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Università degli Studi di Trento OSSERVATORIO CRITICO della germanistica X - 26 OSSERVATORIO CRITICO della germanistica Il lungo soggiorno di Friedrich Hölder- lin nella Torre del falegname Zimmer a Tubinga, dal 1807 alla morte, avvenuta nel 1843, è stato spes- so oggetto di appassionate ricostruzioni sto- riche e di tesi anche molto ardite, come quella sulla simulazione della follia soste- nuta da Pierre Bertaux. Ma solo da una qua- rantina d’anni a questa parte la ricerca su Hölderlin ha iniziato a prestare interesse alle poesie composte in questo periodo giudi- candole sotto un profilo estetico, e non come il semplice documento di un uomo malato di mente, finendo talvolta per ecce- dere in un giudizio incondizionatamente positivo, che ignora i limiti oggettivi di al- cune composizioni. Alla poesia e alla vita di Hölderlin nella Torre è ora dedicato un libro di Giuseppe Bevilacqua, senz’altro uno dei più autorevoli conoscitori di Hölderlin nel nostro paese. Pur considerando tutto l’arco della produzione del poeta di quegli anni, e con frequenti richiami anche ad altre poesie, l’analisi di Bevilacqua si concentra in particolare sull’ode alcaica “Wenn aus der Ferne …”, di incerta datazione ma comunemente classificata tra le poesie della Torre. Dispiegando una formidabile conoscenza della biografia e dell’opera di Hölderlin, e attraverso una serrata quanto vivace analisi stilistica, Bevilacqua con grande coraggio interpretativo contesta l’autenticità della poesia e la sua at- tribuzione a Hölder- lin, nonostante l’e- sistenza di un mano- scritto autografo. L’autore mette infatti in risalto le divergenze compositive, stilistiche, lessicali e metriche che farebbero dell’ode un unicum dell’intera produzione di Hölderlin, anche rispetto alle altre poesie della Torre. In particolare Bevilacqua trova estranea allo stile e alla poetica di Hölderlin la dimensione biografica della poesia, a suo dire ostentata, che fa parlare in prima persona una donna, la quale si rivolge – secondo l’interpretazione di Bevilacqua e di altri prima di lui – dall’aldilà al suo amato. L’autore trova nel testo dei palesi riferimenti alla storia d’amore di Hölderlin con Susette Gontard e tuttavia delle stonature nel modo in cui esse sono esposte. Ma l’intera composizione risulterebbe estranea a quella rinuncia alla soggettività che carat- terizzerebbe le poesie della Torre e che costituirebbe anche uno dei tratti fon- damentali della patologia schizofrenica. A ragione Bevilacqua ricorda infatti come nelle altre poesie di questo periodo manchino in genere i pronomi personali e l’uso del preterito come tempo verbale del racconto, elementi invece che determinano la struttura di “Wenn aus der Ferne …”. Bevilacqua ritiene così l’ode una creazione di Wilhelm Waiblinger, che approfittando della sua autorità sul malato avrebbe Giuseppe Bevilacqua, Una questione hölderliniana. Follia e poesia nel tardo Hölderlin, Firenze, Leo S. Olschki, 2007, pp. 170, € 18,00

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Università degli Studi di Trento

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Il lungo soggiornodi Friedrich Hölder-lin nella Torre delfalegname Zimmera Tubinga, dal 1807alla morte, avvenuta nel 1843, è stato spes-so oggetto di appassionate ricostruzioni sto-riche e di tesi anche molto ardite, comequella sulla simulazione della follia soste-nuta da Pierre Bertaux. Ma solo da una qua-rantina d’anni a questa parte la ricerca suHölderlin ha iniziato a prestare interesse allepoesie composte in questo periodo giudi-candole sotto un profilo estetico, e noncome il semplice documento di un uomomalato di mente, finendo talvolta per ecce-dere in un giudizio incondizionatamentepositivo, che ignora i limiti oggettivi di al-cune composizioni. Alla poesia e alla vitadi Hölderlin nella Torre è ora dedicato unlibro di Giuseppe Bevilacqua, senz’altrouno dei più autorevoli conoscitori diHölderlin nel nostro paese.Pur considerando tutto l’arco dellaproduzione del poeta di quegli anni, e confrequenti richiami anche ad altre poesie,l’analisi di Bevilacqua si concentra inparticolare sull’ode alcaica “Wenn aus derFerne …”, di incerta datazione macomunemente classificata tra le poesie dellaTorre. Dispiegando una formidabileconoscenza della biografia e dell’opera diHölderlin, e attraverso una serrata quantovivace analisi stilistica, Bevilacqua congrande coraggio interpretativo contesta

l’autenticità dellapoesia e la sua at-tribuzione a Hölder-lin, nonostante l’e-sistenza di un mano-

scritto autografo. L’autore mette infatti inrisalto le divergenze compositive, stilistiche,lessicali e metriche che farebbero dell’odeun unicum dell’intera produzione diHölderlin, anche rispetto alle altre poesiedella Torre. In particolare Bevilacqua trovaestranea allo stile e alla poetica di Hölderlinla dimensione biografica della poesia, a suodire ostentata, che fa parlare in primapersona una donna, la quale si rivolge –secondo l’interpretazione di Bevilacqua e dialtri prima di lui – dall’aldilà al suo amato.L’autore trova nel testo dei palesi riferimentialla storia d’amore di Hölderlin con SusetteGontard e tuttavia delle stonature nel modoin cui esse sono esposte. Ma l’interacomposizione risulterebbe estranea a quellarinuncia alla soggettività che carat-terizzerebbe le poesie della Torre e checostituirebbe anche uno dei tratti fon-damentali della patologia schizofrenica. Aragione Bevilacqua ricorda infatti comenelle altre poesie di questo periodomanchino in genere i pronomi personali el’uso del preterito come tempo verbale delracconto, elementi invece che determinanola struttura di “Wenn aus der Ferne …”.Bevilacqua ritiene così l’ode una creazionedi Wilhelm Waiblinger, che approfittandodella sua autorità sul malato avrebbe

Giuseppe Bevilacqua, Una questionehölderliniana. Follia e poesia nel tardoHölderlin, Firenze, Leo S. Olschki, 2007,pp. 170, € 18,00

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“dettato” la poesia a Hölderlin, creando unfalso straordinario, che avrebbe poi passatoa Mörike. Per suffragare questa arditaipotesi l’autore entra in una brillante e sottileanalisi della eccentrica personalità diWaiblinger (un caso “borderline”, secondoBevilacqua) e del suo complesso rapportocon il poeta, ricostruendo quella chedefinisce la “psicologia del falso”. Del resto,ricorda Bevilacqua, la pratica dellafalsificazione apparteneva alla strategiaautopromozionale di Waiblinger.Nonostante l’acume delle osservazioni, inumerosissimi indizi raccolti e la sagaciadella argomentazione retorica, la tesi diBevilacqua presta il fianco a numerose esostanziali obiezioni. Enumero le principali.1) Il manoscritto non lascia pensare a unadettatura, ma sembra piuttosto la riela-borazione di un testo precedente. La paginainizia infatti con le prime parole di un verso,poi biffate (Bevilacqua non le menziona), enel testo vi è almeno una variante che nonpuò in nessun caso essere ricondotta a unfraintendimento nell’ascolto (la sostituzionedi “mit Küssen” con “Hände Druk” al v. 45).2) Lo stesso testimone di “Wenn aus derFerne …”, che consta in tutto di 8 facciate(disposte su due fogli, ognuno piegato indue a formare quattro facciate, e inseritil’uno nell’altro), contiene nella sua parteiniziale un testo in prosa, riconducibilesenza ombra di dubbio al romanzoHyperion. Facendosi forte dell’autorità diBeißner e sulla base di un’analisi internadei versi (ma non del testo in prosa, che nellibro non è mai preso in considerazione),Bevilacqua esclude ogni relazione tra i duetesti. Ma come spiegare allora la lorocompresenza nello stesso testimone? Sideve ipotizzare che anche il testo in prosacon cui inizia il manoscritto sia unafalsificazione di Waiblinger? O si devepiuttosto pensare che per la “dettatura”Hölderlin si sia servito di un manoscrittogià iniziato per altri fini? E in questo caso,come si concilia il lavoro al romanzo con latesi di Bevilacqua, che esclude la capacitàdello Hölderlin malato di lavorare ad

alcunché di diverso dalle poesie – lontaneda ogni soggettivismo – rappresentateemblematicamente dal gruppo firmato conil nome di Scardanelli? Dal punto di vistadell’analisi del testimone occorre aggiungereche probabilmente tra la facciata con cui sichiude il frammento in prosa a sinistra (lanumero 4), e quella con cui iniziano i versialcaici sulla destra dello stesso foglio piegato(la numero 5), doveva trovarsi almeno unaltro foglio andato smarrito. Altrimenti èdifficile spiegare come il manoscritto passicosì bruscamente da un testo all’altro,mostrando peraltro discontinuità nell’usodell’inchiostro, della penna e del tratto. Inquesto caso è lecito presumere che i versi di“Wenn aus der Ferne …” siano in realtà lacontinuazione di un testo che iniziadiversamente.3) Bevilacqua sostiene che “Wenn aus derFerne …” sia una trasposizione abbastanzafedele del rapporto tra Hölderlin e SusetteGontard fatta da Waiblinger. Questo peròpresuppone che il loro autore fosseperfettamente a conoscenza di alcuniparticolari biografici, come la supposta (enon dimostrabile) sosta di Hölderlin alcapezzale di Susette nel suo viaggio di ritornodalla Francia verso Stoccarda e Nürtingen.Si tratta di un punto centrale delragionamento di Bevilacqua, che riferiscel’accenno al mare nella poesia a Bordeaux.Se così fosse, però, è strano che nella suabiografia Waiblinger non accenni mini-mamente a questo episodio, che pure sarebbestato perfettamente congruo al ritrattofortemente sentimentale che egli dà del poeta.La sua conoscenza degli avvenimenti sembraessere invece piuttosto lacunosa, tanto cheegli fa seguire il soggiorno di Hölderlin aJena a quello di Francoforte (mentre in realtàaccadde il contrario).4) Nella stessa biografia Waiblinger citaproprio la prima strofe di “Wenn aus derFerne …”, ma con un titolo inesatto (“AnDiotima”) e con una variante. Si tratta dellaprima menzione del testo. Perché l’autoredella falsificazione avrebbe dovuto citare ipropri versi in modo così alterato? Per

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Bevilacqua si tratta di una delle “spieindiziarie” su cui fondare la propriaargomentazione. Questa citazionedeformata mi sembra invece la prova cheWaiblinger non è l’autore di “Wenn aus derFerne…”. Quando ha letto frettolosamentela poesia lo scrittore non ha capito che sitrattava di un Rollengedicht o almeno nellasua biografia, forse non ricordando bene,interpreta i versi come rivolti a Diotimaperché gli torna comodo, e per la stessaragione muta il maschile “Theilhaber” conil femminile “Theilhabe”, sostituendoinoltre “Leiden” con “Schmerzen”, che glisembra più pregnante.5) Bevilacqua sostiene che “Wenn aus derFerne …” rappresenta un corpo estraneonella produzione in versi di Hölderlin sottoogni profilo: nella scelta del genere e deitemi, nello stile, nella grammatica, nellessico, nel metro. Si può nutrire qualchedubbio. Nel poema “Emilie vor ihremBrauttag” Hölderlin fa parlare in versi unadonna, che si rivolge a un’amica. Si trattadi un Rollengedicht e di una epistola inversi, esattamente come nel caso dell’odein questione. Il tema del congedo degliamanti è uno dei più frequenti nell’operadell’autore. L’inserimento di espressionicolloquiali anche in composizioni liriche digenere “alto” non è raro in Hölderlin, anzicostituisce a mio avviso uno dei tratticaratteristici della sua tarda poesia (si vedaad esempio “Patmos”). Non è affatto veroche le odi di Hölderlin evitino glienjambement (basti pensare a “Dichter-beruf”). Lo stesso Bevilacqua è costretto aricordare che lo strano binomio floreale“Nelke – Hyacinthe” ricorre in un tardoframmento. La forma dell’accumulazioneè uno dei tratti caratteristici della secondaparte dello “Homburger Folioheft”. NellaTorre Hölderlin ha scritto un’altra odealcaica che presenta forte somiglianzestilistiche con “Wenn aus der Ferne …”, ecioè “Wenn aus dem Himmel …”,pervenuta peraltro solo in tre copie diMörike, che la data al 1824. Si può certomettere in dubbio anche l’autenticità di

questa ulteriore poesia (cosa che Bevilacquanon fa), ma almeno un raffronto tra questidue testi risulta necessario (cosa cheugualmente l’autore non fa). È tra l’altrosignificativo che nel manoscritto di Mörike(che afferma di aver ricopiato esattamenteil testo dall’autografo di Hölderlin) anche ilsecondo verso alcaico di questa poesia nonsia rientrato, caratteristica che Bevilacquaritiene invece peculiare della sola ode “Wennaus der Ferne …”, considerandola una provaa favore della sua inautenticità.6) Bevilacqua conclude dicendo di essersiaffidato “all’intuito nutrito da una lungafrequentazione dell’opera di Hölderlin” edi aver seguito nella sua analisi stilistica unmetodo che parte innanzi tutto dal propriofiltro estetico. Ma anche ammettendo che“Wenn aus der Ferne …” sia una poesiapiuttosto mediocre, mi sembra discutibileavanzare dubbi di autenticità su un testotrasmesso in un manoscritto autografobasandosi su una immagine precostituita delpoeta e della sua poesia. Che “Wenn aus derFerne …” si distanzi dalle poesie della torrefirmate Scardanelli (ma non da tutte le altre,come si è visto), è probabilmente vero. Manon è troppo semplice spiegare questadifformità considerando l’eccezione nonautentica? Non si dovrebbe invece,riconoscendo il dato della poesia, modificarel’immagine troppo uniforme del periododella torre?

Se la tesi principale di Bevilacqua non reggea una disamina rigorosa, non c’è dubbio peròche il suo libro contiene osservazionifinissime su Hölderlin in generale e sulperiodo della Torre in particolare, con ipotesie intuizioni critiche di notevole portata. Adesempio l’autore ritiene che tutti glipseudonimi di cui il poeta ha fatto uso nellaTorre siano di origine italiana e interpreta intal senso il misterioso Killalusimeno comeuna errata trascrizione ortografica della frase“chi l’ha, l’usi meno”, che si riferirebbe alprenome del poeta, così rifiutato. L’e-spressione ricorre infatti, secondo latestimonianza dello stesso Waiblinger, a cui

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qui si presta fede, in un’occasione in cui siparla di Federico il Grande, laddoveHölderlin afferma, “Io, signore, non ho piùlo stesso nome.” Inoltre Bevilacqua sostiene– questa volta con fondate ragioni –l’inautenticità di altre due poesie della torredi Hölderlin, e cioè “Das fröhliche Leben”e “Der Spaziergang”, delle quali però nonc’è manoscritto autografo, essendopervenute solo nella prima edizione delleopere curata da Christoph Theodor Schwab,il quale probabilmente elaborò i due testibasandosi su materiale autentico. Soprat-tutto però il libro di Bevilacqua apre dellequestioni decisive per l’intera ricerca suHölderlin. In primo luogo appare ormaiindispensabile una seria verifica filologicadi tutti i testi attribuiti al poeta dopo il 1806.In secondo luogo, se si respinge l’ipotesidella falsificazione, occorre dare unarisposta alle domande che Bevilacqualegittimamente pone sulla contestua-lizzazione di “Wenn aus der Ferne …” esulla sua relazione con l’opera complessivadi Hölderlin. Anche se questa non puòovviamente essere la sede per unragionamento più approfondito, provo adabbozzare una prima ipotesi.A mio avviso l’ode costituisce una epistolain versi di Diotima a Hyperion che siinserisce virtualmente nella seconda partedel romanzo, in un momento successivo allasua pubblicazione. Bevilacqua esclude che“Wenn aus der Ferne …” possa appartenereal complesso di Hyperion, e insiste sul fattoche il paesaggio della poesia non èsovrapponibile alla boscosa e selvaggiaisola di Kalaurea. Ma fin dal Frammentodi Hyperion l’incontro tra i due protagonistisi svolge in un “Garten”. I giardini di cuiparla il primo verso sono dunque senz’altroriferibili a quelli in cui si è svolta la storiad’amore nella prima parte del romanzo.Poco calzante mi sembra l’osservazione chegli “Alleen“ possano riferirsi solo a unacittà: nel dizionario di Adelung il vocabolodesigna “in den Gärten, ein zu beydenSeiten mit Bäumen besetzter Gang, einSchattengang, und wenn er überwölbet ist,

ein Bogengang”. È vero che a Kalaurea nonci sono “Ströme” (nel romanzo si parlaperaltro di “Bäche”), ma l’espressione “anden Strömen der heilgen Urwelt” è daintendersi in senso figurato. Non sono affattodel parere che la “Urwelt” stia per l’aldilà el’Ade. Nel romanzo e nella tragedia La mortedi Empedocle questa espressione rimandainvece al mondo primordiale, a una naturaintatta precedente alla civilizzazione, nelsenso di Rousseau, e nelle lettere Hölderlinla usa riferendosi al mondo delle idee diPlatone. Gli “Ströme” sono dunque quellecorrenti che, in modo figurato, da Kalaueraconducono al mondo “ingenuo” che nonconosce ancora la lacerazione della storia, oal mondo platonico delle idee. Bevilacqualegge il verso 8 come un anacoluto e dunquela “Urwelt” come un luogo diverso dai“Gärten” del verso 6, ma è più facile leggerequesto verso come una apposizione cheprecisa invece qual è il luogo in cui l’amataaspetta Hyperion. Se si accetta che ilpaesaggio rappresentato è quello greco, nonc’è naturalmente bisogno di far riferimento aBordeaux e a un controverso episodio dellabiografia di Hölderlin per spiegare lapresenza del mare nel testo.L’appartenenza dell’ode al complessodell’Hyperion, respinta da Beißner senzaalcuna argomentazione e rifiutatadecisamente da Bevilacqua, è oggi invecesostenuta dalla maggior parte degli interpretie degli editori. A favore di questa attribuzionedepone innanzi tutto il fatto che il testimonemanoscritto contiene nelle sue prime pagineun frammento in prosa del romanzo. Qui unsoggetto, che è senz’altro identificabile conHyperion, rassicura il suo destinatario (a cuisembra riferirsi l’esclamazione “HimmlischeGottheit!”, e in questo caso non potrebbe chetrattarsi di Diotima) di non essersi affattodimenticato di un passato migliore. L’attaccodella prosa (“Ich kann dir das wohl sagen”)rappresenta quasi una replica letterale alladomanda posta nei versi dell’ode (“So sage”).Non mi sembra dunque peregrino affermareche la situazione di distacco presentata nellaprosa e nel frammento in versi sia la stessa e

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che i due testi siano in correlazione tra loro.Occorre aggiungere che in ulterioreframmento del romanzo, sicuramente coevorispetto al manoscritto in discussione,Hyperion e Diotima dialogano tra loro inuna situazione di lontananza e che Diotimaallude persino ai loro “eingestandenenStreiten”. Anche qui compare in modoinsistito la formula prosastica “ich kann dirsagen”, che nella sua variazione nellapoesia (“Da muß ich sagen”) suscita leperplessità e l’irritazione di Bevilacqua.Non sono del parere che questi frammentirappresentino una continuazione delromanzo. Che Hölderlin avesse in mente unpossibile seguito mi sembra un equivocosuscitato dalle ultime parole del libro,“Nachstens mehr”, che però possono esserebenissimo una formula retorica per lasciareil finale “aperto”. Ma la situazione diseparazione e distacco tra gli amanti puòessere senz’altro collocata nella secondaparte del romanzo, successivamente allapartenza di Hyperion da Kalaurea, quandoil protagonista decide di partecipareall’insurrezione contro i Turchi. Si può cosìimmaginare che Hölderlin abbia a un certopunto sentito il bisogno di ritornare suquanto già pubblicato, aggiungendo unasorta di commento, in parte in versi, al suoromanzo.Quando ciò sia successo e per quali ragioniè una questione difficile e forse impossibileda accertare. In linea di massima il tipo dicarta utilizzata e lo stile lascerebberoeffettivamente pensare al periodo dellaTorre. Se si identificano queste carte conquelle citate da Mörike in una suatestimonianza, la stesura risalirebbe al 1823-24, come afferma per le stesse ragioni ancheBevilacqua riferendosi al solo “Wenn ausder Ferne …”. Ma questi sono però anchegli anni della lotta d’indipendenza greca,quando l’Hyperion sembra trovare ragionidi insperata nuova attualità. E da un’altratestimonianza di Zimmer sappiamo chenella primavera del 1823 Hölderlin avevamanifestato interesse alla vicende in Greciae che era quotidianamente immerso nella

lettura del suo romanzo. È così azzardatoipotizzare che nello stesso periodo il poetaritorni anche sulla sua opera, riprendendonee rielaborandone alcuni passi? Non sono ingrado di discutere le perentorie affermazionidi Bevilacqua, basate su un’ampia letteraturamedica e psichiatrica, sull’impossibilità diuna remissione della schizofrenia e sulquadro sostanzialmente lineare che avrebbeavuto il decorso della malattia di Hölderlinnella Torre di Tubinga. Mi pare però che unlavoro al romanzo, nei termini che si è detto,non sia in contraddizione con il quadropatologico tracciato dall’autore. Ad ognimodo, fin quando la nostra conoscenza delperiodo trascorso da Hölderlin nella Torrerimarrà vaga per la mancanza di nuovidocumenti, ogni ipotesi sulle sue poesie, perquanto ardita, deve essere benvenuta. Delresto anche Colombo ha scoperto leAmeriche partendo da una tesi sbagliata.

Luigi Reitani

Pubblichiamo qui di seguito l’intervento diGiuseppe Bevilacqua, in risposta alleosservazioni di Luigi Reitani

Vorrei anzitutto ringraziare Luigi Reitani perl’intelligente e precisa lettura che ha volutofare del mio libro. E mi ha fatto moltopiacere che questo assiduo conoscitore eversatissimo editore e traduttore dell’operadi Hölderlin si sia associato alla mia diagnosidi Das fröhliche Leben e Der Spaziergangcome frutto di una radicale manipolazioneche verosimilmente fu operata, anche se conbuone intenzioni, dal suo primo editore,sulla base di un malvezzo epocale su cui hoampiamente richiamato l’attenzione. Mipermetto di osservare che non è un risultatoirrilevante contestare l’autenticità di bencomplessivi 64 versi che stanno nel catalogodi uno dei massimi autori della poesiamondiale. Reitani aderisce pure alla miadecrittazione dell’eteronimo Killalusimeno,per il quale a tutt’oggi erano state propostesoltanto soluzioni inverosimili e talora

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cervellotiche. Invece non consente a quellache è la tesi principale del mio libro; e portaargomenti in contrario che sono da prenderein seria considerazione. Replicheròpartitamene ai primi tre, che mi sembrano ipiù consistenti.

1. Non ho dato importanza alle tre paroleAuf dem Pfa[d] in testa alla prima paginadell’ode in quanto mi sembrano una ripresadel frammento iperionico in prosa: infattinel manoscritto l’inchiostratura risultachiaramente quella delle pagine precedentie non quella dell’ode. Poi: che Wenn ausder Ferne e la strofa che segue non sial’inizio mi appare quasi impossibile, perchéquesto è un tipico attacco (Auftakt)hölderliniano; ed è vero che esso compareanche in varie altre poesie, ma allora quasisempre all’inizio di una strofa. Ma decisivoè poi il fatto che la prima strofa costituisceun incipit, inconfondibile come tale dalpunto di vista del contenuto: insomma l’iodell’ode si fa primamente avanti perriprendere, al di là della vita e della morte,un contatto interrotto da lungo tempo.Infine, a proposito della variante Küssen /Hände Druck, Reitani osserva che essa nonpuò essere dovuta a un fraintendimentodurante la supposta dettatura. È giusto. Maforse si può immaginare che il docilescrivente, qui per una volta, si sia inalberato:Hölderlin aveva una specie di fobia perquesta comunissima espressione di affetto,da cui sempre rifugge.

2. Questa obiezione, anch’essa giusta, hal’effetto di ‘stanarmi’. Nel libro ho scrittopiù volte che ‘per il momento’ volevolasciare impregiudicati i problemi derivantidalla stretta contiguità del testo dell’ode conil testo dei frammenti in prosa. Ma ora lostesso Reitani mi prospetta la risposta cheho in mente. Ebbene sì, propendo a credereche anche quella prosa sconclusionata siasostanzialmente opera di Waiblinger,probabilmente posta in essere, magari anchecon estemporanee e folli interferenze delpoeta (…Sehen Sie, gnädiger Herr, ein

Komma!), quando i due, soli solettisull’Österberg, reggendo in mano l’Hyperion, ne declamavano ad alta voce echiosavano una pagina e - così suppongo - aquattro mani calavano, su quel pezzo di cartache ci è stato fortunosamente conservato, uncaotico addendum: cioè una serie di banali,maldestre, mal concepite e mal scrittevariazioni sui temi iperionici (l’eterna Natura,la Grecia). Anche di questa pagina si puòproclamare con decisione: questa non è lavoce di Hölderlin!

3. Sì, questo è un punto centrale del mioragionamento. Confermo che Waiblingerconosceva della vita di Hölderlin tutto quelloche si poteva conoscere, non ostante qualcheimprecisione per gli anni anteriori aFrancoforte. Ma anche qui Reitani fa unagiusta obiezione. Interessato com’era allevicende amorose del suo amatissimoHölderlin, come mai Waiblinger nella suabiografia neppure accenna all’episodio, da meconsiderato certo, del passaggio perFrancoforte nel giugno del 1802? Credo diavere una risposta più che plausibile.Quell’evento (la supponibile visita all’amanteadulterina, morente nella casa del propriolegittimo sposo), per la sua scabrosità, dovevaessere fortemente censurata e quindi noncompare nella biografia, scritta e pubblicatacome tale. Però compare in quella biografiaromanzata di Hölderlin che è il Phaëthon! Ilprotagonista vive molto lontano dall’amataAtalanta. Riceve una sua lettera (come moltipensano abbia ricevuto Hölderlin aBordeaux) in cui gli annuncia la propria fineimminente e, tra l’altro, scrive (dettaglioimportante per la mia tesi): Wir sehen unsdrüben! Phaëthon dunque raggiunge lamoribonda con lunghe tappe forzate, giustoin tempo per coglierne l’ultimo respiro. Dopodi che impazzisce, e Waiblinger descrivel’aspetto e il comportamento del suo follepersonaggio riproducendo esattamentequanto aveva potuto osservare dal vivo inHölderlin. Certo, appare singolare che nellabiografia non faccia neppure un breve cennoalla morte della Gontard, cioè al fatto più

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sconvolgente nella vita del poeta. Ma questaè solo la logica conseguenza di aver dovutosottacere il passaggio per Francoforte. Taleepisodio, troppo biograficamenteimportante, Waiblinger non avrebbe potutoignorarlo se avesse menzionato la straziante,precoce fine della sola donna ardentementeamata dal poeta. In compenso tutta la storiaera troppo patetica e allettante per non essereinclusa nel romanzo hölderliniano.

Per quanto Reitani scrive negli altri trepunti, replicherò succintamente soltanto sualcuni rilievi specifici, senza entrare indiscussione là dove si tratta di valutazioniopinabili, per esempio sulle affinità, odifformità, tra Wenn aus der Ferne e i testicanonici.

Mi piacerebbe sapere da dove Reitani abbiaricavato la notizia che Waiblinger, nella suacitazione a memoria, avrebbe mutato ilmaschile Theilhaber con un improbabilefemminile Theilhabe (?).Di Wenn aus dem Himmel non mi sonocurato perché si tratta di un testodisparatissimo rispetto a Wenn aus derFerne. Beißner, a differenza di altri editori,pubblica disgiunte le due odi. Spesso essevengono appaiate, ma per una ragioneesteriore, ossia perché probabilmentepervennero a Mörike insieme. Ma tra esseio non vedo somiglianze, né di forma - aparte il metro – né di Gehalt.Per quanto è del 2° verso della prima strofa,è del tutto insignificante che esso in Wennaus dem Himmel non sia rientrato. Questapoesia ci è pervenuta in tre diversetrascrizioni di Mörike, il quale nelle (poche)alcaiche da lui composte non lo fa rientrare(v. ad esempio An Philomele). Saremmodunque di fronte a un minimale disco-stamento da quello che dobbiamo ritenerefosse l’originale. Del resto non è certo ilcaso di prendere Mörike sul serio quandoafferma di aver trascritto esattamente; avevail vizietto, a quel tempo molto diffuso,d’intervenire sui testi altrui e certamente inqualche misura l’ha fatto anche su Wenn aus

dem Himmel, una composizione chepresenta vari aspetti problematici; maquesto sarebbe tutto un diverso problema,che qui non è pertinente.

Reitani afferma che i frammenti iperionicie l’ode sarebbero entrambi dei paralipomenadel romanzo, strettamente collegati fra loro;e nega giustamente che ne siano unaprosecuzione. Andrebbero intercalati, dice,nella seconda parte. Ma dove precisamente?E in quale plausibile rapporto con ilcontesto? L’epistola in prosa dovrebbeevidentemente essere stata scritta primadella morte di Diotima, che ne è destinataria;ma allora anche l’ode sarebbe stata scrittada Diotima quando era ancora in vita.Questo costringe Reitani a sostenere che,per quanto riguarda gli Ströme, si potrebbepensare ai ruscelli di Calauria; mentre laheilge Urwelt sarebbe un luogo ideale, consuggestioni rousseauiane e platoniche, macomunque non trascendente. Invece daZinkernagel - che intitolava l’ode Diotimaaus dem Jenseits - e da Vincenzo Errantein giù quasi tutti i lettori più qualificatihanno ritenuto che gli Ströme siano lefiumane di cui è ricca l’Ade classica.Coerentemente con questa impostazioneReitani deve poi anche sostenere che jeneGärten del verso 8 sarebbero il giardinodegli incontri tra i due amanti sempre inCalauria. Perché quel solenne plurale? Illuogo degli incontri e delle amoroseconversazioni era il casalingo DiotimasGarten, con il suo umile mandorlo.

Vorrei fare una breve considerazione finale.Mi rendo conto che aderire alla tesi secondocui un’ampia poesia di Hölderlin, accoltain tutte le edizioni critiche e soprattuttotestimoniata da un autografo, non è statapropriamente da lui ideata, richiede un altogrado di disponibilità. Perciò mi attendo chela mia proposta non abbia dapprima molteadesioni. Ma sono certo che poi quantomeno essa darà da pensare, se si vorrannoconsiderare senza pregiudizio tutti gliargomenti portati nel mio libro. Chi invece

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non consente per principio e resta ligioall’attribuzione corrente, ma vorrà alcontempo dare una risposta ai molti aspettiproblematici da me messi in luce inquell’improbabile testo, si troverà semprepiù invischiato in inestricabili contrad-dizioni e in gravose perplessità: per quantoattiene alla datazione, alla trama biograficache è sotto traccia, alle singolarità formali.O allora dovrà avvolgersi nel prudente nocomment che molti finora hanno scelto. Mail problema che ho sollevato per Wenn ausder Ferne ha riflessi più vasti. Mi pare chetutto il complesso della cosiddettaTurmdichtung vada sottoposto a unasistematica riflessione con strumentifilologici. Io sono già intervenuto in talsenso con la mia lettura critica di DerSpaziergang e Das fröhliche Leben. Ma c’èancora spazio per ulteriori indagini.

Giuseppe Bevilacqua

Giulia Cantarutti (a cura di), Le ellissi dellalingua. Da Moritz a Canetti, Bologna, IlMulino, 2006, pp. 197, € 14,20

Un’indagine delle cosiddette “offeneFormen” di scrittura, programmaticamentedelimitata alla letteratura tedesca fra ilXVIII e il XX secolo, è l’oggetto di questopregevole volume curato da una fra imaggiori studiosi del Settecento europeo ingenere e di scrittura aforistica in particolare.Il problema della definizione di tali forme‘alternative’ rispetto ai generi letterariclassici è puntualmente trattato dalla cu-ratrice in una breve e articolata premessa(in realtà un vero e proprio Forschungs-bericht sul tema): qui si traccia un percorsoche parte da Montaigne – con i suoi Essaisl’antenato di ogni forma aperta di scrittura– e, passando per le “scorciatoie” di Saba(referente che dà il titolo anche alla collanain cui il volume è inserito) e per le“Verkürzungen” di Canetti, giunge al ‘nonfinito’ come espressione di permeabilità deiconfini e apertura incondizionata a forme

letterarie differenti, dunque a contaminazioni.Alla trasversalità dell’oggetto di indaginecorrisponde una “polifonia di voci” (p. 10) –anche questa costitutiva e rispondente a unaconvinzione scientifica che dovrebbe esserepraticata con maggior frequenza nella nostradisciplina – per quanto riguarda gli autoridei singoli contributi (quattro italiani e quattrotedeschi, due dei quali romanisti-comparatisti). Le “ellissi della lingua”,dunque, come preannunciato dal bel titoloscelto, con un riferimento alla figurageometrica che più di ogni altra allude afigurazioni ‘imperfette’, a percorsi eccentrici(per ricordare la celebre formulazionehölderliniana), alludono contemporanea-mente al principio della brevità e alla atipicitàdelle forme. Ogni ellissi si costruisce attornoa due fuochi: in questo caso la varietàlinguistica, intesa sia come pluralità di registrie stili che come diglossia, e l’avversione amodi espressivi compiuti, in favore dellabrevitas e del frammento. La scelta dimuoversi in un intervallo cronologico che,seppur limitato, appare amplissimo non tantoper estensione, quanto per varietà e ricchezzadi contenuti culturali, è un presuppostometodologico giustificato sia dall’affinitàdegli autori nell’ambito delle forme di‘scrittura scorciata’ praticate, sia dal legamefortissimo che unisce molti scrittori delNovecento con l’estetica settecentesca –Döblin, cui nel volume sono dedicati duesaggi, solo per fare l’esempio più lampante.Un tema, questo, che Giulia Cantarutti ha piùvolte trattato e che varrebbe la pena disviluppare anche per altri ‘grandi’ del XXsecolo, come Musil e Benn, in un ambito dellaricerca che finora ha offerto pochi contributianche nella germanistica tedesca.Contrapponendosi alle tesi che, in modo forseriduttivo, vedono i Beiträge zur Philosophiedes Lebens come ‘ripercussione’ del Werthere della sua ricezione, Alexander Koseninaanalizza il testo giovanile di Moritzevidenziandone il ruolo di mediazione nella“iniziazione del Moritz scrittore” (p. 41) e dicontributo allo sviluppo della Lebens-philosophie nella sua forma moderna, così

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come si esplicherà negli Aphorismen zurLebensweisheit di Schopenhauer e inMenschliches Allzumenschliches diNietzsche. Nella sua ricostruzione l’autoreevidenzia il legame fra la Popular-philosophie e le forme aperte di scrittura(dialogo, lettera fittizia, aforisma o saggio),intese come premesse di un “Selbst-denken”, di un pensiero autonomo. InMoritz questo rapporto si realizza in unprocesso di acquisizione di unaconsapevolezza estetica, che lo porta dallaredazione di alcuni frammenti in formadiaristica risalenti agli anni universitari, allaloro rielaborazione letteraria nei Beiträgee successivamente nell’Anton Reiser,rielaborazione caratterizzata da un distaccopsicologico rispetto agli eventi rappre-sentati letterariamente. Nel tracciare ilcammino parallelo della Lebens-philosophie, della Popularphilosophie edell’indagine antropologica che nasce neglistessi anni proprio grazie all’approcciopsicologico-sperimentale di Moritz,Kosenina rileva il ruolo decisivo di GottlobBenedikt von Schirack – fra l’altro autoredella, all’epoca celeberrima, traduzionedelle Vite parallele di Plutarco – comemodello per Moritz in quello sviluppo sopraaccennato, che porta a legareinscindibilmente la nuova science del’homme empirica e la letteratura (p. 25).Nel contributo dell’allievo di Schingsl’indagine sugli aspetti antropologici dellacultura settecentesca si unisce aconsiderazioni di natura estetica e a unaricerca filologica il cui risultato è unasostanziale revisione del quadro culturaledi questi anni e di uno dei suoi protagonistiprincipali.Un’analisi tutta linguistica sullo stilesingolare di Über den Umgang mitMenschen, l’opera di Knigge appartenenteal filone denominato della Verhaltens-literatur, letteratura di comportamento, èinvece quella condotta da Emilio Bonfatti.Le argomentazioni dello studioso italiano,cui dobbiamo alcuni fra gli sudi di maggiorspessore sul teatro e sul Settecento in

genere, partono dall’idea umanistica cara aKnigge dell’equivalenza fra carteggio scrittoe conversazione, affiancata all’elogioilluministico della stampa in genere “comemediatrice di luce e di messaggi universali”(p. 45). Discutendo gli importanti studi sullaretorica di Gert Ueding e rielaborando i suoiprecedenti lavori sulla civil conversazionein Germania, Bonfatti rintraccia nellacollocazione storica dell’opera di Knigge,al limite estremo oltre il quale i parametriestetici e letterari mutano radicalmente, ilprincipale motivo di interesse di Über denUmgang mit Menschen. L’analisi dellaforma linguistica e dello stile del testo portaa risultati sorprendenti nel momento in cuiBonfatti propone un’affinità di certecaratteristiche della scrittura di Knigge – adesempio la frequente e diversificataallocuzione – con la scrittura aforistica diautori come Nietzsche (p. 49). Pur inseritenella tradizione umanistica, ma consostanziali differenze rispetto ai grandimaestri francesi del Seicento e al modellocontemporaneo di Lichtenberg, vista laradicale “inappetenza” (p. 52) nei confrontidell’aforisma, le considerazioni di naturasaggistica di Knigge si collocano dunque inuna zona intermedia, eccentrica rispetto algenere letterario cui l’opera appartiene.Si è parlato di polifonia di voci; nonsorprenderà dunque trovare in questa sillogeun contributo su un filosofo sistematicocome Schopenhauer. Il presuppostodell’analisi è che, pur rimanendo fedele allasua filosofia sistematica incentrataconcentricamente su un unico pensiero – lanegazione della volontà di vivere –, lascrittura schopenhaueriana si caratterizzaper un complesso e articolato rapporto conla tradizione aforistica. L’analisi formale econtenutistica degli Aphorismen zurLebensweisheit condotta da SebastianNeumeister muove dalla correlazione fra lamoralistica europea e il genere aforistico:se da un lato risulta evidente l’inserimentodel filosofo di Francoforte nella storia dellamoralistica, dall’altro pare complicato, perle ragioni sopra illustrate, trattarlo come

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aforista. Attraverso il confronto conl’Oráculo manual di Gracián, tradotto daSchopenhauer fra il 1828 e il 1832, e di cuiil filosofo rileva la discontinuità aforisticacome caratteristica principale, Neumeistertraccia una linea che lega l’aforisticaschopenhaueriana ai grandi moralisti delSeicento, in particolare a Gracián e aifrancesi La Rochefoucauld e La Bruyère (p.64 s.), distaccandosi, per ammissione delfilosofo stesso, dal trattato di Knigge Überden Umgang mit Menschen. Pur tenendopresente che al centro del sistema diSchopenhauer resta il pensiero elaborato informa di trattazione sistematica e stringentein Die Welt als Wille und Vorstellung, e chenei suoi scritti la frammentarietà è sempreun mezzo di “accomodamento”, mai la viamaestra (p. 61), le raccolte aforistichesull’arte di ottenere ragione e sull’arte diessere felici risentono in maniera direttadella lettura di Gracián. Ma mentre nellaprima l’ampiezza delle riflessioni rivela ilfilosofo abituato all’analisi sistematicapiuttosto che l’aforista, nella seconda,significativamente incompiuta, si ritrova latestimonianza dell’impossibilità di ridurrele massime eudemoniche a un elenco diprecetti: il processo conoscitivo nell’epocamoderna privilegia necessariamente i datiempirici e trova dunque nella formaaforistica uno strumento ideale.Al rapporto fra la scrittura diaristica e la suarielaborazione letteraria nell’operaautobiografica della scrittrice austriacaMarie von Ebner-Eschenbach è dedicato ilsaggio di Paola Maria Filippi. Le scheggeautobiografiche in forma di lettere, diari,aforismi, motti, proverbi, parabole, dunqueuna ininterrotta registrazione delleesperienze di vita, costituirebbero iltentativo di creare “una sorta di serbatoioinesauribile cui attingere materiali” darielaborare per la creazione poetica (p. 74s.). Sulla base della distinzione fra Textsorte(con prevalente funzione di ‘contatto’ versoil destinatario, cui appartengono i curriculapresi in esame nel saggio) e Texttyp (conprevalente funzione estetica), Filippi

analizza la struttura formale e linguistica deidiversi momenti e delle differenti modalitàdi elaborazione dell’opera autobiograficaebneriana, rilevando un costante affinarsidello strumento linguistico che si esercita suuna fabula sostanzialmente immutata.Particolarmente interessante dal punto di vistadel tema cornice del volume, risulta ladiscussione cui l’autrice accenna sul rapportofra le forme letterarie e il coinvolgimento dichi le utilizza: le forme aperte, in quantomeno codificate, permettono all’io autorialedi esporsi fino a disvelarsi completamente.A questa riflessione si aggiunge unaricostruzione delle motivazioni interiori edesterne che hanno portato la Ebner aintraprendere l’attività di scrittrice, conclusacon la presentazione in appendice di unatraduzione di due curricula dal taglioparticolare, nei quali si evidenziano tanto lostile ellittico della scrittura ebneriana quantole motivazioni psicologiche del suo scrivere.La parte novecentesca del volume è introdottada due saggi su Alfred Döblin, “ormairiconosciuto classico del Novecento” (p. 95,finalmente verrebbe da dire!). Si tratta di studisu aspetti poco studiati, ma non per questo diminor valore letterario, della prosadöbliniana. Il primo lavoro, a cura di GabrieleSander, è una ricognizione di alcuni testiautobiografici, con particolare attenzione aErster Rückblick, nei quali Döblin dà vita aquella che Christian Schärf ha giustamentedefinito una “poetica intermediale” per latendenza a sperimentare nuove forme, adaprirsi ad ambiti extraletterari così da crearedei veri e propri Mischwerke. Anche qui,come nel caso della Ebner, chiaramente conesiti e modalità assai diversi, ci troviamo difronte a un continuo interrogarsi sulla propriaidentità d’artista – con l’evidente scopo dilegittimarla. Dunque, sottolinea Sander, una“tribunalizzazione” della propria esistenza,analoga a quella di Kafka, da cui scaturisconotesti in grado di dare risposte necessariamenteprovvisorie (p. 100) e che proprio per questonon possono che assumere una formaframmentaria. La peculiarità della tecnicanarrativa cui Döblin fa ricorso in questi stralci

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autobiografici consiste nell’integrazionedella autoraffigurazione con le esperienzedi un io eteronomo, dissociato, che collocaquesto testo al limite della fictio.È invece sull’asse Lessing-Döblin, giàtrattato da Giulia Cantarutti nella prefazioneall’edizione italiana degli Scritti berlinesida lei editi e in altri suoi saggi, che si muovel’indagine sull’attività di Döblin come“Zeitungsmann”. Il lungo e dettagliatolavoro della curatrice del volume prende lemosse proprio dal capovolgimento, operatoda Döblin in una conferenza radiofonica daltitolo Lessing und Berlin, della visioneideologica o in chiave religiosa del Lessingcritico. L’attività giornalistica dell’illu-minismo, intesa come promozione del benecomune e con il fine principale delmiglioramento dell’uomo, di cui Lessing èil campione, diviene per Döblin un modellocui improntare le sue numerosissimecollaborazioni con i quotidiani dell’epoca.“Kürze des Witzes Würze” suona larielaborazione döbliniana del proverbiotedesco (“In der Kürze liegt die Würze”)attraverso cui l’autore esprime il principiocui si attiene nella sua attività dicommentatore di libri, opere teatrali o fattipolitici. Cantarutti rileva giustamente cometale approccio di radicale contrapposizionea quelli che Döblin chiamava “Tages-kritiker” si collochi in un alveo antico erichiami le definizioni di Witz, intrin-secamente legato alla brevitas, contenutenella Vorschule der Ästhetik di Jean Paul(p. 129). Pertanto non vi è una sostanzialedifferenza per Döblin fra l’attività discrittore e quella di collaboratore allastampa periodica, basata sui principi dellacritica lessinghiana – la vera critica, unacritica militante connotata da brevità e nonseparabilità dalla letteratura. Nell’iden-tificazione fra autentico spirito giornalisticoe passione critica, al drammaturgosettecentesco si aggiungono altri nomi (edè in questo che l’autrice getta semi perricerche a venire) quali Valéry e, soprattutto,Musil, richiamato anche più avanti (p. 136)in un accostamento al collega berlinese –

entrambi avevano diverse collaborazioni aimedesimi organi di stampa – per quantoriguarda la comune avversione ai“Publizisten” (anche questo, sottolinea innota Cantarutti, è un aspetto sfuggito allacritica). Nelle ultime pagine, ricollegandosial primo contributo del volume, Cantaruttievoca il modello di Karl Philipp Moritz perquanto riguarda l’indagine sulle tesau-rizzazioni delle idee dei Lumi verificabilinello scrittore berlinese, in particolare inriferimento ai principi esposti da Moritznello Ideal einer vollkomener Zeitung: inquesto ambito è il legame fra “le cose dellanatura” e le “cose estetiche”, dunque lacapacità di parlare in uno stile popular diargomenti scientifici così come di temiletterari, a costituire il tratto fondamentaledello “Zeitungsmann” che Döblinautobiograficamente delinea in Lessing undBerlin. Una peculiarità necessaria algiornalista che voglia essere davveroall’altezza del mondo contemporaneo chedeve raccontare. Dell’attività di Lessing edegli altri rappresentanti della Aufklärungche sente più vicino a sé, Döblin recepiscee ‘riattiva’ due momenti basilari nei suoilavori giornalistici: da un lato il modello diuna critica militante, dall’altro la capacitàdi ricucire quello strappo fra chi si occupadelle scienze umanistiche e chi pratica lescienze sperimentali creatosi proprio nelXVIII secolo.In una analisi articolata in cinque puntiGiulio Schiavoni inserisce la produzione diWalter Benjamin nell’alveo di quellacomponente saggistica così peculiare dellaModerne. Anche nei testi che appaiono piùcompiuti da un punto di vista formale (isaggi sulle Wahlverwandtschaften e suKafka, persino lo scritto sul dramma baroccotedesco, permeato da problematiche chesembrano relativizzare dall’interno la naturasistematica della propria struttura), secondol’autore si può rintracciare una tendenzaall’aforisma, allo stile ellittico, daconsiderarsi come diretta eredità della“caustica acutezza saggistica di Lichten-berg” o dello stesso Nietzsche (p. 148).

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L’indagine di Schiavoni, evidenziando ladifferenza fra la forma saggistica teorizzatada Adorno, un ibrido fra l’arte mimetica e ilpensiero concettuale nella cui fram-mentarietà si ritrova la disgregazione dellarealtà stessa (Der Essay als Form), e lemolteplici modalità in cui si esprime larinuncia alla compiutezza di Benjamin,rileva il debito di quest’ultimo nei confrontidei Frühromantiker, di Friedrich Schlegele di Novalis in particolare: si tratta dellefonti principali nella ricostruzione delconcetto di riflessione come progressoinfinito basato proprio sul frammento comeforma letteraria ideale, così come Benjaminla elabora nella sua dissertazione Der Begriffder Kunstkritik in der deutschen Romantik.“Intenzione antisistematica e gusto perl’aforisma” (p. 153), “attenzione micro-logica e saggistico-aforistica” (p. 157)vengono altresì messi in luce da Schiavonicome peculiarità formali di altre operesaggistiche degli anni Trenta, anche acarattere autobiografico, nelle quali stavoltala riflessione si incentra, in consonanza conl’interrogativo formulato da Ernst Blochnegli stessi anni, sulla trasmissione delleesperienze storiche all’interno dellatradizione dominante, sulla perditadell’autenticità dell’esperienza. Nell’ultimopunto si accenna al linguaggio messianicoauspicato e prefigurato da Benjamin nel1940, anticipato tuttavia già in scrittigiovanili, capace di mettere in forse inmaniera radicale non solo l’applicazionedelle “offene Formen”, ma la pratica stessadei linguaggi.Il contributo finale a cura di WernerHelmich, incentrato su un’analisi dellemodalità dei ritratti contenuti nei tre volumidell’autobiografia parziale di Elias Canetti,giunge a una tesi molto forte: al centrodell’autobiografia non si trova un io privato,quello dell’autore, bensì l’io di un artista,di uno scrittore formatosi per assimilazionedegli altri. Ciò significa che i ritratti sipossono leggere “come i negativi fotograficidi un unico grande autoritratto sfaccettato ediacronico” (p. 186). Una tesi forte, dicevo,

ma ben documentata, cui l’autore arriva pergradi partendo dal problematico rapporto frarealtà referenziale e realtà finzionale –questione dibattuta, come si è visto, anchenei contributi su Ebner e su Döblin – alla basedel genere autobiografico. Nei ritratti,principalmente di scrittori e artisti, Canettirealizza in sei modalità differenti un processodi letterarizzazione della materia storica. Iprocedimenti utilizzati vanno dalla dram-matizzazione delle figure e delle scene in cuiesse compaiono secondo i dettami del Canettidrammaturgo, all’utilizzo di strumenti retoriciquali il Leitmotiv e la riduzione persineddoche o di formule sentenziose perrivelare l’essenza dell’artista presentato. Iprocedimenti di tipizzazione e di astrazioneinoltre, attuati attraverso la scelta di pochitratti caratteristici, producono l’effettoparadossale di far risaltare la ricchezza dellarealtà narrata piuttosto che impoverirla, acondizione, precisa Helmich, di considerarei tipi come elementi di un gioco letterariobasato appunto su un processo di riduzioneda cui i vari ritratti scaturiscono (se anchequesto sia un retaggio della attività didrammaturgo di Canetti, come si potrebbearguire, l’autore non lo specifica). Anche nelcaso di Canetti allora, l’alternarsi fra i modipropri al mondo della finzione romanzesca equelli di un esercizio puramente referenziale,in sostanza il gioco su cui si basa questoparticolare tipo di autobiografia, serve inprimis a problematizzare la propria attivitàdi scrittore, o meglio la propria identità diartista, in secondo luogo a svelare e metterein piena luce, attraverso le diverse forme direalizzazione dei ritratti, la propriaindividualità. Il volume, in ogni suo contributo e in perfettaaderenza al tema trattato, ha il merito di porreuna serie di questioni alla ricerca, una lista didomande aperte scaturite da un’indaginemultiprospettica, multiforme e sempresinteticamente pregnante nei suoi sviluppi.Sia dal punto di vista metodologico, sia neicontenuti pur così diversificati, ci è parso dirintracciare alcuni nodi comuni alle singoletrattazioni, molti dei quali sapranno suggerire

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ulteriori percorsi di indagine al “lettore nonfrettoloso” (p. 12).

Luca Zenobi

Martin Jürgens, Seine Kunst zu zögern. ElfVersuche zu Robert Walser, Münster inWestfalen, Oktober Verlag, 2006, pp. 160,€ 14,00

Valerie Heffernan, Provocation from thePeriphery. Robert Walser Re-examined,Würzburg, Königshausen & Neumann,2007, pp. 195, € 29.80 / Sfr 52,20.

Da circa un decennio si assiste nella Walser-Forschung – anche grazie alla pubblica-zione dei sei volumi di ‘microgrammi’(Robert Walser, Aus dem Bleistiftgebiet, Bd.1-4 entziffert u. hg. v. Bernhard Echte undWerner Morlang; B.de 5-6 hg. v. B. Echte,Entzifferung in Zusammenarbeit mit W.Morlang, Frankfurt a. Main, Suhrkamp,1985-2000) – ad un proliferare di lavoriscientifici di livello sensibilmente diseguale.Talora si tratta, come nel caso di uno deivolumi in questione, di raccolte checontengono articoli già usciti e che vengonoriproposti presumibilmente per rendere isuddetti contributi, spesso pubblicati inriviste, più facilmente accessibili. Tuttavia,per quanto concerne il libro di Jürgens, lascelta dei tipi (Oktober Verlag) dà dapensare in merito alla fruibilità del prodotto,trattandosi di editore dalla distribuzionedecisamente limitata.Agli studiosi walseriani Martin Jürgens ènoto come decifratore, insieme a JochenGreven, del ‘Räuber’-Roman – poisottoposto a nuova e più attenta decifrazionenegli anni ’80 ad opera di Bernhard Echte eWerner Morlang – , come autore di unaeccellente dissertazione (Robert Walser. DieKrise der Darstellbarkeit. Untersuchungenzur Prosa, Kronberg/Ts., Scriptor, 1973)nonché di ulteriori articoli sullo svizzero.Poiché degli undici Versuche del libro solodue risultano inediti, si desume che il

volumetto nasce dal desiderio dell’autore dioffrire al pubblico la summa dei suoi studiwalseriani e di mostrare al tempo stesso ilcarattere epocale dei vari contributi, cherispecchiano, come egli sottolinea nelVorwort, fasi e tendenze dello sviluppo dellagermanistica dagli anni ’70 ad oggi.Nell’introduzione al libro, il cui titoloparticolarmente appropriato alla poetica del-l’artista elvetico è indizio dell’Einfühlungs-vermögen dell’autore nei confronti delloscrittore di Biel, Jürgens non rifugge dariferimenti autobiografici, ad es. là doveillustra come decise di occuparsi nellaDoktorarbeit di Walser anziché di un autoreagli antipodi rispetto allo svizzero, ossiaAlfred Döblin. Indubbiamente, la Walser-Forschung degli anni ’70 molto deve aJürgens, i cui meriti del resto sono statiampiamente riconosciuti. Rimandiautobiografici costellano qua e là variarticoli, sebbene non sempre appaianoopportuni al fine di chiarire efficacementeciò che l’autore intende dire. Tali riferimentirichiamano per certi aspetti il recente librodi Jochen Greven Robert Walser - EinAußenseiter wird zum Klassiker. Abenteuereiner Wiederentdeckung (Lengwil amBodensee, Libelle, 2003), laddove però nelsuddetto volume la componente strettamenteautobiografica ha sempre una funzionedavvero centrale nel far comprendere allettore le difficoltà dell’approccio agli scrittidi Walser. Nel sintetico resoconto-bilanciodel Vorwort risultano qua e là irritanti alcuneosservazioni in cui l’autore tende apresentare come innovative talune sueintuizioni che sono ormai un dato acquisitodalla critica (ad. es.: “Der suggestive SatzWalter Benjamins […], den ich in Verdachthabe, mitverantwortlich dafür zu sein, dasses anfing, […]”, p. 8 ), oppure ad affidarel’essenza del proprio pensiero alla – pesanteed inelegante – mediatezza espressiva (ades.: “Einiges allerdings scheint mir im Laufeder achtziger Jahre klarer geworden zu sein;der in den geisteswissenschaftlichenSektoren des akademischen Betriebsfavorisierte Durchschnittstypus erschien mir

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immer mehr als ein artikulatiosschwacheshumanoides Amalgam aus Anmaßung undBorniertheit”, pp. 10-11).Meritevole di lettura risulta essere tuttora ilcontributo – all’epoca davvero bahn-brechend – Die späte Prosa Robert Walsers– ein Krankheitssymptom?, che costituisceil capitolo finale della dissertazione diJürgens e che era stato successivamenteristampato – a ragione – nel Text und Kritiksu Walser del 1978. Mettendo in discussionegli strumenti metodologici e gli esiti didiversi studi che interpretavano la prosatarda dello svizzero come mero sintomo dipatologia psichica, Jürgens propone, sullabase peraltro della documentazione medicaallora accessibile, “die Diagnose derKrankheit ‘Schizophrenie’ und die aus ihrresultierenden Maßnahmen in ihrerLegitimation anzuzweifeln. Die Frageerscheint erlaubt, ob die InternierungWalsers in der Nervenheilanstalt nicht eherals Reaktion auf Symptome seines sozialabweichenden Verhaltens verstandenwerden muß” (p. 47), aprendo così la stradaad una serie di indagini che avrebberoproficuamente seguito tale preziosaindicazione. Nell’articolo Die Erfahrungder Heteronomie in der späten Prosa RobertWalsers l’autore sviluppa ulteriormente taleargomentazione affermando che “[n]ur inder Verweigerung des leichten Zugangskann die in den späten Texten RobertWalsers behauptete künstlerischeSubjektivität ihre Rolle als gesellschaft-licher Außenseiter annährungsweise positivbestimmen” (p. 58). Di notevole interesseanche l’articolo inedito Ein Lebenslauf alsanhaltendes Dementi incentrato sull’analisidella prosa Fritz, in cui Jürgens rileva unpeculiare spostamento dell’attenzionedell’io poetico dall’oggetto dellarappresentazione – la ‘storia’ – al modorappresentativo stesso, che finisce per esseremesso in discussione. Stimolante anche ilsaggio sul ‘Räuber’-Roman, di cui vengonoevidenziate peculiarità (come ad es. la“glänzende Unzuverlässigkeit”, p. 77, delnarratore) che saranno indagate nella critica

successiva, nonché il contributo Fern jederGattung, nah bei Thun, riguardante ladifficoltà di caratterizzare gli scritti walserianiin termini di generi letterari, sebbene laseconda parte dell’articolo si soffermieccessivamente su questioni teorichepiuttosto che approfondire l’accattivanteproblematica delineata nelle prime pagine.Decisamente meno riusciti invece gli articolipiù recenti, nei quali alla passione e allacoerenza argomentativa dei primi contributisubentra una certa stanchezza epistemologicanell’approccio allo svizzero. Ci si chiede, ades., perché Jürgens faccia precedere latrattazione del problema dell’identità dapagine di riflessioni davvero generiche,addirittura banali, sul timore della perditad’identità nel nostro tempo (“So läßt sich vonjenen, die von sich mit einem ‘mia san mia’überzeugt sind, in Abgrenzungsabsichtverordnen, dass ‘doof doof bleibt’, währendselbstverständlich ‘Persil Persil’ bleibt, und‘Berlin bleibt doch Berlin’ und Vater bleibtund Mutter bleibt für uns, was er/sie seit jegewesen ist (also der/die Beste): All dies sindsprachliche Gesten eines auftrumpfendenSelbstbewusstseins, [..]”, p. 131), perchénell’articolo Anhaltende Zopfzeit. Über meineGroßmutter, einen Text Robert Walsers undLenin tiri in ballo Rambo e computerterminal, perché imiti la dizione benjaminiana(“Walsers Sprache kommt aus der Kältemoderner gesellschaftlicher Erfahrung”, p.91). Difficile sottrarsi alla sensazione che iriferimenti all’alienazione dell’individuonella società tecnologica fungano talora comeda ‘collante’ per tenere insieme l’argomen-tazione spesso frammentaria nonché peraffermare l’attualità dell’autore di Biel. Nél’ultimo articolo della raccolta, l’inedito Alsob, als wär’ – zu einigen Paradiesbildern beiWalser und Kleist, aggiunge elementiessenzialmente nuovi a quanto già notosull’autore tedesco e sullo svizzero, come delresto il pubblico presente allaJahresversammlung walseriana di Thun(2005), nel corso della quale Jürgens proposeil presente contributo, aveva avuto modo diconstatare.

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Suscitano poi perplessità alcune incoerenzee imprecisioni nell’apparato delle note enella grafica nonché talune peculiaritàdeontologiche dello studioso Jürgens cheemergono da un paio di articoli. Non saràvano chiedersi, ad esempio, come mai egliabbia accettato di far pubblicare la propriarelazione – trattasi dell’articolo ‘…daß manihn von nun an kenne und grüße’. Zu RobertWalsers Räuber-Roman – negli Atti delconvegno romano su Walser del 1985(‘Immer dicht vor dem Sturze... ’. Zum WerkRobert Walsers, hg. v. Paolo Chiarini u.Hans Dieter Zimmermann, Frankfurt a.Main, Athenäum, 1987) se ritiene “inmancher Beziehung bedenklich” (p. 65) lasuddetta iniziativa alla quale egli stessopartecipò. (Peraltro da notare a margine chel’espressione appena citata è tratta da unafrase in cui compare un errore d’inter-punzione, ossia l’omissione dalla virgoladopo l’aggettivo di nazionalità traparentesi).Leggendo una raccolta di saggi dello stessoautore ci si aspetta omogeneità in merito allecitazioni e in particolare all’edizione criticautilizzata, laddove invece Jürgens citatalvolta dal Gesamtwerk del 1978, talvoltadai Sämtliche Werke del 1986. Si è inoltrenegativamente sorpresi nel notare chenell’indice undici delle tredici indicazionidi pagina risultano errate – responsabilitàcerto del lettore della casa editrice oltre chedell’autore. Il lavoro di revisione deicontributi già in precedenza pubblicati deveesser davvero stato eseguito con super-ficialità se nella nota 14 del primo articolo(Robert Walser) si legge, in merito ad unparallelismo tra lo svizzero e Kafka, “vgl.in diesem Band den Aufsatz von HeinzHillmann über Franz Kafka, S. 285 ff.[corsivo A. F.]”, p. 36). L’indicazionebibliografica si riferisce palesemente alvolume curato da Benno von WieseDeutsche Dichter der Moderne (Berlin,Erich Schmidt Verlag 1975, 3., überarb. u.vermehrte Aufl. ), in cui originariamentel’articolo in questione di Jürgens era statopubblicato. Alla luce di queste e di altre

sviste che potrebbe sembrare meraHaarspalterei menzionare, risultaimbarazzante il ringraziamento che alla finedel Vorwort l’autore rivolge all’editore “fürkompetente und zügige Arbeit!” (p. 13).In conclusione, sebbene alcuni contributimeritino, come sopra evidenziato, di essereletti o riletti, si ha la sensazione che lapubblicazione del volume derivi in primoluogo da un’esigenza autocelebrativa daparte dell’autore.

La monografia di Valerie Heffernancostituisce la seconda dissertazione suWalser – dopo quella di George Avery dellontano 1959 e uscita poi nel 1968 Inquiryand Testament. A Study of the Novels andShort Prose of Robert Walser (Philadelphia,University of Pennsylvania Press) –pubblicata nell’àmbito anglofono, datodifficilmente spiegabile se si pensa all’ironiae al senso dell’umorismo di una buona partedei testi walseriani, che si direbbe possanoessere particolarmente congeniali al lettorenonché allo studioso britannico.Il volume allude nel titolo al concetto dimarginalità particolarmente proficuo perl’autore elvetico e che caratterizza infattianche il libro che ha provocato una svoltanella Walser-Forschung, ossia Tanz auf denRändern. Robert Walsers ‚Jetztzeitstil‘(Frankfurt a. Main, Suhrkamp, 1998) diPeter Utz. La posizione marginale dellosvizzero rispetto al Literaturbetrieb vieneanalizzata dalla Heffernan da unaprospettiva del tutto nuova per Walser, ossiaquella dei postcolonial studies, che largoconsenso hanno trovato negli ultimi decennisoprattutto – ma non in maniera esclusiva –nella critica anglofona, nonché dall’angola-zione degli studi femministi.Al primo impatto senza dubbio apparesingolare che vengano applicate le teorie allabase degli studi post-coloniali ad un autoreelvetico, dato che la Confederazione è tratutti i paesi europei probabilmente quello piùdi ogni altro estraneo – per ragioni storico-politiche – a problematiche relative allacolonizzazione. Tuttavia, come in più d’un

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luogo specificato dall’autrice in sede teorica,gli studi post-coloniali si dimostrano dinotevole utilità anche là dove applicati adambiti culturali lontani da tematiche‘coloniali’ nel senso proprio del termine(conferma ne è il fatto, si può aggiungere,che vengono da tempo usati anche nelsettore della letteratura interculturale);partendo dall’assunto – condivisibilissimo– che “Robert Walser is a prime example ofa writer whose work plays with and playson authority” (p. 13), Heffernan applica allosvizzero la nota teoria dell’indiano Homi K.Bhabha (The Location of Culture, London& New York, Routledge, 1994), sostituendoalla cultura ‘dominante’ della situazionecoloniale la ‘normatività’ e l’‘autorità’ delcontesto letterario in cui Walser si trova adoperare: “Homi Bhabha’s ideas on thesubversive potential of colonial mimicrywill be of fundamental importance to thisexamination of Walser’s writing in terms ofhis marginality. Walser occupies a similarlyambivalent position with regard to thenormativity of literary discourse. He isrelegated to a marginal position, but fromthis borderline area, can conform to thenorms of literary discourse and at the sametime affirm his difference from it” (p. 25).Tecniche come mimetismo, imitazione eparodia vengono intese come strategie chepongono in essere attraverso l’ibriditàtestuale una sfida alla purezza del ‘modello’vigente e che assumono dunque una valenzasovversiva. Da tale prospettiva vengonocommentate dalla Heffernan le riscritturedelle fiabe grimmiane e del mito Tell nonchéla trasformazione del testo da scrittopressoché privato, ovvero microgram-matico, in Feuilleton, ossia in opera atta adinserirsi – seppure obliquamente – nelLiteraturbetrieb. Come è noto infatti, Walsertendeva a modificare, a rendere più stringatii testi microgrammatici nel momento in cuili trascriveva ins Reine per proporli a rivisteo case editrici.Nel primo capitolo Replaying the Pre-textsl’autrice analizzando la trasformazione diEin Unsterblicher da scritto del

Bleistiftgebiet in Feuilleton mostra cheWalser “quite deliberately modifies his textin the process of revision so that itcorresponds to the implicit norms of thegenre” (p. 58), dando però al tempo stessochiaramente a vedere la sua non adesione allasuddetta ‘norma’. L’atteggiamento dellosvizzero nei confronti del genere delFeuilleton “can be compared with thepeculiar situation of Homi Bhabha’s mimicman who, in conforming to the authority ofthe foreign power, inevitably draws attentionto his own difference from that authority” (p.62). In riferimento specifico alla problematicadel genere letterario, il concetto di mimetismodi Bhabha permette di evidenziare in Walser“the situation of an artist who attempts tomove within a cultural institution that is atodds with his own way of writing” (64). Si èdunque lontanissimi dalla Ratlosigkeit deiprimi recensori – e che tuttora emerge inqualche studio – in merito alla non adesionedi Walser alla ‘norma’, atteggiamentointerpretato negativamente come incapacitàdi adeguarsi al dato e di inserirsi nellatradizione ‘canonica’.Sulla trasformazione del testo micro-grammatico in opera per la stampa l’autricetorna con esiti notevolissimi nel capitolofinale intitolato The Language of Hybridity,davvero esemplare per chiarezza ed analiticitànonché per l’equilibrio tra momento teoricoed interpretativo. A partire da un’osser-vazione di Walser che in una missiva aRychner scrive, a proposito di una lettera “zupikant” diretta a “ein Mitglied derGesellschaft”, che il testo deve essere“verschleiert, verallgemeinert, vermännlicht,d. h. ganz einfach zu einer kulturellenAngelegenheit umgestempelt ” (p. 141), laHeffernan prova ad interpretare ipote-ticamente – sulla base delle teorie di LuceIrigary e Judith Butler – il processo ditrasformazione del microgramma in testo perla stampa come ‘masculinization’. Ciò chenella Irigary è l’autorità maschile è equiparatoin Walser all’autorità del contesto culturale,ovvero ai modelli letterari in voga. Analiz-zando il testo microgrammatico Spät bis alle

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Nacht herumziehende Jünglinge l’autriceevidenzia che la scrittura walserianacontiene “a feminine voice” (p. 160) postain essere in particolare dall’uso, a vari livelli,della metonimia (tratto per Elisabeth Groszdella scrittura femminile, mentre quellamaschile predilige la metafora) nonché dallatendenza del narratore a rifiutare diraccontare i fatti collocandosi in modoautoritario (atteggiamento maschile) al disopra di essi e piuttosto a calarsi nellinguaggio stesso, inducendo il lettore asoffermarsi sulla forma (componentefemminile) invece che sul contenuto.Indagando in uno schematico ed efficaceclose reading le due versioni diDienstmädchen und Dichter la Heffernanindividua modifiche che riguardanol’ampiezza dello scritto (drasticamenteridotto), la limitazione delle interruzioniautoriali nonché interventi volti alcontenuto, ovvero a ridimensionare lacomponente sadomasochistica dell’origi-nale, lasciando tuttavia che essa nonscompaia del tutto nella stesura definitiva.Walser con l’espressione ”Ewigweibliches”allude qui all’immagine femminile digoethiana memoria proponendo tuttavia intale testo una figura – Erika – che con i suoitratti di aggressività e sadomasochismo nonpuò certo considerarsi modello difemminilità. La teoria di Irigary, affermal’autrice, risulta utile per comprendere lestrategie linguistiche di Walser, ma ladistinzione tra maschile e femminile “doesnot necessarily hold true for Walser’s texts”(p. 172) in quanto la ‘voce’ che cerca didecostruire l’autorità insita nel linguaggionon può univocamente essere consideratamaschile o femminile. La parola chiavedella scrittura dello svizzero è dunqueibridità.Degno di nota il capitolo dal titoloaccattivante The Battle of the Sexes in cuil’autrice, combinando la prospettivafemminista con quella post-coloniale,illustra in maniera convincente il modo incui Walser destruttura topoi e clichés. Confreschezza, vivacità ed acume la Heffernan

esercita i suoi strumenti critici su testi poconoti o sinora non adeguatamene presi inconsiderazione, come ad es. nel caso deldialogo Der Chinese. Die Chinesin.L’adesione ai ruoli tradizionali dell’uomo edella donna, sin nel titolo, è solo apparente;il testo palesa ad un’attenta analisi “a subtleundercurrent which runs counter to thattheme” (p. 132), ovvero un atteggiamentotutt’altro che sottomesso da parte delladonna che, accusata di adulterio, è volta finoall’ultimo a far valere “the pleasures of theflesh” e “the dictates of the heart than thoseof society” (p. 131), nonché da partedell’uomo sensibili “elements of voyeuristiccruelty and sexual transgression” (p. 132).Non si può fare a meno di notare che fino anon molti anni fa parlare di erotismo,sessualità e sadomasochismo in riferimentoagli scritti di Walser sarebbe sembrato fuoriluogo. Affrontare tematiche centrali per losvizzero e sinora solo raramente trattate inmaniera soddisfacente è tra i maggiori meritidella monografia, che realizza anche unaltro desideratum della Walser-Forschung,ovvero quello di operare Fassungs-vergleiche che permettono al lettore dientrare nel laboratorio compositivo dellosvizzero (deplorevole ad es. che manchinoancora confronti tra le prime stesure e i testidefinitivi di una delle raccolte più suggestivedi Walser: Seeland).Il pregio del volume risiede nell’originalitàdella prospettiva teorica adottata nonchénegli esiti dei close readings piuttosto chenell’accuratezza dei rimandi bibliografici.Se dal punto di vista teorico-metodologicoil lavoro poggia su di un solido ad ampiosupporto di conoscenze, la letteratura criticasu Walser tende infatti all’essenzialità;sorprende, in particolare, che non compaianella bibliografia proprio la primadissertazione walseriana del mondoanglofono – la già citata monografiaamericana di George Avery –, inserendosiil lavoro della Heffernan appunto all’internodella germanistica di lingua inglese. Anchein riferimento alle riscritture walseriane deiMärchen dei Grimm la critica utilizzata è

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esile (e qua e là travisata nei suoi intenti, ades. né Urs Herzog né Andreas Hübneradottano nei loro contributi “a feministperspective”, p. 39), laddove sarebbe statoopportuno allargare lo sguardo su lavori (ades. Christian Angerer, Sabine Eickenrodt)che avrebbero fornito all’autrice glistrumenti per approfondire le sue sintetichee non sempre originali osservazionisull’approccio di Walser al Märchen. Anchenei paragrafi, interessanti nella lorostringatezza, sulle micro-riscritture del mitoTell si avverte la mancanza di più ampiriferimenti critici. Inoltre, soffermandosi laHeffernan in maniera particolare suimicrogrammi, sarebbe stato il caso diutilizzare alcune recenti monografie (ad. es.Kerstin von Schwerin, Stephan Kammer)che hanno esaminato proficuamente variaspetti della produzione microgrammatica.Non mancano alcune sviste ed imprecisioninella bibliografia, in cui peraltro più volteKatharina Kerr compare come curatrice di“2 vols” su Walser, mentre i canonicivolumi della raccolta di saggi curati dallaKerr sono tre.Tali imperfezioni in ogni caso nulla o quasitolgono all’apporto critico spiccatamenteinnovativo del volume che, inaugurando unapproccio ai testi walseriani che va oltre leteorie e gli schemi sinora proposti per losvizzero, è destinato a lasciare il segno nellaWalser-Forschung.

Anna Fattori

Elena Agazzi, La grammatica del silenziodi W. G. Sebald, Roma, Artemide, 2007, pp.156, € 20

Elena Agazzi raccoglie in questo volumeotto saggi, due dei quali inediti, nei quali siconfronta con il mondo letterario di W. G.Sebald. In realtà solo tre sono dedicaticompletamente all’opera dello scrittore;negli altri egli compare come una sorta dipietra di paragone, capace di fornire unacontroparte positiva alle costellazioni di

volta in volta esposte, in special modo perquello che riguarda le problematiche dellamemoria e del rapporto con la Storia nellaletteratura contemporanea.Dei vari saggi si dirà diffusamente più avanti;ma è forse nell’Introduzione il momento piùinteressante del pur denso volume, laddovesi focalizza la necessità di superare latentazione filologica di fermarsi a“ricomporre i tasselli della […] bibliotecaprivata dello scrittore”, come hanno fattomolti commentatori, per approdare ad unamigliore comprensione del suo “sforzo ditrovare un principio poetico di riferimento[…], utile non solo a ‘organizzare’ il processocreativo, ma anche a favorire una strategianarrativa atta a coniugare l’erudizione con lafiction” (pp. 7 e s.). Questo principio poeticoè avvicinabile alla “sincronizzazionecosmica” di cui parla Vladimir Nabokov –scrittore molto caro a Sebald – nella suaautobiografia Speak memory (1951,1967), eche permette al soggetto di percepiresimultaneamente una varietà di fenomeni,ricordi e sensazioni, che si correlanoimprovvisamente fra loro in un precisomomento. L’operazione compiuta da Sebaldè invece quella di concentrare nei suoipersonaggi le caratteristiche di altri omologhiletterari; la figura di Paul Bereyter, uno deiquattro Emigrati, raccoglie in sé elementitratti da personaggi di Jean Paul, Johann PeterHebel e dello stesso Nabokov. “Lamoltiplicazione delle personalità in una sola”,scrive Agazzi, “conduce inevitabilmente allosfondamento delle coordinate spazio-temporali riferite alla vicenda […] esuggerisce a ciascun lettore di affidarsi alleproprie reminiscenze culturali, andando allaricerca di ulteriori cloni letterari” (p. 9). Lariflessione su questo stratagemma introduceal problema della figura del narratore inSebald, apparentemente personale,espressione diretta dell’autore, ma in realtà“non solo impersonale, ma addirittura meta-personale – quasi un sunto della condizionedella prosa europea alla fine del XX secolo”(p. 9, citando Martin Swales). Agazzi siaggancia qui alle riflessioni fatte da Giorgio

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Agamben in Quel che resta di Auschwitz(1998), per riflettere sul ruolo del‘testimone’ e collegarlo alla presenza/assenza di Sebald nelle opere narrative. Lariflessione circa l’impossibilità di esprimereil vissuto del dolore – tanto per le vittimedello sterminio che per i sopravvissuti –conduce Agamben alla ricerca di un nuovoparadigma del linguaggio. Ciò che piùinteressa Agazzi in questa ricerca è il diversoruolo che viene ad assumere il soggetto,sciolto da ogni implicazione sostanziale edivenuto “pura funzione o pura posizione”(p. 10, citando Agamben), rinchiusa nelloscarto fra la possibilità del dire e del nondire, nella cesura fra il poter essere e il nonessere. Sebald ha colto il “senso piùprofondo di questa ‘grammatica delsilenzio’, che implica la sparizionedell’autore come diretto protocollante, neha fornito un’interpretazione originale,alternando il mormorio senza volto dellacollettività a una presenza personale neltesto in qualità di auctor, di garante cioè,per coloro i quali non avrebbero mai potutofar sentire altrimenti la loro voce: gliemigrati, le vittime di tutti i tempi, i soggettiafflitti da disagio mentale e persino iprotagonisti di una storia letteraria altrimentidestinata all’oblio” (p. 10). Mi pare stiaproprio qui il dato più interessante delvolume di Elena Agazzi: nella chiarezza concui pone il problema di quello spaziointerstiziale che esiste fra parola ascoltata eparola narrata, e fra detto e non detto –problema a cui l’autrice già accennava nelbel saggio Il collezionista di ricordi. La lottacontro l’oblio di W. G. Sebald, contenuto inLa memoria ritrovata (2003) e che riprendeanche nel primo degli otto saggi del volumequi in esame, dal titolo Letteratura ememoria: raccontare la storia inletteratura. Qui l’autrice individua delleanalogie fra il metodo del Sebald scrittoree del Sebald critico, che “rifiuta ogniincontro empatico con la materia letteraria,perché il testo, di cui è contemporaneamenteautore, abbia la possibilità di inscriversi inuna zona di scarto rispetto alla tradizione e

segni così lo spazio della differenza” (p. 31).Questo scarto è costituito dalle citazioniletterarie dissimulate nel tessuto dellebiografie ricostruite, dall’inserimento diimmagini che commentano il testo, dallaforma aperta da lui prediletta e anche “dalnon-detto dell’autore” (ivi), che riflette lasua silenziosa ma partecipe interiorità.Anche lo schema associativo, e non logico-causale, con cui Sebald combina i disparatimateriali che gli capitano fra le maniconserva evidentemente uno spazio di non-detto, dentro al quale possono sorgere nuovisignificati e si può udire la voce di chi nonha mai potuto parlare.Nel saggio si parla in realtà solo brevementedello scrittore, all’interno di un ampiodiscorso che parte dall’idea del testoletterario come medium della memoriaculturale. L’autrice riflette sul rapporto tramemoria collettiva e ricordo individuale,ponendo il quesito circa la relazione fra laerzählte Geschichte e la rekonstruierte,ovvero la erinnerte Geschichte nel romanzotedesco contemporaneo, con particolareattenzione al romanzo storico riguardante laseconda guerra mondiale. Agazzi analizzala ricezione del romanzo Der Vorleser(1995) di Bernahrd Schlink, accusato daalcuni critici di eccessive semplificazioni edi mancanza di senso storico. Fra le voci adifesa del libro vi è stata quella di TanjaDückers, nata nel 1968, la cui articolatareazione inquadra in qualche modo ilcompito della III generazione di tedeschi,che si profila come lo sforzo di documentarsisul passato e di confrontarsi con esso senzal’autocommiserazione o l’incontenibilerabbia che ha segnato i romanzi degli anniSettanta. Elena Agazzi individua una certa“afasia politica” della generazione deitrentenni e quarantenni, che però noncoincide con il “silenzio della vergogna”della generazione dei padri che gestirono illoro senso di colpa celando ai figli gliavvenimenti, né con il vuoto esistenzialedella II generazione, gestito con la ribellionenei confronti dei genitori e con il loroassassinio morale nei romanzi di autori

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come Peter Henisch o Berward Vesper. Perla III generazione “l’atto del ricordo sitrasforma in un dovere” (p. 28) e attraversola strategia narrativa, nonché ilposizionamento dell’Io narrante neiconfronti della storia, si esplica un precisocompito; “tuttavia sono ancora le strategiedel silenzio suggerite dal pensieropostmodernista a risultare convincenti ecostruttive, perché non violano il pattostipulato con la memoria collettiva dei figlidelle vittime” (ivi). Agazzi riporta in questosenso il caso significativo del romanzoFlughunde (1995) di Marcel Beyer, comeesperimento andato a buon fine. Ma soloSebald è riuscito davvero a trovare uncompromesso accettabile tra la prospettivaquasi ‘feticista’ del ‘collezionista’ di storiedolorose – ruolo che Sebald rende non‘sospetto’ con il suo ritirarsi sullo sfondo,senza giudicare – e un contesto esteticoquasi idilliaco, rompendo forse per primogli schemi e i modelli utilizzati per ildiscorso sul passato nazionalsocialista, inlibri come Die Ausgewanderten (1992).Il secondo saggio ha per titolo‘Dislocamento’ e ‘incontro con l’altro’ nellaletteratura austriaca e tedesca contem-poranee e tratta invece più estesamente diSebald. I due concetti del titolo trovano unpunto d’incontro nell’opera dello scrittore,da sempre alla ricerca di ‘costellazioni’ dicammini ‘destinati ad incontrarsi’ (p. 35).Agazzi insiste, a ragione, sull’atteggiamentodell’ascolto, che configura la prosa di Sebaldcome una sorta di colloquio con le persone,gli eventi e le storie “con la ‘s’ minuscola”che mantengono un potere fortementeevocativo. Questa tecnica dell’ascoltoassume in Sebald un valore non soloermeneutico, ma anche antropologico. LoHörensagen, il raccontare ciò che si è sentitodire, è la “pratica-guida” dei testi in prosadi Sebald. Viene elencata una serie di motiviper l’utilizzo di questa tecnica, che bendescrivono il metodo dello scrittore: dal suorifiuto di utilizzare la propria voce e quindiun registro autoriale-autoritario che sisovrapponga alla voce delle vittime della

storia ad un atto di recupero di vite chealtrimenti sarebbero state per sempredimenticate, dal mettersi in dialogo con imorti, esorcizzando il timore di esserecondannati alla colpa dei ‘salvati’, fino altentativo di acuire tutte le percezionisensoriali, in particolare la vista, che siconcretizza come medium di ricostruzione deiluoghi e dei volti nascosti e ignorati (tutti temiripresi anche nel penultimo saggio delvolume, Riti antichi e persistenza del passato.Il percorso interrotto nell’opera-testamento“Campo santo”). Uno dei risultati dellosforzo di Sebald per recuperare la memoriaperduta è il ciclo di lezioni tenute a Zurigonel 1997, note come Luftkrieg und Literatur,nelle quali lo scrittore accusa gli autoritedeschi di aver taciuto sulle conseguenzepsicologiche dei bombardamenti degli Alleatisulle città tedesche, alimentando nellapopolazione un risentimento indefinibile neiconfronti del mondo esterno e ritardando unariflessione critica sul nazismo. Riflessioneche Agazzi analizza anche in Peter Handke(Wünschloses Unglück, 1972) e Günter Grass(Im Krebsgang, 2002), e in parte nell’ultimodei saggi del volume, Sull’altra sponda delfiume. Il realismo magico nei romanzitedeschi del secondo dopoguerra, dovevengono analizzate alcune opere discusse inGermania nell’ultimo decennio, in seguito alpolverone mediatico provocato proprio daLuftkrieg und Literatur.All’interno del saggio ‘Dislocamento’ e‘incontro con l’altro’ vi sono alcune interes-santi riflessioni sul ruolo della fotografia nelmondo di Sebald, riprese e ampliate in duedegli altri studi del volume, Spazi privilegiatid’incontro tra immagine e parola. Il rapportotra letteratura e fotografia in alcuniesperimenti della narrativa contemporaneae Immagini d’Italia e d’Oltralpe in“Vertigini” di W. G. Sebald. Se in Luftkriegund Literatur le fotografie servono a“ricollocare la memoria del passato nei luoghipreposti alla riflessione sul lutto storico dellaGermania” (p. 38), nella narrativa esse hannouna funzione di dislocamento, suscitando uno“stato di confusa emotività” (ivi) nel lettore,

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che è portato a supporre che esse sigiustifichino reciprocamente. In realtà lefotografie hanno una funzione comune:provocare il senso dello Unheimlich nellettore, nella loro instabile valenza ditestimonianze dirette e “inoppugnabili” (cfr.p. 53). Al lettore non è permesso operarealcuna verifica su questi ‘reperti’, che sonosoltanto “indizi che ci consentono dipenetrare tra le maglie del ricordoindividuale e collettivo, procurandocil’illusione di un approdo alle esperienzenarrate nel testo” (p. 61). Spazi privilegiatid’incontro contiene anche diverse paginededicate a Roland Barthes, che ha riflettutosulla fotografia nel suo saggio La chambreclaire (1980), oltre che ad alcune opere dellasvedese Eva-Marie Liffner (Camera, 2001)e della tedesca-australiana Rachel Seiffert(The dark room, 2001).Partendo dalla constatazione che uno deimotti degli Emigrati (“Ci sono macchie dinebbia che nessun occhio dissolve”) èricavato dalla Vorschule der Ästhetik di JeanPaul, Agazzi mette in relazione l’opera deidue scrittori nello stimolante saggio Lapoetica di Jean Paul all’epoca di “Dasälteste Systemprogramm des deutschenIdealismus” e i suoi rapporti con la scritturadi Sebald. I due autori registrano la diversatragicità del loro tempo per mezzo distrategie narrative per molti versi analoghe.Solo “la Andacht e la ricostruzione pazientee colma di pietà delle vite dei ‘sommersi’possono aiutare la poesia a compensare laperdita del rapporto con la dimensionemetafisica, riducendo l’orrore nichilistico”(p. 91, anche se va forse ancora sottolineatocome questo orrore sia potenziato nellacontemporaneità: non solo la dimensionemetafisica, anche quella fisica – cioè storica– è tragica; diversamente dal protagonistadella Rede des toten Christus, i personaggidi Sebald, e noi con loro, non hanno alcunanatura in cui rifugiarsi, perché essa è statadistrutta, e non c’è idillio come quello diWutz nel quale la storia non arrivi con lesue violenze).Un ultimo saggio è dedicato al Sebald

germanista e alle sue riflessioni sul realismotedesco ottocentesco, che segnano “uno deipercorsi sotterranei dell’autore verso lacostruzione del concetto di storia naturaledella distruzione” (p. 95): Hebel, Keller egli altri. Heimliches, Unheimliches,Abnormes in “Logis in einem Landhaus”(1998) di W. G. Sebald, nel quale sievidenzia la decisa continuità fra scritturasaggistica e narrativa. Fra gli aspetti piùinteressanti va rilevato come Agazziconcentri l’attenzione sul caratterevisionario – ma di “Hellseher im Kleinen”– degli artisti a cui si dedica Sebald in questesue ricerche, i quali hanno trovato in localitàsperdute le condizioni necessarie perinscriversi nella “dimensione antropicasostanziata di memoria” senza dover forzarela natura dentro gli schemi della dimensioneantropologica. Essi “sono costantemente inbilico fra Heimliches e Unheimliches, in unazona di confine territoriale e sociale che haconsentito loro di rifugiarsi volontariamenteo involontariamente in forme alternative (ede facto sovversive) di creatività delpensiero, riassumibili nel concetto diAbnormes” (p. 108).

Massimo Bonifazio

Andrea Mecacci, La mimesis del possibile.Approssimazioni a Hölderlin, Bologna,Pendragon, 2006, pp. 207, € 16

Il volume di Andrea Mecacci, già autore diuna densa monografia su Friedrich Hölderlin(Hölderlin e i greci, uscito nella medesimacollana nel 2002), riprende e rielabora unaserie di interventi e articoli risalenti agli anni1999-2005, ai quali si aggiungono duecontributi scritti appositamente per questapubblicazione e riuniti nel primo capitolo.A costituire il fil rouge delle indagini qui(ri)proposte non è, genericamente, latematica hölderliniana, bensì un’assai piùmeditata affinità di presupposti e di obiettiviermeneutici, tant’è che poco disturbanoanche il lettore più rigoroso quei capitoli e

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quelle pagine che sono solo tangentil’esperienza poetica e filosofica del poetasvevo (così, soprattutto, l’ultimo capitolo Il‘politikon estetico’. Lukács e Marcuseinterpreti di Schiller, pp. 190-202). Alcontrario, in piena consonanza con il beltitolo del suo libro, Mecacci traccia una seriedi ‘approssimazioni’ – nel senso, dichiaral’autore nella Nota introduttiva (pp. 7-8),della unendliche Annäherung di cui si leggenella Vorrede alla penultima stesura diHyperion – che, per restare nelle metaforehölderliniane, percorrono certo orbiteeccentriche, ma non perdono mai di vista illoro oggetto ultimo, la ricostruzione diun’idea del poetico come “mimesis delpossibile, [...] configurazione di sensoperennemente costruibile [...] dimensionepenultima sospesa tra tradizione e utopia”(ibidem). Con una scelta a mio parere felice,sono qui dunque riunite considerazioni eriflessioni eterogenee che, fatte salvepossibili remore su singoli aspetti o su certafacilità d’approccio filosofico a testiletterari, non potranno non affascinare illettore, catturato da un lato nella spirale diinfinite rifrazioni che la parola hölderlinianaha conosciuto nel secolo appena trascorso,dall’altro nelle configurazioni di senso cheessa ha disegnato in dialogo continuo conantichi e moderni.Le pagine più suggestive del volume sonoquelle, numerose, che indagano lo “stranorisarcimento della memoria” (22) per mezzodel quale Hölderlin è divenutol’interlocutore privilegiato dei poeti delNovecento, la presenza ineludibile nelpaesaggio sempre più minacciato della liricacontemporanea. Segnatamente il secondocapitolo della prima parte (l’inedito Il poetae suoi doppi), il quarto della seconda (Dueocchi nello stesso sguardo. Hölderlin eCelan, già in “Almanacchi nuovi. Rivistadi filosofia e Questioni sociali” III, 1998-99 / 2, pp. 178-193) e infine il secondo dellaterza (Nel taglio del mondo. La poesia diErnst Meister, rielaborazione di un articoloquasi omonimo in “Iride. Filosofia ediscussione pubblica” XXXII, 2001, pp.

139-156) illuminano singoli, significativiesempi di ricezione attiva di Hölderlin, primail quadrifoglio Paul Celan, JohannesBobrowski, Friederike Mayröcker e OdisseasElitis, inteso come “brevissima rassegna”(23) di un vero e proprio weites Feld, quindipiù approfonditamente lo stesso Celan e ErnstMeister, lirico di cui Mecacci ha tra l’altroanche tradotto una raccolta (Il respiro dellepietre, Roma, Donzelli, 2000). Da questaampia panoramica risulta con tutta evidenzala tesi che sostiene tutti gli studi quipresentati: come l’autore sottolinea rispettoa Celan, il segno decisivo delle diverse‘approssimazioni’ a Hölderlin – in fin deiconti anche di questo stesso studio, una sortadi approssimazione al quadrato – èrintracciato nel recupero della “dialetticairrisolta” della poesia quale “luogo u-topico”,del suo “non aver luogo” (134). Con non pocoardimento, Mecacci sussume a tale schemamolte, e disparate, esperienze di‘hölderlinismi’, difendendo la tesi, fral’arrischiato e il provocatorio, che “l’aorgicoe l’organico di Hölderlin, l’apollineo e ildionisiaco di Nietzsche, la Terra e il Mondodi Heidegger, l’Arte e la Poesia di Celanrappresentano forse, nelle loro variantistoriche e terminologiche, una stessatensione: fare sì che ciò che non è sia”(ibidem). La mimesis del possibile, insomma,come Leitmotiv di un’interpretazioneintegralizzante – e genericizzante? – dipercorsi poetici letti filosoficamente, e viceversa.Alla disamina delle Annäherungen aHölderlin, Mecacci intreccia in parallelo ilsondaggio delle Annäherungen di Hölderlin:ai greci, naturalmente, ma anche a Schiller.Nel primo capitolo del volume, d’altronde –il cui titolo non a caso è proprio Hölderlin:un’approssimazione – emerge chiaramente loschema circolare che già si sarà intuito: ilpoeta svevo è visto come anello di giunzione,anzi di potenziamento, in un’immaginariacatena di Dichter und Denker, figura dellaUmkehr anche in questo particolare senso.“Con Hölderlin”, sostiene l’autore, “assistia-mo alla definizione del poetico come perenne

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rimando incompiuto che è circondatoermeneuticamente e fattivamente dai suoidoppi: poesia e lettura, poesia e scrittura,poesia e traduzione, poesia e filosofia.Questo è il terzo luogo del poetico che ilpoeta attraversa e in cui la sua autocoscienzacreativa verso l’opera e critica versol’esistente si innesta. Si può affermare,approssimativamente, che Hölderlin ereditaquesta visione tramite Pindaro e Schiller ea sua volta la rinvia a tutta la poesiacontemporanea” (pp. 19-20). Così, accantoa un breve capitolo, il primo della secondaparte, in cui il saggio schilleriano Übernaive und sentimentalische Dichtung e iframmenti poetologici di Hölderlin sonoscandagliati alla ricerca di una definizionedi poesia filosofica (Pensare la poesia. DaSchiller a Hölderlin, pp. 45-57, corrispondea una relazione di convegno del 2005), è inspecial modo quello immediatamentesuccessivo (Da Tubinga a Tebe. Hölderline Sofocle, pp. 58-79) a illuminare,concentrandosi sulla ormai studiatissimatraduzione e commento di Antigone, lafunzione cardinale, per quanto misco-nosciuta a suo tempo, della rivoluzionariarivivificazione dialettica della grecitàoperata da Hölderlin – forse la piùimportante e assieme la più impegnativadelle vie che egli indicava alla modernitàper mantenere viva la tensione infinita framêchanê ed enthousiasmos quale originedella vera poesia.Il suddetto saggio su Antigone e ilsuccessivo, che sceglie di avvicinareHölderlin da un altro punto di vista ancora,quello del religioso (Esiste una grammaticadel mito? Hölderlin e la religione, pp. 82-115), formano assieme il nocciolo delvolume, le pagine in cui l’autore giunge arendere con più compiutezza la sua modalitàdi approccio a Hölderlin. In consonanza contendenze diffuse nella ricerca tedesca, comepure in quella italiana anche più recente,Mecacci sceglie di avvalersi principalmentedelle armi della filosofia per cercare diassediare, e possibilmente di espugnare, la“città distrutta di Mnemosyne”, secondo la

metafora con cui la poesia di Hölderlincompariva nel titolo di una raccolta di studipubblicata otto anni or sono da LucianoZagari. Così, sia nel complesso ragguagliodei passi di Hölderlin attraverso il paesaggiodel tragico, incontro a e lontano da Sofocle,sia in seno alla ponderata riconsiderazionedel grumo mito-demitizzazione cosìessenziale per entrare nel mondo del poetasvevo, Mecacci procede a partire daglischizzi teorici – vuoi dalle Anmerkungen edagli abbozzi sul tragico, vuoi dalframmento Über Religion – e muove di lì auna solida interpretazione globale, checoinvolge anche le traduzioni di Sofocleprima, gli inni cristologici poi. Comefilosofo tout-court, d’altronde, Hölderlincompare nel primo capitolo della terza partedel volume, I chiaroscuri del pensiero.Eraclito e la filosofia tedesca (pp. 140-168),che riprende un contributo del 2004: qui ilpoeta svevo è il primo di una serie dicombattenti la “sfida eraclitea” (p. 139), unrecupero dinamico del presocratico i cuiulteriori protagonisti sono Hegel, Nietzsche,Heidegger, Fink e Gadamer.Indubbi sono i risultati che un tale approcciofa registrare per quanto concerne la giustavalutazione di Hölderlin anche comefilosofo in seno al movimento idealisticotedesco – una rivalutazione che la critica haper la verità già attuato da decenni – e ancorpiù quale voce irrinunciabile oggi, neldiscorso filosofico contemporaneo: inquesto senso la raccolta di saggi che qui sirecensisce ha il merito di proporre da diverseangolature la doppia attualità di un autoretroppo spesso isolato in un’inattualitàassolutamente artificiale e che, invece, eralegato a doppio filo alla sua contemporaneitàalmeno quanto alla serie di antenati, perlopiùgreci, e alla fila di pronipoti, non solotedeschi, con cui si usa circondarlo. Più dipuntuali novità interpretative, che si faràfatica a trovare in queste pagine, più di‘scoperte’ oramai sempre più rare in unpanorama critico quasi saturo, è la decisaassunzione del parametro-Hölderlin qualeprisma della modernità a dare i frutti più

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gustosi del volume di Mecacci, che si offrein perfetta aderenza al proprio titolo comeserie di spunti, tutti possibili e taluni ancheoriginali, per avvicinare Hölderlin e, con ciò,alcuni dei passaggi chiave del percorsointellettuale fra la Rivoluzione Francese enoi. Già Theodor Mundt d’altra parte, alladata insospettabile del 1842, aveva definitoHölderlin una “tiefsinnige Hieroglyphe dermodernen Bildung”.Parte di questo geroglifico, di cui certo nonsi è ancora decifrato ogni tratto, è laricezione del poeta Hölderlin presso poeti efilosofi, che, come anche il volume diMecacci ben dimostra, è un dialogoattraverso cui si è mantenuta viva lapresenza di antichi e moderni ai qualiHölderlin, dialetticamente, tentava a suavolta diverse ‘approssimazioni’; parte diquesto geroglifico è certamente anchel’eredità del pensiero di Hölderlin, che purlontano da ogni sistematicità teorica hastimolato riflessioni e ‘approssimazioni’varie – pure questo è reso evidente nellesingole analisi qui raccolte. Centroineludibile di questo geroglifico, giova peròsempre ripetere, sono le parole della poesiadi Hölderlin, segni sacri incisi nella pietradella modernità che anche in un approcciofilosofico come quello qui adottatofiniscono volens nolens per fare valere leloro superiori ragioni – superiori, si capisce,non in assoluto, ma nella geografia delcosmo hölderliniano. Questo succede, adesempio, nelle pagine in cui Mecacciaccosta le riflessioni di Schiller e diHölderlin sul “pensare la poesia” e cita dallohölderliniano Über die Verfahrungsweisedes poetischen Geistes il passo in cui si dicedel “momento in cui il poeta nella totalitàdella sua vita interiore ed esteriore si sentecompreso nel puro tono della sua vitaoriginaria e guarda intorno a sé nel suomondo”. In questo momento, prosegue ilsaggio frammentario, “la somma di tutte leesperienze, del suo sapere, del suo intuire,del suo pensare – arte e natura come sirappresentano in lui e fuori di lui –, tutto èper lui presente quasi fosse la prima volta,

e proprio per questo è incompreso,indeterminato, dissolto in mera materia evita” (cit. a p. 53). Qui nel lessico indubbia-mente filosofico degli abbozzi teorici rimastiperlopiù allo stato d’indecifrabile nebulosa,altrove nella vena cristallina della suagrandiosa poesia – ad esempio anche nei versiche Mecacci cita, inspiegabilmente solo initaliano e intervenendo sulla traduzione diLuigi Reitani con qualche scelta moltopersonale, da Brod und Wein o da Patmos –permane inalterata in Hölderlin, anchequando lo si vorrebbe quasi solo o in primoluogo filosofo, la valenza gnoseologicauniversale della poesia, che ingloba nella suaparola, senza armonizzarli, gli slanci e le crisidell’umano sentire, della riflessione filosoficae della parabola esistenziale, della ricercaartistica e dello sforzo teorico. Tutte leapprossimazioni a Hölderlin non possono checonfermare: “Was bleibet aber, stiften dieDichter”.

Marco Castellari

Martin Hielscher, Uwe Timm. München,Deutscher Taschenbuch GmbH & Co. KG,2007, pp. 192, € 10

Friedhelm Marx (Hrsg.), unter Mitarbeit vonStephanie Catani und Julia Schöll, Erinnern,Vergessen, Erzählen. Beiträge zum Werk UweTimms. Göttingen, Wallstein Verlag, 2007, pp.254, € 24.

Uwe Timm zählt heute zu den erfolgreichstenSchriftstellern Deutschlands. Die Tatsache,dass fast gleichzeitig zwei Bücher über ihnveröffentlicht wurden, zeigt die zunehmendeBedeutung des Autors in der deutschenLiteraturwissenschaft.Die Biographie von Martin Hielscher gibteinen klaren Überblick über Timms Lebenund Werk. Als Uwe Timms jahrelangerLektor und guter Freund hat Hielschernaturgemäß einen direkten Zugang. Er hatden Entstehungsprozess vieler Texte begleitetund gilt als profunder Kenner von Timms

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Gesamtwerk.Hielschers Biographie ist in sieben Kapitelunterteilt. Jedes Kapitel entspricht einemAbschnitt im Leben Uwe Timms: dieKindheit im Hamburg und Coburg derKriegs- und Nachkriegszeit, die Kürschner-lehre, die Zeit im Braunschweig-KollegAnfang der 70er Jahre, wo er das Abiturnachholt und Benno Ohnesorg zum Freundgewinnt, das Studium in München undParis, seine Familiengründung, derzweijährige Aufenthalt in Rom in den 80ernund sein politisches Engagement.Miteinbezogen sind auch die Be-sprechungen der einzelnen Werke Timms inchronologischer Reihenfolge von HeißerSommer (1974) bis Am Beispiel meinesBruders (2003) und Der Freund und derFremde (2005). Die einzelnen Romane,Novellen und Erzählungen werdenausführlich behandelt, so dass der Leser einekomplette Übersicht über das breiteSpektrum des literarischen Werks erhält.Genaue Beschreibungen des historischenund politischen Hintergrunds, Abbildungenzu Timms Leben, Zeittafeln und farbig un-terlegte Zitate anderer Autoren - von Shake-speare, über Goethe, Camus, Heidegger,Peter Schneider bis hin zu Benno Ohnesorg-, die mit seinem Werk in Zusammenhangstehen, bereichern den Text.Dabei überzeugt der lebendige ErzählstilHielschers, der uns den Menschen undSchriftsteller Timm sowie seine Romanenäher bringt. Hielscher versteht es, dieZusammenhänge und Entwicklungslinienzwischen den einzelnen Werken darzu-stellen. Kopfjäger (1991), Johannisnacht(1996) und Rot (2001), dazwischen dieNovelle Die Entdeckung der Currywurst(1993) sind nach Hielscher als eine Chronikder Bundesrepublik seit dem Ende derachtziger Jahre zu verstehen. In ver-schiedenen seiner Romane ist auch dieAufarbeitung der Zeit der 68-Generation,zu der Timm gehört, und die Erinnerung andie NS-Vergangenheit ein wichtiger Aspekt.Von Die römischen Aufzeichnungen (1989)und auch von Johannisnacht (1996) gehen

Motivstränge in die nächsten Bücher über;zudem enthalten beide Bücher einen Traumüber Timms Bruder, der als SS-Soldat imKrieg gestorben ist. Erst viele Jahre später,nachdem alle betroffenen Familien-mitglieder gestorben sind, verarbeitet Timmdiese Erinnerungen zu seinem Roman AmBeispiel meines Bruders (2003). Hielscherschreibt dazu: “Dies zeigt aber auch etwasüber den Entstehungsprozess der BücherTimms und ihr Verhältnis zueinander. Sietreiben auseinander hervor und bilden eineArt Rhizom, ein Wurzelgeflecht, stehendamit in einem komplexen Beziehungs- undAbhängigkeitsverhältnis, als würden sie eineFamilie bilden, nach dem kompliziertenMuster von archaischen Verwandtschafts-verhältnissen, [...]” (S. 103/104). Sein Werkkommt somit einer Verflechtung ver-schiedener Erinnerungen, Figuren, Träume,sowie aus Erlebtem und Gedachtem gleich.Hielscher hebt in Timms Werk weiterewichtige Aspekte hervor: Erstens dieTatsache, dass Timm mehrere Male inseinem Leben unter dem Gefühl eines“Stillstands” leidet, eine “körperlichspürbare Lähmung”, die er durch einenOrtswechsel bekämpft: daher dieAufenthalte in Braunschweig, Paris undRom. In vielen seiner Figuren spiegelt sichdiese Verhaltensweise wider.Zweitens kann man bei Timm eine späteHinwendung zu autobiographischenThemen beobachten. Hielscher nennt vorallem Am Beispiel meines Bruders (2003)und Der Freund und der Fremde (2005) alssignifikante Beispiele. Untertrieben ist wohldie Feststellung, dass Vogel friß die Feigenicht. Römische Aufzeichnungen (1989) nurstark autobiographisch geprägt sei. Seinenzweijährigen Romaufenthalt beschreibtTimm darin nämlich völlig authentisch, barjeder Fiktion. Die dritte bedeutendeKonstante in Timms Werk ist nach Hielscherdie Auseinandersetzung mit anderenKulturen und der Tatsache wie ihrVerständnis den Blick auf die eigene Kulturverändert, wie in Morenga (1984), DerSchlangenbaum (1986) und Kopfjäger

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(1991).Ein weiterer Punkt ist das langsameAufkommen des Todesmotivs in seinemWerk. In diesem Zusammenhang bin ichnicht mit der Aussage Hielschers über denUnfalltod des Protagonisten Thomas Lindesin Rot (2001) einverstanden, der diesen alsein mögliches Ausweichen Lindes vor Irisund ihrem Kind sieht (S. 162).Überzeugend zeichnet Hielscher in seinemBuch nach, wie sich Timms Erwartungen andie Literatur im Laufe der Jahre gewandelthaben. Als junger Autor in der Zeit vonHeißer Sommer und Morenga glaubte ernoch, dass Literatur eine wichtigeBedeutung bei der Veränderung derGesellschaft zu mehr Gerechtigkeit,Gleichheit und Freiheit haben könnte. Dannin Erzählen und kein Ende (1993) sieht erdie Literatur als einen “schönen Überfluß”und eben diese Überflüssigkeit macht fürTimm die Qualität der Literatur aus. Ermöchte diese im Umgang mit den all-täglichen Dingen der Lebenswelt zumMonument und somit den Alltag literarischwerden lassen.Insgesamt geht schon aus HielschersBiographie hervor, wie wichtig das ThemaERINNERN in Uwe Timms Werken ist.Dieses steht auch im Mittelpunkt desfolgenden Tagungsbandes, der auch einenBeitrag von Hielscher enthält.

Das zweite hier besprochene Werk, der vonFriedhelm Marx herausgegebene BandErinnern, Vergessen, Erzählen. Beiträge zumWerk Uwe Timms besteht aus Beiträgen, dieim Sommer 2005 im Rahmen einer inter-nationalen Tagung an der Otto-Friedrich-Universität Bamberg vorgestellt unddiskutiert wurden. Er ist Auftakt der Reihe“Poiesis. Standpunkte zur Gegenwarts-literatur”, einem Forum poetologischer,literaturwissenschaftlicher und literatur-kritischer Beiträge im Kontext derBamberger Poetikprofessur, die Uwe Timmim Sommer 2005 innehatte.Ausgangspunkt für die in diesem Bandgesammelten Beiträge ist Uwe Timms

wichtige Rolle innerhalb der sich seit den90er Jahren entwickelten literarischenErinnerungskultur, da in seinem Werk dieeigenen Erinnerungen mit den kollektivenErinnerungsprozessen verbunden undverwoben sind.Literaturwissenschaftler, Lektoren, Literatur-kritiker und der Autor selbst thematisieren indem Band das Zusammenspiel von Erinnernund Vergessen, von Gedächtnis und Literaturim Werk von Uwe Timm. Die Beiträgestammen von Andrea Albrecht, MichaelBraun, Hans-Peter Ecker, Matteo Galli, HeinzGockel, Christof Hamann, Martin Hielscher,Oliver Jahraus, Friedhelm Marx, AndreasMeier, Dirk Niefanger, Michael Preis, JuliaSchöll, Ulrich Simon und Uwe Timm selbst.Da der Autor selbst an der Tagungteilgenommen hat, leitet sein Beitrag, in demer sich mit der Beziehung von Mythos undErzählen auseinandersetzt, den Band ein.Mythos begreift er darin als einenErzählmodus hochverdichteter Sinndeutung.Zur Bestätigung seiner These erzählt er eineErinnerungsgeschichte: Die Heimkehr seinesVaters aus dem Krieg. Seine eigeneFamilienerinnerung ist Beispiel deskollektiven Erinnerns, der persönlicheGründungsmythos leitet sich vom Mythos derStunde Null ab.Es würde den Rahmen dieser Buchbe-sprechung sprengen, auf alle 15 Beiträgeeinzeln einzugehen, deshalb beschränke ichmich auf diejenigen, die das meistbe-sprochene Buch Timms in Erinnern,Vergessen, Erzählen behandeln. Die anderenThemenbereiche werden danach nur kurzerwähnt.Timms meistbesprochenes Werk in dem Bandist der 2003 erschienene Roman Am Beispielmeines Bruders, der besonders geeigneterscheint aufzuzeigen, wie sehr eigeneErinnerungsprozesse des Autors mit denkollektiven verbunden sind. Uwe Timm greifthier die Erinnerungen an seinen Bruder unddie NS-Vergangenheit wieder auf, um dasVergessen unmöglich zu machen und stelltsich dabei zur Aufgabe das Wortlose in Wortezu fassen.

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Schon die unterschiedlichen Inter-pretationsansätze des Werkes Am Beispielmeines Bruders von Marx, Niefanger,Braun, Albrecht und Hielscher machen dieVielschichtigkeit dieses Werks Timmsdeutlich.So eröffnet Friedhelm Marx mit seinemBeitrag das Themenfeld der “Erinnerung inUwe Timms Werk”, indem er zeigt, dass esTimm in allen Texten, nicht nur in denautobiographischen wie Römische Auf-zeichnungen und Am Beispiel meinesBruders um das Erinnern, aber nicht nur umdie eigene, individuelle und persönlicheErinnerung, sondern auch um die Formungdes kollektiven, kulturellen Gedächtnissesgeht. Geschehnisse, Orte, die buchstäblichverschüttet zu werden drohen, werdenbeschrieben, damit sie nicht verloren gehen,damit die Grausamkeiten und Ängste desKrieges nie mehr verharmlost oder be-schönigt werden können.Dirk Niefanger setzt sich mit dem Verhältnisvon Literatur und Geschichte auseinanderund betont dabei die Wichtigkeit der Machtder Geschichte in den Erinnerungen Timms.In Am Beispiel meines Bruders richte sichzum Beispiel das historische Denken, dasin Rot (2001) immer die Bedingungen derMöglichkeiten einer Veränderung im Sinnhatte, ganz auf das Historische zurück, aufdie jüngste Vergangenheit. Rot und AmBeispiel meines Bruders könnte maninsofern als komplementäre Narrationenüber den Umgang mit Geschichte lesen.Timm regt, laut Niefanger mit seinem Buchzur Erinnerungsarbeit am Familientisch an,es gehe um das Begreifen des Unge-heuerlichen.Michael Braun versucht stattdessen dieLeerstellen in Am Beispiel meines Brudersaufzuzeigen. Wichtig ist, was ausgelassenund verschwiegen wird. Die Wortlosigkeit,die Leerstellen machen deutlich, dass dieSchrecken des Krieges und dieErinnerungen an sie zu grausam waren, umdie richtigen Worte finden zu können. AmBeispiel meines Bruders dient dazu dasGeschichtliche der Realität zu interpretieren

und für das Verständnis der Gegenwartlesbar zu machen, damit keiner mehr sagenkann: “das haben wir nicht gewusst”. DasTagebuch des Bruders wird laut Braun zueinem Instrument der erinnerungskritischenGeschichtsschreibung. Hier kommen zumersten Mal, wenn auch nur durchAbwesenheit, Gefühle des Bruders zurSprache, deren Fehlen der Erzähler immerbeklagt. Das Buch rage aus der Erinnerungs-literatur der letzten Jahre weit heraus, meintBraun, außergewöhnlich sei, wie Timmseine Protagonisten einen fernen Blick aufnahe Menschen richten lässt und daserinnerungskritische Erzählen davon: “exaktohne Beschönigung, ohne Versöhnung, abermit Lust, Angst, Wut und Trauer” (EE =Erzählen und kein Ende. Versuche zu einerÄsthetik des Alltags. Kiepenheuer & Witsch,Köln 1993, S. 144). Tabuisiertes, nicht zurSprache Gebrachtes der schwärzestenVergangenheit deutscher Geschichte wirdvon Timm thematisiert, um das Vergessenunmöglich zu machen und zum Erinnernaufzurufen.In einen größeren Zusammenhang setztAndrea Albrecht Am Beispiel meinesBruders, indem sie die Thematisierung einergenerationsübergreifenden Verstrickung inden Schuldzusammenhang der national-sozialistischen Verbrechen aufgreift. Siebeschäftigt sich mit geschichts- underinnerungspolitischen Debatten und derNotwendigkeit, nicht nur nach derliterarischen Auseinandersetzung mitGeschichte, sondern vielmehr nach derliterarischen Auseinandersetzung mitGeschichtsschreibung in Timms Werk AmBeispiel meines Bruders zu fragen.Hingegen berichtet Martin Hielscher überNS-Geschichte als Familiengeschichte undzeigt, wie die Geschichtskatastropheunterirdisch in den Familien, in demFamiliengedächtnis fortlebt. Am Beispielmeines Bruders erzähle auch dieVorgeschichte zum Nationalsozialismus,stelle die Frage nach der deutschenMentalitätsgeschichte. Uwe Timms Spracheder Nähe, “Poetik der Nähe”, wie sie

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Hielscher nennt, die auch Zweifel undFragen zulässt, sieht Hielscher alskonstitutiv für Timms Werk.Matteo Galli verweist auf die großeBedeutung von “Gedächtniskisten” (ein vonAleida Assmann übernommener Begriff),von “Bildern” in Timms Werk und machtauf die vielen Nennungen von Fotografienin den Werken Timms aufmerksam, wobeier Bilder in den literarischen Texten als“Medien sozialer Praxis der Vergangen-heitsbildung” ansieht. Galli begreift Timmsliterarische “Gedächtniskisten” nicht auf einfamiliäres oder kommunikatives Gedächtnisbeschränkt, sondern versucht zu zeigen, dasssie in ihrer Beispielhaftigkeit zu einemDenkmal des kulturellen Gedächtnissesavancieren. Mit seinem Beitrag formt er eineLandkarte der Timmschen Erinnerungs-landschaft.Christof Hamann beschäftigt sich mitTimms gesamtem Werk, dessen Schöpfer erals einen politischen Autor bezeichnet, fürden Literatur nicht mehr wie in denAnfängen für “mehr Gerechtigkeit,Gleichheit und Freiheit” sorgen soll, dervielmehr mittlerweile auf ein “Auf-sprengen” aus ist – ein Aufsprengen desherkömmlichen Sinns einzelner Worte wieauch das Aufsprengen von Geschichten.Timms Texte fließen ineinander und überzu Texten anderer Autoren. Sie wiederholensich und verketten sich, greifen früherErzähltes wieder auf und verwenden eserneut oder neu und erzeugen dadurch einenGedächtnisraum, so Hamann. Insgesamtversteht er Timms poetologisches Konzeptdes Erzählens als kalkulierten Überfluss.Ausgehend von Am Beispiel meines Brudersuntersucht Ulrich Simon ein zentrales Motivin Timms Gesamtwerk: die unterschiedlicheDarstellung von Widerstandsverhalten.Andere Beiträge betreffen den RomanKopfjäger (1991) und den Zusammenhangzwischen Erzählen und Erinnern bei UweTimm als Rekurs auf das Abwesende (JuliaSchöll) oder die Römischen Aufzeichnungen(1989), wobei Michael Preis hier den vonder Kritik vielfach geäußerten Vorwurf,

Timm bediene Stereotype und Klischees, diesich insbesondere an seiner literarischenInszenierung sinnlicher Wahrnehmungenablesen ließen, untersucht. Zwei Beiträgebefassen sich mit dem Roman Rot: OliverJahraus behauptet, dass der Text nicht nur voneiner Totenrede handle, sondern selbst einesei und versucht diese Doppelperspektive derLiteratur zwischen Erzählgegenstand undErzählweise als Doppelperspektive vonStimme und Schrift darzustellen. Hans-PeterEcker äußert sich gegen die Rezeption desRomans als Abgesang auf die 68er Bewegungund zeigt, wie sich Rot positiv für dienachfolgende Generation interpretieren lässt,indem er die Worte Uwe Timms aus derBamberger Poetik-Vorlesung (2005)unterstreicht: “Eine Generation ist zuverabschieden, aber die Verheißung aufEmanzipation bleibt.”Nach dem ästhetischen Nutzen der NovelleDie Entdeckung der Currywurst fragt HeinzGockel und seine Beobachtungen zu Timms“Ästhetisierungsversuchen des Alltags”werden von Andreas Meier weitergeführt, derdarin eine Überführung alltäglichenErzählens in die schriftliche Fixierung unddamit die Aufnahme des Alltäglichen in einkulturelles Gedächtnis sieht.Wünschenswert wäre es sicherlich auch inanderen Werken wie im Buch Timms DerFreund und der Fremde (2005), das bei derTagung im Sommer 2005 noch nichtbesprochen werden konnte, die hierbehandelten Aspekte zu beleuchten.Beide Bücher, sowohl die Biographie, alsauch der Tagungsband stellen eine großeBereicherung für die Forschung zu UweTimm dar, bringen den Leser auf denneuesten Forschungsstand und helfen bei derAufgabe des Erinnerns der Geschichte; wieTimm selbst sagt: “Literatur liefert neueWahrnehmungsmodelle für ein anderesSehen, Hören, Riechen, Fühlen und auchDenken.” (EE, S. 18) und natürlich auch fürein verändertes, anderes Erinnern.

Petra Brunnhuber

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Arnaldo Benini – Arno Schneider (a curadi), Thomas Mann nella storia del suotempo. In der Geschichte seiner Zeit,Firenze, Passigli, 2007, pp. 385, € 34

Pochi autori hanno saputo provvederemeglio di Thomas Mann a collocareautonomamente se stessi e la propria operanella storia del proprio tempo. Il volumecurato da Benini e Schneider rende quindiomaggio soprattutto all’ambizione e alladeterminazione con cui lo scrittore haattraversato il segmento forse più complessodella storia tedesca nutrendo la convinzionedi esserne l’interprete privilegiato, cometestimonia la celeberrima affermazionesecondo cui l’essenza più autentica dellacultura tedesca non era da ricercarsi inGermania, ma presso di lui. Sostan-zialmente, i contributi qui raccolti eoriginariamente presentati nell’ambito diuna manifestazione dedicata a Mann dallacittà di Ravenna nel 2004, convergono sudue macroaree tematiche o, per servirsi diun’espressione più appropriata all’autore,sono caratterizzati dalla presenza di dueLeitmotive. Il primo di questi percorsitrasversali scaturisce dal confronto,ineludibile, tra l’autore e la sua opera piùcontroversa, Le considerazioni di unimpolitico. Documentando la profondapartecipazione intellettuale, morale epolitica di Mann agli eventi storici, questaraccolta sostiene la tesi secondo cui l’auradi impoliticità che ancora circonda il nomedello scrittore sarebbe frutto di unpregiudizio e, inoltre, pone in risalto la suaappartenenza alla corrente liberale. Inconclusione, è proprio l’errore – se tale sivuole considerarlo – delle Considerazionia consacrare l’autorità di Mann qualeesegeta del Novecento tedesco. Infatti, dallaprospettiva di Nietzsche solo l’esperienzadiretta, l’esperimento compiuto su se stessi,consente di penetrare in un fenomeno finoa comprenderne la sostanza. È dunque lecitosottolineare la rottura segnata dal passaggiodi Mann alla democrazia, ma solo se siricorda che tale svolta non avviene

nonostante le Considerazioni, ma solograzie ad esse. La fascinazione per ilromanticismo politico è la ‘goccia di veleno’che, scorrendo nelle vene di Mann, lo rendeimmune al contagio del male nazista estraordinariamente sensibile nel coglierne isintomi e nel profilarne una diagnosiprecoce. Il secondo tratto d’unione tra icontributi consiste invece in una riflessionesull’identità culturale di Mann, la cui operaassume una portata non solo europea, mauniversale o ‘globale’, proprio perché al suointerno l’eredità della tradizione tedesca èintegrata da suggestioni derivate da altrearee, in particolare quella latina.Il primo contributo consente di tematizzareuno dei maggiori pregi del volume, che giàper la presenza della traduzione degliarticoli, manifesta la volontà di rivolgersicontemporaneamente sia al lettore italianoche a quello tedesco e non necessariamentead un pubblico di soli specialisti. ThomasSprecher, uno dei massimi esperti mannianie curatore non solo dell’annuario, ma anchedella collana di studi dedicati a Mann(pubblicati dall’editore Klostermann), sicimenta con successo nell’arduo compito difornire in un numero limitato di pagine unatraccia per orientarsi nella vita e nell’operadi un autore così proteiforme. Questa sintesiche, in certa misura, funge da introduzioneal volume, risulta chiara e lineare senzaessere riduttiva, anche perché Sprecherassume una posizione complementarerispetto agli altri autori. In primo luogo,soffermandosi sulla ricezione, spiega lasorprendente diffusione delle opere di Mann(che sfuggono a quell’impenetrabilità checondanna i classici all’oblio) con la qualitàlinguistica dei testi più che con la lorocapacità di incarnare, interpretare einsegnarci la storia. Inoltre, Sprecher ricordal’aspirazione di Mann a una dimensioneglobale, ma anche il suo fallimento e lamalinconica rassegnazione per il fatto chela parola, al contrario della musica, non èun linguaggio universale.Il saggio successivo, firmato da Dietrich vonEngelhardt, prendendo le mosse dal breve

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scritto Lo spirito della medicina pubblicatonel 1925, affronta il tema della malattia, quiintesa come fragile istante in cui l’essere eil nulla si sfiorano. Dopo aver richiamato ilcontesto metafisico derivato da Nietzscheper cui l’uomo è l’animale malato, ma anchel’unico animale dotato di coscienza per cuila sofferenza si sublima in arte, Engelhardtsi sofferma sulla portata sociale dellamalattia, proponendo una vasta casistica diesempi tratti dai romanzi. Mentre nel casodella moglie del console Buddenbrook lamalattia provoca l’isolamento e dà quindil’avvio a un decadimento etico, HansCastorp, dopo aver acquisito le competenzedi un medico e forse persino di unospecialista, si trasformerà nel misericordiosoassistente degli altri ospiti del sanatorio.Perciò nelle opere di Mann anche ladiagnostica acquista una dimensione eticae la cura, improntata allo scetticismo versola pura fisiologia, dovrà avvalersi di unapproccio terapeutico globale che, comemostra la biblioterapia di Settembrini,comprende anche il fattore culturale. Semalattia e cura, legate da un nessoindissolubile, hanno una durata che coincidecon quella dell’esistenza di ogni singolouomo, esse necessariamente impronterannoil suo stile di vita.Il pezzo di Frido, nipote di Mann, mirainvece a valorizzare l’influsso della madrebrasiliana su Thomas e Heinrich. Da Julia,che fu anche autrice di un’autobiografia, ifigli non avrebbero ereditato solo il talentoartistico ma, grazie all’arricchimentocostituito dall’innesto della tradizione latina,anche la possibilità di divenire il tramite perl’internazionalizzazione della culturatedesca.Secondo la tesi di Frido la nostalgia di Juliaper un’identità culturale non solo anticipail destino di esuli dei figli, ma gioca un ruolofondamentale nel determinare le loroposizioni ideologiche. Malgrado l’indoleanticonformista e la nostalgia per la patriaesotica, Julia scelse infatti la viadell’integrazione, rinunciando alla linguamadre per il plattdeutsch e convertendosi

dal cattolicesimo al protestantesimo.All’epoca della prima guerra mondiale siorientò verso il nazionalismo e arrivò adaugurarsi, come testimonia una lettera, chetutto il mondo potesse appartenere allaGermania. Seguendo questa interpretazione,lo scontro tra Heinrich e Thomas all’epocadelle Considerazioni rispecchierebbe ancheil conflitto etnico della madre. Nella chiusadel contributo si ricorda la fondazione di uncentro di studi dedicato a Julia nella città diParaty: grazie a questa realizzazione leiniziative dedicate alla famiglia Mannformano ora una rete culturaleintercontinentale.Nel contributo dal taglio più innovativoproposto nel volume, Elisabeth Galvan, primadi affrontare il suo tema specifico, cioè ilrapporto di Mann con d’Annunzio e Verdi,pone in risalto come nel processo didefinizione dell’identità culturale, che puòattuarsi solo mediante la differenziazionedall’altro, si rispecchi quel concetto dipolarità su cui si fondano tutte le antinomiedell’autore. Questa premessa teorica verràsfruttata innanzitutto per chiarire come il fattoche il giovane Thomas non amasse l’Italiaavvalori, anziché negarlo, il ruolofondamentale giocato dal sud nella genesidell’opera manniana. La differenziazionesegna l’avvio del processo creativo edifficilmente la Lubecca gotica deiBuddenbrook potrebbe nascere senza ildisprezzo di Mann per il cielo e la luce delmeridione. Alla luce di questa premessa,Galvan giustifica l’avversione nutrita daMann per d’Annunzio, spingendosi oltre ladichiarata contrapposizione tra ethos ebellezza, per mostrare come, ancora unavolta, l’antinomia si fondi su una segretaidentità costituita dalla competizione neltentativo di tradurre la struttura musicale diWagner in letteratura. La stessa dinamica dipolarità influenza anche l’apprezzamento perVerdi, con cui l’identificazione diventapossibile solo a seguito della svolta con cuiMann – “per amore della vita” come si leggenella Montagna incantata – si costringe asuperare la tentazione rappresentata da

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Wagner per procedere verso una sintesieuropea.Eckhard Heftrich, che insieme a Sprecher eReed rappresenta una delle vocistoricamente più autorevoli nella ricerca suquesto autore, si sofferma su unacontrapposizione tra lingua e musica che,nel corso dell’argomentazione, vienesempre più a delinearsi come unadistinzione tra la produzione artistica esaggistica. La sofferenza di Mann per il fattoche la ricezione della sua opera sia statacondizionata negativamente dall’esteticaromantica del genio secondo cui solo ilpoeta è dotato di anima, mentre lo scrittoresi sforza di supplire a questa mancanza conla ragione, è indubbia. Tuttavia egli stessogiudicava la sua opera alla stregua di questoprincipio, arrivando fino a servirsi di dueverbi distinti: “scrivere” per la stesura deisaggi e “fare musica” per quella deiromanzi. Se è lo stesso autore a fissarequesta gerarchia, ci sono fondati motivi percredere che Mann non sia mai stato cosìautentico come quando ha affrontato le ideecome motivi musicali risalendo fino aquell’origine primigenia dove forse la realtànon è più dicibile, se le parole non diventanoaccordi: come esempio di questa maestria,di una lingua di fronte a cui la traduzione ècostretta ad arrendersi, Heftrich cita ilrisuonare della sillaba/nota Ur nell’incipitdella tetralogia dedicata a Giuseppe.Il contributo di Terence J. Reed, da cui ètratto il titolo della miscellanea, nasce dauna riflessione sul rapporto tra la storia e lestorie, tra la storiografia e quella letteraturache, fornendo un’interpretazione in presadiretta, anticipa la successiva ricostruzionedi senso. L’aspetto più interessante delsaggio consiste nel fatto che Reed non sisofferma sulle opere della maturità di Mannche nascono dalla volontà anche troppoesplicita dell’autore di confrontarsi con lastoria ma si concentra, ad esempio, sullaMorte a Venezia: di fatto, l’analisi dellepulsioni di Aschenbach evidenzia quellatensione latente che la narrativa socialmentee politicamente impegnata dell’epoca non

era stata in grado di cogliere.Le conclusioni di Reed anticipano quelleproposte da Arnaldo Benini nel suo studiosul ruolo dello scrittore quale leaderdell’antifascismo. Lo scopo comune ai duecritici è quello di mostrare l’infondatezza diquel pregiudizio che ancora impedisce diriconoscere e perdonare a Mann il suoimpegno politico. La documentazioneproposta da Benini illustra come gli oppostischieramenti politici concordino sulla tesidell’opportunismo politico di Mann: mentrela Arendt lo descrive come la superfluadivinità che scosta una nuvola per gettareuno sguardo sulla terra, Schmitt lo definisce“maestro della congiuntura”. Tuttavia taliaccuse sono infondate, dato che ThomasMann di fatto è sempre schierato dalla partesbagliata: non solo pubblica leConsiderazioni dopo la sconfitta tedesca edè costretto malgrado la presunta impoliticitàall’esilio, ma infine entra in collisione anchecon il governo statunitense, perché rifiutadi riconoscere la divisione della Germania.Sommando le conferenze – oltre 300 tra il1937 e il 1945 – ai saggi e ai romanzi,nessuno forse ha contrastato ilnazionalsocialismo più attivamente diMann, che ironicamente definì se stessocome il “commesso viaggiatore dellademocrazia”. E nessuno forse ha compresocome lui quanto sia fatale credere che lacultura possa essere impolitica, poiché senzal’istinto politico essa si trasforma in barbarie.Nel saggio conclusivo Arno Schneider sipropone di risalire agli argomenti affrontatida Mann e Croce in occasione in occasionedell’unico incontro, avvenuto il 28 settembre1931, che segna un’eccezione in questorapporto di reciproca stima intellettuale.Malgrado le ricostruzioni dei testimonioculari non sempre siano attendibili – troppoletteraria, ad esempio, quella di Klaus Mannche descrive Croce come un contadinocolpito dalle intemperie e trasfigurato dalgenio – Schneider individua i tre nucleitematici trattati nell’ambito di questoincontro al vertice dello spirito europeo:Goethe, di cui si celebrava l’anniversario

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della morte, il saccheggio della bibliotecadi Croce compiuto dai fascisti – sottolineato,secondo Klaus, da uno scambio di occhiatetra i genitori che voleva significare: questoin Germania non potrebbe succedere – e lafigura di Settembrini. L’affinità, spessonegata, di Mann con la tradizione delpensiero liberale europeo trova confermanella dedica di Croce che, citando l’Inferno,non fa riferimento solo ad una comunanzadi pensieri, ma allegoricamente ritrae sestesso e l’amico, anch’essi inseguiti daidemoni dei regimi totalitari, come Virgilioe Dante nell’attimo in cui rischiano disoccombere alle potenze infere.Se l’eterogeneità degli scritti ha resopreferibile esporne separatamente icontenuti per delineare i diversi approccicritici, il carattere unitario della raccolta ègarantito non solo dal loro raggruppamentonelle due aree tematiche a cui si è accennato,ma anche dal fatto che le diverse prospettive,intrecciandosi, lasciano affiorare un quadrocomplessivo dell’autore. L’attenzione diMann per la ‘doppia ottica’ è fin troppo nota:i suoi romanzi sono strutturati in modo taleda suscitare l’apprezzamento sia di coloroche si arrestano in superficie, concen-trandosi sull’intreccio, sia di chi, in possessodi più raffinati strumenti culturali, penetranei diversi strati simbolici del testo. Anchesotto questo aspetto, poiché l’intentodivulgativo si coniuga con l’esigenza difornire un contributo scientifico alla ricerca,questa raccolta si avvicina allo spirito diMann.

Loretta Monti

Arturo Larcati, Ingeborg Bachmanns Poetik,Darmstadt, Wissenschaftliche Buchge-sellschaft, 2006, pp. 279, € 59,90

La monografia di Arturo Larcati esamina lapoetica di Ingeborg Bachmann da unaprospettiva critica che, traendo spunto dalleteorie di Gilles Deleuze e Felix Guattarisulla deterritorializzazione (vale a dire sulla

distruzione dello spazio vitale), intendeevidenziare l’apporto della scrittrice alprocesso di rigenerazione del linguaggioiniziato nel secondo dopoguerra. Lo studioprocede da una trattazione sistematica delleFrankfurter Vorlesungen, per arrivare aillustrare gli esiti artistici della riflessioneletteraria mediante una fitta rete di citazionidalle raccolte liriche, come pure dalle operein prosa. La lettura intertestuale serve amostrare come le notazioni sul modo di fareletteratura divengano parte essenziale delpersonale momento creativo dell’autrice, maanche dell’animato dibattito sulla possibilitàdi scrivere ‘dopo Auschwitz’. Moltointeressante appare in tale ambitol’accostamento diretto con le maggiori teorieestetiche dell’epoca, da cui traspare laprofondità del dialogo fra l’intellettualeaustriaca e personaggi come Paul Celan,Hans Magnus Enzensberger, Peter Weiss. Adarricchire un insieme già ricco di riferimentiinterviene inoltre il confronto con leconcezioni filosofiche di Theodor W. Adorno,che contribuiscono in maniera decisiva asvelare le contraddizioni della società nelperiodo postbellico, fornendo una baseinterpretativa essenziale a comprendere laposizione assunta da Ingeborg Bachmannnella polemica contro l’assetto politico eculturale del tempo.Quanto basta per dare rilievo allaconsapevolezza storica di una donna risolutaa manifestare il proprio dissenso tramite laparola poetica, nel tentativo di intraprendere– prima a livello individuale e poi magaricollettivo – un nuovo corso. Così forte risultal’intento polemico dell’autrice da costituireuna vera e propria sfida all’establishment.Una sfida che diviene inequivocabile proprionel ciclo di lezioni tenute all’università diFrancoforte tra il 1959 e il 1960, dove il tonodecisamente enfatico degli interventi tendefra l’altro a marcare il distacco da un mondoaccademico scarsamente progressistadominato allora da cattedratici come EmilStaiger, Hugo Friedrich e Hans EgonHolthusen. Del resto la struttura aperta,talvolta persino contraddittoria delle

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argomentazioni non facilita lacomprensione nemmeno a un pubblico, chesin da principio si mostra poco incline aprendere le distanze dalla tradizione econseguentemente poco ricettivo in quantoda sempre abituato a un discorso critico piùlineare. Eppure è questa capacità non tantodi ignorare il giudizio dell’interlocutore,quanto piuttosto di mettere alla prova la suacapacità di discernimento, che consenteall’autrice di esporre il proprio pensieroesaltando – qui come nel resto della suaproduzione artistica – l’antitesi, l’aporia, latensione dialettica.La preferenza per forme espressivecomplesse non resta mai fine a se stessa,rientra viceversa in un preciso disegno, incui ogni singolo elemento dellacomposizione – non importa se narrativa,saggistica o in versi – provvede a stimolarela conoscenza del nuovo anche se oscuro,difficile da capire. Sicché al lettore vieneaffidato il compito impegnativo e alcontempo stimolante di decifrare unmessaggio, che nasce dalla volontà diraccontare il presente per testimoniare undisagio altrimenti indefinibile. Ecco perchéparola e silenzio si alternano acuendo iparadossi di un linguaggio già proteso versol’innovazione, ma non ancora affrancatodalle scorie di un passato pieno di soprusi,di manipolazioni. È dunque sulla facoltàcomunicativa che l’autrice punta anchequando sembra chiudersi sdegnosamentenel laconismo, se non addirittura nell’afasia,per riaffermare il diritto alla libertàespressiva e con esso il valore etico dellascrittura. Per cui il discorso non smette innessun caso di rivolgersi a un ‘Tu’, siconcentra anzi con sempre maggioreinsistenza sulla funzione dialogica,adoperandosi per riscoprire le potenzialitàdel non proferito, del non formulato.Tacere acquisisce allora un nuovosignificato, equivale a superare la soglia deldicibile, per avviare un cambiamentoverbale non definitivo, bensì permanente esoprattutto intenzionale. Cosa si debbaintendere per mutamento è chiaro: qualsiasi

azione volta a contrastare consapevolmenteil ristagno del pensiero in un sistema di segniche non riesce più a garantire autenticità eimmediatezza all’affermazione. E su questopunto Ingeborg Bachmann si schiera afavore di un recupero del sistema linguisticogià esistente, assumendo – come fa notaregiustamente Larcati – una posizione diversarispetto a scrittori come Alfred Andersch,Heinrich Böll, Wolfgang Borchert oWolfgang Weyrauch, che prendono ledistanze dall’estetica calligrafica sostenendoinvece un genere di realismo tanto radicale,tanto crudo da negare senza volere lapossibilità di un nuovo inizio. Vero è chel’autrice non stenta a riconoscere la gravitàdella situazione, non si spinge però sino aripudiare la tradizione letteraria in toto, silimita a rinnegare il gergo canagliescoentrato nell’uso comune, poiché considerail codice linguistico come qualcosa diimprescindibile: una risorsa smisurata,dinamica, in breve vitale e quindi darivalutare senza indugio.Quanto mai appropriato si dimostra inproposito il paragone con il concetto dienergeia esposto già da Wilhelm vonHumboldt, che per di più consente ditratteggiare, se non proprio di rivelarepienamente, la consonanza fra poesia emusica. Un legame, questo, da consolidarea qualsiasi costo, giacché serve a indicarela strada verso l’utopia di un linguaggio alconfine tra forme artistiche differenti.Ovviamente il percorso resta geogra-ficamente non localizzabile e – non daultimo – privo di meta. Ciò che conta è soloincamminarsi in una direzione diversarispetto a itinerari già conosciuti, per farelargo alla fantasia allontanandosi da unaconsuetudine di violenza. Nell’idioma siannida infatti la ferocia tramandata dallapropaganda nazionalsocialista, contro laquale non resta che la forza dell’imma-ginazione.In sintesi, per opporre resistenza al poterecostituito bisogna ordire una trama direlazioni culturali utili a incentivare loscambio di idee, opinioni, esperienze, allo

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scopo di creare solidarietà fra intellettualidi provenienza disparata, cui affidare ilcompito di formare una coscienza civicaunica. E in materia di cosmopolitismol’impegno di Ingeborg Bachmann si fatenace, vigoroso, appassionato. L’autricecerca di incoraggiare la cooperazioneinternazionale, allacciando contatti al difuori dell’area di lingua tedesca conl’obiettivo di fondare una rivista di respiroeuropeo. Al progetto – poi mai attuato – delperiodico Gulliver aderiscono con grandeentusiasmo, oltre che Hans MagnusEnzensberger e Günter Grass in qualità dipromotori, anche Roland Barthes, MauriceBlanchot, Michel Butor sul versantefrancese e Italo Calvino, Alberto Moravia,Pier Paolo Pasolini su quello italiano in vestedi potenziali collaboratori. In questo quadrorientra anche l’amicizia con il compositoreveneziano Luigi Nono, che non per nullaappartiene alla cerchia intorno a WolfgangHildesheimer. La conoscenza avviene infattitramite Hans Werner Henze e si trasformapresto in stima e appoggio reciproci graziealla sostanziale comunanza di interessi: dasubito il musicista si rende partecipe diqualsiasi iniziativa volta a sostenere la lottacontro lo sciovinismo e contro la guerra.Il carteggio ancora pressoché sconosciutofra l’artista e la scrittrice documenta ildesiderio di lavorare insieme, di trovare unaccordo ideologico, cioè di elaborarecongiuntamente una strategia in grado diavversare il purismo estetico. A Larcati vail merito di prendere in esame per la primavolta una fonte inedita, che svela dettaglipersonali circa il soggiorno di IngeborgBachmann in Italia, gettando nuova lucesulla fase iniziale della sua carriera,sull’attività svolta all’interno della Gruppe47, sulla composizione del radiodrammaDie Zikaden e specialmente del saggioMusik und Dichtung. In questo breve scrittopubblicato nel 1959 l’autrice seguechiaramente l’insegnamento di Luigi Nonoche, impartito in gran parte tramite ilcontatto epistolare, funge da supporto persviluppare una propria tesi personale sul

ruolo della musica nel panorama culturale diun’epoca pericolosamente sospesa fraavanguardia e tradizione. La scrittrice aspiraa plasmare un linguaggio artistico universaleche, ristabilendo il valore della verità, possaincidere seriamente, ma soprattuttopacificamente, sulla politica.Che l’eventualità di una rivoluzione nonvenga nemmeno contemplata, si evince dallalirica postuma Die ital. Kommunisten, doveil giudizio – a dire il vero troppo benevolo eperciò poco fondato – sull’amministrazionedel PCI fa emergere più che altro l’esigenzagenerica di evitare faziosità e intolleranza,per aprire la via al pluralismo ovvero allademocrazia già a partire dal singolo gruppo.In verità non molto viene fuori sul partitostorico: l’elogio approssimativo di unapolitica a metà fra ragione e sentimentoderiva per contrasto dalla polemica contro larigidità del sistema tedesco. L’analisi del testoappare molto accurata, non teme di rilevareincongruenze nell’esposizione di uno schemapolitico, prima ancora che nella predi-sposizione di un programma. Stranamente ilmodello qui proposto rassomiglia a quellonazionalsocialista, nella misura in cui fa levasulla sfera emozionale al fine di produrreempatia. Il parallelismo non deve tuttaviaingannare: in effetti si tratta di una sempliceanalogia, che scarta a priori qualsiasi altraconcomitanza di natura ideologica. Non ècerto a imporre il consenso, che mira unapproccio alla politica tanto immediato damettere a rischio la fisicità per promuovereuna corretta gestione della res publica.Solo il contatto corporeo con le cose puòmettere veramente un limite all’orientamentorealista, talvolta addirittura scientista cosìdiffuso a livello amministrativo nel secondodopoguerra, poiché assicura l’esperienzadiretta inducendo il soggetto a occuparsi inprima persona di quanto lo riguarda. A cosaambisce il connubio fra physis e ideologia èpalese: trascinare in politica ampi strati dellapopolazione e anzitutto il proletariato, pertutelare l’integrità morale dello stato nellasperanza di segnare una svolta. In una societàdominata unicamente da materialismo e

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consumismo Ingeborg Bachmann volge losguardo verso le classi sociali più disagiatealla ricerca di genuinità e umanità. E diquesto bisogno di assoluta schiettezzadiventa simbolo il pane: il sostentamentodel popolo che, dovendo soddisfareesclusivamente bisogni primari, riesce amantenersi puro o – come sostiene PierPaolo Pasolini – incorrotto. Larcati rendemanifesta l’affinità tramite il sapienteraffronto con la produzione narrativa esoprattutto cinematografica dell’intellet-tuale italiano. Decisamente opportuno sirivela in questo contesto il richiamo al filmAccattone, il cui protagonista esemplificail tragico destino dell’artista condannatopraticamente al martirio per seguire lapropria vocazione. Niente di più simile alletante figure autobiografiche dai tratticristologici che attraversano l’opera diIngeborg Bachmann.Anche la ricezione della lirica di FrancescoPetrarca è oggetto di grande attenzione.L’interpretazione dei Lieder auf der Fluchtnon si ferma a indicare le reminescenze daiTrionfi, constata frattanto l’attualità di undialogo con il passato, che riesce malgradotutto a infondere fiducia per l’avvenire,senza costringere a dimenticare la violenzadella storia. Al contrario la violenza tornain primo piano nella lirica Mundarten, dovela polemica contro la cultura locale e inprimo luogo contro il dialetto carinzianoassume toni davvero drammatici, nonescludendo tuttavia una conclusioneutopica. Se la perdita, più che della patriain senso tradizionale, della casa conduce allabrutalità, al cannibalismo, la poesia devereplicare con un recupero del linguaggioprimigenio, affinché l’essere umano possabandire l’efferatezza e tornare veramente acomunicare. Occorre in ogni casopuntualizzare che il ritorno alle origini è solomomentaneo, non ha nulla di persistente.L’autrice non vuole scoprire un luogo realein cui sia concesso prendere dimora unavolta per tutte, si accontenta di sostare inuna dimensione indefinita, sconfinata,costantemente in fieri, per non rinunciare

alla propria libertà e continuare a pensare.Non un posto dunque, ma una lingua privadi territorio e per questo tanto più vicinaall’utopia.

Maria Grazia Nicolosi

Schreiben am Schnittpunkt. Poesie undWissen bei Durs Grünbein. Hrsg. von KaiBremer, Fabian Lampart und Jörg Wesche,Freiburg i.Br, Rombach, 2007, pp. 310, €48

Conformemente al giudizio dominante chelo riguarda, e che identifica in lui l’autoredi maggior rilievo nel panorama della liricatedesca degli ultimi anni, si infittiscono glistudi su Durs Grünbein, con l’intento digiungere a un provvisorio bilancio della suacarriera, a vent’anni dalla pubblicazionedella sua prima raccolta (Grauzone morgens,1988), e di fornire primi elementi per unacollocazione storiografica di respiro piùampio rispetto alla misura necessariamentelabile e occasionale delle recensioni cheaccompagnano di volta in volta ogni nuovoframmento della sua copiosa produzioneletteraria. Il volume in questione raccogliegli interventi tenuti nel corso di un convegnosvoltosi a Göttingen nel novembre 2004, esi segnala per l’assunzione di unaresponsabilità ermeneutica molto forte e atratti finanche radicale nei confronti dellapoetica grünbeiniana, soprattutto lì doveessa tende a definirsi come incrocio dipratica finzionale ed elaborazione teorica,nei termini di una ‘doppia identità’, lirica esaggistica, particolarmente congeniale aquest’autore e da lui costantementealimentata come marcatore fondamentale ditutta la sua attività. Se finora, infatti, gli studiparagonabili per ampiezza a questamiscellanea insistevano di preferenza entroun orizzonte interamente definito daipronunciamenti dell’autore, finendo così perminimizzare il compito dell’interpreteriducendolo ora alla verifica pragmaticadegli elementi di corrispondenza tra la vita

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e l’opera del poeta (come nel lavoro, pureper taluni aspetti felicemente pionieristico,di Ron Winkler, Dichtung zwischenGroßstadt und Großhirn. Annäherungen andas lyrische Werk Durs Grünbeins,Hamburg, Kovac 2000), ora all’illustrazioneacritica del sistema teorico formulato neisaggi (come accadeva nella monografia diAlexander Müller, Das Gedicht alsEngramm. Memoria und Imaginatio in derPoetik Durs Grünbeins, Oldenburg, IgelVerlag, 2004), i lavori ospitati in questovolume non si arrestano all’accertamentodelle relazioni esistenti tra lirica e saggismonella scrittura di Grünbein, ma aprono lastrada a una verifica sistematica del sensosotteso a tali relazioni e non in ultimo aun’interrogazione stringente circa la loroeffettiva tenuta.Come dimostra limpidamente FabianLampart nello studio (pp. 19-36) che aprela raccolta e insieme ne anticipa le principalilinee di sviluppo, la gran quantità delleaspettative proiettate sulla lirica di Grünbein(aspettative strettamente legate al clima di‘svolta’ politica che ha impregnatol’esistenza collettiva nella Germania deglianni Novanta, alimentando l’illusione chedalla letteratura potesse giungere unmodello globale di comprensione dei fattiin grado di porre rimedio al vuoto di sensosperimentato nella prassi dei rapportisociali) ha finito di fatto per occultare iltratto veramente individuale della suapoetica, sovrapponendovi la pretesa che talepoetica assumesse il compimento di unmandato identitario al quale poi anche lacritica letteraria si è risolta ad ancorarestabilmente l’immagine dello scrittore.Lampart collega questo mandatoall’esercizio di tre distinte funzionirappresentative, alle quali Grünbein è statoripetutamente accostato in diversi momentidella sua attività; se l’indirizzomarcatamente ‘post-ideologico’ impressonelle forme adoperate da Grünbein per larappresentazione della soggettività hafacilitato la sua elezione a ‘poeta-simbolo’della Germania riunificata, questo stesso

disincanto nei confronti di qualunqueaspirazione a una definizione ideologicamente‘forte’ e onnicomprensiva dell’operare umanoha indotto molti a vedere nella sua opera unacifra specificamente generazionale, aderendotra l’altro all’autorevole invito formulato inquesto senso da Heiner Müller nella laudatiopronunciata nel 1995, in occasione delconferimento a Grünbein del ‘PremioBüchner’. L’ampio corso che nella saggisticagrünbeiniana ha poi l’immagine di unsoggetto ‘debole’, disseminato nel caoticogroviglio di impressioni prodotto dalla suaattitudine a una registrazione passiva dellarealtà, è alla base della vulgata forse piùdiffusamente operante sul conto di questoscrittore, intesa a riconoscervi il rappresen-tante per eccellenza di un filone di scrittura‘postmoderna’ fondata appunto sullaneutralizzazione del soggetto e sulla riduzionedi tutto il suo potenziale a uno stato diprimitività biologica determinato integral-mente dalla sua attività neuronale. Sullapretestuosità di questa estensione alla scritturapoetica di modelli messi a punto nella sferadel saggio (una operazione che risale, nellasua versione più nota e influente, alle paginedi presentazione anteposte da Theo Elmall’antologia Lyrik der neunziger Jahre,pubblicata a sua cura presso Reclam nel 2000)Lampart ha parole molto chiare e, per quelche riguarda la necessità di intendere la poesiadi Grünbein come l’esplicitazione di una saldadeterminazione soggettiva, di fatto definitive.Che intorno a Grünbein si sia attivato unmeccanismo di adattamento della suaimmagine e della sua stessa attività di letteratoagli stereotipi solidificatisi sul suo conto inparticolare negli anni dal 1988 al 1995, è delresto del tutto evidente. Questo processoriguarda in particolare la duplice identità diprimus tra i poeti tedeschi contemporanei(attributo dominante per esempio nellapresentazione che del poeta viene abitual-mente fatta in Italia, su cui si sofferma il riccocontributo di Giovanna Cordibella, pp. 57-76),nonché di doctus, massimo esponente diquella tendenza a far rifluire nella lirica ambiticulturali che il Novecento si era abituato a

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considerare come impoetici. L’attitudine apraticare “Ästhetik außerhalb der Ästhetik”,secondo la celebre definizione di WolfgangWelsch, si manifesta in Grünbein non tantonel senso di una trasformazione della poesiain strumento di mediazione euristica (cosaperaltro assolutamente ovvia, per cui si restaun po’ interdetti di fronte al complessoarsenale filosofico che Tilman Köppe, pp.259-270, mobilita per asseverarla), quantonel potenziamento della carica di totalitàsottesa all’espressione estetica, carica chenon può che rivelarsi nella drasticarelativizzazione di tutte le componentieffusive e banalmente individuali del dettatopoetico, a vantaggio di un’immagineglobale e articolata dell’umano. È proprioquesta permeabilità nei confronti di tutto ciòche trascende il limite di una misurapuramente soggettiva a potenziarel’attitudine della poesia di Grünbein acostruire suggestivi nonché pervasiviequivalenti simbolici di nodi centralidell’identità nazionale, secondo unasensibilità al piano della storia collettivaacutamente riconosciuta dallo studio diGesa von Essen (pp. 79-102). Estrema-mente persuasiva ci pare in quest’ottica lacategoria di “essayistische Lyrik” elaboratada Hinrich Ahrend (pp. 135-168), alla qualesi deve riconoscere il merito di predisporreuna cornice ermeneutica sufficientementestabile per rendere conto sia della naturamista e di per sé contaminata che Grünbeinattribuisce in generale al medium poeticocome forma discorsiva e dialettica, inquanto tale necessariamente incline a unosvolgimento progressivo e raziocinante, siadella conduzione ritmica che in particolaresi dipana lungo i suoi testi, il cui timbrosinuoso e serpentino mima le fasi del lentoma sicuro avvicinamento al nucleoconcettuale della materia trattata. Del tuttocoerenti con tale impostazione, le pagine diTorsten Hoffmann sulle diverse occorrenzedi dati tratti dal sapere scientifico nellaproduzione poetica e saggistica di Grünbein(pp. 171-190) mettono in chiaro chel’intenzione complessiva dell’autore fa capo

a un’intensificazione della capacità deldiscorso lirico di fornire una rappre-sentazione polifonica e stratificata dellarealtà, in accordo con quella “Ausnahme-stellung von Lyrik im Vergleich mit anderenDiskursformen” (p. 176) che a Grünbeinresta sempre in ogni caso presente.Hoffmann getta ulteriormente lucesull’eccezionalità della posizione diGrünbein procedendo a un confronto conla curvatura che temi analoghi assumono inBotho Strauss e in uno scrittore su posizioniesplicitamente molto distanti da quelle diGrünbein come Raoul Schrott.Alcuni contributi si incaricano infine difocalizzare le modalità secondo le quali ildispositivo fin qui descritto si configuraconcretamente nell’incontro con singoliambiti delle scienze naturali. StefanieStockhorst (pp. 191-212) sottopone l’usodella metaforologia anatomica inSchädelbasislektion a un’analisi complessae ricca sia di aperture di interesseculturologico, sia di riferimenti a diversialtri esempi, nella storia letteraria non solodi lingua tedesca, di familiarità con ilgabinetto dell’anatomopatologo. JörgWesche (pp. 213-239) ripercorre lo spettrodelle funzioni che nella lirica di Grünbeinvengono svolte dalla sfera del biologico,tanto nella variante decomposta e residualedella discarica, quanto in quella, carica direminiscenze benniane, della pulsazioneanimale come riflesso di resistenza agliobblighi della civilizzazione, una varianteche Grünbein sperimenta di preferenza nellospazio chiuso e definito del giardinozoologico. Wesche porta in superficiel’istinto di regressione collegato allarappresentazione del biologico e ne rivelacon numerosi suggestivi sondaggi la fittatessitura letteraria, sostenuta – secondo unadelle abitudini stilistiche più profondamenteradicate nella scrittura grünbeiniana – dauna continua oscillazione tra l’alto e ilbasso. Di questa tendenza così spiccataall’appropriazione di materiali eterogenei,assimilati a un indice elevatissimo dicoerenza formale, costituisce un esempio

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particolarmente evidente il trattamento diconcentrazione simbolica praticato dal poetanei confronti del pensiero di Cartesio in VomSchnee (2003), l’ultimo ciclo di Grünbeinaccolto – prima del sostanziale fallimentodi Porzellan (2005) – da giudizi preva-lentemente positivi. Il lavoro di BernadetteMalinowski e Gert-Ludwig Ingold (pp. 271-306) si sofferma appunto sul tipo di ricezionedella filosofia cartesiana documentata dalpoema della neve.

Maurizio Pirro

Elena Agazzi e Vita Fortunati (a cura di),Memoria e saperi – Percorsi trans-disciplinari, Meltemi, Roma 2007, pp. 767,€ 35

L’ampio volume dal titolo Memoria e saperiè costituito da trentotto saggi che apporta-no interessanti contributi allo studio del con-cetto di memoria. I saggi sono distribuiti insei sezioni intitolate Scienze sociali, Scien-ze biomediche, Cultura visuale, La memo-ria del museo, Media, Scienze umane e stu-di letterari, Studi religiosi; ciascuna di esseè aperta da una premessa nella quale sonoesposti brevemente i contenuti dei saggi. Lesezioni sono sostanzialmente della medesi-ma ampiezza; la più lunga è intitolata Scien-ze umane e studi letterari, la più breve Studireligiosi.Le idee guida della raccolta sono delineatedalle curatrici Elena Agazzi e Vita Fortunatinell’introduzione, nella quale si afferma chela prospettiva transdisciplinare costituisce lapiù importante novità del volume. Le sezio-ni che lo costituiscono corrispondono alletante aree interdisciplinari (scienze sociali,biomediche e umane, studi letterari e reli-giosi cultura visuale, media) che negli ulti-mi vent’anni hanno contribuito da prospet-tive diverse allo studio del concetto di me-moria. Le scienze sociali mostrano come lamemoria svolga una funzione di confermadegli assetti sociali preesistenti e operi af-finché essi si adeguino di volta in volta agli

orientamenti del presente; le scienze umanee gli studi letterari mettono in luce la funzio-ne della memoria in ambito etnologico, an-tropologico e storico; le scienze biomedicheaprono prospettive sul ruolo della memorianei processi neuronali e psicologici; i mediapermettono di approfondire il rapporto tra lememorie artificiali e la memoria organica; glistudi religiosi, infine, affrontano le tematicherelative agli archetipi culturali contenuti neitesti sacri e ai miti fondativi, con particolareriguardo al rapporto tra l’oralità e la scrittu-ra, tra le immagini simboliche e gli spazi delsacro.I saggi che compongono il volume si collo-cano nell’ambito delle scienze culturali. Laconcezione della memoria formulata dagliesponenti degli studi culturali – primi tra tut-ti Jan e Aleida Assman – domina prevalente-mente nelle sezioni intitolate Studi religiosi,Scienze umane e studi letterari, Scienze so-ciali. Nel saggio Metafore, modelli e media-tori della memoria, posto all’inizio della se-zione Scienze umane e studi letterari, AleidaAssmann definisce la memoria un costruttoculturale che si differenzia a seconda dellediverse realtà geografiche, nazionali ed etni-che. Lo studio dei luoghi della memoria, per-tanto, è posto in stretta connessione con ilprocesso di formazione dell’identità indivi-duale e nazionale. Allo studio dei luoghi del-la memoria è dedicato il saggio di Raul Cal-zoni dal titolo Luoghi della memoria. In essosi afferma che gli spazi delle città che hannosubito le devastazioni della Seconda guerramondiale (Berlino, Dresda, Londra) nei qua-li si sedimentano le memorie di vincitori evinti, di vittime e carnefici sono luoghi di unamemoria controversa e possiedono caratteresimbolico. L’importanza dei luoghi dellamemoria nel processo di costituzione del-l’identità collettiva viene posto in risalto daVera e Ansgar Nünning nel saggio Finzionidella memoria e metamemoria. Le finzioniletterarie, scrivono gli autori, plasmano lememorie collettive e le identità nazionali poi-ché inducono a riflettere sui processi di oblioe ricordo sui quali si fonda la memoria cultu-rale. Il legame tra la memoria e l’identità col-

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lettiva viene approfondito nei saggi che co-stituiscono le sezioni intitolate Studi reli-giosi e Scienze sociali. Nel saggio Memo-ria e mitologia politica, che apre la sezioneStudi religiosi, Jan Assmann afferma chel’identità di una collettività si fonda sullasua memoria politica; quest’ultima si tra-manda attraverso monumenti, emblemi eracconti nei quali sono narrati i miti fon-danti di quella civiltà. Assmann opera unadistinzione tra i miti sacri e i miti politici.Questi ultimi non vertono sulle storie deglidèi ma sulle vicende umane e rappresenta-no il modo nel quale una società interiorizzail proprio divenire storico. Essi esercitanola funzione di legittimare il potere, di mo-dellare l’identità e la volontà collettive e difornire un orientamento all’agire politico.Un significativo apporto alla costruzionedella memoria culturale viene fornito peròanche dai miti religiosi, come si legge nelsaggio di Franco Motta dal titolo Elementidi una memoria fondativa nel Cristianesi-mo. Nelle società di cultura orale, scrivel’autore richiamandosi agli studi di alcuniesponenti delle scienze culturali (tra i qualiJan e Aleida Assmann e Dietrich Harth), lamemoria religiosa collettiva permea simbo-li, linguaggi e pratiche sociali; essa è salda-mente connessa all’identità del gruppo e allepratiche rituali da esso adottate, che lo dif-ferenziano dai popoli di fede diversa.Anche nella sezione Scienze sociali il lega-me tra la memoria, l’identità e le vicendestoriche di un popolo viene posto in primopiano: la memoria è intesa come un feno-meno culturale che coinvolge l’intera col-lettività e le permette di confrontarsi di voltain volta con il proprio passato. Le pratichesociali, si legge nel saggio Memoria, sto-ria e pratiche sociali, mettono in luce i pro-cessi attraverso i quali gruppi sociali anta-gonisti competono per imporre la propriadefinizione del passato. La memoria e lastoria costituiscono un oggetto conteso al-l’interno dei rapporti di potere in quanto ri-sultano funzionali non solo alla conserva-zione del passato ma anche e soprattutto allacostruzione del presente. Lo spazio nel qua-

le il passato storico può prendere forma edessere comunicato è, come osserva AnnalisaTota nel saggio Memoria, patrimonio cul-turale e discorso pubblico, quello del patri-monio culturale, nel quale si sedimentanosia le versioni egemoniche del passato – le-gittimate dai gruppi che detengono di voltain volta il potere – sia le memorie dei grup-pi sociali più deboli. Commemorare glieventi del passato, pertanto, significa com-petere per una certa definizione sociale diun evento: gli artefatti della commemora-zione (tra i quali figurano i monumenti, imusei, le sue statue) e i luoghi della memo-ria costituiscono uno spazio simbolico en-tro il quale si costituisce l’identità naziona-le. Le commemorazioni del passato sonorituali che non solo evocano eventi fonda-tivi alla base della vita delle singole civiltàma sono anche preposti alla costruzionedella memoria che verrà trasmessa alle ge-nerazioni future. La memoria - affermaMarisa Rampazi richiamandosi nel saggioMemoria, generazioni, identità alla conce-zione di Jan Assmann - è posta in strettorapporto con l’identità culturale delle sin-gole civiltà: essa conferma gli assetti socia-li preesistenti e li adegua ai mutamenti delpresente.Ulteriori prospettive dalle quali viene affron-tato il concetto di memoria, anch’esse adot-tate dagli esponenti delle scienze culturali,vengono delineate nelle sezioni intitolateMedia e Cultura visuale. Nella sezione de-dicata agli studi sui mezzi di comunicazio-ne si afferma che la scrittura, la fotografia,le nuove tecnologie digitali quali Internetinfluiscono sulle definizioni di senso stori-co, di appartenenza a una comunità e di iden-tità: i media promuovono la costituzionedell’identità collettiva in quanto riducono aicone e a simboli determinate esperienzevissute dalla comunità e permettono a tuttidi condividerle. Tuttavia, a differenza delletrasmissioni televisive e dei reportages fo-tografici, che favoriscono la conservazionedella memoria intesa come mera ripetizio-ne di un fatto e classificazione di informa-zioni rispetto all’atto individuale del ricor-

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dare, le tecnologie digitali quali Internet noncostituiscono un mero archivio che permet-te di immagazzinare informazioni ma unarete nella quale queste ultime vengono con-tinuamente elaborate, generate, cancellate.Nella sezione Cultura visuale viene presain esame la funzione esercitata dalle im-magini e dai rituali nei processi di rievoca-zione e inscenamento dei ricordi. SecondoElena Agazzi e Giorgio Cusatelli, autori delsaggio Èkphrasis e memoria, nella combi-nazione tra testo e immagine si ritrova lacorrelazione tra la memoria e l’èkphrasisnella sua forma moderna. L’iconologia del-la memoria, come si afferma nel saggioIconologia della memoria di KirstenDickhaut, definisce la relazione tra testi eimmagini e indaga il ruolo svolto dallamnemotecnica in ambito artistico. Essaprende in esame la memoria racchiusa neitesti e nelle immagini, li riconosce entram-bi come supporti della mnemotecnica e ri-vela sia il loro status di custodi della cultu-ra sia la loro capacità di preservare la me-moria culturale. Oltre ai testi e alle imma-gini anche i rituali permettono di rievocarei ricordi. Jan Assmann e Pierre Nora, alleteorie dei quali si richiama Birgit Neumannnel saggio La performatività del ricordo, af-fermano che i riti non riproducono una re-altà trascorsa ma generano nuove visioni delpassato. Secondo questa concezione la co-noscenza del passato ritenuta rilevante perla collettività viene rielaborata con l’ausiliodi azioni simboliche quali i rituali, le ceri-monie commemorative, gli spettacoli tea-trali.I saggi della sezione Scienze biomedichesono dedicati allo studio dei processi chepresiedono al funzionamento della memo-ria, intesa innanzitutto come memoria indi-viduale. In Memoria, cultura ed emozioniespresse Patrizia Frongia, richiamandosi alpensiero di Paul Ricoeur, osserva che lamemoria sembra essere radicalmente indi-vidualistica poiché i ricordi di ciascuno sonopersonali e non possono essere trasferiti nel-la memoria degli altri: nella memoria, per-tanto, sembra risiedere il legame della co-

scienza con il passato. I ricordi e le emozioniprovate dal singolo entrano a far parte di unprocesso creativo che coinvolge la comunitànella quale egli vive solo in un secondo mo-mento. Secondo questa concezione la memo-ria individuale – che, come si afferma nelsaggio Emozioni e memoria: riscontri neuroe psicofisiologici, si radica in eventi sogget-tivi, intimi, privati quali le emozioni – costi-tuisce il fondamento della memoria colletti-va.La varietà delle prospettive dalle quali inMemoria e saperi viene affrontato il concet-to di memoria fornisce una conferma dellepremesse enunciate nell’introduzione, nellaquale si afferma che di esso non esiste unadefinizione unitaria. Tuttavia, nonostante nelvolume siano presenti contributi forniti damolte discipline diverse, alcune pro-blematiche relative alla memoria sono statetrattate in misura nettamente maggiore rispet-to ad altre. Agli studi sulla memoria colletti-va e sul rapporto tra la memoria e l’identitànazionale, per esempio, è dedicato molto piùspazio rispetto a quelli sulla memoria indivi-duale: in Memoria e saperi cinque sezioni susei prendono in esame la correlazione tra lamemoria e il processo di costituzione del-l’identità collettiva, solo una, quella intitola-ta Scienze biomediche, intende la memoriacome memoria individuale. Negli ultimi de-cenni gli studi sulle problematiche relativeal rapporto tra memoria e identità culturalesono stati condotti dai sostenitori delle scien-ze culturali, che, sebbene si avvalgano deicontributi forniti da discipline diverse, trat-tano il concetto di memoria quasi esclusiva-mente da questa prospettiva. Una diversa con-cezione dell’interdisciplinarità è stata soste-nuta dall’eterogeneo gruppo di “Poetik undHermeneutik”, fondato nel 1963 da HansRobert Jauß, Hans Blumenberg e ClemensHeselhaus e costituitosi poi intorno alla scuo-la di Costanza. Nel suo Epilog auf dieForschungsgruppe Poetik und Hermeneutik(pubblicato postumo nel 1997) Jauß defini-va l’interdisciplinarità non come il confron-to tra i risultati acquisiti dalle singole disci-pline ma come la metodologia che permette

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di far luce sulle tante diverse possibilità diapproccio, non solo empirico ma anche te-orico, a un determinato tema. Il gruppo –che è stato attivo fino al 1997 e al qualehanno preso parte studiosi di letteratura,storici, filosofi, storici dell’arte, filologiclassici, musicologi, sociologi – ha orga-nizzato diciassette congressi in occasionedei quali sono state affrontate, tra le altre,problematiche relative ai concetti di epocastorica, di finzione, di contingenza, di mito,di identità e di memoria. Gli atti del con-gresso dedicato al concetto di memoria,svoltosi nel 1992, comprendono saggi ri-conducibili a varie discipline e tendenzedi pensiero (lo strutturalismo, ilpostmodernismo, il decostruzionismo,l’ermeneutica, gli studi culturali), ciascunadelle quali affronta il concetto di memoriada una diversa prospettiva: la correlazionetra la memoria e il consolidamento del-l’identità osservabile in determinati generiletterari (il diario e l’autobiografia); il rap-porto tra la memoria del passato storico e ilconsolidamento dell’identità collettiva na-zionale; la funzione del ricordo nel proces-so di sviluppo dell’identità personale; la dia-lettica di oblio e ricordo, e via dicendo. Laconcezione di interdisciplinarità adottatadal gruppo di “Poetik und Hermeneutik” at-tualmente non trova riscontro né negli stu-di condotti sulla memoria né in quelli con-dotti su altre tematiche: in essi si usufruiscedell’apporto di numerose discipline ma nonvi è più un dibattito tra i sostenitori di ten-denze di pensiero diverse.

Anna Gerratana

Teologia e politica. Walter Benjamin e unparadigma del moderno, a cura di MauroPonzi e Bernd Witte, Torino, Aragno, 2006,pp. 496, € 35

Il controverso rapporto che relaziona ilteologico al politico e viceversa, insiemealle loro possibili ed effettive intersezionie sviluppi filosofici, storici e sociali, sono

oggetto dei numerosi interventi raccolti nelvolume, curato da Mauro Ponzi e BerndWitte, Teologia e politica. Walter Benjamine un paradigma del moderno, Nino AragnoEditore, Torino 2006, disponibile anchenell’edizione tedesca Theologie und Politik.Walter Benjamin und ein Paradigma derModerne, Erich Schmidt, Berlin 2005. Lapubblicazione è stata concepita sulla basedel grande convegno internazionaleTeologia e Politica, svoltosi a Roma il 13 e14 novembre 2003, organizzatodall’Università di Roma “La Sapienza”,dalla Heinrich-Heine-Universität diDüsseldorf, dalla Internazionale WalterBenjamin Gesellschaft, dal Zentrum fürKunst und Medientechnologie di Karlsruhee dal Goethe Institut di Roma. Un’am-pissima partecipazione internazionale hacontrassegnato il convegno, di cui lapubblicazione raccoglie ben venticinqueinterventi, articolati in tre sezioni, cheseguono i quattro saggi d’apertura,indicative della molteplicità di prospettiveofferte dal tema: la prima, Walter Benjamine la teologia politica nel moderno, percorretrasversalmente le elaborazioni di WalterBenjamin per la centralità che la tematicateologico-politica assume nel suo pensieroe che coinvolge anche la seconda sezione,Teologia e politica: strategie di scrittura,in cui il discorso si estende agli argomentitra loro più variegati, dalla musicaall’economia e ai diversi rami della filosofia;la terza, Teologia e politica oggi, offre lapossibilità di un confronto tra le tre religionimonoteiste nella loro diversa relazione conil politico.I testi raccolti presentano, dunque, contributiintellettuali molto differenziati – che sarebbequi difficile menzionare nella loro totalità edi cui si è costretti a riportare solo alcunisignificativi esempi – da quelli radicati inuna determinata appartenenza religiosa eculturale a quelli d’ispirazione del tuttolaica.L’intervento di Mauro Ponzi introduce letematiche offerte dal volume a partire dallamitologia greca, con la dimensione eterna

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del divino che entra in collisione con lastoricità transeunte, in cui si realizza lafelicità umana. È assunta a paradigma lavicenda di Ulisse e della ninfa Calipso, doveè proprio la possibilità di vedere la felicitàal di qua o al di là di uno Stillstand, tantoidilliaco quanto fittizio, a destare la hybrisdegli dèi e a fare della vicenda di Ulisse una“scelta per la storia e per il transeunte”. Conla tradizione ebraico-cristiana il ‘problema’del politico coinvolge la “ricomposizione”di un rapporto col divino nella storicità, incui le diverse prospettive escatologiche,messianiche o apocalittiche possonocondurre ad una radicalizzazione delpolitico – come nel caso di teocrazie efondamentalismi – o al suo ridimen-sionamento di fronte al fatto metafisico,senza per questo cadere nell’irrilevanzastorica.Il principio di differenziazione, che sottendeil rapporto delle religioni monoteiste tra loroe con le altre religioni, rende necessaria unariflessione sulle possibilità, nonché sullanecessità di un dialogo che possa costituirsia fondamento di una convivenza ocoesistenza pacifica e feconda. Il problemadel dialogo, proprio nel tener contodell’autodeterminazione delle singolereligioni, non dev’essere di natura teologica,ma politica. Il fondamentalismo religioso –da cui non è storicamente immune nessunadelle tre grandi religioni monoteiste, ma chenon trova sostegno nel loro autentico assettoteologico e dottrinale – non è l’unico e piùpericoloso fondamentalismo che minacciail mondo contemporaneo. Nel cosiddettoOccidente il fondamentalismo capitalistaalla base dell’american way of life si ponesempre più, in linea con l’interpretazionebenjaminiana, come una vera e propriareligione: “Il neoliberismo è intollerante: –spiega Ponzi – nessun’altra teoria èconsiderata “moderna”, nessuna dissidenzateorica viene presa in considerazione. Lacapacità di autoregolazione del mercato èun atto di fede di tipo religioso.” A fronte ditale pericolo, affinché Islam e Cristianesimopossano sottrarsi alle logiche di

contrapposizione diretta e riscoprire la lorovocazione ecumenica si rende più che mainecessario “decostruire l’immagine ostiledell’estraneo” e ritrovare, in tal modo, leragioni del dialogo.Il contributo di Giorgio Agamben delinea dueparadigmi di matrice teologico-cristiana cheavrebbero determinato l’orientamento, nellamodernità, da un lato, della filosofia politica,dall’altro, della biopolitica e l’attuale primatodell’economia; tali paradigmi sonoindividuati nelle definizioni di ‘teologiapolitica’ e ‘teologia economica’, consideratialla luce del dibattito tra Erik Peterson e CarlSchmitt fra il 1935 ed il 1970. Entrambi sonolegati ad una concezione katechontica per cui“vi è qualcosa che trattiene l’éschaton, cioèl’avvento del regno e la fine del mondo. PerSchmidt questo potere […] è l’Impero, ilpotere statuale. Per Peterson invece questoelemento che ritarda la fine è il rifiuto degliebrei di convertirsi e di riconoscere il Cristo.”La teologia politica sarebbe, secondoPeterson, da ricondurre al giudaismo e allafigura dell’unico Dio monarca, mentre lavisione trinitaria cristiana restituirebbe unaconcezione, sia della divinità che della storia,regolata secondo il principio – che Agambenrileva non essere, però, esplicitato né daPeterson né da Schmitt – dell’oikonomìa: “Atal proposito gli studiosi hanno spesso notatola contraddizione tra questi due significati: ilprimo, più frequente in Tertulliano, cheprevede un’articolazione interna della vitadivina; il secondo prevede l’idea di un pianostorico della salvezza. In realtà non c’è alcunacontraddizione: se Dio organizza la propriavita come un’oikonomìa, può organizzareanche la storia umana sul pianoprovvidenziale della Heilsgeschichte comeuna oikonomìa”. Per Agamben il paradigmadella teologia economica, una voltasecolarizzato, avrebbe investito l’origine ditutte le scienze umane e determinato l’attualeprimato dell’economico a scapito del politico.

Una profonda riformulazione del concetto dipolitica e di storia fonda la prospettivabenjaminiana di un “messianismo senza

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attesa”, che Giacomo Marramao individuasulla base delle tesi Über den Begriff derGeschichte, in cui gli apporti fondamentalidi Auguste Blanqui e Karl Marx convergononella rielaborazione propriamentebenjaminiana del messianesimo. Ilmessianico “si colloca al punto di incrociotra attimo (Augenblick) e passato(Vergangenheit) – fuori di ogni simbolica‘infuturante’ dell’attesa. Ogni istante recain sé l’enérgeia, la potenza o virtualità delmessianico: a condizione che esso vengaconcepito – begriffen: ossia, alla lettera,colto, afferrato – nella sua singolare,irripetibile specificità. E solo quandol’azione politica si fa riconoscere comeazione messianica, la Jetztzeit si convertein Augenblick”. Il messianico entra nellastoria proprio a partire dalla suacontingenza, considerata, come la intendeBlanqui, “come categoria escatologica”. Lastessa comprensione del presente è elaboratasecondo una Darstellung di matricemarxiana, “in grado di restituirci lacostellazione di un presente apertoall’azione messianica, diametralmenteopposto alla Vorstellung apologetica di unpresente sigillato dalla mitologia e dallagiurisprudenza del vincitore”.La compromissione di categoriemessianiche e antropologiche, così come siconfigura in Walter Benjamin e GüntherAnders, con l’arte musicale è affrontata daElio Matassi, che introduce nelletematizzazioni offerte dal volume quelladella musica, in un ampissimo spettro diriferimenti, da Elias Canetti alla musicologiadel Novecento. Anders considera il ruolodecisivo che la musica assolve nellafondazione di un’antropologia capace direstituire il soggetto alla propria identità:“Per riappropriarsi dell’identità perduta ilsoggetto – questa è l’indicazione decisivache scaturisce dalla produzione dellafilosofia degli anni Venti e dall’incontro conHusserl, Heidegger, Benjamin – devetornare a riscoprire la dimensione più segretadel linguaggio, quella della voce, del cantoe della musica, che esprimono non la

disintegrazione, ma la l’integrazione piùcompiuta.” In una prospettiva analoga,Benjamin coniuga l’apporto della riflessioneromantica sulla musica e il linguaggio, inparticolare a partire da J.W. Ritter, con lafunzione specificamente ebraica “del suonoe dell’ascolto nella percezione della verità”.Nel paradigmatico saggio benjaminianosulle Affinità elettive di Goethe emerge laradicale contrapposizione tra la dimensionedell’apparenza (Schein) e quella dellamusica, secondo uno schema dialettico chevede nella dimensione musicale lapossibilità di un’“alternativa utopica”declinata come speranza e come redenzione.Il messianesimo benjaminiano è presentatonel saggio di Irving Wohlfarth nel suolegame con il nichilismo e con ilmaterialismo storico. Diversi tipi dinichilismi, considerati da Wohlfarth nellaloro origine storico-culturale, contras-segnano il mondo contemporaneo. Ilnichilismo, per quanto differenziato, diFreud e Nietzsche è segnato da un carattere“progressista”, che, però, non si è realizzatonella storia, cedendo il passo al comunismosovietico, al nazismo, e al fondamentalismoliberista-capitalista di matrice nord-americana. L’attuale fondamentalismoreligioso – strumentalizzazione dellereligioni stesse – non è che il risultato delfondamentalismo importato dagli “imperioccidentali”: “con questo la guerra deinichilismi è entrata in una fase acuta”. Manichilista è anche la risposta che Wohlfarthpropone contro questi nichilismi “reattivi”:la teologia-politica di Walter Benjamin chesottende la sua riproposizione delmaterialismo storico: “‘Là dove c’era Es’,dice Freud, ‘deve diventare Io’. Laddovec’era la teologia, dice Benjamin, devediventare una ‘illuminazione profana’.L’Illuminismo è in questo senso un ‘progettoincompiuto’: un’aspirazione quasimessianica dopo la fine del messianismo.”Il residuo teologico, che il materialismostorico deve mantenere, lo mette al riparodalle varie teologizzazioni, per le quali“l’illuminismo – realmente esistente,

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capitalistico, totalitario, che mina tutte lereligioni, si rivela nell’istante della suaglobalizzazione ancora una volta comereligione inconscia a se stesso”. Anche il“libero legame” benjaminiano con ilcomunismo viene così scandito dall’assolutoprimato della prassi, capace di orientare ilmaterialismo storico come illuminazionetanto più profana, quanto più messianica.Bernd Witte considera come, tra il 1770 e il1790, in Europa si verifichi una svoltadecisiva: la “radicale antropologizzazione”,nel dibattito pubblico, di quel che prima erapatrimonio del discorso metafisico-religioso. In Germania, l’apparizione deiDolori del giovane Werther di Goethe, nel1774, segna il primato della letteratura neldirimere le fondamentali problematicheesistenziali della vita e della morte e del loroesito ultimo. Analogamente, in Inghilterrala teoria economica di Adam Smith,formulata in An intuire into the natur andcauses of the wealth of nations (1776), caricadi immagini religiose, come la celebre‘mano invisibile’, categorie prettamenteeconomiche, che assicurerebbero ilcomportamento “etico” dell’“uomoeconomico”. In Francia, infine, laDéclaration des Droits de l’Homme et duCitoyen del 1789 fonda “un sistema politicoin cui deve essere realizzata con mezziterreni, cioè provenienti dalla pienezza deipoteri dell’uomo, l’utopia di una societàperfetta”. Con questi “discorsi dilegittimazione dell’epoca moderna” lareligione viene relegata nella sfera privataper ritornare, nel XX secolo, comestrumento di legittimazione politica,sull’esempio di Carl Schmitt o nellaseparazione di teologia e politica e,conseguentemente, di teologia e mito, daparte di Walter Benjamin: “Benjamin faderivare la sua fondamentale distinzione nonda una relazione sistematica, bensì dalcommento dei testi canonici. Il colloquio congli antenati, come va inteso questo confrontocon ciò che è stato scritto prima, gli forniscele categorie in base alle quali giudical’attualità sociale e politica del suo tempo.”

La mancata separazione di teologia e politicaha i suoi effetti più devastanti non solo nelfondamentalismo diffuso tra le religionimonoteiste, ma soprattutto nella “ri-teologgizzazione” tutta occidentale delcapitalismo nella sua forma globalizzata. Ilcapitalismo come religione, coinvolgendo“tutti coloro che agiscono economicamente”è, secondo Benjamin, “presumibilmente ilprimo caso di un culto che non toglie ilpeccato, ma genera la colpa”.Le “strutture di peccato” del capitalismocostituiscono il bersaglio critico di JosephJoblin. In una società pluralista, in cuiconvivono, sotto le stesse istituzioni, culture,religioni, tradizioni e visioni del mondodiverse tra loro, il potere universalizzante delcristianesimo è chiamato ad una nuova sfida,quella di rinunciare a dottrine o filosofieprecostituite che si contrappongono ad altreper rimettere al centro l’adesione alla personadi Gesù. Cambia allora anche il rapporto conle istituzioni e l’autorità. I cristiani nella storiahanno il dovere di partecipare alla vitapubblica, in quanto “il regno di Cesare” e il“regno di Dio” si incontrano nella “stessarealtà socio-politica”, in cui l’autoritàdev’essere concepita come servizio per ilbene comune, nel rispetto della vocazionepersonale di ognuno, della sua realizzazionecompleta. Storicamente, quest’approccio alpotere si è concretizzato nel considerare lalimitatezza del potere dei principi nelmedioevo e nella legittimazione delleinsurrezioni contro un potere ingiusto eoppressivo. Così, anche oggi, nel mondoglobalizzato, il ruolo della Chiesa non deverisolversi in un neutrale e genericoassistenzialismo, ma “il mantenimento dellapace e lo sradicamento della povertà sono gliassi o i criteri in virtù dei quali giudica lacapacità delle iniziative politiche diavvicinarsi all’ideale di uguaglianza e diriconciliazione delle comunità umane nelmomento in cui si riuniscono a livello socio-economico. Il criterio che mette in opera perraggiungere questo scopo, non è di ordineintellettuale, bensì morale, invita ciascuno adispirarsi, hic et nunc, all’universalità che

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Cristo stesso ha messo nel compimentodella sua missione”.

Ludovica Malknecht

Magda Martini, La cultura all’ombra delmuro. Relazioni culturali tra Italia e DDR(1949-1989), Bologna, il Mulino, 2007, pp.463, € 30

Dopo aver letto il voluminoso studio diMagda Martini ci si rende conto di quantoci fosse bisogno di una ricerca a tutto campoper ricostruire il complesso quadro dellerelazioni culturali tra Italia e DDR nelquarantennio di esistenza di questo paese.Col recupero e l’analisi di documenti diarchivio, la lettura della letteraturapubblicistica del tempo e la discussione ditestimonianze di politici e intellettualitedeschi e italiani si descrivono e si ricom-pongono scenari che colmano un’evidentelacuna non solo nella storiografia italiana,relativamente alla storia della DDR, ma piùin generale della storia della cultura e deirapporti interculturali fra i due paesi conrilevanti riflessi sulle dinamiche ideologico-politiche nei decenni di una guerra fredda,mai costante nelle sue temperature chehanno scandito flebili disgeli e conseguentiraffreddamenti. L’indagine di Martini,ripercorrendo in chiave diacronica ecomunque sempre dialettica l’evoluzionedel rapporto fra le condizioni politiche tral’Italia e la Repubblica DemocraticaTedesca e lo sviluppo di canali comunicativiculturali, fa emergere, oltre che un contrastoscontato, il problematico e poliprospetticotema della relazione tra cultura e potere.A fronte del composito ventaglio diatteggiamenti dopo il crollo del Muro, dallastrategia mirata al ridimensionamento senon alla rimozione dell’esistenzaquarantennale di uno stato, prevedendo,come fece Stefan Heym, una semplicemenzione in una nota a piè di pagina neifuturi libri di storia, dal rapporto ostalgicoverso un passato irripetibile, a una sorta di

stucchevole revival con tanto dicommercializzazione di reperti vetero-socialisti, una rivisitazione storico-culturaleampia e minuziosa come quella di Martiniè una preziosa indicazione innanzitutto perrileggere con attenzione e pazienza gli effettidella divisione della Germania e della guerrafredda. La cornice entro cui viene condottala ricerca è il carattere assolutamente nonmonolitico della politica assunta dalla DDRfra il ’49 e l’ ’89, anzi essa è stata quella del“pendolo” con il quale “il regime riuscì aconciliare una politica di piccole concessionicon il consolidamento del proprio potere”.In definitiva la monografia di Martini, piùche dare risposta all’interrogativo Was bleibtdi quarant’anni di storia di un paese estinto,chiarisce, attingendo a un vasto apparato difonti, la molteplicità dei percorsi politici ecome si siano sviluppati i processi culturalifra Italia e DDR, tenendo conto dei ricorrentimoti ondulatori determinati dal susseguirsidelle congiunture politiche e soprattuttodelle asimmetrie nell’attuazione, spesso supiani sfalsati, di un possibile disegnoculturale.Allo schema, che si traduce in tappefondamentali per lo sviluppo della politicaculturale nella DDR: “1951 (Campagnacontro il formalismo), 1953 (Nuovo Corso),1956 (XX Congresso del PCUS, tentativodi destalinizzazione; rivolta in Ungheria,lotta al revisionismo), 1958 (BitterfelderWeg), 1961 (Muro di Berlino), 1965 (XIPlenum del Comitato Centrale della SED),1971 (passaggio di potere da Ulbricht aHonecker), 1976 (privazione dellacittadinanza a Biermann), 1985 (iniziodell’era gorbacëviana)” corrispondono ladata spartiacque del 18 gennaio 1973, chevede il riconoscimento della DDR da partedell’Italia a seguito della Ostpolitik di WillyBrandt, e i nodi drammatici del 1956, 1968e 1976 (oltre al caso Biermann anchel’uccisione del camionista italiano BenitoCorghi da parte della Vopo) che causanotensioni fra PCI e SED, evidenziando d’altraparte una asimmetria strutturale tale dapregiudicare la reciprocità degli interventi.

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Alla SED, partito del regime del “primostato tedesco degli operai e dei contadini”fa riscontro infatti il PCI, partito in Italiaall’opposizione. Ma “il fatto che i due partiti-osserva Martini- non riuscissero amantenere rapporti bilaterali sereni sul pianoufficiale non impedì lo sviluppo continuodi collaborazioni negli ambiti più diversi”.A questa asimmetria se ne aggiungono peròalmeno altre due: la prima è data dall’uso edalla finalità in chiave propagandistico-antiisolazionistica della cultura nella DDR,da considerare sempre monopolio diregime, mentre il PCI cercò di “presentarein Italia il lato migliore della realtà dellaGermania orientale”, e assicurandocomunque una relativa autonomia di coin-volgimento, mentre la seconda è data dallavisione astigmatica nel mondo culturaleitaliano di fronte ai due stati tedeschi, conla sinistra sbilanciata dalla parte della DDRper solidarietà, curiosità, attrazione per unmodello di società legato all’UnioneSovietica, ma anche originalmente costruitosu un presupposto di antifascismo e didenazificazione a differenza dellaRepubblica Federale. Già Cesare Cases, piùvolte ricordato da Martini come attento esensibile radiografo e promotore dellerelazioni interculturali fra Italia e DDR, inun lucido e sofferto saggio su Alcune vicendee problemi della cultura nella RDT del 1958registrava l’involuzione dei piani direalizzazione del marxismo nei paesi diinfluenza dell’Unione Sovietica: “Aitentativi di elaborare il marxismo in lotta ein concorrenza con le altre ideologie e diimporlo grazie alle sue intime qualità disviluppo, si è sostituita un’ortodossia chetende ad esaurirsi in se stessa, a trasformarsiin una sterile tautologia, mentre il regimesocialista […] ne è divenuto l’arcignocustode, amministratore, imbalsamatore ebecchino. D’altra parte nella Germania diBonn si andava instaurando il più feroceanticomunismo”. In questa situazione dicontrapposizione e di blocco si sviluppadagli anni Cinquanta fino al crollo del Murouna tessitura di rapporti culturali la cui

sostanziale consistenza e validità sonoaccertate da Martini valutandone la portatanel filtraggio di propaganda, censura,autocensura e dissenso che porta alla luce ilprodotto artistico. Nelle maglie più o menofitte del potere che nella DDR usava la culturaa fini strumentali, anche quando ne assicuravaapparenti aperture, o surrettizi come con lamiope e posticcia operazione del Kulturerbe,corrispettivo delle spietate, a volteimprevedibili leggi del mercato editorialedell’ovest, è sorprendente che nellaRepubblica Democratica Tedesca, definita unLeseland per produzione libraria e numerodi lettori, si alimenti e si radichi unaletteratura di notevole livello. È su questoaspetto che si intende richiamare quil’attenzione, non potendo discutere in questasede la ricchissima e stimolante sezionestoriografica proposta da Martini e neanchela ricezione nella DDR della cultura italianadella quale si presenta un quadro articolatoche l’autrice stessa propone comesollecitazione per ulteriori indagini nel solcodelle ricerche già sviluppate da SimonettaSanna. Basti comunque questo importanteassunto come riferimento alla positivaaccoglienza dell’arte di Gabriele Mucchi,della musica di Luigi Nono al di là di alcunequestioni di censura, del cinema di De Sica,e della narrativa di Pratolini, Pavese, Vittorini,Pasolini, Calvino, de Cespedes: “Larappresentazione dell’Italia viene inserita nelprocesso di analisi del passato fascista o digiustificazione del nuovo sistema sociale:l’immagine positiva della Resistenza e quellanegativa delle ingiustizie del dopoguerraitaliano dovevano servire come modello diconfronto o di contrasto con la realtà tedesco-orientale, facendo sì che l’immaginedell’Italia divenisse per il mondo letterariotedesco-orientale uno strumento di auto-rappresentazione”.Concentriamoci dunque sull’ultima partedella lunga disamina svolta da Martini ededicata alla particolare attenzione rivoltadalla germanistica italiana alla letteraturadella DDR. Dopo aver sottolineato a piùriprese il ruolo di cerniera svolto negli anni

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dal Centro Thomas Mann di Roma e dallarete di associazioni e comitati di amiciziaItalia-DDR nella promozione di iniziativeculturali, che nella loro ufficialitàconsentivano autonomia di movimento e diricerca degli studiosi nella DDR, Martinirileva il “fascino” che la DDR-Literaturavrebbe esercitato e in effetti esercitò su uncerto numero di germanisti italiani sostenutida uno spazio editoriale modesto ma assaisignificativo. Al di là delle opere basilari diriferimento sulla Germania divisa quali Ladoppia notte dei tigli (1959) di Carlo Levie La storia delle due Germanie (1968) diEnzo Collotti, dell’attrazione per gli studiosiitaliani di luoghi e centri di ricerca nei campidel classicismo e del romanticismo, delleespressioni più autenticamente antifascistedi Käthe Kollwitz e Friedrich Wolf, delteatro catalizzatore di Brecht, dellacinematografia della DEFA, è stato uno“sguardo critico-empatico”, per usare unafelice espressione di Anna Chiarloni, aguidare numerosi critici italianinell’esplorazione della società e dellaletteratura della DDR. Forse il termine“fascino” non è del tutto appropriato, perchél’interesse per la letteratura della DDR, nellasua evoluzione dal dominante realismosocialista alla scoperta della soggettività,nella pluralità dei generi letterari e nellamolteplicità di modalità rappresentativedella realtà, è stato motivato dalla caparbiavolontà di capire e valorizzare unaletteratura che affiorava dalla desolazionee dall’atrofizzazione degli ideali. Nelcronachistico descrittivismo minimalisticodi Christoph Hein, nelle proiezionimitologiche di Christa Wolf, Heiner Müller,Volker Braun e Karl Mickel, nellarappresentazione dell’universo femminile diIrmtraud Morgner e Maxie Wander si ètentato di leggere fra le righe e i versi unospazio di libertà faticosamente e a voltetortuosamente conquistato con unasensibilità discreta e mai gridata. Proprionella sintonia con molti scrittori della DDRè maturata una critica votata alla revisionein senso liberale di un sistema le cui radici

venate di utopia non scomparivano del tutto.È confortante che la giovane studiosa MagdaMartini, che non ha conosciuto la DDRprima del crollo del Muro, ci consegni unostudio rigoroso che aiuta ad approfondire uncapitolo della storia, innanzitutto perché nonvenga rimosso, come emotivamenteauspicava il poeta Kurt Drawertall’indomani della riunificazione tedescacon la sua lirica …doch che un po’corrisponde al “trotzdem” di non pochiintellettuali italiani che hanno guardato allaDDR: “dovrà pur esserci un’eredità, / chespieghi la storia del corpo, / alla quale unavolta possa io stesso risalire come a unaraccolta / di sensazioni fotografate / perchél’oblio regnerà sul ricordo”.

Fabrizio Cambi

Gerald Sommer: Heimito von Doderer:“Technische Mittel”. Fragmente einerPoetik des Schreibhandwerks, mit einemVorwort von Wendelin Schmidt-Dengler,Wien, Braumüller, 2006, pp. 262, € 24, 90

Nel celebre saggio Against Interpretation(1964) Susan Sontag sosteneva l’importanzadi giungere al contenuto dell’opera letterariaattraverso la forma dell’opera stessa: dinanzia metodologie di ascendenza psicoanaliticao marxista protese a svelare un suppostosignificato recondito del testo e dunquesempre più irrispettose del testo stesso, laSontag sosteneva il primato di una criticaletteraria che “dissolve le considerazioni sulcontenuto in quelle riguardanti la forma”.La critica dovrebbe dunque svolgere unafunzione prevalentemente descrittivamostrando “how it is what it is”, piuttostoche forzare l’opera letteraria alla ricerca diciò che essa “significa” (“what it means”).A questo tipo di critica, attenta agliingranaggi del testo letterario, appartiene ilsaggio che Gerald Sommer ha dedicato adalcuni aspetti tecnici della narrativa diHeimito von Doderer (allocuzioni al lettore,digressioni, citazioni, fraseologismi),

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interessante non solo per i germanisti maanche per gli studiosi di linguistica .L’inadeguatezza degli approcci storico-sociologici o ideologiekritisch sperimentatisull’opera di Doderer negli anni Sessanta-Settanta è da attribuirsi sostanzialmente allapeculiare natura della poetica dodereriana,in cui l’aspetto tecnico-formale dellanarrazione riveste un ruolo predominanterispetto all’aspetto contenutistico-comunicativo. Sommer pone infatti a esergodel proprio lavoro un passo tratto da unsaggio di Doderer in cui lo scrittore sostieneche ogni progresso in ambito artistico puòavvenire solamente attraverso la scoperta ela sperimentazione di nuove modalitàtecniche: “Ein entscheidender Vorstoß in derKunst kann nie geschehen durch neueGedanken oder das Ergreifen neuer Inhalte[…] Sondern nur neue technische Mittelvermögen die Kunst immer neu zubegründen, Mittel, die einer unter demZwang der Not erfindet, weil er mit den altennicht mehr auskommt“.Sulla scorta dei diari dodereriani degli anniVenti e Trenta, Sommer ripercorrepreliminarmente il ruolo fondante dell’“Ausdruck” nella poetica dell’autore,contrapposto alla “Mitteilung”, cioè al“messaggio”, al significato diretto, unambito linguistico in cui Doderer rubrica laprosa dei giornalisti, volta alla puratrasmissione di dati e notizie. In questacontrapposizione tra linguaggio come“espressione” e linguaggio come“comunicazione” si colgono, naturalmente,gli echi della Sprachkritik di Karl Kraus e iriflessi della discussione filosofica sullinguaggio intentata da molti scrittori epensatori austriaci del Novecento, daHofmannsthal, a Wittgenstein a IngeborgBachmann. Il predominio attribuito allaforma, all’Ausdruck, come modalità diespressione indiretta, determina tutta lariflessione estetica di Doderer, che sirichiamò peraltro, più volte, ai principiicompositivi della musica, un’arteinteramente dominata dall’Ausdruck. Sipensi in tal senso ai sei racconti che Doderer

redasse negli anni Venti e che intitolòDivertimenti in omaggio all’omonimacomposizione musicale e si pensi inoltre alRoman n. 7, rimasto incompiuto a causa dellamorte dell’autore: una composizioneromanzesca che prevedeva lo sviluppo di untema in quattro movimenti, proprio comenelle sinfonie.La riflessione sull’Ausdruck si arricchiscenell’analisi di Sommer di alcuni interessantirimandi alle tecniche cinematografiche. Lostesso Doderer, in una nota di diario delfebbraio 1926, osservava che la narrazionein prosa può acquisire nuove suggestioni enuovi impulsi dalle tecniche del montaggiocinematografico: “1) Ausdruck durch diesprechende Tatsachen – nicht meditativ!; 2)Kühnheit des sprunghaften Bildwechsels, 3)Knappe, zusammengeraffte Kompositions-art”. Nel cinema muto, che alla metà deglianni Venti aveva raggiunto il suo apogeo,Doderer riconosceva un medium connotatoda procedimenti puramenti espressivi, legatialla sfera dell’Ausdruck: sguardi, inqua-drature, gesti, montaggio, illuminazione,abbigliamento, accompagnamento musicalenelle sale erano gli elementi di cui il registadel muto si serviva per comunicareindirettamente con il pubblico. Comeesempio lampante di “Ausdruck durchsprechende Tatasachen”, Sommer cita unadelle scene conclusive de Il sospetto diHitchcock (1941) in cui Cary Grant, il maritodi una ricca ereditiera (Joan Fontaine), salele scale con un bicchiere di latte posato su diun vassoio per portarlo alla moglie in camerada letto. Sebbene i sospetti della moglie neiconfronti del marito si siano già manifestatinel corso del film, lo spettatore non possiedetuttavia nessuna indicazione diretta che glipermetta di sapere che il latte è avvelenato:la durata e la modalità dell’inquadratura sceltedal regista conferiscono però al bicchiere dilatte una centralità tale da indirizzare lospettatore verso la giusta interpretazione. Daquesto fecondo confronto con il mezzocinematografico Sommer muove per indicarele premesse del proprio lavoro, finalizzato aindividuare e ad analizzare quelle

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“Sinnstrukturen”, quegli elementiappartenenti alla sfera dell’Ausdruck checostituiscono la struttura sotterranea dei testidodereriani e che indirizzano implicita-mente il lettore verso un certo tipo diricezione (“Rezeptionslenker” definisceSommer questi dettagli narrativi). Lostrumento principe di cui dispone ogniscrittore per manipolare la ricezione èl’apostrofe al lettore, a cui Sommer affiancanella propria analisi la digressione, unostrumento retorico che permette la comparsadell’autore in veste di raisonneur, giacchénella digressione non parla un narratorefittizio, bensì lo stesso autore. Nel terzocapitolo Sommer analizza dunque l’utilizzo,sempre più raffinato, e il funzionamento diallocuzioni al lettore esplicite e implicite edi digressioni esplicite ed implicite neiromanzi di Doderer. Nel quarto capitolo, incui Sommer affronta l’uso dei “pre-testi”,cioè di citazioni e riferimenti ad altri testi,il metodo dello studioso si rivelaparticolarmente fruttuoso. Se infatti lecitazioni nei romanzi di Doderer eranosempre state considerate dalla critica comeriflesso dell’appartenenza dell’autore a uncerto “Bildungsbürgertum”, desideroso disuffragare opinioni personali con il ricorsoa citazioni e formulazioni pregnanti,Sommer mostra con alcune analisidettagliatissime e tecnicamente ineccepibilicome tali citazioni corrispondano sempre auna precisa intenzione narrativa. Tra i“substantielle Bezugstexte” dellaStrudlhofstiege Sommer annovera un Lieddi Strauss, tratto dalla Fledermaus(“Glücklich ist, wer vergißt, / was nichtmehr / zu ändern ist...”), L’automne d’unfemme di Marcel Prévost e Der Schut di KarlMay e dimostra come la citazione inDoderer si riveli funzionale alla raffigu-razione della condizione psichica esentimentale di un personaggio, arricchendol’interpretazione con risonanze inattese.Decisamente nuova nella Doderer-Forschung è, infine, l’analisi attuata daSommer dell’uso di fraseologismi (proverbi,modi di dire, frasi fatte, espressioni

idiomatiche, luoghi comuni), accomunabilialle citazioni nella loro qualità di repertoriolinguistico precostituito. Richiamandosi aifondamentali studi di Wolfgang Mieder suiproverbi e gli antiproverbi, Sommersottolinea le potenzialità stranianti dell’usodei proverbi in un contesto letterario ericonduce l’uso dei fraseologismi in Doderera quel contesto austriaco di Sprachkritik acui fanno capo scrittori come JohannNestroy, Karl Kraus con i suoi Sprüche undWidersprüche o, più recentemente, laElfriede Jelinek della Klavierspielerin. Ilrovesciamento di modi di dire e l’uso variatodi proverbi permettono di smascherare certicliché linguistici, di criticare implicitamentealcune idee correnti e strutture di poterevigenti e, dal punto di vista linguistico,consentono di generare nuove e inconsueteassociazioni di idee (si pensi a certi passidella Blechtrommel in cui l’allineamento dimodi di dire crea un effetto parossistico egrottesco). L’uso dodereriano deifraseologismi viene indagato esemplar-mente sulla base di un racconto degli anniCinquanta, il Divertimento No VII, che sottola lente d’ingrandimento di Sommer si rivelacome una raffinatissima trama difraseologismi, intessuti da un narratoremalizioso e divertito. Nel capitolo finaleSommer si dedica all’epilogo deiMerowinger (1962), citato in quanto summadi tutti gli strumenti tecnico-narrativiindagati nel corso del lavoro. I criticidell’epoca, abituati ad accostarsi alle operedi Doderer con le collaudate categorie di“realismo” e “naturalismo”, non poteronoche accogliere con ammirato sconcerto iMerowinger, un romanzo a cui, noncasualmente, si accostarono con simpatia einteresse gli esponenti della Wiener Gruppe.Controverso e ancora assai discusso dallacritica è l’ultimo capitolo del romanzo, incui entra in scena l’autore per definire tuttala vicenda narrata una “macabra scem-piaggine” (“ein Mordsblödsinn”). Glistrumenti critici messi a punto da Sommerillustrano la natura metaletterariadell’epilogo, in cui Doderer, con un collage

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di citazioni proprie e altrui e grazie a ripresedi motivi e temi interni al romanzo, crea unastruttura formale in sé conchiusa, un“fiktionales Paradoxon”, ossia una strutturaautonoma e autoreferenziale che nelladisamina di Sommer si configura come ilvertice della ricerca formale attuata dalloscrittore austriaco.

Paola Quadrelli

Renata Cornejo, Das Dilemma desweiblichen Ich, Wien, Praesens Verlag,2006, pp. 245, € 24,30

Un amalgama perfetto di post-femminismofrancese e della più tradizionale ermeneuticaletteraria costituisce la struttura portante deltesto di Renata Cornejo. Inserito in unacornice d’indagine storico-teorica, che vedegli Anni Settanta essere il palcoscenico dellanascita e dello sviluppo del movimentofemminista in tutta la sua più significativapotenzialità culturale, lo studio di Cornejoè voce femminile che ridisegna i concetti dilibertà, di indipendenza, di identitàsoggettiva alla luce del lungo percorsoemancipativo, in cui la donna si è elevata aldi sopra della segregazione e dellosfruttamento patriarcale. Ribadirel’importanza dello sforzo sociale esottolineare i risultati innovativi degli studiteorici di post-femministe come Cioux,Irigaray e Kristeva, non vuole dire, perCornejo, dimenticare il paradosso di cui laletteratura austriaca contemporanea èportavoce ogni qualvolta affronta lacomplessità del femminile. Elfriede Jelinek,Anna Mitgutsch ed Elisabeth Reichart,indignate per essere erroneamente eriduttivamente catalogate dallaSekundärliteratur con l’appellativo discrittrici femministe, sono comunque pursempre autrici di romanzi come DieKlavierspielerin, Die Züchtigung, Kommüber den See o Das andere Gesicht eFebruarschatten, innegabilmente a forte

matrice femminista. Il che cozza con ilprivato di alcune di loro, che, come nel casodi Elfriede Jelinek, sono personalmentecoinvolte da anni nella battaglia femministaper la liberazione della donna. Non caso,infatti, la Jelinek si definisce a tutt’oggi unafemminista, come puntualizza nell’intervistaMehr Haß als Liebe del 1995. La risposta diCornejo è pertanto quella di andare allaricerca delle radici di tale contraddizione,spiegando che il concetto di femminismoassume, nei romanzi di Elfriede Jelinek, AnnaMitgutsch ed Elisabeth Reichart, scrittriciempaticamente coinvolte con il femminismo,una nuova dimensione: ricercarespasmodicamente processi e strategie disopravvivenza per costruire un’identità digenere autonoma dal maschile. Il modello diriferimento è, a detta di Cornejo, IngeborgBachmann. Non solo rappresentante di unfemminismo ancora agli albori, ma giàprecorritrice di un fare letteratura alfemminile, la Bachmann proclama la sua setedi indipendenza dall’uomo mettendo in attostrategie linguistiche metaforiche, altamentevincolate al contesto della donna, cheprendono corpo da rapporti interpersonalinell’ambito familiare e del passato a lungorimosso. Richiamare alla mente l’esperienzadolorosa di un passato scomodo edingombrante per la costruzione del Sé e peril suo relazionarsi con l’Altro è anche motivocentrale dei romanzi Komm über den See diElisabeth Reichard, Die Züchtigung di AnnaMitgutsch e Die Klavierspielerin di ElfriedeJelinek. Se degno di nota è lo sforzo diCornejo di ricercare un comune denominatorefra teoria e pratica del testo letterariomediante lo studio di isotopie testuali, menoinnovativa risulta, invece, l’analisi, già piùvolte oggetto di indagine scientifica, delladimensione di sfruttamento e di subordine delfemminile ad opera del maschile.

Ester Saletta

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Heinrich der Glîchesære, La volpe Reinhart,a cura di Carla Del Zotto, Roma, Carocci,2007, pp.219, € 18,80

La favola esopica, i trattati di zoologiacristiana e l’epopea animale hanno godutodi una vasta diffusione e apprezzamentonella cultura occidentale e orientaledell’antichità, dell’alto e del bassomedioevo e persino dell’età moderna.Basti pensare alle raccolte di favoleesopiche del II / III, IV e IX secolo che sibasano probabilmente su corpora greci delI sec. a. C. e alle rielaborazioni in versi diFedro, Babrio e Aviano del I secolo d. C.Ricordo, inoltre, il Physiologus, tràdito invarie redazioni greche e latine, e i bestiarimedievali, la poesia mediolatina suglianimali, rappresentata da opere compostetra il X e il XII secolo quali il MetrumLeonis, La Fecunda Ratis, l’Ecbasis el’Ysengrimus. Da annoverare, altresì, sonole opere dell’epopea animale in linguaromanza – il Roman de Renart, della II metàdel XII secolo – e in varie lingue germaniche– il Reinhart Fuchs in tedesco, appunto, ilVan den vos Reynaerde, composto innederlandese intorno al 1250 e le numerosepubblicazioni e traduzioni, fra cui unaversione in bassotedesco, Reinke de Vos,stampata ad Anversa nel 1487 su cui si basala versione di Gottsched del XVIII secolo.Da includere nell’elenco è, infine, il ReinekeFuchs di Goethe, una rielaborazione del1793–1794 del testo di Gottsched.Il Reinhart Fuchs, il primo epos in tedescosugli animali, datato intorno alla fine del XIIsecolo è riconducibile, quindi, ad unatradizione orale e scritta molto ricca e varia.Ritengo, dunque, che l’edizione curata daCarla Del Zotto per la serie Bibliotecamedievale dell’editore Carocci sia unimportante contributo per gli studi difilologia germanica e per la medievistica ingenere.Devo sottolineare, in primo luogo, che unindubbio merito del volume consistenell’ampia e ricca introduzione premessa altesto. La studiosa, infatti, fornisce al lettore

informazioni indispensabili per potercomprendere e apprezzare un’opera comeil Reinhart Fuchs.Nell’introduzione, infatti, Carla Del Zottomette in rilievo i tratti innovativi del testorispetto alla tradizione a cui è ricollegabile.È corretto affermare che molte delleavventure che vedono come protagonista lavolpe Reinhart, che ordisce inganni e tranelliper danneggiare gli altri animali del regnodi Vrevel, il leone, non sono il fruttodell’invenzione del poeta, ma rappresentanoun patrimonio narrativo comune alle favoleesopiche, ai testi della tradizionemediolatina e all’epopea animale in linguaromanza. Secondo Carla Del Zotto, ilReinhart Fuchs presenterebbe, inparticolare, profonde affinità, riguardo allamateria trattata, con il Roman de Renart epiù precisamente con le branches II e Va, lepiù antiche, e III – IV, XIV, I, X, VI, VIII.Risultato della ricerca è, infatti, che talibranches siano le fonti che ispiraronol’autore, Heinrich der Glîchesære, almomento della composizione dell’epos.Il Reinhart Fuchs presenta, comunque,elementi distintivi rispetto al Roman deRenart. L’epos tedesco, rispetto all’operaromanza, è caratterizzato da un’ampiezzanarrativa minore in quanto il numero diavventure della volpe è qui inferiore e lanarrazione è coincisa ed essenziale. Inoltre,il Reinhart Fuchs presenta una strutturachiusa dotata di una conclusione, adifferenza del Roman de Renart cheoriginariamente doveva essere compostosolamente dalle avventure II e Va, attribuitedagli studiosi a Pierre de Saint Cloud, a cuipoi autori diversi avrebbero aggiunto lealtre. Carla Del Zotto sottolinea, inoltre,come l’epos tedesco racconti avventuredella volpe che il Roman de Renart nonpresenta, e che devono, quindi, essereconsiderate frutto dell’invenzionedell’autore. Quest’ultimo, inoltre, sospendefrequentemente la narrazione per inserireopinioni personali o spiegazioni che egliritiene necessarie per un pubblico che nonconosceva a fondo questa tradizione di

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racconti.Carla Del Zotto, inoltre, mette in evidenzale differenze sostanziali fra il ReinhartFuchs e il Physiologus, i bestiari e le operedella favolistica antica e della poesiamediolatina sugli animali. Nel Physiologuse nei bestiari medievali la rappresentazionedel mondo degli animali è condizionata dalfatto che queste opere sono state compostecon un intento didattico di istruzionereligiosa. La natura degli animali èinterpretata in chiave allegorico–simbolicae, quindi, i tratti teologici e dottrinali sonodominanti. Nel Reinhart Fuchs, ma anchenell’Ysengrimus e nel Roman de Renart, glianimali non sono più rappresentazioniallegoriche di vizi e virtù. Ogni animalepresenta tratti antropomorfi, ha una propriaindividualità e specificità, un determinatomodo di essere e agire, che è allo stessotempo distintivo per l’intera specie che eglirappresenta. Natura animale ed elementoumano, dunque, si confondono e mescolano.Queste opere, inoltre, non hanno un intentoprettamente didattico come le favoleesopiche che, invece, pretendono ditrasmettere un insegnamento moralegenerale. Caratteristica comune all’Ecbasis,all’Ysengrimus, alle branches più tarde delRoman de Renart e al Reinhart Fuchssarebbe, secondo la curatrice del volume, ilcarattere satirico e di parodia delle istituzionireligiose e politiche. Il Reinhart Fuchsmetterebbe in rilievo la debolezzadell’ordine feudale, il dissolversi dellasolidarietà del ceto cavalleresco el’inadeguatezza di chi dovrebberappresentare la legge. Il poema tedescoandrebbe considerato come un’opera dicritica della politica imperiale degliHohenstaufen e in particolare di Federico I.L’imperatore, infatti, si sarebbe resocolpevole di aver limitato il potere e iprivilegi dell’alta aristocrazia a vantaggiodella Corona, servendosi per l’ammi-nistrazione del regno non di esponenti dellanobiltà, come consuetudine, ma di sempliciministeriali.L’opera è tradita in tre manoscritti: il più

antico, il Ms. poet. Germ et Rom I, 8° (inizioXIII sec., Murhardsche Bibliothek, Kassel),il Codex Palatinus Germanicus 341 (inizioXIV sec., Universitätsbibliothek, Heidelberg)e infine il Cod. Bodmer 72 (inizio XIV sec.,Bibliotheca Bodmeriana, Fondation MartinBodmer, Ginevra - Cologny). Questi codicivengono indicati rispettivamente con le sigleS, P, K. Nella presente edizione il manoscrittoguida è P di cui però Carla Del Zottosostituisce alcune lezioni con quelle di K oS. Interessante per il lettore è, a mio avviso,la scelta di riportare accanto alla versione diP le varianti dei frammenti del manoscrittoS. Se, infatti, nella versione di S vi è solo larivendicazione della paternità dell’opera daparte dell’autore, che inserisce il proprionome in terza persona singolare (vv. 1784–89), la versione del manoscritto P - come sievince dai versi 2251–55, Hie endet ditz mere./ daz hat der glichesere / her Heinrichgetichtet / vnde lie die rime vngerichtet. / dierichte sider ein ander man - è stata rielaboratada una persona diversa dall’autore. Icambiamenti adottati nella versione di P sonodettati da un intento narrativo diverso. Il tonoironico che pervade l’intera opera in S èmitigato dal rielaboratore a favore di uno stilenarrativo moraleggiante simile a quello di unamære.Si può, dunque, affermare che l’edizione diCarla Del Zotto sia ben riuscita, soprattuttoperché riesce a mettere in rilievo, attraversol’ampia introduzione e i criteri di edizioneadottati, alcuni degli aspetti più interessantidella cultura medioevale: il complessorapporto esistente fra il rispetto di unatradizione narrativa e la volontà diinnovazione che porta l’autore e ilrielaboratore dell’epos tedesco a rivendicareil proprio ruolo nella composizionedell’opera.

Edoardo Stolcis

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INTERVENTI

Magda Martini e Michele Sisto

Il cinema della riunificazione tedesca:cinque film tra memoria e identità

Nei mesi di marzo e aprile 2007 si è tenutaalla Facoltà di Lettere dell’Università diTrento una rassegna cinematografica sultema della riunificazione tedesca.L’iniziativa è stata pensata nell’ambito diun progetto di ricerca del Centro per gliStudi Storici Italo-Germanici dellaFondazione Bruno Kessler, voluto dal prof.Gian Enrico Rusconi e coordinato dalladott.ssa Fiammetta Balestracci, che intendeindagare le trasformazioni intervenute nelcorso degli anni ’90 nei rapporti politici eculturali tra Italia e Germania (ProgettoID90).L’obiettivo della rassegna era quello diraccontare attraverso il cinema la Germaniadi oggi e il suo rapporto con il recentepassato, dalla divisione alla riunificazione.Alla discussione pubblica che dalla cadutadel muro ha coinvolto la politica el’intellettualità tedesche ed è tutt’oggi assaiviva, la cinematografia ha contribuito connumerose opere. I cinque film proiettati nonsono stati scelti in base alle loro qualitàestetiche, ma appunto per proporre esempidelle principali tendenze interpretativeemerse nel corso degli anni.Das Versprechen di Margarethe von Trotta,del 1994, è il film più datato tra quellipresentati e, nello schematismo della tramae nel pesante gusto per la simmetria,rispecchia tutti i tic coi quali si guardavaalla Germania divisa nei primi anni dellariunificazione. All’inizio degli anni ’90,infatti, il discorso sulla Ddr erageneralmente appiattito su alcuni aspetti: ilmuro, con il relativo divieto di espatrio; laStasi, con i suoi metodi intimidatori; laconnivenza degli intellettuali conl’establishment politico; il controllo

pervasivo della burocrazia di partito sullavita professionale e privata dei cittadini. InDas Versprechen il tema della fuga aoccidente fa confluire nella Brd ognielemento positivo e fa sì che della Ddr vengarappresentato esclusivamente il voltorepressivo. La Ddr è vista come unaparentesi nella storia tedesca, totalmentenegativa e da dimenticare al più presto.Questo sguardo, ancora condizionato dallepolarità ideologiche della guerra fredda, nonrisparmia tuttavia neanche l’ovest: nel filmil Bahnhof Zoo di Berlino è rappresentatocome una sorta di girone infernale popolatoda punk e tossicodipendenti.Forse è ingeneroso, oggi, pretendere che lavon Trotta, a così breve distanza dall’89,desse prova di maggior distacco dagli eventi;ma si tratta pur sempre della regista che conAnni di piombo era riuscita ad affrontare acaldo il tema del terrorismo da un’angolaturadel tutto spiazzante, cosa che rende quel filmvalido ancora oggi. Si può considerareinoltre che, mentre Das Versprechen venivagirato, Thomas Brussig scriveva Helden wiewir, un testo tutt’altro che benevolo neiconfronti della Ddr ma capace di giocare coicliché anziché prenderli sul serio, e GünterGrass tentava, con Ein weites Feld, diinserire il passato e la vita quotidiana dellaDdr nel più ampio contesto della storianazionale, risalendo fino alla unificazionebismarckiana del 1871. Forse il difettoprincipale del film, che pure si avvale dellasceneggiatura di Peter Schneider, autore conDer Mauerspringer di uno dei pochiromanzi significativi sul tema delladivisione tedesca, sta nell’affrontare lamateria in modo troppo diretto, prendendoposizione su tutto e concedendo poco o nullaai chiaroscuri della realtà. Più che raccontareuna storia il film vuole insegnare la storia.Uno sguardo sul passato completamentediverso, in equilibrio tra parodia e nostalgia,caratterizza invece Helden wie wir delgiovane regista Sebastian Peterson. Il filmè tratto dal romanzo omonimo, in cui iltedesco-orientale Thomas Brussig avevaironizzato, con una satira graffiante, sulla

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mancanza di coraggio civile dei suoiconcittadini. Gli “eroi come noi”, ai qualisi attribuisce il merito della caduta del murodi Berlino, venivano smascherati comeantieroi, assuefatti da decenni di repressionepolitica alla più docile accondiscendenzanei confronti del potere: nella “rivoluzionepacifica” dell’89, secondo l’autore, nonc’era stato nessun eroismo, solo grottescacasualità.Tra l’uscita del romanzo (1995) e la suatrasposizione cinematografica (1999)passano però quattro anni: nel frattempoBrussig pubblica un altro romanzo, Auf demkürzeren Ende der Sonnenallee (1999,trasposto anch’esso in film nello stessoanno), espressione del nuovo fenomenodella Ostalgie. A dieci anni dalla riuni-ficazione si inaugura un modo inedito, deltutto apolitico, di guardare alla Ddr: non piùdittatura totalitaria, territorio di caccia dellaStasi, ma luogo di una giovinezzaspensierata, che come tale diventa mito,oggetto di culto vintage, una sorta di Happydays socialista. Evidentemente influenzatoda questa tendenza Peterson risolve il suoHelden wie wir in una storia d’amore a lietofine, stemperando in tonalità ingiallite dafilmino amatoriale gran parte della caricapolemica del romanzo.Pur essendo poco più che una moda, laOstalgie ha il merito di restituire dignità allamemoria tedesco-orientale, che neltravestimento della nostalgia e della parodiatrova cittadinanza nel linguaggiocinematografico della Germania unita.Intrecciandosi con la linea epico-drammatica rappresentata dalla von Trotta,la Ostalgie ha prodotto un film assai riuscitocome Good Bye, Lenin! di Wolfgang Becker(2001), non incluso nella rassegna perchében noto anche al pubblico italiano. Abeneficiare dell’incontro tra queste duelinee prospettiche è anche un film piùtradizionale come Die Stille nach demSchuß (2001). Narrando la vicenda di unaterrorista, che trova rifugio nella Ddr sottola protezione della Stasi, il registaoccidentale Volker Schlöndorff e lo

sceneggiatore orientale Wolfgang Kohlhaaseriescono a dare una rappresentazione delledue Germanie, se non equilibrata, certamentemeno parziale e schematica di quanto nonfaccia Das Versprechen. I destini incrociatidelle due protagoniste, la terrorista che fuggeall’est e l’amica tedesco-orientale chevorrebbe invece passare all’ovest, permettonodi accostare le esperienze divise della Brd edella Ddr all’insegna di un doppio rifiuto.Non c’è più un luogo dove fuggire, una partegiusta: a est la dittatura, a ovest una societàiniqua in cui il dissenso radicale non puòesprimersi che attraverso un terrorismoaltrettanto iniquo.L’apparato di controllo della Stasi, che nelfilm di Schlöndorff ha ancora i connotaticaricaturali di una burocrazia piccolo-borghese, è al centro dell’opera prima delgiovanissimo regista tedesco-occidentaleFlorian Henckel von Donnersmarck, DasLeben der Anderen (2006), vincitorequest’anno dell’Oscar per il miglior filmstraniero. Frutto di un ampio lavoro didocumentazione, che si è avvalso di ricerched’archivio e della consulenza di storici, il filmha esplicite ambizioni realistico-documentarie. La Ddr che vi viene descrittaè quella degli anni successivi al casoBiermann, nella quale la Stasi intensifica ilsuo lavoro di spionaggio interno e i rapportitra intellettuali e potere si deteriorano in modoirreversibile. Avvalendosi dello strumentariodel miglior cinema hollywoodiano – unasceneggiatura abile e tesa, personaggi dalprofilo nettamente ritagliato, un usospettacolare della fotografia, la giusta dosedi erotismo – Das Leben der Anderen ritraela Ddr, per la prima volta, con estremaefficacia realistica. Agli occhi del grandepubblico si rivela così la situazione dellacultura tedesco-orientale, l’onnipotenza dellaStasi, il clima di diffidenza diffuso anche trale persone più intime.La parabola dell’uomo buono, in questo casolo scrittore dissidente Dreymann, che con ilsuo esempio induce alla conversione il suosorvegliante, il funzionario della StasiWiesler, è di evidente ascendenza brechtiana

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e funziona perfettamente nell’illustrare iltema dell’opposizione individuale contro unapparato di potere repressivo. Calata peròcon intenti dichiaratamente documenta-ristici nel contesto storico tedesco-orientaleha qualcosa di stridente, risulta improbabilee semplificatoria. L’ambientazione,puntigliosamente rigorosa, ha l’effetto dimoltiplicare le incongruenze della trama:per limitarsi a un solo esempio, ilfunzionario che tradendo la causa delsocialismo si fosse schierato dalla parte deldissenso non avrebbe rischiato soltanto lacarriera, come avviene nel film, ma la libertào perfino la vita.Il punto debole del film risiede in questagrande contraddizione: da una parte l’autoreha perseguito un realismo di dettaglio,utilizzando i macchinari e le attrezzatureoriginali della Stasi, ambientando le scenein luoghi reali, correggendo ogni battutadella sceneggiatura per verificare che noncontenesse modi di dire e definizioniimpropri per la Germania socialista. D’altraparte però permane una grossolanità disostanza nella rappresentazione della societàtedesco-orientale: il film evoca inten-zionalmente non la Ddr della realtà ma laDdr della memoria tedesco-occidentale: unluogo desolato, deserto e grigio. Questadistorsione è esplicitamente perseguitanell’uso del colore: prevale il grigio inmigliaia di sfumature, mentre i rossi e i blusono stati appositamente sostituiti datonalità marroni e verdi.L’acceso dibattito seguito all’uscita del film,con prese di posizione ora plaudenti orasdegnate di intellettuali orientali eoccidentali, denuncia come la riflessionesulla storia recente sia ancora tutt’altro chepacificata. Per quanto dunque costituisca unconsiderevole progresso rispetto ad altrifilm, correggendo alcune delle storture piùgrossolane nella rappresentazione delpassato, Das Leben der Anderen rimaneaffetto da un vizio di fondo, che è quello diguardare alla storia in modo ideologico.Dall’ideologia è invece pienamente liberatoBerlin is in Germany, opera prima di Hannes

Stöhr (2001). Il motore del film è puramentenarrativo e prende avvio da una situazioneiniziale classica, comune alla narrativaamericana e a Berlin, Alexanderplatz diDöblin: un uomo esce dal carcere. Arrestatoper omicidio colposo nel luglio 1989, neltentativo di fuggire dalla Ddr, Martin Schulztorna in libertà dopo undici anni e si ritrovain un paese che non riconosce più. Nelquaderno del figlio undicenne, che non havisto nascere, legge “My name is RokkoSchulz. I’m a boy from Berlin. Berlin is inGermany”. Nel tentativo di ricostruirsi unavita, Martin si imbatte nei vincitori e neivinti della riunificazione e, a causa della suafedina penale, finisce a sua volta ai marginidella società. Grazie a questa prospettiva,che non prende di petto la storia ma laaccosta in obliquo, Berlin is in Germany ciracconta poco del passato, ma restituisceun’immagine di quel “muro nelle teste” cherende difficile la costruzione di una nuovaidentità nazionale tedesca: il film denunciale contraddizioni del processo diriunificazione, ma d’altra parte vuol esseredi buon auspicio per il superamento di talidifficoltà.

Valentina Crestani

Lingua, cognizione, cultura: il 43° convegnodell’Institut für Deutsche Sprache diMannheim

L’interazionalità tra lingua, cognizione,cultura è l’oggetto delle 14 relazioni espostedurante il quarantatreesimo convegnodell’Institut für deutsche Sprache (IDS) diMannheim, tenutosi nel periodo 6-8 marzo2007 e che ha visto la partecipazione diquasi 400 persone provenienti da 25 paesi.Il titolo del congresso Sprache, Kognition,Kultur ed il suo sottotitolo Sprache zwischenmentaler Struktur und kultureller Prägungriassumono l’essenza dei temi trattatiapprofonditamente, che condividono l’idea

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per cui la lingua è influenzata dalla strutturamentale da un lato e dalla cultura dall’altro.La conferenza è suddivisa ulteriormente in5 sottoambiti: Prinzipien und Positionen;Diskurs und Handlung; Geschichte undGesellschaft; Verstehen und Verständigung;Wahrnehmen und Erkennung.

La prima relazione del congresso, Spracheund Kolletiv, tenuta da Klaus P. Hansen(Università di Passau), si fonda sull’idea chela lingua sia il risultato della cultura.Passando dall’adattamento all’ambiente allasua manipolazione attiva, l’uomo basa la suaevoluzione sulle condizioni necessarie dilingua, collettività e comunicazione. Hansendescrive la lingua come un “Gewebe”, unostrumento di comunicazione di unacollettività ed un fenomeno culturale: essaè, infatti, “ein Stück Kultur” paragonabilealla cultura, come dimostra l’esempio dellamoda maschile. I simboli che un capod’abbigliamento intrinsecamente racchiudesono comparabili ai significati della lingua:sia un abito (quindi la cultura) sia la linguasono portatori di standardizzazioni utili allacollettività di riferimento. Il tema di culturae lingua trova fondamento anche nelsecondo intervento, Vergesellschaftung –Was Sprache, Kultur und Gesellschaftmiteinander zu tun haben. Angelika Linke(Università di Zurigo) sottolinea la svoltanelle scienze sociali ed umane alla fine delXX secolo, che ha portato ad una nuovasensibilità verso la lingua: la riscoperta dellacultura nella lingua e della lingua nellacultura. Linke enuclea i concetti di lingua,cultura e comunicazione, menzionandoCassirer, per cui la lingua è mezzo simbolicoper la costruzione del mondo, e Geerzt, chedefinisce la cultura come rete di significatia cui dare un’interpretazione. SecondoLinke l’uomo è partecipante attivo nelprocesso interpretativo del patrimonioculturale “leggibile”. L’atto linguistico creasignificati e configurazioni sociali, così chela costruzione di una società è un prodottolinguistico-comunicativo. Di prospettivadifferente rispetto alle prime esposizioni èSprache und Gehirn (Angela D. Friederici,

Max-Planck-Institut für Kognitions- undNeurowissenschaften, Lipsia). Partendodall’analisi neuro-fisiologica, Friedericispiega la differenziazione di funzioni nellacomprensione linguistica tra gli emisfericerebrali, tra i quali deve intercorrere unacomunicazione sufficientemente veloce. Asostegno della tesi riporta alcuni esperimenti(esperimenti fMRT e artificial grammarexperiments) dimostrando come pazientiprivi di una adeguata interazione tra gliemisferi non riescono a giungere ad unacorretta comprensione.

Analizzando un’ulteriore sfaccettatura,Dietrich Busse (Università di Düsseldorf) haesposto la prima relazione del sottoambitoDiskurs und Handlung dal titolo LinguisticheEpistemologie. Zur Konvergenz vonkognitiver und kulturwissenschaftlicherSemantik am Beispiel von Begriffsgeschichte,Diskursanalyse und Frame-Semantik.Compito dell’epistemologia linguistica èl’esplicitazione della conoscenza necessariaper la comprensione di una parola o di unafrase. Busse si sofferma, inoltre, sulla Frame-Analyse (Fillmore): frame indica un insiemestandardizzato degli elementi dellaconoscenza, che si caricano della funzionecostitutiva di significato solo grazie alla loroposizione in un ambito referenziale. Busseespone, infine, dieci tesi per individuarel’interrelazione tra linguistica, scienzacognitiva e studio della cultura. Nuovamentenell’ambito di Diskurs und Handlung sicolloca la presentazione Sprache, Diskurs,Interdiskurs und Literatur di Jürgen Link(Università di Dortmund). Lo studiosoriprende il concetto di discorso e dilinguaggio (Foucault, 1969): il linguaggio èun insieme di discorsi appartenenti a unadeterminata epoca, mentre il discorso sicaratterizza come sapere storico specifico esottoposto alle leggi della variabilità. Il filoconduttore seguito da Link è quello di unarete tra lingua, discorso, interdiscorso eletteratura, metaforicamente rappresentatadall’esempio de Il castello (Kafka), dove ilprotagonista si trova racchiuso in una “rete”

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che avvolge ogni cosa. L’ultima relazionedel sottoambito è rivolta allo studio dellaPerformanz in rhetoriktheoretischer Sicht:Joachim Knape (Università di Tübingen)definisce Kompetenz/Performanz eRhetorik/Persuasion. La Rhetorik (ars benedicendi) appartiene alla categoria dellaKompetenz, mentre la Persuasion (arspersuadendi) è Performanz: da questasuddivisione tra categorie, si può dedurre ladifferenza, in apparenza sottile, tra retoricae persuasione. La retorica si fonda suconcetti più astratti rispetto alla persuasione:secondo Knape, essere persuasivi significa“effektiv zu sein”, mettendo in atto ilrisultato ottenuto dopo un attento lavoro diretorica (inventio, dispositio, elocutio,memoria, actio).

Lasciando spazio al panorama storico-linguistico, il terzo sottoambito delconvegno, Geschichte und Gesellschaft, siapre con l’argomentazione Lexikographieund Kulturgeschichte: 1.400 JahreRechtskultur im Spiegel des DeutschenRechtswörterbuchs di Ingrid Lemberg(Heidelberger Akademie der Wissen-schaften), secondo cui il patrimoniolinguistico è la rappresentazione di ciò chel’uomo come individuo e collettività hacreato e, quindi, memoria culturale di unpopolo: condizione necessaria per lo studioapprofondito della lingua è la comprensionelessicale delle fonti resa possibile grazie aglistrumenti offerti dalla lessicografia storica.Dopo queste premesse Lemberg si dedicaalla struttura del Deutsches Rechts-wörterbuch (DRW), dizionario cheraccoglie le voci del diritto nel periodo V-XIX secolo. I lemmi inseriti provengono datesti di diritto, leggi, canti popolari ecronache: il DRW è, quindi, uno specchiodella tradizione giuridico-culturaledell’ambiente germanico-occidentale.Nuovamente relativa a tematiche storiche èla presentazione 40 Jahre Begriffsgeschichte- The State of the Art di Willibald Steinmetz(Università di Bielefeld). Steinmetz spiegala diversa fisionomia della semantica storicae della Begriffsgeschichte (Koselleck) e lo

sviluppo vivace di quest’ultima,soffermandosi sui suoi problemi teorici emetodologici, ed evidenziandone lapredilezione per l’analisi diacronica, che,tuttavia, offre spiegazioni inadeguate:occorre necessariamente basarsi sullamicrodiacronia, in grado di motivare iprocessi che hanno prodotto mutamentilessicali. Il linguista si concentra, inoltre,sull’ipotesi per cui si possano individuaremodelli temporali tipici di un mutamentosemantico in correlazione a quello sociale:1. perdita di plausibilità di parole per eventistraordinari; 2. potenziamento del valored’uso di parole in situazioni comunicativeripetute; 3. sconvolgimento della linguaattraverso prestiti. Altro problema discussoè la possibilità di una interdipendenza traconcetti e parole: ad esempio Staat inriferimento all’alto medioevo è utilizzabileteoricamente, ma non riflette la realtàdell’epoca. Obiettivo della Begriffs-geschichte è, dunque, quello di difendere leepoche storiche dall’invasione di concetticreati in periodi successivi. Sullacorrelazione tra mutamenti sociali elinguistici argomenta anche HeidrunKämper (IDS di Mannheim) inSprachgeschichte als Umbruchgeschichte.Sprache im 20. Jahrhundert und ihreErforschung, dove sostiene il concetto dicambiamento radicale come prospettiva dianalisi per la storia della lingua. Lamanifestazione dei cambiamenti sociali alivello linguistico provoca un veromutamento, quando essa si trasforma daevento temporaneo a fenomeno duraturo.Esemplificativamente Kämper ricorre alconcetto di Demokratie/Demokratisierung,caratterizzante per il XX secolo: la storialinguistica della Germania è suddivisibilein cinque cesure temporali, ognunacaratterizzata da un evento storico e untermine (1918 Repubblica di Weimar,Demokratisierung; 1933 dittatura nazio-nalsocialista, Entdemokratisierung; 1945occupazione degli Alleati, Redemokra-tisierung; 1967 movimenti di protesta,Radikaldemokratisierung; 1989 riunifi-

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cazione, Umdemokratisierung).

Abbandonando la prospettiva storico-linguistica, il primo relatore del sottoambitoVerstehen und Verständigung, ArnulfDeppermann (IDS di Mannheim), inVerstehen im Gespräch si concentra sulladifferenza tra testo e dialogo, ricalcando ildualismo scrittura/oralità, e sull’organiz-zazione della comprensione nel dialogo. Illinguista delinea il progetto di ricerca di cuisi occupa il dipartimento di pragmaticadell’IDS (Sprachlich-kommunikativeVerfahren der Dokumentation von Verstehenin der verbalen Interaktion): sulla base diautentici dialoghi vengono analizzate leinterazioni tra partecipanti e tipichemanifestazioni linguistiche. ComeDeppermann, Bernd Ulrich Biere(Università di Koblenz-Landau)nell’intervento Sprachwissenschaft alsverstehende Wissenschaft analizza lacomunicazione verbale, individuando iprocessi sottostanti alla comprensione eadottando un metodo di analisi basato sullaparole nell’ambito di una ermeneuticalinguistica: il linguista deve capire ildiscorso, arrivando ad una comprensionemigliore del creatore stesso del discorso(Schleiermacher). Biere presenta unalinguistica ermeneutica, facendo il puntosulla tradizione ermeneutica: in brevis cital’ermeneutica dell’Illuminismo (Chlade-nius), l’ermeneutica romantica (Schleier-macher) e l’ermeneutica filosofica(Gadamer) giungendo ad una ermeneuticaradicale.

L’ultima giornata del convegno è dedicataa Wahrnehmen und Erkennen. MonikaSchwarz-Friesel (Università di Jena) inSprache, Kognition und Emotion: neueWege in der Kognitionswissenschaft sisofferma sull’emozione, tema vistotradizionalmente come “esotico” dallalinguistica a causa della difficoltà adescriverlo con precisione scientifica.Tuttavia, l’importanza dell’emozione è statariconosciuta dalla psicologia cognitiva edalla filosofia. Illustrando le reciproche

interazioni tra emozione e cognizione,Schwarz definisce le emozioni come sistemidi conoscenza e valutazione ed i sentimenticome emozioni percettibili cognitivamente,dunque fenomeni cognitivi.

Basata su ricerche empiriche è la relazione diDmitrij Dobrovol’skij (Russische Akademieder Wissenschaften ed UniversitàLomonosov, Mosca): Idiom-Modifikationenaus kognitiver Perspektive. Occorre scoprirei meccanismi cognitivi, che regolano lepossibilità di variazione delle struttureidiomatiche, e fornire una plausibile tipologiadelle modificazioni. Secondo le caratteristicheformali si possono individuare tipi divariazione (modificazioni morfologiche,lessicali e sintattiche) e concrete tecniche divariazione (aggiunta, sostituzione,eliminazione di costituenti). Lo studiosoespone una suddivisione a livello lessicale:modificazioni standard (attinenti alle regole)e modificazioni non standard (devianti dalleregole), tra cui si possono individuarevariazioni “riuscite” (derivate dal contesto edalla situazione) e “non riuscite” (erronee).Dobrovol’skij enuclea l’opposizione tra formeidiomatiche utilizzate in tono scherzoso oserio, evidenziando come tale contrasto siasolo in parziale relazione con la modificazionedella struttura. Lo studioso termina con lemodificazioni idiosincratiche (non derivabilida una regola lessicale o sintattica) e stabiliteda regole (interessanti per la grammatica delleforme idiomatiche) ed introduce alcuniesempi di modificazioni di struttureidiomatiche, spiegando come il contesto siadeterminante per stabilire le conseguenzesemantiche e pragmatiche di una modi-ficazione.

Tornando ad un ottica più teorica, ManfredBierwisch (Università Humboldt, Berlino) inBedeuten die Grenzen meiner Sprache dieGrenzen meiner Welt? si sofferma sullacombinatorietà di simboli, attraverso cui illinguaggio diventa mezzo per rappresentaregli ambiti dell’esperienza. A questo proposito,cita Searle, che con expressibility indica lacondizione per cui il pensiero è esprimibile

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verbalmente, e Wittgenstein (il cui dictuminteso, però, come domanda costituisce iltitolo della relazione). Argomenta, inoltre,che all’insieme degli oggetti verbalizzabiliappartengono gli oggetti stessi ed icorrispettivi termini: ogni lingua è, quindi,metalingua di se stessa. L’expressibilitydiventa condizione per la consapevolezzadi “essere nel mondo”, che non può esseremeramente ridotto al significato diverbalità: riferendosi alla musica e all’arte,Bierwisch dimostra che il mondo dell’uomonon è limitato entro i confini linguistici. Gliambiti non strettamente linguistici sono,però, influenzati e modificati dallecondizioni nate in seno alla lingua: la linguadiventa condizione per l’articolazione di ciòche non è articolabile.

Come si può dedurre, punto d’intersezionedelle esposizioni brevemente riassunte èl’interrelazione esistente tra lingua,cognizione e cultura. Pur essendo unrapporto estremamente complesso edifficile da esaurire per le diversedimensioni implicate, che non si possonoridurre alla sola prospettiva linguistica, ognirelatore è riuscito ad analizzare unasfaccettatura della interdipendenza tra ifattori sopracitati, considerando sempre lalingua come principale oggetto di studio. Iconfini della linguistica non sono separatidalle altre scienze, ma si fondono con esseed ad esse si appoggiano per comprenderemeglio i processi sottostanti alla lingua.

PUBBLICAZIONI

SAGGI

Elena Agazzi, La grammatica del silenziodi W. G. Sebald, Roma, Artemide, 2007, pp.156, € 20

Roberta Ascarelli, Claudia Sonino (a curadi), “Scrivo in tedesco perché sono ebreo”.Codici, bilanci, prospettive di studio sulla

letteratura ebraico-tedesca, Arezzo,Biblioteca Aretina, 2007, pp. 208, € 15

Erich Auerbach, La corte e la città. Saggisulla storia della cultura francese, trad. diGiorgio Alberti, Anna Maria Carpi e VittoriaRuberl, introd. di Mario Mancini, Roma,Carocci, 2007, pp. 221, € 19,50

Sandro Barbera – Renate Müller Buck (acura di), Nietzsche nach dem erstenWeltkrieg, vol. I, Pisa, Ets, 2007, pp. 360, €30

Tiziana Barrilà, Elfriede Jelinek e il suomodus teatrale. La complessa produzionedella scrittrice austriaca Nobel dellaletteratura, Firenze, Firenze Atheneum,2007, pp. 120, € 9,80

Maurizio Basili, Thomas Hürlimanndrammaturgo, narratore e saggista, Roma,Aracne, 2007, pp. 152, € 10

Italo Michele Battafarano, Mit Luther oderGoethe in Italien. Irritation und Sehnsuchtder Deutschen, Trento (Labirinti 106),Dipartimento di Studi Letterari, Linguisticie Filologici, 2007, pp. 165, € 20

Stefano Besoli (a cura di), LudwigBinswanger. Esperienza della soggettivitàe trascendenza dell’altro. I margini diun’esplorazione fenomenologico-psichia-trica, Macerata, Quodlibet, 2007, pp. 814,€ 45

Giuseppe Bevilacqua, Una questionehölderliniana. Follia e poesia nel tardoHölderlin, Firenze, Olschki, 2007, pp. 172,€ 18

Susanna Böhme-Kuby, L’avvenire delpassato. Die Zukunft der Vergangenheit.Italia e Germania: le note dolenti, Udine,Editrice Universitaria Udinese, 2007, pp.344, € 20

Bernhard Böschenstein, Hofmannsthal e

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l’Italia, trad. di Marco Rispoli, Udine,Forum Editrice, 2006, pp. 32, € 8,50

Sandra Bosco Coletsos, Il tedesco linguacompatta. Problemi di traducibilità initaliano, Alessandria, Edizioni dell’Orso,2007, pp. 130, € 16

Paola Bozzi, Vilém Flusser. Dal soggetto alprogetto: libertà e cultura dei media, Torino,Utet Università, 2007, pp. 210, € 19,50

Tilman Buddensieg, L’Italia di Nietzsche.Città, giardini e palazzi, trad. di LauraNovati, Milano, Scheiwiller, 2007, pp. 269,€ 18

Cristina Campo, Caro Bul. Lettere a LeoneTraverso (1953-1967), a cura di MargheritaPieracci Harwell, Milano, Adelphi, 2007,pp. 214, € 19

Marialuisa Caparrini, La letteraturaculinaria in bassotedesco medio.Un’indagine linguistica e storico-culturalesulla base del ricettario di Wolfenbüttel(cod. Guelf. Helmst. 1213), Göppingen,Kümmerle, 2006, pp. 273, € 36

Antonio Carrano, Il destino che prova. Ildestino nella riflessione di fine Settecentoin Germania (Herder, Schelling, Hölderlin,Hegel), Roma, Editori Riuniti, 2007, pp.246, € 22

Gabriella Catalano, Musei invisibili. Idea eforma della collezione nell’opera di Goethe,Roma, Artemide, 2007, pp. 288, € 20

Raffele Ciafardone, La “Critica dellaragion pura” di Kant. Introduzione allalettura, Roma, Carocci, 2007, pp. 220, € 15

Andrea Cuccia, “Più luce!” Gli aspettimassonici nella vita e nelle opere di JohannWolfgang Goethe , Soveria Mannelli,Rubbettino, 2007, pp. 189, € 14

Claudio Di Meola, La linguistica tedesca.

Un’introduzione con esercizi e bibliografiaragionata. 2. edizione, Roma, Bulzoni, 2007,pp. 288, € 23

Giulia A. Disanto, La poesia al tempo dellaguerra. Percorsi esemplari del Novecento,Milano, Franco Angeli, 2007, pp. 234, € 25

Francesco Fistetti – Francesca R. RecchiaLuciani (a cura di), Hannah Arendt. Filosofiae totalitarismo, Genova, Il Nuovo Melangolo,2007, pp. 264, € 28

Konstanze Fliedl, Schnitzler e l’Italia, trad.di Ylenia Forti, Udine, Forum Editrice, 2006,pp. 36, € 8,50

Aly Götz, Lo stato sociale di Hitler. Rapina,guerra razziale e nazionalsocialismo, trad.di Umberto Gandini, Torino, BollatiBoringhieri, 2007, pp. 406, € 24,50

Barbara Griffini, Temi e tendenze dellaletteratura tedesca contemporanea e suadivulgazione in Italia, Udine, EdizioniForum, 2006, pp. 28, € 8,50

Iris Jammernegg, La comunicazione pubblicae istituzionale in Germania e Austria.Strategie e stili comunicativi, Udine, EdizioniForum, 2007, pp. 160, € 16

Hans-Gerd Koch (a cura di), “Quando Kafkami venne incontro...”, trad. di Franco Stelzer,Roma, Nottetempo, 2007, pp. 361, € 18

Giancarlo Lacchin (a cura di), JohannWolfgang Goethe. Evoluzione e forma,Seregno, Herrenhaus, 2007, pp. 222, € 18

Michael Löwy, Kafka sognatore ribelle, trad.dal francese di Guido Lagomarsino, Milano,Eleuthera, 2007, pp. 134, 13

Giuliano Marini, La filosofia cosmopoliticadi Kant, Roma-Bari, Laterza, 2007, pp. 278,€ 24

Magda Martini, La cultura all’ombra del

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muro. Relazioni culturali tra Italia e DDR(1949-1989), Bologna, Il Mulino, 2007, pp.464, € 30

Raoul Melotto, Rainer Maria Rilke: l’altroOrfeo, Bologna, Clueb, 2007, pp. 264, € 22

Massimo Mezzanzanica, Dilthey filosofodell’esperienza. Critica della ragionestorica: vita, struttura e significatività,Milano, Franco Angeli, 2006, pp. 256, € 21

Angela Maria Michelis, Libertà eresponsabilità. La filosofia di Hans Jonas,Roma, Città Nuova, 2007, pp. 360, € 20

Paolo Panizzo, Ästhetizismus undDemagogie. Der Dilettant in ThomasManns Frühwerk, Würzburg, Königshausen& Neumann, 2007, pp. 236, € 38

Marco Paolino, La Germania dopo lariunificazione, Viterbo, Sette Città, 2007,pp. 172, € 13

Paolo Piccolella, Il limite di Prometeo.Pensare uomo, natura e Dio con HansJonas, Roma, Lithos, 2006, pp. 283, € 15

Fabio Polidori, Necessità di una illusione.Lettura di Nietzsche, Roma, Bulzoni, 2007,pp. 170, € 13

Alois Prinz, Disoccupate le strade dai sogni.La vita di Ulrike Meinhof, trad. di MonicaMarotta, Roma, Arcana, 2007, pp. 248, €14

Pavel Rebernik, Heidegger interprete diKant. Finitezza e fondazione dellametafisica, Pisa, Ets, 2007, pp. 292, € 18

Paola Rumore, L’ ordine delle idee. Lagenesi del concetto di “rappresentazione”in Kant attraverso le sue fonti wolffiane(1747-1787), Firenze, Le Lettere, 2007, pp.312, € 28

Maria Grazia Saibene – Marina Buzzoni,

Manuale di linguistica germanica, Milano,Cisalpino, 2006, pp. 422, € 50

Wolfgang Schache e Maria Selene Sconci(a cura di), Un palazzo italiano in Germania.L’Ambasciata a Berlino, Torino, UmbertoAllemandi, 2006, pp. 122, € 50

Wendelin Schmidt-Dengler, Da Freud aFreud, trad. di Francesco Pistolato, Udine,Forum Editrice, 2006, pp. 44, € 8,50

Lia Secci (a cura di), Dal salotto al partito.Scrittrici tedesche tra rivoluzione borghesee diritto di voto (1848-1918), Roma,Artemide, 2007, pp. 224, € 20

Il senso della storia. Linguistica e scienzaletteraria nei paesi di lingua tedesca(numero monografico degli “Annalidell’Università degli Studi di Napoli“L’Orientale”. Sezione Germanica”, 16,2006, n. 1), pp. 260, € 15,50

Ludwig Siep, Il riconoscimento comeprincipio della filosofia pratica. Ricerchesulla filosofia dello spirito jenese di Hegel,trad. di Vito Santoro, Lecce, PensaMultimedia, 2007, pp. 336, € 25

Marica Tolomelli, Terrorismo e società. Ilpubblico dibattito in Italia e in Germanianegli anni Settanta, Bologna, Il Mulino,2007, pp. 288, € 22

Gherardo Ugolini, Guida alla lettura della“Nascita della tragedia” di Nietzsche,Roma-Bari, Laterza, 2007, pp. 208, € 15

Silvia Ulrich, Impostori, avventurieri ecavalieri d’industria nella letteraturatedesca del Novecento, Torino, Trauben,2006, pp. 128, € 12

Patrick Wotling, Il pensiero del sottosuolo.Statuto e struttura della psicologia nelpensiero di Nietzsche, trad. dal francese diChiara Piazzesi, Pisa, Ets, 2006, pp. 74, €10

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RIVISTE

Studia austriaca XVWolfgang Nehring – Ein österreichischerDécadent in Paris. Hermann Bahrs “GuteSchule” – moderne “Seelenstände”zwischen “Entartung” und Trivialität;Maurizio Pirro – Struttura e significato nella“Sammlung 1909” di Georg Trakl; SabineZelger – Von Beamten, Dorfpolizisten undden Händen des Ministers für öffentlicheArbeiten. Poetik der Bürokratie bei KonradBayer, Thomas Bernhard, Georg Paulmichlund N. C. Kaser; Nicola Bietolini – “So einEnd nimmt ein Wollüstling!”. Tradizione einnovazione nel dramma allegorico“Johann Faust” di Paul Weidmann; ArturoLarcati – Subjekt, Mobilität und Raum nach1945. Topographie und Interkulturalität inder Autorenpoetik der Nachkriegszeit;Fausto Cercignani – Gli “eccessi” dellaparola e la ricerca dell’azione nella primacollaborazione tra Hofmannsthal e Strauss;Maria Innocenza Runco – “Elektra” und“Der Bürger als Edelmann”. Der Tanzzwischen Text und Musik; Andrea Rota – Igrovigli del racconto: metafore tessili edisarticolazione narrativa in “DieVerwirrungen des Zöglings Törless” diRobert Musil

TRADUZIONI

Hermann Bausinger, Tipico tedesco. Quantotedeschi sono i tedeschi, a cura di LucaRenzi, trad. di Silvia Borge e Luca Renzi,Pisa, ETS, 2007, pp. 181, s.i.p.

Walter Benjamin, I “passages” di Parigi, acura di Rolf Tiedemann, edizione italiana acura di Enrico Ganni, Torino, Einaudi, 2007,pp. 1204, € 35

Ernst-Wolfgang Böckenförde, Diritto esecolarizzazione. Dallo stato modernoall’Europa unita, a cura di GeminelloPreterossi, trad. di Mario Carpitella, Roma-Bari, Laterza, 2007, pp. 226, € 20

Carl Einstein, Bebuquin o i dilettanti delmiracolo, trad. di Marzia Mascelli, Roma, LeNubi Edizioni, 2006, pp. 106, € 11

Ludwig Feuerbach, Abelardo ed Eloisa,ovvero Lo scrittore e l’uomo, a cura di FabioBazzani, trad. di Eva Holz, Firenze,Clinamen, 2006, pp. 162, € 16,90

Peter Handke, Don Giovanni (raccontato dalui stesso), trad. di Claudio Groff, Milano,Garzanti, 2007, pp. 107, € 12

Adolf von Harnack, Dottrina biblio-teconomia, a cura di Roberto Alciati, Milano,Edizioni Silvestre Bonnard, 2006, pp. 160, €16

Harald Hartung, Sogna più lento, trad. diAnna Maria Carpi, Milano, Scheiwiller, 2006,pp. 175, € 16

Friedrich Hegel, Filosofia della natura. Lalezione del 1819-1820, a cura di Marcello delVecchio, Milano, Franco Angeli, 2007, pp.144, € 15

Jakob Hein, Magari è anche bello, trad. diMarina Pugliano, Roma, e/o, 2007, pp. 129,€ 14

Ernst Jünger, Tre strade per la scuola, trad.di Alessandra Iadicicco, Parma, Guanda,2007, pp. 74, € 10

Harry Graf Kessler, Antologia degli scritti, acura di Luca Renzi e Ulrich Ott, Roma,Artemide, 2007, pp. 160, € 18

Michael Krüger, La commedia torinese.Vicende di un’eredità letteraria, trad. diPalma Severi, Torino, Einaudi, 2007, pp. 186,€ 12

György Lukács, Coscienza di classe e storia.Codismo e dialettica, trad. di Marco Maurizi,Roma, Edizioni Alegre, 2007, pp. 168, € 22

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Eva Menasse, Tutto il resto è di primariaimportanza, trad. di Lisa Scarpa, Milano,Frassinelli, 2006, pp. 400, € 18

Heiner Müller, Non scriverai più a mano,trad. di Anna Maria Carpi, Milano,Scheiwiller, 2006, pp. 208, € 18

Franz Leopold Neumann, Behemoth.Struttura e pratica del nazionalsocialismo,a cura di Mario Baccianini, introd. di EnzoCollotti, Milano, Bruno Mondadori, 2007,pp. XXXIX+558, € 13

Wolfgang Pauli, Fisica e conoscenza, trad.di Ingeborg Dennerlein e Giuseppe Perna,Torino, Bollati Boringhieri, 2007, pp. 264,€ 14

Anna Plaim – Kurt Kuch, A casa di Hitler.Ricordi della cameriera Anna, trad. di AdeleCampione, Milano, Boroli, 2006, pp. 126,€ 12,50

Martin Pollack, Il morto nel bunker.Inchiesta su mio padre, trad. di Luca Vitali,Torino, Bollati Boringhieri, 2007, pp. 208,€ 18

Rainer Maria Rilke, Vita di Maria, a curadi Mario Specchio, Firenze, Passigli, 2007,pp. 95, € 9,50

Ingo Schulze, Vite nuove, trad. di FabrizioCambi, Milano, Feltrinelli, 2007, pp. 571,€ 22

Annemarie Schwarzenbach, La gabbia deifalconi, trad. di Melania Mazzucco, Milano,Rizzoli, 2007, pp. 235, € 8,80

Winfried Georg Sebald, Gli emigrati, trad.di Ada Vigliani, Milano, Adelphi, 2007, pp.253, € 18

Adalbert Stifter, Dalla foresta bavarese, acura di Massimo Botola e Wolfgang Matz,trad. di Massimo Botola. Con unaprefazione di Peter Waterhouse, Verbania,

Tararà, 2007, pp. 100, € 12

Uwe Timm, L’amico e lo straniero, trad. diMargherita Carbonaro, Milano, Mondadori,2007, pp. 174, € 16,50

Ernst Troeltsch, Problemi fondamentalidell’etica, a cura di Giuseppe Cantillo,Napoli, Guida, 2007, pp. 184, € 12

Grete Weil, Il prezzo della sposa, trad. diCamilla Brunelli, Firenze, Giunti, 2006, pp.192, € 9,50

Grete Weil, Mia sorella Antigone, a cura diKarin Birge Büch, Marco Castellari eAndrea Gilardoni, trad. di Marco Castellari,Milano, Mimesis, 2007, pp. 314, € 20

Feridan Zaimoglu, Leyla, trad. di MargheritaBelardetti, Milano, Il Saggiatore, 2007, pp.480, € 16,50

Luca Zenobi (a cura di), Friedrich Schiller1805-2005. Modello ideale o provocazione?Atti della giornata di studi – L’Aquila31.5.2005, Manziana, Vecchiarelli, 2007,pp. 120, € 15

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Grete Weil, Mia sorella Antigone,a cura di Karin Birge Büch, Marco Castellari e Andrea Gilardoni, traduzione di Marco CastellariMilano: Mimesis 2006, 314pp. (Il quadrifoglio tedesco; 1) – ISBN 97888884835901 – € 20,00.

Il quadrifoglio tedesco è una nuova collana di testi e studi diretta a studenti, ricercatori e docenti digermanistica e comprende le sezioni

- letteratura contemporanea in lingua tedesca con testo a fronte;- saggistica e critica letteraria;- didattica della lingua e della letteratura tedesca;- Landeskunde;- linguistica e lessicografia tedesca.

Oltre al romanzo di Grete Weil, sono usciti due volumi di didattica del tedesco di Paola Lehmann e diMarita Kaiser e sono in corso di preparazione una monografia di Daniela Nelva sullo spazio autobiogra-fico nel periodo della riunificazione tedesca e ulteriori testi di letteratura contemporanea con testo afronte (Jana Hensel, Peter Weiss, Walter Kempowski). Per informazioni: http://users.unimi.it/dililefi/quadrifogliotedesco.htm

Dirigono la collana Karin Birge Büch e Marco Castellari (Università Statale di Milano).

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Questo volume raccoglie un esempio significativo dei contributi che l’anarchia ha dato a unaforma politico-letteraria, quella del cabaret, particolarmente rilevante in Germania nel primoscorcio del ventesimo secolo. Al di là della stretta appartenenza ideologica di ciascuno degliautori dei quali sono qui raccolti i testi, aleggia in essi uno spirito comune che li raggruppa nelterritorio anarchico. Tale spirito fu particolarmente compatto e coinvolgente nel periodo che vatra la fine dell’Ottocento e la repubblica di Weimar e si riflettè in ogni settore della vita artisticadi cui il cabaret rappresentò una sintesi colta e popolare insieme. Gli autori che si alternanosulla scena del cabaret e su quella della vita di bohème in quegli anni sono tra i più noti, comeErich Mühsam, Hugo Ball o Frank Wedekind, e i meno noti, come Peter Hille o JoachimRingelnatz: tutti accomunati da una vena dissacrante e trasgressiva che traduce in espressioneletteraria una riflessione complessa e profonda sul ruolo dell’uomo nella società e nel mondo esull’utopia di una diversa, più autentica forma di convivenza civile.

A mezzanotte dormono i borghesia cura di Alessandro Fambrini e Nino Muzzi, 218 pp. € 22

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XIV. Cesare Cases, Saggi e note di letteratura tedescaa cura di Fabrizio Cambi, 386 pp. € 15.50

Il volume, da tempo irreperibile, raccoglie scritti, composti fra gli anni Cinquanta e i primi anniSessanta, che spaziano dalla Aufklärung alla letteratura contemporanea e alla critica letteraria,in un’esplorazione dei processi culturali dettata dalla militanza delle idee e dalla ricerca di unaprospettiva interpretativa. La ristampa è corredata da una recente intervista all’autore.

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Osservatorio Critico della germanisticaanno X, n. 26Dipartimento di Studi Letterari, Linguistici e Filologici - Trento 2007

Direttore Responsabile: Paolo Gatti

Redazione: Fabrizio Cambi, Alessandro Fambrini, Fulvio FerrariComitato esterno: Luca Crescenzi, Guido Massino, Lucia Perrone Capano, Maurizio Pirro,Grazia Pulvirenti, Aldo Venturelli, Roberto VenutiProgetto grafico: Roberto MartiniImpaginazione: C.T.M. (Luca Cigalotti)Editore: Università degli Studi di Trento, via Belenzani, 12 - 38100 Trento

Periodico semestrale (giugno, dicembre)Abbonamento annuale (due numeri): € 13Abbonamento estero: € 18Numero singolo e arretrati Italia: € 7,50Numero singolo e arretrati estero: € 10

Per abbonamenti, amministrazione e pubblicità rivolgersi a:Dipartimento Studi Letterari, Linguistici e Filologici dell’Università degli Studi di TrentoVia Santa Croce, 65 - 38100 Trentotel. 0461/881709-77 - fax. 0461/881751

Manoscritti di eventuali collaborazioni e libri da recensire vanno indirizzati ai componentidella redazione presso il Dipartimento di Studi Letterari, Linguistici e Filologici, via S.Croce65, 38100 Trento (tel. 0461/881742, 0461/882709 o 881739; fax. 0461/881751; [email protected]).

Stampa: Litotipografia Alcione - via G. Galilei 47 - 38015 Lavis - TrentoDicembre 2007

Reg. Tribunale di Trento n° 1329 del 12.06.2007

ISSN 1127-6908

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Università degli Studi di Trento

III - 8€ 7,50X - 26

OSSERVATORIO CRITICOdella germanistica

Luigi ReitaniGiuseppe Bevilacqua, Una questione hölderliniana. Follia e poesia nel tardo Hölderlin 1

Giuseppe BevilacquaIn risposta alle osservazioni di Luigi Reitani 5

Luca ZenobiGiulia Cantarutti (a cura di), Le ellissi della lingua. Da Moritz a Canetti 8

Anna Fattori Martin Jürgens, Seine Kunst zu zögern. Elf Versuche zu Robert Walser

Valerie Heffernan, Provocation from the Periphery. Robert Walser Re-examined 13

Massimo BonifazioElena Agazzi, La grammatica del silenzio di W. G. Sebald 18

Marco CastellariAndrea Mecacci, La mimesis del possibile. Approssimazioni a Hölderlin 21

Petra Brunnhuber Martin Hielscher, Uwe Timm

Friedhelm Marx (Hrsg.), unter Mitarbeit von Stephanie Catani und Julia Schöll, Erinnern, Vergessen, Erzählen. Beiträge zum Werk Uwe Timms 24

Loretta Monti Arnaldo Benini – Arno Schneider (a cura di), Thomas Mann nella storia del suo tempo. In der Geschichte seiner Zeit 29

Maria Grazia Nicolosi Arturo Larcati, Ingeborg Bachmanns Poetik 32

Maurizio PirroSchreiben am Schnittpunkt. Poesie und Wissen bei Durs Grünbein 35

Anna GerratanaElena Agazzi – Vita Fortunati (a cura di), Memoria e saperi – Percorsitrans-disciplinari 38

Ludovica MalknechtMauro Ponzi – Bernd Witte (a cura di), Teologia e politica. Walter Benjamin e un paradigmadel moderno 41

Fabrizio Cambi Magda Martini, La cultura all’ombra del muro. Relazioni culturali tra Italia e DDR (1949-1989) 45

Paola Quadrelli Gerald Sommer, Heimito von Doderer: „Technische Mittel“. Fragmente einer Poetik des Schreibhandwerks 47

Ester Saletta Renata Cornejo, Das Dilemma des weiblichen Ich 50

Edoardo Stolcis Heinrich der Glîchesære, La volpe Reinhart, a cura di Carla Del Zotto 51

INTERVENTI 53