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Università degli Studi di Trento OSSERVATORIO CRITICO della germanistica VII - 20 OSSERVATORIO CRITICO della germanistica Johann Joachim Winckelmann, Saggio sull’allegoria specialmen- te per l’arte, introduzione, tradu- zione e cura di Elena Agazzi, Bo- logna, Minerva Edizioni, 2004, pp. 207, € 31,00 Non è certo un caso se, tra le opere di Winckelmann, il Saggio sull’allegoria special- mente per l’arte (1766) è quella da sempre rela- tivamente meno nota e meno studiata. Una serie di ragioni ben individuabili ci aiuta a capire il singolare destino di questo libro che a prima vista si presenta come un grande repertorio delle allegorie del mondo antico e, in parte, an- che del mondo moderno; un libro cioè di argomento specialistico, concernente tematiche di interesse archeologico e stori- co-artistico. A determinare la fortuna minore del Sag- gio è stato certamente il primato dei Pen- sieri sopra l’imitazione e della Storia del- l’arte dell’antichità, il cui successo era sta- to così grande e duraturo da oscurare un po’ tutti gli altri lavori winckelmanniani. Nel nostro caso, comunque, il rinvio alle opere maggiori e in particolare ai Pensieri non è generico, ma tanto più opportuno in quan- to il Saggio costituisce una sorta di prose- cuzione e di approfondimento di quelle ri- flessioni sopra l’allegoria, cominciate pro- prio con i Pensieri, ampliate con il Com- mento, e poi sempre in qualche modo dif- ferite fino al 1766. Ma la ragione che ha davvero pesato sulla ricezione del libro viene dall’interno del- l’opera stessa che, mentre si presentava come una rassegna di allegorie per giovani artisti, era in realtà qual- cosa di ben diverso da un registro classificatorio o da un elenco di didascalie del mondo antico. Nonostante il tra- vestimento erudito e for- se anche in virtù di uno stile incalzante e vivo, la vera sostanza del libro veniva subi- to a galla ed era piuttosto chiara ai contem- poranei e alle generazioni immediatamente successive: si trattava senza sorta di dubbio della natura e della funzione dell’allegoria, ovvero di un tema teorico di primo piano destinato a uscire ben presto dalla cerchia archeologica e storico-artistica per entrare in ambito filosofico e letterario; e per scon- trarsi poi rapidamente con l’ostilità che sia la cultura classica che quella romantica avrebbero mostrato verso l’allegoria. È ap- pena il caso di ricordare che tutto il secon- do Settecento è stato più o meno antiallegorico, così come lo sarebbe stato anche l’Ottocento, dentro una costellazione sempre più vasta destinata a prolungarsi fino agli inizi del Novecento, quando Walter Benjamin avrebbe rilanciato su basi total- mente diverse il dibattito sull’allegoria. Inevitabile dunque che avversari ed estimatori di Winckelmann abbiano accam- pato riserve e distinguo, dagli illuministi a Hegel, per non dire di August Wilhelm Schlegel che, da buon esponente del roman- ticismo di Heidelberg, non poteva perdona- re la chiusura verso l’arte medievale e cri-

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Università degli Studi di Trento

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Johann Joachim Winckelmann,Saggio sull’allegoria specialmen-te per l’arte, introduzione, tradu-zione e cura di Elena Agazzi, Bo-logna, Minerva Edizioni, 2004,pp. 207, € 31,00

Non è certo un caso se,tra le opere diWinckelmann, il Saggiosull’allegoria special-mente per l’arte (1766)è quella da sempre rela-tivamente meno nota emeno studiata. Una serie di ragioni benindividuabili ci aiuta a capire il singolaredestino di questo libro che a prima vista sipresenta come un grande repertorio delleallegorie del mondo antico e, in parte, an-che del mondo moderno; un libro cioè diargomento specialistico, concernentetematiche di interesse archeologico e stori-co-artistico.A determinare la fortuna minore del Sag-gio è stato certamente il primato dei Pen-sieri sopra l’imitazione e della Storia del-l’arte dell’antichità, il cui successo era sta-to così grande e duraturo da oscurare un po’tutti gli altri lavori winckelmanniani. Nelnostro caso, comunque, il rinvio alle operemaggiori e in particolare ai Pensieri non ègenerico, ma tanto più opportuno in quan-to il Saggio costituisce una sorta di prose-cuzione e di approfondimento di quelle ri-flessioni sopra l’allegoria, cominciate pro-prio con i Pensieri, ampliate con il Com-mento, e poi sempre in qualche modo dif-ferite fino al 1766.Ma la ragione che ha davvero pesato sullaricezione del libro viene dall’interno del-l’opera stessa che, mentre si presentavacome una rassegna di allegorie per giovani

artisti, era in realtà qual-cosa di ben diverso da unregistro classificatorio oda un elenco dididascalie del mondoantico. Nonostante il tra-vestimento erudito e for-

se anche in virtù di uno stile incalzante evivo, la vera sostanza del libro veniva subi-to a galla ed era piuttosto chiara ai contem-poranei e alle generazioni immediatamentesuccessive: si trattava senza sorta di dubbiodella natura e della funzione dell’allegoria,ovvero di un tema teorico di primo pianodestinato a uscire ben presto dalla cerchiaarcheologica e storico-artistica per entrarein ambito filosofico e letterario; e per scon-trarsi poi rapidamente con l’ostilità che siala cultura classica che quella romanticaavrebbero mostrato verso l’allegoria. È ap-pena il caso di ricordare che tutto il secon-do Settecento è stato più o menoantiallegorico, così come lo sarebbe statoanche l’Ottocento, dentro una costellazionesempre più vasta destinata a prolungarsi finoagli inizi del Novecento, quando WalterBenjamin avrebbe rilanciato su basi total-mente diverse il dibattito sull’allegoria.Inevitabile dunque che avversari edestimatori di Winckelmann abbiano accam-pato riserve e distinguo, dagli illuministi aHegel, per non dire di August WilhelmSchlegel che, da buon esponente del roman-ticismo di Heidelberg, non poteva perdona-re la chiusura verso l’arte medievale e cri-

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stiana e la contaminazione fatale tra alle-goria e simbolo. Del resto aver postulato -da parte di Wnckelmann - un’allegoria tut-ta rivolta al mondo antico in un tempo chevedeva venire l’avvento inarrestabile delsimbolo, era stato il limite storico tanto og-gettivo quanto inevitabile di un’opera co-munque importante per la ricchezza di datie di osservazioni e per una sorprendentecapacità di immaginazione analogica.Elena Agazzi, una germanista di formazio-ne filosofica che insieme a Michele Come-ta ha dato un impulso rilevante agli studiwinckelmanniani e classicisti in Italia, ètornata ad affrontare il problema del Sag-gio sull’allegoria specialmente per l’artenella maniera migliore che si potesse fare:ovvero fornendo una nuova traduzione(dopo la prima storica versione dell’abateCarlo Fea nel 1831) e scrivendo un’intro-duzione concentrata su alcuni punti essen-ziali del dibattito vastissimo che si sollevaogni volta che si tocca il tema allegorico.Piccole mende e qualche lacunabibliografica (quali il saggio di RanuccioBianchi Bandinelli Organicità e astrazioneo l’edizione del Manoscritto fiorentino ) nonscalfiscono in nulla il valore di questa im-portante e coraggiosa impresa editoriale escientifica.Primo merito di Elena Agazzi è quello diavere considerato il Saggio come un’operanon finita, ma proprio nella sua qualità dicontinuazione e di ampliamento dei Pen-sieri e come espressione di una continuitàteorica ed estetologica non interrotta nep-pure quando l’autore si attardava in passaggifatalmente e necessariamente compilatori.Giustamente l’Agazzi insiste sulla continui-tà tra i Pensieri e il Saggio, e sul passaggiodalla celebre formula della “edle Einfalt undstille Größe” a quella di “Einfalt,Deutlichkeit, Lieblichkeit” ovvero sempli-cità, chiarezza e amabilità (Saggio, p.61-2);questa nuova formula è effettivamente unavariante molto significativa con la qualeWinckelmann indica gli attributi necessariall’allegoria e nello stesso tempo postula unprocesso di chiarificazione, di semplifica-

zione e di affrancamento dai travestimentiteologici e barocchi del tutto in linea con ilcanone enunciato nei Pensieri e anche mol-to vicino alle posizioni illuministe più diquanto lo stesso Lessing potesse pensare. Chel’esito di questo processo sia un’allegoriasempre e comunque centrata sul modellogreco è, come si è già detto, il limite inevita-bile dell’utopia regressiva winckelmanniana,ma insieme anche il segno e il frutto di unconvincimento fondamentale dell’archeolo-go che percorre e feconda tutta la sua opera:il convincimento cioè che l’allegoria è anti-chissima, che essa risponde al bisogno pri-mordiale di dare corpo e immagine ai con-cetti astratti e tocca problemi fondamentalidel linguaggio e della comunicazione arti-stica presupponendo sempre un altro signi-ficato possibile. Esemplare la sua immaginedel palombaro che non riemerge mai nellostesso punto in cui si è tuffato.Secondo Winckelmann l’allegoria pervenneai greci direttamente dal cuore della civiltàegizia: la loro grandezza era stata quella diaver superato il livello dell’enigma propriodella civiltà allegorica per eccellenza comel’egizia, e di aver reso più semplice e chiarauna modalità espressiva senza rinunciare adun velo, ad un segno, al rinvio ad un senso(“un’allusione ai concetti per mezzo di im-magini”, Saggio, p.36). A suo parere i gio-vani artisti hanno ancora bisogno di un’alle-goria, ma di un’allegoria profondamente di-versa, lontana tanto dall’oscurità egizia quan-to dalle superfetazioni barocche impregnatedi teologia patristica. Il loro compito, insom-ma, è quello di ripercorrere il cammino dichiarificazione che già i greci avevano fattoper superare ‘il momento egizio’ (v. MarioPerniola, Enigmi. Il momento egizio nellasocietà e nell’arte, 1990) e ritrovare così, conun’allegoria rinnovata alle fonti di ogni veraarte, il grande fuoco di Prometeo ( Pensieri,49). Delle tre strade indicate da Winckelmannper la realizzazione di nuove allegorie - quel-la costruita secondo i modelli dell’arte anti-ca, quella di marca antropologica e quellaricavata dalla storia eroica - la prima è quasiun ‘incredibile teoria del riuso e della

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riscrittura.Nella densa introduzione di Elena Agazzisi toccano ancora vari altri punti di grandeinteresse. Per esempio sulla lettura diAugust Wilhelm Schlegel e quella di JohannGottfried Herder, secondo la curatrice il piùintelligente ermeneuta di Winckelmann cheseppe riorganizzare e capire nella sua com-plessità tutto il suo discorso allegorico. Ingrande sintonia con Winckelmann, infatti,anche Herder sentiva l’allegoria come fuo-co vivo e come qualcosa che assomigliavaall’anima nel corpo (v. “die Seele imKörper” , Saggio, 21).Un altro elemento non secondario è il fattoche l’Agazzi ci ricordi in questo contesto ildato spesso dimenticato: Winckelmann erastato studente di “medicina matematica“all’Università di Jena (1741) e da quellostudio aveva ricavato un cospicuo saperenell’ambito delle scienze naturali e dell’an-tropologia. In effetti è bene leggere il Sag-gio anche nei suoi risvolti scientifici, peresempio laddove Winckelmann parla deiparticolari anatomici (la forma degli orec-chi nelle figure dei lottatori, per esempio),oppure laddove postula cognizioni dietologia per la lettura di allegorie animali,essenziali ad evitare gli errori fatti da inter-preti ignari del comportamento animale.Ma, naturalmente, i meriti di un lavorocome questo sono destinati a manifestarsinei tempi lunghi e, ancora una volta, in piùcampi della ricerca; basti pensare ai capi-toli del Saggio come quelli dedicati all’al-legoria nell’architettura, ai colori e ai ma-teriali. Tra i meriti ci sono anche gli inter-rogativi che esso suscita e gli stimoli chetrasmette; sarebbe molto interessante, peresempio, poter approfondire il terzo ele-mento della formula allegoricawinckelmanniana, ovvero quella‘Lieblichkeit’ e amabilità, che suona piut-tosto ‘rococò’ e che ci manda in una dire-zione da esplorare meglio.Per molte ragioni, dunque, questa nuovaedizione avrà lunga vita e segnerà senz’altroun rilancio degli studi winckelmanniani;prima di tutto perché rende accessibile an-

che ai non germanisti uno dei testi principa-li sulla storia e sulla teoria dell’allegoria ein secondo luogo perché Elena Agazzi è riu-scita a schiodare quest’opera da una collo-cazione erudita e a spostare l’attenzione dellettore sugli aspetti teorici ancora vivi e ca-paci di illuminare un pezzo importante distoria della cultura artistica ed estetica tede-sca.

Maria Fancelli

Gotthold Ephraim Lessing, Trattati sullafavola, a cura di Lucia Rodler, Roma,Carocci, 2004, pp. 139, € 12,40.

In una bella edizione dalla copertina colorazzurro cielo vengono pubblicati, per la casaeditrice Carocci, a cura di Lucia Rodler, iTrattati sulla favola di Gotthold EphraimLessing, tradotti qui, per la prima volta, initaliano e pubblicati con testo a fronte qualeprezioso strumento didattico che evidenzia,nei suoi aspetti formali e testuali, i risvoltipedagogici impliciti nell’opera lessinghiana.Nei cinque trattati teorici sul genere lettera-rio di Esopo, Fedro e La Fontaine, Lessingriflette, in un modo suo peculiare, sull’in-tento morale ed educativo della favola, comerileva la curatrice: “Tra John Locke, che con-siderava la favola un utile mezzo per riem-pire la mente vuota dei bambini con buonelezioni di morale, e Jean-Jacques Rousseau,che la detestava per le sottigliezze incom-prensibili al pubblico infantile, Lessing as-sume una posizione intermedia, giudicandola favola una sorta di strumento maieuticoche attiva l’intelligenza morale latente nel-l’uomo” (p. 18).Se il compito più importante della favola èl’educazione dell’individuo - come è noto,essa non si esaurisce nella vicenda narrati-va, ma evidenzia invece un messaggio diordine etico che recupera valori basilari del-l’esistenza dell’uomo -, in vista di questoobiettivo pedagogico Lessing tiene in con-siderazione il noto adagio oraziano dimiscere utile dulci: affinché gli insegnamenti

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tramandati siano veramente duraturi, è ne-cessario che le favole abbiano determinatecaratteristiche di fruizione e di godibilità.E nel rispettare questo magistero, Lessingè fedele al senso etimologico del vocabolo‘favola’ che infatti allude ad un gioco ver-bale, ricollegandosi, per un verso, all’es-senza della comunicazione - ossia alla voceverbale latina del parlare ‘fari’ -, per un al-tro, all’interpretazione della parola fabulacome vezzeggiativo di ‘faba’, il legume colquale i romani si divertivano in un passa-tempo presumibilmente simile a quello deidadi. Giochi e parole: gli insegnamenti piùduraturi si ottengono giocando.Il tema dell’efficacia pedagogica viene af-frontato da Lessing, esplicitamente, nelquinto e ultimo libro che ha per titolo Del-la particolare utilità delle favole nelle scuo-le (pp.131-137), in cui lo scrittore tedescoè antesignano della ‘didattica della fanta-sia’ quale mezzo formativo per svilupparel’ingegno dei fanciulli ovvero, più precisa-mente, per svilupparne le “facoltà cognitivee intuitive” (p. 131), come modernamenteLucia Rodler traduce “gesammteSeelenkräfte” (p. 130). La finalità didatti-ca, sperimentata nelle scuole fin dall’anti-chità, viene considerata dalla curatricecome il fondamento della lezione pedago-gica dei Trattati: “compito del docente sa-rebbe quello di stimolare il ragionamentoinduttivo, con il quale una verità viene trattadalla singola narrazione” (p. 18). Comesappiamo da Quintiliano, secondo cui glistudenti dovevano addestrarsi a riproporrein prosa i versi delle favole, diventando aloro volta autori, Lucia Rodler sottolineala possibilità, esaltata nella favola diLessing, dell’invenzione personale, di quel-la todoroviana ‘letteratura potenziale’(p.18), in cui ogni lettore è, in effetti, un“lector in fabula” che contribuisce a una‘riscrittura’ creativa, in cui il valore del-l’opera finale è quello che egli crea auto-nomamente.Nelle ultime pagine del primo trattato Del-le caratteristiche essenziali della favola(pp. 33-81) viene proposta una sintesi del-

le peculiarità della composizione testualedella favola: “Se noi riconduciamo una mas-sima morale universale a un caso particola-re, se conferiamo a questo caso carattere direaltà e lo trasformiamo in un’azione che facogliere con immediatezza e in modointuitivo questa massima universale, allorala nostra invenzione si chiama favola” (p. 81).La prima di queste condizioni per la realiz-zazione della narrazione favolistica è analiz-zata da Lucia Rodler nel terzo paragrafointroduttivo Il particolare e l’universale (pp.14-17) che dimostra come tutto l’impiantoteorico dei Trattati risenta profondamente deldibattito illuminista tra particolare e univer-sale: “Il generale esiste solo nel particolare epuò essere conosciuto solo nella visioneintuitiva indotta dal particolare” (p. 77). Aquesto riguardo, la procedura logica che avan-za dal particolare all’universale, secondo ilragionamento di tipo induttivo-sperimentaledella cui giustezza Lessing era convinto, èespressione diretta dell’eredità galileiana, chein filosofia raggiunge le conquiste della scien-za e colma il disavanzo di due secoli: “Leinferenze concettuali generali vengono dun-que illustrate per mezzo degli esempi. Poi-ché le discipline scientifiche consistono in taliinferenze concettuali, hanno tutte bisogno diesempi” (p. 77). All’importanza degli ‘esempistorici’ - ossia avvalorati da una concezioneciclica della storia e secondo una suppostasomiglianza di passato e futuro - Lessingoppone il valore del metodo sperimentale cheaddebita veridicità agli eventi in base al prin-cipio di probabilità in quanto “non sempreciò che è storicamente vero è anche probabi-le” (p. 81). Nel testo di Lessing è implicitaun’opposizione costante tra metodo speri-mentale induttivo e logica aristotelicadeduttiva come espressioni inconciliabili del-la categoria di sostanza e della categoria direlazione che suggellano l’abisso tra i mondidell’in se, della trascendenza aristotelica e delper noi del cosmo illuministico.Secondo l’idea della corrispondenza tra sin-gola immagine e verità morale, la curatricemette in evidenza come, essendo la compren-sione umana facilitata dalla presenza di una

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sensazione figurata, la favola assolva, in taleprocesso mentale di concettualizzazione,una funzione cognitiva e modellizzante (p.9). La strada percorsa dalla favolalessinghiana, dunque, va dall’esperienzaverso il concetto e di nuovo verso l’espe-rienza, giacché il concetto è un’astrazionenon di tutta la realtà ma di un fenomeno bendefinito ed è universale in quanto rende in-telligibile quel fenomeno.La seconda condizione menzionata nellasintesi precedentemente citata riguarda l’im-portanza, ai fini della realizzazione dellafavola, della componente ‘evenemenziale’.A coronamento del particolare rifiuto mos-so da Lessing nei confronti dei sentimentiintrospettivi della propria epoca, viene esal-tato nei Trattati il valore supremo, nellanarrazione, dell’azione: le favole hanno unrapporto privilegiato con la realtà a tal pun-to che “la dimensione del reale è talmenteindispensabile alla favola da rendere, senecessario, accettabile un restringimentopreventivo del possibile” (p. 103).La grandezza della favola è per Lessingconcentrata non solo nell’azione ma soprat-tutto nella sua immediatezza: “La conoscen-za basata sulla visione diretta risulta chiaraintuitivamente, mentre quella basata sul ra-gionamento concettuale deriva la propriachiarezza da quella intuitiva” (p. 75).L’ultima condizione menzionata, e anche lapiù importante, perché si realizzi una favo-la efficace, secondo i parametri lessinghiani,consiste nella realizzazione immediata delmessaggio (p. 95). L’idea della compren-sione intuitiva e dell’immediatezza narrati-va viene esplicata attraverso la descrizionedi una favola ‘variopinta’ in cui un castoro,per timore di essere evirato, si autoinfliggela pena della castrazione pur di sfuggire aisuoi predatori. Anche in questo caso Lessingconferma l’importanza del procedimentoinduttivo al fine dell’efficacia narrativa:“quello che viene attribuito all’intero gene-re dei castori avrebbe dovuto riferirsi a unsolo castoro per risultare favola” (p. 73).Sempre riguardo all’immediatezza narrati-va, Lucia Rodler nota che (p. 7) la scelta

della prosa, piuttosto che della rima comenorma espressiva e stilistico-compositiva, siinscrive nella volontà di puntare all’essen-ziale, evitando gli orpelli, come ammonivaLessing nella famosa favola Der Besitzerdes Bogens - exemplum di brevità e con-danna della poesia ornamentale (p. 123) -in cui un arco ben levigato in superficie, perla sua debolezza, si spezza. A questo riguar-do, Lessing, citando e discutendo pregi edifetti della nota triade di La Fontaine, Fedroed Esopo (in Della narrazione favolistica,pp.115-129), si pone agli antipodi di LaFontaine di cui condanna gli ‘abbellimentipoetici’ laddove si rifà alle favole esopianeper sottolineare il valore della laconicitàsemplice e rigorosa (p. 7): “ogni abbellimen-to risulta incompatibile con la vera naturadella favola” (p. 121). Concisione e brevitàsono conditio sine qua non per realizzarefavole efficaci e sensate: “per giungere allacomprensione intuitiva di una verità mora-le grazie a una favola, devo poterla abbrac-ciare tutta con un solo sguardo, ma ciò ri-sulta possibile solo in caso di massima con-cisione. Poiché ogni orpello nuoce alla bre-vità, ostacola pure l’intenzione della favo-la, risultando un’appendice insensata” (p.121).Il rinomato principio lessinghiano dellamassima chiarezza generatrice di supremabellezza si ripropone, in tutta la sua forzarazionalistica, nelle favole e non è per merocaso che Lessing, oltre che come favolista,si occupi delle favole anche da un punto divista teorico, esprimendo quella predilezio-ne illuministica per esse, e trascurando ilgenere “non paiedeutico” (p. 19) della fia-ba, più legato al meraviglioso, poi rivaluta-to nell’Ottocento.Chiarezza e ordine espositivo caratterizza-no, oltre che le riflessioni teoretiche dei Trat-tati, anche la struttura stessa del volume edelle sue caratteristiche editoriali, a partiredall’Introduzione che è corredata da un uti-le ed esauriente apparato bibliografico suidiversi macro-argomenti trattati (pp. 19-24)e da un’Avvertenza alla traduzione (p. 29)in cui al lettore, con precisione filologica,

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vengono dati ragguagli su alcune modifi-che testuali. Il saggio introduttivo è carat-terizzato complessivamente da pregiantitetici. Da una parte vi è un’estremaschematicità, secondo quel gusto per la clas-sificazione che rispecchia anche le caratte-ristiche contenutistiche dei Trattati (adesempio, in Della classificazione delle fa-vole, dove Lessing cataloga le favole insemplici, composte, dirette, indirette, razio-nali, etiche, miste, mitiche, iperfisiche, di-vine, animali, pp. 95-114) e che segue, dipari passo, i capitoli di Lessing, come nelcaso del secondo paragrafo introduttivo,Caratteristiche degli animali favolistici (pp.10-14), che fa da ideale pendant al secondolibro Dell’uso degli animali nella favola(pp. 83-95).Allo stesso tempo l’Introduzione non restaintrappolata nelle maglie della disciplinaspecialistica, essendo vivacizzata dapindarici collegamenti intertestuali. Peresempio, sempre a proposito del tema del-lo zoomorfismo, la curatrice ricollega la fi-gura della Pamela di Richardson alla notaimmagine della cicala affamata e vergogno-sa che finisce per chiedere la carità ai geni-tori, impersonati dalle formiche industrio-se (p. 15), quasi a confermare che, quandosi tratta di favole, l’universalità e il valoremodellistico, sono validi diacronicamentee interdisciplinarmente.Sempre in considerazione del tema dellozoomorfismo, Lessing ribadisce l’importan-za del pregio retorico della chiarezza: glianimali nelle favole sono indispensabiliperché sono tipologici, in altre parole indi-cano caratteri simili all’uomo, sono univer-salmente noti e immutabili e fanno così as-surgere a una comprensione intuitiva: “ilfavolista preferisce spesso e volentieri glianimali agli uomini per raggiungere il suoscopo: alcuni aspetti caratteristici comu-nemente attribuiti agli animali risultano uni-versalmente conosciuti” (p. 89). A differen-za di similitudini condotte sulla base di per-sonaggi storici, “di un Britannico o di unNerone” (p. 89), che porterebbero un pub-blico non erudito all’incomprensione, l’im-

piego di animali nella narrazione favolisticariveste un vantaggio sicuro: “Parlando inve-ce del lupo e dell’agnello, nessuno dubita dinulla. Evocando immediatamente immaginicerte, queste parole favoriscono quella com-prensione intuitiva che viene intralciata daquei nomi che restano in parte sconosciutianche a coloro che ne hanno una vaga idea”(p. 89). La favola zoomorfa, (p. 10) come pleona-sticamete Rodler designa il genere che è, persua definizione, caratterizzato dalla presen-za di animali, si lega allo studio dellafisiognomica zoomorfica detta anche analo-gica che, combinando giudizi su uomini eanimali e studiando il rapporto tra corpo eanima (p. 9), costituisce il precipuo campodi ricerca della studiosa (come testimonianole sue precedenti monografie I silenzi mimicidel volto. Studi sulla tradizione fisiognomicaitaliana tra Cinque e Seicento, Pisa 1991; eIl corpo specchio dell’anima. Teoria e storiadella fisiognomica, Milano 2000). Già in pre-cedenza, Lea Ritter Santini in Lessing e levespe. Il viaggio in Italia di un illuminista,(Bologna 1991) aveva sottolineato lacentralità dei personaggi zoomorfi e dellafunzione allegorica del testo nella favolisticalessinghiana. La favola di Lessing oggettodello studio prendeva di mira la boria degliallora moderni italiani che, vantandosi di di-scendere dagli antichi romani, venivano pa-ragonati a vespe che, uscendo dalla carognadi un cavallo, esclamavano: “Da quale nobi-le animale abbiamo tratto origine!”.Se la favola è, per definizione, zoomorfa eanche allegorica (sotto il velo dell’allegoriaè contenuta sempre una verità morale chegeneralmente è espressa in conclusione del-la storia nella morale della favola) tuttaviaLessing critica proprio l’interpretazione del-la favola in chiave allegorica, sia come figu-ra retorica che come modus cogitandi me-dievale, a cui visibilmente l’illuminista tede-sco si oppone in virtù della chiarezzaespositiva.Le obiezioni che Lessing solleva alla conce-zione della favola allegorica sono sistemati-che (“Questo termine inconsueto, cui pochi

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associano un concetto ben definito, dovreb-be essere bandito da una buona definizio-ne” p. 38) e si riferiscono anche a casi spe-cifici, come a La Motte che viene biasima-to idealmente: “Dove crede di andare conl’allegoria?” (p. 39).Con ciò, oltre a disprezzare l’allegoria in-criminandola di causare quello iato danno-so tra il particolare e l’universale, Lessingla tacciava anche del peggior vizio e cioè dinon essere un concetto ben definito, ovve-ro di essere un artificio retorico dalle carat-teristiche opposte a quelle da lui predilettedi immediatezza e chiarezza.A sostegno dell’importanza dell’apprendi-mento per intuizione, è necessario che lefavole non siano allegoriche, giacché il va-lore di una favola viene distrutto se qualcu-no ne chiarisce dettagliatamente il signifi-cato. Tutte le favole che si rispettino sonosignificanti a molti livelli e soltanto il letto-re può sapere quale importanza abbiano perlui in un dato momento. La scoperta di si-gnificati in precedenza nascosti di una fa-vola si trasforma in un conseguimento spon-taneo e intuitivo e che solo allora acquistapiena importanza, trasformando la favola,da qualcosa di consegnato, a qualcosa cheegli crea in parte autonomamente. A propo-sito della ricezione, nel paragrafo finaledell’Introduzione, Lucia Rodler commentaanche le vicende non propriamente favore-voli alla diffusione dell’opera di Lessing:Un genere marginale (pp. 17-19) scrive ella,provocatoriamente, ammiccando al lettoreideale che sa di dover capovolgere il sensodell’enunciato, ben consapevole della na-tura filosofica della favola.Il valore filosofico dei Trattati, già discus-so e sottolineato nel primo paragrafointroduttivo Favola e filosofia (pp. 7-10),viene esaltato per una duplice ragione: dauna parte la discussione sul generefavolistico coinvolge la natura generale diquestioni filosofico-letterarie (allegoria,azione morale, comprensione intuitiva,zoomorfismo, verosimiglianza, pedagogia),da un’altra, il modello esopico di riferimen-to fa considerare la favola come “dettato

senza orpelli di una narrazione filosofica insenso morale” (p. 8). Occuparsi delle favo-le di Lessing significa, dunque, occuparsidi questioni filosofiche, estetiche e anchedi problemi direttamente legati alla condi-zione umana: la discussione sul generefavolistico implica sempre un modo di con-cepire la realtà giacché le favole, come con-siderava Lessing, come simboli diaccadimenti (p. 135) o problemi psicologi-ci, sono sempre veritiere.A proposito del valore simbolico di favolee fiabe, vale la pena ricordare la suggestivaosservazione di Bruno Bettelheim in meri-to alle situazioni di difficoltà raffiguratedallo smarrimento in un bosco. Secondo lostudioso viennese la forza simbolica di talistorie è tale da incidere profondamente nel-la coscienza di chiunque le abbia ascoltate:“l’immagine e la sensazione di essere spersoin una fitta e oscura foresta sono indimenti-cabili”.Traducendo i processi interiori in immagi-ni, favole e fiabe, in questo simili, dannoevidenza a importanti sentimenti, incorag-giano intuizioni, nutrono speranze e aiuta-no nella ricerca di soluzioni ai dilemmi chela vita pone; pur avendo subito notevolimutamenti rispetto al passato, mantengonoancor oggi il loro valore simbolico e offro-no un indeclinabile invito a riflettere sucomportamenti, sentimenti, azioni, su pre-gi e difetti umani.

Paola Di Mauro

Gottfried Keller, Sette Leggende, a cura diAnna Rosa Azzone Zweifel, con testo afronte, Venezia, Marsilio, 2004, pp. 256, €13, 00

La pubblicazione per i tipi della Marsiliodelle Sette leggende di Gottfried Keller, cu-rate e tradotte da Anna Rosa AzzoneZweifel, continua un’assai meritoria impre-sa – che è insieme di riproposta e di aggior-nata rivisitazione critica dell’opera delloscrittore svizzero – avviata dalla studiosa

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già nel ’92 con una sua fondamentale edi-zione del racconto kelleriano Romeo eGiulietta nel villaggio. A darci ora la misu-ra della novità e dell’importanza di questasua nuova fatica basterebbe anche solo unarapida ricognizione dei risultati critici rag-giunti dalla nostra germanistica su que-st’opera, che solo l’edizione della Zweifelrestituisce per la prima volta al lettore ita-liano, oltre che in una traduzione di tersabellezza, anche – ed in questo ci pare con-sista il suo maggior pregio – in tutta la suasegreta, sotterranea, ma non per questomeno corposa ricchezza di motivi ideologi-ci e filosofici. “È probabile – scrive infattila Zweifel – che chi affronta per la primavolta le leggende kelleriane resti soprattut-to affascinato dalla “levità immateriale del-le immagini e del linguaggio”, dalla fanta-sia inventiva e dal gioco ironico che Kellerconduce con gli stereotipi della letteraturadevozionale. Ma come la critica – soprat-tutto più recente – non si stanca di afferma-re, le aeree leggende di Keller sono un’ope-ra estremamente complessa e dalle radiciprofonde e ben ramificate. Si tratta però diuna complessità e di uno spessore del testoper più aspetti non facilmente rilevabili dachi non abbia una conoscenza della vita diKeller, dell’insieme della sua produzioneletteraria e del contesto culturale e storicoin cui il percorso dell’autore e della sua ope-ra si sono delineati” (p. 36).Ora, è appunto su una tale complessità diradici e di debiti culturali che l’edizionedella Zweifel getta una luce per molti versirivelatrice. In particolare, è sul capitolo deldecisivo influsso feuerbachiano nella genesied ideazione stessa di queste Legenden chesembra soffermarsi maggiormente la studio-sa: un capitolo probabilmente un po’ trascu-rato dalla germanistica italiana (se si eccet-tuano forse le pagine del Farinelli prima edella Accolti-Egg dopo), generalmenteorientata verso una lettura della raccolta at-tenta soprattutto ai suoi caratteri ora di idil-lio pacificatore (Amoroso) ora di un giuo-co disinteressato (Sàito). Si vorrebbe darconto qui, seppur brevemente, di queste due

tra le più autorevoli letture critiche italianedelle Legenden, perché proprio rispetto adesse ci pare si possa cogliere meglio la novi-tà dell’interpretazione della Zweifel.E diremo prima della lettura in chiave idilli-ca di Ferruccio Amoroso (1942) per la qua-le, in generale, nell’arte di Keller il “conte-nuto fatto risaltare in sé e per sé” – e nel qua-le la forma sembra risolversi senza residui –viene fatto consistere in ultima analisi inun’intima, pacificatrice disposizione delloscrittore a tutto accogliere e raccogliere insé, a comporre ogni contrasto nel miracolo-so equilibrio della sua anima. Lettura lirica,questa, che portava l’Amoroso a leggere nelleLegenden un giuoco della fantasia in cui leimmagini, le forme e i simboli religiosi mos-si e manipolati dallo scrittore davano vita adun “capolavoro di recitazione”. I grandi temidella raccolta – l’umano e il divino, il sacroed il profano – venivano esaminati quali sem-plici “variazioni” di una medesima realtà idil-lica. Ne veniva un’interpretazione delle Leg-gende come di un giuoco, “quasi un compia-cersi pittorico di gamme opposte nel regnodello spirito”, per la quale il trascen-dentalismo non si risolve dunquenell’immanentismo feuerbachiano, ma valesolo a conferire come per contrasto più “co-lore e sapore” alla vita terrena. Il giuocostilistico della mutua e perenne risoluzione –che è anche metamorfica riconversione – delmondo spirituale in quello terreno e vicever-sa, è qui interpretato nell’ottica di volta involta idillica o ludica di uno Spielen disinte-ressato, nel quale “come non c’è un parteg-giare del poeta per il trascendentalismo ol’immanentismo, così non c’è una visione chesuperi in una sintesi le due antitetiche visio-ni; né tanto meno, un travaglio irresoluto frai due mondi opposti.”Nel capitolo della sua Interpretazione delKeller (1956) dedicato alle Legenden, NelloSàito, analizzando La piccola leggenda del-la danza, scriveva: “Quel cielo e infernointercomunicanti, come per uno stretto cor-ridoio; e alla fine il cielo che alla morte diMusa si apre come gli sportelli di un arma-dio ‘und jedermann konnte hineinsehen’,

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hanno in se stessi l’unica ragione di vita edesulano coi loro contrari da qualsiasi sim-bolismo o amplificazione a Weltan-schauungen opposte”. Sàito negava così altesto ogni programmatica intenzione pole-mica, “addirittura antiteologica, a sostegnodi una Weltanschauung feuerbachiana” sot-tolineandone piuttosto il carattere di unharmloses Spiel reso possibile dall’ormaiassoluto dominio kelleriano del propriostrumento espressivo. Lettura, questa, chenon poteva conciliarsi con la stessa conce-zione estetico-filosofica dello scrittore, cer-tamente alieno dal voler ridurre l’arte aduna sorta di più o meno ludica esercitazio-ne di stile fine a se stessa o ad una fuga –estetizzante o idillizzante che fosse – dallarealtà: fuga che avrebbe in fondo ripostulatonuove ‘trascendenze’ allontanandolo daquell’unica, profonda ed intera realtà mon-dana, dal contatto con la quale soltanto riu-sciva a Keller di trovare gli accenti più altie più puri della sua poesia. Ora, è propriola Zweifel a suggerirci il rifiuto di un’in-terpretazione in fondo estetizzante delleLegenden, laddove interpreta assai acuta-mente la desolata armonia delle danze ce-lesti che chiudono e ‘concludono’ – e nonper caso – insieme con l’ultima delle Leg-gende, anche l’intero ciclo, come la meta-fora poetica di un’Arte pura, che, per esse-re tale, appunto, deve aver rimosso o di-menticato tutto il terreno carico di sensibi-lità e di sofferenza degli uomini: un’Arteche non potendo attingere dunque la sua piùprofonda giustificazione alla stessa “so-vrabbondante” (Keller) fonte della vita, fi-nisce anch’essa fatalmente per porsi comel’ennesimo Jenseits, splendido nelle forme,nel ritmo e nella sua perfetta conclusione,eppure così atono, vuoto e freddo in quellasua armonia eternamente sospesa, circola-re e come stupefatta di sé. Ma sarà beneleggere a questo punto le limpide righe dellaZweifel: “La cacciata dal Paradiso delleMuse […] delinea anche il Paradiso comespazio della dimenticanza: della rimozionedella sofferenza umana. Ritornano la pacee la quiete, riprendono, serene, le danze. Ma

musica, ballo e pace sono possibili solo alprezzo di negazione, separatezza, ignoran-za. Dove per la leggenda cristiana vi è – vidovrebbe essere – la festa eterna e una feli-ce smemoratezza, per il laico Keller vi sonosoltanto silenzio e assenza. L’arte che canta(e ricorda) il dolore dell’uomo va relegataaltrove” (p. 35). Si sarebbe tentati di rico-noscere in questo ‘cantare’ (quasi di “pro-sa-poesia”, come l’ha definita l’Amoroso)e ‘ricordare’ – in un presente di rinuncia – ildolore dell’uomo, ma, insieme e proprio perciò, anche tutta la sua vitale ed affermativapienezza, la stessa nota fondamentale delrealismo kelleriano, in tutto quanto essosottende di profondamente antiromantico.Potremmo infatti veder simboleggiata nelsordo e imperturbato Gleichmut dell’armo-nia celeste l’astratta ‘sostanza’ medesima delromantico, nostalgico indugio nelle superio-ri regioni dell’Ideale. Alla romantica fuganell’Arte – sembra poterci suggerire laZweifel – che è anch’essa, in fondo,Entfremdung - alienazione in sensofeuerbachiano - proiezione di sé in un Idea-le non ancora calato nel Reale, sottentra in-somma nello scrittore la ferma e virileEntsagung. Entsagung che segna costante-mente tutta la vita di Keller e che s’imponeanche nella sfera di quell’Amore, tema an-ch’esso squisitamente romantico, che nonper caso lo scrittore non conobbe se non in-felice. La rinuncia kelleriana si converte così– ma potremmo dire anche che si ‘invera’ –in una Lebensbejahung gioiosa edisincantata a un tempo. Keller siriappropria della sua essenza più profondae, con essa, di una Weltanschauung che in-trinsecamente la giustifichi. Proprio il fer-vido attaccamento ad una tale concezionedel mondo rende possibile la fusione – noncerto estetizzante – tra i due mondi, una fu-sione che si rivela in definitiva come lo stes-so approfondirsi – e vieppiù radicarsi nellaterrestrità – di quella Sehnsucht dello scrit-tore questa volta indirizzata verso la terra(la Sehnsucht nach der Welt di Die Jungfrauund die Nonne) che è insieme volontà d’ade-rire ad essa sempre più profondamente.

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Questo intrinseco e come necessario radi-carsi delle Legenden in una Weltan-schauung spiega anche – sembra suggerircila Zweifel – la segreta affinità della raccol-ta con l’Heinrich e le coeve novelle. Scriveinfatti la studiosa: “Chi conosce l’opera diKeller si trova a riempire continuamente ilquadro, ad aggiungere completezza e sensoalle figure gentili che si muovono, ora, nonpiù nella storia confusa e contraddittoria, manei percorsi semplici tracciati su di un lu-minosissimo ‘fondo oro’” (p. 37). Intuizio-ne preziosa, questa della Zweifel, che, rav-visando proprio nelle Legenden un “fittotessuto di richiami e di rimandi” segreta-mente allusivi alle altre opere, invita così –diversamente che dalla critica precedente –ad una lettura unitaria dell’intera produzio-ne dello scrittore. L’analisi di certe più se-grete zone della psicologia kelleriana, chela Zweifel compie anche sulla scorta dellaletteratura critica tedesca di tipopsicoanalitico, ci sollecita ad una più pro-fonda comprensione dell’intima e soffertascaturigine personale-esistenziale della rac-colta. La studiosa ravvisa infatti nel tessutostesso delle poetiche immagini delleLegenden la simbolica trascrizionedell’Entsagung dello scrittore, chiave delresto alla comprensione di quellaWeltanschauung che ne è insieme, edinscindibilmente, il fondamento etico-filo-sofico e l’amplificato riflesso cosmico-ar-tistico. Ora è proprio questa intera presen-za dello scrittore nella sua opera che sem-bra sconfessare la validità di ogni letturatendente a ravvisare in essa solo un eserci-zio di stile o una prova di abilità narrativa.Non ci spingeremo sino ad affermare con ilMeync che le Legenden “sono l’espressio-ne più alta della purificata Weltanschauung”kelleriana. Certamente in esse, più forse chenell’Heinrich, che tiene sempre un po’ deldocumento autobiografico, confluisce e siespande con perfetta misura – come in uncompendioso microcosmo artistico – l’in-tera personalità umana dello scrittore. Nel-le Legenden sembra davvero realizzarsil’apparire sensibile delle idee dello scritto-

re. Ma appunto una tale densità di contenutoci sembra essere stata un po’ trascurata dallagermanistica italiana sull’argomento. Bastianalizzare ad esempio l’argomentazione ad-dotta da Sàito nello spiegare la genesi e ildisegno dell’opera per rendersene perfetta-mente conto. Se per Kosegarten - come so-stiene Sàito - la primitiva semplicità delleleggende non ammetteva una Ver-dolmeltschung, vale a dire una loro “trascri-zione in un linguaggio moderno” – operazio-ne possibile, invece, per “alcuni padri dellaChiesa, famosi per le loro Stilübungen, perle loro esercitazioni stilistiche”, Keller – so-stiene Sàito – volle in fondo dimostrare conle Sette leggende che questa trascrizione, alcontrario, era possibile, abbandonandosi,s’intende, “al suo estro, alla sua bravura, ediciamo anche alla sua monelleria d’artista”.La polemica kelleriana nei confronti delKosegarten s’invera così e risolve quasi in-teramente nello stile: “anche nello stile e di-rei quasi con il solo stile – afferma infattiSàito – si può fare della polemica.” Lo stu-dioso conclude perciò la sua riflessione conla recisa affermazione secondo la quale“Feuerbach con il cui nome ognuno comin-cia a parlare delle Leggende c’entra in defi-nitiva assai poco anche se le Leggende furo-no iniziate in quel periodo berlinese duranteil quale l’influenza di Feuerbach perdurava.”Ora è appunto la Zweifel a farci avvertiti delben diverso ‘trattamento’ kelleriano del te-sto del fanatico pastore protestante. Lungi dalvoler ingaggiare con il Kosegartchen unasorta di ‘tenzone’ poetico-stilistica e dal vo-ler esibire così le proprie capacità di rivisita-re – vivacizzandola e ‘modernizzandola’ congli Schnörkel d’una sua umorosa fantasia –la grigia compilazione del predicatore, Keller,“scrittore convertito all’ateismo” (p. 27), ri-balta invece il sistema stesso di quei valori,demistificandoli, per così dire, dall’interno,e costruendo una sorta di polemica eprogrammatica Antilegende.Certo, la studiosa non manca di riconoscerealle Legenden il loro carattere di un giuocoironico dettato dal ritmo talora concitato del-la fantasia dello scrittore. Scrive ad esempio

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la studiosa, proprio a proposito del perso-naggio del frate Vitale: “È davvero troppoirruente e comicamente affannato per fun-gere da produttore di qualsivogliaexemplum, sia che lo si intenda in positivoche in negativo, da un’ottica tradizionale oda quella feuerbachiana: troppi agguati efughe, troppo divertimento nelle lotte conle etere così proterve e che rifiutano cosìtenacemente di essere salvate. Lacontrapposizione delle Weltanschauungen,le punte polemiche dell’antileggenda, leintenzioni anticlericali restano per così direimbrigliate dalle mille mosse del gioco cheKeller conduce con estro, bravura e“monelleria d’artista” con la sua materianarrativa e con il linguaggio” (p. 29). Qui,però, non ci sembra che la studiosa vogliaalludere ad una ‘negazione’ o ‘sospensio-ne’ delle intenzioni ideologico-polemichedelle Legenden – quasi fossero condizionisine qua non di un più schietto e libero ab-bandono al puro piacere della narrazione –ma semmai ad un loro successivosmussamento e adattamento, ad una loroprogressiva ‘correzione’ e fluidificazione –in un senso che si vorrebbe dire ‘realistico-fantastico’ – di quanto di troppo astrattopersisteva ancora in esse. Quanto più insom-ma Keller cala nell’immanenza del suo fareestetico quelle intenzioni polemiche, tantopiù profondamente queste si risolvono nel-l’intimo tessuto della narrazione – e del suostile –, sì da dare un senso più robusto allasua stessa Lust zu fabulieren ed un caratte-re di realismo alla sua invenzione. La libe-razione dai vincoli della necessità, conse-guita da Keller attraverso il ricorso alla for-ma della leggenda, invece che dare ali aduna fantasia arbitraria ed astratta, unifica ericompone i termini del desiderio e della suarealizzazione, interni entrambi all’orizzon-te terreno, ma metaforizzati qui dalla terrae dal cielo, da un Jenseits e Diesseits chescavano il loro solo apparente iato nell’ani-ma stessa dello scrittore. Keller sembra re-alizzare proprio nell’atto della fantastica erealistica concrezione estetica dei suoi de-sideri ed impulsi più profondi, la miracolo-

sa e lieve – perché naturalissima – coinci-denza dei due mondi. Potremmo anche direche il movimento stesso della fantasiakelleriana non mima e ‘ripete’ se non l’in-terna e autentica dialettica dei due mondi.Ed è questa la via attraverso la quale l’uo-mo Keller realizza se stesso come essere ilpiù possibile reale, completo, perfetto. Lalettura in chiave psicoanalitica evocata dal-la Zweifel è in tal senso rivelatrice: “La for-ma della leggenda permette a Keller di usci-re dalle leggi della necessità; a livello per-sonale questo significa la possibilità di ot-tenere con la scrittura il risarcimento per idanni che la vita gli ha arrecato, di ipotizza-re, nella realtà creata dal testo, la soluzioneall’infelicità della sua vita irrisolta” (p. 30).Qui si coglie subito un’analogia interna, in-trinseca, ancora una volta necessaria con levicende dei personaggi di queste Legenden.Le storie stesse narrate da Keller non sonoinfatti che storie del progressivo prendercorpo, fluidità, consistenza e pienezza deiloro attori. L’incapacità del frate Vitale, nellaleggenda a lui intitolata, anche solo di sug-gerire con il suo comportamento nuoviexempla virtutis, lungi dal rivelarsi come undimidiamento delle sue facoltà, costituisceal contrario la premessa stessa di una lorointensificazione e quindi piena affermazio-ne. La felice immersione nel ritmo natura-le-cosmico della realtà terrena (di cui l’af-fannarsi ed il fuggire di Vitale non è che ilsintomo più irrefutabile) è ciò che conduceil frate al suo sviluppo più completo comeuomo, ma insieme anche come personag-gio della fantasia dello scrittore: una fanta-sia realistica, dunque, che ‘compie’ e con-duce ad autonoma perfezione estetica le pro-prie figurazioni. Ancora una volta – come èsempre per i grandi realisti – non l’astrattae meccanica Einbildungskraft, ma larealistica Phantasie sembrerebbe dunquepresiedere alla creazione del mondo artisti-co kelleriano. Il ritmo degli agguati e dellefughe che anima e percorre così irresistibil-mente la leggenda di Fra Vitale è insomma– assai più che non un meccanico espedien-te atto a render maggiormente vivace, im-

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prevedibile e divertente la successione de-gli eventi – , ciò che restituisce invece alprotagonista, insieme con la sua misuraumana più perfetta, anche la sua più com-piuta perfezione estetica di creatura salda,palpitante, corporea perché felicementeimmersa e radicata nel proprio humus as-solutamente terreno, finalmente riguada-gnato intero.La sottolineatura della complessità delleLegenden culmina nell’analisi del rappor-to Feuerbach-Keller: assai interessante cisembra il richiamo, oltre che allafrequentazione kelleriana delle lezioniheidelberghesi del filosofo (1848), ancheall’incontro decisivo dello scrittore conun’opera minore di Feuerbach – il saggioÜber den Marienkultus, scritto nel 1842 epubblicato nel 1846 – che, come dice lastessa Zweifel, “svolge un ruolo importan-te nell’ideazione stessa delle Sette Leggen-de e nel vario articolarsi di quelle mutazio-ni e metamorfosi con cui le leggende cri-stiane si trasformano in leggende kellerianee laiche” (p. 15). Qui, come si vede, la stra-tegia stilistico-letteraria della riconversionemetamorfica del sacro nel profano vienedunque ad essere suggerita dal modello diuna precisa fonte filosofica. Il saggiofeuerbachiano tratta del culto mariano cosìcome veniva praticato dalle congregazionimariane dei gesuiti bavaresi, e contiene –come afferma la Zweifel – una spietata cri-tica delle “degenerazioni cui questo cultopuò portare (e che Feuerbach individua nell’‘esaltazione della castità, e di ogni possibi-le mortificazione della carne, di astinenzae castrazione’) e del ‘fanatismo bestiale,che, da parte dei gesuiti bavaresi, lo accom-pagna’” (p. 15). L’immagine della Verginecui ci si riferisce in questo caso è “indisso-lubilmente legata al pensiero o al ricordodi […] pratiche di autocastrazione innatu-rali, esecrabili e ripugnanti” (p. 15). LaZweifel si sofferma poi sulla parte inizialedel trattato di Feuerbach, “dedicata ad unaraccolta di poesie e leggende della Vergineredatta da Eusebius Emmeran nel 1841”,nella quale ad emergere è invece un’imma-

gine di Maria radicalmente contrapposta aquella “negativa e castrante appena delinea-ta” (p. 16). La Madonna assomiglia qui stra-ordinariamente ad una sorta di Venere cristia-na, una “dea della bellezza – scrive lo stessoEmmeran – dell’amore, dell’umanità, dellanatura, della libertà da dogmi” (p. 16). Im-magine, questa, che, sostiene la Zweifel,Feuerbach non solo ammira, ma che da filo-sofo ateo prende in attenta considerazionequale poetica proiezione dell’immaginario.L’ultima raffigurazione presa in considera-zione dal filosofo è quella che “sgorga ‘dalcuore del popolo’ [Feuerbach]”, e per la qua-le Maria viene a rappresentare, secondo quan-to afferma lo stesso Feuerbach citato dallaZweifel, “il rifugio dei peccatori, degli op-pressi e di coloro che sono nel dolore”. “Maanche, scrive sempre la Zweifel, in quantorappresenta ‘la donna’, ‘l’elemento femmi-nile’, Maria diventa una figura dicontrapposizione rispetto alla ‘limitatezzadell’ortodossia protestante e del pietismo’”(p. 16).Ed è questa l’immagine che, secondo laZweifel, entra direttamente nel mondo diKeller: quella che fa di Maria un simbolo al-tamente poetico dell’“umiltà, clemenza, bon-tà, pazienza, amore e misericordia” (p. 17):sentimenti e loro sfumature da Feuerbachcontrapposti, secondo quanto ci ricorda laZweifel, “al dispotismo morale, lordo di san-gue, delle divinità maschili” (p. 17). Ma pre-ziosi rilievi critici sul tema del rapporto traFeuerbach e lo scrittore svizzero, mutuatispesso dalla critica tedesca su Keller, nonmancano neppure laddove la curatrice passaad analizzare (esponendone insieme il con-tenuto narrativo) le singole leggende. Ravvi-sa così, nella prima di esse, Eugenia – sullascorta dello studio del Renz – nient’altro che“il disporsi in fabula del pensiero diFeuerbach sull’estraniamento che filosofia ereligione determinano nell’uomo” (p. 20) onella leggenda di Fra Vitale l’impostazionefeuerbachiana del tema dell’individuazionee distinzione dei sessi. La studiosa dimostraancora come la stessa concezione – ma an-che poetica rappresentazione – del miracolo

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nelle Leggende di Keller, sia ancora unavolta, e decisivamente, influenzata da pre-cise intuizioni filosofiche di Feuerbach.“Per quest’ultimo il miracolo è infatti, comeci ricorda la Zweifel, il frutto di un’imma-ginazione che, sola, rimuovendo le leggi ele costrizioni che ‘feriscono l’animo garan-tisce all’uomo – scrive lo stesso Feuerbach– il soddisfacimento illimitato e immedia-to dei suoi desideri più soggettivi’” (p. 26);proprio a questo proposito la Zweifel nonmanca di citare dal Bentz di Form undStruktur der “Sieben Legenden” GottfriedKellers – “che, scrive la Zweifel, alle tesidi Feuerbach dedica parte importante delsuo documentatissimo lavoro” (p. 43) – unasplendida e poetica definizione feuer-bachiana del miracolo come di un “deside-rio soprannaturale realizzato” (p. 26): essoinfatti, scrive la Zweifel, non è “un premioper avere represso un desiderio terreno infavore di una ricompensa divina, ma l’esal-tazione di quei bisogni istintuali e di quellapienezza vitale che Kosegarten e, nell’ana-lisi di Feuerbach, i gesuiti bavaresi aveva-no così aspramente condannato” (p. 27). Esempre trattando tale argomento la Zweifelci ricorda, ancora sulla scia del Bentz,l’idea, definita da Feuerbach in una notaall’Essenza del Cristianesimo, del miraco-lo come di una trasformazione del “severocodice della natura in un gioioso libro difiabe” (p. 27): una definizione che infinesembra evocare l’atmosfera e insieme com-pendiare il senso ultimo e più segreto delmondo, della vita e dell’arte – che sono tut-t’uno – di Gottfried Keller. Non è infatti,questo di Feuerbach, lo stesso gioioso ‘li-bro’ scritto da Keller, il libro della natura edella terra, che nella “fiaba” della bellezza– che è anche bellezza della fiaba –attingono infine la loro essenza più profon-da?

Giuseppe Tinè

Roberta Ascarelli, La decadenza delle buo-ne maniere. Hugo von Hofmannsthal incon-tra Stefan George, Arezzo, 2003, pp. 200,€ 15

Un ossimoro è il protagonista dell’ ultimolibro di Roberta Ascarelli, La decadenzadelle buone maniere. Hugo vonHofmannsthal incontra Stefan George. Ecome tutti gli ossimori ha dato molto dapensare alla critica e prima ancora ai prota-gonisti di quell’incontro che Ascarelli giu-stamente definisce “solitario”: Hugo vonHofmannsthal e Stefan George. Retrospet-tivamente questo “incontro solitario” e labrusca rottura che ne seguì appaiono inevi-tabili. Il mondo di Hofmannsthal è un mon-do teatrale, che ruota attorno alla tradizio-ne austriaca, barocca e cattolica, ma che nelsuo “Gleiten” ha fatto propria la sensibilitàdei moderni. Il mondo di George è un mon-do che intende invece fondare una nuovatradizione e che non ne presuppone nessu-na e in ciò, come sapeva Hofmannsthal, èun mondo tedesco, che procede a violenterotture, a strappi. Ha inoltre venature paga-ne, è lontano dalla modernità, e ostile, comesi sa, al teatro, alla scena, alla rappresenta-zione, dimensioni invece hofmannsthalianee austriache per eccellenza. Eppure George,che a Vienna visse qualche mese nell’ au-tunno-inverno del 1891 in un quasi totaleisolamento spirituale, vide nel giovanissi-mo Loris qualcuno con cui avviare un so-dalizio poetico nel mondo di lingua tedescaanche perché in lui, più che nei letteratiche circondavano Bahr, scorgeva una sen-sibilità più vicina a quel simbolismo cheaveva amato e conosciuto in Francia. L’in-contro sembrava nascere così sotto i miglioriauspici.Un incontro che Roberta Ascarelli ricostrui-sce soprattutto nella prospettiva diHofmannsthal, e che la nostra germanistautilizza per porre in una nuova luce - grazieanche a un interessantissimo materiale ine-dito frutto di anni di lavoro sullo scrittoreaustriaco- la formazione del giovaneHofmannsthal, che è l’obiettivo ultimo del-

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la sua ricerca. Ascarelli sa ricostruire molto bene l’ am-biente dei giovani intellettuali, per la mag-gior parte ebrei, nati in Austria dopo il 1870,in un luogo non solo prossimo alla fine, main cui le debolezze della borghesia erano piùstrutturali, così che la fine del liberalismocoincideva, oltre che con l’incipiente societàdi massa, con movimenti antiliberali,anticapitalisti e antisemiti.La ribellione deifigli fu dunque a suo avviso, anche proprioper questo -ossia per un’insicurezza radi-cale che accomunava padri e figli renden-doli partecipi di uno stesso destino- piùmoderata che altrove. E certo moderata fula ribellione del giovane Hofmannsthal almondo del padre, funzionario di banca, conun modesto titolo nobiliare, ma con studi digiurisprudenza e dottorato. Così, nell’atmo-sfera edipica e antiedipica tra le quinte delRing viennese, che non è Tebe ma è ancheTebe, la ribellione al commercio, al mondoeconomico, in nome della poesia e dei va-lori spirituali, fu misurata- più misurata adesempio che in Germania- quasi un estre-mo tentativo di mettersi in salvo, una legit-tima autodifesa non aggressiva nei confrontidi un mondo che presto avrebbe spazzatovia con le buone maniere, care aHofmannsthal, tutti i pilastri liberali su cuiil mondo dei padri aveva edificato le suecertezze. I figli non sono alternativi, quantopiuttosto “dei bravi ragazzi” che coltivanola nobiltà dello spirito, un’eleganza ecces-siva, una raffinata vita dei nervi e non sonodei dissipati, dei bohémiennes o degli sra-dicati: sono troppo autoironici per prender-si sul serio. Ma soprattutto questi intellet-tuali pensano, e lo pensano specialmentequando sono ebrei, di poter fondere e fon-dare le proprie origini in quella tradizioneaustriaca di cui si sentono, o credono di es-sere, i legittimi eredi e custodi, proiettandonella modernità, non elusa, modelli tradi-zionali, addirittura “aristocratici”. In que-sto ambiente colto e raffinato, in cui il nondetto è altrettanto o forse più importantedel detto, irrompe Stefan George, un poetatedesco quasi sconosciuto, dall’ “aspetto biz-

zarro, gesti autorevoli e vagamente sacerdo-tali” che “viene notato soprattutto per la suastranezza”.Così, le brusche maniere di George, che pun-tano subito al concreto, irritano il giovanis-simo Loris, che “prova da subito un senso difastidio...George è troppo appariscente perpiacere a un giovane che aveva una perfettaeducazione ottocentesca, controllatissimonelle reazioni, abituato a guardare ‘la vita eil mondo come li vedesse da una stella lonta-na’ e a parlare con un tono di voce uniforme‘che sembrava negare ogni partecipazioneintima’”.Non solo: tutto quello che in Germania ac-cresceva l’aura del poeta, appariva ridicoloagli occhi di Hofmannsthal, per il quale nondovevano esistere pose da artista e il poeta,esteriormente, doveva differenziarsi il menopossibile dagli altri uomini.In quel primo incontro al Caffé Griensteidl -e il caffè è a Vienna luogo moderno in cui“si coltiva la fugacità”- dove si ritrovano,senza doversi dare appuntamento, i giovaniletterati viennesi e, tra tavolini bassi e“divanetti color cremisi”, si coltivano la cor-dialità e la leggerezza, “George cerca diessere convincente e seduttivo”, mentreHofmannsthal si ritrae. “Si sviluppa così -scrive Ascarelli- con la ‘cerimoniosità daduellanti’ un confronto ricco di domande epraticamente ‘privo di risposte’, in cui ab-bondano maschere e sottintesi, irritazioni edelusioni reciproche”.E inizia “un duello di rime”: Hofmannsthalmette una distanza tra sé e il nuovo, sgrade-vole interlocutore -che non conosce psicolo-gia, e i cui modi sono troppo diretti, plebei-donandogli una poesia “scritta su un raffina-to foglio con lo stemma della famiglia in cal-ce” e dal titolo eloquente Einem, dervorübergeht. Ma in questo succedersi di bre-vi incontri prende corpo anche ciò che li av-vicina: “la padronanza della lingua francese,la dimestichezza con le letterature romanzee la passione per le terre del sud, l’Italia e laSpagna”, ciò che farà scrivere aHofmannsthal: “ ci si sentiva uniti”. Tra at-trazione e ripulsa si sviluppa, o meglio, non

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si sviluppa l’incontro tra due dei massimipoeti di lingua tedesca.Ascarelli giustamente non esclude in que-sta vicenda, che è anche una vicenda uma-na oltre che poetica -evocata e allusa inmaniera suggestiva e viva nelle pagine delsuo saggio, che ha il pregio di poter essereletto anche come un romanzo-, quel “do-minare e sedurre” fin troppo esibito nellesue implicazioni sessuali ma, avverte,“l’erotismo è bandito da questo gioco in cuil’anima è ‘bloccata’, ‘intimorita’, ‘imprigio-nata’ fino alla dissoluzione”. Mentre nellavulgata molto si è parlato di omosessuali-tà, Ascarelli preferisce invece mettere a fuo-co e concentrarsi sull’incontro, confronto,o scontro tra due mondi troppo diversi e suisuoi esiti letterari. E insegue nella scrittu-ra di Hofmannsthal gli indizi di ciò, i tenta-tivi di fuga del giovane scrittore austriacoche si sottrae alla germanica “volontà dipotenza” di George, fino ad approdareall’ultimo atto, la “cacciata” del padre, lalettera e l’incontro che seguirà tra il poeta eil nobiluomo Hugo Hofmann diHofmannsthal che, tra i robusti, imponentie solidi mobili antichi della banca pressocui è funzionario, convoca George pregan-dolo di mettere fine alla vicenda.E anche se Hofmannsthal collaborerà ai“Blätter für die Kunst”, la rivista di George,le strade del loro destino non si incroceran-no più: forse, come suggerisce Ascarelli,non si erano mai incrociate. La simbiosi cheGeorge si era augurato non ci fu, come eglistesso più tardi, nel 1901, in una poesia dall’eloquente titolo Der Verworfene, ispirataall’incontro di Vienna, sarà costretto adammettere.“La tesi sbandierata ... dagli adepti del cir-colo di George ... che Hofmannsthal debbatutto a questo incontro: la maturità poetica,la coscienza delle proprie possibilità, maanche dei propri limiti che lo inducono, ti-moroso, a non stringere rapporti con il ma-estro” viene confutata dal saggio diAscarelli. Hofmannsthal “dovrà” altro aGeorge, ma il suo debito, come vedremopoi, non sarà un’acquisizione quanto piut-

tosto una sottrazione.Il giovane Hofmannsthal, intanto, si senteun beniamino degli dei, è ancora sicuro disé, forse troppo sicuro di sé, ai limiti dellasupponenza, e risponderà per le rime aGeorge, mostrandogli tutta la sua superiori-tà. E se George gli ha forse suscitato nuovipensieri, Hofmannsthal dichiara subito, nel-la rielaborazione poetica dell’incontro, lasua indipendenza: non vuole essere suo se-guace, lui, che padroneggia meglio del po-eta nuovo le fonti, soprattutto Baudelaire eNietzsche. E vuole mostrargli di capiremeglio di lui il senso dell’aristocraticismodi Nietzsche, che è “pathos della distanza”,controllo di sé, “ profonda sofferenza” vis-suta dietro veli e maschere, non è natura-lezza o nuda esposizione di anime: è pro-fondità nascosta alla superficie. E se le suepoesie sono citazioni anche di George, èpiuttosto per rifargli il verso, e sono strenuedichiarazioni di autonomia che alludono al-l’inadeguatezza del “profeta” tedesco.Non è dunque grazie a George, ma controGeorge che il giovane Hofmannsthal “con-solida una visione del mondo che non subi-rà negli anni trasformazioni significative eche ne fa l’erede della grande cultura delpassato, il cantore dell’allomatico e l’espo-nente di una cultura conservatrice priva ditentazioni autoritarie”, osserva molto giu-stamente Roberta Ascarelli.E dimostra come Hofmannsthal “attacchi”George, dichiarando la sua alterità, almenofino al dramma Der Tod des Tizian: Georgenon è il grande Tiziano morente, come vor-rebbe il George-Kreis, quanto piuttostoDesiderio, l’epigono immorale che non hail senso del bello e del giusto, ma si lasciatrascinare dal desiderio, dal peccato, dallabrama dei sensi , il primo ad abbandonarela casa del pittore per vivere un’orgia nellaVenezia colpita dalla peste.E tuttavia, osserva Ascarelli, “George halasciato dietro di sé inquietudini e incertez-ze che non è facile dimenticare”: non tutto,in quell’incontro, sembra essere andato peril verso giusto: “paura crescente”, aveva in-fatti annotato il ragazzo nel diario, e anco-

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ra: “Con questo incontro la mia vita nondivenne meno inquietante, lo divenne forsedi più”. Occorrerà partire da qui e chiede-re, come fa Ascarelli, ragione di ciò.E le ragioni di Roberta Ascarelli sono nuo-ve, convincenti, avvincenti.“Ciò di cui lei soffre nel modo più dolorosoè un certo essere sradicato”, scriverà Georgea Hofmannsthal in una lettera del luglio1902. È una constatazione, o piuttosto unacritica, da parte di George che si circondòprevalentemente, come è noto, soprattuttoin una prima fase, di adepti ebrei? Certo èche questo giudizio, se non farà scuola,verrà ripreso e approfondito dalla criticae, non da ultimo, non a caso, proprio dallostesso George-Kreis. Wolfskehl, che nonrinnegò mai il suo ebraismo dialogando allapari e da pari con il Maestro, in Maskenzug,una lirica del 1904 ispirata a Der Tod desTizian , raffigurerà Hofmannsthal nei pannidi Gianino, il “Wurzellose”. E Gundolf, ilprediletto discepolo ebreo che finalmenteGeorge troverà e plasmerà, evitandogli cosìdi diventare un secondo Heine, nel 1910 ri-prenderà questo tema, a lui non ignoto. Eparlando dell’incontro tra Hofmannsthal eGeorge, contrapporrà i solidi valori delMaestro “ la intima verità, la dura concre-tezza, la coazione sacrificale alla creazio-ne” alla “ mobilità che a tutto si acconcia”,che è, commenta Ascarelli, “attraver-samento sensibile e sensuale di tutti i tem-pi, anime e culture”, tipici invece diHofmannsthal e della sua patria austriaca,un “Mercurio” alato, tra cielo, terra e infer-no, “mai stabile, sempre disponibile allascelta, a mischiare e a mischiarsi, un Proteodella cultura, abile a mutarsi in qualsiasicosa, senza mai sottrarsi a nulla, abile a pren-dere da tutti senza sentirsi debitore, a dare achiunque senza sacrificio”. Ma questo è, aben vedere, il linguaggio dell’antise-mitismo culturale tipico di ebrei e non ebreiche, verso la fine secolo, aveva resotemibile l’ebraismo, non tanto come nazio-ne o nascita, quanto piuttosto come cultu-ra. Ed ebraismo culturale vuol dire appuntomancanza di radici, mobilità, eclettismo,

opportunismo, mancanza di fantasia, incapa-cità creativa, intelligenza distruttiva, analiti-ca, eccessivo razionalismo, instabilitàpsichica, isteria, nevroticità. Ma questoebraismo culturale era, almeno fino a quelmomento, l’opposto dell’ebraismo cuiHofmannsthal sentiva, o credeva, di appar-tenere, cioè dell’ebraismo come elementodi aristocraticismo, di elezione, di distinzio-ne.E se già in una lettera inedita all’amica d’in-fanzia Gabriele Sobotka aveva esaltato lamoralità ebraica, “il giovane Hofmannsthalsembra guardare con fierezza a quelle origi-ne ebraiche che rappresentavano anche lepagine più interessanti e idealizzabili del suoromanzo familiare; considera le sue radici conil narcisismo degli assimilati che hanno ac-cumulato ricchezze e nobiltà e la fierezza dichi è riuscito a imitare lo stile dei gruppi do-minanti, ‘si sente come un eletto di grado piùelevato: egli è l’eletto in un popolo eletto’,intento a riscoprire ‘potere, onore, fama egrandi azioni’ della sua storia e convinto cheall’origine dell’antisemitismo ci sia la supe-riorità morale del popolo dei padri”. Hofmannsthal che, fino all’arrivo di George,si era dunque sentito un beniamino deglidei, un aristocratico, un eletto, e doppiamen-te eletto, come ebreo e come austriaco, comepoeta e come aristocratico- è questa la sug-gestiva tesi di Ascarelli- accanto a George edopo la sua partenza si sentirà invece un po’meno sicuro, si sentirà messo in discussione,avvertirà come vacillante tutto ciò su cui luie i suoi amici più cari “avevano radicato spe-ranze e autostima”. Non un mondo nuovo dafuori, dunque, ma questo “deve” a GeorgeHofmannsthal, l’ebreo.“Quello che George probabilmente coglie ecerca di far cogliere al giovane amico -osser-va Ascarelli- è la presenza nella sua vita enella sua arte di qualcosa di disturbante cherichiede, per essere sanato, l’intervento delpoeta”. George gli ha dunque per sempre in-sinuato il dubbio che tutto ciò di cui anda-va fiero -la sensibilità, la mancanza di radici,l’erranza, la sua natura sfuggente e mutevo-le, il suo “Gleiten”- su cui, osserva Ascarelli,

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Hofmannsthal si sofferma a riflettere non acaso proprio nei giorni successivi all’incon-tro- siano ancora elementi di distinzione edi pregio, o non siano piuttosto i sintomi diun ebraismo culturale dal quale solo Georgeavrebbe potuto salvarlo. Quello che insom-ma George ha per sempre messo in crisi èla consapevolezza di Hofmannsthal di ap-partenere a un ebraismo aristocratico, assi-milato e integrato, e che questo potesse coin-cidere, fondersi e confondersi con il cosmo-politismo e con la tradizione austriaca : “Seil mio intero sviluppo interiore e le mie bat-taglie non fossero altro che inquietudini delsangue che ho ereditato, moti sovversivi delsangue ebreo (riflessione) contro quellogermanico e romano e reazione contro que-sti moti?” si chiederà Hofmannsthal in unanota di diario del 1893.Anni dopo, nel 1922, in un contesto diver-so, Willy Haas sosterrà che Hofmannsthalè uno scrittore ebreo. E lo farà in quellaantologia apologetica, molto sionista e mol-to tedesca, che è Juden in der deutschenLiteratur , curata da Gustav Krojanker. Elo sosterrà “usando” per buona parte gli ar-gomenti dell’ebraismo culturale. InHofmannsthal, sosterrà Haas, vi sono glielementi più puri dell’ebraismo, “la mobi-lità, l’impressionismo, il carattere sovra-nazionale della sua arte visuale, la capacitàdi porre domande per poi rinunciare a daredelle soluzioni. Scrittore dell’ attimo, poetadello sguardo che tutto concentra nell’im-mediatezza, Hofmannsthal saprebbe darevoce più di chiunque altro ‘alla vocazioneal provvisorio’ del suo popolo.”Hofmannsthal sarebbe dunque “ un Ashverodell’anima, ... l’erranza il canone della suaopera”, “ebrei erranti i suoi avventurieri,‘senza patria’, viaggiatori, Wanderer, sem-pre sulla via del ritorno, non ancora rimpa-triati”.“Con stupore” in realtà allarmato,Hofmannsthal cercherà di confutare que-sta tesi, e lo farà esibendo a Haas il suoalbero genealogico, che conta battesimi,matrimoni misti, nobiltà.Ma c’è una prosa del 1907 “misteriosa ed

esemplare” in cui Hofmannsthal sembra in-contrare finalmente se stesso. Il testo è DieWege und Begegnungen. E di Agùr, figliodi Jaké, di cui qui si parla, Hofmannsthal,che finge tuttavia di non sapere chi sia, chie-de: “ Dove abita Agur in me? Ma chi è Agùr,che in me vive con le sue parole viventi?”“Agùr”, osserva Ascarelli, “fa parte dellecose vissute nell’infanzia” sepolte ma nondimenticate e, suggerisco, fa pensare allapreesistenza. Di questo re di Massa, citatonella Bibbia, è rimasto poco: “solo la sag-gezza di non sapere”. Ed è “qui...in quellamoralità ebraica”, che il giovane Hof-mannsthal considerava con fierezza, che ilpoeta maturo può riconciliarsi con se stessoe trovare finalmente “una parte importantedi sé che per troppo tempo ha osservato condisagio”. E lo può fare perché di un ebraismomitico, cifrato e lontano qui si tratta. L’augurio per Roberta Ascarelli è di pro-seguire ancora lungo questi cammini e in-contri, continuando a porci questioni e in-terrogativi che ci aprano, come questo li-bro, nuove prospettive su temi centrali nellacultura tedesca ed europea e che, anche perquesto, ma non solo per questo, ci stanno acuore.

Claudia Sonino

Geschichtsbilder im George-Kreis. Wege zurWissenschaft, a cura di Barbara Schlieben,Olaf Schneider und Kerstin Schulmeyer,Göttingen, Wallstein, 2004, pp. 400, € 40.

Si può fare un primo bilancio della cosid-detta George-Renaissance, a quasi dieci annidi distanza dalla pubblicazione dello studioche ne ha di fatto segnato l’inizio, il volu-me di Stefan Breuer sui legami tra il Kreis ela cultura tedesca conservatrice(Ästhetischer Fundamentalismus. StefanGeorge und der deutsche Antimodernismus,Darmstadt 1995). Appare sempre più chia-ro che il vero oggetto di questa accensionedi interesse non sono il George poeta e lacollocazione della sua opera nel panorama

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del Moderno. Questi temi passano in secon-do piano rispetto all’attrazione esercitatadall’attività del George organizzatore di cul-tura e dal cenacolo come luogo di emana-zione carismatica e di messa a punto di stra-tegie ermeneutiche complesse. Si deve cioèconsiderare oramai completamente supera-to l’equivoco che induceva a inferire un giu-dizio di valore sulla lirica georgiana dallesue referenze di ordine ideologico. Al con-trario, si tende con sicurezza crescente a stu-diare la lirica stessa proprio in funzione diquelle referenze, restituendo al profilo diGeorge quel carattere di intenzionale mol-teplicità che è poi la cifra dominante nonsolo della sua poetica, coltivata semprecome punto di intersezione di tradizioniculturali eterogenee, bensì anche e soprat-tutto della varietà di iniziative promosse eintraprese nelle vesti di sovrano spiritualedella cerchia di affiliati.Il volume in oggetto (che rende conto di dueconvegni svoltisi nel 2002 a Halle eFrancoforte, rispettivamente su “StefanGeorge und die Geschichtswissenschaft” e“Mittelalterbilder im George-Kreis”) vienedunque a trarre le somme di un’intensa sta-gione di studi dedicati alle figure di critici estudiosi che di quelle iniziative si assume-vano l’onere del compimento vero e pro-prio, e pone al tempo stesso le basi per unulteriore incremento della ricerca sul Kreis,indicandone possibili percorsi di svilupponell’applicazione di metodologie di ordinekulturwissenschaftlich. Un’opzione, quellain favore di un approccio culturologico allavoro intellettuale dei georgiani, che è resatanto più feconda in ragione di un’evidentecorrispondenza biunivoca. Se da un lato, in-fatti, opere così eccentriche e isolate nellaproduzione critico-storiografica del lorotempo come il Goethe di Friedrich Gundolf,il Kaiser Friedrich der Zweite di ErnstKantorowicz o il Dichter als Führer in derdeutschen Klassik di Max Kommerell nonpossono che ricavare giovamento da una let-tura intesa a segnalarne le intersezioni me-diali, il radicamento nelle rappresentazioniculturali collettive e la tendenza all’innesto

dell’oggetto di analisi entro un codice desti-nato alla produzione di nuovi valori chiama-ti a operare nel presente, dall’altro non è az-zardato identificare proprio nei lavori delKreis, nella soppressione della neutralitàpositivistica a vantaggio di una ricostruzio-ne stratigrafica interessata alla produttivitàdiscorsiva dell’oggetto, agli elementi di mu-tazione più che a quelli di continuità, un pri-mo, coerente esperimento di rivisitazioneculturologica del passato. L’idea gundolfianadi ‘Kräftekugel’, che mira in prima battuta arecuperare lo sforzo autoformativo tipicodelle personalità di eccezione, disposte arinegoziare costantemente il punto di equili-brio tra le varie ‘forze’, appunto, che ne con-dizionano l’attività spirituale, si estende poi,per esempio negli studi sulla fioritura del mitocesareo nella storia dell’Occidente, alla mi-sura di una suggestiva teoria del pluristilismo,che inquadra le trasformazioni diacronichenon come l’esito di un condizionamento mec-canico da parte di fattori sovrastanti, ma comeil frutto di un processo essenzialmente tran-sitivo basato su movimenti innanzi tutto in-clusivi. Certo, non si può tacere che la forzaattrattiva dei ‘Vorbilder’ (come suona il tito-lo di un articolo programmatico pubblicatoda Gundolf nel 1912 sul terzo e ultimo nu-mero dello “Jahrbuch für die geistigeBewegung”) è in grado di superare d’un fia-to, ove necessario, tutte le mediazionidialettiche esercitate dai singoli cerchi discor-sivi che orbitano intorno al suo centro; e lostesso Gundolf non esiterà peraltro ad am-mettere che l’unica forma produttiva di rela-zione con il prestigio dei predecessori consi-ste nella venerazione religiosa, al di qua diogni interrogazione critica circa le ragionidella loro persistente vitalità. Nondimeno,tanto la ‘Kräftekugel’ gundolfiana, quantoquella ‘Mythenschau’ che Kantorowicz, ri-baltando gli argomenti di quanti avevano con-testato l’impostazione del suo libro su Fede-rico II, assume a criterio metodologico ingrado – secondo un passaggio del celebrediscorso tenuto nel 1930 allo Historikertagdi Halle – di “rendere presente la totalità delpassato”, introducono nel dibattito scientifi-

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co del tempo un elemento di attenzione neiconfronti del contenuto di realtà delle co-struzioni immaginali del quale sarebbemolto più opportuno rilevare il caratterepionieristico rispetto all’anthropologicalturn di questi ultimi decenni che la spondapure oggettivamente fornita all’asfitticoimmanentismo degli orientamenti criticiprevalenti negli anni Cinquanta.Gundolf e Kantorowicz sono gli assi di ri-ferimento fondamentali lungo i quali si svi-luppano i contributi raccolti nella miscella-nea. Se Otto Gerhard Oexle (Georg SimmelsPhilosophie der Geschichte, derGesellschaft und der Kultur, pp. 19-49) ten-de a relativizzare gli aspetti discorsivi edialettici della storiografia gundolfiana, in-dicando proprio nel diverso rilievo ricono-sciuto alla categoria della ‘relazione’ la cau-sa della maggiore sensibilità alle questionidel Moderno dimostrata dalle indaginisociologiche di Simmel, Oliver Ramonat(Demokratie und Wissenschaft bei FriedrichGundolf und Ernst Kantorowicz, pp. 75-92),in quello che è forse il saggio capitale delvolume, mette radicalmente in questione lapresunta intenzione nazionalistica deigeorgiani, attirando l’attenzione sui puntidella costruzione metodologica di Gundolfe Kantorowicz compatibili con una teoriadelle élites avversa per sua stessa natura aqualunque riduzione di tipo etnico. Lavo-rando sui valori mediati dalla particolaris-sima posizione che nella Geschichts-schreibung dei georgiani viene assunta dalparatesto (al quale, come hanno dimostratogli studi di Anthony Grafton, sono eviden-temente legati problemi decisivi di comu-nicazione ideologica), Ramonat non si li-mita a mettere in chiaro un dato già larga-mente acquisito dalla Forschung georgianacome il costante perseguimento di unainconfondibile provocazione antifilologica,ma indaga le modalità specificamente reto-riche che presiedono alla trasformazione diquesta stessa provocazione di segno‘kulturkritisch’ nella proposta di un nuovomodello di scrittura scientifica volto a pre-sentare il fatto storico o letterario come

espressione di un più ampio ‘problema diciviltà’. E non bisogna pensare tanto allapalese attrazione che su Gundolf viene eser-citata da un ideale di totalità di marca tuttaeternista, quanto all’insistenza con cui lostesso Gundolf sollecita a individuare il nu-cleo più resistente di tale totalità nella chia-rezza con cui vi si esplicita il dominiostilistico della personalità creatrice. In que-sta chiave Ramonat rileva in modo partico-larmente persuasivo sia l’agilità e la sotti-gliezza delle argomentazioni adoperate daGundolf contro chi lamentava il deficit di‘obiettività’ dei suoi studi (‘obiettività’ che“è spesso soltanto la soggettività dei nostriantenati”, come scrive a un collega nel1927), sia, passando a Kantorowicz, la so-stanziale continuità di intenti che segna ilpassaggio dalla ieratica concisione espres-siva del Friedrich alla inclinazionemarcatamente essoterica che caratterizzal’opera più significativa del periodo ameri-cano, The King’s Two Bodies del 1957, incui il lettore è preliminarmente esortato adaccompagnare l’autore nell’accertamentodella pertinenza dei materiali utilizzati.Un’oscillazione del genere si spiegherebbecioè con l’immutata fedeltà ai principi dibase, che se nel 1927 inducono Kantorowiczal tentativo di arginare attraverso la severi-tà della selezione l’ondata ‘völkisch’ chevede abbattersi sulle scienze umanistiche,negli anni Cinquanta, di fronteall’estremismo della ‘caccia alle streghe’ incorso negli USA, lo spingono a prevederedei sistemi di verifica ‘democratica’ del suoprocedimento.L’emigrazione, per lo più verso gli StatiUniti, cui molti dei membri del Kreis furo-no costretti dopo il 1933 è un altro dei puntinodali della raccolta. Il contributo di UlrichRaulff (Die amerikanischen Freunde: Erichvon Kahler, Ernst Kantorowicz und ErnstMorwitz, pp. 365-378), in particolare, offreuna sintetica, ma incisiva ricostruzione del-le forme in cui due figure collocate a un dif-ferente livello di omogeneità rispetto agliinsegnamenti del maestro come Morwitz eKahler rielaborarono l’esperienza del

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cenacolo e ridefinirono la propria posizio-ne rispetto a George, mantenendo in ognicaso ferma la propria fedeltà a quella for-mula molteplice e allusiva di ‘geheimesDeutschland’. Di questa stessa formula unaltro saggio di Raulff (‘In unterirdischerVerborgenheit’. Das geheime Deutschland– Mythogenese und Myzel, pp. 93-115) rie-piloga la genealogia, seguendone le traccea partire dall’asse ‘völkisch’ imperniato sul-la fosca pubblicistica di Lagarde eLangbehn, e rilevando come i georgiani siastengano sempre con il massimo rigore daquella linea di rinascita nazionale incentra-ta sul presupposto della continuità tra Fe-derico Barbarossa e la dinastia al potere nelSecondo Reich, prediligendo invece il va-gheggiamento di una unità segreta, ma nonper questo meno efficace, tra Federico II diSvevia e quel ‘geheimer Kaiser’ che la pe-dagogia georgiana avrebbe dovuto formaree mettere in condizione di esercitare la pro-pria naturale predisposizione al dominio.Un primo passo, insomma, sulla via di unarilettura culturologica del magistero diGeorge e del multiforme ingegno testimo-niato dalle attività degli affiliati (a integra-zione del quale sono da segnalare i saggisugli economisti Edgar Salin e Arthur Salza opera rispettivamente di Bertram Schefolde Johannes Fried), che dovrà essere ulterior-mente sviluppato tenendo conto del gustoper l’intersezione dei saperi in più di un casoesplicitamente coltivato dai georgiani. Lamonografia di Michael Dittmann sulla bi-blioteca di Friedrich Gundolf – una partedella quale, giova sottolinearlo, fu destina-ta al Warburg Institute di Londra – offre aun’impresa del genere una solida e impre-scindibile base documentaria (CaesarsSchatten. Die Bibliothek von FriedrichGundolf. Rekonstruktion und Wissenschafts-geschichte, Heidelberg, Manutius, 2003).

Maurizio Pirro

Maurizio Guerri, Markus Ophälders (a curadi), Oswald Spengler. Tramonto e metamor-fosi dell’occidente (atti del convegno di Mi-lano e Gargnano, aprile 2002), Milano,Mimesis, 2004, pp. 244, € 17, 00

La struttura grandiosa e ramificata del Tra-monto dell’occidente – ultimo tentativo diinterpretazione globale e organica della sto-ria del mondo – sollecita e legittima le lettu-re più diverse: letture storico-artistiche cheenucleano la visione estetica di Spengler al-l’interno di centinaia di pagine dedicate allastoria dell’arte occidentale, studi più propria-mente filosofici che indagano la natura dellostoricismo di Spengler, ricerche sui “padri”dichiarati della filosofia spengleriana(Goethe, Nietzsche) o su modelli più dissi-mulati (quali Herder), indagini sulla ricezio-ne di un’opera che esercitò un’enorme in-fluenza culturale nella Germania weimarianama fu anche oggetto di violente critiche (sipensi a Musil, a Thomas Mann, a OttoNeurath e, in Italia, a Benedetto Croce), let-ture più incentrate sull’aspetto politico delleprevisioni di Spengler, diagnosi kulturkritischsullo stato della moderna civiltà europea einfine valutazioni sull’avverarsi o meno del-le prognosi spengleriane giacché Spenglernon intendeva il suo lavoro come uno studiostoriografico tradizionale ma già nell’incipitdel suo volume annunciava una “prognosidella storia”: “In questo libro viene tentataper la prima volta una prognosi della storia.Ci si è proposti di predire il destino di unaciviltà e, propriamente, dell’unica civiltà cheoggi stia realizzandosi sul nostro pianeta, laciviltà euro-occidentale e americana, nei suoistati futuri”.I saggi del presente volume, Oswald Spengler.Tramonto e metamorfosi dell’occidente, ri-producono gli atti di un convegno organiz-zato nell’aprile 2002 dalla cattedra di Esteti-ca I della Statale di Milano e pur risultandofocalizzati prevalentemente sulla concezio-ne della storia di Spengler e sulla particolareconformazione del suo storicismo, offronoindicazioni e sollecitazioni su tutti i temi so-pra citati.

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Gli scritti di Stefano Zecchi e di AlexanderDemandt che introducono e chiudono ilvolume sono improntati a una (ineludibile)valutazione dell’attualità di Spengler.Zecchi, a cui si deve l’introduzione all’edi-zione del Tramonto del 1991 e la curatelain quello stesso anno di un volume - Esteti-ca: sul destino (Bologna, il Mulino) - cheha determinato una rinnovata attenzione perSpengler in Italia, propone una lettura for-temente simbolica della filosofia diSpengler e offre alcune considerazioni in-teressanti sull’attuale mondo multiculturalee globalizzato. Multiculturalismo eglobalizzazione sarebbero apparsi aSpengler come testimonianze di unirreversibile declino e non in virtù di un at-teggiamento pregiudizialmente razzista etradizionalista del filosofo, quanto, piutto-sto, in nome di una visione simbolica emorfologica dei fenomeni culturali e di unaconcezione autonoma delle differenti cul-ture, che accettano la contaminazione solonella fase del loro declino. Nella prospetti-va spengleriana, la globalizzazione, che“tende a cancellare le differenze storiche,identitarie, tradizionali delle popolazioni”(Zecchi) poiché impone un modello econo-mico totalitario che richiede un terrenoomogeneo e totalmente desimbolizzato, nonpuò rappresentare che l’atto finale della ci-viltà occidentale, destinata a essere sopraf-fatta da culture più fedeli alla lorosimbolicità e identità. Evidente, e, anzi,esplicito nel saggio di Zecchi è il riferimentoalla cultura islamica: già in Spengler sem-brano esserci, insomma, le premesse per iltanto discusso clash of civilizations e, seppurcon prospettive e valutazioni diverse, l’11settembre riaffiora anche nello scritto diDemandt e nel saggio di Michael Thöndl:“Quante volte muore l’Occidente? La tesispengleriana del duplice tramonto”.Sull’incontro tra civiltà diverse ritorna For-tunato Cacciatore in un saggio che chiamain causa soprattutto Anni decisivi, il librodel 1933 in cui Spengler affronta il ruolodella Germania nella situazione politica,militare ed economica attuale e in cui vede

l’Occidente minacciato dall’alleanza tra “ri-voluzione mondiale bianca” e “rivoluzionemondiale di colore”, tra “lotta di classe” e“lotta di razze”: Cacciatore legge questacommistione alla luce della “pseudo-morfosi”, la celebre metafora geologica concui Spengler indica nel Tramonto quei casiin cui “una vecchia civiltà straniera gravatalmente su di un paese che una civiltà nuo-va, congenita a questo paese, ne resta sof-focata [….]. Tutto ciò che emerge dalle pro-fondità di una giovane animità va a fluirenelle forme vuote di una vita straniera” (Tra-monto, Guanda 1991, p. 926).È proprio la concezione spengleriana delleculture come mondi autonomi -ciascuno ri-conducibile al suo simbolo primordiale (lospazio infinito per la civiltà faustiana, adesempio)- e inanellati in una successionediscontinua che non prevede una linea disviluppo progressiva a rendere controversala riconduzione della filosofia spenglerianaalla tradizione dello storicismo tedesco.L’assenza di progressività e unità del pro-cesso storico, la rinuncia ad attribuire qual-siasi senso e fine alla storia dell’umanità(“Ma l’‘umanità’ non ha alcuno scopo, al-cuna idea, alcun piano, così come non lo hala specie delle farfalle o quella delle orchi-dee” è uno delle più note affermazioni diSpengler, T 40), il relativismo culturaleimplicito nella visione morfologica dellastoria, cioè nella idea di Kultur come unitàorganica, la sostituzione del principio dicausalità con quello di destino sono i trattiparticolari che connotano lo storicismo diSpengler, indagato in particolare nei saggidi Gilbert Merlio, di Domenico Conte (suifenomeni culturali come “sviluppo” delsimbolo primordiale della singola Kultur),di Giuseppe Raciti, di Markus Ophälders,di Giancarlo Magnano San Lio (che raffron-ta la visione della storia spengleriana conquella di Dilthey), di Matteo Brega (il cuisaggio s’intitola appunto “La sostanzialediversità dello storicismo di Spengler”), diGiovanni Gurisatti (“Fisiognomica,morfologia e storiografia in Spengler”) e diFrancesca Marelli che confronta la filoso-

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fia della storia di Herder con quella diSpengler. I due filosofi risultano accomu-nati dalla polemica contro il meccanicismoe le astrazioni della storiografia illuminista:entrambi condividono poi la concezionedella Kultur come totalità vivente che ha insé la legge organica del proprio sviluppo,nonché l’adozione del metodo morfologicodi comparazione delle diverse culture tra-mite le analogie. La Marelli sottolinea tut-tavia la differenza sostanziale che separaSpengler da Herder: la coscienza del tra-monto, l’assenza di provvidenza divina e diteleologia che distanzia e differenziaSpengler da tutta la cultura del classicismotedesco e dalla stessa morfologia goethiana.La comprensione del “mondo quale storia”e la concezione dell’uomo occidentale, ofaustiano, come individuo eminentementestorico sono alcuni dei lasciti nietzscheaniche contraddistinguono la filosofia diSpengler (sui quali si sofferma LucianoArcella), assieme al punto di vistagenealogico, al prospettivismo (“Non si trat-ta di sapere ciò che siano, in sé e per sé ifatti tangibili della storia quali fenomeni diun dato tempo, bensì di decifrare ciò chesignifica il loro apparire”, T 18), alrelativismo (“vi sono tante risposte quantisono coloro che pongono le domande”, T46), alla critica alla cultura accademica te-desca e all’amor fati, cioè alla virile accet-tazione e comprensione del proprio desti-no. Si veda in tal senso il celebre finale deL’uomo e la tecnica in cui Spengler conun’immagine potentemente suggestiva pa-ragona il destino dell’uomo occidentale av-viato al tramonto a quella guardia romanaritrovata a Pompei che non essendo statasciolta dalla consegna aveva mantenuto lasua postazione ed era stata perciò travoltadalla lava. Si legga inoltre un brano del Tra-monto che per il tono disincantato e per laconsapevolezza storico-generazionale chelo impronta ricorda certi passi dell’autobio-grafia di un grande spengleriano qualeGottfried Benn: “Ma noi non abbiamo scel-to questo tempo. Non possiamo cambiare ilfatto di essere nati come uomini di un inci-

piente inverno di completa civilizzazione enon alle altezze solari di una civiltà maturadel tempo di Fidia o di Mozart. Tutto sta nelrendersi conto di questa situazione, di que-sto destino, di comprenderlo, perché malgra-do le illusioni che ci possiamo creare non sipuò evitarlo. Chi non sa riconoscere questo,non può essere contato fra gli uomini dellasua generazione. Resterà uno sciocco, un ciar-latano o un pedante” (T 79). Negli scritti diSpengler, che si contraddistinguono per l’ado-zione di metafore di grande suggestione, ildeclino dell’Occidente è previsto con imma-gini visionarie che accostano la fine della ci-vilizzazione occidentale alle altre civiltà se-polte della storia mondiale: ai romani, agliegiziani, ai babilonesi, alle civiltàprecolombiane. Sono profezie che tradisco-no un “eroismo della fine” e che nascono dauno sguardo alto e imperturbabile sulla sto-ria, osservata “come da un’immensa lonta-nanza” (T 153): “La tecnica meccanizzatagiunge a fine con l’uomo faustiano; un gior-no essa sarà annientata e dimenticata: acca-drà alle ferrovie e ai battelli a vapore ciò cheè accaduto alle strade romane e alla mura-glia cinese; scompariranno le nostre metro-poli gigantesche con i loro grattacieli, cosìcome sono scomparsi i palazzi di Menfi e diBabilonia” (L’uomo e la tecnica). Propriosull’interpretazione della tecnica in Spenglersi sofferma Michela Nacci in un lungo e arti-colato saggio che riprende tematiche già in-dagate dall’autrice in Pensare la tecnica(Laterza 2000). L’interpretazione della tec-nica tramite le categorie di declino, dominioe destino contribuisce anche a una più preci-sa determinazione della collocazione del pen-siero spengleriano all’interno della filosofiadel primo Novecento: l’intento dell’autrice èinfatti mostrare “come il legame fra le ideespengleriane e il suo tempo sia forte proprioper quanto riguarda il collegamento stabilitofra tecnica e dominio, fra tecnica e destino,fra tecnica e declino”. Punto di riferimentocostante è Heidegger, ma l’autrice si richia-ma anche alla tecnica come dominio elabo-rata nella Dialettica dell’illuminismo e al le-game tra tecnica e declino, fra tecnica e

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imbarbarimento della vita sociale istituitoda tanti teorici novecenteschi della crisi:Huizinga nella Crisi della civiltà o Ortegay Gasset nella Ribellione delle masse. An-che il saggio di Renato Pettoello mira a unastoricizzazione del Tramonto, inscritto nel-la letteratura della crisi della civiltà propriadi inizio Novecento e di cui costituisconoun esempio la Rivolta contro il mondo mo-derno (1934) di Evola o il saggio di AlbertSchweitzer, Verfall und Wiederaufbau derKultur (1923) su cui si sofferma Pettoello(Nel segno del tramonto della civiltà. Lacultura della crisi in Albert Schweitzer).L’altro punto di riferimento è Goethe, cuisi deve la concezione morfologicaspengleriana: “A Goethe devo il metodo, aNietzsche il modo di impostare i problemi”(T 5), dichiara programmaticamenteSpengler. Giampiero Moretti illumina alcu-ne aporie in cui incorre Spengler nella ten-tata conciliazione di Nietzsche e Goethe. Sitratta, secondo Moretti, di una prospettivainconciliabile e di fatto realizzata solo im-perfettamente: la volontà di imprimere aldivenire il carattere dell’essere - quellastoricità nietzscheana necessaria alla formu-lazione di una prognosi della storia mon-diale - si scontra infatti in Spengler “conl’orizzonte goethiano del fluire metamorfi-co dell’esistenza in tutte le sue forme; esoccombe”. La filosofia di Spengler risultadunque “sbilanciata” su Goethe, come ri-conosce del resto lo stesso Spengler in unanota: “Devo la filosofia esposta in questolibro alla filosofia di Goethe, ancor oggipressoché ignorata, e, in grado molto mi-nore, a quella di Nietzsche” (T 1405-1406).Il culto per Goethe costituiva naturalmenteun trait d’union tra Spengler e il circologeorghiano (un’affinità su cui si soffermaGiancarlo Lacchin) e goethiano era ancheErnst Jünger, lo scrittore tedesco che più diogni altro ha rielaborato e citato la filosofiae persino la figura stessa di Spengler (sipensi al docente di storia Vigo in Eumeswil,il cui profilo antiaccademico eantispecialistico rimanda a OswaldSpengler). In “Il museo della storia e la

metafisica della terra” Maurizio Guerri, cheha curato recentemente l’edizione italianadell’importante scritto giovanile di Spenglersu Eraclito (Mimesis 2003), raffronta la vi-sione storica di Ernst Jünger a quella diSpengler sulla base dell’immagine del mu-seo elaborata da entrambi. Il museo, un’isti-tuzione su cui ha riflettuto a lungo la cultu-ra novecentesca, da Proust a Valéry, daNietzsche ad Adorno e a Enzensberger, è perSpengler, in quanto raccolta di oggetti mor-ti e irrelati, un simbolo eminente della ci-viltà faustiana. In esso si manifesta, da unlato, il feticismo storicistico dell’uomofaustiano ormai deprivato della sua forzavitale e nietzscheanamente incapace di “farela storia”, dall’altro la capacità, che affioraproprio nel momento del declino dellaKultur faustiana, di cogliere con sguardosinottico il fluire delle forme: “Noi, uominidel XX secolo, stiamo tramontando, e, men-tre tramontiamo, vediamo il nostro declino”,afferma infatti Spengler in L’uomo e la tec-nica. Il museo simboleggia tanto l’assenzadi vitalità di una cultura ormai irrigiditaquanto la capacità, tipica del trapasso dallaKultur alla Zivilisation, di conoscere le for-me sub specie historica: è la visione stori-co-comparativa concessa all’osservatoregiunto allo stadio finale e già indicata daNietzsche con l’espressione “Zeitalter desVergleichens”. Contorni duplici assume ilsimbolo del museo anche nell’opera diJünger: “segno di un’infiacchita energia vi-tale” (Der Arbeiter), il museo assume peròanche una segreta dimensione vitale, inquanto “artificiale contrappeso all’organiz-zazione affaristica e tecnicistica del proces-so civilizzatore” (Das abenteuerliche Herz),salvaguardia della bellezza in un mondoormai privo di valori spirituali. Guerri de-dica poi un’indagine dettagliata al tema deltempo e alla morfologia della storia nelSanduhrbuch e in An der Zeitmauer in cuiSpengler paragona la cosmologia di TichoBrahe all’universo storico di Spengler “cuimanca l’infinità dello spazio copernicano”:con ciò – sottolinea Guerri – Jünger imputaalla visione di Spengler l’assenza di un nes-

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so interno, di un senso e di una direzione“che permettano all’individuo di orientarsinell’universo storico”. Il merito di Spenglerrisiede, piuttosto, nella dura lucidità dellasua analisi: egli è rimasto fedele all’ethosculturale occidentale; come la guardia diPompei ha mantenuto la postazione anchenel momento in cui “non c’è più speranza enon c’è più salvezza” (Spengler) e ha dato“valore alla perseveranza, al mantenimentodella posizione perduta” (Über die Linie).Uno scorcio sulla ricezione di Spengler inItalia è offerto infine da Gianfranco de Turrisin “Evola lettore di Spengler”. De Turris ri-costruisce l’intera attività di Evola comestudioso e traduttore di Spengler: dal profi-lo pubblicato nel 1936 in occasione dellamorte del filosofo tedesco, alla traduzionedel Tramonto per Longanesi nel 1957, allepagine su Spengler nell’autobiografia Ilcammino del cinabro (1963; 1972), all’in-troduzione a Anni decisivi (il Borghese1973). La sbrigativa qualifica di “Spengleritaliano” attribuita ad Evola va tuttavia re-spinta: il filosofo italiano, legato a unacontrapposizione ontologica tra Mondo del-la tradizione e Mondo moderno, non condi-videva infatti aspetti sostanziali della filo-sofia di Spengler a cui rimproverava innan-zi tutto l’assenza di una dimensione metafi-sica e trascendente e di cui non condivide-va, inoltre, la diagnosi del cesarismo comerisurrezione di valori di razza e di tradizio-ne nel vuoto spirituale della fase di civiliz-zazione. Imperfetta è secondo Evola la de-scrizione della Kultur, di cui Spengler nonavrebbe capito i caratteri essenziali: “LoSpengler non ebbe nessuna vera compren-sione per gli elementi spirituali e trascen-denti che sono alla base di ogni grande ci-viltà: egli resta in fondo in una concezionelaica […]” (Evola, 1936). Molto più riusci-ta risulta invece, di contro, la pars destruensdel Tramonto, cioè la descrizione della “ci-viltà delle masse, civiltà antiqualitativa,inorganica, urbanistica, livellatrice, intima-mente anarchica, demagogica, antitradizio-nale” (Evola, 1936).Anche per un lettore dei nostri anni risulta-

no in effetti affascinanti e straordinariamen-te presaghe le parti del Tramonto dedicate alpaesaggio artificiale della città e alla solitu-dine del “nomade intellettuale” che la abita.Sono pagine livide, guidate da una prospetti-va straniante, attraversate da deformazionispaziali di sapore espressionista, in cui no-nostante ogni pretesa di oggettività affiora lanostalgia per una comunità organica, legataalla Terra dai vincoli della tradizione: “In unvillaggio il tetto di paglia ha ancora la formadella collina e la via quella del fossato. Manelle città si aprono le prospettive di lunghevie di pietra incassate fra edifici altissimi,piene di un pulviscolo di ogni colore e di stra-ni rumori; e uomini vi vivono in un modoche nessun essere naturale avrebbe mai so-gnato. Gli abiti, gli stessi visi sono intonatiad uno sfondo di pietra. Di giorno, tutto untraffico fra suoni e colori curiosi nelle stra-de; di notte una luce nuova che soppiantaquella lunare. E il contadino se ne sta per-plesso sul selciato, figura ridicola che nullacapisce e che da nessuno è capita: buona solocome personaggio da commedia e come co-lui che procura il pane a tale mondo” (T 784-785).

Paola Quadrelli

Alberto Destro, Rilke. Il Dio oscuro di ungiovane poeta, Padova, Messaggero di S.Antonio, 2003, pp. 222, € 12.00.

Rüdiger Görner, Rainer Maria Rilke. ImHerzwerk der Sprache, Wien, Zsolnay, 2004,pp. 343, €. 24,90

Negli ultimi anni la fortuna di Rilke sembraessere in continua ascesa. Dopo la nuova edi-zione commentata dell’opera in quattro vo-lumi, recentemente completata delle poesiecomposte dal poeta in francese, dopo la pub-blicazione, anche in tedesco, dell’articolatabiografia in due volumi di Ralph Freedmann,ricca di molti nuovi dettagli, dopo l’edizioneampliata del ritratto della madre del poetatracciato dall’amica Herta König, anche l’at-

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tenzione per l’epistolografia di Rilke ha as-sunto nuove dimensioni e una diversaangolatura critica. Fra gli ultimi carteggipubblicati vanno annoverati quelli con leamiche Magda von Hattingberg, ClaireGoll, Mathilde Vollmoeller e Valerie vonDavid-Rgonfeld; accessibile al pubblico èora anche la corrispondenza con AugusteRodin e quella con Rolf von Ungern-Sternberg; recentissima è poi la pubblica-zione delle lettere con l’amica pittrice PaulaModersohn-Becker, nonché del carteggiocon Thankmar von Münchhausen.Come la varietà degli interlocutori dimo-stra, Rilke non è più considerato interessante– o irritante – solo come prototipo del sen-sibile malinconico, capace di conquistare,più che con i suoi versi, con i suoi occhiprofondi e tristi i favori di tante signore dellabuona società attraverso lettere cariche dipathos elegiaco che non di rado hanno in-vitato i maligni a commenti sarcastici, quan-do non gratuitamente cattivi; anche i suoicarteggi di natura diversa sono ora tenuti inconsiderazione, con l’intento non solo dioffrire un’immagine del poeta meno vizia-ta dal pettegolezzo, ma anche di inserirequesto artista, componendo le tante tesseredi questo mosaico epistolare, nella più am-pia cornice di un’epoca intera, quella cheprima vide crollare lo zar e i due imperimitteleuropei e poi accendersi il fuoco delfascismo.L’interesse per Rilke sembra insomma incostante espansione, e non solo nel mondodi lingua tedesca, come dimostra anche ilvolume nato da un convegno internaziona-le tenutosi a Brema nel 2003, inconcomitanza con il centenario della pub-blicazione della monografia rilkiana dedi-cata ai pittori di Worpswede, con i quali ilpoeta era entrato in contatto grazie al suomatrimonio con la scultrice Clara Westhoff.I contributi del convegno di Brema, raccol-ti dai due curatori Hans-Albrecht Koch eAlberto Destro con il titolo Rilke-Perspektiven, presentano ulteriore materialeepistolare finora inedito, inseriscono ilpoeta in una precisa tradizione culturale cor-

reggendo tuttavia insieme alcune immaginiormai assodate relative alla sua persona ealla sua opera, e aprono infine il discorsocritico alla ricezione di Rilke in Italia, Rus-sia e Polonia.Quello che affiora dalle molte pubblicazio-ni dell’ultimo periodo è il desiderio di faremergere anche aspetti di Rilke finora tra-scurati, vuoi per l’insufficienza delle fontidisponibili, vuoi per la difficoltà di scalzaredeterminate “leggende” che non di rado fi-niscono per cristallizzarsi intorno a un per-sonaggio, falsandone l’interpretazione.La tendenza è altresì quella a focalizzarel’indagine su un preciso complessotematico, sviscerandone le diverse forme dimanifestazione, magari limitatamente a unafase della produzione.

***Nella monografia di Alberto Destro, peresempio, non si va oltre i primi venticinqueanni di vita del poeta, nato a Praga nel 1875.Nella premessa al suo denso volume sul“Dio oscuro” del giovane Rilke, lo studiosodà ragione sia del tema della propria anali-si, sia del limite cronologico della propriaindagine incentrata sul problema religiosonella produzione del poeta che, a partiredall’incontro a Monaco con Lou Andrea-Salomé nel 1897, si propone “quale inizia-to a un sapere maggiore e non razionale,quale […] maestro di vita neldisorientamento del mondo tecnologizzatoe razionalizzato della modernità”.L’analisi di Destro si ferma con l’anno 1900,andando appena oltre la stesura della primaparte dello Stundebuch, perché “dopo lasvolta del secolo […] la menzione di Dioanche nelle stesse altre due parti del Librod’ore dapprima si mescola ad altri spuntitematici […] e poi verrà in gran parte ri-mossa” per concentrarsi sulle cose e darvoce ai “Diggedichte” delle Nuove poesie.All’indagine puntigliosa della presenza delreligioso nei testi in versi e in prosa di Rilke,presi in considerazione a partire dalle pri-missime composizioni, ossia all’esamedettagliatissimo di quella intensa fase

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creativa propedeutica alle opere sublimidella maturità, Destro fa seguire una preci-sa delimitazione semantica del concetto diDio, di cui Rilke, in questo arco di tempoche arriva fino al limite del ventesimo se-colo, addirittura abusa: il Dio di cui si parlanel saggio è un essere superiore da cui l’uo-mo dipende perché è creatore, fondamentoontologico e istanza morale. È un’entitàastratta al di fuori e al di sopra dell’uomo,alla quale tuttavia Rilke arriva ad equipara-re il proprio sé. Da questa progressiva equi-valenza fra Dio e Io parte quel processo disecolarizzazione che trasforma la religioneda una “componente solo visibile, quasifolklorica” a una ricerca spasmodica dellapropria felicità personale, altrettanto estra-nea agli intenti dell’insegnamento cristia-no. Dopo aver sottolineato come il divinorilkiano sia stato fortemente influenzatodalle dottrine di Schleiermacher e diNietzsche, Destro mette in relazione l’este-riorità sostanziale della religiosità presentenei primi testi con il difficile rapporto diRilke con la madre. Phia Rilke, separata dalmarito e votata a una devozione tanto bi-gotta quanto superficiale, diventa per il fi-glio l’esponente di una ritualità inconsisten-te, di cui il poeta evidenzia l’influsso nega-tivo soprattutto dopo il 1897, ossia dopol’incontro con Lou. Il senso di depaupe-ramento che Rilke nutre nei confronti di unamadre affettivamente assente trova una sortadi compensazione in questa amica-amantepiù esperta, che induce il poeta a quella“opzione anticattolica” che gli permette divivere in maniera più disinibita anche la pro-pria sessualità.All’alba del nuovo secolo si assiste, da par-te di Rilke, a “una frequentazione meno in-tensiva della figura di Dio”, di fatto assentenelle Nuove Poesie (1908) e nel Malte(1910), ma in fondo anche nelle ElegieDuinesi e nei Sonetti a Orfeo (1922), doveè sostituito rispettivamente dall’angelo e daOrfeo appunto, il “protagonista mitico” che,pur nella sua molteplice valenza, è “diffi-cilmente riconducibile a una problematicareligiosa comunque definita”.

Con questo trapasso Rilke si fa portavoce,secondo Destro, di una tendenza portante del-la modernità, ossia di quel processo disecolarizzazione che “tende a espungere Dio”da qualsiasi dimensione religiosa, rifiutandoin sostanza la dimensione trascendente e po-nendo “essenzialmente l’uomo come fine ul-timo dell’uomo stesso”.

***La ricerca da parte del poeta di un linguaggioche, pur rifacendosi a determinati modelli,fosse inconfondibilmente soltanto suo, è in-vece al centro dell’indagine che RüdigerGörner dedica a Rilke. La sua monografiaentra nei meccanismi costitutivi e propulsividi un congegno magico, capace di produrreuna musica verbale che si trasforma, per chisi prenda il tempo di lasciarsene invadere, inuna sorta di “Sprachdroge”, di droga lingui-stica. Anche il volume di Görner, che si dila-ta all’intera produzione rilkiana, è impostatosulla scansione cronologica. Esaminainnanzitutto i primi tentativi del giovaneRilke, prendendo in considerazione gli espe-rimenti in ambito teatrale, le prime prosepoetiche e la produzione lirica iniziale finoalla “rivelazione” del Cornet, opera alla qua-le Görner attribuisce una funzione quasisalvifica, definendola “eine Ballade vomÜberleben der dichterischen Sprache”. Cen-trale nell’evoluzione artistica del giovanepraghese è - anche secondo Görner - l’anno1900, momento di passaggio [Dichtung alsÜbergang] segnato dalla poesia delloStunden-Buch poi seguito da Das Buch derBilder, dove l’acutizzazione della percezio-ne esterna prepara “andere Wege zum Ding”e conferma la necessità di un rinnovamentolinguistico perseguito anche attraverso la tra-duzione, intesa come appropriazione di mondidiversi. Nella narrativa poetica - del saggiosu Rodin al Malte e avanti fino al Testament -Rilke perviene progressivamente, secondoGörner, a toccare “das Herzwerk derSprache”, a percepire quasi la pulsazione car-diaca del linguaggio che gli consente una sortadi catarsi, rendendolo capace di conoscereattraverso il cuore, ossia di divenire coscien-

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te del senso delle coincidenze e corrispon-denze esterne e dell’unione di tutto con tut-to. La lingua che deriva da questa nuovaforma di “sapere” diventa allora un dire inmusica e un dire mediante la forma e il co-lore, diventa insomma un’espressione nonlontana, nella sua efficacia, da quella dimolti grandi artisti da Rilke molto ammira-ti, da Rodin (cfr. Auguste Rodin, RainerMaria Rilke, Augenblicke der Leidenschaft.Aquarellierte Zeichnungen und Texte. Miteinem Nachwort von Annette Ludwig.Übersetzt aus dem Französischen von RätusLuck und Heidrun Werner, Frankfurt a. M.,Leipzig, Insel 2000) a Cézanne, da Picassoa Klee, in un rinnovato inseguimento diquell’opera d’arte totale che era già stata ilsogno dei romantici. Nell’evoluzione dellapoetica rilkiana che va di pari passo con lasua ricerca linguistica, Görner assegna unvalore paradigmatico alle variazioni sulmotivo dell’angelo, creatura che domina sìle Elegie duinesi, ma è presente anche intutta la produzione precedente, già a partiredai versi giovanili di Larenopfer.Anche esaminando i testi di Rilke sulla basedi questa ambivalente figura il lettore puòriconoscere come la lingua di Rilke diventiprogressivamente una sorta di resistenzacontro lo “Zeitgeist”, contro lo spirito dellasua epoca del tutto priva di spirito, controun’età materialistica e chiassosa,profittatrice e trionfalistica, alla quale ilpoeta sa opporre un gesto linguistico – cheè specchio della sua disposizione interiore– sempre più diafano, ma anche dotato diuno slancio verticale che toglie importanzaalla concretezza, e di una musica lieve evagamente arcaicizzante che diventa garan-zia di continuità con il passato e spinta co-raggiosa verso un futuro dove dovranno tor-nare a imporsi quei valori che il brutalelivellamento dell’attualità ha relegato in unangolo, subordinandoli alla legge dellatesaurizzazione immediata. Al profitto pre-dicato dal suo tempo la poesia di Rilke re-plica con il “controvalore” di versi dal toc-co ingenuo che diventano mezzo di restitu-zione di quella ricchezza pura del cuore che

l’uomo moderno, nel suo affannoutilitaristico, ha cessato di perseguire.Per evidenti ragioni cronologiche, né De-stro né Görner hanno purtroppo potuto te-nere in considerazione le tredici novellecomposte prima del 1897, che ora – insie-me altre 10 prose brevi già pubblicate inprecedenza – il noto studioso rilkianoAugust Stahl ha reso per la prima volta di-sponibili, riesumandole dal lascito in colla-borazione con la nipote del poeta, HellaSieber-Rilke, custode dell’archivio diGernsbach.

Bibliografia:

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RMR, Augenblicke der Leidenschaft.Aquarellierte Zeichnungen und Texte. Miteinem Nachwort von Annette Ludwig.Übersetzt aus dem Französischen von RätusLuck und Heidrun Werner, Frankfurt a. M.,Leipzig, Insel 2000.RMR, Briefwechsel mit Magda vonHattingberg, hrsg. von Ingeborg Schnackund Renate Scharffenberg, Frankfurt a.M.,Leipzig, Insel 2000.

RMR, Claire Goll, Briefwechsel. Ich sehnemich sehr nach Deinen blauen Briefen ...hrsg. von Barbara Glauert-Hesse, Göttingen,Wallstein 2000.

RMR, Mathilde Vollmoeller, Briefwechsel.Paris tut not, hrsg. von Barbara Glauert-Hesse, Göttingen, Wallstein 2001.

RMR: „Sieh dir die Liebenden an“. Briefean Valerie von David-Rgonfeld, hrsg. vonRenate Scharffenberg und August Stahl.

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Herta König, Erinnerungen an Rilke, RilkesMutter, hrsg. von Joachim W. Storck,Überarb. und erweiterte Neuausgabe,Bielefeld, Pendragon 2002.

RMR: Briefwechsel mit Rolf von Ungern-Sternberg und weitere Dokumente zurÜbertragung der „Stances“ von JeanMoréas, hrsg. von Konrad Kratzsch unterMitarbeit von Vera Hauschild, Frankfurta.M., Leipzig, Insel 2002.

Gunna Wendt, Clara & Paula. ZweiFreundinnen und Künstlerinnen, Hamburg,Europa Vlg. 2002.

RMR, Gedichte in französischer Sprache.Werke Supplementband. Mit deutschenProsafassungen, herausgegeben vonManfred Engel und Dorothea Lauterbach,Übertragungen von Rätus Luck, Frankfurta.M., Leipzig, Insel 2003.

RMR, Briefwechsel mit einer jungen Frau,hrsg. von Horst Nalewski. Frankfurt a.M.,Leipzig, Insel 2003.

Paula Modersohn-Becker, Briefwechsel mitRainer Maria Rilke. Mit Bildern von PaulaModersohn-Becker, hrsg. von RainerStamm, Frankfurt a.M., Leipzig, Insel 2003.

RMR, Briefwechsel mit Thankmar vonMünchhausen, 1913-1925, hrsg. vonJoachim W. Storck, Frankfurt a.M., Insel2004.

Hans-Albrecht Koch, Alberto Destro (Hgg.).Rilke-Perspektiven (Rilke-Perspektiven.„aus einem Wesen hinüberwandelnd in einnächstes“, Overath, Bücken & Sulzer 2004.

RMR, Silberne Schlangen. Die frühenErzählungen aus dem Nachlaß, hrsg. vomRilke-Archiv in Zusammenarbeit mit HellaSieber-Rilke, besorgt durch August Stahl.Frankfurt a.M., Insel, 2004,

Gabriella Rovagnati

Rudolf Kassner, La visione e il suo doppio.Antologia degli scritti, a cura di GerhartBaumann e Aldo Venturelli, trad. di LauraBenzi, Roma, Artemide, 2003, pp. 159, € 18

“È una presenza nascosta nella letteraturatedesca ed europea del Novecento, difficileda decifrare e riscoprire”, quella di RudolfKassner, come osserva Aldo Venturelli nel-l’introduzione, Rudolf Kassner e la culturaitaliana: un incontro mancato?, a una rac-colta antologica, opportuna quanto felice, dialcuni scritti di un autore che meriterebbemaggiore frequentazione e attenzione. Ep-pure di Kassner, critico letterario, tradutto-re, finissimo e coinvolgente saggista, viag-giatore, viennese di adozione, sono state pub-blicate le opere complete in dieci volumi frail 1969 e il 1991, un’edizione antologizzata,Gesicht und Gegengesicht. Aus den Schriften,curata da Gerhart Baumann, cui fa riferimen-to l’edizione italiana, ma la sua ricezioneresta frammentaria, comunque non adegua-ta all’opera e al ruolo di un intellettuale “ami-co e ispiratore in particolare di Rilke e diHofmannsthal, ammirato da Thomas Mann,Robert Musil, Franz Kafka, FriedrichDürrenmatt, Elias Canetti, punto di riferi-mento fondamentale per il giovane Lukács”.La difficoltà della ricezione e dellavalorizzazione di Kassner discende quasiparadossalmente dalla sua centralità nellacultura fin de siècle di cui la sua prima operaDie Mystik, die Künstler und das Leben. Überenglische Dichter und Maler im 19.

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Jahrhundert, pubblicata nel 1900, presen-tandosi come una “storia immaginaria delpreraffaellitismo” rivela non solol’atmosfericità ma anche la comunanza coni canoni della poetica hofmannsthaliana. Delresto il suo radicamento nella cultura dellaJahrhundertwende è alimentato dalla con-vinzione di essere e restare figlio della mo-narchia absburgica, che dura nel tempo siadurante le sue escursioni esotiche in Africae in India -di notevole interesse è lo studioDer indische Idealismus- sia durante i suoisoggiorni in Svizzera, in particolare a Sierre,dove morì nel 1959, non lontano da Muzota ribadire la consonanza spirituale con Rilkeche fra l’altro gli aveva dedicato l’ottavadelle Elegie Duinesi.Se Venturelli spiega i tratti e il raggio d’azio-ne di una “polivalente personalità” chespazia dall’autobiografismo al progetto diuna fisiognomica universale e a tematichereligiose in un arco evolutivo che coniugasorprendentemente il cultore della conver-sazione con prospettive mistiche eintrospettive, Gerhart Baumann nel saggioconclusivo, Spirito che dà forma-Spiritodella forma, traduzione della postfazionealla raccolta del 1992, ricostruisce effica-cemente la cifra esistenziale e l’ordito de-gli scritti di Kassner. Filo conduttore è in-fatti la percezione e la rappresentazionedella metamorfosi “in cui la visione si tra-sforma in accadere, in cui l’uomo si molti-plica, torna indietro alla sua infanzia e altempo stesso rende presente a se stesso lasua età”.Multiformità della conoscenza, relazionalitàdi situazioni ed epoche storiche,individuazione di transizioni emodificazioni, delineazione di forme e pae-saggi dello spirito, che si incontrano e com-penetrano, caratterizzano l’universo criticodi Kassner della cui ricchezza si era resoconto Robert Musil il quale, riportando neiDiari come sua consuetudine ampi stralcidi opere di suo interesse, trascrive nel qua-derno 10 (1918-1921) parecchi passi da DieMoral der Musik del 1905 fra cui il seguen-te: “E per me lo scrivere è ... questione di

stile - non perché io sia un esteta, ma per-ché non dimentico mai l’intero, la vita, lemille ragioni e possibilità, non dimenticomai che potrebbe essere anche diversamen-te”. Si coglie qui una singolare affinità conl’esercizio musiliano della categoria dellapossibilità.Cinque sono gli scritti presentati nell’edi-zione italiana e tranne Narciso o mito e im-maginazione del 1928 sono tutti antecedentila prima guerra mondiale. Vale la pena sof-fermarsi sul primo testo, Il poeta e il plato-nico da un discorso sopra il “Critico”, con-tenuto nel citato volume Die Mystik, dieKünstler und das Leben in cui si descriveun brillante e incisivo profilo del critico nelquale molti possono ancora riconoscersi: “èil filosofo senza sistema, il poeta senza rima,l’uomo di società più solo (...) la bohêmesenza avventura. (...) Egli possiede moltoamore e poco potere, moltissimo orgoglioe nessun servitore. (...) Ama la vita per viadell’arte di altri e l’arte per via della suapropria vita”. In che misura poi e con qualeconsapevolezza “il critico di oggi non ènient’altro che il platonico dell’antichità, ilmoralista del diciottesimo secolo in Fran-cia, il ‘sinfilosofo’ di Friedrich Schlegel”,questo è da ricondurre a quella strategia edestetica metamorfica e poliforme che tra-sformano il fluire delle forme artistiche inun baluginante incrociarsi di immagini. Alcritico che ama “le forme e superfici deglialtri” Kassner contrappone il dilettante dicui si fa un ritratto altrettanto preciso nelsaggio sul Dilettantismo, già tradotto daEnrico De Angelis nel 1993, (“il dilettantemanca, in senso stretto, solo di fronte a sestesso ... il dilettante nel suo animo è sem-pre indeciso ... come tutti i dilettanti essi -i modernisti- vedono le singole parti e nonla connessione che le lega e la totalità) cheaffonda la sua genealogia nella caratteriz-zazione di Goethe e Schiller fino ad arriva-re alla discussione sull’artista mancato nel-la letteratura fra Otto e Novecento.Kassner si rivela un inesauribile e impreve-dibile tracciatore di vie della conoscenza chenon si esauriscono mai in Holzwege, ma

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rappresentano nel suo campo visivo unospettro di temi e prospettive per cui il“fisiognomico possiede anche in ciò che èspirituale quegli ‘occhi di un rapace’ che eglisi attribuisce”. Per la ricchezza della suaopera e per le aperture critiche che la suaprogettualità dischiude c’è da augurarsi cheanche grazie a questa edizione italiana laricezione di Kassner cresca e si arricchiscadopo la prima traduzione de I fondamentidella fisiognomica (1997) a cura di Giovan-ni Gurisatti e i lontani contributi critici diAlessandro Pellegrini, che con l’autore ave-va intrattenuto uno scambio epistolare, e allepiù recenti osservazioni di AndreinaLavagetto sul rapporto del saggista conRilke.

Fabrizio Cambi

Joachim Schlör, Endlich im Gelobten Land?Deutsche Juden unterwegs in eine neueHeimat, Berlin, Aufbau-Verlag, 2003,pp. 243, € 29,90

“Ha nostalgia della Germania?” è la doman-da che, si racconta, venne posta a Erich Ma-ria Remarque, esule in America. “Non sonomica un ebreo tedesco!” avrebbe rispostolo scrittore che aveva sì abbandonato laGermania dopo l’avvento delnazionalsocialismo ma non era ebreo.È solo un aneddoto, un Witz, ma queste bat-tute, si sa, colgono spesso la realtà megliodi un lungo ragionamento.Solo gli ebrei tedeschi potevano infatti ave-re nostalgia per la Germania proprio perchéessa non era non un possesso ovvio ma qual-cosa cui costantemente avevano aspirato,una patria mai definitiva in cui si eranoidentificati progressivamente nel corso del-l’Ottocento fino a diventare “cittadini tede-schi di religione ebraica”, e che ora, nel ’33,poteva ancora sembrare loro tradita proprioda quello stesso nazionalsocialismo che ne-gava la loro identità di ebrei tedeschi. Unanostalgia, quella degli ebrei tedeschi per laGermania, cui forse neppure Auschwitzha messo fine, anche se quell’esperienza

unica e irripetibile che è stata la cultura ebrai-co-tedesca, e più in generale la civiltà ebrai-ca di lingua tedesca del centro Europa, si ècon Auschwitz conclusa.Ma la Palestina, si chiede Joachim Schlör, èstata davvero la Terra Promessa per gli ebreitedeschi? A questa domanda per fortuna il suolibro Endlich im Gelobten Land? DeutscheJuden unterwegs in eine neue Heimat evitadi rispondere. E invece racconta il difficilerapporto con la “nuova patria” che ebbero piùgenerazioni di ebrei, quelli che andarono inPalestina prima del’33, quasi per mettersi allaprova o conoscersi veramente e poi, a suc-cessive ondate, gli esuli dalla Germaniaquando ormai la Palestina era diventata, ol-tre che un passaggio, anche una patria obbli-gata. Il libro è anche arricchito da documen-ti, manifesti, cartoline, pubblicità, pagine bat-tute a macchina in un kibbuz con il dare el’avere in lingua tedesca, fotografie sugge-stive, in cui la parola “Jekkes” , termine concui venivano designati gli ebrei tedeschi, enon sempre positivamente, acquista tutta lasua concretezza. Jecke è infatti la giacca, ecompiti, europei, poco esotici, dovevano ap-parire agli altri ebrei gli ebrei tedeschi, vesti-ti tra le palme o nel deserto appunto congiacca e cravatta.In questa ricostruzione la Terra Promessaappare piuttosto un transito, una stazione, unasosta, forse più lunga delle altre, per il “po-polo-non popolo” della diaspora. Lungi dal-l’essere però una disquisizione solamenteteorica su ciò, il libro di questo valente stu-dioso, che è attivo a Potsdam, nel Centro pergli Studi Ebraici, Moses Mendelssohn, è an-che il tentativo di narrare una storia di perso-ne, una storia perciò frammentaria e che tale,nella volontà dell’autore, deve rimanere.Come se non fosse possibile per nessuno direl’ultima parola, come se non si potesse pro-nunciare la parola fine, perché, forse, una finenon c’è. E lo testimonia anche la ripresa inGermania dell’interesse per l’ebraismo tede-sco, per un passato che più che non passaresembra fruttuosamente prolungarsi nel pre-sente, in chi continua a indagare, continua ainterrogarsi su una storia che è anche la pro-

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pria, come traspare anche da questo contri-buto.Lo studioso si avvale per lo più di testimo-nianze autobiografiche, lettere, racconti oraliascoltati personalmente dai pochi sopravvis-suti, diari e memorie, non importa se di per-sone importanti e note o di persone che quiconosciamo per la prima volta. In realtà èuna storia collettiva, un esodo, che sembraincarnarsi nei singoli, che però non sono piùsoli e isolati, fanno parte di una comunità,di una coralità, e le loro vicende sono quel-le di tutti.Soprattutto nei resoconti di chi ha visitatoprima del ’33 la Palestina, la lingua e il lin-guaggio sono quelli della cultura ebraico-tedesca, che ci si è da poco lasciati alle spal-le, e il viaggio è ancora un esperimento,una prova. Spesso dolorosa, difficile, per-ché un sogno diventa realtà. Si legge in unalettera: “da quando i visitatori della TerraPromessa si sono messi alla ricerca di unanuova patria, Gerusalemme, da concettoastratto, è degradata a una città della Pale-stina”. Su questa frase, osserva giustamenteSchlör, si potrebbe scrivere un libro.Ma la percezione della Terra Promessa èancora diversa quando il viaggio di andatae ritorno, da prova, esperimento, diventa unarealtà a senso unico. C’è il congedo dal “finoa qui”, come lo definisce felicemente Schlör,come se un giorno, chissà, si potesse ancheriprendere là dove si era interrotto. E la sug-gestiva immagine di un appartamento Jecke,a Gerusalemme, ci riporta per un attimo inun appartamento che potrebbe spalancarsida un momento all’altro sul Tiergarten. An-che i caffè, il Caffè Pilz di Tel Aviv, qui ri-tratto, fanno pensare ai luoghi dove è natala cultura moderna di un’ Europa non trop-po lontana dalle dune di sabbia. Ci sono ipassaggi, mitici, come Trieste, transito permolti che lì si imbarcavano alla volta dellaTerra Promessa.Ma coloro che arrivavano, sapevano dovestavano andando? Nel 1936 gli ebrei tede-schi che abitavano la Palestina erano già30.000, e molti di loro si trovavano “tra”,non “in”, commenta Schlör. E la lingua? Più

difficile sostituire il tedesco con l’ebraiconelle città, là dove, invece, la vita è più co-munitaria, l’ebraico si deve imparare.Una foto di Martin Buber, circondato dagiovani e meno giovani: ma dove siamo? ABerlino, a Vienna, forse... siamo in Palesti-na, a Ben Shemen. E che dire dei Brezel?sono serviti a Haifa, e la réclame è, comeusuale, in inglese e in ebraico.E c’è anche il Potsdamer Platz a Tel Aviv:credevamo fosse a Berlino, ma ci siamosbagliati. E c’è anche la colonna per la pub-blicità portata da Berlino, con le soliteréclames. Anche noi non sappiamo più dovesiamo arrivati, che cosa abbiamo davantimentre sfogliamo questo libro-album.Con un certo orgoglio vediamo ArturoToscanini, accolto con giubilo in Palestina,per dirigere la stagione concertistica.E c’è la costruzione di Nahariya, tedescacittà in Palestina, in cui, si racconta, qual-cuno una volta si stava avvicinando nel-l’oscurità ai suoi confini, quando si sentìintimare: “parlate in tedesco o sparo!”. Ec’è la vita comunitaria dei kibbuz, in cuimolto del movimento giovanile tedesco èconfluito, così come tanta parte del pensie-ro comunitario e socialista della vecchiaEuropa. Siamo nell’anno 1938 e tutto inquel foglio di appunti in kibbuz è scrittoancora in tedesco, e si racconta che per lacostruzione delle case gli Jekkes si passas-sero i mattoni dicendo: mi scusi, HerrDoktor, grazie Herr Doktor...Forse la Germania si trova più qui che nel-la Berlino del 1938, e forse è vero, comedirà Canetti, che dopo Hitler, gli ebrei sonogli unici tedeschi degni di essere tali.

Claudia Sonino

Rose Ausländer, Poesie scelte, a cura diMaria Enrica D’Agostini e BeatriceSellinger, Parma, Monte Università Par-ma Editore, 2004, pp. 378, € 13.00

È uscita recentemente per i tipi dell’edito-re MUP di Parma una raccolta di poesie di

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Rose Ausländer, curata da Maria EnricaD’Agostini e Beatrice Sellinger, che offreal pubblico italiano un florilegio di lirichedi una poetessa per lo più sconosciuta. Latraduzione è stata condotta da un gruppocostituito dalla germanista Maria EnricaD’Agostini e da entusiastici cultori dellaAusländer, Corrado Clerici, MonicaSergelli, Arturo Zilli, un’operazione cultu-rale non priva di rischi in quanto più pro-nunce ed esperienze traduttive qui si fron-teggiano, si intersecano, si giustappongonosulla scorta di percorsi culturali ed esisten-ziali il più delle volte difformi o magari af-fini, mai comunque uguali, anche se l’am-bito d’azione è in questo caso comune, os-sia la poesia della “schwarzen Sappho deröstlichen Landschaft”, nata nel 1901 aCzernowitz in Bukowina (facente alloraparte dell’impero asburgico, poi divenutaRomania dopo il 1918) da una famigliaebrea di lingua tedesca, che condusse unavita non facile segnata dall’emigrazione,dalla dolorosa esperienza del ghetto diCzernowitz durante l’occupazione nazista,dalla perdita ripetuta della cittadinanzaamericana, rumena e austriaca, dall’amoree dall’odio nei confronti del Vecchio Con-tinente dopo la seconda guerra mondiale,cui non seppe rinunciare quando, nel 1972,dopo una febbrile peregrinazione tra StatiUniti e Austria intervallata da viaggi inGrecia, Israele, Francia, Italia, Norvegia,Olanda decise di ritirarsi a Düsseldorf nel-la casa di riposo Nelly Sachs, dove si spe-gnerà nel gennaio del 1988.La parabola esistenziale di Rose Ausländerfu per certi versi comune a numerosi intel-lettuali e artisti ebrei provenienti dalle re-gioni dell’Est europeo e nella fattispeciedalla Bukowina, il cui centro Czernowitz èstata una feconda officina di poesia, di let-teratura, di riflessioni estetico- filosofichetra le due guerre mondiali e non solo. Numitutelari come il filosofo etico ConstantinBrunner, Karl Kraus, Rilke,Trakl, Kafka,Freud, lo scrittore jiddish Elieser Steinbergper non tacere quelli classici rappresentatitra l’altro da Spinoza, Kant, Hölderlin,

Schopenauer, Wagner, Nietzsche hanno gui-dato il percorso intellettuale di RoseAusländer che respirerà l’aria nativa,plurilinguistica (la lingua ufficiale era il te-desco seguito dal rumeno, dal ruteno, dallojiddish), multietnica della Bukowina, dove lafilosofia, la letteratura e la poesia tedescadialogavano con l’ortodossia ebraica, con ilChassidismo del Rabbi di Sadagora, con laKabbalah, con le leggende (tra cui quella delBaal-Schem, il Padrone del Buon Nome diDio che operava miracoli) e i raccontidell’Aggadah, nonché con il melanconicosentimentalismo slavo.Sfogliando questo volume di poesie dellaAusländer sono convincenti i criteri di sele-zione delle liriche proposte ben espressi nelsaggio introduttivo di una delle curatrice,Maria Enrica D’Agostini: “Il viaggio attra-verso la poesia di Ausländer ha come primameta l’individuazione di parole che rappre-sentano, prese singolarmente, temi-simboloe, come secondo traguardo, l’identificazionedelle liriche emblematiche per dimostrarel’esemplare peculiarità di tali temi” (p. 9).La presente raccolta di liriche composte dal-la Ausländer tra il 1927 e il 1987 è stata in-fatti opportunamente suddivisa in dieci se-zioni-guida (Artisti-Pensatori; Dio-Sabbat;Dimora nella parola: poesia; Natura; Luoghi;Ebraismo nell’Europa orientale; Identità-Alterità; Sogno; Tempo-Credo; Terra di nes-suno- Estraneità) e consente anche al lettoreitaliano di accostarsi a una delle voci poeti-che più incisive del Novecento mitteleuropeo,Rose Ausländer, ingiustamente ignorata perlunghi anni, anche a causa delle vicissitudinistoriche, dallo stesso mondo della cultura dilingua tedesca che solo a partire dagli anniSessanta le ha tributato prestigiosi riconosci-menti letterari e che nel centenario della na-scita (2001) le ha dedicato a Ludwigsburg unconvegno alla presenza dei maggiori studio-si e poeti internazionali. Su questa poetessaè uscito nel 1990 in Italia nel volumecollettaneo Poesia tedesca del Novecento unilluminante saggio di Giuseppe Farese titolatoRose Ausländer seguito sette anni dopo daquello di Alessandro Fambrini, Rose

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Ausländer: Italia I. La preoccupazione ditradurre anche in lingua italiana le lirichedella poetessa della Bukowina sì è manife-stata però con la pubblicazione nel 2002del volume Arcobaleno. Motivi dal Ghettoe altre poesie curato da Maria EnricaD’Agostini per le edizioni San Marco deiGiustiniani di Genova, una fatica quest’ul-tima anticipata e preparata dal saggio criti-co Parola e scrittura per evocare ‘identità’e ‘patria’ apparso nel 2000 nel volume Stel-la errante. Percorsi dell’ebraismo fra Este Ovest, curato da Guido Massimo e GiulioSchiavoni. Il presente lavoro critico e di traduzione siè appoggiato all’edizione in otto volumidell’opera completa di Rose Ausländerpubblicata dall’editore S. Fischer dal 1984al 1990 e curata da Helmut Braun che sco-prì la poetessa ed ebbe con lei un fervido eprivilegiato scambio intellettuale durante gliultimi anni della sua vita.Il brillante saggio di Peter Strelka RoseAusländer ripercorre sapientemente la lun-ga parabola esistenziale e artistica dellapoetessa e il suo modo di essere in un certomodo heimatlos, ossia testimone attraver-so il suo frenetico peregrinare di quellaHeimatlosigkeit che “è stato altresì un trat-to caratteristico delle opere di numerosipoeti asburgici” (p. 325). Lo stesso cogno-me Ausländer che acquisì con il matrimo-nio -il suo cognome da ragazza eraScherzer- diverrà l’espressione eminente,paradigmatica, quintessenziale di una con-dizione esistenziale priva di una patria, diuna fissa dimora scandita dai suoi ripetutisoggiorni americani ed europei e dai suoiviaggi errabondi, facendo tralucere la suascaturigine ebrea e soprattutto il suo modopersonale di sentirsi ebrea, di testimoniareanche e non solo il suo ebraismo orientale.“Quella mescolanza sopranazionale”, con-tinua Strelka, “che aveva improntato di séla cultura e la letteratura austriaca, duròancora alcuni decenni, oltre la Prima Guer-ra Mondiale, nonostante le fondamenta eco-nomiche, sociali e politiche asburgiche sifossero erose da lungo tempo” (p. 329). Ed

è grazie a questo tratto peculiare della cul-tura asburgica, la multietnicità che si accom-pagna alla plurivocità linguistica, che “[queltedesco ] aveva una particolare fisionomia,una propria coloritura. Sotto la superficiedel dicibile giacevano le radici profonde,estesamente ramificate, delle diverse cultu-re, che si intrecciavano fitte e che apporta-vano succo e forza al fogliame di parole, alsuono e alla sensibilità per l’immagine” ( p.329). Se la Ausländer perderà il Vaterland,la sua terra patria, la Bukowina, preziosatessera del ricco mosaico etnico e culturaledell’ecumène asburgica, divenuta preda delpotere hitleriano e sovietico (“MeinVaterland ist tot/ sie haben es begraben/ imFeuer/ Ich lebe in meinem Mutterland”), ellala ritroverà nel Mutterland (madrepatria),ossia nella parola, l’unico rifugio sicuro allapersecuzione, il pneuma che le consentiràdi rimanere in vita (“Schreiben war Leben.Überleben”), l’estrema resistenza alle dimo-re della morte, in cui sono entrati più di50000 concittadini ebrei.Nel suo saggio ben articolato BeatriceSellinger si interroga sul tipo di linguaggiopoetico usato dalla Ausländer sostenendoacutamente che esso è a mezza via tra unidioletto e un idioma e denota una partico-lare sensibilità “per le differenzeimpalpabili” e “una particolare consapevo-lezza nelle scelte paradigmatiche esintagmatiche” (p. 357). La sua produzionelirica è in buona misura d’ispirazionebiblica, ossia è “saldamente ancorata al-l’idea ebraica della parola-creatrice, alimen-tata dal respiro come la stessa vita umana ead essa indissolubilmente legata: natura elingua si fondono nel respiro, elementougualmente essenziale per entrambi”(p.358), è quindi, come scrive D’Agostini “ali-to, soffio divino, emanazione, rivelazione”(p. 13). Questa è una peculiarità quasipalmare che rende avvincente, accattivantela lettura dei versi della Ausländer, sottesi etesi alla ricerca e al recupero di un linguag-gio poetico “autentico” anche in sensokrausiano, che si è forgiato in quella scuoladi resistenza che fu il ghetto di Czernowitz,

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sala di attesa per la deportazione nei campidi sterminio o di lavoro forzato, che ha vis-suto una drastica battuta di arresto nel se-condo soggiorno americano iniziato nel1946 e conclusosi nel 1957 -la poetessa sirifiutò di usare il tedesco da lei consideratocome “la lingua degli assassini”- e che haripreso a rifluire copiosamente grazie all’in-coraggiamento della poetessa americanaMarianne Moore che aiutò l’amicaAusländer a superare il trauma linguisticoe a ritornare alla Muttersprache, il tedesco,inteso anche come la lingua della propriamadre, alla quale fu fortemente legata.Soffermiamoci ora sulla traduzione toutcourt di queste liriche scelte dall’ampiocorpus dell’opera poetica dell’Ausländer.A una lettura svolta sia diacronicamente siasincronicamente si evince che i traduttorisono pervenuti a una traduzione fedele deitesti originali, restituendo in maniera toc-cante sul piano emotivo l’afflato, il respiro,i battiti del cuore insiti in questi versi nelrispetto delle peculiarità e potenzialità del-la lingua di partenza e di quella di arrivo,rendendo felicemente i numerosineologismi, come ad esempio “Wortlaub”(“fronde di parole”), “Gedankenstamm”(“tronco di pensieri”) “Apfelwort” (“paro-la per la mela”), “Zwischenkriegswort”(“parola fra le guerre”), “Weltgehör” (“orec-chio del mondo”), “Meinwort”(“parolamia”), “Deinwort” (“parolatua”),“Inselherz” (“cuore isolano”),“Schläfenlockgeflüster” (“bisbiglìo diboccoli alle tempie”), “Menschblumenzeit”(“tempo di un fiore umano”), “Queck-silbereis” (“mercurio argenteo ghiacciato”),“traumabstrakt” (“sogno astratto”), “atem-nackt” (“nudo respiro”), “schneebestirnet“(“fronte innevata”) che la poetessa conia fre-quentemente a mo’ di cifra poetica, nonchéil ritmo che informa un incedere fulmineo,epigrammatico, per certi versi con una ca-denza quasi epica, essenziale, che ci per-suade dell’onesta e genuina pratica di scrit-tura della Ausländer che ha saputo nutrirsidei maggiori apporti della filosofia, lettera-tura e poesia occidentali coniugandoli con

la spiritualità ebraico-orientale. Un appuntoè doveroso farlo per quanto riguarda la tra-duzione del titolo della lirica Mitverstümmelter Stimme, che anziché Vocemutilata sarebbe suonato meglio Con vocemutilata o mutila, non sacrificando la con-giunzione mit che esprime il modo con cui ilpoeta pronuncia “ein Zwischenkriegswort”(p. 300). I traduttori hanno comunque as-solto il loro compito ben avvertiti circa ilbackground culturale della poetessa, non tra-scurando il misticismo ebraico(Chassidismo) e l’estatica trasposizione del-la realtà nella favola, tipico della parabolachassidica (Czernowitz. “Geschichte in derNußschale”) e rispettando le diversecoloriture espressioniste che spesso affiora-no dai suoi versi e la versificazione liberafrutto di una motivata scelta poetica (rinun-cia alla rima dopo la tragedia della shoa: “derReim in die Brüche ging”). Il tenore dellaresa traduttiva dei versi della Ausländer puressendo plurivoca, a più mani, ha mantenu-to ciononostante un andamento pressoché ar-monico e omogeneo. Ciò rivela che lo spi-rito è stato colto e trasposto sulla base diun’attenta selezione del registro linguisticopiù adeguato, rispettoso del tono intimistico,composto, genuino della Ausländer resti-tuendo efficacemente i variegati tratti del suoanimo poetico. La Ausländer sa infatti esse-re nel contempo Lyrikerin della natura(Frühling I, Herbst III, Tropfen), della suaterra nativa (Pruth, Bukowina I, Czernowitz),della realtà americana metropolitana influen-zata per certi versi da Georg Heym e dai liri-ci americani contemporanei (New York,Winona, Minnesota(USA), Der Dämon derStadt), della tradizione e spiritualità ebrai-co-orientale (Sabbath, Sadagorer Chassid,Prag), dell’atavico e biblico esilio (LeCháim, Ein Tag im Exil, Fremde, Unendlich,Papiertempel), dell’onirico (An deinenTraum, Alte Zigeunerin), dei suoi numitutelari e amici (Constantin Brunner, SpinozaI, In Memoriam Elieser Steinberg , InMemoriam Paul Celan, Else Lasker-SchülerII, Marianne Moore, KafkasHungerkünstler), dello smarrimento esisten-

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ziale (Ich sammle, Wo sich verbergen), del-la cognizione del dolore (Trauer II), del fie-vole barlume di speranza (Noch bist du da,Phönix), dell’amore per la vita che conti-nua a professare e a testimoniare anche dopola sua scomparsa. Dobbiamo essere grati aicuratori, collaboratori e traduttori di avercifatto conoscere attraverso questo florilegiodi liriche una delle voci certamente autore-voli della poesia novecentesca dellaBukowina, di quella Mitteleuropa periferi-ca, sacrificata e smembrata dalla storia (dopoil 1945 il Nord-Bukowina e la capitaleCzernowitz divennero sovietiche, mentre ilSud-Bukowina rimase rumeno) che non ces-sa di esercitare il suo fascino in quanto ‘pro-vincia dell’uomo’, ‘utopia orientale’,“civiltàveramente umana perché ancorata alla di-mensione sacra della vita”, ‘luogo epifanicodell’umano tra derive e rinascite’. I versidella Ausländer rappresentano anche la vit-toria sulla sofferenza, sullo sradicamento,sulla perdità d’identità, sulla malattia. Leistessa scriverà poco prima di congedarsi dalmondo: “ Ich bin eine Tote/ die lebt/ unddas Leben liebt”. La dimora della vita, lapoesia, ha avuto la meglio su quella dellamorte.

Erminio Morenghi

Judith Kasper, Sprachen des Vergessens.Proust, Perec und Barthes zwischen Verlustund Eingedenken, München, Wilhelm FinkVerlag, 2003, pp. 314, € 38,90

Judith Kaspers Buch Sprachen desVergessen stellt eine Gradwanderung darzwischen Literatur- und Kulturwissenschaft,zwischen Textanalyse und Gedächtnis-theorie, zwischen erzähltheoretischerÜberlegung und der Suche nach der Logikder Erinnerung. Ausgangspunkt derUntersuchung ist dabei nicht die Erinnerungselbst, nicht das, was man weiß, sagen underzählen kann, sondern ganz im Gegenteildas, was dem Gedächtnis entglitten ist unddaher keine Entsprechung in der Sprache

hat, aber dennoch im Text als „Schatten“ (S.14) erhalten bleibt.Das Vergessen, von Judith Kasper aporetischverstanden als das Unsagbare im Text,erweist sich dann nicht als bloßeGedächtnislücke, vielmehr wird esaufgezeigt als Fluchtpunkt, von dem einelatente Dynamik ausgeht, die richtungs-weisend ist für den Erinnerungsdiskurs. Aufganz spezifische Weise wird also das in denKulturwissenschaften immer wiederdiskutierte Spannungsverhältnis zwischenErinnern und Vergessen aufgenommen, fürdie Interpretation des literarischen Textsfruchtbar gemacht, dort auf seineKomplexität und seine Vielfalt hinuntersucht, um dann schließlich wiederrückbezogen zu werden auf dieTheoriegebäude des Gedächtnisdiskursesmit dem Zweck, den Facettenreichtum, dersich hinter dem allgemeinen Begriffverbirgt, im Einzelnen zu beleuchten und amkonkreten literarischen Werk anschaulich zumachen. Der erste Text, der einerdetaillierten Analyse unterzogen wird, ist dergroße Gedächtnisroman der modernenLiteratur, Marcel Prousts A la Recherche dutemps perdu. Diesem folgt eineInterpretation von Georges Perecs W ou lesouvenir d’enfance sowie eineUntersuchung von Roland Barthes’ Lachambre claire. Obwohl die Textbeispieleallesamt der französischen Literaturentstammen, macht die äußerst gelungeneVernetzung und Verflechtung von inter-pretierender Praxis und gedächtnis-wissenschaftlicher Theorie das Buch zueinem interessanten Werk in einer Situationwie der heutigen, in der die nationalenPhilologien verabschiedet und durch neue,komparativ und kulturwissenschaftlichausgerichtete Ansätze ersetzt werden.Den doppelt gelagerten, auf der Ebene vonTheorie und Praxis angesiedeltenErinnerungsdiskurs, den Judith Kasper inihrem Buch selbst ständig führt, weist siezu Anfang ihrer Untersuchung in seinerliterarischen Spiegelung bei Marcel Proustnach als „ein spannungsvolles Mit- und

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Gegeneinander der Erinnerungserzählungeinerseits und der in den Roman ein-geflochtenen poetologischen Überlegungenzur ”mémoire involontaire“ und ”mémoirevolontaire“ andererseits (S. 16). Um demeinen wie dem anderen gerecht werden zukönnen, der Erinnerung und dem damiteinhergehenden Vergessen sowie derErzähltechnik, die Erinnerung undVergessen zum Ausdruck bringen will,gliedert sich die Untersuchung zu Proust inzwei Teile. Der erste Teil betrifft dieRhetorik des Gedächtnisses, genauerherkömmliche Gedächtnismetaphern wieetwa die der Bibliothek und des Friedhofes,die Proust „kontaminiert“ (S. 38 ff.), um zuzeigen, dass diese nicht nur für dieErinnerung stehen, sondern auf jeweilsspezifische Weise das Vergessen bereits insich tragen. Im zweiten Teil derUntersuchung geht es um die Grammatikdes Gedächtnisdiskurses, um dieerzähltechnischen Mittel, die Proustanwendet mit dem Zweck Erinnerung undVergessen in ihren vielschichtigen Ver-schränkungen narrativ zu spiegeln. Hierwird etwa das Thema der epiphanischenWiederaufstehung der Vergangenheitanalysiert, die, selbst an den Augenblickgebunden, nicht in der Erinnerungfestgehalten werden kann. Betrachtet wirdauch die zwanghafte Wiederholung einerSzene im Gedächtnis, wie dies etwa beiMarcels Eifersucht auf Albertine der Fall ist;besondere Aufmerksamkeit gilt dabei derdort erfolgten Pervertierung desangestrebten Vergessens von Schmerz undLeid in eine Erinnerung, die in einer ganzeigenen Polarität von Vergegenwärtigungund Verfall steht. Hier sowie an anderenStellen zeigt Judith Kasper immer wiederganz deutlich, wie Marcel Proust Erinnernund Vergessen „gleichermaßen in ihrerUnmöglichkeit“ (S. 113) vorführt, wie erzeigt, dass sie gleichzeitig zu wirkenscheinen, „in einer Art von chiastischemVerhältnis“ (S. 113) stehen, sich gegenseitighervorrufen und bedingen. EinErinnerungsdiskurs, der immer schon dem

Vergessen anheim gestellt ist, kann daherkein Ende finden; er bleibt in seinerUneinholbarkeit stets offen ebenso wie dieRecherche selbst.Ein vollständig anderer Umgang mit demGedächtnis wird an Hand von Georges PerecsW ou le souvenir d’enfance aufgezeichnet,einem Werk, in dem sich dasSpannungsverhältnis von Erinnerung undVergessen in der Zerstörung des natürlichenGedächtnisses und der Zeugenschaft derShoah konkretisiert. Die Frage nach derZeugenschaft und ihre Unmöglichkeit imFalle der Vernichtung, im Falle des Todesbilden den Anfang der Analyse.Herausgearbeitet wird dann Perecsliterarische Aufarbeitung dieser Aporie alsVerschwinden des zeugenden Ichs aus demText. Ein Zeugnis ohne Zeuge entsteht, eintotes Gedächtnis eines sich selbstauslöschenden, sprechenden Ichs, von JudithKasper verstanden als Gedächtnis der Toten(S. 178), als letztendlich unmöglicheErinnerung der Opfer der Shoah. In denRahmen einer aporetische Verwicklung wirdauch die in das Zeugnis eingeflochteneAutobiographie gesetzt, die mit derparadoxen Wendung „je n’ai pas de souvenird’enfance“ beginnt und somit alleKindheitserinnerungen im Bereich desTraums, des Phantasmas, ja in ihrerangstvollen Steigerung auf der Ebene desTraumas ansiedelt. Damit stellt Judith KasperPerecs W ou le souvenir d’enfance in denunüberwindbaren Widerspruch zwischeneiner Zeugenschaft ohne Zeuge und einerkünstlichen Erinnerung; sie beleuchtet damitin aller Klarheit das Vorzeichen desVergessens, Auslöschens, Vernichtens, dasdiesem Text seine ganz spezifische Tonlagegibt. Die damit einhergehende Verschiebungdes Gedächtnisdiskurses ins Ethische führtdie Interpretation weg vom Innerlich-keitskonzept bei Proust, seinem Versuch dieganze Welt im Gedächtnis zu integrieren, hinzur Notwendigkeit sich zu erinnern für dieAnderen, die nicht mehr sprechen können,die nicht bezeugen können, was bezeugtwerden muss, obwohl es nicht bezeugt

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werden kann.Der Andere, genauer die verstorbene Mutter,ist auch Thema in Roland Barthes’ Lechambre claire . Traumatisierung desGedächtnisses, zugleich aber auchwahrhaftes Eingedenken versucht JudithKasper in diesem Text nachzuweisen. AlsBeispiel ihrer Vorgehensweise kann dieAnalyse des sogenannten „Wintergarten-photos“ dienen, bei dessen BetrachtungBarthes in einer Art schockhafter BegegnungIdentität und Wahrheit der verstorbenenMutter zu erfassen meint. Der epiphanischeCharakter des Erlebnisses wird von derAutorin in Absetzung von ProustsInnerlichkeitskonzept interpretiert undverstanden als Eindringen des Anderen ineine sich nun absolut passiv verhaltendeErinnerung. Dieser schockartige Einbruchdes Todes des Anderen ins Gedächtnis, soKasper, „schreibt sich dort ein als Tod desGedächtnisses“ (S. 263); das Gedächtnisselbst zeigt sich dann „als vergessendes undsich vergessendes“ (S. 300). Dabei kehrt sichdas Proustsche Glück der Epiphanie um inein Erlebnis, das „untrennbar mit einertraumatischen Erfahrung des Schmerzes, derPassivität, des Nicht-Sprechen-Könnensverbunden“ (S. 263) ist.Von dem prinzipiell unabschließbarenErinnerungsprojekt Marcel Prousts, über dieunauslotbare Gedächtnislücke bei Perec, diesich hauptsächlich in der Unmöglichkeit derZeugenschaft der Shoah auftut, bis zuAufhebung und Auflösung desGedächtnisses bei Barthes führt JudithKaspers Untersuchung in zahlreichen,genauest durchgeführten Einzelanalysen, dieErinnern und Vergessen immer wiederanders, in stets neuer Form darstellen,schließlich wieder zurück zu allgemeinenFragen des Gedächtnisses, die im Epilog umdessen moralische und ethische Funktionenkreisen. Zum ersten Mal bleibt die Autorinihrem Leser dabei eine definitive Antwortschuldig – doch diese hat sie schon gegeben,indem sie durch detaillierte Analysen derTextbeispiele in einer äußerst präzisenSprache ein facettenreiches Bild vom

Erinnern und Vergessen gezeichnet hat, daseine Anregung sein muss für alle diejenigen,die sich aus kunst-, literatur- odermedienwissenschaftlicher Perspektive mitdem Gedächtnis befassen.

Andrea Birk

Eva-Maria Thüne & Simona Leonardi ( acura di), Telefonare in diverse lingue. Or-ganizzazione sequenziale, routine e ritualiin telefonate di servizio, di emergenza efàtiche, Milano, FrancoAngeli, 2003, pp.272, € 22,00

Neue Medien schaffen neue Kommuni-kationssituationen. Und neue Kommuni-kationssituationen werden mit Hilfe vonneuartigen sprachlichen Strukturenbewältigt. Das Telefon ist eines der erstenTertiärmedien, eines der ersten Medien also,die “sowohl auf der Sender- wie auch aufder Empfängerseite die Mobilisierung vonTechnik erfordern” (Hörisch 2001: 76). Fürdie Zeitgenossen seiner Einführung stelltees eine Neuheit dar, die mit Ehrfurchtaufgenommen und in die Nähe von Magiegerückt wurde (vgl. ebd.: 264) - die heutezu beobachtende, fast schon kultischeVerehrung von Handys und ihrem Zubehörmag ein entfernter Abglanz davon sein.“Die Telephonie läßt das Verschwindenverschwinden, sie entfernt (...) dieEntfernung, sie läßt Entfernte einandernäher rücken (...)”. (ebd.: 270)Unter diesem Umständen kann es keineÜberraschung sein, dass sich für dieKommunikation am Telefon Regeln,Konventionen und Rituale entwickelthaben, die sich von den Gegebenheiten inf a c e - t o - f a c e - K o m m u n i k a t i o nunterscheiden. Wenn man in ihnen nicht inerster Linie Mittel der Bewältigung dieser“magischen” Situation sehen will, kannman ihre Entstehung auch auf profanereZusammenhänge zurück-führen: diespezifische Kommunikations-situation - eshandelt sich um “körperlose”

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Kommunikation, die Gesprächsteilnehmersehen sich nicht - erfordert besonderesprachliche Strategien.Gut 100 Jahre nach der Erfindung desTelefons hat sich in der Linguistik einebreite Diskussion um diese sprachlichenStrategien entwickelt. Der vorliegende Bandordnet sich in diese Diskussionen ein. Ersammelt Beiträge der Studientage zumThema “Telefonkonversation: ein Vergleichzwischen verschiedenen Sprachen”, der imMärz 2002 in Bologna stattgefunden hat.Fast alle Autoren beschäftigen sich mitinstitutionellen Telefongesprächen (Dienst-leistungsgespräche, Notfall-Anrufe) undhier wiederum überwiegend mit der Er-öffnungsphase. Der Band enthält sowohlBeiträge über sprachspezifische Aspekte, alsauch sprachvergleichende undinterkulturelle Ansätze. Gemeinsam ist denBeiträgen darüber hinaus eine empirischeAusrichtung, die eingehende Analyse vonauthentischen Daten, eingehenderKorpusarbeit und die Orientierung angesprächsanalytischen Ansätzen undBegriffen.In der Einleitung (zweisprachig: italienischeund englische Version) gibt SimonaLeonardi einen konzisen Überblick überlinguistische Ansätze zur Erforschung vonTelefon-gesprächen und über dieBesonderheit dieser Textsorte -beispielsweise die Tatsache, dassTeilnehmer von Gesprächen am Telefon sichmeistens explizit vorstellen müssen. ImHinblick auf die Arbeiten im vorliegendenBand besonders wichtig ist die Einführungder Begrifflichkeit zur Unterteilung derEröffnungssequenzen in verschiedenePhasen (Kanaleröffnung, Identifikation,Gruß, Eröffnungsformeln und Themen-einführung) - auf diese Gliederung kommendie Autoren immer wieder zurück. In derEinleitung werden außerdem noch die hierangewendeten Transkriptionssysteme kurzvorgestellt und die einzelnen Beiträge desBandes in den Forschungskontexteingeordnet.Im ersten thematischen Beitrag des Bandes

untersucht Fabrizio Bercelli Eröffnungs-sequenzen von Dienstleistungsgesprächenam Telefon. Sein besonderes Interesse giltdabei der Identifizierung der Sprecher. Dabeimacht er drei Typen von Identitäten aus, diein Telefongesprächen eine Rolle spielen: dieindividuelle Identität, die kategoriale(Freund, Verwandter, Vorgesetzter und anderesituationsspezifische Rollen) und schließlich- dies ist besonders in Dienstleistungs-gesprächen wichtig - die institutionelleIdentität: häufig stellen Sprecher mit demNamen der Organisation vor, bei der siebeschäftigt sind. In Bezug auf diesequenzielle Organisation der Gespräche istzu bemerken, dass der Übergang zum Themader Interaktion im Vergleich zu anderenGesprächstypen vorgezogen wird. Bercellikann zeigen, dass dies insbesondere dann derFall ist, wenn der angerufene Sprecher sichunter Nennung des Namens der Organisationmeldet; in 91% der Fälle führt dies dazu, dassder Anrufer in seinem ersten Beitrag sofortauf das eigentliche Thema des Gesprächskommt. In solchen Fällen gelten auchspezifische Höflichkeitsregeln: dieindividuelle Identität spielt eineuntergeordnete Rolle.Anna Colamussi und Gabriele Pallottiuntersuchen ebenfalls die Gesprächs-eröffnungssequenzen in Dienstleistungs-gesprächen. Hier aber wird eine sprach-kontrastive Untersuchung vorgeschlagen,und zwar zwischen den typologisch engverwandten Sprachen Italienisch undSpanisch. Es zeigt sich, dass auf der Ebeneder Pragmatik bemerkenswerte Unter-scheideauftreten. Diese betreffen die Organisationder Grußsequenzen, die Verteilung der T/V-Abredeformen und der Direktheit derThemeneinführung: im Italienischen wird dieeigentliche Anfrage des Anrufers häufiger mitFormeln wie vorrei sapere ... (ich wüsstegerne ...) eingeleitet, im Spanischen ist diesseltener der Fall. Der Beitrag liefertstatistische Daten die die Annahmeuntermauern, dass die Konstruktion und dieDistribution der einzelnen turns, die eineGesprächs-eröffnung ausmachen, in den

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beiden Sprachen signifikant unterschiedlichsind.Analoge Überlegungen bezogen aufdeutsche und italienische Gespräche stelltCecilia Varcasia in ihrem Beitrag vor. Auchhier liegen die Übereinstimmungen in derKonzentration von Identifikation(institutionelle Identität) und Gruß im erstenturn. Im Unterschied zum Italienischen istin den deutschen Gesprächen aber zubeobachten, dass häufiger auch diepersönliche Identität eingeführt wird. DieAutorin weist darauf hin, dass ein Satz wiebuongiorno centro viaggi sono valeria imItalienischen abweichend klingt (S. 122), imdeutschen Korpus lassen sich aber mehrereBelege für den entsprechendenÄußerungstyp finden. Ein weitererwichtiger Unterschied liegt imVorhandensein des Wortes Pronto, das imItalienischen als Signal für die Eröffnung desKommunikationskanals interpretiert wird.Im Deutschen gibt es dazu kein funktionalesÄquivalent.Wie delikat der Moment des Aushandelnsder Identität und der Beziehung der Sprecherist zeigt sich besonders in Gesprächen, indenen einer der Teilnehmer eineFremdsprache spricht. Auf einen sehr kurzenZeitraum und wenige Gesprächsbeiträgekonzentrieren sich gleich mehrere“Hotspots” (Heringer 2004: 161ff.) -potenzielle Störungsquellen in derinterkulturellen Kommunikation: dieSprecher stellen sich vor, sie begrüßen sich,sie reden sich an, sie entscheiden, in welcherSprache sie kommunizieren. SolcheProbleme bei interkulturellen Begegnungenam Telefon untersucht Eva-Maria Thüne. Esgeht hier um Dienstleistungsgespräche, indenen Sprecher des Italienischen mit gutenDeutschkenntnissen eine deutscheServiceeinrichtung anrufen. Die Autorinzieht zum Vergleich auch Korpora von reinmuttersprachlichen, also intrakulturellenGesprächen aus beiden Ländern heran. DieUntersuchung zeigt, dass kleineinterkulturelle Unterschiede in denTelefonroutinen leicht zu critical incidents

(vgl. Heringer 2004: 213ff.) werden können.Italienische Anrufer stellen sichbeispielsweise nicht mit ihrer persönlichenIdentität vor, von Deutschen wird dies aberals normal angesehen und erwartet; dieEinführung des Themas wird vonitalienischen Anrufern häufig mit einerÜbersetzung von Senta vorgenommen,Hören Sie klingt aber für Deutschezumindest ungewöhnlich, wenn nicht garunhöflich. Die Tatsache, dass italienischeAnrufer sich in den hier analysiertenGesprächen tendenziell so benehmen wie inintrakulturellen Gesprächen führt leicht zuIrritationen - auch das kann die Autorin aufder Grundlage ihrer Daten zeigen.Besonders interessant ist die Tatsache, dassdie Sprecher hier auch Strategienentwickeln, wie die Risiken desMissverstehens abgemildert werdenkönnen: so wird beispielsweise häufig einTeil des Gesprächs wiederholt oder es wirddarauf hingewiesen, dass man aus demAusland anruft.Um potenziell lebensrettende Kommuni-kation geht es in dem Beitrag von ChiaraMonzoni und Daniela Zorzi. Die Autorinnenuntersuchen Notfallanrufe bei Rettungs-wachen in Italien und in den USA. Eshandelt sich hier um Gesprächssequenzen,die im Vergleich zu anderen Gesprächstypenals spezialisiert und reduziert charakterisiertwerden. Das gilt für beide Kulturen.Unterschiedlich sind aber die Strategien derReduktion und der Spezialisierung. Es wirdgezeigt, dass sowohl die Organisation derTeilsequenzen als auch die Handlungs-struktur unterschiedlich ausfällt. In derGesprächsphase, in der der angezeigteNotfall geschildert wird, legen Amerikanerbeispielsweise mehr Wert darauf, ihrepersönliche Glaubwürdigkeit zu betonen,Italiener stellen eher heraus, dass es umeinen schwer wiegenden Unfall geht. SolcheDaten scheinen besonders interessant zusein, weil sie für die Ausbildung vonTelefonisten in Notfalldiensten genutztwerden können und letztlich einen Beitragdazu leisten können, dass hier weniger

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Kommunikationsstörungen auftreten unddie Institutionen damit effizienter arbeitenkönnen.Bernd Sieberg untersucht ein Korpus voninsgesamt 24 Telefonaten in portugiesischerSprache, das er in drei Gruppen unterteilthat: phatische Gespräche, Gesprächezwischen Arbeitskollegen (die Partnerkennen sich) in institutionellen Kontextenund schließlich Dienstleistungsgesprächen,bei denen die Partner sich nicht kennen. DerAutor beschreibt die durch denGesprächstyp bedingt unterschiedlicheOrganisation der Anfangs- und Endphaseder Gespräche. Beispielsweise ist dieSelbstidentifikation des Angerufenen in denGesprächen des ersten Typs ausgesprochenselten, in Typ 3 dagegen die Regel.Die Eröffnung und die Beendigung vonTelefonaten sind auch der Gegenstand desBeitrages von Ichiro Marui und JohannesSchwitalla. Die Autoren vergleichenjapanische mit deutschen Gesprächen. Beieinem solchen Vergleich ist es nichtüberraschend, dass in der Gesprächs-organistion große Unterschiede auftreten,die sich sowohl auf die Eröffnung als auchauf die Beendigung beziehen. So kann einJapaner beispielsweise ein Gesprächannehmen ohne irgendeine Form vonKanaleröffnungssignal zu äußern; am Endevon Telefonaten, wenn alle Themenerschöpft sind, ist es in Japan nicht unüblich,einfach den Hörer aufzulegen, auf die inanderen Sprachen üblichen Beendigungs-sequenzen also ganz zu verzichten.Andererseits können Phasen rein phatischerKommunikation in Japan einenvergleichsweise großen Zeitraumeinnehmen.Der Überblick über die Beiträge zeigt, dassder Band sich durch ein hohes Maß anHomogenität auszeichnet. Alle Aufsätzebeziehen sich auf einen gemeinsamenGegenstand und sind auch methodisch,terminologisch und begrifflich kohärent.Das macht die Lektüre angenehm undinteressant.Das Buch macht darüber hinaus deutlich,

dass die von einigen theoretisch orientiertenLinguisten als “aufgeklärtes Paraphrasieren”gering geschätzte Gesprächsanalyse doch einunabdingbarer Bestandteil auch derlinguistischen Theoriebildung sein muss.Ohne Bezug auf Daten und Analysen wie diehier vorgestellten, müssen Diskussionen um(zum Beispiel) interkulturelle Kommuni-kation, um Verstehen und Missverstehen inder Kommunikation, um Identitäts-konstituierung durch Sprachgebrauchinhaltsleer bleiben.Zusammenfassungen in englischer Sprache:internationale Ambitionen, dem Gegenstandangemessen.Anwendung: Telefontraining.Fazit: man kann nicht mehr nur von“aufgeklärtem Paraphrasieren” sprechen,große theoretische Potential.

LiteraturHeringer, Hans Jürgen (2004), InterkulturelleKommunikation, Tübingen: Francke (UTB).Hörisch, Jochen (2001), Der Sinn und dieSinne. Eine Geschichte der Medien ,Frankfurt/M.: Eichborn (Die andereBibliothek).

Claus Ehrhardt

Donatella Mazza (a cura di), L’intera linguaè postulato. Studi sulla lingua e il lessico delromanticismo tedesco, Vercelli, EdizioniMercurio, 2003, pp. 208, € 15

I risultati della giornata di studi sui linguag-gi del romanticismo tedesco che l’Universi-tà del Piemonte Orientale ha organizzato aVercelli il 30 novembre 2001 vengono pub-blicati in questo volume curato da DonatellaMazza, una delle studiose italiane più atten-te a cogliere la portata delle svolte e ad ap-profondire le ricerche su un aspetto dellaRomantik-Forschung fino a non molto tem-po fa indebitamente penalizzato, specie nelnostro Paese. Interpretata a guisa di corollariodi una formidabile agitazione intellettuale,relegata a un ruolo ancillare rispetto alle gran-

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di costruzioni speculative, la questione del-la lingua così come la affrontano i romanti-ci ben di rado si è potuta dispiegare in senoalla ricerca nella sua straordinaria comples-sità, a dar voce e corpo alla “rivoluzionelessicale” che Giulio Schiavoni nell’intro-duzione (p. 7) riconosce come lo sbocco piùimmediato di quell’appassionato intentosperimentale.Un appunto, peraltro di poco momento, paredoveroso anteporre alle osservazioni sui variinterventi, che concorrono tutti, ciascunoprivilegiando una propria peculiare prospet-tiva critica, ad allestire una raccolta dal sa-pore vivacemente eterogeneo. Nell’apprez-zare questa molteplicità di spunti viene dadomandarsi se al volume giovi un titolo cosìunivoco e perentorio, corrispondente a unanotissima affermazione espressa in un fram-mento di Novalis, il quale poi compare inepisodi sporadici, confinato in alcuni con-tributi e invocato come auctoritaspoetologica per una materia tanto delicata.E mentre dalle pagine del libro traspare lavolontà di investigare con cura quella “ori-gine positiva, libera” cui Novalis nello stes-so luogo citato nel titolo fa risalire il lin-guaggio, il “postulato” in questione potreb-be forse suggerire, con la sua irrelatacategoricità, un vago sentore di kantiana,aprioristica determinatezza. Certo, l’utopicaaudacia della concezione novalisiana del lin-guaggio, come ha esemplarmente chiaritolo studio di Ingrid Hennemann Barale del1998, Luoghi dell’originario, si trasmuta inuna poesia di forte densità tautologica, chetrascende e neutralizza le aporie dialettichedi cui invece vive la ricerca degli Schlegel,fulcro dell’esplorazione del linguaggio ro-mantico. Va però detto che, se la lettura diquesta silloge lascia una punta di rammari-co per la sostanziale contumacia del poetache la tiene a battesimo, nondimeno l’at-tenzione è tenuta desta grazie a unaimpostazione esegetica derivata da una vi-gile militanza filologica. Soprattutto, è vivain tutta l’opera la volontà di sottolineare ilconsapevole distacco dell’uso linguisticoprimoromantico non già da antecedenti im-

mediati e naturali, riconducibili alrazionalismo e alla Spätaufklärung – si ve-dano al proposito le osservazioni della cu-ratrice intorno alla matrice bürgeriana, nelsegno della Popularität, del linguaggio dellerecensioni giovanili di August WilhelmSchlegel –, quanto piuttosto dai dettamiidealisti e weimariani, come fa notareSchiavoni profilando la natura antagonistadel discorso degli jenensi. È vero che la re-visione dei rapporti tra tardo illuminismo eromanticismo, nel senso del rilevamento diuna continuità storica, rappresenta ormai perla cultura tedesca una consolidataacquisizione; tuttavia il linguaggio occupain questo contesto una posizione particola-re, una centralità che ne garantisce l’auto-nomia estetica ma in compenso lo investedell’obbligo di catalizzare e restituire in for-ma elaborata ogni sussulto di una transizio-ne avvertita nella sua essenza epocale. Delresto, annota Jochen A. Bär, “nel tentativodi chiudere la spaccatura prodotta nella lin-gua e dalla lingua non si dispone nient’altroche della lingua” (p. 90), e su questo para-dosso i romantici imperniano consapevol-mente la loro esuberanza glottologica.Gli atti del convegno vercellese forniscononell’insieme interessanti indicazioni per unamappatura organica dei territori linguisticidella Frühromantik. Tuttavia il tratto dellaproposta è in alcuni casi particolarmente in-cisivo, come accade per il contributo diGiorgio Cusatelli sul lessico degli affetti, cheprende le mosse dall’apprezzamento e dal-la valorizzazione delle dissomiglianze tra leculture delle due sponde del Reno – perCusatelli “Il romanticismo tedesco va inte-so culturalmente come una Mentalität in cuicalarsi” (p. 11). La ricezione pri-moromantica del lessico illuministico fran-cese (molto più la saggistica di Montesquieue di Diderot che non Voltaire con il suo roz-zo anticlericalismo) viene paragonata qui aun innesto dalle conseguenze positivamen-te traumatiche su un patrimonio tradiziona-le della lingua tedesca forgiato dall’esperien-za del pietismo. A titolo dimostrativoCusatelli identifica nel Friedrich Schlegel

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della Lucinde il modello più adatto a segui-re il lavoro di fissazione concettuale di unvocabolario psicologico vieppiù ricco e ar-ticolato, nel tentativo di distogliere la nuo-va poesia da suggestioni ben note, assimi-late e criticate nel solco di una sensibilitàancora in formazione ma già oltremodoreattiva. Si capisce così come l’operato diSchlegel sia colto nel suo agitarsi suldiscrimine tra irruenza modernizzatrice egioco dialettico con una vasta gamma dipossibilità di adesione a differenti modellidi lingua poetica. La disamina dell’indicedei capitoli del romanzo schlegelianoimmette nell’officina linguistica dell’auto-re in maniera più efficace di qualsiasi trat-tazione teorica. Da un lato una simile pro-cedura permette di illustrare perspicuamenteil potenziale avanguardistico di termini checustodiscono e introducono i singoli passag-gi della Lucinde, quali Charakteristik,Phantasie/Einbildungskraft o Sehnsucht,segnavia lungo un percorso dirisemantizzazione che conduce fino al cuo-re della Moderne, con i problemi di prassitraduttiva affrontati da Schlegel, risolti inguisa di acutissimi adattamenti e quindi tra-smessi ai contesti nazionali europei che ac-coglieranno, spesso a loro voltatraumatizzati, il messaggio romantico; dal-l’altro, con l’accento posto sulla “assunzio-ne di vigorosi grecismi” (p. 21) e sull’evi-denza dell’eredità pietistica di cui si fa for-te il lessico schlegeliano, si delinea il dupli-ce profilo di un linguaggio innovatore radi-cato in una tradizione culturale affatto rin-negata anche nella sollecitudinetrasformatrice.All’altro Schlegel, si diceva, dedica il suointervento Donatella Mazza, focalizzandola propria attenzione sulle recensioni pub-blicate nella “Allgemeine Literatur Zeitung”e nello “Athenaeum”, senza tuttavia disde-gnare di proiettare talune considerazioniesposte in quelle sedi verso le forme piùcompiute – ossia più classiche? – delle le-zioni berlinesi e viennesi. La “coerenza” elo “stile” che figurano nel titolo si misura-no nelle intenzioni di Mazza secondo le ca-

denze tipiche della recensione e delle sue fi-nalità divulgative. Alla curatrice del volumepreme evidenziare, all’interno del travagliolinguistico di August Wilhelm Schlegel, lafase in cui si “inizia così a delineare quellospostamento, che segnerà poi laradicalizzazione della svolta romantica, dal-l’approccio normativo a quello speculativo ecomunicativo” (p. 132). Probabilmente piùchiaro nelle traduzioni di Shakespeare, Dan-te e Calderón, in cui meglio si esaltano lequalità artistiche della tensionemodernizzatrice, questo decisivo passaggiosi confronta nelle recensioni con gli aspettipiù stringenti del dibattito culturale del peri-odo. Quella verità che a tutta prima può suo-nare ovvia, ma è ancora troppo spesso disin-voltamente ignorata, il fatto cioè che asupportare la rivoluzione poetica, filosofica,antropologica attizzata dal movimento ro-mantico provvede lo straordinario spessoredel lavoro linguistico, in special modo degliSchlegel, nel saggio di Mazza si staglia concontorni precisi. Un invito, che del resto sialza da tante altre pagine di questo libro, ariconsiderare talune tecniche in apparenzadispersive, quali il frammento e la recensio-ne, preludio alla trasgressione programmaticadei limiti individuali della creazione artisti-ca, nella luce di una appassionata indaginedelle reali possibilità di poetizzare il mondoproprio a partire dal recupero di una funzio-nalità poetica del linguaggio.Trae esplicitamente spunto da questa argo-mentazione il dettagliato intervento di JochenA. Bär, cui si deve il fondamentaleSprachreflexion der deutschen Frühromantik.Konzepte zwischen Universalpoesie undGrammatischem Kosmopolitismus (1999)che affronta un tema tanto complesso muo-vendo dalla concezione poietica dell’atto lin-guistico romantico. Poesia ed ermeneuticauniversali, le due aspirazioni citate nel titolodel lavoro che appare nella collettaneavercellese, si concretizzano nel disegno di Bärpassando per ”lo scetticismo linguistico” e“il desiderio di comunicazione universale” (p.53). La ripresa della concezione herderianadel linguaggio, sottaciuta dallo studio, viene

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seguita qui nei suoi sviluppi, che conduco-no alla elaborazione dellaUnverständlichkeit attuata da FriedrichSchlegel. Le fasi attraverso cui si pervienea tale risultato sono concatenate per mezzodi collegamenti fascinosi – si vedano adesempio le pagine sull’ineffabile messag-gio della musica, con i debiti riferimenti aWackenroder –, ma non sempre pienamen-te convincenti, né le conclusioni di Bär sipropongono di risolvere il dilemmaermeneutica-antiermeneutica che Novalisaveva colto con accenti di rimprovero nelleprove dell’amico Friedrich Schlegel, la cuiscrittura “reizt, ohne zu befriedigen”. A Bärimporta indubbiamente indicare il caratte-re strutturale e strumentale di tale contrad-dizione, ma con ciò ecco ricomporsi l’em-blema di un linguaggio romantico imprigio-nato nella sua cronica insufficienza, conscioche il suo “anelito verso l’infinito implicasempre che tale desiderio debba rimanerefondamentalmente inappagato” (p. 78).Disattesa, anche se va da sé che non po-trebbe essere altrimenti, rimane la questio-ne della produttività del ragionamento ro-mantico intorno al linguaggio. Forse la ri-sposta migliore in questo caso la dà lo sco-modo Brentano del Godwi – presenza chenel bel saggio di Bär è troppo fugace –, conil silenzio cui il poeta Maria è condannatoda una “Zungenentzündung” che degenerain una letale “Herzens-entzündung”.Periferici, rispetto alla impostazione dialet-tica prevalente in questo primo gruppo, icontributi di Angelika Linke, GabriellaCatalano e Ursula Isselstein, nella varietàdei soggetti prescelti, sono imparentati dal-la comune intenzione di illuminare alcuniaspetti interdisciplinari, culturologici, talo-ra esulanti dal ristretto ambito dellaFrühromantik. Di taglio squisitamentesociolinguistico, lo studio di Linke si distin-gue per la chiarezza del metodo con cui ap-plica alle modificazioni normative nel pa-trimonio comunicativo dei ceti borghesi te-deschi del secolo XVIII la ricerca di unasimbolica dell’appartenenza a un determi-nato gruppo socio-culturale. La tendenza a

quella autoreferenzialità dalla quale a benguardare germinerà lo stesso esperimentoromantico viene analizzata con uno stru-mentario potenzialmente incline alla modadei nostri tempi, fitto di termini come doinggender, opting in, opting out. Tuttavia Linkeaggira le secche di un esasperato tecnicismo,e avvalendosi tra l’altro di efficaci rimandiiconografici – le famose incisioni diChodowiecki, commentate da Lichtenberg– e poetologici – le osservazioni esposte daLessing in Der junge Gelehrte – ricostrui-sce con agilità il cammino della borghesiacolta verso una marcata consapevolezza lin-guistica, frutto di approfondite riflessionisulle differenze tra i registri espressivi. Ildizionario di Adelung, portato qui a model-lo di schedatura di un lessico nazionale, infase di ridistribuzione tra le classi sociali,compare anche nella densa cronistoria deidestini della parola Museum, proposta daGabriella Catalano. La “fondazionesemantica di un luogo romantico” (p. 95)menzionata nel titolo si traduce in una nu-trita serie di informazioni commentate conmeticolosità. Dalla deferenza con cui la cul-tura tedesca del primissimo Settecento trat-ta quel termine classico, titubante di frontealla prospettiva di leggervi un sinonimo diRaritäten-Kammer, attraverso l’eloquentelatitanza nei grandi vocabolari di Adelunge Campe, come pure in quello dei Grimm(e va detto che anche in questo caso loZedler, che invece rubrica Museum, si con-ferma miniera inesauribile) e nel lessicogoethiano, le vicissitudini della parola tran-sitano per l’uso ambiguo riscontrabile nellenumerose riviste che dopo il 1770 se nefregiano nel nome. L’onnivora ékphrasisromantica viene sorpresa nello studio diCatalano ad ammirare l’accezione istituzio-nale del progetto museale francese, mentreal tempo stesso non si scopre ancora matu-ra per oltrepassare la dimensione della col-lezione privata, pur contaminata da un “nuo-vo modello di socialità culturale” (p. 117).All’insegna del dubbio si sviluppa anche ilpensiero linguistico di Rahel Levin, inse-guito da Ursula Isselstein, con l’ausilio di

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deduzioni tratte dai Gender Studies e resti-tuite senza intenzioni invasive, nel suo pro-iettarsi al di là dello steccato romantico findentro al Biedermeier, con l’atto di stimaforse inaspettato pronunciato dal causticoHeine del Börne. Dall’incontro tra la rifles-sione sull’origine del linguaggio e l’assillostilistico nasce la “fiduciosa “rassegnazio-ne” mistica” (p. 173) da cui, secondoIsselstein, la fine intellettuale berlinese guar-da in special modo nel suo ricco epistolarioai problemi della convenzione linguistica,tastando con coraggio il terreno della ri-cre-azione personale.Chiude il volume il prezioso saggio di Al-berto Rizzuti dedicato alla Renana diSchumann e svolto nella chiave della lettu-ra di un progetto celebrativo, ormai striatodi nazionalismo, che presiede alla III Sinfo-nia del compositore di Zwickau. La priscatedeschità del Reno nel mutato quadro geo-politico della metà del secolo XIX è, per ri-prendere il titolo della raccolta, un postulato,una acquisizione storico-culturale giàpresaga delle liturgie wagneriane, nellaGründerzeit prossima ventura. Né questariconversione patriottica rappresenterà,come è noto, l’unico esito della speculazio-ne romantica sul linguaggio. Sulla scorta de-gli atti del convegno vercellese, sarà beneinterrogare con rinnovata sollecitudine lospirito tedesco sulla portata di quella rivo-luzionaria esperienza in ambito linguistico,per scoprire sempre più le radici e insiemeavvicinarci al nucleo profondo della nostrasmarrita contemporaneità.

Stefano Beretta

Angelika Linke / Hanspeter Ortner / PaulR. Portmann-Tselikas (a cura di), Spracheund mehr. Ansichten einer Linguistik dersprachlichen Praxis, Tübingen, Niemeyer,2003 (Reihe Germanistische Linguistik;245), pp. XVI + 488, s.i.p.Nell’aprile del 2001 Horst Sitta, titolare dellacattedra di Linguistica Tedesca presso l’Uni-versità di Zurigo dal 1976 al 2001, organiz-

za ad Ascona (Monte Verità) il convegnoWissenschaftstheoretische Perspektiven einerkünftigen Linguistik come “dono di commia-to” alla sua disciplina. Copromotori del con-vegno i colleghi, amici, ex assistenti AngelikaLinke (Zurigo), Markus Nussbaumer(Zurigo), Peter Sieber (Zurigo), HanspeterOrtner (Innsbruck), Paul R. Portmann-Tselikas (Graz): tre di loro curano il volumeche raccoglie le riflessioni ivi scaturite.Il contributo d’apertura (p. 3-64) è concepitoda Sitta e Ortner come introduzione alla que-stione focale che, echeggiando Saussure, siriflette nel titolo: Was ist der Gegenstand derSprachwissenschaft? Il testo del saggio, in-viato ai partecipanti già prima del convegno,offre un bilancio relativo alla germanisticalinguistica che appare oggi, nel progressivosviluppo in direzione descrittiva eautoreferenziale, priva o quasi di connessio-ni con la realtà sociale. La situazione puòcambiare e si auspica che ciò accada nelmomento in cui, all’inizio del decennio, i ti-tolari delle prime cattedre - molte delle qualiistituite in Svizzera e in Germania negli anniSettanta - lasciano o stanno per lasciare l’in-segnamento; per la disciplina accademica sidelinea in tal modo la possibilità di una svol-ta concreta, sulla natura della quale sono in-vitati a discutere rappresentanti delle due ge-nerazioni di linguisti.Il titolo apposto al volume anticipa e riassu-me gli esiti del dibattito. In quanto “scienzadella lingua”, la linguistica ha naturalmentea che fare con il suo oggetto implicito non-ché con i suoi contorni, ciò che ne determinaconfini, consistenza e ragione d’essere. Nelsaggio di prefazione (Jakobsons Huhn oderdie Frage nach dem Gegenstand derLinguistik, p. IX-XVI), i curatori alludono alparadosso con cui il noto linguista critica idistinguo teorici e metodologici tra strutturae semantica della lingua: il biologo, osservaJakobson, a scopo di sperimentazione ragio-nevolmente decapita galline per studiarne imovimenti, ma sarebbe folle se iniziasse aconsiderare la gallina senza testa come casobiologico ideale. Altre sapide immagini illu-strano nel volume l’incongruenza di una di-

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sciplina dalle procedure in vitro e non invivo (Auer 186), ridotta a teoria che parladi sé a se stessa: si veda il paragone del car-ciofo con cui Wittgenstein descrive il pro-cedimento usato dai linguisti per definire illoro oggetto, tentativo di “sfogliatura” allaricerca del carciofo autentico (Knobloch118); la similitudine tra chi analizza il si-stema linguistico astraendo dalla funzionecomunicativa della lingua e chi cerca dicapire la rete ferroviaria non considerandoche i binari sono percorsi da treni (Keller168); l’immagine astratta e idealizzata del-la lingua come struttura autonoma, priva deisuoi aspetti sociali, culturali, comunicativi,mediali e funzionali, in altre parole ridottaa “cadavere”, ciò che Humboldt definiscetodtes Gerippe e Saussure, invece, langue...(Ortner/Sitta 28-29). La “gallina linguisti-ca”, rilevano i curatori, non è un tema diattualità: i linguisti delle due scuole convi-vono, pacificamente ignorandosi fino a chenon si debbano discutere richieste difinanziamenti e nuove cattedre, motivo suf-ficiente e poco nobile per rivendicare, dauna parte e dall’altra, l’esclusivo diritto aesistere. Troppe, inoltre, le ramificazionidella disciplina affinché possa apparire plau-sibile il recupero di un punto di vista unifi-cante, sia pure solo nell’identificare il co-mune oggetto di interesse. Il convegno diAscona arditamente avvalora una compren-sione dell’oggetto lingua nella sua interezza:la “gallina con la testa” e oltre, poiché lalingua è epifenomeno della prassi linguisti-co-comunicativa.I saggi del volume si pongono tutti, con ar-gomenti e modalità diversi, sulla linea diuna linguistica che abbia prospettive di uti-lità sociale, attenta al concetto diSprachspiel wittgensteiniano e definita, conle parole del Traktatus logico-philosophicus, “der Sprache und derTätigkeiten, mit denen sie verwoben ist” (p.X). I contributi sono suddivisi simmetrica-mente in quattro sezioni (la prima e la quarta- Mehr als Sprache ... eine Annäherung;Mehr als Sprache ... Ausblick - compren-dono un saggio ciascuna; due serie di con-

tributi costituiscono invece le due parti cen-trali: Gegenstandskonturierung - top downe Gegenstandskonturierung - bottom up) eoffrono nell’insieme il profilo della cosid-detta “Linguistik der sprachlichen Praxis”(p. XII).Nel saggio citato, Ortner/Sitta consideranola prassi linguistica, funzionale alla rifles-sione sull’essere e prodotto di interscambiotra caso e necessità, quell’oggetto in gradodi recuperare alla linguistica il necessariocarattere antropologico. Perso il suo “voltoumano”, a causa forse di un travisamento odi una carente considerazione degli spuntiofferti da Wittgenstein, Bühler, Piaget, ladisciplina deve tornare a mostrare interessescientifico per la lingua realmente scritta eparlata. Ciò è concepito nel programma diuna “Sprachverhaltenslinguistik” che attiviil rapporto tra teoria e prassi comunicativa,linguistica teorica e applicata, in particola-re negli ambiti della critica linguistica e delladidattica della lingua. Tra le proposte di la-voro suggerite da Ortner/Sitta, non di radoriprese, articolate e motivate negli altri sag-gi del volume, appaiono un maggiore inte-resse per la prassi comunicativa; l’introdu-zione di un concetto di segno dai precisi trattifunzionali e pragmatici; l’utilizzazione dinozioni pragmatiche, semiotiche estilistiche; la precisazione del concetto ditesto come veicolo comunicativo, conven-zionalmente forgiato e utile alla costituzio-ne di conoscenze individuali e sociali. Unaprospettiva unificante di uscita dal vicolocieco dell’autarchia teorica comprende ilsaggio conclusivo di Gerd Antos (Wie kannsich die Linguistik Öffentlichkeit ‘schaffen’?Wissenschaftspraktische Perspektiven einerkünftigen Linguistik, p. 471-488), che nellospecifico delinea il profilo di una“Transferwissenschaft” scaturente dagli svi-luppi cognitivisti, potenziale quadro di ri-ferimento comune per le varie correnti distudio specialistico e l’orientamento lingui-stico di discipline contigue.I saggi delle sezioni centrali espongono sin-goli punti di vista relativi alla possibile com-prensione dell’oggetto lingua all’interno dei

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vari indirizzi di ricerca (Gegenstands-konturierung - top down) e al contributo chela prospettiva linguistica è in grado di offri-re ad altre discipline (Gegenstands-konturierung - bottom up). Gli argomentidella prima serie si tratteggiano nel riferi-mento a concetti chiave: interdisciplinarità(Ludwig Jäger, Erkenntnisobjekt Sprache.Probleme der linguistischen Gegenstands-konstitution, p. 67-97), cognitivismo(Clemens Knobloch, Das Ende als Anfang.Vom unglücklichen Verhältnis der Linguistikzur Realität der sprachlichen Kommu-nikation, p. 99-124), ermeneutica (FritzHermanns, Linguistische Hermeneutik.Überlegungen zur überfälligen Einrichtungeines in der Linguistik bislang fehlendenTeilfaches, p. 125-163), comunicazione(Rudi Keller, Zu einer Theorie dersemiotischen Kompetenz, p. 165-175), rea-lismo (Peter Auer, “RealistischeSprachwissenschaft”, p. 177-187), antropo-logia (Susanne Günthner, EineSprachwissenschaft der „lebendigen Rede“.Ansätze einer Anthropologischen Linguistik,p. 189-208), pragmatica (Helmuth Feilke,Textroutine, Textsemantik und sprachlichesWissen, p. 209-229), storicismo (DieterCherubim, Sprache als historischerGegenstand, p. 231-242), esteticità (KonradEhlich, Thesen zum Verhältnis derSprachwissenschaft zu Literatur undLiteraturwissenschaft, p. 243-246).La seconda serie s’illustra in sintesi conmenzione della disciplina via via associataall’analisi linguistica: studi culturali(Heidrun Kämper, Zeitreflexion undSprachgeschichte. Ein Konzept zurErforschung des Nachkriegsdeutschen, p.249-260), semantica critica (Jörg Kilian,Vom WALFISCH oder: Plädoyer für einekritische Semantik, p. 261-274), critica let-teraria (Helmut Henne, LiterarischeSprache in Bewegung. Monatsnamen à laMorgenstern, p. 275-283), didattica dellalingua (Albert Bremerich-Vos,Sprachdidaktik und Sprachwissenschaft –Anmerkungen zu einem prekären Verhältnisund seiner Zukunft, p. 285-303; Hanspeter

Ortner, Der Sprachbegriff in derSchreibberatung; p. 305-322; Ann Peyer.Language Awareness: Neugier und Norm, p.322-345; Wolfgang Boettcher, Gesprächs-forschung – Gesprächsschulung, p. 347-379),stilistica (Andreas Gardt, Rhetorik undStilistik. Ihre Aufgaben in derSprachwissenschaft, p. 381-399), critica lin-guistica (Jürgen Schiewe, Über dieAusgliederung der Sprachwissenschaft ausder Sprachkritik. WissenschaftlicheÜberlegungen zum Verhältnis vonNormsetzung, Normreflexion undNormverzicht, p. 401-415; Rainer Wimmer.Wie kann man Sprachkritik begründen?, p.417-450; Götz Beck. Über Sprachkritik undSprachpflege, p. 451-467).Il progetto complessivo è riassunto dai cura-tori nei concetti di Medialität, Performanz,Verhalten. Il primo principio è inteso comeapprofondimento teorico dell’accezione vi-gente di “medialità”, riduttivamente recepitaquale possibilità di differenziare tra espres-sione scritta e orale. Al carattere di medialitànon solo veicolare, bensì costitutivo della lin-gua, si collega l’altro principio della “perfor-mance” in quanto attualizzazione della pras-si comunicativa, luogo in cui lingua e situa-zione si trovano in un rapporto diinterdipendenza dinamica capace di produr-re nuove convenzioni comunicative. La co-municazione, evento interattivo finalizzatoalla comprensione, è vista infine come sferadecisiva del “comportamento” semiotico, lin-guistico e non linguistico, laddove i curatoritengono ben distinti i concetti di prassi lin-guistica e di comunicazione: la lingua è inte-sa come Lebensform, “Medium desVerhaltens” (il wittgensteiniano Benehmen)anche oltre le intenzioni comunicative e dicontatto. Nel suo costituirsi in performance,la realizzazione linguistica procede dalle in-tenzioni e insieme da tratti interpretabili, nonconsapevolmente intenzionali, correlati a fat-tori psichici e sociali dei quali è possibile ot-tenere consapevolezza: pregna del doppiocarattere di spontaneità e intenzionalità, laprassi linguistica è veicolo della percezionedi sé.

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Il volume presenta, nell’insieme, una ric-chezza di argomenti e spunti teorici emetodologici che è arduo rendere in sintesi.Per gli addetti ai lavori, studiosi e docentidella disciplina in Italia, è una lettura quasiirrinunciabile. Documento di una fase sto-rica della linguistica accademica nei paesidi lingua tedesca, il volume offre nel com-plesso, al di là del peso informativo e dellanovità dei singoli contributi - tutti peraltrodi indiscutibile livello - un momento di ri-flessione estremamente significativo per lagermanistica linguistica italiana, sia comestimolo a ripensare le nostre giustificazionie la volontà di proseguire su vie già speri-mentate o al contrario di rifondare contenu-ti e scopi, sia come campione di dibattitoculturale interno a un’affermata comunitàscientifica che non cessa di interrogarsi sul-la legittimità delle sue motivazioni, la vali-dità dei suoi obiettivi, l’utilità delle sue ri-cerche – come è giusto che accada.

Marina Foschi

INTERVENTI

Trentino trifft Tirol! - Ein Tandemprojekt:Fremdsprachen üben mit gruppendy-namischen Übungen in Feld und Wald

Was passiert, wenn man das Sprachen lernenmit Gruppendynamik und Erlebnis-pädagogik mixt, das Ganze mit Humor undKreativität würzt und auf einer Hütte in denÖtztaler Bergen serviert?

Ein Tandem ist eigentlich ein Fahrrad mitdem zwei Personen gemeinsam fahren, manhat ein gemeinsames Ziel und beide solltenin gleichem Maße in die Pedale treten. Inder Sprachdidaktik versteht man unter„Tandem“ Sprachenlernen und –lehren aufGegenseitigkeit, das heißt zwei Personenmit unterschiedlichen Muttersprachenarbeiten zusammen, um ihre Fremd-sprachenkenntnisse zu verbessern und mehrüber die Kultur des anderen zu erfahren. Dieersten Tandemexperimente fanden bereits

Ende der 60iger Jahre mit dem deutsch-französischen Jugendwerk statt. Die Ideefand großes Echo und so bietet heute fastjedes gut organisierte Sprachenzentrum einTandemservice an. Dieses gemeinsame, au-tonome Lernen basiert auf dem Prinzip derGegenseitigkeit und der Eigenver-antwortlichkeit. Gegenseitig, weil beidevoneinander lernen wollen und deshalbbeide aktiv sein müssen, einmal alsGebender, dann wieder als Nehmender undeigenverantwortlich, weil die Tandem-part-ner ihr Lernen selbst organisieren.Mittlerweile gibt es die verschiedenstenVarianten, im Tandem zu lernen, face-to-face-Tandem, Tandem auf Distanz(Briefkontakt, e-mail), Fachsprachen-unterricht im Tandem.Unsere Idee war, Tandemlernen in derGruppe zu experimentieren: zwei Gruppensollten durch gemeinsames Tun voneinanderlernen. Im Vordergrund stand dieKommunikationsfähigkeit, doch gleich-zeitig fand eine Gegenüberstellung von zweiunterschiedlichen, manchmal auch gleichenLebensgewohnheiten und Verhaltenweisen,also interkulturelles Lernen, statt. Diesesgemeinsame Tun sollte aber nicht beiSprachübungen halt machen, sondern ineinem authentischen Kontext passieren. Diezwei Tandemgruppen trafen sich, um zueinem bestimmten Thema, “Teamgeist”, miteinem gruppendynamischen und er-lebnispädagogischen Ansatz zu arbeiten.Wir beobachten, dass immer mehr Kinderund Jugendliche den Bezug zur Naturverlieren. Auch wird Bewegungsfreiheit und-freude fortschreitend eingeschränkt und diezunehmende virtuelle Welt führt teilweisezu Kontaktschwierigkeiten, zu Ver-einsamung und zum Verlust einesrücksichtsvollen und verträglichenUmgangs miteinander und mit der Umwelt.Das Lernen in der Gruppe und in der Naturbietet die beste Möglichkeit, für einegelungene Sozialisation und Persön-lichkeitsentwicklung des Menschen und fürviele Gelegenheiten in einer neuen Sprachezu kommunizieren bzw. mit dem

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Kommunizieren zu experimentieren, dennfür die ersten Versuche, eine neue Sprachezu sprechen, ob Deutsch oder Italienisch,bedarf es Mut, Vertrauen in sich und in dieGesprächspartner und es bedarf einerentspannten Situation.Mit diesen Tandemprojekt wollten wirdiesen Prinzipien folgen und so trafen sichEnde Juni dieses Jahres neun deutschlernende SchülerInnen aus dem Trentino mitzwölf italienisch lernenden SchülerInnenaus Tirol für drei Tage in Köfels im Ötztal,begleitet von vier Erwachsenen mitErfahrungen in Sprachdidaktik,Gruppendynamik, zwischen-menschlicherKommunikation, Psychologie und nicht zuvergessen: mit Erfahrungen in Sachen Naturund Abenteuer.Um eine Sprache besser lernen zu können,brauchen wir authentische Situationen.Unser Tandemkurs bestand also nicht nurdarin, gemeinsam Sprachübungen zumachen, sondern gemeinsam Erfahrungenzu machen, Spaß zu haben, leichte undschwierige Aufgaben gemeinsam zu lösenund dabei Deutsch und/oder Italienisch zusprechen/zu hören.Die vorgeschlagenen gruppendynamischenÜbungen bestanden in zielgerichteten,spielerischen Problemlösungsaufgaben bzw.handlungsorientierten Naturerfahrungs-spielen und zielten darauf ab, Kooperationund Kommunikation innerhalb der Gruppezu verbessern, Verantwortung für das eigeneHandeln zu übernehmen, Erfahrungen in derUmwelt zu sammeln, Gruppenprozesse undZusammengehörigkeitsgefühl zu fördern,Eigenverantwortung zu festigen,Verständnis und Toleranz zu entwickeln undnicht zuletzt um Kreativität zu entfalten. Inden Aufgaben wurde immer darauf geachtet,dass die SchülerInnen, in der Gruppe undfür sich Entscheidungen trafen,Herausforderungen angingen und bestanden(Kletterabenteuer), einander vertrauten,aufeinander achteten und füreinandersorgten (gemeinsames Kochen undAbwaschen).Die Sprache fungierte als Mittel zum

Zweck, wie in allen authentischen Gesprächs-situationen.Die Angst vor dem Sprechen abzubauen, wareine Herausforderung. Den Jugendlichen fieles anfangs schwer, Deutsch bzw. Italienischzu sprechen, sie korrigierten sich selbst,dachten fast nur an das WIE, kaum an dasWAS und hatten eine Riesenangst, Fehler zumachen. Ein weiterer Schwerpunkt unseresProjekts war deshalb, diesen Stressabzubauen. Fehler machen war erlaubt, jasogar erwünscht, was man nicht auf Deutschwusste, leitete man ganz frech aus demItalienischen ab – und das funktionierteerstaunlich gut und wenn’s mal nichtfunktionierte, war es meist sehr lustig. Ichnenne es “Wildes Deutsch”, wo es keineFehler gibt und Regel ziemlich respektlosbehandelt werden. Nach meinen Er-fahrungen ist das eine Art, die Angst vor dem“Fehler machen” zu vermindern. In derPsychotherapie gibt es den Begriff der“paradoxen Doppelbindung”. Es handelt sichum eine Aufgabenstellung, wo der/dieLernerIn nur gewinnen kann. Im Beispiel mitden Fehlern heißt es: “Bereite diese Übungvor und mache bitte mindestens 4 Fehler”.Macht der Jugendliche vier Fehler, so hat er/sie die Aufgaben richtig gelöst, macht er/sieweniger Fehler oder gar keine, dann ist daserst recht ein Erfolg. Generell konnten wirfeststellen, je weiter entfernt dieErwachsenen/LehrerInnen waren, destogesprächiger waren die Jugendlichen.Wie sah nun das Ganze in der Praxis aus?Die Gruppe der TrentinerInnen traf sichvorher für zwei Tage: Es wurde im Zeltgeschlafen, ein Lagerfeuer gemacht, gekochtund gegrillt und gleichzeitig beschäftigte mansich mit Vorstellungen/Vorurteilen/Klischeesüber Deutschland, Österreich und dieSchweiz. Die Jugendlichen überlegten sichauch, wie sie sich den TirolerInnen vorstellenkönnten, wofür Italien in der Welt bekanntist, was Sie den anderen gerne auf Italienischbeibringen würden. Diese Phase derAuseinandersetzung mit dem Bild dereigenen Welt und dem des Anderen, desFremden und Neuen ist elementar für ein

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Tandemtreffen. Nicht zuletzt beschäftigtensich die Jugendlichen auch mit ihrenErwartungen, Bedenken, Wünschen undBefürchtungen.Und dann ging’s los. Mit der ersten Übungwurde symbolisch gezeigt, dass man beimLernen neuer Sprachen, eigene Grenzenüberschreiten und Mut haben muss: DieJugendlichen konnten das Haus nur über denBalkon verlassen und wurden mit einemKletterseil “hinuntertransportiert”, für diemeisten war dies ein echter “Sprung ins kalteWasser”. Nach dieser ersten Heraus-forderung war die Stimmung in der Gruppesehr gut und jede weitere Herausforderung,zum Beispiel “Deutsch zu sprechen”erschien wie ein Kinderspiel.Der erste Tag war nach Kennenlernspielendem Thema “Vertrauen” gewidmet. Dieverschiedenen Übungen wurden immer insprachlichgemischten Paaren gemacht undes ging darum zu experimentieren, in wenman Vertrauen setzt, wie man Vertrauen undSicherheit vermittelt. Es war erstaunlich zubeobachten, wie vertrauensvoll sich dieJugendlichen gegenseitig mit verbundenenAugen auf holprigen Wegen durch den Waldführten und wie gut und effizient siemiteinander kommunizierten, auch wennman manchmal ein verzweifeltes “Schnell,helft mir! Wie sagt man ‘rutschiger Steinauf Italienisch?” hörte. In den Pausenentstanden spontane Tandemgruppen, indenen sich die Jugendlichen die ver-schiedensten neugierigen Fragen stellten,sowohl über die Sprachen als auch überalltägliche Themen. Lustig war, als zweiGrüppchen miteinander Aussprachetrainigmachten: “Ramarro” gegen “Eich-kätzchenschwanz”. Es wurden auch kleineTaschenwörterbücher zur Verfügunggestellt, die sehr begehrt waren und in denenviel geblättert und gesucht wurde.Ich möchte hier noch zwei Aufgabengenauer beschreiben, um den Verlauf desExperiments besser zu illustrieren. “EinBall, viele Rohre, viele Leute”-eineKoordinationsaufgabe. Ein Kartonrohrmusste zu zweit gehalten werden und alle

gemeinsam bildeten ein langes Rohr, einTennisball sollte durchrollen können unddurfte nicht berührt werden. Auf diese Weisemusste eine bestimmte Strecke zurückgelegtwerden. Erst gab es Panik, Geschrei undGehetze, aber allmählich lernten dieJugendlichen, dass sie auf einander achten,Informationen geben, miteinander redenund langsam weitergehen mussten.Interessant war, wer die Informationen gab,auf wessen Angaben geachtet wurde undwie diese gegeben wurden. DiesesExperiment funktionierte nur, wenn diegesamte Gruppe zusammenarbeitete, aufeinander achtete und sich die einzelnenunterordneten. Sprachlich wechselte manvon Deutsch auf Italienisch, wie’s kam!Die nächste Aufgabe war sozusagen derHöhepunkt: “Der Schatz im Säureteich!” -Eine große Herausforderung an Ein-fallsreichtum und Kommunikations-fähigkeitEin Sack schwamm mitten in einem“Säureteich”, einem kleinen Waldsee in derNähe unserer Hütte, die Gruppe bekam einSeil, Sitzgurt, Helm, Taucherbrille, Seilrolle,Karabiner und Schlauchbänder. Nichtsdurfte diese gefährliche Säure berühren! DieJugendlichen mussten sich gemeinsamüberlegen, wie sie den Schatz bergenkonnten. Ein Seil wurde über den Seegespannt und an dem Seil konnte sich dannein/e “HeldIn” mit Sitzgurt gesichert demSchatz nähern. Kommuniziert wurde aufDeutsch und auf Italienisch - so stelle ichmir Mehrsprachigkeit vor, für einenAussenstehenden sah es vielleicht eher nachBabylon aus!Nach diesem drei Tagen können wir sagen,dass die Idee eines Tandems dieser Artsicherlich gewinnbringend ist, dieJugendlichen holen sich viel Motivation fürihr weiteres Lernen und Sprachenlernenwird mit Spaß assoziiert. Doch sollte maneinige “Spielregeln” nicht vernachlässigen:Die wechselnden Tandempaare sollten amAnfang verteilt werden, und dieseEinteilung, die auch spielerisch gemachtwerden kann, in Form eines Plakates

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aufgehängt werden. Es mag vielleicht strengklingen, aber man sollte sich auch überTischordnung und SchlafplatzverteilungGedanken machen, ansonsten ist es leicht,dass immer dieselben zusammen sind. DieJugendlichen sollten soviel wie möglichallein arbeiten, je weiter weg dieLehrerInnen sind, desto gesprächigerwerden sie. Es eigenen sich eben deshalbAufgaben aus der Gruppendynamikbesonders gut, da diese nach denAnleitungen keine Interventionen vonLeiterInnen vorsehen, ja sogar verbieten.Wir haben auch beobachtet, dass dasProgramm nicht zu dicht gedrängt seinsollte, denn in den Pausen passiert sehr vielInteressantes. Was die Verteilung derSprachen betrifft, hat man je nachSprachkenntnissen der TeilnehmerInnenverschiedene Möglichkeiten: für Gruppenmit geringen Kenntnissen könnte die Varian-te der passiven Zweisprachigkeit, d.h. jederspricht seine Muttersprache, in Betrachtgezogen werden, hier wird allerdings dasSprechen in der Fremdsprache völligvernachlässigt und lediglich dasHörverständnis geübt. Besser wäre es, dieSprachen auf die verschiedenen Aufgabenzu verteilen, z.B. Aufgabe X auf Italienisch,Y auf Deutsch oder zeitlich begrenzen(Vormittag-Nachmittag oder bei längerenKursen auf Tage verteilt). Wir haben beiunseren Experiment den Jugendlichen freiWahl gelassen, was sich aber nicht besonderserprobt hat. Die Jugendlichen waren fürdiese “Freiheit” vielleicht noch zu jung. Eineweitere wichtige Komponente ist dasLeitungsteam: es sollte sprachlich ausge-glichen sein, um nicht einer Sprache zu vielGewicht zu geben.Unsere Idee Sprachtandem, Gruppen-dynamik und Erlebnispädagogik zuverbinden, ist eine - um die Frage derEinleitung zu beantworten – neue, köstlicheund schmackhafte Art, Sprachen zu übenund könnte eine interessante Alternative fürSchulaktionen bzw. Abschlusstreffen vonPartnerklassen oder e-mail-Tandems sein.

Sabine C. Stricker

SCHEDE

PIER CARLO BONTEMPELLI, Knowledge, power,and discipline: German studies and nationalidentity, Minneapolis, University ofMinnesota Press, 2003, pp. 319; trad. di Ga-briele Poole da Storia della germanistica.Dispositivi e istituzioni di un sistema disci-plinare, Roma, Artemide, 2000 pp. 254, €18,08

Si legge come un romanzo, la Storia dellagermanistica di Bontempelli: non perchéadotti i modi narrativi della storia romanzatama, al contrario, perché attenendosi a un me-todo scientifico rigoroso e collaudato riescea raccontare le contrapposizioni e le tensio-ni che hanno determinato le alterne vicendedi una disciplina nei suoi due secoli di esi-stenza con inconsueta vivacità. Protagonistidi questa storia non sono Lachmann eGrimm, Gervinus e Dilthey, ma lagermanistica nel suo complesso, con tutte lesue strategie di affermazione e sopravviven-za, così come I Buddenbrook di Mann nonraccontano le vicende di alcuni individui,bensì la “storia di una famiglia”. Del restol’introduzione scritta in occasione della re-cente traduzione americana del volume nonpotrebbe essere più chiara: “The purpose ofthis book is to analyze Germanistik as adisciplinary system. Accordingly, this is nota historical account of representative authors,currents and methods, but a critical historyaddressing the institutional and exclusionarypractices which have constituted andestablished Germanistik as a discipline”.Il lavoro di Bontempelli si articola in 9 capi-toli, nei quali sulla scorta dei lavori di PierreBourdieu e Michel Foucault, si ripercorronole contrapposizioni che hanno portato lagermanistica al suo assetto attuale: quelle trala l’istanza normalizzatrice di KarlLachmann e l’istanza liberalizzante di JacobGrimm, tra la germanistica intesa da GeorgGottfried Gervinus come “scienza d’oppo-sizione” e la Gesitesgeschichte di WilhelmDilthey concepita invece come “apologiadell’esistente”, tra le tendenze restauratrici

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del secondo dopoguerra e le nuove apertu-re promosse dal movimento studentesco del’68. Così scopriamo, ad esempio, che al-l’avvento del nazismo la germanistica si tro-va già da tempo concordemente schieratasu posizioni reazionarie, nazionaliste,antirepubblicane e razziste del tutto com-patibili con l’ideologia hitleriana; ma an-che che, nonostante l’assenza di ogni for-ma di dissenso, il nazismo trovò nello spi-rito di casta dei germanisti non poche resi-stenze all’allineamento della disciplina alproprio programma. Soprattutto però sco-priamo qualcosa di più impalpabile: idispositivi di legittimazione e perpetuazionedella disciplina, “le norme necessarie perla produzione del discorso scientifico o, inaltri termini, le norme necessarie perché aldiscorso disciplinare [possa] essere attribu-ito carattere scientifico”; e dunque il lin-guaggio iniziatico, l’interdizione deglienunciati non legittimati, l’autorità del ma-estro, l’ethos del lavoro spinto finoall’ascetismo, l’inoculazione dell’habitusaccademico attraverso le struttureseminariali, fino alla cooptazione permaggiorasco attraverso il controllo degliordinari sull’esame di abilitazione.Cose piuttosto scomode, di cui com-prensibilmente in accademia non si parlavolentieri; tuttavia non si può ignorare chei processi culturali siano sempre determi-nati, in parte rilevante, da fattori sociali.Bontempelli, professore di letteratura tede-sca all’università di Cassino, scrive dallaposizione di un “esterno” abbastanza vici-no alla germanistica tedesca per compren-derne bene e rispettarne i dispositivi e letradizioni (chissà chi potrebbe, con meto-do analogo, scrivere una storia dell’italia-nistica). Ne risulta una storia tutt’altro cheoleografica, e tuttavia lontana dalla sempli-ce e semplificatoria messa sotto accusa diistituzioni e dispositivi spesso rivelatisiautoreferenziali e discriminanti, quando nonapertamente regressivi; a dimostrazione delfatto che ricercando non con il dito puntatoma con curiosità e spirito (auto-) critico sipuò rendere un servizio alla comunità scien-

tifica anche, anzi soprattutto, quando se nemettono in evidenza i meccanismi internitanto più tacitamente accettati quanto piùimbarazzanti.

Michele Sisto

Marina Foschi Albert, Marianne Hepp, Ma-nuale di storia della lingua tedesca, Napo-li, Liguori, 2003, pp. 247, € 17,50.

Mit dem primären Ziel, ein „Manuale di stu-dio” für “studenti italiani di Germanistica”(S. 1) zu konzipieren, ist es M. Foschi Albertund M. Hepp gelungen, Altbekanntes ausder diachronen Sprachwissenschaft derdeutschen Sprache mit neuen sprach-wissenschaftlichen Tendenzen undBedürfnissen zu bereichern. Ausgehend vonGerhart Wolffs Standardwerk DeutscheSprachgeschichte (1990) erscheint das Ma-nuale di storia della lingua tedesca alseigenständiges und differenziert ausgearbeitetes Panorama über die deutscheSprachwissenschaft.Öffnet man neugierig das Buch, bietet einembereits das Inhaltsverzeichnis einestrukturierte und leserfreundlicheEinführung in das Werk: Die Einteilung indie sechs Hauptphasen der deutschenSprachentwicklung in Anlehnung anGrimm-Scherer (Althochdeutsch,Mittelhochdeutsch, Frühneuhochdeutsch,früheres Neuhochdeutsch, jüngeresNeuhochdeutsch und Gegenwartsdeutsch)und der gleichbleibende formale Kapitel-Aufbau stellen für den Lesenden einewichtige Orientierungshilfe dar. Die neue-ren Forschungsfelder der deutschenSprachwissenschaft sind in das Kapitel„Gegenwartsdeutsch“ (S. 177 ff.) integriert.Auf diese Weise werden die wichtigstenErkenntnisse der traditionellen und neuestenlinguistischen Recherchen synthetischaufgeführt und im Kontext eineshistorischen, soziokulturellen Hintergrundsbeleuchtet. Dank einer klaren, sachlichenSchreibweise, Tabellen- und Karten-

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illustrationen sowie literarischen undhistorischen Textbeispielen, werdendiachrone wie synchrone Aspekteverständlich dargestellt. Störend sind einzigschlecht lesbare, grauschattierteEinzeichnungen von Sprachgrenzen undAusdehnungen des Lautwandels auf dengeografischen Karten. An dieser Stellewären farbige Illustrationen für eine nächsteAuflage wünschens- bzw. empfehlenswert.Durch den Einbezug des plurizentrischenAnsatzes wird der Mythos einereinheitlichen deutschen Standardsprache zuRecht aufgehoben. Vor allem für nichtmuttersprachige Germanistik-Studierendeist es im Rahmen der Sprachwirklichkeitwesentlich, u.a. über Existenz und Gebrauchder drei nationalen Varietäten (deutsches,österreichisches und schweizerischesStandarddeutsch) informiert zu werden. Diesogenannten Teutonismen, Austriazismenund Helvetismen werden kurz undübersichtlich auf verschiedenen Sprach-ebenen (Lexik, Intonation usw.) vorgestelltund verglichen. Genderaspekte, Jugend-sprache, Sprache der Werbung und aktuelleTendenzen der Schriftsprache werdenebenso fundiert behandelt wie Neuerungenim Wortschatz durch Entlehnungen aus demEnglischen oder durch die Lexik derpolitischen Korrektheit. Thematisiert wirdnicht zuletzt die neue amtlicheRechtschreibregelung, die nun nach einersiebenjährigen Übergangsfrist am 1. August2005 verbindlich wird. Im Manuale werdender lange Prozess, bei welchem politisch-und kulturellbedingte Einflussgrössen eineRolle spielen, und die wichtigstenhistorischen Etappen bis zur heutigenRechtschreibung aufgezeigt. Die Diskussionum die umstrittene Rechtschreibreform (vgl.u.a. die Haltung von Axel Springer AG undSpiegel-Verlag) hat an Aktualität nichtsverloren, tangiert sie doch alle Berufs- undLebensfelder, in welchen mit der deutschenSprache gearbeitet wird.Das Manuale di storia della lingua tedescawird seinem Anspruch gerecht, nämlich aufder einen Seite den italienischen

Studierenden einen Überblick überEntstehung und Verwendung der deutschenSprache zu geben, auf der anderen durch denEinbezug der diachronen Entwicklung derdeutschen Sprache das Verständnis und damitdas Erlernen von Deutsch als Fremdsprachezu vereinfachen. Denn „conoscere la genesidella lingua aiuta a comprenderne […] conmaggiore discernimento le caratteristichestrutturali“ (S. 2). Besondere Relevanz für dasGermanistik-studium erhält das Handbuch,weil es im DaF-Bereich in Italien deneinzigen Leitfaden für Studierende darstellt.Von Bosco Coletsos’ Storia della lingua te-desca (1988) erschien bislang keine zweite,überarbeitete Auflage. Da für dasGermanistikstudium in Italien, sprachlichbedingt, andere Bedingungen vorliegen alsan deutschsprachigen Universitäten, stelltdieses Handbuch für Italienisch sprechendeStudierende einen optimalen Einstieg dar.Neben der Università degli Studi di Pisa wirddas Manuale schon an verschiedenenitalienischen Universitäten verwendet.Das Manuale enthält weiterführendeLiteraturangaben, ein ausführlichesSachregister und ein hilfreiches deutsch-italienisches Glossar und bietet demZielpublikum neben fundierten Grund-kenntnissen auch entsprechende Möglich-keiten für weiterführende Vertiefungen ineinem der vorgestellten Forschungs-bereichen an.

Barbara Käppeli

SEGNALAZIONI

SAGGI

Patrizio Collini, Iconolatria e iconoclastianella letteratura romantica, Pisa, Pacini,2004, pp. 182, € 19

Maurizio Pirro, Marcella Costa, StefaniaSbarra (a cura di), Le storie sono finite e iosono libero. Sviluppi recenti nella poesia dilingua tedesca, Napoli, Liguori, 2003, pp.308, € 21,50

53OSSERVATORIO CRITICO

della germanistica

CG20

José Ortega y Gasset, Goethe, trad. dallospagnolo di Anna Benvenuti, Milano, Me-dusa, 2003, pp. 94, € 11,50

Il cacciatore di silenzi. Studi dedicati aFerruccio Masini, a cura di Paolo Chiarini,con la collaborazione di Bernhard ArnoldKruse, Roma, Edizioni dell’Istituto Italia-no di Studi Germanici, 2003, vol. II, pp. 603,s.i.p.

Francesco Camera, Paul Celan. Poesia e re-ligione, Genova, Il Melangolo, 2004, pp.204, € 15,50

W. G. Sebald, Storia naturale della distru-zione, trad. di Ada Vigliani, Milano,Adelphi, 2004, pp. 149, € 14

TRADUZIONI

Bernhard Schlink, L’omicidio di Selb, trad.di Umberto Gandini, Milano, Garzanti,2004, pp. 265, € 15,50

Siegfried Krakauer, Strade a Berlino e al-trove, a cura di Daniele Pisoni, Pendragon,2004, pp. 182, € 15

Wilhelm Genazino, Il collaudatore di scar-pe, trad. di Riccardo Cravero, Parma,Guanda, 2003, pp. 168, € 12,50

Karl von Heigel, La veranda sul lago diGarda, a cura di Paolo Boccafoglio,Rovereto, Nicolodi, 2004, pp. 200, € 13

Cécile Ines Loos, Un velo d’oro da sposa,trad. di Gabriella de’ Grandi, Bellinzona,Casagrande, 2004, pp. 204,€ 16

Franz Kafka, Aforismi di Zürau, a cura diRoberto Calasso, Milano, Adelphi, 2004, pp.144, € 8,50

Friedrich Dürrenmatt, Le scintille del pen-siero, a cura di Daniel Keel, trad. di DonataBerra, Bellinzona, Casagrande, 2003, pp.165, € 9,50

Friedrich Schiller, Don Carlos, a cura diMaria Carolina Foi, Venezia, Marsilio,2004, pp. 528, € 22

Martin Walser, Morte di un critico, trad. diFrancesco Coppellotti, Milano, Sugarco,2004, pp. 214, € 16,80

Thomas Hettche, Il caso Arbogast, trad. diPalma Severi, Torino, Einaudi, 2004, pp.288, € 16,50

Heinrich Böll, Croce senza amore, trad. diSilvia Bortoli, Milano, Mondadori, 2004,pp. 332, € 17

Stefan Zweig, Amok, trad. di Emilio Picco,Milano, Adelphi, 2004, pp. 105, € 7

Alexander Lernet-Holenia, Avventure di ungiovane ufficiale in Polonia, trad. di Elisa-betta Dell’Anna Ciancia, Milano, Adelphi,2004, pp. 146, € 14

Wladimir Kaminer, Russendisko, trad. diRiccardo Cravero, Parma, Guanda, 2004,pp. 170, € 13,50

W. G. Sebald, Vertigini, trad. di AdaVigliani, Milano, Adelphi, 2003, pp. 229, €15

Samuel Lublinski, Saggi sul moderno, acura di Maurizio Pirro, Macerata,Quodlibet, 2004, pp. 148, € 15

Artemio Focher, Sotto il tiglio accordai ilviolino. Violino e violinisti nella letteratu-ra tedesca, Cremona, Cremonabooks, 2004,pp.245, € 14,50Friedrich Schiller, La passeggiata. Scrittisu natura, poesia e storia, a cura di Gio-vanna Pinna, Cosenza, Centro Editoriale eLibrario-Università degli Studi dellaCalabria, 2004, pp. 70, € 7

Rudolf Kassner, La visione e il suo doppio.Antologia degli scritti, a cura di GerhartBaumann e Aldo Venturelli, trad. di Laura

54OSSERVATORIO CRITICO

della germanistica

CG20

Benzi, Roma, Artemide, 2003, pp. 159, €18

Francesca Falconi, L’opera di IngeborgBachmann alla luce della raccolta lirica po-stuma. Ich weiß keine bessere Welt, Trie-ste, Parnaso, 2004, pp. 194, € 16

Wilhelm Raabe, Else dell’abete ovvero Lafelicità di don Friedemann Leutenbacher,umile servitore della Parola di Dio inWallrode in Elend, a cura di Emanuele Ap-pari, Palermo, Herbita Editrice, 2004, pp.77, € 15

Adalbert Stifter, Saggi e note di letteraturae d’arte, a cura di Maria Luisa Roli, Sarzana,Agorà Edizioni, 2004, pp. 130, € 154

Robert Walser, Ritratti di scrittori, trad. diEugenio Bernardi, Milano, Adelphi, 2004,pp. 163, € 9,50

Elisabetta Pani, Schumann e Jean Paul. Unasimilitudine ideale, Bari, Levante Editori,2004, pp. 125, € 12

Theodor Fontane, Sotto il pero, a cura diRemo Ceserani, trad. di Debora Ceccanti,Palermo, Sellerio, 2004, pp. 152, € 12

Saul Friedländer, La Germania nazista e gliebrei. 1. Gli anni della persecuzione 1933-1939, trad. dall’inglese di Sergio Minucci,Milano, Garzanti, 2004, pp. 446, € 12

EDIZIONI

Arthur Schnitzler, Ein Liebesreigen. DieUrfassung des “Reigen”, hrsg. v. GabriellaRovagnati, Frankfurt a.M., Fischer, 2004,pp. 298, s.i.p.

Die Hölle des Dante Alighieri von JosephJagemann, a cura di Peter Kofler, Bozen,edition sturzflüge, 2004, pp. 302, s.i.p.

RIVISTE

Studia austriaca XII, 2004Alexandra Hildebrandt, Schatten einesGrenzgängers. Eine biographisch-literarische Wanderung in die Romantik;Maurizio Pirro, Carl Dallago saggista;Stefan Kaufer, Am Ende der Welt hält mannichts vom Individuum. Die Rückzugsgebieteder Romanhelden von Haruki Murakami undAlfred Kubin weisen erstaunlicheGemeinsamkeiten auf; Fausto Cercignani,Vivere e sopravvivere. Kafka e l’artista-scrittore; Evelyne Polt-Heinzl, Ernst Jandlverreist mit der Eisenbahn; RiccardaNovello, Elfriede Gerstl. La semplicebellezza dello spirito (femminile); SabineZelger, Bürokratische Konstanten inÖsterreichs Literarischer Vergangenheits-bewältigung; Francesca Falconi, IngeborgBachmann. Non conosco alcun mondomigliore; Leopold Decloedt, Die Suche nachdem Authentischen. Marlene Streeruwitz’Roman “Nachwelt”; Nicola Bietolini, Il“lume che si spegne nella mia bocca” e gli“angeli cristallini”. Mitofania del “silenzio”ed eclissi del “divino” nell’u-niverso poeticoambivalente di Georg Trakl

Cultura tedesca 24 – Annali Goethe 2003Herder: Paula Paumgardhen, Herder el’ebraismo; Martin Bollacher, Herder heute:zur Aktualität seiner Humanitätstheorie;Marino Freschi, Il viaggio di Herder verso illinguaggio; Camilla Miglio, Da est versoovest dell’Europa. Se dal racconto di un viag-gio nasce un personaggio; ChristineMaillard, Beobachter, Weggenosse, Pionier:Herder und die Anfänge der europäischenIndologie; Mathias Mayer, DieSäulenheiligen und der Kompaß. Zumbeweglichen Mittelpunkt von HerdersAutobiographieverständnis; Albert Meier,“Ich bin ein Nordliches Wesen”. JohannGottfried Herders italienische Differenz-Erfahrung; Marisa Siguan, Einheit der Poetikund Geburt der Nationalliteraturen: JuanAndrés Ansatz zwischen Deskription undnormativer Wertung versus Herders

55OSSERVATORIO CRITICO

della germanistica

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Universalismus; Ilaria Tani, Linguisticaherderiana. La teoria del linguaggio diHerder e la sua attualitàSaggi: Gerhard Friedrich, Der kastrierteVater. Der Konkupiscenz-Begriff in J.M.R.Lenz’ Philosophischen Vorlesungen fürempfindsame Seelen und die Vater-schaftsproblematik im Hofmeister;Nicoletta Cardano, Il monumento a Goethedi Villa Borghese; Patrizio Collini,Controversie parigine: Danton eRobespierre negli scritti heiniani degli annitrenta (con echi büchneriani). Recensioni

Studi germanici 117(nuova serie) Anno XL, 2, 2002Kai Neubauer, Historische Semantikkontrastiv: dt. Sinn – Sinnlichkeit und it.Senso – sensibilità/sensualità; WalterHinderer, Die Philosophie der Ärzte, dieRethorik der Dichter, die Depotenzierungdes Transzendentalphilosophie und dieKritik der Theodizee: KorrespondierendePosition bei Schiller und Büchner; VittorioSantoli, Commento alla I parte del “Faust”7.Note – rassegne – profili“Le radici del male”. A proposito del librodi Massimo Ferrari Zumbini: Gustavo Cor-ni, Lutz Klinkhammer, Rudolf Lill.Recensioni

Studi germanici 118(nuova serie) Anno XL, 3, 2002Marina Foschi, Linguistische Hermeneutikam literarischen Text. Ein Versuch überEduard Mörikes lyrischen Text“Verborgenheit”;Manfred Durzak,Literarische Röntgen-Aufnahmen derWirklichkeit. Am Beispiel von drei aktuellenKurzgeschichten von Martin Suter, IreneBohrn-Prügger und Dieter Wellershoff;Goethe nel dibattito ideologico del primoNovecento: Karl Robert Mandelkow, Der“Geist von Weimar” und der “Tag vonPotsdam”. Goetherezeption im politischenSpannungsfeld in den zwanziger unddreißiger Jahren in Deutschland; ChristophKönig, Vom Stillstellen der Traditionen.

Hofmannsthals Begriff der Cultur im Blickauf Goethe und die Universität; BerndWitte, Die Aktualität des Klassikers. WalterBenjamin und Goethe; Roberta Ascarelli,Marcuse e i classici tedeschi; Pier CarloBontempelli, Goethe durante il Terzo Reich;Michele Cometa, Umanesimo e Resistenza.Lukács interprete di Goethe.Note – rassegne – profiliLetteratura e psicanalisi. A proposito del-l’“Autobiografia psichica” di HermannBroch: Mario Lavagetto, Hermann Brochdi fronte ai demoni dell’infedeltà; UrsulaPrameshuber, Hermann Brochs“Psychische Autobiographie”: Einigepsychologische Überlegungen; AntonioVitolo, Broch, Jung, Federn: Biographie,Selbstbiographie, psychische Gestaltung.Recensioni

56OSSERVATORIO CRITICO

della germanistica

CG20

57OSSERVATORIO CRITICO

della germanistica

CG20

57. Zehn Jahre nachher. Poetische Identität und Geschichte in der deutschenLiteratur nach der Vereinigung. Fabrizio Cambi und Alessandro Fambrini (Hrsg.),

2002, 370 pp., ISBN 88-8443-018-6, € 16

Il volume raccoglie gli atti del Convegno su “Identità poetica e storia nella letteratura tedescadopo l’unificazione”, tenutosi a Trento nel maggio 2000. In occasione del decennale dellacaduta del Muro germanisti di vari paesi e gli scrittori Volker Braun e Richard Pietraß hannocompiuto un primo bilancio del panorama letterario tedesco contemporaneo non disgiunto dauna rivisitazione critica del recente passato della Repubblica Democratica tedesca.

58OSSERVATORIO CRITICO

della germanistica

CG20

XIV. Cesare Cases, Saggi e note di letteratura tedescaa cura di Fabrizio Cambi, 386 pp. € 15.50

Il volume, da tempo irreperibile, raccoglie scritti, composti fra gli anni Cinquanta e i primi anniSessanta, che spaziano dalla Aufklärung alla letteratura contemporanea e alla critica letteraria,in un’esplorazione dei processi culturali dettata dalla militanza delle idee e dalla ricerca di unaprospettiva interpretativa. La ristampa è corredata da una recente intervista all’autore.

59OSSERVATORIO CRITICO

della germanistica

CG20

Osservatorio Critico della germanisticaanno IV, n. 20Dipartimento di Scienze Filologiche e Storiche - Trento 2001

Direttore Responsabile: Massimo Egidi

Redazione: Fabrizio Cambi, Alessandro Fambrini, Fulvio FerrariComitato esterno: Luca Crescenzi, Guido Massino, Lucia Perrone Capano, Grazia Pulvirenti,Aldo Venturelli, Roberto VenutiProgetto grafico: Roberto MartiniImpaginazione: C.T.M. (Luca Cigalotti)Editore: Maria Pacini Fazzi Editore - Lucca

Periodico quadrimestrale (febbraio, giugno, ottobre)Abbonamento annuale (tre numeri): € 12,91Abbonamento estero: € 18,59Numero singolo e arretrati: € 5,16

Modalità di abbonamento: versamento sul conto corrente postale numero 11829553 intestatoa: MARIA PACINI FAZZI - LUCCA, specificando nella causale sul retro ABBONAMENTOANNUALE A ‘OSSERVATORIO CRITICO DELLA GERMANISTICA’, e indicando nome,cognome, via e numero, c.a.p., città, provincia e telefono, oltre al numero di partita i.v.a. per glienti, istituzioni, aziende che desiderano la fattura.

Manoscritti di eventuali collaborazioni e libri da recensire vanno indirizzati ai componentidella redazione presso il Dipartimento di Scienze Filologiche e Storiche,via S.Croce 65, 38100Trento (tel. 0461/881718, 0461/882709 o 881739; fax. 0461/881751; [email protected]).

Amministrazione e pubblicità: MARIA PACINI FAZZI EDITORE S.R.L., piazza S. Romano16 - casella postale 173 - 55100 Lucca; tel. 0583/440188 - fax 0583/464656; [email protected]

Stampa: Tipografia Menegazzo - viale S. Concordio 903 - LuccaLuglio 2002

periodico in attesa di registrazione presso il Tribunale di Lucca

ISSN

OSSERVATORIO CRITICOdella germanistica

Università degli Studi di Trento

III - 8€ 5,16

VII - 20

INDICE

Maria FancelliJohann Joachim Winckelmann, Saggio sull’allegoria specialmente per l’arte 1

Paola Di MauroGotthold Ephraim Lessing, Trattati sulla favola 3

Giuseppe TinèGottfried Keller, Sette Leggende 7

Claudia SoninoRoberta Ascarelli, La decadenza delle buone maniere. Hugo von Hofmannsthal incontra Stefan George 13

Maurizio PirroGeschichtsbilder im George-Kreis. Wege zur Wissenschaft 17

Paola QuadrelliMaurizio Guerri, Markus Ophälders (a cura di), Oswald Spengler. Tramonto e metamorfosi dell’occidente 20

Gabriella RovagnatiAlberto Destro, Rilke. Il Dio oscuro di un giovane poetaRüdiger Görner, Rainer Maria Rilke. Im Herzwerk der Sprache 24

Fabrizio CambiRudolf Kassner, La visione e il suo doppio. Antologia degli scritti 28

Claudia SoninoJoachim Schlör, Endlich im Gelobten Land? Deutsche Juden unterwegs in eine neue Heimat 30

Erminio MorenghiRose Ausländer, Poesie scelte 31

Andrea BirkJudith Kasper, Sprachen des Vergessens. Proust, Perec und Barthes zwischen Verlust und Eingedenken 35

Claus EhrhardtEva-Maria Thüne & Simona Leonardi ( a cura di): Telefonare in diverse lingue. Organizzazione sequenziale,routine e rituali in telefonate di servizio, di emergenza e fàtiche. 37

Stefano BerettaDonatella Mazza (a cura di), L’intera lingua è postulato. Studi sulla lingua e il lessico del romanticismotedesco 40

Marina FoschiAngelika Linke / Hanspeter Ortner / Paul R. Portmann-Tselikas (a cura di). Sprache und mehr.Ansichten einer Linguistik der sprachlichen Praxis 44

Interventi 47Sabine C. StrickerTrentino trifft Tirol!

Schede 50

Segnalazioni 52