipare alle gare ad associazioni temporanee di impresa (ATI) quando ciascuno dei componenti dell’ATI sarebbe da solo in grado di soddisfare i requisiti tecnici e finanziari richiesti dal bando;

- che il criterio del “prezzo più basso” rilevi in modo consistente per l’aggiudicazione della gara;

- che si mettano a bando lotti conformati sul mercato (non lotti troppo grandi o lotti unici in città metropolitane)236.

In primo luogo, le gare sono normalmente svolte nell’ambito dei confini territoriali dell’ente competente sul servizio. Ciò senza che siano effettuati studi sull’ottimale dimensionamento del bacino di utenza, che consenta per il servizio messo a gara di valutare eventuali economie di scala derivanti dall’aggregazione di bacini limitrofi. In altri termini, in città medio piccole si potrebbe aggregare (ed affidare) il servizio di trasporto urbano ed extraurbano mentre in città grandi potrebbe essere necessario

232 Sull’argomento v. A. GIORDANO-G. ZOPPI, Il nuovo trasporto pubblico cit., pag. 5 233 Cfr. A. BOITANI.-C. CAMBINI, Le gare per i servizi di trasporto locale in Europa e in italia: molto rumore per nulla, “Quaderni dell’istituto di economia e finanza” – Università cattolica del Sacro cuore – Milano, n. 54/2004 234 Sul tema v. A. PEZZOLI, Gare e servizi pubblici. Quali problemi per la concorrenza?, in C. DE VINCENTI-A. VIGNERI, Le virtù della concorrenza. Regolazione e mercato nei servizi di pubblica utilità, Bologna, Il Mulino, 2006, pag. 385 235 Tra le gare quella per i servizi aggiuntivi di trasporto pubblico nel comune di Roma su cui AGCM, provvedimento di avvio istruttoria (intesa), 9 novembre 2005, in “Bollettino” n. 43/2005 236 A. BOITANI, Concorrenza e regolazione cit., pag. 17

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ricorrere ad una suddivisione in più lotti237. La tendenza all’aggregazione, che già esiste, è attualmente la prima causa della pratica dei sussidi incrociati. Dunque, sembra potersi sostenere che il “problema importante è la scelta del bacino da mettere a gara […] in modo da raggiungere le dimensioni ottimali tali da minimizzare i costi del servizio”238. Attualmente, vi sono diverse possibilità: possono, infatti, essere bandite gare per singole tratte, per l’intero bacino di traffico e per sub-bacini239. Ovviamente, la questione richiama quella della competenza e specializzazione dei soggetti che siano incaricati di organizzare le gare e di scegliere le forme più opportune in relazione alla apertura concorrenziale del servizio e alla efficienza dello stesso. La costruzione di un bando orientato alla migliore riuscita della gara dovrà, infatti: minimizzare la possibilità di contenzioso, consentire la più ampia partecipazione delle imprese, individuare ragionevoli prezzi base d’asta, definire contratti incentivanti240. L’analisi comparata mostra che i risultati più interessanti nell’ambito del TPL sono raggiunti dove operano Agenzie specializzate competenti anche per lo svolgimento delle gare (come a Londra e nei paesi scandinavi)241. Per quanto riguarda l’Italia, Agenzie regionali di mobilità sono state introdotte in Abruzzo, in Campania, in Emilia Romagna, nel Lazio, in Lombardia, in Piemonte242. Altre Agenzie operano a livello di enti locali243.

237 cfr. C. CAMBINI, la situazione delle gare per l’affidamento del servizio di trasporto urbano in Italia, documento di ricerca, Hermes, Torino, 2003, in http://www.hermesricerche.it/elements/ddr03-10.pdf. Attualmente il servizio messo a gara può consistere nella linea, nel segmento di rete, nell’intero sistema di mobilità. 238 A. BOITANI-C. CAMBINI, Le gare per i servizi di trasporto cit. 239 Cfr. A. BOITANI-C. CAMBINI, Il trasporto pubblico locale in Italia. Dopo la riforma i difficili albori di un mercato, in “Mercato, concorrenza e regole”, 2002, pag. 60 240 Cfr. ivi 241 Cfr. A. SANTEL, I modelli di agenzia per la mobilità e i trasporti locali: il caso reggiano, 2004, in http://www.cittamobile.it/servlets/resources?contentId=108664&resourceName=Allegato&border=false. In particolare, v. il seguente quadro di sintesi: Gran Bretagna Londra Svezia Germania Pianificazione della mobilità e dei TPL

Separata Integrata Separata Separata

Proprietà degli assets di rete

Agenzia Agenzia Agenzia Operatori

Proprietà dei mezzi Operatori Operatori Operatori/agenzia Operatori Gestione degli introiti

Operatori Operatori/agenzia Operatori Operatori

Modalità di affidamento del servizio di TPL

Gara Gara/diretta Gara Gara/diretta

Gestione diretta di attività di mobilità o di trasporto

Si Si No No

242 Art. 25 legge Regione Abruzzo n. 152/1998, art. 21 legge Regione Campania n. 3/2002, art. 18 Legge Regione Emilia Romagna n. 30/1998, art. 27 Legge Regione Lazio n. 30/1998, art. 15 Legge Regione Lombardia n. 22/1998, art. 8 Legge Regione Piemonte n. 1/2000

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Ma solo l’Agenzia regionale per la mobilità campana (AcaM) e l’Agenzia per il trasporto pubblico locale e regionale dell’Emilia Romagna hanno, tra l’altro, compiti di gestione delle procedure concorsuali per l’affidamento dei servizi di trasporto244. Altre Agenzie hanno, invece, esclusivamente compiti di monitoraggio su domanda e offerta dei servizi di trasporto e sulla qualità dei servizi offerti (Abruzzo, Lombardia) o compiti di pianificazione e regolazione del settore (Lazio, Piemonte). 6. Questioni di rilievo concorrenziale L’attività di segnalazione e consultiva dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato si è diretta nei riguardi di una pluralità di aspetti della complessa disciplina del trasporto pubblico locale, oggetto di una trattazione unitaria ed organica nel parere relativo alla richiesta di interventi correttivi al d.lgs. 422/1997245. In primo luogo, gli accessi al mercato246. Come aveva avuto modo di evidenziare in altre occasioni, anche nel settore del trasporto pubblico locale l’Autorità ha ricordato il potenziale distorsivo dei meccanismi concorrenziali che deriva dall’utilizzazione dello strumento della concessione amministrativa. La concessione è caratterizzata dalla discrezionalità nella scelta del concessionario, dall’esclusiva nella gestione del servizio, dall’automatismo nei meccanismi di rinnovo ed è stata largamente utilizzata per la gestione monopolistica di numerosi servizi pubblici. Il disegno di legge della prima legge annuale di semplificazione aveva previsto, pertanto, criteri per la progressiva sostituzione delle concessioni amministrative con autorizzazioni caratterizzate da una bassa discrezionalità, più compatibili con la liberalizzazione degli accessi al mercato. In particolare, la sostituzione veniva indicata come necessaria nei settori in cui non era giustificata dalla presenza di riserva di attività d’impresa ai pubblici poteri. Espressamente l’Autorità richiamava, in proposito, il trasporto autolinee e il trasporto marittimo di linea. In questi settori “la riserva non è mai esistita o è caduta completamente: in essi le concessioni andrebbero del tutto eliminate”247. E’ il caso di ricordare, comunque, che anche un regime autorizzatorio è in grado di determinare distorsioni concorrenziali quando combinato con la pianificazione quantitativa degli accessi al mercato: è ciò che accade nelle autorizzazioni del trasporto gran turismo248 e nel rilascio delle licenze di trasporto persone mediante taxi249.

243 E’ il caso dell’Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici locali del Comune di Roma, competente anche sulla materia “trasporti e mobilità”, istituita dal Consiglio Comunale con deliberazione n. 39 del 14 marzo 2002. L’Agenzia ha, fondamentalmente, compiti di controllo della qualità dei servizi. 244 Cfr. F. DI LASCIO, La legislazione regionale cit. 245 AGCM, Parere del 26 febbraio 1998, in Bollettino n. 8/1998 246 AGCM, Parere del 20 ottobre 1998, in Bollettino n. 42/1998 247 Cfr. ivi, dove si legge “1. le autolinee, per larga parte delle quali manca, nel diritto interno, una formalizzazione chiara ed esplicita della riserva ai sensi dell’art. 43 della Costituzione; 2. il trasporto marittimo di linea, per il quale valgono semmai alcune forme di assunzione parziale in mano pubblica” 248 Il procedimento per l’autorizzazione allo svolgimento di attività di trasporto “gran turismo” prevede ancora la sussistenza di una conformità alla pianificazione provinciale delle linee - oltre ai requisiti soggettivi. Il Tar ha annullato di recente il diniego di autorizzazione sulla base del principio di concorrenza (Tar Lazio, II, n. 11718 del 26 ottobre 2004). 249 Sul punto v. la diffusa ricostruzione del mercato e del regime amministrativo contenuta in AGCM, segnalazione del 26 febbraio 2002, in Bollettino n. 9/2004. V. anche V. VISCO COMANDINI-S. GORI-F. VIOLATI, Le licenze dei taxi: abolizione, regolazione o libero scambio di diritti, in “Mercato, concorrenza e regole”, 2004, pag. 515

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In secondo luogo, lo svolgimento delle gare250. La questione è stata più volte segnalata come cruciale per l’apertura concorrenziale dei mercati. Nel 1998 quando l’Autorità ricordò che “il ricorso a procedure diverse dalla gara, quali l’affidamento diretto, dovrebbe essere confinato a svolgere un ruolo del tutto transitorio e residuale, nel quadro di una rapida e progressiva apertura alla concorrenza” e che “la selezione del soggetto erogatore del servizio dovrebbe essere informata a criteri oggettivi, trasparenti e non discriminatori e risultare adeguatamente motivata”. Nel 2003 – pronunciandosi sulla controversa questione del reperimento del materiale rotabile ferroviario necessario per l’espletamento delle gare per l’aggiudicazione dei servizi ferroviari di competenza regionale – l’Autorità ha evidenziato la difficoltà sia nella “predisposizione concreta dei bandi di gara” sia nella “partecipazione alle procedure competitive di imprese ferroviarie diverse da Trenitalia”, unico soggetto che “avrebbe in dotazione tutto il materiale rotabile finanziato con risorse statali e regionali e, con esso, un rilevante vantaggio competitivo in grado di scoraggiare, in sede di procedura concorsuale, qualsiasi potenziale concorrente”251. Ancora nel 2003 - nell’ambito di una segnalazione riguardante i servizi pubblici di trasporto marittimo nel golfo di Napoli - è stato auspicato che “si predispongano bandi di gara suscettibili di permettere la più ampia partecipazione alle imprese, impedendo in particolare la costituzione di RTI tra soggetti dotati dei requisiti finanziari e tecnici per poter partecipare individualmente alla gara”252. In terzo luogo, i sussidi incrociati253. Già nel 1998 l’Autorità aveva posto in relazione “l’elevato volume di risorse pubbliche assorbite da sussidi ai servizi di trasporto pubblico locale” e i “limitati incentivi all’efficienza interna” delle imprese individuando – come obiettivo qualificante dell’intera riforma del settore – quello di “massimizzare gli spazi di concorrenza e minimizzare il volume dei sussidi”. Nel 2001 l’Autorità è intervenuta a seguito della segnalazione di numerosi casi di “sussidi incrociati” tra attività di TPL (trasporto pubblico locale) che beneficiano di contribuzioni ed altri servizi di trasporto, in regime di concorrenza. Accanto alle leggi che prevedono fondi particolari254, il d.lgs. 422/1997 ha affidato alle regioni il compito di individuare i cd. servizi minimi, “qualitativamente e quantitativamente sufficienti a soddisfare la domanda di mobilità dei cittadini ed i cui costi sono a carico del bilancio delle regioni”. Ora, la questione relativa ai sussidi si pone in quanto questi dovrebbero essere utilizzati “esclusivamente nell’ambito dei servizi per i quali sono stati erogati” e che, a tal fine dovrebbe essere previsto un vincolo di destinazione al fine di evitare che l’improprio impiego di sovvenzioni determini distorsioni del corretto funzionamento del mercato.

250 AGCM, Parere del 26 febbraio 1998, in Bollettino n. 8/1998 e AGCM, Segnalazione del 6 novembre 2003, in Bollettino n. 45/2003 251 AGCM, Parere del 26 giugno 2003, in Bollettino n. 26/2003 su cui v. A. BOITANI, Concorrenza e regolazione nei trasporti, in “Economia e politica industriale”, 2004, pag. 13 252 Come era accaduto nella procedura concorsuale per l’aggiudicazione del servizio denominato “Metrò del mare” nel giugno 2002 vinta dall’unico soggetto partecipante, un RTI composto dai quattro principali operatori del Golfo di Napoli. 253 AGCM, Parere del 18 gennaio 2001, in Bollettino n. 3/2001 254 Come, ad esempio, la legge 28 febbraio 1997, n. 30 che aveva istituito presso il Ministero dei trasporti un fondo per agevolare l’acquisto di automezzi per il TPL a fronte della rottamazione di automezzi con più di 15 anni.

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In questa prospettiva, appaiono cruciali i meccanismi di gara per l’affidamento dei servizi di TPL, e – in particolare – la formulazione del bando, attraverso cui si dovrebbe ridurre il rischio di sussidi incrociati255. E, d’altro canto, anche la Commissione europea ha ricorrentemente affermato la necessità di una separazione contabile (o societaria) per le imprese che prestino servizi sovvenzionati operando al medesimo tempo in mercati concorrenziali.

255 AGCM, Parere, 18 gennaio 2001, in “Bollettino” 3/2001: “L'introduzione, ai sensi del decreto legislativo n. 422/97, di meccanismi di gara per l'affidamento dei servizi di TPL, a partire dal 2003, può ridurre considerevolmente il rischio di sussidi incrociati, a condizione che l'oggetto del servizio posto a gara e i criteri di aggiudicazione della stessa siano definiti in modo da minimizzare i sussidi necessari per lo svolgimento del servizio pubblico. A tal fine, le gare potrebbero, per esempio, venir aggiudicate sulla base del minor sussidio richiesto, dati i vincoli di qualità, estensione e prezzo dei servizi posti dalla pubblica amministrazione, ovvero sulla base del minore prezzo al pubblico, dati i vincoli di qualità, estensione e sussidio sempre posti dalla pubblica amministrazione. Alla minimizzazione dei sussidi può inoltre contribuire la composizione dei lotti affidati con il meccanismo della gara. Le gare, infatti, potrebbero interessare sia singole rotte sia un'insieme di rotte con diverse caratteristiche di domanda e di profittabilità, così da consentire al loro interno una composizione delle differenti condizioni di copertura dei costi sulla base dei ricavi conseguibili da ciascuna rispettiva rotta, riducendo ulteriormente, in tal modo, l'ammontare di risorse pubbliche necessarie per lo svolgimento del servizio”

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IL TURISMO

1. Le norme costituzionali in materia di turismo Con l’originaria formulazione dell’art. 117 Cost. la materia del turismo ricettivo256 (indicata come “turismo e industria alberghiera”) era stata attribuita alla potestà legislativa concorrente delle Regioni. L’art. 117 Cost. prevedeva che la Regione emanasse norme legislative “nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, semprechè le norme stesse non [fossero] in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni”. Il relativo potere legislativo risultava, pertanto, ripartito tra Stato e Regioni ordinarie che avrebbero dovuto concorrere alla complessa disciplina del settore. Con il decentramento alle Regioni257 operato con il d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616 vennero individuate le funzioni relative alla materia del turismo258 (art. 56), ponendo le condizioni perché ne fosse avviato un vero e proprio “governo regionale”. L’art. 58 del d.p.r. n. 616/1977 descriveva, peraltro, le residue competenze dello Stato, che legittimarono molte delle previsioni della legislazione quadro intervenuta nel 1983. In seguito, con i trasferimenti di funzioni centrali alle regioni ed agli enti locali, operati a Costituzione invariata dalla legge 15 marzo 1997, n. 59, si è avviato un nuovo processo di decentramento che ha visto richiamare espressamente, tra le funzioni ricomprese nella materia del turismo, anche quelle relative all’attività di finanziamento259. Con la successiva riforma del Titolo V della Costituzione (legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n. 3), la materia è stata inclusa tra quelle attribuite alla potestà legislativa esclusiva delle Regioni sulla base della clausola residuale, in quanto non richiamata né tra quelle di legislazione esclusiva dello Stato né tra quelle di legislazione concorrente. Tale scelta era stata confermata anche dalla respinta proposta di revisione dell’art. 117 Cost.260, anche se alla legislazione esclusiva dello Stato dovrebbero essere riservate le competenze riguardanti la “promozione internazionale del sistema economico e produttivo nazionale”, potenzialmente interferenti con la materia del turismo. Attualmente continuano ad essere richiamati ed applicati i principi contenuti nelle leggi-quadro statali261, in attesa che le Regioni approvino proprie disposizioni in materia.

256 La definizione si deve a M.S. GIANNINI-O. SEPE, L’organizzazione turistica in Italia, in “Rivista trimestrale di diritto pubblico”, 1966, pag. 768 257 Sul decentramento regionale in materia di turismo v. G. DE MARTIN, Legge quadro ed organizzazione locale del turismo nello Stato delle autonomie, in Scritti in onore di Egidio Tosato, II, Milano, Giuffrè, 1982, pag. 831 258 Riguardano i servizi, le strutture e le attività pubbliche e private relative all’organizzazione e allo sviluppo del turismo regionale. 259 Art 43, d.lgs. n. 112/1998: “Le funzioni amministrative relative alla materia "turismo ed industria alberghiera", così come definita dall'articolo 56 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, concernono ogni attività pubblica o privata attinente al turismo, ivi incluse le agevolazioni, le sovvenzioni, i contributi, gli incentivi, comunque denominati, anche se per specifiche finalità, a favore delle imprese turistiche” 260 Disegno di legge costituzionale 17 novembre 2005, non approvata dal referendum del 25-26 giugno 2006 261 Si richiama la legge 17 maggio 1983, n. 217, “Legge quadro sul turismo” successivamente abrogata dalla legge 29 marzo 2001, n. 135 recante “Riforma della legislazione nazionale del turismo”.

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A tale riguardo, infatti, la legge 5 giugno 2003, n. 131 recante “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”, all’articolo 1, comma 2, aveva previsto che “le disposizioni normative statali vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge nelle materie appartenenti alla legislazione regionale continuano ad applicarsi, in ciascuna Regione, fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni regionali in materia, fatti salvi gli effetti di eventuali pronunce della Corte costituzionale e fermo quanto previsto al successivo comma 3”262. Nell’instabilità del quadro regolativo, per attenuare i rischi di una non auspicabile difformità delle legislazioni regionali, è stato adottato il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 13 settembre 2002 che recepisce l’accordo sottoscritto in sede di Conferenza Stato-Regioni fra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, sui principi comuni di armonizzazione, valorizzazione e sviluppo del sistema turistico italiano. A tal fine il decreto ha rinviato ad atti di intesa tra Regioni e Province autonome il compito di assicurare una disciplina unitaria a livello nazionale. Le prime leggi regionali intervenute a regolamentare il settore del turismo a seguito della riforma del titolo V della Costituzione hanno ricondotto nell’ambito delle competenze regionali le funzioni di programmazione e coordinamento delle attività turistiche263. Nella materia è, peraltro, intervenuta la sentenza della Corte costituzionale, 23 maggio 2003, n. 197, che ha fatto salva la legittimità costituzionale della normativa turistica nazionale. A tale riguardo, anche la legge Regione Lombardia, 14 aprile 2004, n. 8 è stata considerata espressione del fatto che “la competenza statale non dovrebbe essere stata completamente soppiantata da quella regionale, ma entrambe dovrebbero essere considerate in un’ottica di reciproca intergrazione”264, in considerazione della rilevanza di numerose materie “trasversali” di esclusiva competenza statale (come la tutela della concorrenza). 2. Cenni in prospettiva comparata sulle norme costituzionali e sui principi legislativi nazionali nel settore del turismo La materia del turismo ha progressivamente acquisito rilievo all’interno delle Costituzioni, delle normazioni settoriali e nei programmi di sviluppo economico di tutti gli ordinamenti europei. Ovunque, comporta forme di cointeressenza fra livelli di governo centrale (o federale), Regioni ed enti locali265, e vede variamente allocate funzioni di pianificazione e programmazione strategica del settore, di attuazione dei programmi, di sostegno dell’industria turistica, di promozione del turismo all’estero, di coordinamento della pluralità di soggetti operanti nel settore.

262 Art. 1, comma 3: “Nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le Regioni esercitano la potestà legislativa nell'ambito dei principi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti” 263 V., in proposito Legge Regione Puglia, 11 febbraio 2002, n. 1 e Legge Regione Calabria, 12 agosto 2002, n. 34 264 A. DE VITA, La normativa sul turismo dopo la riforma del titolo V della Costituzione. Il caso della Lombardia, in “Diritto del turismo”, 2005, pag. 258 265 Così già concludeva M.P. CHITI, La legge quadro sul turismo, “Quaderni della rivista giuridica della circolazione e dei trasporti”, 1987, pag. 15

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La materia del turismo viene, ad esempio, direttamente richiamata dalla Costituzione spagnola, in cui è previsto che le competenze di promozione e organizzazione in materia spettino alle comunità autonome (art. 148). Una Secretarìa general de turismo opera, però, all’interno del Ministero dell’industria, turismo e commercio, che è stato recentemente coinvolto in una riorganizzazione. Il Real decreto n. 1554/2004, del 25 giugno 2004266, all’art. 3, ridefinendone i compiti gli ha, tra l’altro, attribuito la funzione di coordinamento della politica turistica del governo. La pianificazione del settore viene elaborata secondo procedure che valorizzano la cooperazione con l’amministrazione centrale, le comunità autonome, gli enti locali, gli altri ministeri eventualmente coinvolti e gli operatori del settore. La pianificazione si avvale anche dei risultati di un’altra funzione svolta dalla Secretarìa general de turismo, relativa all’analisi e allo studio della “interaccìon entre la estructura turistica y los mercados”. Nell’ambito del sistema opera, inoltre, l’Instituto de turismo de Espana, riformato con Real decreto n. 723/2005267, del 20 giugno 2005, cui sono riconosciuti, tra l’altro, compiti di promozione del turismo spagnolo all’estero, che vengono esercitati in collaborazione con le comunità autonome. Non è, invece, espressamente oggetto di disciplina costituzionale la materia del turismo in Francia, dove - fin dagli anni ’30 del secolo scorso - operava una struttura organizzativa statale ed esisteva una regolamentazione delle professioni operanti nel settore. La articolazione dei compiti relativi al turismo ha presentato nel corso degli anni una certa instabilità. L’allocazione della funzione a livello ministeriale è transitata dal Ministero dell’industria a quello dei trasporti, ed è stata alternativamente svolta da sottosegretari o da Ministri delegati. Un primo decentramento delle competenze statali in materia venne realizzato con legge del 1985, in attuazione della legge 2 marzo 1982 n. 213, art. 59268 con cui il turismo era stato attribuito alla competenza regionale. Le funzioni dello Stato sono state definite con la legge n. 92-1341, del 23 dicembre 1992269 che aveva ripartito i compiti nel settore del turismo tra Stato, Regioni, dipartimenti e comuni, tutti tenuti ad esercitare le relative funzioni “en coopération et de facon coordonnée”. Lo Stato è competente a definire ad attuare la politica nazionale del turismo e coordina le iniziative pubbliche e private nel settore. Concorre, inoltre, allo sviluppo turistico avviato dalle collettività territoriali, e a tal fine sottoscrive contratti di piano con le Regioni. Le collettività territoriali cooperano all’attuazione della politica nazionale del turismo. All’interno dei Dipartimenti possono essere costituiti, con compiti di promozione dell’offerta turistica, Comité dèpartemental du tourisme cui partecipano, tra l’altro, i rappresentanti delle professioni e delle associazioni del settore. Tali organismi sono finanziati dallo Stato, dagli altri enti territoriali e da altri “organismes intéressés ainsi que des personnes privées”.

266 http://www.juridicas.com/base_datos/Admin/rd1554-2004.html 267 http://www.lexureditorial.com/boe/200506/10457.htm 268 http://www.legifrance.gouv.fr/texteconsolide/MCEAA.htm. L’art. 59 è stato, poi, abrogato ed è rifluito nel Code général des collectivités territoriales del 1996 269 http://www.legifrance.gouv.fr/texteconsolide/MDEAE.htm

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Presso i comuni operano uffici del turismo con compiti di accoglienza, promozione e informazione, i quali possono essere autorizzati a commercializzare prestazioni di servizi turistici. Sugli uffici del turismo ha potere di delibera il consiglio comunale che può, peraltro, attribuire loro compiti specifici relativi all’attuazione dei programmi generali in materia. Sia i comitati dipartimentali che gli uffici del turismo sono tenuti ad obblighi di rendicontazione annuale. Alcune disposizioni di questa legge sono attualmente in corso di riforma, all’interno di un progetto di ampliamento delle responsabilità locali in materia. In Gran Bretagna, nel corso degli anni ’70 del secolo scorso, furono avviate politiche di sviluppo regionale nel settore del turismo e iniziative per incentivare le attività turistiche, in particolare introducendo forme di finanziamento dell’industria alberghiera270. La materia del turismo venne inserita tra quelle oggetto del primo tentativo di devolution del 1978. Con lo Scotland Act ed il Wales Act (1998) il turismo diviene a tutti gli effetti una competenza “regionale”. Il sistema di concessione delle autorizzazioni, anche nella materia del turismo, si basa sul Licensing Act, recentemente riformato (2003)271. In anni più recenti, il settore è stato coinvolto in un ampio programma di riforma272. Nell’amministrazione centrale il Department for culture, media and sport (DCMS) è responsabile del sostegno all’industria del turismo a livello nazionale e del coordinamento strategico dell’azione regionale e locale nel settore. Le precedenti strutture con competenze in materia di promozione nazionale ed internazionale del turismo (l’English Tourism Council e la British Tourist Authority) sono confluite nel nuovo Visit Britain, istituito nel 2003, formalmente responsabile nei confronti del Parlamento. La Tourisme Alliance istituita nel 2001 (parallele strutture operano in Scozia e Galles) è una “collective voice for the sector”, per rappresentare le posizioni degli operatori del settore. Sono attribuite responsabilità di programmazione alle Regional Development Agencies mentre le autorità locali si occupano di sostenere l’industria del turismo in virtù dei loro specifici compiti istituzionali (infrastrutture e sviluppo economico) ma anche attraverso un’azione di coordinamento dei diversi aspetti del turismo a livello locale. 3. La normativa comunitaria La materia del turismo – che è anche oggetto anche di normazioni internazionali273 - non venne inserita tra quelle richiamate dal Trattato istitutivo come settore su cui instaurare una politica comune (come l’agricoltura ed i trasporti)274. Non è, pertanto,

270 cfr. M.P. CHITI, La legge quadro sul turismo, “Quaderni della rivista giuridica della circolazione e dei trasporti”, 1987, pag. 13 271 http://www.opsi.gov.uk/acts/acts2003/20030017.htm 272 Il programma è stato intitolato Tomorrow’s Tourism Today, ed è stato varato nel luglio 2004, http://www.culture.gov.uk/global/publications/archive_2004/tomorrowstourismtoday.htm?properties=archive_2004%2C%2Ftourism%2FQuickLinks%2Fpublications%2Fdefault%2C&month= 273 In proposito v. lo Statuto e gli atti dell’Organizzazione mondiale del turismo (OMT) 274 Solo con il Trattato di Maastricht viene previsto all’art. 3 lett. t) che la Comunità possa adottare “misure in materia di energia, protezione civile e turismo”.

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intervenuta una regolamentazione generale di settore a livello comunitario, anche se numerose norme hanno interessato specifici aspetti della materia275. In particolare, la regolamentazione comunitaria si è concentrata sulla disciplina delle professioni turistiche, essenziale nella prospettiva di affermare i principi di libera circolazione delle persone e dei servizi e di realizzare una garanzia del consumatore-utente di servizi turistici276. Tale normativa comunitaria è stata largamente recepita nel nostro ordinamento. Con il decreto legislativo 20 settembre 2002, n. 229 (“Attuazione della direttiva 1999/42/CE che istituisce un meccanismo di riconoscimento delle qualifiche per le attività professionali disciplinate dalle direttive di liberalizzazione e dalle direttive recanti misure transitorie e che completa il sistema generale di riconoscimento delle qualifiche”)277, sono state dettate disposizioni per l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento di categorie professionali già oggetto di disciplina comunitaria, elencate all’allegato A. Tra i servizi alla persona vengono incluse le professioni di “guide accompagnatrici ed interpreti turistici”, già disciplinate dalla Direttiva 75/368/CEE, art. 7. La Commissione ha, peraltro, rilevato un eccessivo protezionismo a favore delle guide italiane in molti siti che, allo stato, non sarebbero visitabili con guide straniere. Richiamando una sentenza delle Corte di giustizia del 1991278, la Commissione aveva espressamente richiesto di non impedire lo svolgimento di queste attività a guide turistiche di altri paesi dell’Unione europea279. A seguito di quella sentenza era, infatti, stato adottato il d.p.r. 13 dicembre 1995, “Atto di indirizzo e coordinamento in materia di guide turistiche”, che demandava alle Regioni l’individuazione dei siti visitabili solo con guide dotate di apposita specializzazione. La Commissione ha, in seguito, ritenuto che l’entità e la portata dell’elenco italiano dei siti (circa 2500) fosse elusivo della portata dell’eccezione riconosciuta dalla Corte di giustizia.

275 Per una ricostruzione v. A. MASSERA, L’amministrazione del turismo tra Stato, regioni ed enti locali, in Scritti in onore di Giuseppe Guarino, II, Padova, Cedam, 1998, pag. 864 ss. 276 Sul punto v. RIGHI, La dimensione comunitaria del turismo e il suo impatto sull’ordinamento italiano, in “Rivista italiana di diritto pubblico comunitario”, 1992, pag. 633 277 In materia di richiama anche il decreto legislativo 2 maggio 1994, n. 319, “Attuazione della direttiva 92/51/CEE relativa ad un secondo sistema generale di riconoscimento della formazione professionale che integra la direttiva 89/48/CEE”, con cui è stato dato riconoscimento ai sistemi di formazione per l’acquisizione di titoli professionali in ambito comunitario. Vedi anche il decreto legislativo 23 novembre 1991, n. 392, “Attuazione della direttiva n. 82/470/CEE nella parte concernente gli agenti di viaggio e turismo, a norma dell'art. 16 della legge 29 dicembre 1990, n. 428 (legge comunitaria 1990)” e il decreto legislativo 23 novembre 1991, n, 391, “Attuazione delle direttive n. 75/368/CEE e n. 75/369/CEE concernenti l'espletamento di attività economiche varie, a norma dell'art. 16 della legge 29 dicembre 1990, n. 428 (legge comunitaria 1990)”. V., infine il d.p.r. 13 dicembre 1995, “Atto di indirizzo e coordinamento in materia di guide turistiche”. 278 Corte di giustizia, C-180/89 del 26 febbraio 1991, punto 4: “L' interesse generale attinente alla valorizzazione del patrimonio storico e alla migliore divulgazione possibile delle conoscenze sul patrimonio artistico e culturale di un paese può costituire un' esigenza imperativa che giustifica una restrizione della libera prestazione dei servizi. Tuttavia lo Stato membro che subordina la prestazione di servizi delle guide turistiche che viaggiano con un gruppo di turisti provenienti da un altro Stato membro al possesso di una autorizzazione che presuppone l'acquisizione di una determinata qualificazione professionale comprovata dal superamento di un esame pone delle restrizioni che eccedono quanto è necessario per garantire la tutela di detto interesse, quando detta attività consiste nel guidare i turisti in luoghi diversi dai musei o dai monumenti storici visitabili solo con una guida specializzata”. 279 Commissione europea, parere motivato (IP/04/1303)

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Anche il regime dei contratti ha rivestito rilevanza comunitaria, soprattutto con la direttiva in materia di circuiti “tutto compreso”, attuata con il decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 111 (“Attuazione della direttiva n. 90/314/CEE concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti ‘tutto compreso’”)280. Particolari segmenti del settore sono stati regolati a partire da norme comunitarie, quali l’agriturismo281. Tra le questioni di portata concorrenziale, un particolare rilievo hanno acquisito le politiche di coesione, perseguite dalla Comunità al fine di ridurre gli squilibri socio-economici tra regioni, mediante i fondi strutturali europei. Un complesso di norme regionali molto consistente, ha dato vita a numerose programmazioni, che hanno rappresentato un importante incentivo alle imprese operanti nell’industria del turismo282. Si segnala, peraltro, che “lo stato attuale dei finanziamenti comunitari al turismo presenta una situazione assai frammentata e complessa”283. La materia del turismo è stata, peraltro, oggetto di pronunciamenti da parte della Corte di giustizia, sotto il profilo della conformità alla disciplina della concorrenza, da una parte, della condotta economica delle imprese e, dall’altra, degli assetti strutturali del mercato frutto di regolamentazioni pubbliche. E’ stata, ad esempio, affrontata una questione riguardante della concorrenza tra agenti di viaggio in un procedimento contro lo Stato belga284. Una disposizione di legge imponeva alle agenzie di viaggio di osservare i prezzi e le tariffe stabilite dai tour operators e vietava di praticare sconti ai clienti. Il divieto di praticare sconti alla clientela derivava, peraltro, da una disposizione dell’Upav, l’associazione belga degli agenti di viaggio. Ne era risultata una distorsione rilevante della concorrenza in cui l’alterazione nel mercato era frutto tanto dell’assetto regolamentare che della condotta economica degli operatori in violazione del divieto di intese. 4. La legislazione italiana e il riparto di competenze fra Stato, regioni ed Enti locali L’organizzazione pubblica del turismo in Italia è stata caratterizzata da un “marcato policentrismo”285. Il settore aveva conosciuto una certa rilevanza pubblicistica già in epoca precedente all’approvazione della Carta costituzionale. 280 A tale proposito si richiama anche la legge 27 dicembre 1977, n. 1084 con cui è stata data ratifica ed esecuzione alla convenzione internazionale relativa al contratto di viaggio (firmata a Bruxelles il 23 aprile 1970). 281 Per una prima disciplina interna v. la legge 5 dicembre 1985, n. 730 recante “Disciplina dell’agriturismo” 282 Sull’argomento v. G. GRECO, Sovvenzioni e contributi pubblici nel settore del turismo: aspetti procedimentali e gestionali, in “Rivista italiana di diritto pubblico comunitario”, 1994, pag. 801 e L. RIGHI, La dimensione comunitaria del turismo e il suo impatto sull’ordinamento italiano: profili giuspubblicistici, in “Rivista italiana di diritto pubblico comunitario”, 1992, pag. 323. V. anche M. BOZZAOTRE, I finanziamenti comunitari al settore del turismo, in “Diritto del turismo, 2006, pag. 23 283 M. BOZZAOTRE, I finanziamenti cit., pag. 33 284 Causa n. 311/85 del 1 ottobre 1987, caso VZW VZW Sociale su cui v. M. FRAGOLA, Profilo comunitario del turismo, Padova, Cedam, 1996, pag. 161. Vedi anche T-14/93, Union internationale de chemin de fer c. Commissione (trasporto ferroviario, agenzie di viaggio) e la causa C 480/93, Zunis Holding, 11 gennaio 1996 285 cfr. A. MASSERA, L’amministrazione cit., pag. 855

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In particolare, in ambito comunale era prevista la possibilità di istituire tasse di soggiorno ed operavano aziende autonome comunali di cura, soggiorno e turismo (1926), eredi delle c.d. proloco286. Inoltre, operava nel settore un ente pubblico per la ricostruzione dell’industria alberghiera, l’Enit, istituito nel 1919. In epoca repubblicana, nonostante l’attribuzione delle competenze legislative ed amministrative alle Regioni prevista dagli artt. 117 e 118 della Costituzione, nell’assetto istituzionale della materia si affermarono importanti competenze statali gestite direttamente dal Ministero del turismo, dello sport e dello spettacolo, istituito nel 1959, il quale acquisì veri e propri compiti di amministrazione di cui sarebbero, in seguito, divenute titolari le Regioni. Tale articolazione centralistica dell’ordinamento del turismo venne confermata dalla riforma del 1960 (che riguardò i compiti dell’Enit, il riordino delle aziende autonome, il Consiglio centrale del turismo e gli enti provinciali del turismo). A seguito del primo decentramento alle Regioni, intervenuto nel 1977, nella materia si avvertiva l’esigenza di principi di riferimento all’interno dei quali esercitare la potestà legislativa regionale. Nel 1983 intervenne, così, la legge-quadro sul turismo (legge 17 maggio 1983, n. 217) che fornì una disciplina delle organizzazioni pubbliche competenti in materia di turismo, una disciplina degli imprenditori e delle professioni turistiche287 e regolamentò gli incentivi statali al turismo288. Dal 1988 operava, inoltre, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri un Dipartimento del turismo. Nel 1993, come noto, venne presentato un referendum su iniziativa delle Regioni per abrogare la legge istitutiva del Ministero del turismo289. E’, in seguito, intervenuta la legge 29 marzo 2001, n. 135 recante “Riforma della legislazione nazionale del turismo” che ha abrogato la legge-quadro n. 217/1983, ed è stata seguita dal d.p.c.m. 13 settembre 2002290. L’art. 12 del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, "Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale", convertito dalla legge 14 maggio 2005, n. 80), ha istituito il Comitato nazionale del turismo e previsto la trasformazione dell’E.N.I.T. in agenzia, dando il segnale di un “primo tentativo […] di ricostituire strutture di governo specifiche incaricate di assicurare il ‘coordinamento stabile’ delle relative politiche”291. Nel settore sono intervenute, inoltre, la legge 8 luglio 2003, n. 172, “Disposizioni per il riordino e il rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico”, che ha tentato di realizzare un allineamento della normativa italiana alla normativa comunitaria,

286 cfr. E. DIAMANTI, Il turismo, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, parte speciale, tomo IV, Milano, Giuffrè, 2003, pag. 3629 287 V. in seguito la legge 2 gennaio 1989, n. 6, ”Ordinamento della professione alpina”, e la legge 8 marzo 1991, n. 81 “Legge-quadro per la professione di maestro di sci e ulteriori disposizioni in materia di ordinamento della professione di guida alpina”. 288 La legge disciplinò anche questioni che ricadevano nella competenza delle Regioni a Statuto speciale. 289 Sull’argomento v. M.A. STEFANELLI, La riforma della amministrazione pubblica del turismo, Padova, Cedam, 1995 290 “Recepimento dell’accordo fra lo Stato, le Regioni e le province autonome sui principi per l’armonizzazione, la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico” (in G.U. 25 settembre 2002, n. 225) 291 L. RIGHI, L’istituzione del Comitato nazionale del turismo e la trasformazione dell’ENIT in agenzia: segni di rinascita dell’organizzazione pubblica centrale del turismo?, in “Diritto del turismo”, 2006, pag. 5

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semplificando le procedure amministrative e alleggerendo il carico fiscale292 e la legge 20 febbraio 2006, n. 96, “Disciplina dell'agriturismo”293. Tre distinti ordini di funzioni sono oggetto di una regolamentazione pubblicistica nel settore del turismo294. In primo luogo, la funzione di indirizzo e coordinamento che, in passato ha rappresentato “la linea di demarcazione tra attribuzioni dello Stato e delle regioni”295. Ora, a seguito dell’approvazione del d.lgs. n. 112/1998, art. 47, lo Stato – in base ad una norma di portata generale - definisce nelle materie oggetto di trasferimento gli “indirizzi generali delle politiche economiche e delle politiche di settore” e “le funzioni amministrative concernenti la definizione, nei limiti della normativa comunitaria, di norme tecniche uniformi e standard di qualità per prodotti e servizi”296. Inoltre, viene specificatamente previsto che è conservata allo Stato, in accordo con le regioni, la definizione “dei principi e degli obiettivi per la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico”, che sono formulati in “linee guida” contenute in un documento approvato, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri297. In secondo luogo, la funzione di promozione del mercato del turismo, particolarmente per la promozione del turismo all’estero. La promozione si avvale, tra l’altro, di una attività di finanziamento ed incentivazione che ha largamente caratterizzato il funzionamento del settore secondo logiche non sempre conformi al principio di apertura concorrenziale di mercati298. Sono previste forme di finanziamento ordinario e specifici progetti di incentivazione che vengono assegnati dallo Stato alle Regioni. In terzo luogo, la funzione di vigilanza e controllo del settore turistico. Il controllo più rilevante, sotto il profilo concorrenziale, è quello sugli accessi al mercato degli operatori turistici299. La disciplina nazionale impone, per lo svolgimento di professioni il possesso di abilitazioni (ad es. guida turistica) e per quello di attività il rilascio di autorizzazioni (ad es. agenzie di viaggio, aziende alberghiere). Per quanto le relative procedure siano state, nel corso di questi anni, ampiamente semplificate, tale regolamentazione pubblicistica degli accessi al mercato dei servizi turistici è stata ritenuta distorsiva della concorrenza300.

292 Nella legge è stata prevista una delega il Governo per adottare un Codice unico della nautica da diporto, la disciplina delle azioni delle società concessionarie dei porti turistici e le concessioni dei beni demaniali marittimi. 293 L’art. 4 della legge prevede che “le regioni, tenuto conto delle caratteristiche del territorio regionale o di parti di esso, dettano criteri, limiti e obblighi amministrativi per lo svolgimento dell'attività agrituristica”. 294 Cfr. E. DIAMANTI, Il turismo cit., pag. 3635 ss. 295 Cfr. ivi 296 Lo Stato definisce, inoltre, le “caratteristiche merceologiche dei prodotti, ivi compresi quelli alimentari e dei servizi, nonchè le condizioni generali di sicurezza negli impianti e nelle produzioni, ivi comprese le strutture ricettive” 297 Il decreto è adottato “ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sentite le associazioni di categoria maggiormente rappresentative degli operatori turistici, dei consumatori e del turismo sociale e le organizzazioni sindacali dei lavoratori del turismo più rappresentative nella categoria” 298 Per una rapida disamina degli incentivi previsti dalle leggi statali v. E. DIAMANTI, Il turismo cit., pag. 3638 299 Altre forme di controllo sono quelle sui servizi erogati e sulla salvaguardia del patrimonio ambientale e culturale (su cui v. E. DIAMANTI, Il turismo cit., pag. 3640 ss.) 300 Sul punto è, tra l’altro, intervenuta giurisprudenza della Corte di giustizia

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5. La legislazione regionale Nell’ambito della legislazione regionale di particolare interesse concorrenziale è apparsa la legislazione in materia di classificazione e regolamentazione delle varie tipologie di strutture ricettive extra-alberghiere. Questa, infatti, ha richiesto - oltre ai necessari requisiti tecnici - periodi minimi di alloggio. Le previsioni normative adottate dalle Regioni introducono delle limitazioni alle modalità di utilizzo delle strutture ricettive, imponendo un periodo minimo di permanenza da parte dei turisti. Tali limitazioni sono apparse idonee ad alterare il corretto svolgimento del meccanismo concorrenziale nel mercato, determinando distorsioni concorrenziali in favore delle strutture ricettive alberghiere: infatti, il segmento di clientela che esprime una domanda di soggiorno di breve periodo non può essere soddisfatta dagli altri operatori attivi nel mercato della ricezione turistica301. In materia di accesso all’attività nel settore del turismo, merita di essere segnalata la sentenza della Corte costituzionale 30 dicembre 2003, n. 375 che, pronunciandosi circa la legge della Regione Marche, 14 luglio 1997, n. 41, “Disciplina delle attività di organizzazione ed intermediazione di viaggi e turismo”302, ne ha dichiarato incostituzionali gli artt. 5 e 14, confermando un precedente orientamento303. La Corte costituzionale - che in precedenza aveva ritenuto illegittima la richiesta da parte delle leggi regionali di una autorizzazione aggiuntiva per l’apertura di filiali delle agenzie di viaggi nel proprio territorio regionale – ha ora ritenuto parimenti illegittima la richiesta di un deposito cauzionale integrativo a tal fine: “contrasta [...] con gli artt. 41 e 120 della Costituzione la previsione, per l’apertura di filiali, di un onere economico ulteriore, nella forma dell’integrazione del deposito cauzionale, rispetto a quello già sostenuto inizialmente” Merita, inoltre, una menzione la legge della Regione Sicilia, 3 maggio 2004, n. 8, che definisce e disciplina alcune figure professionali turistiche304.

301 Legge Regione Calabria, 7 marzo 1995, n. 4, art. 5 che nel definire le case e gli appartamenti per vacanze quali esercizi ricettivi aperti al pubblico gestiti unitariamente e imprenditorialmente in forma professionale organizzata e continuativa, oltre a prevedere che siano costituiti da almeno tre unità abitative, stabilisce che le stesse sia destinati ad alloggio di turisti per una permanenza minima di sette giorni e massima di tre mesi; Legge Regione Campania, 24 novembre 2001, n. 17, art. 3, che per le case e gli appartamenti per vacanze richiede una durata minima dell’alloggio di tre giorni; Legge Regione Lazio, 5 agosto 1998, n. 33, art. 2, che per le case e gli appartamenti per vacanze richiede una durata minima dell’alloggio di tre giorni; Legge Regione Lombardia, 28 aprile 1997, n. 12, art. 12, che per le residenze turistico alberghiere (RTA) prevede che la durata di permanenza non possa essere inferiore a 7 giorni; Legge Regione Lombardia, 11 settembre 1989, n. 45, art. 18, che per le case e gli appartamenti per vacanza prevede una durata minima dell’alloggio di 7 giorni; Legge Regione Sardegna, 14 maggio 1984, n. 22, art. 3, che per l le residenze turistico alberghiere prevede una durata minima dell’alloggio di 7 giorni; Legge Regione Sardegna, 12 agosto 1998, n. 27, art. 11, che per i residence stabilisce una durata minima dell’alloggio di 7 giorni; Legge Regione Sardegna, 12 agosto 1998, n. 27, art. 7, che per le case e gli appartamenti per vacanza stabilisce una durata minima dell’alloggio di 7 giorni. 302 Come modificata dalla legge Regione Marche 14 febbraio 2000, n. 8 303 La Corte costituzionale si era espressa nei riguardi della legge Regione Lombardia 16 settembre 1996, n. 27, con sentenza n. 54/2001 e nei riguardi della legge Regione Sardegna 13 luglio 1988, n. 13 con sentenza n. 362/1998. 304 Su cui v. D. DOMINICI, La nuova legge regionale sulle professioni turistiche, in “Nuove autonomie”, 2004, pag. 749

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Ai fini della ricostruzione è utile premettere che nella Regione Sicilia - titolare di potestà legislativa esclusiva in materia - non hanno operato i principi della legge-quadro in materia. La legge regionale ha, ora, provveduto a definire quattro distinte figure professionali. Due sono figure di taglio più tradizionale: la guida turistica e l’accompagnatore turistico, per la cui definizione la legge regionale si richiama espressamente all’art. 11 della legge n. 217/1983. Per l’esercizio di queste professioni è necessario, pertanto, il superamento di un esame di abilitazione volto alla verifica dei requisiti di professionalità e sono previste forme di controllo e vigilanza sull’attività. Altre due figure vengono introdotte dalla legge: la guida ambientale-escursionistica e la guida subacquea. La disciplina che risulta dalla legge regionale prevede che le professionalità siano accertate attraverso il superamento di apposite prove, che vi sia l’iscrizione ad un albo regionale, che vengano esercitate vigilanza e controllo pubblici sulle attività professionali, con la specifica attribuzione di poteri di sanzione. Viene, poi, riservato all’Assessore regionale per il turismo, le comunicazioni e i trasporti, sentite le organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello regionale, la fissazione delle tariffe minime da applicare per le prestazioni turistiche, valida per un biennio. Sotto questo profilo, la norma si pone nel solco di altre previsioni regionali rispetto alle quali a suo tempo l’Agcm aveva sollevato profili di anticoncorrenzialità. Meritevole di approfondimento - sotto il profilo della potenziale portata anticoncorrenziale e discriminatoria - è inoltre la norma che subordina all’iscrizione ad apposito albo regionale (riservata ai residenti e domiciliati nel territorio della regione, art. 13) lo svolgimento dell’attività, e che esclude dall’obbligo di iscrizione solo i cittadini degli Stati membri diversi dall’Italia305. Alcuni profili di distorsione del mercato delle agenzie di viaggi e turismo potrebbero pervenire dalla disciplina delle cd. “Agenzie sicure” - agenzie che dovrebbero garantire un alto livello di organizzazione e di sicurezza dei servizi offerti e una attenzione a caratteristiche richieste per il cd. “turismo etico” - di cui all’art. 16 della legge Regione Emilia Romagna 31 marzo 2003, n. 7, su cui è intervenuta una delibera di giunta regionale306. In particolare, dovrebbero essere valutate – nella prospettiva dei riflessi concorrenziali – la richiesta del requisito di cui al punto 3, lett. a) della delibera (“svolgimento dell’attività da almeno 4 anni dalla data di presentazione della domanda”) e quello di cui alla lett. c (che richiede, indistintamente, la “mancanza di condanne penali a carico del titolare e/o legale rappresentante”). Andrebbe, in altra sede, valutata la portata vessatoria dell’obbligo di sottoscrivere all’atto della domanda un impegno ad accettare l’esclusione dall’elenco “Agenzie sicure in Emilia-Romagna”.

305 Legge Regione Sicilia n. 8/2004, art. 8 “Ambito di applicazione. - 1. In ossequio agli articoli 49 e 50 del Trattato istitutivo della Comunità europea, le disposizioni di cui alla presente legge non si applicano, fermo restando quanto previsto all’articolo 1, commi 2 e 3, ai cittadini di Stati membri dell'Unione europea, diversi dall'Italia, che esercitano, in regime di libera prestazione di servizi, le professioni turistiche disciplinate dalla presente legge”. 306 Delibera Giunta regionale Emilia Romagna, n. 2238 del 10 novembre 2003, “Determinazione delle modalità di accesso e di gestione dell'elenco ‘Agenzie Sicure’ in Emilia Romagna”, come modificata dalle delibere di giunta regionale n. 410 del 8 marzo 2004, n. 556 del 29 marzo 2004 e n.2783 del 30/12/2004

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Non appare, inoltre, giustificata la previsione di cui all’art. 19 della legge Regione Emilia Romagna che determina il numero massimo di giorni (5) di durata dei viaggi organizzati in forma non professionale (Enti, Istituti Scolastici, Associazioni e Comitati aventi finalità politiche). 6. Questioni di rilievo concorrenziale L’Autorità garante della concorrenza e del mercato è più volte intervenuta con attività di segnalazione e consultiva riguardante leggi regionali in materia di turismo. Gli aspetti che hanno interessato profili di anticoncorrenzialità si sono appuntati su più ordini di questioni. La prima riguarda il settore delle agenzie di viaggio e turismo, disciplinate dall’art. 9 della legge-quadro n. 217/1983, che subordina l’esercizio della relativa attività al rilascio di una autorizzazione regionale, ordinata ad assicurare capacità e correttezza professionale degli operatori del settore307 . Anche se la legislazione statale di settore non era intervenuta con una regolamentazione strutturale del mercato, le leggi regionali in materia si sono preoccupate di contingentare il numero delle autorizzazioni concedibili, limitando gli accessi da parte dei potenziali operatori. Con segnalazione ai sensi dell’art. 21 della legge n. 287/1990308 l’Agcm è, pertanto, intervenuta riguardo leggi emanate dalle Regioni Lombardia, Liguria e Marche che – in diverse forme – avevano dettato disposizioni attraverso cui si realizzavano distorsioni concorrenziali del mercato. Infatti, pur sopprimendo le limitazioni relative al numero delle autorizzazioni rilasciabili, introducevano ingiustificati aggravamenti della disciplina organizzativa delle imprese esercenti l’attività di agenzia di viaggi e turismo. In particolare, sarebbe stata dettata una regolamentazione delle filiali tale da ostacolare “la creazione di nuovi punti di erogazione dei servizi”. L’assetto regolamentativo risultante non è stato considerato giustificabile, né conforme all’interesse dei consumatori, ed anzi idoneo “a reintrodurre, in modo surrettizio ed irragionevole, una forma di predeterminazione della struttura dell’offerta, surrogatorio della limitazione del numero delle agenzie, stabilita dalla legislazione regionale meno recente”. L’Agcm concludeva con l’indicazione di una necessaria riforma di tale legislazione in senso pro-concorrenziale. La seconda questione riguarda l’attività delle guide e degli accompagnatori turistici. Una serie di provvedimenti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato si sono diretti contro leggi regionali volte a definire sistemi di fissazione delle tariffe relative alle prestazioni professionali delle guide e degli accompagnatori turistici309.

307 Una prima segnalazione in materia di agenzie di viaggio aveva riguardato il regime autorizzatorio che era stato censurato sotto il profilo della predeterminazione a livello amministrativo della struttura dell’offerta nel mercato dei servizi delle agenzie di viaggio e turismo (Agcm, Segnalazione dell’8 giugno 1995, in Bollettino, n. 25/1995). Sulla materia l’Agcm si è, peraltro, pronunciata nell’esercizio di poteri consultivi riguardo una norma del 1997 in cui si prevedeva che l’allora Ente poste italiane potesse essere autorizzato alla distribuzione e vendita di titoli e documenti di viaggio (biglietti ferroviari ed aerei) il che – ad avviso dell’Autorità – avrebbe determinato un “trattamento discriminatorio a favore dell’Ente poste rispetto agli altri operatori di settore” (Agcm, Parere reso l’11 dicembre 1997, in Bollettino n. 48/1997) 308 Agcm, Segnalazione “Attività delle agenzie di viaggi e turismo (compresi i tour operator)”, del 6 novembre 1997, in Bollettino n. 48/1997 309 Agcm, Parere e segnalazioni “Attività delle guide e degli accompagnatori turistici”, 12 dicembre 1996, in Bollettino n. 52/1996,

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Gli interventi dell’Agcm hanno riguardato tra l’altro una legge della Regione Emilia Romagna, in cui veniva previsto un sistema di fissazione delle tariffe proposte dal Consiglio provinciale, sentite le associazioni di categoria, ed approvate dall’Ufficio provinciale industria, commercio e artigianato. L’Autorità evidenziava che un sistema di determinazione di tariffe obbligatorie “limita la concorrenza tra gli operatori e pertanto non è conforme ai principi del libero mercato”. Infatti, i prestatori di servizi, anche quando le tariffe siano indicate come tariffe massime, potrebbero essere indotti a non praticare prezzi inferiori. Anche altre disposizioni legislative regionali e della provincia autonoma di Trento prevedevano tariffe obbligatorie e limitazioni all’esercizio dell’attività di guida, interprete ed accompagnatore turistico, mentre la legge quadro n. 217/1983, art. 11, pur indicando requisiti culturali per l’esercizio delle tre professioni, non forniva indicazioni riguardo le tariffe dei relativi servizi che sono state esclusivamente oggetto di interventi dei legislatori regionali. L’Autorità concludeva auspicando la modifica delle normative regionali censurate perché venissero soppressi i meccanismi di determinazione delle tariffe relativi ai servizi offerti da guide, interpreti ed accompagnatori turistici e riesaminate le limitazioni poste all’esercizio di tali attività, in modo che “il prezzo dei servizi in esame sia rimesso al gioco della concorrenza”, così da consentire “rapidi adeguamenti delle condizioni di offerta all’andamento della domanda”. La terza, e più recente questione, ha riguardato il già menzionato mercato alberghiero ed extra-alberghiero. Il testo unico delle leggi regionali del Veneto in materia di turismo310 è stato oggetto di una segnalazione311 che riguarda anche analoga legislazione in materia adottata da altre regioni. L’art. 25 della legge n. 33/2002 regolamenta le strutture ricettive extra-alberghiere, individuandone i requisiti tecnici. Viene, tra l’altro, previsto che gli appartamenti da destinare a locazione turistica non possono essere locati per un periodo inferiore a sette giorni, e – nel caso dei residence - per un periodo inferiore a tre giorni. La previsione di un periodo minimo di permanenza è stata considerata dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato una limitazione all’utilizzo del bene, idonea ad “alterare il corretto svolgimento del meccanismo concorrenziale nel mercato”. L’esito di tale previsione normativa sarebbe, infatti, quello di determinare una restrizione dell’offerta in favore della ricettività alberghiera. Anche in proposito, l’Agcm ha auspicato un riesame delle normative regionali in senso pro-concorrenziale.

310 Legge regionale Veneto del 4 novembre 2002, n. 33 recante “Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo”. 311 Agcm, Segnalazione del 2 febbraio 2005, in Bollettino n. 5/2005.

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5 Le novità introdotte dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 Alcune importanti misure sono state introdotte, tra l’altro, proprio nei settori del commercio e del trasporto pubblico locale (e altre incidono sul settore del turismo), con la legge 4 agosto 2006, n. 248 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonchè interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale” (in G.U. n. 186, 11 agosto 2006, s.o. n. 183). Già il decreto legge n. 223/2006 - oggetto di alcune modificazioni in sede di conversione - ha rappresentato certamente un impulso alla competitività nella prospettiva della “promozione di assetti di mercato maggiormente concorrenziali”312. Nella legge vi è un espresso richiamo alla Costituzione (art. 1, “Finalità e ambito di intervento”), in particolare all’art. 117 Cost., alle materie di competenza statale della tutela della concorrenza e della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Le più rilevanti misure sono state dettate nella materia del commercio, attraverso la tecnica normativa della “abolizione” di limiti. L’art. 3 della legge prevede che le attività economiche di distribuzione commerciale sono svolte “senza i seguenti limiti e prescrizioni”:

- l'iscrizione a registri abilitanti o il possesso di requisiti professionali soggettivi, “fatti salvi quelli riguardanti il settore alimentare e della somministrazione degli alimenti e delle bevande” (il decreto legge prevedeva che fossero fatti salvi i casi relativi alla tutela della salute e alla tutela igienico-sanitaria degli alimenti);

- il rispetto di distanze minime obbligatorie tra attività commerciali della stessa tipologia di esercizio;

- le limitazioni quantitative all'assortimento merceologico, “fatta salva la distinzione tra settore alimentare e non alimentare”;

- il rispetto di limiti riferiti a quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite a livello territoriale sub regionale;

- la fissazione di divieti generali ad effettuare vendite promozionali, salvo quelli prescritti dal diritto comunitario;

- l'ottenimento di autorizzazioni preventive e le limitazioni di ordine temporale o quantitativo allo svolgimento di vendite promozionali di prodotti, tranne che nei periodi immediatamente precedenti i saldi di fine stagione.

La legge di conversione ha, peraltro, previsto la caduta di un limite ulteriore (“il divieto o l'ottenimento di autorizzazioni preventive per il consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso l'esercizio di vicinato, utilizzando i locali e gli arredi dell'azienda con l'esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l'osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie”). Le disposizioni di legge o regolamento statale incompatibili con l’art. 3 “sono abrogate”. Per le regioni e gli enti locali è, invece, previsto un adeguamento delle disposizioni legislative e regolamentari ai principi della legge entro il 1 gennaio 2007.

312 Il decreto legge è stato espressamente richiamato dal Presidente Catricalà nell’incipit della presentazione alla Relazione annuale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, 11 luglio 2006, pag. 3

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Il pur indispensabile rinvio ad una successiva attuazione regionale e locale delle misure previste rappresenta, certamente, un punto di alea rispetto alle prospettive di attuazione complessiva dell’intervento pro-concorrenziale. Nel settore del commercio, poi, sono state previste alcune ulteriori disposizioni. Quanto alla liberalizzazione dell’attività di produzione di pane (art. 4), si è, in particolare, assoggettato a dichiarazione d’inizio attività “l’impianto di nuovo panificio ed il trasferimento o la trasformazione di panifici esistenti”, che deve comunque essere autorizzato dalla Azienda sanitaria locale per i requisiti igienico-sanitari. Quanto alla distribuzione dei farmaci (art. 5), la novità riguarda la possibilità di vendita in tutte le tipologie di esercizi commerciali dei farmaci da banco o di automedicazione e dei farmaci e prodotti non soggetti a prescrizione medica: è solo richiesta una comunicazione al Ministero della salute e alle regioni in cui ha sede l’esercizio commerciale. La vendita deve svolgersi in un apposito reparto con l’assistenza “diretta” di un farmacista abilitato e iscritto all’ordine. Sul prezzo indicato dal produttore, il distributore al dettaglio può determinare liberamente lo sconto, purchè visibilmente indicato e indifferenziatamente praticato. Nell’ambito del trasporto sono state poste misure in materia di taxi e trasporto di linea comunale e intercomunale. Sulla disciplina del servizio dei taxi la legge di conversione ha apportato significative modifiche. L’art. 6 del decreto legge, con lo scopo di “assicurare agli utenti del servizio taxi una maggiore offerta” e novellando la legge 15 gennaio 1992, n. 21 (“legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea”), aveva previsto per i comuni – “salva la possibilità di conferire nuove licenze secondo la vigente programmazione numerica” – la possibilità di bandire pubblici concorsi e/o concorsi riservati ai titolari di licenza taxi per l'assegnazione a titolo oneroso di licenze eccedenti la programmazione numerica. La norma prevedeva, inoltre, che le licenze “ulteriori” non potessero essere cedute separatamente da quelle originarie, che i proventi derivanti dall’assegnazione delle nuove licenze fossero prevalentemente distribuiti tra i titolari di licenza taxi rimasti con una sola licenza, che il servizio fosse svolto - oltre che personalmente dal titolare - anche attraverso lavoratori subordinati, che i comuni potessero rilasciare “titoli autorizzatori temporanei, non cedibili, per fronteggiare eventi straordinari”. Ora, con la legge di conversione viene previsto che i comuni, sentite le commissioni consultive, di cui alla legge quadro del 1992 possano: disporre turnazioni integrative, per l’espletamento delle quali avvalersi di sostituti alla guida; bandire concorsi straordinari in conformità (in alcuni casi anche in deroga) alla programmazione numerica per il rilascio di nuove licenze, i cui proventi siano ripartiti almeno per l’80% tra i titolari di licenza taxi del comune; prevedere titoli autorizzatori temporanei o stagionali, forme innovative di servizio all’utenza, tariffe predeterminate dal comune per percorsi prestabiliti; istituire un comitato permanente di monitoraggio del servizio taxi. Quanto al trasporto di linea di passeggeri, l’art. 12 della legge interviene ad ampliare le possibilità di prestazione del servizio per assicurarne un “assetto maggiormente concorrenziale”. I comuni possono, così, prevedere che il trasporto di linea di passeggeri in ambito comunale e intercomunale “sia svolto, in tutto il territorio o in tratte e per tempi predeterminati, anche dai soggetti in possesso dei necessari requisiti tecnico-professionali”. Il servizio deve svolgersi nell’ambito della disciplina dettata

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dagli enti locali (accesso, transito, fermata, art. 12, comma 2) e nel divieto di finanziamento delle attività. Il comune che sia sede di scalo ferroviario, portuale o aeroportuale deve, comunque, consentire l'accesso allo scalo agli operatori autorizzati ai servizi di trasporto di linea da altri comuni del bacino servito. Potrebbe incidere su soggetti esercenti servizi di TPL la norma contenuta nell’art. 13 della legge, con cui si prevede che le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi o per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative, “debbono operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, nè in affidamento diretto nè con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti”. Le società, ad oggetto sociale esclusivo, dovranno cessare entro un anno le “attività non consentite”: tali attività potranno anche essere cedute a terzi o scorporate, costituendo una distinta società da collocare sul mercato. Sono destinate ad incidere, tra l’altro, nel settore del turismo le misure poste dall’art. 2 del la legge, concernenti la tutela della concorrenza nel settore dei servizi professionali. Risultano, infatti, abrogate le disposizioni, legislative e regolamentari, che prevedono “con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali”: l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime (il decreto legge prevedeva “la fissazione di tariffe obbligatorie”) o il divieto di pattuizione di compensi in relazione agli obiettivi; il divieto di pubblicizzare titoli e specializzazioni professionali, servizi e prezzi delle prestazioni; il divieto di fornire servizi professionali di tipo interdisciplinare. La questione potrebbe, in particolare, rilevare nell’ambito della disciplina delle guide turistiche (e delle altre professioni turistiche). Mentre già il decreto legge aveva, però, previsto un adeguamento delle disposizioni deontologiche e pattizie e dei codici di autodisciplina, non è stata – come, invece, opportunamente nel caso del commercio – disposta espressamente la necessità di adeguamento delle disposizioni legislative e regolamentari da parte di regioni ed enti locali in materia. Nella prospettiva di rafforzare l’apertura concorrenziale dei mercati, l’art. 14 della legge dispone, infine, un rafforzamento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato attribuendogli il potere di adottare misure cautelati e ulteriori poteri di sanzione. E’, inoltre, previsto un nuovo iter nell’ambito dell’accertamento degli illeciti concorrenziali: le imprese possono presentare “impegni” che – se ritenuti idonei dall’Agcm a far cessare l’infrazione e resi obbligatori - conducono alla chiusura del procedimento senza accertare l’illecito.

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6 Gli interventi necessari od opportuni sulla regolazione statale e regionale nelle materie in esame per informarle ai principi della concorrenza: raccomandazioni A conclusione della ricostruzione relativa a ciascuno dei settori analizzati (commercio, trasporto, turismo) è possibile indicare alcune direttrici per la formulazione di raccomandazioni pro-concorrenziali. Alcune di queste sono, peraltro, già state accolte dal legge 4 agosto 2006, n. 248, anche se la loro conferma dipenderà, in parte, dall’attuazione che ne daranno regioni ed enti locali. Insieme con il generale obiettivo della liberalizzazione è, comunque, necessario perseguire obiettivi specifici di regolazione settoriale, volti alla rimozione degli effetti indesiderati legati alla insufficiente concorrenzialità dei mercati di riferimento: “la competitività del nostro sistema può risultare rinforzata da una terapia intensiva che miri alla liberalizzazione dei settori protetti”313. Nel settore del commercio la resistenza alla liberalizzazione ha presentato riflessi anche sul differenziale d’inflazione dell’Italia. Il problema è ben noto anche in altri paesi europei, dove accanto alle legislazioni statali intervengono anche le regolazioni di regioni ed enti locali314. Spinte protezionistiche si registrano, ad esempio, in Francia dove sono in atto, da tempo, politiche per arginare la crescita dimensionale delle superfici di vendita. La competenza legislativa esclusiva in materia di commercio dovrebbe essere esercitata dalle Regioni in aderenza alla legislazione statale, ispirata a principi di liberalizzazione e ordinata a svolgere la competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza ai sensi del riformato art. 117 della Costituzione. Ma la legislazione regionale ha, in questi anni reintrodotto vincoli protezionistici, anche attraverso tentativi ripetuti di definire gli ambiti territoriali cui legare forme di pianificazione quantitativa. Sarà, in materia, opportuno evitare che la legislazione – quando si trovi a dettare criteri per la valutazione delle domande di autorizzazione relative all’apertura, trasferimento o ampliamento delle strutture di vendita – richieda considerazioni attinenti alla quota di mercato dell’impresa o fissi limiti quantitativi per il rilascio delle autorizzazioni all’apertura delle medie e grandi strutture di vendite. Né le leggi regionali dovrebbero suddividere, ai fini della programmazione commerciale, il territorio in aree predefinite (unità territoriali). Non dovrebbero, infine, prevedersi per gli esercizi di vicinato limiti dimensionali massimi inferiori rispetto a quelli previsti nella legislazione nazionale, in modo da non limitare gli impatti del processo di liberalizzazione, né - per le forme emergenti di insediamento commerciale (come i cd. outlet) - distanze minime in termini chilometrici per il rilascio delle autorizzazioni. Tali indicazioni sono, in larga misura, già state recepite dalle legge n. 248/2006. Inoltre, si dovrà tenere in considerazione che l’utilizzo di clausole di salvaguardia che evocano genericamente “interessi generali” o si riferiscono a nozioni tipiche della regolamentazione pubblicistica di matrice costituzionale (quale quella di “utilità sociale”) se – da una parte – consentono di temperare i possibili effetti deteriori dei

313 Così ha sostenuto il presidente Catricalà nella presentazione alla Relazione annuale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, 11 luglio 2006, pag. 3 314 Si veda, in proposito il richiamo del Presidente Catricalà nella presentazione alla Relazione annuale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, 11 luglio 2006, pag. 16

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processi di liberalizzazione, dall’altra, oltre che a premure di coesione sociale, si prestano alla reintroduzione ingiustificata di forme di protezionismo locale. Nell’ambito del trasporto, si è tenuta in particolare riguardo la regolamentazione del trasporto pubblico locale. Il quadro normativo comunitario in materia dovrebbe consentire – una volta approvato il regolamento in corso di adozione - il mantenimento di non irrilevanti deroghe alle regole della concorrenza. Eppure, nel corso di questi anni, si è registrata l’introduzione – pur faticosa – di forme di concorrenza regolamentata con l’imposizione di obblighi di gara in numerosi paesi europei (Spagna, Francia, Gran Bretagna) per l’attribuzione dei servizi di TPL. Una rigorosa applicazione dei principi pro-concorrenziali, ben oltre quanto verrà richiesto dalla normativa sovranazionale sarebbe, dunque, auspicabile nella prospettiva della ricerca di efficienza e qualità dei servizi di trasporto315. La valorizzazione degli strumenti volti ad assicurare la “concorrenza per il mercato” (come l’obbligo di gara), ha infatti l’obiettivo di minimizzare il volume complessivo degli oneri finanziari derivanti dalle sussidiazioni pubbliche del servizio, valorizzando la razionalità allocativa della prestazione concorrenziale dei servizi. Da un lato, si dovrebbe porre particolare attenzione alla legislazione del settore:

- individuando criteri volti alla formulazione pro-concorrenziale dei bandi di gara; - evitando previsioni cui seguano effetti distorsivi della concorrenza (ad esempio,

regimi autorizzatori combinati con una pianificazione degli accessi, come nel caso delle licenze taxi; o, ancora, per i bandi di gara, la previsione di clausole sociali, proroghe legislative per lo svolgimento delle gare, rigide definizioni normative dei bacini di utenza da mettere a bando).

Dall’altro, occorre mantenere sotto stretta osservazione le misure attuative della legislazione, in particolare relativamente alla concreta formulazione dei bandi di gara e, nell’ambito di questi, ai requisiti previsti per le associazioni temporanee di imprese (ATI), alla rilevanza del criterio del prezzo più basso nell’aggiudicazione, alla effettiva conformazione dei mercati nei lotti messi a gara. In questa prospettiva, sarebbe auspicabile che vengano individuati soggetti competenti alla gestione delle gare per l’affidamento dei TPL, come accade anche in altri ordinamenti e come è già previsto in alcune regioni (Campania, Emilia Romagna), dove agenzie di mobilità dovrebbero assicurare la formulazione pro-concorrenziale dei bandi di gara e lo svolgimento imparziale delle procedure di scelta dell’affidatario del servizio. Potrebbero, inoltre, essere introdotti metodi per valutare gli effetti competitivi di contratti di trasporto, bandi di gara e profili tariffari, come nel competition test svolto dall’Office of fair trading in Gran Bretagna. L’obiettivo è, tra l’altro, proprio quello della individuazione del bacino economico ottimale che normalmente viene condizionato dall’ambito istituzionale competente, interferendo negativamente con l’efficiente gestione del servizio: una riconsiderazione di questo approccio potrebbe avere significativi effetti sulla riduzione dei sussidi per gli oneri di servizio pubblico, liberando al contempo risorse per il finanziamento di eventuali ammortizzatori sociali nel settore. 315 Sul punto v. A. BOITANI, Per una riorganizzazione competitiva del sistema dei trasporti, in C. DE VINCENTI-A. VIGNERI, Le virtù della concorrenza. Regolazione e mercato nei servizi di pubblica utilità, Bologna, Il Mulino, 2006, pag. 185

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Anche nel settore del turismo le restrizioni degli accessi al mercato si ripercuotono sui consumatori. I processi di liberalizzazione avviati a livello centrale, normalmente sulla spinta del legislatore comunitario, hanno trovato spesso resistenze all’apertura dei mercati con vincoli posti dalle regioni per una regolamentazione degli accessi. Ciò vale, in particolare, per le agenzie di viaggi e turismo per cui andrebbe evitato il contingentamento del numero delle autorizzazioni concedibili, limitando gli accessi da parte dei potenziali operatori. Andrebbe, inoltre, evitata l’introduzione di ingiustificati aggravamenti della disciplina organizzativa delle imprese esercenti l’attività di agenzia di viaggi e turismo che reintroducono, in modo surrettizio ed irragionevole, forme di predeterminazione della struttura dell’offerta Particolare attenzione andrà posta alle leggi regionali volte a definire sistemi di fissazione delle tariffe relative alle prestazioni professionali delle guide e degli accompagnatori turistici. Appare, pertanto, opportuno limitare la previsione di criteri legislativi che intervengano a predeterminare puntuali aspetti dell’offerta turistica, ad esempio, indicando periodi minimi di permanenza nella ricettività alberghiera ed extra-alberghiera; disponendo circa requisiti oggettivi o soggettivi ingiustificati316; fissando un numero massimo di giorni di durata dei viaggi organizzati in forma non professionale al di sopra dei quali è necessario l’intervento dell’agenzia di viaggi . Sarà, infine, opportuno che – con la diffusione di una cultura della legislazione pro-concorrenziale - la regolamentazione di questi settori si ancori a solide politiche settoriali rispettose delle regole di mercato e che venga formulato un modello nazionale di liberalizzazione, volto a garantire valori di coesione sociale attraverso interventi conformi al mercato (redistribuzione fiscale, interventi temporanei di sostegno alle imprese, regolazione pro-concorrenziale, ecc.) trovando ragioni ulteriori per i processi di liberalizzazione rispetto a quelle del dovuto recepimento di impulsi comunitari. Infatti, anche “la direttiva europea sui servizi, in corso di approvazione, potrà dare solo un impulso modesto alla concorrenza. L’onere di intraprendere politiche di liberalizzazione più decise rimane affidato principalmente alle scelte discrezionali dei governi nazionali. L’Italia ha tutto da guadagnare dall’avviarsi con decisione lungo questa strada”317.

316 Quali lo svolgimento dell’attività da un certo numero di anni dalla data di presentazione della domanda o la mancanza – tout court -di condanne penali a carico del titolare e/o legale rappresentante, per la disciplina delle agenzie di viaggio 317 Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia all’Assemblea generale ordinaria dei partecipanti, 31 maggio 2006, pag. 12

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Parte IV

QUADRO SINTETICO DEI CRITERI E DELLE

RACCOMANDAZIONI PER RENDERE LA LEGISLAZIONE ECONOMICA ITALIANA PIÙ CONFORME ALLA LIBERA

CONCORRENZA Al fine di rendere la regolazione economica statale e regionale più conforme alla

libera concorrenza, si raccomandano gli interventi di seguito indicati:

1. In relazione a tutti i settori economici A. ABROGARE:

- le disposizioni legislative e regolamentari – statali e regionali – che impongano o facilitino intese restrittive tra imprese. Ad esempio: leggi o altre misure che prevedono associazioni, consorzi e altre forme di coordinamento fra imprese suscettibili di dar luogo a fissazione concordata di prezzo o a ripartizioni di mercato; - le disposizioni legislative o regolamentari che impongano o facilitino abusi di posizione dominante. Ad esempio: leggi o altre misure che prevedono esclusive in mercati altamente concentrati.

B. NON ADOTTARE: - Ulteriori disposizioni di contenuto analogo a quelle di cui al precedente punto A.

2. In relazione a singoli settori economici, si rende necessario:

2.1. In materia di telecomunicazioni ed energia A. EVITARE:

- l’attribuzione alle Regioni di poteri legislativi concernenti le infrastrutture essenziali di rilevanza nazionale, essendo auspicabile che le stesse continuino ad essere regolate in maniera unitaria a livello centrale. Al più, appare comunque opportuno che per le materie a competenza legislativa ripartita vengano statuiti principi generali ampi e penetranti tali da assicurare una uniforme disciplina delle infrastrutture in questione. Vi è il rischio, infatti, che una frammentazione normativa su base regionale in merito alla gestione di infrastrutture strategiche come, ad esempio, le reti energetiche possa compromettere le esigenze di approvvigionamento del Paese.; - l’eccessivo decentramento decisionale in relazione alla realizzazione di nuove infrastrutture di vitale importanza per l’economia nazionale (vedasi l’esempio dei rigassificatori), sebbene nel rispetto del principio di sussidiarietà. Occorre evitare, in particolare, che la scarsa accettabilità sociale di determinate opere di interesse nazionale ne impedisca, di fatto, la realizzazione.

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B. PREVEDERE: - una legislazione nazionale volta a completare il processo di attuazione delle direttive comunitarie, specialmente per quanto concerne il settore energetico (energia elettrica e gas) che, rispetto alle telecomunicazioni, presenta ancora maggiori barriere all’entrata. In tal senso, sembra essersi mosso il nuovo Governo, come si evince dallo schema di disegno di legge approvato in Consiglio dei Ministri il 9 giugno u.s.; - una regolamentazione “asimmetrica” di emanazione delle Autorità di settore, come peraltro già avviene, volta a contrastare il potere di mercato attualmente detenuto dagli ex-monopolisti storici, spesso inclini a sfruttare pericolosi “effetti leva” derivanti dal loro grado di integrazione verticale, fintantoché non si realizzeranno condizioni di effettiva parità concorrenziale (il c.d. “level playing field”).

2.2. In materia di commercio, trasporti, turismo A. EVITARE:

- la definizione di ambiti territoriali, comunque denominati, cui legare forme di pianificazione quantitativa per il rilascio di titoli abilitativi allo svolgimento dell’attività (commercio, trasporti, turismo). - la previsione generica di clausole di salvaguardia (quali il richiamo di “interessi generali” o di nozioni tipiche della normativa costituzionale, come quella di “utilità sociale”), che consentano di reintrodurre ingiustificati limiti e restrizioni negli accessi al mercato, o provochino altre distorsioni della concorrenza (commercio). - la previsione legislativa rigida di “clausole sociali” che imponga, in caso di subentro di nuova impresa, il trasferimento del personale dipendente dall’impresa cessante all’impresa subentrante (trasporto). - la fissazione legislativa di tariffe fisse o minime, la predeterminazione di caratteri dell’offerta, forme di aggravamento della disciplina idonee a reintrodurre misure di quantificazione degli accessi al mercato (turismo).

B. PREVEDERE:

- una legislazione pro-concorrenziale riguardo ai bandi di gara nel caso di servizi svolti in regime di concorrenza “per il mercato” (trasporto): ad esempio, divieto di conflitti d’interesse fra stazione appaltante e imprese. - una formulazione pro-concorrenziale dei bandi di gara (soprattutto riguardo ai requisiti delle associazioni temporanee di imprese, al peso del criterio del prezzo più basso, alla conformazione del lotto messo a gara) anche attraverso Agenzie regionali con compiti di gestione delle procedure concorsuali per l’affidamento dei servizi (trasporto). - una valutazione degli effetti competitivi di provvedimenti legislativi, amministrativi, contratti, bandi e profili tariffari, sull’esempio del competition test svolto dall’Office of Fair Trading.

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- una definizione basata su criteri economico-aziendali del bacino ottimale per l’erogazione del servizio, sulla base del quale individuare l’ambito istituzionale singolo o consorziato che dovrebbe essere competente.

2. In altri settori A. Assicurare l’efficace attuazione del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modifiche in legge 4 agosto 2006, n. 248, specialmente in materia di libere professioni, distribuzione commerciale, pane e panifici, farmaci, servizi taxi, assicurazione obbligatoria di autoveicoli, contatti bancari. B. Individuare ulteriori materie e settori in cui si rendono necessari interventi pro-concorrenziali, come: aeroporti, autostrade, carburanti, stampa periodica e quotidiana, carte di credito.

3. Gli interventi sopra evidenziati possono essere realizzati con misure legislative, regolamentari e di prassi amministrativa di immediata adozione e relativi a singoli settori, seguendosi il modello già utilizzato con il menzionato decreto legge n. 223/2006. Per assicurare un quadro riformatore dotato di maggiore coerenza, sistematicità e qualità, sarebbe opportuno istituire una Commissione tecnica che effettui una ricognizione della più rilevante legislazione economica, statale e regionale, sotto il profilo della conformità alle regole di concorrenza. Sulla base della ricognizione, la Commissione dovrebbe proporre al Governo e alle Camere un programma di intereventi abrogativi e modificativi. Si potrebbe, infine, valutare un possibile intervento della Commissione nella fase attuativa delle riforme, a supporto degli organi decisionali.

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ALLEGATI

SCHEDE DI SETTORE

COMMERCIO, TRASPORTI, TURISMO, ENERGIA E COMUNICAZIONI (Hannelore Rocchio)

SOMMARIO

1. Premessa 2. Il commercio 3. I trasporti 4. Il turism 5. L’energia 6. Le comunicazioni

Premessa Per ciascuno dei settori oggetto di approfondimento (Commercio, Trasporti, Turismo, Energia e Comunicazioni) è stata predisposta una scheda in cui sono sinteticamente analizzati i seguenti aspetti: - le caratteristiche principali della regolamentazione del mercato a livello

comunitario ( ove presente); - la disciplina del settore nei principali paesi europei; - il riparto di competenze tra Stato, regioni ed enti locali nel nostro ordinamento; - l’evoluzione della disciplina nazionale, letta principalmente sotto il profilo del

livello di apertura dei mercati alla concorrenza; - il livello di “conformità” della legislazione regionale ai principi di concorrenza.

Per le regioni Lombardia, Toscana, Lazio, Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna, sono state, infatti, esaminate le principali leggi di disciplina dei settori oggetto di analisi e sono state individuate le fattispecie anticoncorrenziali maggiormente rilevanti, di cui nella scheda si offre una breve descrizione e valutazione sotto il profilo antitrust.

La trattazione è sviluppata anche avendo a riferimento gli impatti della regolamentazione sulla struttura del mercato, in particolare lato offerta (es. struttura della distribuzione commerciale, concentrazione dell’offerta nei vari segmenti del mercato dell’energia elettrica e del gas,..). Nelle schede viene dato conto anche delle principali novità introdotte dalla legge 4 agosto 2006, n.248 .

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SCHEDA COMMERCIO

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1. Il settore distributivo in Europa In Europa esistono ampie differenze tra i principali paesi dell’Unione sotto il profilo della disciplina della distribuzione commerciale che, diversamente da altri settori, non è stata oggetto di una politica comunitaria finalizzata ad uniformare la regolamentazione degli stati membri. Gli stessi interventi in materia di commercio, risalenti alla prima fase dell’integrazione europea - in cui sono state dettate norme sul commercio all’ingrosso (Direttive 64/223/CEE), sul commercio al dettaglio (68/363/CEE), sugli agenti di commercio (75/369/CEE) e sugli intermediari di commercio, dell’industria e dell’artigianato (64/224/CEE) – non hanno indirizzato all’interno dei singoli Stati dell’Unione l’evoluzione della disciplina del commercio, e dei conseguenti assetti di mercato, verso un “modello uniforme”318. In questo, però, non deve leggersi un fallimento dell’intervento della Comunità, quanto piuttosto la volontà, in applicazione del principio di sussidiarietà, di riconoscere in materia di commercio ampi spazi ai singoli Stati membri, dato lo stretto legame che presenta la distribuzione commerciale con il territorio. Tale posizione è espressa in modo chiaro nel Libro Verde sul commercio (1996)319, che non definisce una politica comune per il settore del commercio, limitandosi a sottolineare solo l’esigenza di procedere alla deregolamentazione della materia, per garantire la competitività del sistema distributivo. L’orientamento pro-competivo, che ispira il Libro Verde del 1996, risulta ribadito nel Libro bianco sul commercio (1999)320 che, recependo le indicazioni della Commissione, suggerisce essenzialmente interventi di snellimento e semplificazione legislativa e amministrativa321, alla luce della estrema eterogeneità che caratterizza il panorama regolamentare europeo e che, in ultima analisi, si risolve in limiti per l’impresa ad offrire i propri servizi al di là del proprio Stato di appartenenza o a stabilirsi in un altro Stato membro. Regno Unito e Germania, ad esempio, hanno adottato concrete misure di liberalizzazione volte soprattutto all’abolizione di barriere all’entrata, favorendo l’accesso di nuovi operatori che vengono sottoposti a soli vincoli di natura urbanistica. L’eliminazione delle barriere all’entrata e le restrizioni sui requisiti professionali degli esercenti hanno caratterizzato il processo di deregolamentazione anche in altri Paesi dell’Unione europea, come Olanda e Svezia.

318 Sul punto è importante sottolineare come a livello comunitario se da una parte non si è ritenuto opportuno procedere, in considerazione del principio di sussidiarietà, ad una disciplina uniforme della distribuzione sotto il profilo ad esempio della disciplina degli accessi al mercato; dall’altra si è intervenuti in maniera significativa sull’armonizzazione tecnica in materia di composizione dei prodotti, sul loro imballaggio, sull’etichettatura, ecc. 319 COM 96/530 (21 novembre 1996) 320 COM 99/6 (27 gennaio 1999) 321 In tema di semplificazione legislativa e amministrativa nella materia del commercio, si segnala che è, attualmente, all’esame una proposta di direttiva comunitaria del parlamento europeo e del consiglio che riguarda anche la distribuzione commerciale il cui obiettivo principale è rimuovere gli “ostacoli giuridici” che limitano le imprese nell’offerta dei loro servizi o nello stabilirsi in altri Stati membri. In particolare, le condizioni per il rilascio delle autorizzazioni non dovranno prevedere discriminazioni ingiustificate e le procedure dovranno essere semplificate anche attraverso la riduzione del numero di documenti richiesti.

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Orientata ai principi della libera concorrenza e del mercato risulta anche la regolamentazione del commercio in Spagna322, in cui, però, per i grandi esercizi commerciali (di superficie superiore ai 2.500 mq) è dettata una disciplina speciale in base alla quale l’apertura di questi esercizi è soggetta al rilascio da parte delle Comunità autonome di una licenza che tiene conto anche del livello delle strutture commerciali nella zona e degli effetti sulla concorrenzialità e sul piccolo commercio. Presentano, invece, una struttura di mercato ancora imbrigliata in una regolamentazione tra le più rigide Austria e Grecia, segue la Francia323. In Italia, nonostante il processo di liberalizzazione del settore promosso a livello statale dal decreto legislativo n. 114/98, le regioni hanno, nell’esercizio della propria potestà legislativa, tendenzialmente replicato i meccanismi di programmazione già in uso nel vigore dalla legge n. 426/71, mantenendo numerosi vincoli basati su criteri più o meno rigidi di programmazione commerciale, non solo urbanistica. Il grado di regolamentazione inevitabilmente si riflette sulla struttura del settore distributivo, misurata in termini di numero di imprese, numero medio di addetti per unità di vendita e valore aggiunto per addetto324.

322 In Spagna la disciplina del commercio è essenzialmente dettata da due leggi: la Ley 7/1996, “de ordenacìon del commercio minorista” e la Ley organica 2/1996, “complementaria de la ordenacìon del commercio minorista” in cui, tra l’altro, si prevede la libertà per gli esercenti di determinare orari e giorni di apertura. 323 La disciplina del commercio in Francia risulta ancora condizionata da elementi di pervasiva regolamentazione pubblica. Già nella legislazione del 1973 (legge Royer, n. 73-1193 del 27 dicembre 1973 “d’orientation du commerce et de l’artisanat”) erano presenti limiti giuridici alla crescita delle dimensioni delle superfici di vendita, limiti che, nella successiva dalla legge n. 96-603, del 5 luglio 1996 “relative au développement et à la promotion du commerce et de l'artisanat” (legge Raffarin, di cui è stata approvata una versione consolidata il 3 agosto 2005), risultano ulteriormente inaspriti. Con l’attuale normativa, ad esempio, è stata ridotta a 300 mq (prima era 1.000 mq) la superficie al di sopra della quale è necessario richiedere una preventiva autorizzazione. Inoltre, sono previste altre forme di autorizzazione, come per il cambiamento di tipo di attività commerciale. 324 Nella tabella sono riportati per i diversi paesi europei, i dati relativi a numero di imprese, numero medio di addetti per unità di vendita e valore aggiunto per addetto. I dati si riferiscono al 2000 e chiaramente in alcuni casi, come ad es. la Spagna che è stata interessata negli ultimi anni da un processo di significativo cambiamento economico, non riflettono la situazione attuale che risulta modificata sensibilmente.

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Ai processi di liberalizzazioni si accompagnano, infatti, generalmente operazioni di concentrazione tra le unità di vendita, finalizzate alla realizzazione di economia di scala e di scopo. In questo senso, i paesi con un assetto regolamentare meno rigido e con un certo grado di concorrenza nel settore sono anche quelli in cui è diminuita la numerosità delle unità di piccole dimensioni, a favore dello sviluppo della media-grande distribuzione. Così, ad esempio, in Germania, Regno Unito e Irlanda, dove è stato dato un forte impulso alla competitività, si contano solo 350-360 unità di vendita per mille abitanti, contro le 1.300 dell’Italia. Il diverso livello di concentrazione del mercato nei Paesi pro-competitivi, con il conseguente aumento della dimensione media del pdv, rappresenta un dato importante di sviluppo del settore nella misura in cui ha impatti positivi sotto il profilo dell’efficienza, essendo maggiore sia il livello di forza lavoro impiegata per unità di vendita sia la produttività dello stesso fattore lavoro (misurata come proxy del valore aggiunto per addetto, riportato in tabella).325 2. La legislazione nazionale: linee evolutive Il quadro normativo del settore commercio ante liberalizzazione, definito dalla Legge 11 giugno 1971, n. 426, era essenzialmente caratterizzato da una rigorosa programmazione quantitativa dell’offerta - che individuava, tramite la formazione e la revisione del piano

325 In Francia il boom degli ipermercati si è accompagnato con il sostenimento da parte dei nuovi entranti di oneri finalizzati ad alimentare un apposito fondo destinato al reinserimento nel mercato del lavoro o al pensionamento anticipato degli operatori commerciali autonomi marginali costretti ad abbandonare il mercato al dettaglio. In Germania, l’esplosione dei discount è stata parzialmente arginata con specifici vincoli al loro sviluppo in aree urbane centrali ad alta densità commerciale. In Svezia, seppure limitatamente ai centri commerciali realizzati con diritti di superficie su aree pubbliche si è giunti ad imporre, con una ferrea logica pro-competitiva, l’esercizio all’interno di ciascuno di essi, di due strutture commerciali (ad esempio di due supermercati di medio-grande formato) gestiti da imprese o organizzazioni di grande distribuzione in concorrenza tra loro.

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regolatore generale, le norme per l’insediamento delle attività commerciali - nonché da ulteriori elementi di rigidità (es. tabelle merceologiche, registro esercenti commercio,..) superati dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114, adottato in attuazione della delega per il decentramento amministrativo, di cui alla legge n. 59 del 1997. La portata innovatrice del decreto legislativo n. 114/98, rispetto alla precedente normativa nazionale fondata sulla legge n. 426/71, risiede nella circostanza che esso cessa di avere quale obiettivo centrale la pianificazione quantitativa dell'offerta, per adottare una prospettiva di tutela di interessi generali, principalmente di tipo urbanistico (tutela dell'assetto urbano, dell'ambiente, dei beni artistici e culturali) o connessi all'esigenza di promuovere un adeguato livello di servizi per i consumatori nei diversi contesti geografici (disponibilità di servizi commerciali nei Comuni minori, disponibilità di parcheggi e così via)326. Il principio cardine della riforma è essenzialmente la liberalizzazione del settore distributivo, realizzata attraverso i seguenti interventi:

o accorpamento delle tabelle merceologiche in due soli settori, (l’alimentare e il non alimentare), con conseguente “possibilità di adeguare flessibilmente nel corso del tempo la gamma dei prodotti venduti” alle esigenze espresse dalla domanda;

o mantenimento dei requisiti professionali degli operatori unicamente per il settore alimentare;

o soppressione del registro degli esercenti il commercio; o superamento del concetto di programmazione della rete distributiva e,

quindi, dei piani commerciali, strumenti di chiara impronta e finalità dirigistica che erano indirizzati espressamente e in modo specifico, secondo un'impostazione di pianificazione e regolamentazione strutturale del mercato, a governare l'evoluzione nel tempo dell'equilibrio tra la domanda e l'offerta nei mercati della distribuzione. Sotto questo profilo, il Decreto Bersani segna un momento di profonda discontinuità rispetto al passato nella misura in cui dispone che possano essere perseguiti solo obiettivi di tipo urbanistico, di tutela di aree aventi valore storico, archeologico, artistico e ambientale, di controllo del traffico, di salvaguardia della pubblica sicurezza, dell'igiene e della sanità.

o abolizione o semplificazione del regime autorizzatorio, con conseguente eliminazione o riduzione delle precedenti barriere di carattere amministrativo che rendevano particolarmente oneroso l’accesso al mercato. Il decreto prevede un regime autorizzatorio diverso in relazione alle tipologie dimensionali dell’esercizio. Più in dettaglio, il Decreto Bersani:

per le unità di vendita cd di “vicinato”, ossia con superfici di vendita inferiori ai 150 mq nei Comuni con meno di 10.000 abitanti ed ai 250 mq in quelli con più di 10.000 abitanti, elimina la subordinazione alle autorizzazioni amministrative sostituendola con semplici procedure di comunicazione delle relative attivazioni agli Enti Locali da parte degli operatori, finalizzate solo a consentire il

326 AGCM, Segnalazione 15/04/1999, Misure regionali attuative del decreto legislativo n. 114/98 in materia di distribuzione commerciale, in Bollettino 13-14/1999

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rispetto delle normative urbanistiche, di sicurezza ed igienico-sanitarie.

per le unità con superfici di vendita comprese tra i 150 e 1.500 mq nei piccoli Comuni e tra i 250 e i 2.500 mq nei grandi Comuni viene invece mantenuto l’obbligo dell’autorizzazione comunale all’esercizio, modificando però i criteri sottostanti ai piani comunali settoriali, in modo da introdurre principi pro-competitivi e da ottenere maggiormente l’esercizio delle nuove unità di vendita alle prescrizioni urbanistiche sottostanti al loro impianto e alla loro distribuzione territoriale. Su questi aspetti, si evidenzia come il Decreto Bersani enuncia solo alcuni principi generali, rinviando alle regioni la loro specificazione ulteriore in documenti di indirizzo ai Comuni, che tengano anche conto delle specificità locali.

per le unità di vendita maggiori (oltre i 1.500 mq nei piccoli Comuni e oltre i 2.500 mq nei grandi Comuni), il Decreto Bersani, non solo conserva l’obbligo di autorizzazioni comunali, ma ne subordina la concessione alla coerenza con specifici programmi regionali, nei quali possono essere introdotte misure di contingentamento temporaneo, tuttavia non riferite ai singoli territori comunali, ma a più bacini di utenza e tali da lasciare congrui spazi di sviluppo per le nuove tipologie commerciali di grande dimensione.

Le misure introdotte dal Decreto Bersani, con il chiaro obiettivo di promuovere la concorrenza nel settore, anche attraverso interventi di semplificazione amministrativa, come più diffusamente evidenziato nel paragrafo successivo, non sono state accolte favorevolmente nell’ambito della legislazione regionale, dove, al contrario, si continuano a leggere formule che reintroducono forme di protezionismo locale. Proprio alla luce di tale evidenza, il Ministro Bersani ha ritenuto opportuno intervenire nuovamente a dare impulso alla competitività nel settore della distribuzione commerciale, con la legge 4 agosto 2006, n. 248 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonchè interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale” (in G.U. n. 186, 11 agosto 2006, s.o. n. 183). Alla materia del commercio in particolare è dedicato l’articolo 3 della legge che prevede l’abolizione per le attività commerciali, e di somministrazione di alimenti e bevande l’abolizione dei seguenti limiti e prescrizioni:

l'iscrizione a registri abilitanti ovvero possesso di requisiti professionali soggettivi per l'esercizio di attività commerciali, fatti salvi quelli riguardanti il settore alimentare e della somministrazione degli alimenti e delle bevande;

il rispetto di distanze minime obbligatorie tra attività commerciali appartenenti alla medesima tipologia di esercizio;

le limitazioni quantitative all'assortimento merceologico offerto negli esercizi commerciali, fatta salva la distinzione tra settore alimentare e non alimentare;

il rispetto di limiti riferiti a quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite a livello territoriale sub regionale;

la fissazione di divieti ad effettuare vendite promozionali, a meno che non siano prescritti dal diritto comunitario;

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l'ottenimento di autorizzazioni preventive e le limitazioni di ordine temporale o quantitativo allo svolgimento di vendite promozionali di prodotti, effettuate all'interno degli esercizi commerciali, tranne che nei periodi immediatamente precedenti i saldi di fine stagione;

il divieto o l'ottenimento di autorizzazioni preventive per il consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso l'esercizio di vicinato, utilizzando i locali e gli arredi dell'azienda con l'esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l'osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie

Lo stesso articolo 3 espressamente prevede l’abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentari statali di disciplina del settore della distribuzione commerciale incompatibili. Diversamente, per le regioni e gli enti locali si è dovuto prevedere un termine (1 gennaio 2007) entro il quale dovranno provvedere ad adeguare le loro disposizioni sia legislative che regolamentari ai principi contenuti nella legge di riforma. 4. Gli impatti della riforma sulla struttura del settore distributivo in Italia Per quanto attiene l’evoluzione della consistenza della rete distributiva italiana a seguito degli interventi di riforma sopra brevemente illustrati, i dati ufficiali (forniti dall’Osservatorio Nazionale del Commercio, istituito presso il ministero delle Attività Produttive) presentano al 30 giugno 2005 un valore complessivo a livello nazionale pari a 758.192 esercizi commerciali, con un incremento di circa 4.000 unità rispetto alla fine dell’anno precedente.

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L’aumento registrato a livello nazionale non è uniformemente distribuito tra le diverse regioni. Anzi Friuli Venezia Giulia, Veneto, Liguria e Toscana presentano addirittura saldi negativi, mentre Valle d’Aosta e Umbria registrano una situazione di sostanziale stazionarietà. Nel Nord, le uniche due regioni che mostrano incrementi significativi sono Lombardia (+356 esercizi) e Emilia Romagna (con +155 esercizi). Gli aumenti più rilevanti, comunque, si registrano al sud e precisamente nel Lazio (1.223 esercizi), Campania (+790 esercizi), Puglia (+457 esercizi) e Sicilia (+463 esercizi). Ma ancora più rilevante ai fini della nostra analisi è il dato relativo alle aperture per classi di superficie. L’evidenza, infatti, è che in Italia continua a prevalere il “nanismo” degli esercizi commerciali: quasi il 90% delle nuove aperture si collocano nelle prime due classi (0-50 mq: 53,5%; e 51-150 mq: 35,8%); quasi l’8% è rappresentato dall’apertura di esercizi con superficie compresa tra i 151-400 mq e solo il restante 2% sono esercizi commerciali sopra i 400 mq. L’esame dei dati riportati in tabella mostra come il tessuto della distribuzione in Italia continua ad essere caratterizzato dalla presenza di punti di vendita di piccole dimensioni. Come verrà evidenziato nei prossimo paragrafi, in realtà, molto spesso sono le stesse regioni che tendono a creare le “premesse” normative per tutelare l’esistente, precludendo l’evoluzione del nostro settore distributivo verso modelli innovativi, come

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sta accadendo nei paesi europei, dove è stata in maniera più decisa intrapresa la strada della deregolamentazione (es. Gran Bretagna, Irlanda, Germania). Focalizzando l’analisi sul settore del grocery, l’evidenza che si riscontra è un sia pur contenuto aumento dei punti di vendita (pdv) rappresentati dalla moderna distribuzione commerciale. Complessivamente nel 2005 sono stati aperti circa 249 pdv di cui 102 supermercati, 116 discount, 18 liberi servizi e 12 ipermercati. Al di là dei nomi “altisonanti” anche questi format più innovativi di pdv, in Italia

soffrono di nanismo e sono per lo più di dimensioni inferiori a 400 mq, come la tabella evidenzia.

L’analisi condotta, oltre a presentare complessivamente a livello nazionale una situazione di sostanziale resistenza verso modelli commerciali più innovativi, ha evidenziato realtà distributive profondamente diverse tra le singole regioni, come dimostra l’indice di servizio (misurato come mq di superficie “moderna” per ogni 1.000 abitanti), elaborato dall’Associazione Nazionale Cooperative fra dettaglianti sui dati Nielsen a livello di singola regione.

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Regioni quali Campania, Puglia, Sicilia e Toscana presentano un livello di servizio inferiore alla media. Mentre significativamente superiori alla media risultano Friuli, Marche, Veneto e Umbria. Obiettivo del paragrafo 6 della presente scheda è analizzare la regolamentazione del settore nelle diverse regioni campione, evidenziandone eventuali fattispecie anticoncorrenziali presenti (es. barriere all’ingresso di “questi” nuovi operatori), al fine anche di fornire una possibile chiave di lettura dei fenomeni sopra rappresentati. 5. Il riparto di competenze tra Stato, regioni ed enti locali nella disciplina del settore Accanto al tema della liberalizzazione, altro principio cardine della riforma realizzata nel settore della distribuzione commerciale è il principio di sussidiarietà. Il D.Lgs 144/98 prevede, infatti, la creazione di un “sistema policentrico” caratterizzato da un passaggio significativo di competenze a regioni, province e Comuni in materia di

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accesso alle attività commerciali ed in ordine al regime autorizzatorio per l’apertura, il trasferimento e l’ampliamento delle superfici di vendita. Alle regioni, in particolare, risulta riconosciuto un ruolo di protagonisti del processo di riforma. Proprio in considerazione di ciò, già nel febbraio 1998, in un parere espresso su una versione preliminare del decreto legislativo n. 114/98, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato aveva auspicato che le disposizioni contenute nella normativa nazionale, nella misura in cui lasciavano margini di discrezionalità interpretativa, fossero applicate dalle regioni in maniera coerente con gli obiettivi di liberalizzazione, di semplificazione amministrativa e di apertura alla concorrenza perseguiti dalla riforma. Il principio di sussidiarietà, già quindi contemplato nel D.Lgs. 114/1998, viene ulteriormente rafforzato con le modifiche al titolo V della costituzione, approvate con la legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n. 3. Nel novellato articolo 117, infatti, la materia del commercio interno non figura né tra quelle soggette alla potestà normativa concorrente, essendo prevista specificamente solo la materia del commercio estero, né tra quelle di competenza esclusiva dello Stato. Ne consegue che la stessa è ricompresa nella competenza residuale delle regioni. La materia de qua è quindi passata da una potestà normativa esclusiva dello Stato a quella esclusiva delle regioni. Di seguito si esaminano gli impatti che il “decentramento” ha avuto sul processo di evoluzione del settore distributivo in questi ultimi anni. 6. Legislazione regionale e concorrenza La normativa di livello nazionale per il settore della distribuzione al dettaglio di cui al D.Lgs. 114/1998, costituisce un caso di liberalizzazione promossa dal “centro”, la cui traduzione operativa sarebbe dovuta essere realizzata dalle regioni. In generale, la legislazione regionale in materia di commercio è intervenuta per tutte le regioni con ritardo e, tra l’altro, in molti casi o è stata preceduta da delibere della Giunta che introducevano misure di urgenza, rinviando ad una successiva legislazione la definizione organica della disciplina ovvero si è concretizzata in leggi di contenuto parziale. Proprio al fine di consentire una valutazione dell’ “operato” delle regioni, l’ISAE ha costruito un indicatore del grado di resistenza iniziale delle regioni all’attuazione della normativa nazionale, basandosi su tre componenti quali la lentezza nell’attuazione, l’incompletezza dell’attuazione e il contingentamento di grandi strutture di vendita. Tanto più elevata è stata la resistenza ad un’attuazione in senso liberalizzatorio della normativa nazionale, tanto maggiore è il livello dell’indicatore.

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Come la tabella evidenzia, maggiore avversione alla liberalizzazione è stata dimostrata da Lazio, Molise e Sardegna; mentre si segnalano per una maggiore propensione al cambiamento dell’approccio alla disciplina del commercio Emilia Romagna, Marche e Piemonte. Complessivamente, dall’analisi di dettaglio della singoli provvedimenti legislativi adottati a livello regionale in materia di distribuzione, rileva comunque una persistente difficoltà, da parte delle regioni, a cambiare l’approccio alla disciplina del commercio, come invece la devoluzione dei poteri richiederebbe “Alcune regioni stanno operando sufficientemente bene, stanno modernizzando e semplificando (o tentando di farlo tra molte reazioni conservatrici), altre invece stanno oggettivamente muovendo dei passi indietro rispetto alla stessa riforma Bersani, e lo stanno facendo riguardo a problematiche significative per la vita e la competitività delle imprese. Mediamente, infatti, anche se con le dovute distinzioni, le regioni hanno operato nel segno della continuità con le politiche legislative che risalgono alla legge n. 426/71 e solo in parte hanno attinto agli indirizzi di rinnovamento espressi dal decreto legislativo 114/98”327. Secondo le “intenzioni” del decreto Bersani, le regioni nell’esercizio della loro potestà legislativa in materia di commercio, avrebbero dovuto essenzialmente sostituire la programmazione strutturale dei mercati con una pianificazione urbanistica, più rispettosa dei meccanismi di mercato. Le evidenze raccolte dall’analisi della normativa regionale rilevano come sino ad oggi i risultati siano in molti casi deludenti, non avendo le regioni colto l’opportunità di disegnare impianti normativi innovativi e di stampo liberale che favorirebbero comportamenti concorrenziali tra le imprese, a vantaggio dei consumatori e di un ammodernamento complessivo del sistema distributivo. Permane nelle regioni italiane ancora un impianto di programmazione fondamentalmente rigido, basato su sistemi autorizzativi che, in alcuni casi, si accompagnano a forme di contigentamento numerico e di superficie.

327 Cfr. VI Rapporto 2006 dell’Associazione Nazionale Cooperative tra Dettaglianti – Federalismo commerciale, concorrenza e liberalizzazione del mercato distributivo, p. 10

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Generalmente questa impostazione viene giustificata dalla necessità di garantire il “pluralismo” delle tipologie imprenditoriali, alcune delle quali (le più piccole), altrimenti rischierebbero di essere espulse dal mercato. Questa stessa motivazione, a ben vedere, non è coerente con i principi di concorrenza: l’espulsione dell’impresa inefficiente è, infatti, garanzia del mercato e di una maggior tutela del consumatore. Contraria allo spirito del Decreto Bersani anche la pianificazione della localizzazione dei punti vendita che, con particolare riferimento alle strutture di medie e grandi dimensioni, continua ad essere in diverse regioni “basata su controverse ed ipotetiche simulazioni della domanda e dell’offerta, e non su valutazioni esclusivamente urbanistiche” (così l’AGCM nella relazione annuale 2003). L’attività di programmazione di nuove aperture di punti vendita viene, in altri termini, svolta non solo in relazione a parametri urbanistici quali la tutela del patrimonio artistico, la tutela dell’ambiente, l’impatto sulla viabilità, ma anche a parametri commerciali. Continuano a comparire nei testi di diverse legge regionali, di seguito riportate, formule di tenore “dirigistico” quali “sviluppo sostenibile”, “equilibrio dell’offerta commerciale”: la prima finalizzata a limitare l’offerta commerciale in funzione della domanda potenziale presente in un determinato territorio; la seconda volta a garantire la presenza di tutte le insegne distributive e di tutelare il piccolo dettaglio dalla concorrenza delle grandi strutture. Oltre al permanere di forme di “commistione” della disciplina urbanistica con vincoli propri della programmazione commerciale, si segnala come a livello di normativa regionale stiano comparendo anche discipline che recuperano i vecchi registri, prevedendo incentivi e agevolazioni a favore degli operatori iscritti. In particolare ci si riferisce al commercio equo e solidale su cui sono intervenute due Risoluzioni del Parlamento europeo328. Di seguito, si riportano le prime evidenze emerse dall’analisi della normativa regionale in materia di disciplina del commercio, proponendo una lettura dei provvedimenti (aggiornati al 31 dicembre 2005), sotto il profilo della coerenza con i principi di concorrenza cui gli stessi “dovrebbero” uniformarsi. Fattispecie Descrizione e rilevanza antitrust

1. Finalità protezionistica “espressa”

• Inserimento nelle finalità della legge di disciplina del settore commercio di clausole di salvaguardia che reintroducono sistematicamente forme di inefficienza e di protezionismo locale, contrarie ai principi di concorrenza.

• Lazio, Legge Regionale 18 novembre 1999, n. 33, art. 2, comma 1, lett.

a), che indica tra le finalità della legge quella di “Assicurare la trasparenza, la libera concorrenza, la libera circolazione delle merci e la libertà d’impresa, compatibilmente con gli interessi generali delle popolazioni e dei territori e non in contrasto con l’utilità sociale”

2. Pianificazione del mercato • Molte leggi regionali, non si limitano a prevedere “vincoli” di

programmazione urbanistica, ma re-introducono forme di programmazione commerciale e pianificazione del mercato, subordinando l’apertura di un nuovo esercizio a valutazioni di sostenibilità, equilibrato

328 PARLAMENTO EUROPEO, Risoluzione n. A3-0373/93 del 19 gennaio 1994 sulla promozione del commercio equo e solidale e Risoluzione 198/98/CE

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sviluppo delle diverse tipologie di distributive e pluralità delle insegne • In alcuni casi, si è riscontrata a livello regionale una attuazione

meramente formale del decreto, realizzata attraverso leggi che però rinviano, per l’individuazione degli indirizzi generali di insediamento e dei criteri di programmazione urbanistica, a successi atti amministrativi che re-introducono criteri di “pianificazione” del mercato, attraverso il riferimento a ad esempio a concetti di “sviluppo sostenibile” che occorre considerare ai fini della definizione degli indirizzi per l’insediamento delle attività di vendita.

• In entrambi i casi, il risultato è che l’ingresso di un nuovo operatore sul mercato non è rimesso solo ad una sua decisione libera, ma è subordinato ad una valutazione dell’Autorità pubblica, alla quale rl’ampiezza delle formule adottate, quali “sostenibilità” ed “equilibrato sviluppo”, riconosce ampi margini di discrezionalità in sede di analisi della richiesta di apertura di nuovi punti vendita di medie-grandi dimensioni.

• Lazio, Legge Regionale 18 novembre 1999, n. 33 che rinvia al

Documento Programmatico, adottato con la deliberazione C.R. 6 novembre 2002, n. 131. Il Documento, si legge nel testo della deliberazione, “definisce gli indirizzi generali per l'insediamento delle attività di vendita al dettaglio (...) in modo particolare definisce gli indici di presenza e di sviluppo delle medie e grandi strutture di vendita, avuto riguardo allo sviluppo sostenibile all'interno di ogni ambito territoriale, tenuto anche conto del disposto dell'articolo 6, comma 3, del decreto”( documento con validità triennale)

• Toscana, L.R. 7-2-2005 n. 28, Codice del Commercio (Testo Unico in materia di commercio in sede fissa, su aree pubbliche, somministrazione di alimenti e bevande, vendita di stampa quotidiana e periodica e distribuzione di carburanti). La legge si segnala per l’individuazione di finalità marcatamente orientate alla ricerca di un equilibrio tra piccola, media e grande distribuzione

3. Limiti all’apertura di medie

e grandi strutture di vendita • Previsione di limiti all’apertura di medie e grandi strutture di vendita,

finalizzati a creare barriere all’entrata di questi operatori per tutelare i piccoli esercenti (forme di protezionismo dell’esistente)

• Tali disposizioni sono fortemente restrittive e non consentono lo sviluppo delle dinamiche di mercato.

• Sicilia L.R. 22 dicembre 1999, n. 28, art. 5, comma 1, lett. b), secondo la

quale la programmazione commerciale deve “assicurare nell’individuare i limiti di presenza delle medie e grandi strutture di vendita, il rispetto del principio della libera concorrenza favorendo l’equilibrato sviluppo delle diverse tipologie distributive e la pluralità delle insegne, nonché, per il settore dei generi di largo e generale consumo, un rapporto equilibrato tra gli insediamenti commerciali e la capacità di domanda della popolazione residente e fluttuante”. Il riferimento “all’equilibrato sviluppo” introduce limiti all’apertura delle medie e grandi strutture di vendita, tanto che il decreto presidenziale 11 luglio 2000, n. 165 prevede che siano stabiliti limiti quantitativi al rilascio di autorizzazioni per grandi strutture di vendita per un periodo transitorio della durata iniziale di 30 mesi, poi sostanzialmente prorogata sine die dalla L.R. 30 ottobre 2002, n 16.

4. Misure di contingentamento

delle aperture • La previsione di limiti quantitativi all’apertura di nuovi esercizi

commerciali ovvero la sospensione del rilascio di nuove autorizzazione per specifici periodi di tempo costituisce un’ulteriore modalità, rispetto alla precedente, con cui le regioni perseguono l’obiettivo di proteggere la situazione esistente, tutelando il piccolo commerciante

• Con riferimento a tale fattispecie, la portata anticoncorrenziale è da ricercare nella “sostituzione” della valutazione pubblica alle scelte imprenditoriali.

• Puglia, Regolamento Reg. 26/2005 prevede un fermo all’apertura delle

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grandi strutture di vendita fino ad aprile 2006. E’ altresì prevista una limitazione alle grandi strutture di vendita programmando per il periodo 2004-2007 il rilascio di 17 nuove autorizzazioni. Trattasi di una programmazione fortemente regolata che prevede per il 2004 l’apertura di 5 nuovi centri commerciali alimentari e 2 aree commerciali non alimentari integrate

• Sardegna, L.R. 5/2005 recante “Disposizioni urgenti per il commercio” con la quale è stata prevista la sospensione del rilascio di nuove autorizzazioni per l’apertura, variazione del settore merceologico, ampliamento, trasferimento di grandi strutture di vendita, fino all’entrata in vigore del Piano Regionale per le grandi strutture di vendita

5. Limiti dimensionali

“restrittivi” • Previsione per gli esercizi di vicinato di limiti dimensionali massimi

inferiori rispetto quelli previsti nel decreto, con conseguente limitazione degli impatti del processo di liberalizzazione.

• Sicilia L.R. 22 dicembre 1999, n. 28, art. 2, comma 1, lett. f), per cui

costituiscono esercizi di vicinato le superfici di vendita: fino a 100 mq nei comuni con popolazione residente fino a 10.000 abitanti; fino a 150 mq nei comuni con popolazione residente non oltre i 100.000 abitanti; fino a 200 mq. nei comuni con popolazione superiore ai 100.000 abitanti

6. Previsione di unità

territoriali e bacini omogenei di utenza

• Suddivisione, ai fini della programmazione commerciale, del territorio in aree predefinite (unità territoriali), con conseguente inserimento di non necessari elementi di rigidità. Tali disposizioni sono generalmente funzionali all’obiettivo di realizzare una mera protezione dell'esistente, così arrestando artificialmente l'evoluzione dell'offerta sulla base dell’assunzione che la domanda sia adeguatamente soddisfatta dall'esistente. Inoltre, le stesse, oltre a rispondere ad una non corretta visione della distribuzione commerciale come un settore statico, in cui non vi sono rilevanti progressi dal punto di vista delle modalità di offerta, compromettono gravemente il processo di liberalizzazione, nella misura in cui re-introducono elementi di rigidità, in evidente contrasto con lo spirito della riforma.

• Lazio - Deliberazione del consiglio regionale 6 novembre 2002, n. 131

che stabilisce, salvo alcune eccezioni, che per ciascun ambito territoriale individuato dalla legge 18 novembre 1999, n. 33, la superficie massima autorizzabile per medie e grandi strutture di vendita debba rispettare determinati indici espressi in misura percentuale fissa sulla superficie totale censita, e quindi esistente, da spalmare nel triennio di validità della deliberazione;

• Lombardia, L.R. 23 luglio 1999, n. 14 (modificata dalla L.R. 24 marzo 2004, n. 5) che individua precise porzioni di territorio (unità territoriali che raggruppano più comuni costituenti diversi bacini di utenza) rispetto alle quali valutare la autorizzabilità o meno di nuove strutture, in funzione della situazione esistente;

• Campania, L.R. 7 gennaio 2000, n. 1, che ha individuato precise porzioni di territorio (14 aree funzionali che raggruppano più comuni costituenti diversi bacini di utenza) rispetto alle quali valutare la autorizzabilità o meno di nuove strutture, in funzione della situazione esistente. Tale legge ha assoggettato la compatibilità territoriale delle grandi superfici di vendita a contingentamenti di superficie in ciascuna area di successiva zonizzazione. Il contingentamento è rideterminato ogni due anni dalla giunta regionale.

7. Abbandono semplificazione

tabelle merceologiche • Alcune leggi regionali re-introducono una classificazione delle

merceologie, prevedendo distinzioni ulteriori rispetto a quella semplificata di alimentare e non alimentare

• La previsione di segmentazioni ulteriori, contraria alle norme del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114 di liberalizzazione del commercio, introduce nel mercato delle forme ingiustificate di rigidità nella misura in cui limita la possibilità per il commerciante di estendere la propria attività ad una

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pluralità di beni, adeguando flessibilmente nel corso del tempo la gamma dei prodotti venduti.

• Veneto, L.R. 15/2004, prevede la distinzione in: alimentare, non

alimentare generico, non alimentare a grande fabbisogno di superficie, misto

• Friuli Venezia Giulia, L.R. 29/2005, introduce la distinzione in: generi alimentari, generi non alimentari, stampa quotidiana e periodica, generi non alimentari a basso impatto, generi speciali

8. Re-introduzione di Albi per specifici operatori

• Istituzione di Albi per gli operatori attivi nell’ambito del commercio equo e solidale, cui sono destinati incentivi e agevolazioni, come la priorità nell’accesso ad aiuti e investimenti

• La previsione di albi regionali non risponde alle indicazioni delle risoluzioni del Parlamento europeo, che prevedono solo registri dei prodotti .

• Con la legge Regione Toscana, 23 febbraio 2005, n. 37 “Disposizioni per

il sostegno alla diffusione del commercio equo e solidale in Toscana” si è dettata una prima disciplina regionale del settore attribuendogli “una funzione rilevante nella promozione dell’incontro fra culture diverse e nel sostegno alla crescita economica e sociale, nel rispetto dei diritti individuali, dei paesi in via di sviluppo” (art. 1). Destinatari del provvedimento sono quei soggetti senza fini di lucro che si conformano ai contenuti della Carta Italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale, approvata dall’associazione Assemblea generale italiana del commercio equo e solidale (AGICES). Il provvedimento prevede l’istituzione del registro regionale dei soggetti operanti in tale ambito (art. 3), a cui sono destinati incentivi e agevolazioni (art. 5), come la priorità nell’accesso ad aiuti e investimenti. Viene, inoltre, disciplinata la promozione del commercio equo e solidale (art. 4) con l’espresso obiettivo è quello di orientare ad un “consumo consapevole e attento”. A tale scopo sono previste azioni educative da realizzarsi nelle scuole.

• Anche altre regioni hanno allo studio progetti di legge in materia (tra queste la Lombardia e il Veneto)

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SCHEDA TRASPORTI PUBBLICI LOCALI

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1. Il trasporto pubblico locale in Europa Il panorama europeo della disciplina dei servizi di trasporto locali (di seguito anche servizi di TPL) si presenta estremamente diversificato ed eterogeneo, anche per una disciplina comunitaria che solo con il Regolamento CEE n. 1893/91 del 20 giugno 1991 ha esteso la regolamentazione del trasporto anche ai servizi di TPL, prima espressamente esclusi dall’ambito applicativo della stessa. Si tratta, in ogni caso, di un’estensione che riconosce, comunque, agli Stati membri la possibilità di escludere dall’ambito applicativo del Regolamento “le imprese la cui attività è limitata esclusivamente alla fornitura dei servizi urbani, extraurbani o regionali”. La tabella sotto riportata329 fornisce una vista “sinottica” del livello di liberalizzazione realizzato dagli Stati membri nei mercati dei:

o trasporti regionali e inter-regionali per autobus o trasporti urbani (autobus, tranvie e metro) o trasporti ferroviari di competenza regionale

Stati membri

Trasporti regionali e inter-regionali per

autobus

Trasporti urbani (autobus, tranvie, metro)

Trasporti ferroviari

Austria Mercato chiuso (gli operatori sono per la maggior parte, aziende con capitale pubblico).

idem Mercato chiuso.

Belgio Mercato chiuso (gli operatori sono per la maggior parte, aziende con capitale pubblico, alcune attività sono subappaltate a delle aziende private).

Idem Mercato chiuso

Germania Concorrenza regolamentata. Bandi di gara per la concessione di diritti esclusivi, nel caso di servizi che necessitano delle sovvenzioni. Nel caso invece di servizi finanziariamente autonomi, concorrenza limitata per la concessione di diritti esclusivi. Combinazioni di aziende con capitale pubblico e capitale privato

Idem

Mercato chiuso.

Danimarca Le aziende possono chiedere le licenze per concessioni esclusive. Nessuna indennizzo finanziario è legato a questo diritto.

La maggior parte degli enti pubblici fanno ricorso ai bandi di gara.

L’azienda principale (DSB) è statale. Esistono un numero limitato di aziende private di cui lo Stato è il principale azionario. Il sistema si basa quindi sempre sul mercato

329 C. CAPEZZUOLI (a cura di), Il mercato europeo del trasporto pubblico, in http://www.ataf.net/DN@Files/nonsolobus_area/giu01_schedaoperativa.pdf

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chiuso, ma sta per essere introdotta la concorrenza regolamentata (bandi di gara).

Francia Troppo pochi i servizi di trasporto con autobus su lunghe distanze.

Ile de France: mercato chiuso con monopolio pubblico e qualche piccolo monopolio privato. Resto della Francia: concorrenza regolamentata nella maggior parte dei casi (bandi di gara).

Mercato chiuso con monopolio di Stato (SNCF).

Finlandia Concorrenza regolamentata. È un sistema che si basa sull’attribuzione delle licenze su richiesta degli operatori.

Helsinki: 30% del servizio esercitato con autobus è messo a gara, l’obiettivo è di raggiungere il 100% entro il 2001. Tranvie e metro rimangono ancora un mercato chiuso. Turku: i servizi andranno in gara entro il 2001. Tampere: mercato chiuso, operatore con capitale pubblico.

Mercato chiuso. L’azienda pubblica VR è operatore unico

Grecia Mercato chiuso. L’azienda privata KETL, è in posizione di monopolio.

Mercato chiuso. Combinazione di aziende a capitale pubblico e privato.

Mercato chiuso.

Irlanda Mercato libero, di fatto con una concorrenza tra operatori pubblici e privati .

Mercato chiuso. Le aziende sono a maggioranza.con capitale pubblico.

Mercato chiuso con monopolio di Stato

Lussemburgo Nessun servizio di trasporto interregionale effettuato con autobus.

Mercato chiuso. Le aziende sono, per la maggior parte a capitale pubblico, subappaltate a società private

Mercato chiuso con monopolio di Stato.

Paesi bassi Mercato chiuso, con predominanza di aziende con capitale pubblico. Sono in corso delle sperimentazioni per l’introduzione della concorrenza regolamentata..

Idem Mercato chiuso. Mercato dominato dal settore pubblico insieme ad un numero limitato di aziende private. Sono in corso delle sperimentazioni per l’introduzione della concorrenza regolamentata..

Portogallo Mercato aperto con predominanza di aziende private.

Lisbona e Oporto: mercato chiuso. Nelle zone urbane più piccole concorrenza regolamentata

Mercato chiuso con monopolio di Stato.. Sono in corso delle sperimentazioni per l’introduzione della concorrenza regolamentata.

Spagna Diritto esclusivo attribuito con bandi di gara, principalmente ma non unicamente ad aziende private.

Mercato chiuso con aziende con capitale pubblico nei centri urbani; nelle periferie operatori privati selezionati con bandi di gara (concorrenza regolamentata).

Mercato chiuso con rete nazionale in mano ad un’azienda pubblica. Bandi di gara indirizzati ai privati o ai partenariati pubblici/privati per linee supplementari (ad esempio alta velocità Barcellona, Madrid).

Svezia Concessione di linee attribuite ad aziende

Mercato aperto alla concorrenza dal 1989

Swedish Rail gestisce i servizi autonomi finanziariamente sulla

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private, nessun diritto esclusivo.

(compreso il metro). base di diritti esclusivi. Swedish Rail e altre aziende private presentano delle offerte per i servizi che necessitano sovvenzioni (concorrenza regolamentata).

Regno Unito Mercato deregolamentato.

Londra: concorrenza regolamentata per i trasporti effettuati con autobus (bandi di gara per le diverse linee che possono essere autonome finanziariamente oppure possono necessitare di sovvenzioni); mercato chiuso per il metro. Resto del paese: liberalizzazione dei servizi di trasporto con autobus, concorrenza regolamentata o mercato chiuso per il metro e le tranvie. Irlanda del Nord: mercato chiuso.

Concorrenza regolata. (bandi di gara) dal 1997.

Più in dettaglio, si ritiene utile esaminare tre realtà, quali la Francia, la Germania e la Gran Bretagna, che si caratterizzano per un diverso livello di liberalizzazione dei mercati interessati. In Francia le prime disposizioni in materia di trasporti urbani e regionali (con l’esclusione della regione di Parigi) si rinvengono nella legge n. 82-1153 del 30 dicembre 1982 “Loi d'orientation des transports intérieurs “ (LOTI) che prevedeva un decentramento di competenze a favore del governo locale, attribuendo al Comune ovvero alle associazioni di Comuni la responsabilità dell’organizzazione del trasporto, che poteva essere gestito secondo tre modalità. Precisamente, il governo locale, attraverso un’apposita Autorità per il trasporto, poteva decidere di:

o gestire direttamente il servizio, anche se nel rispetto di specifiche condizioni quali ad esempio la necessità di creazione di una società con budget e contabilità separati;

o affidarlo ad un operatore privato, individuato attraverso una gara d’appalto; o creare, ricorrendo ad soluzione intermedia rispetto alle precedenti, una società

“mista” partecipata con una quota variabile tra il 50% e l’80% dall’amministrazione pubblica.

L’Autorità di trasporto locale era altresì responsabile della definizione delle condizioni di erogazione del servizio, del livello di qualità e delle modalità di finanziamento. Nel vigore della “Loi d'orientation des transports intérieurs”, il sistema dei sussidi riconosciuti a favore delle società che gestivano i servizi di TPL era poco “sensibile” alla realizzazione di efficienze, e non erano ancora utilizzati contratti di servizio incentivanti, come i contratti gross e net cost. I sussidi potevano raggiungere anche il 50% di copertura dei costi. Occorre attendere il 1993 per poter rintracciare nella normativa francese anche dei servizi di TPL un maggior orientamento verso i principi di trasparenza e di mercato. Con la legge n. 93-122, del 29 gennaio 1993, nota anche come legge Sapin, viene infatti essenzialmente disposto:

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o l’obbligo di gara nell’assegnazione di un servizio pubblico (concorrenza per il mercato);

o il principio di separazione tra regolazione, pianificazione e programmazione del servizio da un lato e produzione del servizio dall’altro.

In ordine ai risultati della riforma, il settore dei TPL in Francia si presenta dominato dalla presenza di “pochi grandi gruppi appartenenti al mondo industriale e di grandi holding multiservice con forti connessioni col mondo finanziario”330. Un livello di concentrazione significativa del mercato in Francia era peraltro presente già ante riforma, negli anni 70-80, allorquando si era in presenza di affidamenti diretti che, invece, in Italia hanno condotto a forme di “nanismo localistico”. In Germania la riforma del settore dei TPL risale al 1996, quando il governo tedesco ha disposto la “regionalizzazione” dei servizi di trasporto, trasferendo ai Lander, ai Distretti e ai Comuni tutte le responsabilità in materia di trasporto pubblico regionale e urbano. L’organizzazione dei servizi in termini di linee, orari, tariffe è di competenza di un’Autorità pubblica (Verkehrsverbund) che svolge un ruolo di coordinamento. Per i trasporti con autobus, tram e metropolitane, l’Autorità gestisce il rapporto con le imprese distinguendo:

o i servizi commerciali, che non sono sussidiati; o i servizi non commerciali, per i quali l’impresa non è in grado di coprire

interamente i costi sostenuti. Si segnala come in Germania stia ancora prevalendo la forma dell’affidamento diretto. D’altra parte, la stessa riforma del 1996 disegna “un quadro dove non esiste la concorrenza diretta per il mercato”. Ciononostante, diversamente che in Francia, il numero di piccoli operatori è elevato in quanto molte aziende titolari di licenza per lo svolgimento del servizio ricorrono al subappalto di servizi331. A livello regionale, esistono una ventina di aziende, tutte controllate dagli incumbent. Circa il 50% dei servizi è però dato in sub-appalto; in totale le aziende private sono 2.500. Sul punto occorre considerare che, anche se con il sub-appalto si riescono a realizzare efficienze (nella misura in cui il servizio è svolto da piccole aziende in ottica industriale), i relativi risparmi sono dell’impresa appaltante e non dell’ente locale. Ne consegue che il sistema tedesco, per il modo in cui è stato congegnato, non garantisce un’ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse finanziarie locali. Come anche per gli altri servizi pubblici, anche per i TPL la Gran Bretagna rappresenta un riferimento per il livello di liberalizzazione raggiunto, avendo previsto, accanto alle più diffuse forme di concorrenza “per” il mercato, ossia il ricorso a procedure di evidenza pubblica per l’affidamento dei servizi, anche forme di concorrenza “nel” mercato. Se si escludono l’area metropolitana di Londra e l’Irlanda del Nord, nel resto del Regno Unito, l’offerta di trasporto su gomma è distinta in:

o servizi di trasporto commerciali (non sussidiati), per i quali l’operatore svolge la propria attività imprenditoriali senza vincoli, imposti dall’Autorità, di orari , fermate, tariffe ma solo in ottica industriale di massimizzazione del profitto. E’

330 Cfr. A. Boitani e C. Cambini, Le Gare per i servizi di trasporto locale in Europa e in Italia, tanto rumore per nulla?, in Economia e Politica industriale, n. 122, 2004 331 Cfr. A. Boitani e C. Cambini, cit, p. 71

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solo prevista la preventiva registrazione al Traffic Commissioner 40 giorni prima dell’inizio del nuovo servizio o della modifica dell’esistente;

o servizi di trasporto pubblico non commerciali, che si identificano con i servizi sussidiati, la cui funzione sociale è individuata dal decisore pubblico (Public Transport Authority - PTA) e le cui regole sono fissate dalle Public Transport Executive - PTE .

Il processo di deregulation realizzato in Gran Bretagna ha condotto ad una riduzione, anche significativa, dei contributi pubblici, anche se si sono rilevati incrementi delle tariffe, congestione del traffico nelle tratte più redditizie e innalzamento dell’età del parco veicoli. 2. La legislazione nazionale Per quanto attiene l’Italia, a livello nazionale, la riforma della disciplina dei trasporti pubblici locali è stata maturata, verso la metà degli anni ’90, all’intero di un quadro di profondo dissesto organizzativo e finanziario del settore, imputabile essenzialmente a tre fattori:

o l’assetto monopolistico che caratterizzava sia i servizi di trasporto locale che i servizi ferroviari regionali;

o il vigente sistema di “irresponsabilità finanziaria” per cui i Comuni e le regioni non stanziavano le risorse per i servizi che programmavano e chiedevano alle aziende;

o la scarsa rispondenza alle esigenze dei consumatori dei servizi decisi a livello centrale332.

Per superare tale situazione divenuta insostenibile soprattutto sotto il profilo finanziario, nel 1995 venne avviato il processo di riforma dei trasporti pubblici locali, con la delega al governo contenuta nella L. 549/95 collegata alla legge finanziaria 1996 e poi reiterata nella L. 59/97 art. 4, comma 4 e sostanziata nei due decreti legislativi 422/97 e 400/99. Nel contesto sopra descritto, uno degli scopi fondamentali della riforma del settore dei trasporti pubblici locali era quello di incentivare gli operatori a realizzare recuperi sostanziali di efficienza produttiva e di efficacia del servizio, compromessi dal precedente modello gestionale. In linea con le previsioni della teoria della regolamentazione dei monopoli allora dominante (Laffont e Tirole, 1993), si è ritenuto che tale obiettivo fosse perseguibile, da un lato, decentrando le responsabilità finanziarie a livello locale, e dall’altro intervenendo sui meccanismi che regolano l’accesso al mercato (previsione di gare per l’affidamento dei servizi) e l’assegnazione dei sussidi (contratti di servizi). Uno dei principi cardine della riforma è, quindi, l’introduzione, all’interno di un settore da sempre caratterizzato da una “configurazione monopolistica” di logiche di concorrenza, considerate lo strumento più appropriato per innescare nel mercato un meccanismo virtuoso di realizzazione di efficienze gestionali. In particolare, le linee di intervento della riforma possono essere così sintetizzate: 332 Cfr. C. Scarpa, A. Boitani, P.M. Panteghini, L. Pellegrini, M. Ponti, Come far ripartire la liberalizzazione dei servizi, (Preparato per la Conferenza “Oltre il declino” organizzata dalla Fondazione Rodolfo Debenedetti – Roma 3 febbraio 2005, in http://www.frdb.org/images/customer/summary_2.pdf

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o soppressione del Fondo Nazionale Trasporti e trasferimento alle regione della responsabilità di programmazione e di finanziamento di tutti i servizi di trasporto locale, ferro compreso. Viene conseguentemente conferita alle stesse regioni una quota delle accise sugli oli minerali, con possibilità di aumentare tali imposte entro un limite prefissato. Le Regioni, dal canto loro, devono istituire un Fondo regionale trasporti con cui contribuire al finanziamento dei servizi urbani ed exra-urbani;

o separazione delle funzioni di programmazione e regolazione (delle amministrazioni pubbliche) da quelle di gestione industriale attribuite ad aziende;

o per rendere più trasparenti i rapporti tra committenti pubblici dei servizi e gestori, nonché per conferire a tali rapporti certezza finanziaria, previsione di:

obbligo di contratti di servizio minimo di copertura dei costi operativi da ricavi da traffico pari

al 35% dei costi operativi stessi, pena la nullità dei contratti profilo decrescente nel tempo dei sussidi in termini reali, in base

ad un meccanismo di “subsidy cap” definito nei contratti di servizio;

o introduzione del principio di “concorrenza per il mercato”, attraverso la previsione dell’obbligo (inizialmente a partire dal 2003) di ricorso a meccanismi concorrenziali per l’affidamento dei servizi al fine di accrescere l’efficienza dei soggetti gestori e quindi di ridurre i costi di gestione, senza rinunciare a livelli di servizio adeguati.

Al processo di riforma avviato con il decreto 422 non è seguita una tempestiva attuazione. A ciò, come evidenziato dalla stessa AGCM, hanno contribuito numerosi fattori, tra cui:

o le incertezze normative legate all'inclusione dei servizi di trasporto pubblico locale nei servizi pubblici locali, ai sensi dell'articolo 113 del Decreto Legislativo n. 267 del 18 agosto 2000 (Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli Enti Locali – T.U.E.L.) e successive modificazioni333, tese a recepire i criteri elaborati in sede comunitaria334;

o i ritardi nel recepimento a livello regionale delle misure nazionali nonché nell'adozione degli strumenti di attuazione;

o le resistenze degli incumbent affidatari dei servizi e delle amministrazioni locali, che ne detengono generalmente il capitale sociale;

o la struttura del settore caratterizzata da un'estrema frammentazione, che ha ulteriormente frenato il processo di apertura dei mercati e la spinta verso il conseguimento di una maggiore efficienza nei servizi.

In ordine, in particolare, al primo punto, hanno sicuramente rallentato il processo di riforma i provvedimenti adottati nel biennio 2001-2003 (art. 35 della Legge finanziaria

333 Legge 28 dicembre 2001 n.448 (Legge finanziaria 2002) e del Decreto Legge n. 30 settembre 2003, n.269, convertito con legge n. 326/03. 334 Cfr. sentenza "Teckal" del 18 novembre 1999 e nota della Commissione del 26 giugno 2002 inviata al Governo Italiano per sollecitare ulteriori modifiche dell'articolo 113 del Decreto Legislativo n. 267 del 2000.

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2001 e art. 14 del D. L. 269/2003335) che, con un’inversione di rotta336 rispetto a quella tracciata nel D.lgs. 422, reintroducono la possibilità del monopolio nella forma dell’affidamento in house337. Si deve arrivare al novembre del 2004 e precisamente all’approvazione della legge 15 dicembre 2004, n. 308 "Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione” per creare le premesse volte al superamento della situazione di stallo che si era venuta a determinare. Nella legge 308/2004, in modo alquanto singolare, è stato infatti inserito un breve articolo dedicato ai trasporti locali, che sancisce l'esclusione della materia del TPL dall'ambito di applicazione dell'articolo 113 T.U.E.L338. La materia del TPL viene così ricondotta all'alveo del Decreto Legislativo n. 422/97 e si chiarisce, in modo definitivo e a questo punto inequivocabile, che la regola per l’affidamento dei servizi di TPL - alla quale le Regioni non sono legittimate a derogare, trattandosi di materia di “concorrenza” sottratta alla loro potestà legislativa339 – è la gara. A seguito di tale ultimo intervento normativo, pertanto il termine ultimo di validità degli atti concessori in essere, e dunque la scadenza per l'effettuazione delle gare, è stato portato al 31 dicembre 2005, ai sensi del D.L. 24 dicembre 2003, n. 355, convertito con modificazioni in legge 27 febbraio 2004, n. 47. Sul punto, peraltro, è di recente intervenuta la legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2006) che, con il comma 394 dell’articolo 1, ha ulteriormente modificato il termine di cui al suddetto comma 3-bis dell’art. 18 del d.lgs. n. 422 del 1997 portandolo al 31 dicembre 2006, mentre il comma 393 del medesimo articolo ha inserito, dopo il citato comma 3-bis, altri cinque commi, che disciplinano anche la possibilità che le Regioni prevedano, al ricorrere di determinate condizioni, ulteriori proroghe dell’affidamento, fino ad un massimo di altri dodici mesi.

335 Dopo la conversione in legge del c.d. Lodo Buttiglione (avvenuta con la L. 350/03), si sono concluse soltanto le gare relative a sei lotti della provincia di Milano, mentre alcune gare, anche già bandite, sono state sospese. L’avvio delle gare è stato sicuramente rallentato dalle amministrazioni delle città di Bari, Genova e Roma. 336 Cfr. L. LANZILLOTTA, Controliberalizzazioni: il caso del trasporto locale a Roma, in “Mercato, concorrenza e regole”, 2004, pag. 549 337 Sulla legittimità dell’affidamento in house si è di recente pronucniata la Corte di Giustizia CE, sezione I, Sentenza 11 gennaio 2005 n. C-26/03 (causa Stadt halle) disponendo che: “Nell’ipotesi in cui un’amministrazione aggiudicatrice intenda concludere un contratto a titolo oneroso relativo a servizi rientranti nell’ambito di applicazione ratione materiae della direttiva 92/50, come modificata dalla direttiva 97/52, con una società da essa giuridicamente distinta, nella quale essa detiene una partecipazione insieme a una o più imprese private, devono essere applicate le procedure di affidamento degli appalti pubblici previste dalla citata direttiva”. 338 L'art. 1, comma 48, della legge 308/94 prevede, infatti, l'inserimento di un comma 1-bis al comma 1 dell'art. 113 T.U.E.L., che recita "le disposizioni del presente articolo non si applicano al settore del trasporto pubblico locale che resta disciplinato dal decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, e successive modificazioni". 339 Sul punto vedasi la recente pronuncia della Corte costituzionale (sentenza 22 febbraio 2006, n. 80) che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di disposizioni contenute in Leggi regionali che avevano introdotto per affidamenti preesistenti proroghe del termine previsto dal legislatore statale (l. n. 422/1997), per l’entrata in vigore del nuovo regime di affidamento di tutti i servizi di trasporto pubblico locale. La illegittimità è stata dichiarata nella misura in cui tali norme contenevano discipline violative della competenza statale esclusiva in materia di tutela della concorrenza.

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Si segnala, infine, come in materia di trasporto sia di recente intervenuta la legge 4 agosto 2006, n. 248 - “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonchè interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale” (in G.U. n. 186, 11 agosto 2006, s.o. n. 183) - che ha adottato nuove misure in materia di trasporto di linea comunale e intercomunale e di taxi. Per quanto attiene il trasporto di linea di passeggeri, l’art. 12 della legge interviene ad ampliare le possibilità di prestazione del servizio con un duplice obiettivo: “assicurare un assetto maggiormente concorrenziale” delle attività connesse e “favorire il pieno esercizio del diritto dei cittadini alla mobilità”. I comuni possono, così, prevedere che “il trasporto di linea di passeggeri accessibile al pubblico, in ambito comunale e intercomunale, sia svolto, in tutto il territorio o in tratte e per tempi predeterminati, anche dai soggetti in possesso dei necessari requisiti tecnico-professionali”. Il servizio è in ogni caso soggetto alla disciplina dettata dagli enti locali (accesso, transito, fermata, art. 12, comma 2) e a favore dei soggetti che erogano il servizio è disposto il divieto di erogare finanziamenti in qualsiasi forma. Il comune che sia sede di scalo ferroviario, portuale o aeroportuale deve, comunque, consentire l'accesso allo scalo agli operatori autorizzati ai servizi di trasporto di linea da altri comuni del bacino servito. La legge n. 248/2006 è intervenuta, oltre che in materia di trasporto di linea di passeggeri, anche in tema di taxi. L’articolo 6 della citata legge, rivisto in modo significativo rispetto alla sua formulazione originaria, prevede che “al fine di assicurare per il servizio di taxi il tempestivo adeguamento dei livelli essenziali di offerta del servizio taxi necessari all'esercizio del diritto degli utenti alla mobilità”, i comuni, sentite le commissioni consultive di cui alla legge quadro del 1992 possano: disporre turnazioni integrative, per l’espletamento delle quali avvalersi di sostituti alla guida; bandire concorsi straordinari, in conformità alla programmazione numerica ovvero in deroga ove la programmazione numerica manchi o non sia ritenuta idonea dal comune ad assicurare un livello di offerta adeguato, per il rilascio a titolo gratuito o oneroso di nuove licenze. I proventi sono ripartiti almeno per l’80% tra i titolari di licenza taxi del comune, per la restante parte possono essere utilizzati “dal comune per il finanziamento di iniziative volte al controllo e al miglioramento della qualità degli autoservizi pubblici non di linea e alla sicurezza dei conducenti e dei passeggeri”; prevedere titoli autorizzatori temporanei o stagionali, forme innovative di servizio all’utenza, tariffe predeterminate dal comune per percorsi prestabiliti; istituire un comitato permanente di monitoraggio del servizio taxi. 3. Il riparto di competenze tra Stato, regioni ed enti locali nella disciplina del settore Il testo originario dell’art.117 della Costituzione riconosceva alle Regioni la possibilità di esercitare il proprio potere legislativo in alcune materia relative al trasporto pubblico quali tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale, navigazione e porti lacuali. Tale potere doveva essere esercitato “nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato” e “semprechè le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni”. Ai sensi del successivo art. 118, spettavano alle Regioni anche le relative competenze amministrative, che subivano peraltro delle restrizioni quando ad esempio nella

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realizzazione delle infrastrutture di trasporto localizzate a livello regionale, alle stesse si riteneva attenesse un interesse sovra-regionale, che giustificava la competenza dello Stato. A quadro costituzionale invariato, un primo decentramento di compiti amministrativi alle Regioni venne realizzato dapprima con il d.p.r. 14 gennaio 1972, n. 5 e, poi, con d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616. In particolare, vennero attribuiti alle regioni funzioni in materia di:

o linee ferroviarie in concessione, o linee ferroviarie secondarie gestite dalle Ferrovie dello Stato o linee automobilistiche di servizio pubblico.

Alla base dell’impostazione, vi era dunque il riconoscimento di una competenza statale prevalente, che veniva limitata solo con riferimento a specifiche materie. Tale configurazione del rapporto Stato – regioni permane pressoché invariata fino al 1997, quando con la legge n. 59 viene rovesciata l’impostazione tradizionale, attraverso il riconoscimento alle regioni della titolarità della generalità delle competenze in materia di TPL. Svolgendo e rafforzando i principi contenti nella legge n. 59 del 1997, il successivo D.Lgs 422/1997, nel riorganizzare la materia del TPL, prevede il decentramento delle responsabilità finanziarie a livello locale. Viene conseguentemente disposta la soppressione del Fondo nazionale per il trasporto e viene trasferita alle regioni la responsabilità di programmazione e di finanziamento di tutti i servizi di trasporto locale, ferro compreso. Da ultimo, è intervenuta la legge costituzionale n. 1/2003 che ha riformato il Titolo V della Costituzione, attribuendo alle Regioni, per la materia dei trasporti, competenza legislativa esclusiva residuale per tutte le materie, ad eccezione di quelle inerti il governo del territorio: porti , aeroporti civili e grandi reti di trasporto e di navigazione. In ogni caso, però, continua a rilevare, sia pur nel contesto della potestà esclusiva della Regione, l’attribuzione allo Stato della materia della concorrenza, nonché, trattandosi di servizio pubblico (art. 117, II comma, lett. m) della funzione di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Lo Stato, in altri termini, è ancora in grado, anche nella nuova impostazione, di “incentivare” comportamenti virtuosi da parte delle regioni, avvalendosi della sua potestà legislativa in materia di promozione della concorrenza. 4. Legislazione regionale e concorrenza L’esame della legislazione regionale in materia di servizi di TPL evidenzia in via generale un continuo richiamo ai principi di concorrenza ed alle disposizioni contenute nel D.Lgs. 422/1997. Ad una più attenta lettura delle norme, però, appare evidente che trattasi di un “allineamento camaleontico” ai principi di liberalizzazione promossi a livello nazionale in quanto la stessa normativa regionale, oltre a legittimare fattispecie anticoncorrenziali, de facto ha consentito e continua a consentire operativamente agli Enti locali di conservare lo status quo ante, ricorrendo a gare “opportunamente” organizzate e gestite per limitare la concorrenza di operatori terzi rispetto all’incumbent. Mai come in questo caso, per capire l’effettivo orientamento pro-competitivo delle Regioni, occorre considerare l’esperienza concreta, il “come” gli Enti locali si sono

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mossi o si stanno muovendo all’interno del nuovo quadro normativo di riferimento, e i risultati conseguiti in termini di realizzazione di un’effettiva “concorrenza per il mercato”. Di seguito si riportano le fattispecie “anti-concorrenziali” emerse dall’analisi delle leggi regionali e delle evidenze provenienti dalle gare indette dagli Enti locali. Per ciascuna fattispecie sono svolte breve considerazioni sull’impatto anti-competitivo delle stesse. Fattispecie Descrizione e rilevanza antitrust

9. “Clausole sociali” a protezione dei lavoratori occupati nelle aziende affidatarie di servizi di TPL

• Le clausole sociali prevedono, reiterando un vecchio decreto regio (n. 148 del 1931), che l’azienda subentrante nella gestione del servizio assuma i lavoratori del precedente gestore, garantendo altresì le vecchie condizioni contrattuali.

• Il regio decreto in realtà limitava l’obbligo di assunzione con la formula “nei limite del possibile”, scomparsa in molte leggi regionali che hanno reso più stringente il vincolo, imponendo l’obbligo di riassunzione di tutti i dipendenti e il rispetto integrale dei contratti aziendali stipulati con il vecchio gestore. Nei casi in cui vi non hanno provveduto le leggi regionali, clausole sociali di questo tenore sono state comunque inserite nei bandi di gara

• Le clausole sociali rilevano sotto il profilo concorrenziale nella misura in cui tendono ad imbrigliare la concorrenza, vanificando i vantaggi associati ai meccanismi di gara (concorrenza per il mercato) e trasformando l’impresa entrate in una “fotocopia” di quella esistente. Di fatto la gara per la gestione del servizio si traduce in una gara per il management dell’azienda esistente, al quale sono precluse leve gestionali importanti per la realizzazione di efficienze.

• Campania. L.R. 28-3-2002 n. 3, Riforma del Trasporto Pubblico

Locale e Sistemi di Mobilità della Regione Campania, art. 37 che prevede che “In caso di subentro di nuova impresa, si effettua il trasferimento del personale dipendente dall'impresa cessante all'impresa subentrante, in coerenza alle indicazioni dell'art. 18 comma 2 lettera e) del decreto legislativo n. 422/1997 e conservando al personale l'inquadramento contrattuale ed il trattamento economico acquisito, comprensivo degli eventuali contratti integrativi aziendali in essere”.

• Lazio, L.R. 16-7-1998 n. 30, Disposizioni in materia di trasporto pubblico locale, art. 22, che recita: “in caso di sostituzione di soggetto gestore del servizio, compresa quella a seguito delle procedure di gara di cui all'articolo 19, al personale dipendente si applicano le seguenti disposizioni: a) l'impresa che cessa il servizio presenta all'ente affidante l'elenco del personale dipendente alla data di cessazione suddiviso per qualifica e costo complessivo; b) il trasferimento del personale dall'impresa cessante alla nuova impresa è disciplinato dall'articolo 26, allegato A), del R.D. n. 148/1931, dall'articolo 2112 del codice civile e dall'articolo 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428 concernente "Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle comunità europee

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(Legge comunitaria per il 1990)", ove applicabili; c) il personale trasferito conserva l'inquadramento contrattuale e il trattamento economico acquisito, salvo diverso accordo con le organizzazioni sindacali..

• Toscana, L.R. 31-.7-1998, n. 42, Norme per il trasporto pubblico locale, art. 18, comma 2: “Nel caso di affidamento a terzi di cui all'art. 13; comma 1, lettera a), ove un'impresa subentri ad altra nella gestione del servizio, o anche di quota parte del medesimo, il trasferimento del personale dall'impresa cessante all'impresa subentrante è disciplinato dall'art. 26, allegato A, del R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, conservando al personale l'inquadramento contrattuale ed il trattamento economico originario, comprensivo degli eventuali contratti integrativi aziendali in essere, rinviando alla successiva contrattazione i processi di armonizzazione e riassorbimento, nonché gli aspetti concernenti l'organizzazione del lavoro”.

• Puglia, L.R. 25-3-1999 n. 13, Testo unico sulla disciplina del trasporto pubblico di linea, art. 24, come modificato dalla dall'art. 56, comma 15, L.R. 12 aprile 2000, n. 9: “Quando la gestione di servizi di T.P.R.L. è assegnata, per scadenza o revoca o decadenza del provvedimento di affidamento diretto o concessione o autorizzazione o per qualsiasi altra causa, ad un soggetto denominato "entrante" diverso dal precedente gestore, denominato "uscente", il personale dipendente dal soggetto uscente e addetto ai servizi riassegnati passa alle dipendenze del soggetto entrante secondo la disciplina dell'articolo 26 del regolamento allegato A del regio decreto 8 gennaio 1931, n. 148, con obbligo di mantenimento dell'anzianità di servizio e del contratto collettivo nazionale di categoria nonché, per quanto compatibili con l'organizzazione gestionale del soggetto entrante, delle mansioni e dei trattamenti economici integrativi. L'eventuale incompatibilità è verificata tra il soggetto entrante medesimo e le organizzazioni sindacali aziendali”

10. Proroga termini “periodo

transitorio” per affidamenti in house

• La previsione di una fase transitoria, di durata quinquennale, durante la quale gli affidamenti della gestione dei servizi verranno effettuati in assenza di un previo confronto concorrenziale tra offerenti (anche se prevista anche a livello nazionale), sotto il profilo antitrust appare ingiustificata in relazione al periodo di recupero degli investimenti necessari allo svolgimento del servizio

• E’ implicito, infatti, nella stessa il rischio di determinare un duraturo e immotivato vantaggio concorrenziale a favore degli operatori già presenti sul mercato

• Secondo l’AGCM appare congruo un periodo transitorio non superiore a tre anni; è altresì importante inserire il principio in base al quale non deve essere attribuita alcuna preferenza agli operatori già presenti sul mercato nell'assegnazione dei servizi.

• Campania. L.R. 28-3-2002 n. 3, Riforma del Trasporto Pubblico

Locale e Sistemi di Mobilità della Regione Campania, art. 46, previsto meccanismo di proroga (“contratti ponte” rinnovabili) dei servizi esercitati dalle aziende titolari di concessione, che de facto estendono, anche se di alcuni mesi, il periodo transitorio ad un arco temporale maggiore ai tre anni, indicati anche dall’AGCM, come periodo congruo per il recupero degli investimenti necessari allo svolgimento del servizio

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• Lazio, L.R. 16-7-1998 n. 30, Disposizioni in materia di trasporto pubblico locale, art. 36, comma 6 bis, “Nel caso di trasformazione in società per azioni, da effettuarsi da parte degli enti locali entro un anno dalla data di entrata in vigore, della presente legge, dei servizi di trasporto gestiti direttamente tramite consorzio ovvero azienda speciale, gli enti stessi possono, affidare direttamente alle società derivanti dalla trasformazione, per un periodo non superiore a cinque anni, i servizi minimi come definiti ai sensi dell'articolo 17”. Il periodo previsto di 5 anni rischia di determinare un duraturo e immotivato vantaggio concorrenziale a favore degli operatori già presenti sul mercato.

11. Modalità di espletamento

delle procedure di gara • Si tratta di una fattispecie che generalmente sfugge alla

disciplina di livello primario, che si limita a rinviare ai principi di concorrenza, in questo senso allineandosi “camaleonticamente” al D.Lgs. 422/97

• E’ peraltro importante evidenziare come le gare bandite in questi anni presentano numerosi difetti che rischiano di compromettere la liberalizzazione. In particolare si segnala uno scarso numero di partecipanti dovuto a:

o previsione nei bandi di gara di remunerazione non appetibili peri potenziali gestori

o assenza nel bando di gara del contratto di servizi o sua assoluta vaghezza, con conseguente aumento dei rischi per il vincitore

o presenza nei bandi di gara di “clausole sociali” particolarmente rigide

• Altro rilievo attiene i profili di “organizzazione delle gare”. Si tratta di una questione di “conflitto di interessi” molto delicata che rischia di compromettere l’efficacia pro-concorrenziale del meccanismo di gara: in molti casi il soggetto che bandisce e aggiudica la gara è anche socio, spesso unico, di una delle società che partecipano alla gara. Questa situazione di evidente conflitto di interessi può tradursi in: bandi di gara “tagliati su misura” dell’impresa dell’Ente Locale affidante e/o sussidi posti a base d’asta troppo bassi che solo i vecchi incumbent possono accettare, contando sul “legittimo” affidamento del supporto finanziario dell’Ente Locale socio.

• Le esperienze di questi anni evidenziano, dunque, “un fallimento” del meccanismo di gara che non si è rilevato uno strumento appropriato nella misura in cui non è stato congegnato opportunamente. Sotto questo profilo, dovrebbe essere valutata l’opportunità di inserire anche a livello di normativa primaria criteri cui uniformare la organizzazione-gestione delle gare, superando l’attuale ”silenzio” delle leggi regionali su questa materia. Sicuramente andrebbero disciplinate le situazioni di conflitto di interessi sopra descritte, garantendo l’indipendenza del soggetto che bandisce e aggiudica la gara

• Elementi non facilmente rivenibili in norme primarie. Si segnala,

peraltro, in quanto particolarmente restrittiva la disciplina delle procedure di gara previste dalla L.R. 29-10-1998 n. 22, Riforma del trasporto pubblico locale in Lombardia, come modificata dalla L.R. 12 gennaio 2002, n. 1, che all’art. 20 dispone: “Gli enti locali affidanti prevedono nei bandi, nei capitolati di gara e nei sistemi di valutazione delle offerte specifici criteri e

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parametri volti ad attestare la capacità di concorrere delle imprese o di riunioni di imprese che, oltre alla idoneità giuridica e morale, facciano riferimento: a) alla capacità tecnica e professionale, con particolare riguardo all'esperienza di avere esercito, negli ultimi tre anni, servizi nei settori della mobilità collettiva in misura non inferiore al cinquanta per cento del totale delle vetture/km che costituiscono la dimensione della rete o sotto-rete messa a gara, garantendo parametri di qualità e sicurezza del servizio e sul lavoro analoghi a quelli richiesti nei capitolati di gara; b) alla capacità finanziaria ed economica, con particolare riferimento agli indici di liquidità e solidità aziendale e alla dichiarazione di avere realizzato negli ultimi tre anni un fatturato annuo, relativo all'esercizio nei settori della mobilità collettiva, di valore non inferiore al cinquanta per cento dell'importo che costituisce la base d'asta della rete o sotto-rete messa a gara.

12. Criteri per la dimensione

efficiente dei mercati posti a gara

• Da valutare l’opportunità dell’attuale silenzio delle leggi regionali per quanto attiene l’individuazione delle configurazioni di mercato efficienti da porre a gara.

• Sul punto l’AGCM, nell’esercizio della sua attività consultiva, ha evidenziato come la definizione della dimensione efficiente dei mercati posti a gara può essere conseguita invitando gli operatori a formulare offerte con riferimento a diverse partizioni della rete. In tal modo, lo stesso meccanismo delle gare consentirebbe di acquisire informazioni circa la possibilità di aprire ad una libera concorrenza il mercato o particolari sezioni di esso, ovvero, qualora ciò non fosse possibile, determinerebbe in via endogena la ripartizione delle tratte tra gli operatori, la selezione dell'offerta economicamente più vantaggiosa e la minimizzazione dei costi sopportati dalla collettività sotto forma di sussidi.

13. Cadenza prevista per le

gare di affidamento (durata dei contratti di servizio)

• La cadenza periodica delle gare dovrebbe essere connessa al recupero degli investimenti necessari per lo svolgimento dell'attività, senza prevedere periodi eccessivamente lunghi che ingessano il mercato (per questa fattispecie, non essendo possibile una valutazione del recupero degli investimenti, ci si limita a segnalare i casi in cui i tempi sembrano essere “troppo” lunghi”).

• L’analisi della normativa regionale ha evidenziato come le singole regioni abbiano previsto per tipologia di servizio, tempi massimi di durata molto differenti. In alcuni casi, è previsto un termine minimo che, anche se contenuto, rappresenta comunque una ingiustificata restrizione alla concorrenza.

• Vedasi scheda sinottica di confronto della durata dei contratti di servizio per tipologia di trasporto, prevista nelle diverse legge regionali sul TPL esaminate

6. Identificazione dei perimetri di servizio pubblico

• L’identificazione degli obblighi di servizio pubblico deve garantire che gli stessi siano circoscritti alle sole situazioni per le quali risultano effettivamente indispensabili. Questo, in prima approssimazione, conduce ad identificare i relativi perimetri con i casi in cui nessun operatore in concorrenza e/o privo di sussidi erogherebbe il "servizio minimo" o comunque non lo erogherebbe a livelli tariffari "socialmente accettabili".

• Il presente lavoro si limita a segnalare la fattispecie, in quanto di

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fondamentale rilievo sotto il profilo antitrust nella misura in cui condiziona l’orientamento al mercato della disciplina dei TPL, ma non identifica specifiche normative regionali che disattendono questo principio. Tale attività non può essere svolta richiedendo, infatti, una valutazione concreta della possibilità per un operatore ad esempio di erogare il servizio senza sussidi.

• Fattispecie non rilevabile dalla sola analisi della normativa, prescindendo da una puntuale analisi dei singoli mercati

7. Definizione rigida dei “bacini di traffico”

• La definizione dei bacini di traffico non correlata alla effettiva struttura e dimensione del mercato crea delle ingiustificate e artificiose forme di rigidità, con impatti anche sull’efficienza del sistema

• Lazio, L.R. 16-7-1998 n. 30, Disposizioni in materia di trasporto pubblico locale, art. 5, bacino di traffico definito in modo “rigido” e non con riferimento alla dimensione ottimale dello stesso: “La rete del trasporto pubblico locale è suddivisa in bacini di traffico coincidenti con i territori delle province e del Comune di Roma. I bacini di traffico sono costituiti da un'equilibrata offerta di servizi integrati con l'obiettivo di servire il maggior numero di utenti e di conseguire il più alto grado di efficienza”. E sempre nello stesso articolo si dispone: “ È fatta salva almeno una unità di rete per i servizi pubblici di trasporto: a) nei comuni di Ponza e Ventotene; b) nei comuni con popolazione inferiore a diecimila abitanti che raggiungano tale limite svolgendo i servizi attraverso le forme associative di cui al Capo V del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali); c) nei comuni con popolazione inferiore a diecimila abitanti aventi particolari caratteristiche territoriali, sociali ed economiche e interessati da variazioni del numero dei cittadini presenti nel corso dell'anno in relazione ai flussi turistici stagionali, individuati ai sensi dell'articolo 9, comma 1, lettera a)”

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Scheda sinottica di confronto della durata prevista per i contratti di servizio

Trasporto autofilotranviari

Trasporto marittimo

Trasporto ferroviario regionale

Trasporto ferroviario

metropolitano

Campania

“fino a sei anni, con opzione di rinnovo per altri tre anni”

“fino a sei anni, con opzione di rinnovo per altri tre anni”

fino a nove anni

fino a nove anni

Lazio

“quindici anni per i servizi effettuati per ferrovia”

Lombardia

“la durata non può essere inferiore a sei anni né superiore a nove”

Puglia

“durata di nove anni, elevabile a quaranta anni”

“durata di nove anni, elevabile a quaranta anni”

“durata di nove anni, elevabile a quaranta anni”

Toscana

“non inferiore a 3 né superiore a nove anni”

“il periodo di validità è determinato in misura non superiore a dodici anni”

“il periodo di validità è determinato in misura non superiore a dodici anni”

Come indicato nell’analisi della fattispecie “durata dei contratti di servizio”, il periodo di validità del contratto deve essere correlato con i tempi previsti per il rientro dell’investimento. L’analisi della tabella conduce ad alcune riflessioni:

- potrebbe risultare opportuno l’inserimento di un congruo termine massimo di durata del contratto al fine di limitare il potere di discrezionalità degli Enti Locali in sede di affidamento

- non si ritiene invece necessario e, soprattutto, non riflette un orientamento pro-concorrenziale la previsione di tempi minimi, come nel caso della Lombardia e della Toscana

- non si ritiene opportuna neppure l’indicazione del termine di durata, in quanto lo stesso non è valutabile aprioristicamente

- merita invece una specifica riflessione la previsione di meccanismi di rinnovo per lassi temporali molto spesso significativi (vds. Puglia che prevede per i trasporti marittimi, ferroviario regionale e ferroviario metropolitano una durata di nove anni, elevabile a quaranta anni). In questo caso, è evidente il carattere elusivo della norma: il ricorso al meccanismo del rinnovo conduce, infatti, alla

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“restaurazione” del precedente regime e, quindi, alla configurazione monopolistica del mercato, eliminando gli effetti positivi collegati “alla concorrenza per il mercato”

- altro aspetto che solleva delle perplessità è dato dalla “varianza” elevata dei tempi previsti dalle regioni per la durata dei singoli servizi di trasporto. Questa può essere letta come evidenza della totale scorrelazione esistente tra durata del contratto e tempi di rientro dell’investimento

- infine, si segnala il caso Puglia che, all’articolo 15 della L.R. 25-3-1999 n. 13, Testo unico sulla disciplina del trasporto pubblico di linea, prevede due distinte modalità di affidamento dei servizi di T.P.R.L:

1. provvisoria, quando sussistono necessità di verifica dell'interesse pubblico del servizio o altre motivazioni connesse all'individuazione delle reti di cui all'articolo 16, comma 8, della durata non superiore ad un anno, revocabili in ogni tempo e prorogabili eccezionalmente per non più di tre volte;

2. definitiva, della durata di nove anni, elevabile a quaranta anni per i servizi metropolitani, ferroviari, marittimi ed elicotteristici di cui all'articolo 2, comma 6, punto 1)”.

L’aspetto di interesse e sul quale merita di richiamare l’attenzione è il fatto che per l’affidamento provvisorio (che può estendersi anche per tre anni) è ammesso il ricorso a procedura negoziata, in luogo della gara con procedura ristretta prevista nell’ipotesi di affidamento definitivo.

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SCHEDA TURISMO

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1. Il settore del turismo il Europa e in Italia A livello comunitario non è stata adottata una politica comune in materia di turismo. Si segnalano solo interventi su tematiche specifiche, in particolare sulla disciplina delle professioni turistiche, finalizzata quest’ultima a realizzare essenzialmente due principi: la libera circolazione delle persone e dei servizi e la garanzia del consumatore-utente dei servizi stessi. Nel nostro ordinamento disposizioni per l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento di categorie professionali sono state dettate con il decreto legislativo 20 settembre 2002, n. 229 recante l’“Attuazione della direttiva 1999/42/CE che istituisce un meccanismo di riconoscimento delle qualifiche per le attività professionali disciplinate dalle direttive di liberalizzazione e dalle direttive recanti misure transitorie e che completa il sistema generale di riconoscimento delle qualifiche”. Più specificamente, particolare sensibilità a livello comunitario è stata dimostrata nel garantire che non ci fossero ingiustificate barriere alla prestazione di servizi per le guide turistiche. Sul punto si segnala come la stessa Commissione europea abbia rilevato per l’Italia forme di “eccessivo protezionismo” a favore delle guide nazionali, per cui molti siti non sarebbero visitabili con guide turistiche straniere. La Commissione, con parere motivato (IP/04/1303), è intervenuta richiedendo che venissero eliminate siffatte barriere alla prestazione di servizi, richiamando anche una precedente sentenza della Corte di giustizia in cui si legge: “L' interesse generale attinente alla valorizzazione del patrimonio storico e alla migliore divulgazione possibile delle conoscenze sul patrimonio artistico e culturale di un paese può costituire un' esigenza imperativa che giustifica una restrizione della libera prestazione dei servizi. Tuttavia lo Stato membro che subordina la prestazione di servizi delle guide turistiche che viaggiano con un gruppo di turisti provenienti da un altro Stato membro al possesso di una autorizzazione che presuppone l'acquisizione di una determinata qualificazione professionale comprovata dal superamento di un esame pone delle restrizioni che eccedono quanto è necessario per garantire la tutela di detto interesse, quando detta attività consiste nel guidare i turisti in luoghi diversi dai musei o dai monumenti storici visitabili solo con una guida specializzata”. Proprio a seguito della richiamata sentenza in Italia era stato adottato il d.p.r. 13 dicembre 1995, “Atto di indirizzo e coordinamento in materia di guide turistiche”, con il quale si demandava alle Regioni l’individuazione dei siti visitabili solo con guide dotate di apposita specializzazione. Peraltro, l’individuazione che ne era stata fatta presentava carattere elusivo nella misura in cui estendeva in molti casi ingiustificatamente la portata dell’eccezione riconosciuta dalla Corte di giustizia per creare forme di protezionismo a favore delle guide nazionali, contrarie allo spirito della norma e più in generale delle disposizioni del Trattato. Oltre al tema delle guide, sempre a livello comunitario, sono state dettate norme in materia di contratti e di tutela dei consumatori-utenti. Ai nostri fini, particolare interesse riveste la direttiva in materia di circuiti “tutto compreso”, in Italia attuata con il decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 111 (“Attuazione della direttiva n. 90/314/CEE concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti <<tutto compreso>>”) , di recente abrogato

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dal D.Lgs. 6-9-2005 n. 206 (Codice del consumo, a norma dell'articolo 7 della L. 29 luglio 2003, n. 229). Il richiamato decreto, in particolare, disciplina la materia dei pacchetti turistici negli articoli da 82 a 100, finalizzati essenzialmente a creare un sistema efficacie di tutela del cliente. 2. Il riparto di competenze tra Stato, regioni ed enti locali nella disciplina del settore La materia del turismo, nella formulazione originaria dell’. 117 della Costituzione, risultava attribuita alla potestà legislativa concorrente delle Regioni, ossia la Regione poteva emanare norme legislative “nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, semprechè le norme stesse non [fossero] in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni”. L’impianto originario, quindi, prevedeva un ripartito del potere legislativo tra Stato e Regioni, per cui il primo definiva i principi all’interno dei quali le singole Regioni, in questa misura concorrendo alla complessa disciplina del settore, definivano le proprie leggi. Si riteneva che tale assetto fosse il più idoneo a garantire l’uniformità della disciplina a livello nazionale, senza mortificare le esigenze e specificità territoriali. Successivamente, con il d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616 venne disposto il decentramento e specifiche funzioni relative alla materia del turismo vennero riconosciute alla competenza delle Regioni. Continuavano, peraltro, a comparire, all’art. 58 del d.p.r. n. 616/1977, le residue competenze dello Stato. Tale articolo legittimò molte delle previsioni della legislazione quadro intervenuta nel 1983. Un ulteriore impulso verso il decentramento è stato dato dalla legge 15 marzo 1997, n. 59 che, essenzialmente, ha richiamato tra le funzioni ricomprese nella materia del turismo, anche quelle relative all’attività di finanziamento. I richiamati interventi di riforma sono peraltro avvenuti a Costituzione invariata, quindi sempre all’interno di una potestà legislativa regionale concorrente. A seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, la materia ora risulta tra quelle attribuite alla potestà legislativa esclusiva delle Regioni, nella misura in cui non è richiamata né tra le materie riservate alla legislazione esclusiva dello Stato né tra quelle di legislazione concorrente. I principi contenuti nelle leggi statali340 quadro vigenti prima della riforma continuano, peraltro, ad essere applicati in attesa che le Regioni approvino proprie nuove disposizioni in materia. Sul punto, infatti, la legge 5 giugno 2003, n. 131 recante “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”, dispone all’articolo 1, comma 2 che “le disposizioni normative statali vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge nelle materie appartenenti alla legislazione regionale continuano ad applicarsi, in ciascuna Regione, fino alla data di

340 Le principali leggi dello Stato erano:

la legge 17 maggio 1983, 217 “legge quadro sul turismo” successivamente abrogata dalla legge 29 marzo 2001, n. 135 recante “Riforma della legislazione nazionale del turismo”.

la legge 5 dicembre 1985, n. 730 recante la “ Disciplina dell’agriturismo” la legge 2 gennaio 1989, n. 6 sull’”Ordinamento della professione alpina” la legge 8 marzo 1991, n. 81 “Legge-quadro per la professione di maestro di sci e ulteriori

disposizioni in materia di ordinamento della professione di guida alpina”.

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entrata in vigore delle disposizioni regionali in materia, fatti salvi gli effetti di eventuali pronunce della Corte costituzionale”. 3. Legislazione regionale e concorrenza La materia del turismo è stata oggetto di numerosi rilievi sotto il profilo di rispetto della normativa antitrust da parte dell’Autorità sia comunitaria che nazionale. In particolare, l’Autorità nazionale ha effettuato diverse segnalazioni: - in materia di agenzie di viaggio e turismo341, l’Agcm è intervenuta riguardo

leggi emanate dalle Regioni Lombardia, Liguria e Marche che avevano contingentato il numero delle autorizzazione che potevano essere rilasciate per l’esercizio dell’attività di agenzia di viaggio e turismo. Ad avviso dell’Autorità, le Regioni avevano introdotto ingiustificate forme di pianificazione del mercato, modificando le finalità del provvedimento autorizzatorio che, nello spirito dell’art. 9 della legge-quadro n. 217/1983, deve essere funzionale solo a garantire capacità e correttezza professionale degli operatori del settore. L’Autorità ha poi evidenziato come l’assetto previsto dalle leggi regionali de quibus era idoneo “a reintrodurre, in modo surrettizio ed irragionevole, una forma di predeterminazione della struttura dell’offerta, surrogatorio della limitazione del numero delle agenzie, stabilita dalla legislazione regionale meno recente”.

- in materia di attività delle guide e degli accompagnatori turistici342, l’Autorità ha adottato diversi provvedimenti finalizzati a segnalare il carattere anticoncorrenziale di quelle leggi regionali (es. Emilia Romagna) che definiscono sistemi di fissazione delle tariffe per le prestazioni professionali delle guide e degli accompagnatori turistici. Si tratta di disposizioni che l’Autorità ha valutato contrarie ai principi del libero mercato nella misura in cui limitano la concorrenza di prezzo tra gli operatori. Nelle considerazioni argomentative dell’Autorità si legge che “gli operatori anche in presenza di tariffe massime, potrebbero essere indotti a non praticare prezzi inferiori”, con evidente lesione dell’interesse dei consumatori.

- in materia di attività alberghiere ed extra-alberghiere343, l’Autorità è intervenuta avverso la Legge regionale Veneto del 4 novembre 2002, n. 33 recante “Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo”, evidenziando come la stessa prevedesse, ingiustificatamente, periodi minimi di alloggio per le strutture ricettive extra-alberghiere. La disposizione creava delle limitazione dell’offerta con danno per gli utenti, ma anche per le stesse strutture alberghiere alle quali veniva de facto posto un limite all’esercizio delle loro scelte imprenditoriali.

Dall’analisi delle leggi regionali in materia di turismo, è emerso come la fattispecie da ultimo evidenziata - ossia la previsione, in sede di classificazione e regolamentazione delle varie tipologie di strutture ricettive extra-alberghiere, oltre che dei necessari

341 Agcm, Segnalazione dell’8 giugno 1995, in Bollettino, n. 25/1995; Agcm, Segnalazione “Attività delle agenzie di viaggi e turismo (compresi i tour operator)”, del 6 novembre 1997, in Bollettino n. 48/1997 e Agcm, Parere reso l’11 dicembre 1997, in Bollettino n. 48/1997. 342 Agcm, Parere e segnalazioni “Attività delle guide e degli accompagnatori turistici”, 12 dicembre 1996, in Bollettino n. 52/1996 343 Agcm, Segnalazione del 2 febbraio 2005, in Bollettino n. 5/2005

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requisiti tecnici, anche di periodi minimi di alloggio – risulta ancora molto frequente. Si tratta di previsioni normative che introducono delle limitazioni alle modalità di utilizzo delle strutture ricettive, quali l'imposizione di un periodo minimo di permanenza da parte dei turisti, che mutuando le considerazioni svolte dalla stessa AGCM “appaiono idonee ad alterare il corretto svolgimento del meccanismo concorrenziale nel mercato”. Le stesse determinano “distorsioni concorrenziali in favore delle strutture ricettive alberghiere, facendo sì che quella fascia di clientela che esprime una domanda di soggiorno di breve periodo non possa essere soddisfatta dagli altri operatori attivi nel mercato della ricezione turistica”344. Di seguito si riporta l’elenco delle leggi in cui ancora compare tale fattispecie: - Calabria, Legge Regionale 7 marzo 1995, n.4, art. 5 che nel definire le case e gli

appartamenti per vacanze quali esercizi ricettivi aperti al pubblico gestiti unitariamente e imprenditorialmente in forma professionale organizzata e continuativa, oltre a prevedere che siano costituiti da almeno tre unità abitative, stabilisce che le stesse sia destinati ad alloggio di turisti per una permanenza minima di sette giorni e massima di tre mesi;

- Campania, Legge Regionale 24 novembre 2001, n. 17, art. 3, che per le case e gli appartamenti per vacanze richiede una durata minima dell’alloggio di tre giorni;

- Lazio, Legge Regionale 5 agosto 1998, n. 33, art. 2, che per le case e gli appartamenti per vacanze richiede una durata minima dell’alloggio di tre giorni;

- Lombardia, Legge Regionale 28 aprile 1997, n. 12, art. 12, che per le residenze turistico alberghiere (RTA) prevede che la durata di permanenza non possa essere inferiore a 7 giorni;

- Lombardia, Legge Regionale 11 settembre 1989, n. 45, art. 18, che per le case e gli appartamenti per vacanza prevede una durata minima dell’alloggio di 7 giorni;

- Sardegna, Legge Regionale 14 maggio 1984, n. 22, art. 3, che per l le residenze turistico alberghiere prevede una durata minima dell’alloggio di 7 giorni;

- Sardegna, Legge Regionale 12 agosto 1998, n. 27, art. 11, che per i residence stabilisce una durata minima dell’alloggio di 7 giorni;

- Sardegna, Legge Regionale 12 agosto 1998, n. 27, art. 7, che per le case e gli appartamenti per vacanza stabilisce una durata minima dell’alloggio di 7 giorni.

Differenti profili anticoncorrenziali sembrano rilevarsi per la legge della Regione Sicilia, 3 maggio 2004, n. 8, che definisce e disciplina alcune figure professionali turistiche. In questo caso, due sono gli aspetti che sollevano perplessità e che si ritiene debbano essere opportunamente valutati: l’introduzione di albi per specifiche figure professionali e la previsione di tariffe minime per l’erogazione dei servizi. Per quest’ultima fattispecie, si rinvia a quanto già evidenziato nel commento della segnalazione dell’AGCM in materia di attività delle guide e degli accompagnatori turistici.

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SCHEDA ENERGIA

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CHEDA ENERGIA ELETTRICA SEZIONE I: ENERGIA ELETTRICA 1. Il settore dell’energia elettrica in Europa A livello comunitario, il processo di liberalizzazione è stato avviato dalla Commissione con la Direttiva 96/92/CE345 in cui è stato adottato un modello competitivo che si basa su un graduale ampliamento delle classi di consumatori che possono scegliere liberamente i propri fornitori (“clienti idonei”), demandando agli stati membri la definizione della struttura di mercato dal lato dell’offerta. Ne sono risultati, in sede di recepimento, assetti produttivi estremamente eterogenei tra i diversi Stati che hanno impedito un’effettiva integrazione dei mercati nazionali, come dimostrato dalla mancata convergenza dei prezzi nell’UE e dal basso livello di scambi interfrontalieri. Quest’ultimo fenomeno, in particolare, è dovuto generalmente all’esistenza di barriere all’ingresso, all’uso inadeguato delle infrastrutture esistenti e all’insufficiente interconnessione tra molti Stati membri, che si traduce in fenomeni di congestione. Con particolare riferimento all’energia elettrica, per molti Stati membri la capacità di interconnessione disponibile è ancora insufficiente a consentire l’adeguata integrazione dei mercati nazionali e a permettere alle importazioni di esercitare una vera pressione competitiva. Il grafico sottostante illustra la correlazione tra la mancanza di collegamenti elettrici e le differenze di prezzo nel mercato interno.

345 Dir. 96/92/CE del 19-12-1996, Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, Pubblicata nella G.U.C.E. 30 gennaio 1997, n. L 27. Entrata in vigore il 19 febbraio 1997

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La Direttiva 54/2003/CE346 in questo senso rappresenta, in parte, un superamento del precedente modello competitivo, nella misura in cui è finalizzata ad accelerare il completamento del mercato unico dell’elettricità con strumenti quali l’adozione di misure pro-concorrenziali volte a favorire gli scambi di energia elettrica intracomunitari, attraverso la progressiva integrazione dei mercati. In questa direzione, il regolamento CE 1228/03 sugli scambi transfrontalieri di energia sembra avviare concretamente il mercato europeo verso la creazione di un’unica piattaforma negoziale, con conseguente allineamento dei prezzi di vendita347. Nonostante questi interventi, a livello europeo, e nei singoli stati membri, non risulta ancora realizzato un contesto veramente competitivo e questo sia per i problemi di integrazione sopra evidenziati sia per la configurazione “produttiva”, spesso fortemente concentrata, che caratterizza i singoli mercati nazionali. Nel quarto rapporto sullo stato di realizzazione del mercato interno, la stessa Commissione europea evidenzia tra i principali ostacoli allo sviluppo di mercati liberalizzati e concorrenziali i seguenti fattori:

ancora elevato livello di concentrazione del mercato della generazione

346 Dir. 2003/54/CE del 26-06-2003, Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica e che abroga la direttiva 96/92/CE, Pubblicata nella G.U.U.E. 15 luglio 2003, n. L 176. Entrata in vigore il 4 agosto 2003. 347 Chiaramente la realizzazione della piattaforma negoziale deve accompagnarsi con il superamento, per quanto possibile, dei limiti della capacità di trasporto sulle interconnessioni, che nel caso italiano è una risorsa scarsa quasi costantemente congestionata. Tali congestioni, oltre a non consentire di beneficiare dei prezzi esteri più bassi, consentono ai titolari di bande di capacità di trasporto sulle interconnessioni di estrarre profitti dati dal differenziale tra prezzi esteri di acquisto e prezzi di vendita all’ingrosso italiani.

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elevata

concentrazione dell’offerta

livello di unbundling ancora insufficiente sia a livello di rete di trasmissione

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che a livello di rete di distribuzione condizioni di accesso alle reti nei paesi membri ancora molto diversificate, non

trasparenti e discriminatorie inadeguatezza delle regole per gli scambi transfrontalieri di energia scarsa integrazione dei mercati energetici nazionali nel mercato interno (e

mantenimento di artificiali barriere all’ingresso tra i mercati che si configurano ancora come nazionali)

persistenza dei contratti di acquisto di lungo termine prezzi crescenti dell’energia e scarsa liquidità dei mercati limitata propensione a cambiare fornitore. Il c.d. switching rate, che nella tabella

sotto riportata è indicato per Stato e tipologia di cliente servito, rappresenta un indicatore che, “opportunamente” letto, fornisce indicazioni sull’effettività della concorrenza esistente tra i diversi operatori. Chiaramente, si registra uno switching rate più elevato per i clienti con volumi significativi che sono più attenti a sfruttare i benefici del confronto competitivo tra gli operatori; di converso per i clienti domestici, solo in Norvegia si registra un tasso di

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sostituzione superiore al 50%; in altri 3 Paesi è compreso tra il 20 ed il 50%; in tutti gli altri casi è inferiore al 20%.

2. La legislazione nazionale: linee evolutive L’evoluzione del settore dell’energia elettrica in Italia, al pari degli altri servizi pubblici economici, è stata indotta dal processo di progressiva apertura del mercato alla concorrenza, promosso a livello comunitario con le Direttive 96/92/CE e 54/2003/CE. Prima del recepimento delle richiamate direttive, tutte le attività dell’industria elettrica italiana erano sottoposte a riserva di impresa (art. 43 Cost.) riconosciuta a favore dell’ENEL348. Tale regime, solo parzialmente “attenuato” da atti normativi successivi, ha caratterizzato l’organizzazione dell’industria elettrica italiana fino al 1992, anno in cui con la legge n. 92 è stata disposta la trasformazione di Enel in società per azioni ed il contestuale passaggio dal precedente regime di riserva legale a quello di concessione. La vera trasformazione dell’architettura organizzativa e gestionale del mercato elettrico risale al 1999, e precisamente al Decreto Bersani349 che, nel recepire la prima direttiva comunitaria, ha stabilito la parziale (non interessando tutte le attività della filiera, essendo le attività di trasmissione e distribuzione monopoli naturali) e progressiva (il mercato della domanda è stato solo gradualmente aperto alla concorrenza) liberalizzazione del mercato. In particolare è stata disposta: - dal lato della domanda:

la distinzione nell’ambito del mercato elettrico tra “clienti idonei” (liberalizzati) che possono scegliere il proprio fornitore e clienti, con consumi sotto soglia, vincolati al rispettivo distributore locale (“clienti vincolati”). Come risulta evidente dalla tavola sotto riportata, è stata prevista un’apertura del mercato da realizzarsi gradualmente entro luglio 2007

348 c.d. Legge di nazionalizzazione, L. 06-12-1962, n. 1643, Istituzione dell'Ente nazionale per la energia elettrica e trasferimento ad esso delle imprese esercenti le industrie elettriche,Pubblicata nella Gazz. Uff. 12 dicembre 1962, n. 316. 349 D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79, Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, (1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 31 marzo 1999, n. 75

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- dal lato dell’offerta, ossia delle diverse attività che compongo la filiera dell’industria elettrica:

la liberalizzazione delle attività di produzione, importazione, acquisto e vendita di energia elettrica ai clienti idonei, a partire dal 1° aprile 1999;

Filiera elettrica Descrizione Note

• Mercato Generazione

Mercato comprensivo della produzione e dell’importazione

Mercato, sebbene liberalizzato, ancora con configurazione oligopolistica

Liberalizzazione

• Mercato Trasmissione

• Mercato Distribuzione

• Mercato vendita finale

Mercato inteso come trasporto di elettricitàsu reti ad alta tensione

Mercato inteso come trasporto di elettricitàsu reti a bassa e media tensione

Mercato distinto tra:-mercato della vendita ai clienti idonei-mercato della vendita ai clienti vincolati

Monopolio naturaleProprietà – TERNAGestione rete – GRTN(prevista riunificazione e privatizzazione)

Monopolio naturaleGestione in regime di concessione

Mercato liberalizzato progressivamente

Filiera elettrica DescrizioneDescrizione NoteNote

• Mercato Generazione

Mercato comprensivo della produzione e dell’importazione

Mercato, sebbene liberalizzato, ancora con configurazione oligopolistica

LiberalizzazioneLiberalizzazione

• Mercato Trasmissione

• Mercato Distribuzione

• Mercato vendita finale

Mercato inteso come trasporto di elettricitàsu reti ad alta tensione

Mercato inteso come trasporto di elettricitàsu reti a bassa e media tensione

Mercato distinto tra:-mercato della vendita ai clienti idonei-mercato della vendita ai clienti vincolati

Monopolio naturaleProprietà – TERNAGestione rete – GRTN(prevista riunificazione e privatizzazione)

Monopolio naturaleGestione in regime di concessione

Mercato liberalizzato progressivamente

la previsione, a garanzia dei clienti vincolati, dell’Acquirente Unico (società del

GRTN) che, in quanto garante della fornitura di energia elettrica destinata ai clienti del mercato vincolato, deve assicurare la domanda espressa da tale mercato minimizzando i costi ed i rischi di approvvigionamento. All’interno della filiera di vendita di energia elettrica ai clienti vincolati, quindi, l’Acquirente Unico svolge la seguente attività: acquista energia dai produttori alle migliori condizioni di mercato e la rivende ai distributori, che provvedono a fornirla ai clienti vincolati. Come più specificamente indicato nel dettato della legge, l’AU “stipula e gestisce contratti di fornitura al fine di garantire ai clienti vincolati la disponibilità della capacità produttiva di energia elettrica necessaria e la fornitura di energia elettrica in condizioni di continuità,

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sicurezza ed efficienza del servizio nonché di parità del trattamento, anche tariffario”;

la previsione del Gestore Mercato Elettrico (società del GRTN) il cui ruolo consiste nell’organizzare “il mercato (domanda di energia proveniente dai clienti idonei) stesso secondo criteri di neutralità, trasparenza, obiettività, nonché di concorrenza tra produttori, assicurando altresì la gestione economica di un'adeguata disponibilità della riserva di potenza”. Si precisa che il mercato elettrico, anche indicato come “borsa elettrica italiana”, gestito dal GME è stato avviato dal 31 marzo 2004 per consentire a produttori, consumatori e grossisti di stipulare contratti orari di acquisto e vendita di energia elettrica per il giorno successivo. Il mercato elettrico si articola, infatti, in tre sottomercati: (i) il mercato del giorno prima (“MGP”), dove i produttori, grossisti ed il

clienti finali idonei possono vendere/acquistare energia elettrica per il giorno successivo;

(ii) il mercato di aggiustamento (“MA”), dove i produttori e i grossisti possono modificare i programmi di immissione di energia determinati sul MGP; ed, infine,

(iii) il mercato per il servizio di dispacciamento (“MSD”), sul quale il GRTN compra e vende energia elettrica per mantenere l’equilibrio “in sicurezza” fra immissioni e prelievi di energia elettrica nella rete, considerando sia i vincoli del sistema, sia gli scostamenti fra le operazioni di immissione/prelievo comunicate dagli operatori e quelle effettivamente realizzate

la separazione della proprietà della rete di trasmissione dalla gestione della stessa (attività di trasmissione ad altissima tensione e dispacciamento). Tale separazione, operativamente, è stata realizzata attraverso la costituzione da parte di ENEL di due nuove società quali:

o Trasmissione Elettrica Rete Nazionale SpA (TERNA), alla quale sono stati ceduti tutti i diritti di proprietà della rete;

o Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale SpA (GRTN) cui è stata affidata in concessione l’attività di gestione della rete. Come previsto il capitale sociale è stato interamente ceduto da ENEL al MEF350;

l’affidamento in regime di concessione dell’attività di distribuzione dell’energia elettrica (ossia la fornitura della stessa ai clienti finali)

separazione societaria per le imprese distributrici con più di 300.000 clienti finali con riferimento alle attività di distribuzione e vendita di energia elettrica ai clienti vincolati. Per ottemperare a detta separazione, sia l’ex monoplista sia le grandi municipalizzate, in quanto imprese verticalmente integrare hanno dovuto creare società separate per l’attività di vendita ai clienti idonei e per l’attività di distribuzione e vendita ai clienti del mercato vincolato. L’attuale disciplina dell’unbundling in Italia è quella sintetizzata nel seguente schema.

350 Tale assetto organizzativo risulta profondamente modificato dalla legge n. 290 del 2003 che, in particolare, ha stabilito la riunificazione della proprietà e della gestione della rete in un unico soggetto, di cui è stata altresì prevista la privatizzazione.

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L’assetto “operativo” del settore che ne deriva è quello rappresentato nella figura di seguito riportata.

In estrema sintesi, l’architettura di mercato elettrico individuata dal D.Lgs. n. 79/99 prevede:

un mercato organizzato (borsa elettrica), gestito da Gestore del mercato elettrico Spa (GME), per la compravendita di energia elettrica

un mercato non organizzato in cui gli operatori concludono contratti non standardizzati di compravendita di energia elettrica (cd contratti bilaterali)

l’attribuzione al GRTN della responsabilità della sicurezza del sistema elettrico. Per completezza d’analisi, deve essere segnalata, come ulteriore tappa dell’evoluzione normativa che ha interessato il mercato elettrico in Italia, la Legge 23 agosto 2004, n. 239 (“Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia”), cd. legge Marzano che risponde all'esigenza di riordino del sistema energetico italiano e di affinamento di alcuni principi del Decreto Bersani prima disattesi.

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I principali contenuti della Legge possono essere così sintetizzati: Rafforzamento della direzione Energia del MAP (Ministero delle Attività

Produttive), con la possibilità di nominare esperti e di procedere ad assunzioni nel prossimo triennio

Realizzazione di un piano di educazione e informazione sull'energia Riordino del rapporto Stato-Regioni e dei poteri dell'AEEG che devono

perseguire gli obiettivi generali di politica energetica del Paese nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione

Indicazione tra gli obiettivi di politica energetica della necessità di “assicurare l’economicità dell’energia offerta ai clienti finali e le condizioni di non discriminazione degli operatori nel territorio nazionale, anche al fine di promuovere la competitività del sistema economico del Paese nel contesto europeo ed internazionale” nonché di “favorire, anche prevedendo opportune incentivazioni, le aggregazioni ne settore energetico delle imprese partecipate dagli enti locali sia tra di loro che con le altre imprese che operano nella gestione dei servizi”

Introduzione e rafforzamento delle norme in materia di autorizzazione unica per la realizzazione e l'esercizio degli elettrodotti sulla Rete di Trasmissione e delle interconnessioni con l'estero (norma cosiddetta "Sblocca reti"), principi già compresi nella legge n. 290/03 ("Salva black-out"), ma con una valenza ritenuta troppo amministrativa

Possibilità che l'Acquirente Unico prosegua la propria attività anche dopo il 1° luglio 2007 (ovvero), qualora le condizioni di mercato lo richiedano.

Compensazioni ambientali agli enti locali per la realizzazione di impianti elettrici, con procedura ad hoc in caso di interessamento di parchi naturali.

3. Il mercato dell’energia elettrica in Italia Per la fase di generazione di energia elettrica, i dati riportati in tabella evidenziano come a cinque anni dall’avvio del processo di liberalizzazione del settore, ENEL contribuisce ancor per una quota di poco inferiore al 50%, all’intera produzione domestica. I primi sei produttori (ENEL, EDISON, EDIPOWER, ENDESA, TIRRENO POWER E ENIPOWER) contribuiscono per circa l’80%.

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Quota percentuale delle maggiori società sulla generazione netta – Dati 2003 Fonte: stime AEEG su dati forniti dagli operatori

Il principale operatore nazionale, anche post processo di “dismissioni”, continua ad essere quindi ENEL che, tra l’altro, presenta una struttura del proprio parco impianti sbilanciata verso gli impianti mid-merit (51,4%) e di punta (15,2%), che le assicurano un ulteriore vantaggio competitivo per la copertura delle punte di fabbisogno. Quanto sopra evidenzia come, tenuto conto che tre dei principali concorrenti di ENEL (EDIPOWER, ENDESA, TIRRENO POWER) provengono da società che sino a qualche anno fa rientravano nel perimetro societario dell’ex monopolista, il processo di dismissione delle società di produzione attivato dal D.Lgs. 79/99 non ha portato i risultati auspicati nella direzione di creazione di concorrenti effettivi di ENEL. Lo stesso incremento della capacità produttiva di energia elettrica previsto nei prossimi anni e rappresentato nel grafico di seguito riportato, in quanto frammentato su più operatori, anche se ridurrà la quota di competenza di ENEL non ne diminuirà in modo significativo il potere relativo di mercato.

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Incremento della capacità produttiva previsto nei prossimi anni Fonte: Stime Bain & Company

Considerata sia la produzione che l’import netto di energia, ENEL dovrebbe passare dall’attuale quota, superiore al 40%, ad una quota nel 2010 di circa il 30%, comunque significativa se confrontata con quella degli altri operatori.

Quote produzione attuale e previsione 2010

Fonte: Bilanci e stime Bain & Company

Il permanere dei “blocchi oligopolistici” nel segmento up stream oltre a preoccupare in re ipsa nella misura in cui può incidere sul costo della materia prima (che giustifica il 50% del prezzo finale dell’energia elettrica all’utenza civile), espone al rischio di configurazioni oligopolistiche anche del mercato down stream (della vendita). Tra l’altro, lo stesso trend di sviluppo del mercato dell’offerta vede il prevalere di grandi operatori, verticalmente integrati.

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Fonte: Bain & Company

Tale evidenza trova la sua giustificazione industriale anche nella struttura di costo dell’energia elettrica.

Fonte: Bain & Company

Come il grafico evidenzia, dato il prezzo finale di energia elettrica all’utenza civile, la quota rimessa al libero mercato è solo il 59%, quasi interamente rappresentata dal costo di acquisto della materia prima, essendo la quota di vendita molto limitata. Il restante 41% è comunque sottratto al mercato, rappresentando una quota regolata. Di qui, l’orientamento del mercato verso una struttura verticalmente integrata degli operatori. Chiaramente, l’elevato grado di concentrazione che caratterizza l’industria italiana dell’energia elettrica osta allo sviluppo di un’effettiva concorrenza nell’offerta.

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SEZIONE II: GAS

1. Il settore del gas in Europa Il processo di liberalizzazione del settore del gas, finalizzato alla creazione di un mercato interno dell’energia, è stato promosso in sede comunitaria dapprima con la Direttiva 30/98/CE e successivamente con la Direttiva 55/2003/CE, complessivamente denominate “G-Directives”. Dal lato della domanda, le citate direttive hanno disposto una graduale apertura del mercato alla concorrenza, realizzata attraverso il riconoscimento ai “clienti idonei” della possibilità di scegliere il fornitore da cui acquistare gas natura. Si identificano come clienti idonei: fino al 1° luglio 2004, i clienti aziendali di maggiori dimensioni; a partire dal 1° luglio 2004, tutti i clienti finali non domestici; dal 1°luglio 2007, scadenza imposta per la piena liberalizzazione del mercato, tutti i clienti finali. Dal lato dell’offerta, funzionalmente all’obiettivo di realizzare un mercato interno dell’energia, la Direttiva 55/2003/CE detta norme comuni relative alle diverse fasi della filiera dell’industria del gas, quali: stoccaggio, trasporto, distribuzione e fornitura di gas. Per favorire lo sviluppo della concorrenza nel settore del gas, la direttiva ricorre allo schema dell’unbundling, precisando che, in caso di integrazione verticale, i gestori del sistema di trasporto e distribuzione devono comunque essere indipendenti, rispetto alle altre attività non connesse al trasporto e/o alla distribuzione, almeno sotto il profilo della forma giuridica dell’organizzazione e del potere decisionale. La normativa comunitaria, sul punto, non si spinge quindi a richiedere la separazione proprietaria, eventualmente rimessa alla valutazione dei singoli Stati membri, ponendo come requisito minimo l’unbundling societario e gestionale. E’ richiesto l’unbundling contabile, invece, per le imprese la cui attività si estende alle fasi della filiera costituite da trasporto, distribuzione e stoccaggio. Altro punto cardine della direttiva sotto il profilo della promozione della concorrenza nell’industria del gas è la disciplina dell’accesso di terzi ai sistemi di trasporto e distribuzione che prevede una procedura di “accesso regolato” che si basa su tariffe regolamentate. Per l’attività di stoccaggio è invece riconosciuta ai singoli Stati membri la possibilità di prevedere una procedura di “acceso negoziato”, basato su accordi commerciali volontari. Chiaramente è sancito l’obbligo di garantire l’accesso al sistema nazionale senza discriminazione (le cause di un eventuale diniego sono tassativamente indicate). E’ evidente che solo adottando siffatta impostazione è possibile superare il monopolio tecnico dell’unicità della rete di trasporto e garantire la possibilità per la domanda di scegliere il proprio fornitore sul mercato libero. In ordine all’effettivo livello di realizzazione del mercato interno dell’energia ed, in particolare, del gas, voluto dalle G-Directives, la stessa Commissione europea, nel quarto rapporto 2005, evidenzia tra i principali ostacoli allo sviluppo di mercati liberalizzati e concorrenziali i seguenti fattori:

livello di concentrazione del mercato della generazione del gas (up-stream), ancora più elevato di quello registrato nel mercato della produzione di energia elettrica

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I dati riportati evidenziano come solo in UK, il mercato è “moderatamente” concentrato, con i primi 3 operatori che raggiungono il 36% dell’intero mercato. Per gli altri Paesi europei l’indice di concentrazione dei primi tre operatori si attesta su un intorno del 70%. In 8 casi è superiore all’80%.

elevata concentrazione dell’offerta down-stream

livello di unbundling ancora insufficiente sia a livello di rete di trasmissione:

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che a livello di rete di distribuzione:

condizioni di accesso alle reti nei paesi membri ancora molto diversificate, non

trasparenti e discriminatorie inadeguatezza delle regole per gli scambi transfrontalieri di energia scarsa integrazione dei mercati energetici nazionali nel mercato interno (e

mantenimento di artificiali barriere all’ingresso tra i mercati che si configurano ancora come nazionali)

persistenza dei contratti di acquisto di lungo termine prezzi crescenti dell’energia e scarsa liquidità dei mercati limitata propensione a cambiare fornitore. La tabella sotto riportata è sintomatica

del fatto che un mercato “active” del gas ancora stenta a decollare. L’evidenza che si trae dalla lettura dei dati è che per la maggior parte degli Stati membri l’apertura del mercato alla concorrenza ha avuto solo un minimo impatto o addirittura in alcuni casi nessuno sui comportamenti dei consumatori, specialmente quelli con limitati volumi di acquisto.

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Volendo trarre alcune considerazioni di sintesi dalle analisi sopra svolte, emerge come, nonostante lo sforzo di “armonizzazione” promosso a livello comunitario per la costituzione di un mercato unico dell’energia, permangono tra i diversi paesi membri significative differenze, asimmetrie e disomogeneità che compromettono la effettiva liberalizzazione del mercato del gas. Le principali differenze attengono i tempi previsti per l’apertura del mercato finale, la regolazione e le tariffe di accesso alle reti, nonché, sul lato dell’offerta, il grado di concorrenza sia nell’up-stream che nel downstream. Se sicuramente queste asimmetrie ritardano la creazione di un mercato unico liberalizzato, un impatto significativo hanno anche sull’obiettivo di liberalizzazione, come vedremo con specifico riferimento all’Italia, le lacune infrastrutturali che, traducendosi in veri e propri “colli di bottiglia”, limitano la concorrenza nell’up-stream e, conseguentemente, anche nel mercato della vendita (down-stream). 2. La legislazione nazionale: linee evolutive L’evoluzione del settore dell’energia elettrica in Italia, al pari degli altri servizi pubblici economici, è stata promossa attraverso l’intervento comunitario. Nel recepire le norme elaborate a livello europeo, l’Italia si è distinta per aver realizzato un quadro di regole più avanzato rispetto a quello adottato da altri paesi europei. Basti considerare che, in sede di recepimento della Direttiva 98/30/CE, avvenuto attraverso il decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, era già stata definita una configurazione del settore tale da anticipare i nuovi principi di liberalizzazione contenuti nella successiva direttiva 2003/55/CE. Ciò è vero soprattutto con riferimento a tre aspetti essenziali quali:

grado di apertura del mercato principi dell’unbundling tra attività monopolistiche e attività potenzialmente

concorrenziali accesso dei terzi alle infrastrutture di rete

In Italia, già dal 2003 il mercato, lato domanda, è stato completamente aperto alla concorrenza, nel senso che tutti i clienti sono stati considerati idonei di scegliere il proprio fornitore, quando le direttive richiedevano la piena liberalizzazione a partire dal 1° luglio 2007 (nel 2001, con la previsione di una soglia di consumi di 2,12 Gwh/anno, risultava liberalizzato il 65% del mercato).

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Risale al 2000, anche la scelta della separazione societaria per le attività di trasporto, dispacciamento e distribuzione del gas; mentre è richiesta la sola separazione contabile per le attività di stoccaggio. Ma procedendo nell’analisi, sotto il profilo organizzativo, delle singole fasi della filiera dell’industria del gas, il decreto ha disposto la seguente disciplina di riordino del settore:

l’importazione da Paesi comunitari è libera, ed è soggetto ad un semplice obbligo di comunicazione da effettuarsi al MAP e all’EEG. Per l’importazione da paesi extra-comunitari è richiesta l’acquisizione di un’autorizzazione preventiva

la produzione nazionale, tramite coltivazione degli idrocarburi è soggetta a concessione del MAP

il trasporto ed il dispacciamento sono attività che implicano, per il soggetto che le svolge, un obbligo di accesso che deve essere realizzato conformandosi alle regole di trasparenza e non discriminazione

lo stoccaggio del gas è subordinato ad una concessione del MAP, di durata massima ventennale

la distribuzione viene affidata dagli enti locali, tramite gara, per periodi massimi di 12 anni. Il rapporto con le imprese aggiudicatarie è disciplinato da contratto di servizio, che garantisce trasparenza nei rapporti tra i soggetti interessati

la vendita è subordinata ad una sola autorizzazione preventiva del MAP, esclusivamente funzionale alla verifica della sussistenza in capo al soggetto che ne fa richiesta delle condizioni necessarie a garantire un servizio sicuro al cliente.

Volendo fotografare la situazione dei singoli mercati si evidenzia quanto segue: - trasporto: la rete trasporto gas risulta suddivisa in rete di trasporto nazionale e

rete di trasporto regionale e fa capo ad un ristretto numero di imprese. Il principale operatore di trasporto, SNAM Rete Gas, è controllato dall’ENI (50%) che risulta ancora ad oggi l’operatore dominante del settore. Tale situazione è peraltro destinata a mutare in quanto è la legge n. 290/03 ha disposto che, a decorrere dal 1° luglio 2007, nessuna società operante nel settore del gas naturale potrà detenere una quota superiore al 20% in società proprietarie delle reti di trasporto

- distribuzione: la proprietà della rete di distribuzione rimane frammentata tra circa 480 distributori, di cui il Gruppo ENI controlla, attraverso Italgas, una quota pari al 30% del totale

- vendita: nel segmento della vendita del gas risultano autorizzate dal MAP a fine 2004 389 imprese, la maggior parte sono nate con la scissione del ramo di vendita delle precedenti società di distribuzione integrate. Ciononostante il mercato è estremamente concentrato, come evidenziato nell’analisi della struttura di mercato delle singole attività della filiera dell’industria del gas.

3. Il mercato del gas in Italia L’evoluzione dell’industria in questi ultimi 5 anni dimostra come l’adozione di una regolamentazione seppur “avanzata”, mutuando l’attributo utilizzato dalla stessa AEEG, è una condizione necessaria ma non sufficiente per l’avvio di una vera e propria concorrenza.

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La struttura del mercato del gas si presenta, infatti, ancora fortemente concentrata in un unico operatore, ENI, presente in tutti i segmenti della filiera. Le economie di scala derivanti dalla consistente integrazione verticale dell’operatore dominante rendono difficilmente contendibile il mercato da parte di nuovi operatori. Ma andando ad esaminare le singole fasi della filiera emerge quanto segue. Nella Produzione ed Importazione, ENI da sola oggi detiene più del 60% del mercato e i primi tre operatori (ENI, ENEL ed EDISON) raggiungono quasi il 90%.

Quote produzione attuale e previsione 2010

Fonte: Bilanci e stime Bain & Company Ed anche a tendere, con un orizzonte a 5 anni, come il grafico sotto riportato evidenzia, l’incremento della capacità di importazione continua ad essere controllato dai primi 3 operatori del mercato.

Fonte: Bain & Company

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Chiaramente questo elevato livello di concentrazione del mercato up-stream, dominato da tre operatori, si riflette anche nel segmento down-stream della vendita di gas, dove nel periodo 2000-2005 si è assistito ad un processo di concentrazione, con una riduzione del 40-45% degli operatori attivi. Tra l’altro dei 400 operatori rimasti, solo 10 registrano vendite superiori a 1Mld Mc/ anno.

Fonte: Bain & Company

Il trend di sviluppo nel settore del gas vede, quindi, il prevalere di grandi operatori integrati.

L’integrazione verticale trova la propria giustificazione industriale anche nella struttura del prezzo finale del gas, solo per il 45% liberalizzato (la restante parte, infatti, è rappresentata da Accise, IVA e tariffe per la distribuzione).

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Fonte: Bain & Company

E’, inoltre, importante sottolineare, al fine di comprendere le effettive dinamiche concorrenziali del mercato, come la “quota libera” della tariffa è quasi interamente rappresentata dal prezzo di acquisto della materia prima. Questo permette anche di capire come la struttura oligopolistica dell’up-stream si rifletta nel mercato della vendita. Si pensi ad ENI, operatore che si caratterizza per un costo di approvvigionamento del gas minore rispetto agli altri concorrenti. E’ chiaro come l’operatore dominante nel mercato della produzione/importazione di gas dispone di un vantaggio competitivo anche nel segmento della vendita. Le riflessioni sulla struttura del mercato del gas finora svolte conducono alla conclusione che, ad oggi, nonostante il livello di “sofisticazione” della normativa nazionale, il processo di apertura del mercato alla concorrenza sia ancora lontano dal realizzarsi. Tra l’altro, il lento diffondersi della concorrenza nella supply side si riflette anche nella vischiosità della domanda: in Italia, la percentuale di clienti che ha cambiato fornitore (swirching rate) è stimabile intorno a:

o 23% per i grandi consumatori (con consumi superiori a 200.000 m3/anno); o 3% per i medi consumatori (con consumi superiori tra 5.000 e 200.000

m3/anno); o 1% per i piccoli (con consumi inferiori a 5.000 m3/anno).

In Italia, questo rallentamento del processo di liberalizzazione è sicuramente in parte spiegabile con i limiti di “capacità delle infrastrutture”, difficili da superare. Sul punto, l’AEEG, nella sua ultima relazione annuale, osserva: “la capacità delle infrastrutture di trasporto in Italia è sostanzialmente dimensionata al soddisfacimento degli impegni legati ai contratti d’importazione sottoscritti da ENI prima dell’entrata in vigore della Direttiva europea 98/30/CE. In Italia sussistono, infatti, reali difficoltà per i nuovi entranti nel provvedere autonomamente all’importazione di gas, dal momento che ENI controlla di diritti di trasporto nell’ambito delle infrastrutture di importazione localizzate all’estero, che la stessa impresa dominante ha contribuito a costruire all’epoca del monopolio. ENI, per soddisfare i tetti antitrust, ha sfruttato tali diritti cedendo gas a concorrenti prescelti, ai quali ha consentito il necessario vettoriamento all’estero saturando la capacità delle linee”. Chiaramente, fino a quando permangono questi limiti, il processo di liberalizzazione non potrà realizzarsi compiutamente.

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SEZIONE III: ENERIGA (ELETTRICA E GAS) 1. Il riparto di competenze tra Stato, regioni ed enti locali nella disciplina del settore A livello costituzionale, l’articolo 117, che detta la ripartizione di competenze tra Stato e Regioni, riconosce nella esclusiva competenza legislativa del primo “la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio e la tutela delle concorrenza. Rientrano nell’ambito della legislazione concorrente, invece, le materie che attengono la “produzione, trasporto e distribuzione dell’energia”. La legge Marzano351 ha successivamente attenuato la portata del novellato articolo 117, disponendo che “gli obiettivi e le linee della politica energetica nazionale, nonché i criteri generali per la sua attuazione a livello territoriale, sono elaborati e definiti dallo Stato che si avvale anche dei meccanismi di raccordo e di cooperazione con le autonomie regionali previsti dalla presente legge” 352.

351 L. 23-8-2004 n. 239, Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia, pubblicata nella Gazz. Uff. 13 settembre 2004, n. 215 352 Sono nel testo della legge indicati anche in modo tassativo i compiti e le funzioni amministrativi riconosciuti alla competenza dello Stato. Sono esercitati dallo Stato, anche avvalendosi dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, i seguenti compiti e funzioni amministrativi: a) le determinazioni inerenti l'importazione e l'esportazione di energia; b) la definizione del quadro di programmazione di settore; c) la determinazione dei criteri generali tecnico-costruttivi e delle norme tecniche essenziali degli impianti di produzione, trasporto, stoccaggio e distribuzione dell'energia, nonché delle caratteristiche tecniche e merceologiche dell'energia importata, prodotta, distribuita e consumata; d) l'emanazione delle norme tecniche volte ad assicurare la prevenzione degli infortuni sul lavoro e la tutela della salute del personale addetto agli impianti di cui alla lettera c); e) l'emanazione delle regole tecniche di prevenzione incendi per gli impianti di cui alla lettera c) dirette a disciplinare la sicurezza antincendi con criteri uniformi sul territorio nazionale, spettanti in via esclusiva al Ministero dell'interno sulla base della legislazione vigente; f) l'imposizione e la vigilanza sulle scorte energetiche obbligatorie; g) l'identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale con riferimento all'articolazione territoriale delle reti infrastrutturali energetiche dichiarate di interesse nazionale ai sensi delle leggi vigenti ; h) la programmazione di grandi reti infrastrutturali energetiche dichiarate di interesse nazionale ai sensi delle leggi vigenti; i) l'individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti strategici, ai sensi della legge 21 dicembre 2001, n. 443, e del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, al fine di garantire la sicurezza strategica, ivi inclusa quella degli approvvigionamenti energetici e del relativo utilizzo, il contenimento dei costi dell'approvvigionamento energetico del Paese, lo sviluppo delle tecnologie innovative per la generazione di energia elettrica e l'adeguamento della strategia nazionale a quella comunitaria per le infrastrutture energetiche; l) l'utilizzazione del pubblico demanio marittimo e di zone del mare territoriale per finalità di approvvigionamento di fonti di energia; m) le determinazioni in materia di rifiuti radioattivi; n) le determinazioni inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, ivi comprese le funzioni di polizia mineraria, adottate, per la terraferma, di intesa con le regioni interessate; o) la definizione dei programmi di ricerca scientifica in campo energetico, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano; p) la definizione dei princìpi per il coordinato utilizzo delle risorse finanziarie regionali, nazionali e dell'Unione europea, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;

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Nella legge viene nuovamente riconosciuta e valorizzata “l’unicità del mercato dell’energia”, anche al fine di migliorare la tutela della concorrenza in materia. Secondo quanto evidenziato dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza n. 383/2005, la legge n. 239/2004, di riordino dell’intero settore energetico, appare caratterizzata “sul piano del modello organizzativo e gestionale, dalla attribuzione dei maggiori poteri amministrativi ad organi statali, in quanto evidentemente ritenuti gli unici a cui non sfugge la valutazione complessiva del fabbisogno nazionale di energia e quindi idonei ad operare in modo adeguato per ridurre eventuali situazioni di gravi carenze a livello nazionale…non sembrano esservi problemi al fine di giustificare in linea generale disposizioni legislative come quelle in esame dal punto di vista della ragionevolezza della chiamata in sussidiarietà, in capo ad organi dello Stato, di funzioni amministrative relative ai problemi energetici di livello nazionale, al fine di assicurare il loro indispensabile esercizio unitario”.

Normativa regionale e concorrenza Di seguito, si riportano le prime evidenze emerse dall’analisi della normativa regionale. In particolare si segnala la L.R. 24-2-2005, n. 39 della regione Toscana (“Disposizioni in materia di energia”) che all’art. 30 configura una disciplina autonoma della concorrenza nel settore energetico a livello regionale: in particolare, il comma 1 prevede un termine diverso (il primo gennaio 2006) rispetto a quello nazionale (primo gennaio 2007: secondo il dettato dell’art. 14, comma 5 quinquies del d.lgs. 79/1999, da ultimo ribadito dalla Dir. 2003/54/CE, art. 21) a partire dal quale far scattare l’effettiva liberalizzazione del mercato energetico, mentre i commi 3 e 4 prefigurano indebite ingerenze regionali nella materia della concorrenza, addirittura prevedendo una disciplina specifica per i contratti diretti tra produttore e cliente idoneo353; ne deriva una q) l'adozione di misure temporanee di salvaguardia della continuità della fornitura, in caso di crisi del mercato dell'energia o di gravi rischi per la sicurezza della collettività o per l'integrità delle apparecchiature e degli impianti del sistema energetico; r) la determinazione dei criteri generali a garanzia della sicurezza degli impianti utilizzatori all'interno degli edifici, ferma restando la competenza del Ministero dell'interno in ordine ai criteri generali di sicurezza antincendio. 8. Lo Stato esercita i seguenti compiti e funzioni: a) con particolare riguardo al settore elettrico, anche avvalendosi dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas: 1) il rilascio della concessione per l'esercizio delle attività di trasmissione e dispacciamento nazionale dell'energia elettrica e l'adozione dei relativi indirizzi; 2) la stipula delle convenzioni per il trasporto dell'energia elettrica sulla rete nazionale; 3) l'approvazione degli indirizzi di sviluppo della rete di trasmissione nazionale, considerati anche i piani regionali di sviluppo del servizio elettrico; 4) l'aggiornamento, sentita la Conferenza unificata, della convenzione tipo per disciplinare gli interventi di manutenzione e di sviluppo della rete nazionale e dei dispositivi di interconnessione; 5) l'adozione di indirizzi e di misure a sostegno della sicurezza e dell'economicità degli interscambi internazionali, degli approvvigionamenti per i clienti vincolati o disagiati, del sistema di generazione e delle reti energetiche, promuovendo un accesso più esteso all'importazione di energia elettrica; 6) l'adozione di misure finalizzate a garantire l'effettiva concorrenzialità del mercato dell'energia elettrica; 7) la definizione dei criteri generali per le nuove concessioni di distribuzione dell'energia elettrica e per l'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio degli impianti di generazione di energia elettrica di potenza termica superiore ai 300 MW, sentita la Conferenza unificata e tenuto conto delle linee generali dei piani energetici regionali. 353 Art. 30 L.R. 39/2005 “Promozione dei mercati dell'energia elettrica e del gas. (1) A decorrere dal 1 gennaio 2006 ogni cliente finale domestico di energia elettrica nel territorio regionale può acquisire la

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disciplina differenziata della concorrenza, a base regionale, in materia di energia. (Nei confronti della legge citata, si segnala come il Governo abbia promosso un giudizio davanti alla Corte Costituzionale, ai sensi dell’art. 127 Cost., nella misura in cui la stessa ha illegittimamente disciplinato molte delle materie riservate allo Stato dalla legge n. 239/2004, invadendo quindi le competenze statali ritenute legittime dalla Corte con la sentenza n. 383/2005). Si segnala, inoltre, la Proposta di Legge Lazio, deliberata da Giunta Regionale il 25/2/2006, recante“Norme concernenti gli impianti radioelettrici con frequenza di trasmissione fino a 300 Ghz e gli elettrodotti”. In particolare, ci si riferisce all’art. 12. sull’insediamento degli elettrodotti, che solleva le seguenti perplessità:

- con riguardo alla previsione di distanze specifiche (50 o 100 metri) degli elettrodotti da aree e manufatti di varia tipologia (aree vincolate, ospedali, parchi gioco), la disposizione regionale contrasta con i principi fondamentali contenuti nella Legge 36/01, nella misura in cui aggiunge limiti di cautela espressi in distanze

- la previsione del divieto di inserire nuove cabine elettriche a media tensione all’interno di edifici contrasta con la legge 36/2001 in base alla quale tali cabine devono esclusivamente rispettare i “valori-soglia”, espressi in termini di limiti e non di distanze

- la previsione di aree in cui l’autorizzazione per nuovi elettrodotti è rilasciata dalla Regione solo ed esclusivamente a condizione che l’elettrodotto venga realizzato con cavo interrato, pone vincoli ulteriori non richiesti dalla normativa nazionale che pregiudicano l'interesse, protetto dalla legislazione nazionale, alla realizzazione della rete.

qualifica di cliente idoneo di cui al D.Lgs. n. 79/1999 dando comunicazione al suo fornitore di recedere dal preesistente contratto di fornitura secondo procedure stabilite con deliberazione di Giunta regionale; (2) La Regione, tramite accordo con le associazioni dei consumatori e avvalendosi anche della R.E.A. S.p.A., promuove attività di orientamento per chi ha acquisito o acquisirà la qualifica di cliente idoneo ai sensi della presente legge, del D.Lgs. n. 79/1999 o del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164 (Attuazione della direttiva n. 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell'articolo 41 della legge 17 maggio 1999, n. 144.); (3) Nel caso di persistenza di situazioni dominanti nel mercato dell'energia elettrica e gas in ambito regionale, la Regione promuove per quanto di sua competenza misure a favore dello sviluppo della concorrenza, propone ai competenti organismi nazionali misure in tal senso, impone ai soggetti di distribuzione e di fornitura obblighi di comunicazione e trasparenza verso i clienti aventi le medesime finalità; (4) Sono consentiti contratti diretti fra produttore di energia elettrica e cliente idoneo nel rispetto delle disposizioni dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas. Entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, la Giunta regionale emana una disciplina specifica tesa anche alla diffusione di tali contratti per i clienti idonei collocati in aree limitrofe ai produttori e in particolare connessi a questi con un collegamento fisico diretto”.

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SCHEDA COMUNICAZIONI

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1. Il settore delle telecomunicazioni in Europa Il settore delle telecomunicazioni, a livello comunitario, è regolato dal “Pacchetto Telecom” che comprende cinque direttive:

la direttiva 2002/21/CE che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica, ad esclusione dei contenuti e dei c.d. servizi della società dell’informazione (direttiva quadro);

la direttiva 2002/19/CE, relativa all'accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate nonché all'interconnessione delle medesime (direttiva accesso);

la direttiva 2002/20/CE, relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (direttiva autorizzazioni);

la direttiva 2002/22/CE, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e servizi di comunicazione elettronica (direttiva servizio universale).

Ad esse si aggiunge la direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche)354. Le richiamate direttive mirano a:

istituire un quadro normativo armonizzato per le reti e i servizi di tutta l'Unione europea;

rispondere alle tendenze di convergenza in atto nel settore, includendo nel proprio campo di applicazione tutte le reti e i servizi di comunicazione elettronica, relativi sia alle telecomunicazioni, sia alla radiodiffusione sonora e televisiva, al fine di ridurre gradualmente la regolazione in concomitanza con lo sviluppo della concorrenza sul mercato.

Più specificamente, per gli aspetti che maggiormente rilevano ai fini della presente analisi, merita di essere evidenziato quanto segue:

la Direttiva Quadro stabilisce, almeno in linea teorica, per il settore delle comunicazioni elettroniche una priorità logica tra regolazione e concorrenza prevedendo, al considerando 27, che la prima possa intervenire “esclusivamente (...) quando i mezzi di tutela apprestati dal diritto nazionale e comunitario della concorrenza non siano sufficienti”. In altri termini si afferma un criterio di residualità e sussidiarietà della regolazione rispetto alla concorrenza e al mercato;

354 Completano il nuovo quadro regolamentare: la decisione 676/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 marzo 2002, in GUCE L 108/1 del 24 aprile 2002, relativa a un quadro normativo per la politica in materia di spettro radio nella Comunità europea (decisione spettro radio) e il regolamento 2887/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2002, entrambi basati sull'articolo 95 del Trattato CE. A questi atti si affianca la direttiva 2002/77/CE della Commissione basata sull'articolo 86, paragrafo 3, del Trattato CE, del 16 settembre 2002, in GUCE L 249/21, del 17 settembre 2002, relativa alla concorrenza nei mercati delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica, che sostituisce, consolidandola, la direttiva 90/388/CEE di liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni. Nel febbraio 2003 la Commissione ha adottato, infine, una raccomandazione [C(2003)497.] per la definizione dei mercati rilevanti del settore delle comunicazioni elettroniche ai sensi dell'articolo 15 della direttiva quadro.

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la Direttiva Autorizzazioni semplifica il regime giuridico di ingresso nei mercati delle comunicazioni elettroniche e di fornitura dei relativi servizi e infrastrutture, prevedendo che la fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica possa essere subordinata soltanto ad una autorizzazione generale che deve essere rilasciata sulla base della sola dichiarazione del soggetto istante di iniziare l’attività per la quale si richiede l’autorizzazione. L’autorizzazione può essere assoggettata solo a specifiche condizioni tassativamente elencate ed in ogni caso “tali condizioni devono essere obiettivamente giustificate rispetto alla rete o al servizio in questo, proporzionate, trasparenti e non discriminatorie” art.6;

la Direttiva Accesso ha l'obiettivo “di istituire un quadro normativo compatibile con i principi del mercato interno, atto a disciplinare le relazioni tra i fornitori di reti e di servizi e che si traduca in concorrenza sostenibile, interoperabilità dei servizi di comunicazione elettronica e vantaggi per i consumatori”. In particolare prevede che “gli operatori di reti pubbliche di comunicazione hanno il diritto e, se richiesto da altre imprese titolari di un’autorizzazione dello stesso tipo, l’obbligo di negoziare tra loro l’interconnessione”.

A livello nazionale, il Pacchetto Telecom è stato recepito attraverso il D.Lgs. 1/08/2003, n. 259 che ha introdotto il “Codice delle Comunicazioni elettroniche”, con cui è stata superata la precedente disciplina del settore de quo, dettata essenzialmente dal D.P.R. 318/97, recante il “Regolamento per l’attuazione di direttive comunitarie nel settore delle telecomunicazioni” e a legge 249/97 recante l’“Istituzione dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo”. 2. Il riparto di competenze tra Stato, regioni ed enti locali nella disciplina del settore A livello costituzionale, l’articolo 117, che detta la ripartizione di competenze tra Stato e Regioni, riconosce nella esclusiva competenza legislativa del primo “la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civile e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio e la tutela delle concorrenza”. Rientrano nell’ambito della legislazione concorrente, invece, le materie che attengono a “grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento delle comunicazioni; produzione, trasporto e distribuzione dell’energia”. Nell’ambito del richiamato elenco di materie, al quale, com’è noto, «è, in massima parte, rimessa la funzione di individuare il punto di equilibrio tra le ragioni dell’unità e quelle dell’autonomia: tra gli interessi unitari ed infrazionabili (il cui soddisfacimento richiede l’intervento del legislatore statale) e le esigenze di differenziazione (che chiamano in causa i legislatori periferici)», l’«ordinamento della comunicazione» rientra tra le materie di legislazione concorrente (art. 117, comma 3, Cost.). In via preliminare, si precisa che la formula “ordinamento della comunicazione” - sebbene nella sua assolutezza semantica potrebbe far ritenere che tutte le forme di comunicazione (da quella «interindividuale e riservata» a quella «pubblica e impersonale»), e quale che sia il mezzo trasmissivo da esse utilizzato, rientrino, sia pure per la sola disciplina di dettaglio, nella competenza legislativa concorrente – concerne esclusivamente le telecomunicazioni e la radiotelevisione (ossia le comunicazioni elettroniche).

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Peraltro, la stessa previsione costituzionale contenuta nell’articolo 117, anche nell’interpretazione sopra riportata, risulta mutata a seguito sia dell’adozione della dir. 2002/21/CE (cd. direttiva «quadro») del Consiglio e del Parlamento europeo nell’ambito delle direttive in materia di comunicazione elettronica355. Con tale direttiva, infatti, come sottolineato da Cassese356, la Comunità europea ha limitato la stessa autonomia degli Stati «nello scegliere l'assetto organizzativo e il funzionamento dell'autorità di regolazione»: «(g)li Stati nazionali, dopo la nuova direttiva, non sono più liberi di stabilire l’organizzazione, i compiti, le procedure e l’attività delle autorità di regolazione, perché ognuno di questi quattro aspetti è condizionato da principi dettati dalla direttiva quadro (…). Per l’organizzazione, l’art. 3, commi 1-3, stabilisce i seguenti vincoli: che tutti i compiti assegnati alle autorità nazionali siano affidati a un organismo competente; che esso sia distinto legalmente e (sia) funzionalmente indipendente dagli operatori; che esso eserciti i suoi poteri imparzialmente e in modo trasparente». Ebbene, da quanto sopra discende una decisiva conseguenza sul rapporto Stato – Regioni nella disciplina delle comunicazioni elettroniche. “Poiché la competenza a porre in essere la regolamentazione delle reti di comunicazione elettronica è stata intestata ad autorità nazionali (art. 3), ne consegue che è il solo legislatore statale a poter disciplinare, anche nel dettaglio, le competenze dell’autorità nazionale di regolazione [siano esse attribuite alla sola AgCom - come dovrebbe essere alla luce del disegno comunitario che pretende l’indipendenza e l’imparzialità di tali autorità: art. 3, commi 2 e 3, dir. 2002/21/CE - o anche al Ministero delle comunicazioni, come invece disposto dall’art. 7 decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259”357. Ne consegue quindi l’esclusione, peraltro confermata dall’art. 16, comma 2, lett. b), della legge 3 maggio 2004, n. 112 (cd. legge Gasparri), della potestà legislativa delle Regioni in materia di reti di telecomunicazione, nonostante l’art. 117 della Costituzione preveda l’intestazione ad esse della competenza legislativa concorrente nell’«ordinamento della comunicazione»358. Tale conclusione si ritiene non possa essere messa in dubbio neppure dalla premessa secondo cui le norme comunitarie non potrebbero comportare «un’alterazione nell’ordine delle competenze attribuite dalla Costituzione».

355 Sul punto si evidenzia come tale direttiva, oltre a non essere stata tempestivamente impugnata davanti alla Corte di giustizia CE, è stata comunque recepita nel nostro ordinamento con il d.lvo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche). 356 Cfr. S. Cassese, Il concerto regolamentare europeo delle telecomunicazioni, in G. Morbidelli e F. Donati (a cura di), Comunicazioni: verso il diritto della convergenza, Giappichelli, Torino, 2003, p. 33 ss. 357 Cfr. A. Pace, L’ordinamento delle telecomunicazioni, in Diritto Pubblico, 2004, n. 3, pp. 939-964. L’articolo riproduce una delle relazioni al Convegno su «Le garanzie nel sistema locale delle comunicazioni: le deleghe ai Co.re.com.» organizzato dal Formez e dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, tenuto a Roma il 5 ottobre 2004 358 Alla conclusione dell’esclusione della potestà legislativa delle Regioni in materia di telecomunicazioni pervengono, seppure attraverso un iter argomentativo diverso da quello di A. Pace, G. De Minico, Brevi note sul segmento delle telecomunicazioni , in L. Chieffi e G. Clemente di San Luca (a cura di), Regioni ed enti locali dopo la riforma del Titolo V della Costituzione fra attuazione ed ipotesi di ulteriore revisione, Giappichelli, Torino, 2004, p. 242 e M. Orofino, L’ordinamento della comunicazione tra direttive comunitarie e riforma del titolo V della Parte II della Costituzione, Giappichelli, Torino, 2003, p. 103. In particolare secondo la prima l’esclusione della materia dal perimetro di competenza regionale sarebbe l’unica coerente con l’unicità del mercato, con l’armonizzazione dell’implementazione normativa, con la disciplina uniforme ad ogni livello.

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Sul rapporto norme comunitarie e ordine delle competenze attribuite dalla Costituzione di uno Stato membro, si è pronunciata, ancor prima della stessa legge cost. n. 3 del 2001, in più di una decisione la Corte costituzionale, secondo cui, al fine di esigere il rispetto, da parte della CE, dell’ordine delle competenze costituzionali degli Stati membri, questo limite deve essere fatto positivamente valere dallo Stato interessato dinanzi alla Corte di giustizia del Lussemburgo, e ciò sempre che la violazione dell’ordine interno delle attribuzioni costituzionali - da parte degli organi comunitari - derivi da un abuso delle funzioni ad essi spettanti in forza dei Trattati vigenti. Ebbene, né lo Stato italiano, né le Regioni hanno ritenuto di dover impugnare le direttive de quibus davanti alla Corte di giustizia CE, anzi le stesse sono state recepite nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 Le considerazioni svolte conducono alla conclusione che, “ove una Regione pretendesse di legiferare in materia di reti di comunicazione elettronica, essa violerebbe l’art. 117, comma 1, Cost. (nella parte in cui vincola il legislatore all’ordinamento comunitario), per il fatto stesso di aver contravvenuto la norma interposta, nella specie costituita dall’art. 1, comma 1, dir. 2002/21/CE. Unico spazio disponibile alla potestà legislativa concorrente delle Regioni, per ciò che riguarda le reti, è infatti solo quello relativo alla localizzazione degli impianti, come riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale nella sent. n. 324 del 2003359, ancorché nell’ambito di una decisione di accoglimento di una legge regionale”360. Riferendosi alle materie «governo del territorio», «tutela della salute» e «ordinamento della comunicazione», la Corte ha infatti affermato che «non può escludersi una competenza della legge regionale in materia, che si rivolga alla disciplina di quegli aspetti della localizzazione e dell’attribuzione dei siti di trasmissione che esulino da ciò che risponde propriamente a quelle esigenze unitarie alla cui tutela sono preordinate le competenze legislative dello Stato nonché le funzioni affidate all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni». Ai fini di una compiuta analisi del riparto di competenze tra Stato e Regioni, rilevano oltre il disposto costituzionale sopra esaminato, anche le norme contenute nel Capo V, Titolo II, del Codice sulle Comunicazioni elettroniche, dedicato all’acquisizione dei titoli abilitativi richiesti per l’installazione di reti ed impianti. Deve, infine, essere considerata anche la legge quadro 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge quadro sulla protezione delle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici) che si applica a tutti gli impianti che possono comportare l'esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici con frequenze comprese tra 0 Hz e 300 GHz, e in particolare sia agli elettrodotti, sia agli impianti radioelettrici (art. 2, comma 1). Tale legge stabilisce, infatti, distintamente le funzioni spettanti allo Stato (artt. 4 e 5) e le competenze delle Regioni e degli enti locali (art. 8), e disciplina specificamente i piani di risanamento (art. 9), i controlli (art. 14), le sanzioni (art. 15) e il regime transitorio applicabile in attesa dell'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sulle soglie di esposizione per la popolazione, previsto dall'art. 4, comma 2. In particolare, nel sistema della legge 36/2001, gli standard di protezione dall'inquinamento elettromagnetico si distinguono (art. 3) in "limiti di esposizione", definiti come valori di campo elettrico, magnetico ed elettromagnetico che non devono 359 Vedasi anche le sentenze 307 e 308 del 2003 360 Cfr. A. Pace, L’ordinamento delle telecomunicazioni, cit.

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essere superati in alcuna condizione di esposizione della popolazione e dei lavoratori per assicurare la tutela della salute; "valori di attenzione", intesi come valori di campo da non superare, a titolo di cautela rispetto ai possibili effetti a lungo termine, negli ambienti abitativi e scolastici e nei luoghi adibiti a permanenze prolungate; e "obiettivi di qualità". La legge attribuisce allo Stato la fissazione delle "soglie" di esposizione e alle Regioni la disciplina dell'uso del territorio in funzione della localizzazione degli impianti, cioè le ulteriori misure e prescrizioni dirette a ridurre il più possibile l'impatto negativo degli impianti sul territorio. Sul punto merita inoltre di essere precisato come l’attuale sistema non consente alle Regioni di fissare valori-soglia più bassi, o regole più rigorose o tempi più ravvicinati per la loro adozione. Un tale intervento a livello regionale sarebbe ammissibile solo ove l’obiettivo di tali limiti fosse esclusivamente di tutelare la salute dai rischi dell'inquinamento elettromagnetico. In realtà, come la stessa Corte Costituzionale ha affermato Sentenza 1° - 7 ottobre 2003, n. 307, “la fissazione di valori-soglia risponde ad una ratio più complessa e articolata. Da un lato, infatti, si tratta effettivamente di proteggere la salute della popolazione dagli effetti negativi delle emissioni elettromagnetiche (e da questo punto di vista la determinazione delle soglie deve risultare fondata sulle conoscenze scientifiche ed essere tale da non pregiudicare il valore protetto); dall'altro, si tratta di consentire, anche attraverso la fissazione di soglie diverse in relazione ai tipi di esposizione, ma uniformi sul territorio nazionale, e la graduazione nel tempo degli obiettivi di qualità espressi come valori di campo, la realizzazione degli impianti e delle reti rispondenti a rilevanti interessi nazionali, sottesi alle competenze concorrenti di cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione, come quelli che fanno capo alla distribuzione dell'energia e allo sviluppo dei sistemi di telecomunicazione. Tali interessi, ancorché non resi espliciti nel dettato della legge quadro in esame, sono indubbiamente sottesi alla considerazione del "preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee" che, secondo l'art. 4, comma 1, lettera a, della legge quadro, fonda l'attribuzione allo Stato della funzione di determinare detti valori-soglia. In sostanza, la fissazione a livello nazionale dei valori-soglia, non derogabili dalle Regioni nemmeno in senso più restrittivo, rappresenta il punto di equilibrio fra le esigenze contrapposte di evitare al massimo l'impatto delle emissioni elettromagnetiche, e di realizzare impianti necessari al paese, nella logica per cui la competenza delle Regioni in materia di trasporto dell'energia e di ordinamento della comunicazione è di tipo concorrente, vincolata ai principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato”. 3. Legislazione regionale e concorrenza Di seguito si riportano le prime evidenze emerse dall’analisi della normativa regionale In via preliminare si segnala che, su diverse legge regionali, si è pronunciata la Corte Costituzionale dichiarando l’illegittimità delle disposizioni che, ad esempio, introducevano a livello regionale valori-soglia più bassi o rigorosi di quelli previsti dalla legge quadro, pregiudicando in tal modo l’interesse nazionale allo sviluppo di un sistema di comunicazioni (sentenze 307, 308 e 324 del 2003). In particolare si segnala per la Lombardia la L.R. 11 maggio 2001, n. 11 che, al fine di salvaguardare la salubrità e la sicurezza negli ambienti di vita e di proteggere la popolazione dall'esposizione ai campi elettromagnetici a radiofrequenza e microonde, in

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attuazione del decreto ministeriale 10 settembre 1998, n. 381 (Regolamento recante norme per la determinazione dei tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana) ed in conformità alla legge 22 febbraio 2001 n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici) detta indirizzi per l'ubicazione, l'installazione, la modifica ed il risanamento degli impianti per le telecomunicazioni e la radiotelevisione. In merito a tale legge si è pronunciata la Corte Costituzionale che, con sentenza 27 ottobre-7 novembre 2003, n. 331 (Gazz. Uff. 12 novembre 2003, n. 45 - 1a serie speciale), ha dichiarato tra l'altro l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 12, lettera a) della L.R. 6 marzo 2002, n. 4 (che aveva sostituito il comma 8 dell’art. 4 della L.R. 11 maggio 2001, n. 11) nella misura in cui vietava, senza limitazioni, l'installazione di impianti per le telecomunicazioni e per la radiotelevisione in corrispondenza di asili, edifici scolastici nonché strutture di accoglienza socio-assistenziali, ospedali, carceri, oratori, parco giochi, orfanotrofi e strutture similari, e relative pertinenze, che ospitano soggetti minorenni. Il comma del citato articolo è stato riformato, circoscrivendo il divieto all’installazione di impianti per le telecomunicazioni entro il limite inderogabile di 75 metri di distanza dal perimetro di proprietà di asili, scuole, ecc. Ai fini della presente analisi si segnala anche la L.R. Puglia 8 marzo 2002, n. 5, in particolare l’articolo 7 che dispone che la Giunta Regionale, entro novanta giorni dalla data di presentazione dei "Piani annuali di installazione", si esprime su detti piani o ne suggerisce modifiche, finalizzate a minimizzare l'eventuale esposizione della popolazione, anche in relazione alla tipologia e alle caratteristiche degli impianti già esistenti oltrechè all'insieme degli impianti da installare, compatibilmente con la qualità del servizio svolto dal sistema. La disposizione si segnala per l’ampiezza dei poteri riconosciuti alla Giunta Regionale che può suggerire modifiche al piano con il solo limite della “compatibilità” con la qualità del servizio svolto dal sistema.