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Università degli Studi di Trento OSSERVATORIO CRITICO della germanistica IV - 16 OSSERVATORIO CRITICO della germanistica Jens SPARSCHUH, Dal tavolo! La storia di un’opera non scritta 1 Martedì ( di nuovo) Che ammasso di fo- gli! Eppure ho ritro- vato un vecchio bro- gliaccio. Con su scritto il progetto di una novella dal seguente contenuto: Goethe va a Marienbad per comprarvi un orologio a cucù. Per quel che ricordo, l’idea consiste- va soprattutto nel fatto che non so se a Marienbad ci fossero orologi a cucù in nu- mero e scelta degni di nota. Sono addirittu- ra piuttosto certo di non aver mai sentito parlare di orologi a cucù di Marienbad. Se è così: tanto meglio! Ottimo argomento per una novella, davvero – “accadimento inau- dito” niente male. Eppoi, era tanto che vo- levo spedire il vecchio Goethe in viaggio di servizio verso l’ignoto. Titolo provviso- rio “L’avventura” Ho visto per un unico istante tutta la cosa ben distinta dinanzi a me: castello e rovine, abbandono e partenza, luna volti e nubi, viaggio sfrenato in carrozza, batter di pen- dole e battito cardiaco, lancette e quadran- ti. Particolarmente esaltante: quando la car- rozza con forte strepito rotola sulla mem- brana lignea del ponte sulla Ilm (Che per andare a Marienbad si debba davvero attra- versare il fiume – è una questione in questo momento del tutto irrilevante. Qui sta sim- bolicamente a signficare qualcosa come: raggiungere l’altra sponda etc.) Tutto, rischiarato dal lampo della mente, stava dinanzi a me; un’illuminazione fin dentro i più riposti, i più incasinati recessi della mia coscienza. Ma poi tutto è tornato a farsi scuro, l’intera immagine è tornata a sfaldarsi in frammenti che devo ricomporre raccogliendo a prezzo di grandi sforzi, anzi che devo riscrivere a prezzo di grandi sfor- zi. Scrivere signfica ricordare: ricordare nel modo migliore possibile qualcosa che non si è mai vissuto – motivo per cui l’autore, quando scrive, tiene spesso gli occhi soc- chiusi. “Un giorno Goethe si alzò col piede sba- gliato”. Non sarà forse la prima, ma questa frase starà certamente da qualche parte al- l’inizio. Mercoledì Subito appena alzato, poco prima delle 11, alla scrivania, ma non riesco a procedere. Qual è il piede sbagliato di Goethe? Certo, è da intendersi in senso traslato. Ma talvolta – anche questo è da intendersi in senso tra- slato – è proprio un piede sbagliato che mettiamo in una porta ad aiutarci ad arriva- re da qualche parte. E allora a quel piede sbagliato fa seguito qualcosa – Nei Collo- qui con Eckermann - dove non esiste tema che non sia toccato – non c’è niente alla voce “ piede” sbagliato. In compenso tanto “Faust”, tanto “pugno” , ma non posso mica far alzare Goethe con il pugno sbagliato. Ottima scusa per lanciarmi nella scatola magica del computer. All’occasione ho ri-

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Università degli Studi di Trento

OSSERVATORIO CRITICOdella germanistica

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OSSERVATORIO CRITICOdella germanistica

Jens SPARSCHUH, Dal tavolo! Lastoria di un’opera non scritta1

Martedì ( di nuovo)Che ammasso di fo-gli! Eppure ho ritro-vato un vecchio bro-gliaccio. Con su scritto il progetto di unanovella dal seguente contenuto: Goethe vaa Marienbad per comprarvi un orologio acucù. Per quel che ricordo, l’idea consiste-va soprattutto nel fatto che non so se aMarienbad ci fossero orologi a cucù in nu-mero e scelta degni di nota. Sono addirittu-ra piuttosto certo di non aver mai sentitoparlare di orologi a cucù di Marienbad. Seè così: tanto meglio! Ottimo argomento peruna novella, davvero – “accadimento inau-dito” niente male. Eppoi, era tanto che vo-levo spedire il vecchio Goethe in viaggiodi servizio verso l’ignoto. Titolo provviso-rio “L’avventura”Ho visto per un unico istante tutta la cosaben distinta dinanzi a me: castello e rovine,abbandono e partenza, luna volti e nubi,viaggio sfrenato in carrozza, batter di pen-dole e battito cardiaco, lancette e quadran-ti. Particolarmente esaltante: quando la car-rozza con forte strepito rotola sulla mem-brana lignea del ponte sulla Ilm (Che perandare a Marienbad si debba davvero attra-versare il fiume – è una questione in questomomento del tutto irrilevante. Qui sta sim-bolicamente a signficare qualcosa come:raggiungere l’altra sponda etc.)Tutto, rischiarato dal lampo della mente,stava dinanzi a me; un’illuminazione findentro i più riposti, i più incasinati recessi

della mia coscienza.Ma poi tutto è tornatoa farsi scuro, l’interaimmagine è tornata a

sfaldarsi in frammenti che devo ricomporreraccogliendo a prezzo di grandi sforzi, anziche devo riscrivere a prezzo di grandi sfor-zi.Scrivere signfica ricordare: ricordare nelmodo migliore possibile qualcosa che nonsi è mai vissuto – motivo per cui l’autore,quando scrive, tiene spesso gli occhi soc-chiusi.“Un giorno Goethe si alzò col piede sba-gliato”. Non sarà forse la prima, ma questafrase starà certamente da qualche parte al-l’inizio.

MercoledìSubito appena alzato, poco prima delle 11,alla scrivania, ma non riesco a procedere.Qual è il piede sbagliato di Goethe? Certo,è da intendersi in senso traslato. Ma talvolta– anche questo è da intendersi in senso tra-slato – è proprio un piede sbagliato chemettiamo in una porta ad aiutarci ad arriva-re da qualche parte. E allora a quel piedesbagliato fa seguito qualcosa – Nei Collo-qui con Eckermann - dove non esiste temache non sia toccato – non c’è niente alla voce“ piede” sbagliato. In compenso tanto“Faust”, tanto “pugno” , ma non posso micafar alzare Goethe con il pugno sbagliato.Ottima scusa per lanciarmi nella scatolamagica del computer. All’occasione ho ri-

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sposto a qualche impolverata e-mail, qual-cuno mi consiglia la “Breve storia della let-teratura tedesca” di Schlaffer. E che saràmai? Ma il fatto che sia ‘breve’ non mi di-spiace.Google: 361 siti, in cui ricorre la combina-zione Goethe+ piede+sbagliato. Dopo mez-zora: indietro, indietro, chiudere. Il megliodi tutto era la pagina dei cruciverba diBurkhard Hollwitz….Falso, sbagliato: er-roneo… Opera giovanile di Goethe:Stella…Serve per scassinare: piede di por-co. Internet, proprio così com’è: un grandeammasso di cianfrusaglie, un grande gene-ratore di casualità. Al diavolo! La sensazio-ne di essere con il piede sbagliato in unastrada senza uscita – Ah, a proposito! Il ti-tolo potrebbe anche essere “Al diavolo!”2.Devo a tutti i costi ricordarmene

GiovedìBasta con le perdite di tempo! Goethe el’orologio a cucù. Questo è il tema. Essosta (o meglio: va, ticchetta) per l’idea divanitas. Siamo nell’orbita della Elegia diMarienbad e per questo non la si dovrebbemenzionare esplicitamente. L’avventura do-vrebbe dunque iniziare più o meno dopo il1823.Nella casa di Goethe sul Frauenplan, perquanto si può vedere dal prospetto a coloridi Willi Ehrlich, ci sono due orologi: unosull’armadio delle monete nella stanza diGiunone, uno nello studio sul tavolinettodavanti allo specchio a parete. La chiaveper la ricarica si trova in una ciotola lì ac-canto.Ho consultato un’altra volta Goethe eEckermann (colloqui). Il tema orologi sem-bra proprio essere stato tralasciato. Ognivolta che era nell’aria è stato sistematica-mente aggirato. Che Goethe abbia di pro-posito evitato gli orologi a cucù? Paura del-la morte? Il fatto che sull’argomento regniun silenzio di tomba non sta proprio a se-gnalare il significato nascosto di questotema per il pensiero di Goethe? E’ un tic-chettio che mi martella sempre più dentrola testa, l’avventura si fa sempre più avvin-

cente.Dopo pranzo ho trovato alla fine qualcosasul cucù (lat. Cuculus). Il 26 settembre 1827Goethe e Eckermann intraprendono una gita,in fondo anche questa una sorta di avventu-ra. Infatti: “Goethe notò sulla destra unaquantità di uccelli e mi domandò se fosseroallodole. Mio caro e grande amico, pensai,tu che come pochi altri hai indagato la natu-ra, nel campo dell’ornitologia sei proprio unprincipiante!”Eckermann, esperto di strani uccelli di ognitipo, sfrutta questa occasione a margine periniziare Goethe nelle distinzioni fra zigoli,passeri e silvie, al ché quegli alla maniera diKarl May risponde: “Ehm! Lei sembra in-tendersene non poco di queste cose!”Neanche due settimane dopo la mia coppiadi sogno Goethe-Eckermann è di nuovo ingiro, stavolta a Jena. A ogni pie’ sospintoGoethe è perseguitato dal ricordo di Schiller.Era un rapporto tale, dice Goethe, “che infondo nessuno poteva vivere senza l’altro”.Eppure Schiller è morto quasi da un quartodi secolo. E Goethe è ancora vivo. O almenocosì sembra. Cfr. il bilancio indirizzato aWerther (forse anche a Schiller?) nellatrilogia di Marienbad del 1823: “Per rima-nere io, per partire tu fummo prescelti/ miprecedesti – e non hai perduto tanto.” Nientedi più triste.Per fortuna si torna a parlare di uccelli – ed èqui che occorrono le decisive frasi: “Tuttociò che ho sentito dire sul cuculo”, diceGoethe l’8 ottobre 1827, “ mi suscita per que-sto curioso uccello un grande interesse. E’una natura altamente problematica, un evi-dente mistero, tanto più difficile da risolvereproprio in quanto evidente.”Schlaffer, esatto – così si chiama l’autore. Ilsuo libro “La breve storia della letteraturatedesca” è davanti a me, qui sul tavolo. Con-sta di 158 pagine, è, detto così, una grandespudoratezza – e in quanto tale da salutarepositivamente. Leggo come d’abitudine sol-tanto le ultimi frasi e ne sono molto colpito.La storia della letteratura: breve affinché re-sti più tempo per la letteratura. Giusto così.Nonostante tutto stanco, basta per oggi.

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VenerdìLa storia ha preso tutta un’altra piega. Ilpunto focale della novella si è sensibilmentespostato in direzione Schiller. Va bene così.E infine – nessuna meraviglia: è stato l’oro-logio a cucù stesso ad aver guidato il no-stro sguardo a sinistra in basso, verso laForesta Nera3. La matita – una bacchettamagica. E con quella toccare una parola-cosa che davanti ai nostri occhi si trasfor-ma in un’altra. Goethe va a Marienbad ecerca…Schiller.Lasciar parlare il subconscio? No, non esi-ste una verità bell’è pronta, nascosta daqualche parte, che noi dobbiamo semplice-mente trarre alla luce grazie a lie detectorsamericani, la psicanalisi di Freud o altri si-mili trucchetti da strapazzo. La verità na-sce nel momento della sua scoperta, soloper quest’unico prezioso momento. Unbambino scopre stupito che la ruota giraperché è rotonda. La verità scompare subi-to perché perdiamo questo sguardo inno-cente e sapiente. Poi si trasforma in un dog-ma o in un’ovvietà.In altre parole: non serve a nulla indagarecome un detective le tracce di sudore dellemani di Goethe sui tasti della sua piccolamacchina da scrivere da viaggio. La gran-de arte consiste nel rispondere con pazien-za a domande che nessuno pone. Tanto alungo finché qualcuno non ti domanda: macosa significa tutto questo? Ergo: con le ri-sposte provocare domande.Leggo en passant Schlaffer che segue unprincipio analogo. Considerazioni degne dinota sull’innato istinto di vagabondaggionella letteratura tedesca (Dovrei forse starealla larga dal viaggio in carrozza?) La suatesi: più o meno a senso: in Germania pro-lungata mancanza di romanzi sociali per-ché gli eroi preferiscono fuggire nel verde,nella solitudine del bosco per istituire unrapporto solo privato con la natura, invecedi sottostare ai complessi giochi di societàlà dove si trovano. L’elemento romantico–nient’altro che un tuffo nella natura elemen-tare4?

Schlaffer a proposito della nazione tedescain ritardo e la letteratura tedesca che arrivasempre dopo. Sì. O meglio: e vabbé. Anzi:non se ne può più!Se c’è qualcosa per cui la divisione e le di-visioni possono avere avuto un effetto posi-tivo, è proprio per la letteratura che in que-sto modo si è raddoppiata, si è moltiplicata.Io, per parte mia (= la parte orientale dellaGermania) posso solo dire: Le Elegie diBuckow di Brecht, le spudorate ballate diBiermann, persino il diario suicida di Becher– tutto questo non è forse cresciuto, cosìcom’è, proprio sul letame dei due stati tede-schi (la speciale variante tipica del 20. se-colo della tedesca frammentazione instatererelli)? Tutto assolutamente irrinuncia-bile!Interessante invece in Schlaffer tutto quan-to viene detto sul rapporto fra religiosità eletteratura. I poetanti figli dei pastori e il tonopredicatorio. L’indice alzato – da Schlafferdeprecato – nella letteratura tedesca. Mi ac-corgo che leggendo il mio indice si alza inmodo sempre più deciso (per lo più il sini-stro perché il destro è altrimenti occupato),brevemente appare come indice sollevato aimargini del campo visivo per poi andarsi ainsinuare nelle profondità delle narici.Torniamo, dai, torniamo alla novella! Tantopiù che su questo punto decisivo non c’è daaspettarsi chissà quale illuminazione.Schlaffer tace, al pari di altri prima di lui,tenacemente sul tema “Goethe e l’orologioa cucù”. Con tutto il rispetto: vabbene bre-ve, ma così breve da non farne verbo. Oggivoglio assolutamente inserire nella novellaun passo che sia significativo 1) per il rac-cordo con Schiller; 2) per il complesso ora-tempo-morte. Goethe potrebbe riflettere sul-l’argomento nella sua carrozza. Dovrebbecon discrezione provare un segreto diletto–senza che lui stesso e il lettore lo noti -, ciòche mi è saltato agli occhi leggendo il Tellnel canto dei fratelli della misericordia: “Ra-pida sull’uomo si avventa la morte.”Uno dei più preziosi inciampi metrici dellaletteratura tedesca! Spianato sul ritmo cor-rente, con metrica regolare i giambi dovreb-

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bero così suonare: “La morte s’avventa ra-pida sopra l’uomo”. In quel caso la mortesarebbe una brava compare che prima bus-sa bella gentile e arriva dall’ingresso prin-cipale. L’infrazione alla regola da parte diSchiller, questo sapiente intorbidamento delliscio blank verse - e il repentino “improv-visa e inattesa” ha d’un tratto trovato la suaadeguata forma metrica.Che cosa intenda Schlaffer con “appenaaccennati effetti umoristici” in ArnoSchmidt è un mistero. E resta un mistero.Nonostante tutto: un libriccino meraviglio-so.

Sabato mattinaMiserabile paccottiglia! L’ho ritrovato sot-to la siepe, là dove deve essere atterrato ierisera dalla mia finestra a bovindo in voloplanare. Le pagine un tantino inumidite, male orrende frasi a pag. 151 ancora ben leg-gibili: “Critici, storici della letteratura epersino gli stessi scrittori non potranno cer-tamente esimersi dal condividere il giudi-zio secondo cui la letteratura tedesca degliultimi cinquant’anni non è in grado di com-petere né con la coeva letteratura interna-zionale, né tantomeno con la precedenteletteratura nazionale. E’ stupefacente che ilettori, pur privi di qualsivoglia costrizio-ne, si sobbarchino instancabili di stagionein stagione la lettura di tutte le novità libra-rie…”Assurdità nel pieno senso della parola! Checosa abbiano in testa i critici e gli storicidella letteratura, per fortuna lo ignoro – masanto cielo: Quale scrittore (Nome? Indi-rizzo?) vuole costui prendere a mallevadoredelle sue scemenze? C’è qualcuno che as-solda suicidi? Probabilmente. Ecco il pun-to più basso mai raggiunto dallagermanistica: aizzare i lettori contro gliautori. Schlaffer vuole rubarmi i miei fede-li lettori, vuole farmi, farci sprofondare nel-la miseria? Dopo pranzo ho preso per bre-ve tempo in considerazione come nuovotitolo per la novella “Nettare ovvero il co-raggio della verità”, poi però l’ho scartato.Mi ritiro subito dal mondo – sul divano!

PomeriggioSchlaffer mi perseguita! Persino durante lapennichella! Mi è anche comparso in sogno,che angoscia! Devo tenere una conferenza neipressi di Stoccarda. Il mio avversario è pre-sente. All’inizio elogio la sua profondità dipensiero, rispetto alla quale ancor meglio sistaglia poi il mio livello intellettuale. Infinesi arriva al punto critico. Il mio dilemma: iltentativo di portare in modo politicamentecorretto alcuni colleghi ad esempio, per con-trobattere la sua ardita tesi a colpi di accetta,viene riconosciuta – purtroppo – assai giu-stamente come falsa modestia (associata aviltà personale!). E quando alla fine mi saltala mia santissima pazienza e in modo del tut-to sorprendente adduco me stesso comecontroargomento mi accusano di albagia: anzidi megalomania.E voi vi meravigliate, banda di scimmie, gri-davo nel sogno. Perché noi altri ci rifugiamoin massa nei boschi? Non stupitevi! Animatadisputa fra me e il mio avversario se davverola versione corretta del famoso verso nonsuoni piuttosto “Ciò che resta, lo dettano igiudici”5. Non siamo giunti ad alcuna con-clusione perché nel raggio di giorni e giornidi cammino non c’è stato modo di rintrac-ciare un’edizione delle opere di Hölderlin. Ilprof. Schlaffer mi dà la sua parola d’onore diincaricare prossimamente un abilitando dichiarire la questione. Non ho creduto nem-meno una parola di quanto mi ha detto.Dopodiché mi sono svegliato. Ben pocoristorato mi sono rimesso al tavolino verso lequattro. Senso di oppressione. Qui non se neviene a capo! Cerco di distrarmi fuori, giocoa fare il giardiniere e con sguardo risoluto,da assassino, pareggio la siepe. Malgradolunghe ricerche non riesco a trovare un ce-rotto. In compenso, mi rimetto al tavolo e tro-vo un passo nelle “Massime” dove Goethe sirivolge direttamente al prof. Schlaffer pursenza menzionarlo: “L’amore per la verità siesprime nel fatto che si sappiano trovare eapprezzare le cose buone dappertutto.”Sono inaspettatamente di buon umore. Leg-go prima di andare a letto alcune pagine dal

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capitolo finale di “Una casa nel bosco sul-l’orlo della follia”. Sono scosso io stessodal tono profetico – in particolare verso lafine: “Nuvole scure si addensarono quellasera sull’abetaia altezzosa e silente. Ilguardiacaccia Willibald arricciò impercet-tibilmente il labbro superiore e dalla suabocca dalle nobili forme scappò una fraseche al suo fido cane da caccia Waldi (Waldidella Trockenburg! per non mancare di tat-to e di decoro anche nei confronti della caracreatura canina) che dunque al suo fido caneWaldi a lungo sarebbe rimasta in mente:‘Ah, voi poveri ignari esseri umani’ ”.Ottimo effetto di tutto ciò sul mio animoalla fine piuttosto agitato. Sherry. Per tem-po, molto per tempo a letto.

Fine settimanaNonostante tutto, un bel cielo azzurro! Mene sto seduto in riva allo stagno delle carpee prendo un’importante decisione che co-municherò a queste pagine soltanto marte-dì. Lunedì faccio forca: gita in barca e visi-te.

Martedì (di nuovo!)Il prof. Schlaffer – così ho deciso – che glipiaccia o no – finirà per avere ragione. In-fatti io non scriverò (è questo il punto!) que-sto breve capolavoro di novella che benlungi da qualsivoglia tono predicatorio, pri-va di qualunque insistenza pedagogica ave-va saputo coniugare spirito (=intelligenza)e mondo, anzi che con una serie di piccolitocchi sarebbe riuscita a ricreare il mondo– in breve: questo gioiello della letteraturatedesca io non lo scriverò. D’ora innanziesso apparterrà al tesoro dei libri non scrittiche io proteggo con estrema cura di fronteagli occhi del mondo.L’orologio a cucù batte.Vediamo chi resiste più a lungo: il letteratosenza la critica letteraria o il critico lettera-rio senza la letteratura?Scorro come sempre un tantino innervositoi miei appunti. Soltanto adesso capisco iltitolo .- Dal tavolo…Suonava un po’ come,“Notizie confidenziali dal mio piccolo ne-

gozio di cancelleria”. Macché. E’ un impe-rativo! Ecco, e ora ho obbedito al coman-do e la cosa si ritrova là dove deve stare:cacciata dal tavolo! Via!

1) Il testo – in originale: VomTisch! DieGeschichte eines ungeschriebenen Werks -è stato letto da Jens Sparschuh a Fellbachnel quadro della 19esima edizione dei“Baden-Württenbergische Literaturtage” il23 ottobre 2002.2) Il gioco di parole fra “Kuckucksuhr” (oro-logio a cucù) e l’esclamazione “ZumKuckuck!” (al diavolo) mi è parsointraducibile3) Riferimento al fatto che la zona dellaForesta Nera è famosa per la produzione e– sembra – per l’invenzione degli orologi acucù.4) La frase in tedesco suonava così: “Derromantische Zug – ein Bummelzug?”, conil gioco di parole fra “Zug” (elemento, trat-to) e “Bummelzug” (il trenino per gitarellefuori porta).5) Gioco di parole sul famoso versohölderliniano “Was bleibet aber, stiften dieDichter”, qui invece “Was bleibet aber,dichten die Richter”.

Heinz Schlaffer, Die kurze Geschichte derdeutschen Literatur, München, Hanser,2002, S.159, € 12,90

Il pamphlet di Schlaffer, uscito nel febbraiodel 2002 e già brevemente recensito inqueste pagine da C. Nickenig (n.13/b), èstato al centro di un ampio e articolatodibattito nei media tedeschi suscitando nonpoche polemiche, cui si potrà qui soltantobrevemente accennare. Uno degli assuntiprincipali di Schlaffer emerge fin dal titolodel suo libello e dalla funzione decisiva chenel titolo viene assolta dall’articolodeterminativo, talché “die kurze Geschichte”non sta a designare, come potrebbeerroneamente pensare chi si limitasse ariflettere sullo scarso numero di pagine,l’esiguità del libro di Schlaffer, ma siriferisce alla brevità intrinseca, nell’opinione

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dell’autore, alla scarsità di testi dellaletteratura tedesca davvero meritevoli diessere storicizzati. Il libello si pone pertantofin dall’inizio in deliberata controtendenzarispetto al proliferare di impresestoriografiche a più mani, in più volumi.Alle numerose storie letterarie a solo edesclusivo uso della germanisticaaccademica Schlaffer contrappone ilproprio “rasanter Streifzug” (J.Thaler) insette-otto secoli di letteratura tedesca, chenella scelta del registro stilistico, nellapronunciata vis polemica e oratoria epersino nella collocazione editoriale,individua nel lettore colto, ma nonnecessariamente specialista, il propriotarget di riferimento. Non un testo dainserire in bibliografia, magari insostituzione di qualcuna delle storieletterarie con cui a più riprese Schlafferpolemizza, dunque, vuol essere il libretto,ma una autentica provocazione. Cheperaltro viene a situarsi all’interno di unmarcato trend nella pubblicistica tedescadegli ultimi tempi: quello che aspira ad unaprogrammatica e prescrittiva Kanon-bildung. In questa direzione muovonoiniziative le più diverse: dalla “Zeit-Schülerbibliothek” che segnala con appositarecensione un libro ogni settimana, almanualetto di Wulf Segebrecht Was sollenGermanisten lesen? per arrivare almonumentale valigione dell’onnipresenteMarcel Reich-Ranicki, 20 volumi e più di8000 pagine antonomasticamente intitolateDer Kanon. Anche Schlaffer – non si sa sedi proposito o meno – finisce per proporrel’equivalente di un Kanon, per la veritàsecondo criteri assai meno inclusivi dei treesempi appena citati. La kurze Geschichteschlafferiana seleziona infatti solamente duemomenti topici della letteratura tedesca: laGoethezeit e la Jahrhundertwende. Il restonon sono altro che – per quanto attiene alprima – “mißglückte Anfänge“ (tutta laletteratura tedesca fino alla metà del XVIII.Secolo, questo il titolo del primo capitolodel pamphlet) e per quanto attiene al dopo(grosso modo dal 1945 a oggi), brutalmente,

“Ende”, ciò che almeno in parte giustifica lavirulenza del tono nella parte finale del testodi Jens Sparschuh. Le riflessioni sulla genesie la trattazione da parte di Schlaffer del primomomento aureo della letteratura appaionosostanzialmente prive di clamorose novità:che la straordinaria fioritura della letteraturatedesca nella seconda metà del Settecento siaprevalentemente frutto della culturaprotestante nella sua variante pietistica, cheil movimento pietista ben si presti ad essereletto come ampio e articolato bacino didecantazione per una lingua in procinto diemanciparsi da qualsivoglia funzioneancillare nei riguardi della religione, cheavvenga qui in buona sostanza il primo passoin direzione della legittimazione dell’indi-viduo borghese, della sua sfera privata e diun linguaggio che di quella sfera è dapprimatimida rappresentazione e in seguito suatrasfigurazione mitopoietica, che dunque –volendo in estrema sintesi ripercorrere i treparagrafi del capitolo che funge da pièce deresistance del libello schlafferiano – gli“Pfarrersöhne” divengano nel giro di pochidecenni “Musensöhne”, diano vita ad una“neue Sprache” ipostatizzando al più tardicon l’avanguardia schlegeliana la “un-sterbliche Poesie”, lo sapevamo già da tempo– e il germanista italiano, cresciuto a birra eMittner, lo sapeva, forse, ancora meglio deisuoi colleghi tedeschi. Niente disostanzialmente nuovo è dato leggere anchein relazione al XIX secolo: la filisteizzazionee la musealizzazione della Goethezeit ad usoe consumo del Bildungsbürgertum è una ideereçue se mai ve ne furono, il tono militante etoreante di Schlaffer non si attenua neanchelà dove le sue argomentazioni si limitano avariare evidenze messe in luce, per così direin tempo reale, tanto per fare un nome: daNietzsche. La seconda – e a tutt’oggi: ultima– aurea aetas della letteratura tedescacoincide nell’opinione di Schlaffersostanzialmente con la Jahrhundertwende esue propaggini. Se per ricostruire l’eziologiadella prima l’autore ripercorreva un itinerariotutto sommato abbondantemente rodato, perspiegare la seconda Schlaffer si lancia in

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un’ipotesi peregrina, oltreché, a differenzadella precedente, del tutto priva difondamento storico, politico, filosofico,religioso; la seconda grande stagione dellaletteratura di lingua tedesca sarebbe dovutaad un nuovo peraltro inspiegabilmentetardivo processo di emancipazione, stavolta,non più ad opera del ceto medio di origineprotestante bensì ad opera dell’intelligenziacattolica ed ebraica. Di seguito il brano incui Schlaffer espone l’idea cardine, alquantodiscutibile, dell’ultimo capitolo: “Diezweite Phase der deutschen Literatur, in dersie erneut zur Weltliteratur zählt, ist mit derersten durch analoge Entstehungs-bedingungen verbunden: Schwächung derüberlieferten Religion, Teilhabe an dereuropäischen Aufklärung, Vertrauen auf dieAutonomie einer europäischen Kultur,quasi-religiöse Begeisterung für die großenWerke der Kunst. Die leitenden Ideen desspäten 18. Jahrhunderts sind geblieben,lediglich die konfessionelle Herkunft ihrerTräger hat im frühen 20. Jahrhundertgewechselt.“ (p. 139-140). I figli degeneridel protestantesimo passano il testimone aifigli degeneri del cattolicesimo e,soprattutto, dell’ebraismo. Peccato che perfar tornare i conti Schlaffer sia costretto adescludere da questa nuova rinascenza dellaletteratura di lingua tedesca scrittori comeThomas Mann o Bertolt Brecht, giusto perfare i nomi di due autori né cattolici, néebrei, i quali, seppur da posizionisostanzialmente laiche, attuano nella loroopera un incessante e serrato confronto conl’ideologia, la mentalità e, soprattutto, lalingua del protestantesimo. Questaimpostazione permette a Schlaffer di virareverso l’ultimo approdo del suo itinerariote(le)ologico: tragicamente sterminata oquanto meno dispersa l’intelligenzia ebraica(quella cattolica, pur a suo avvisoimportante invece, che fine avrebbe fattonon è dato saperlo) dall’infame regimenazionalsocialista, la letteratura tedescamuore, a quanto pare in modo definitivo(che questa seconda fase secondo Schlaffernon si concluda in concomitanza con il

dodicennio nero ma nel 1950 è con ogniprobabilità dovuto al fatto in verità un po’ridicolo che si tratta di una cifra tonda comequella iniziale, il 1900). Da allora, alcospetto di una non meglio precisataWeltliteratur, la letteratura tedesca viveun’esistenza larvale, marginale, giornalismotravestito da letteratura nelle mani di“engagierte Literaten mit politischenAmbitionen” (p.148) che soltantooccasionalmente, là dove traspare quello cheper la letteratura contemporanea sembra chesia il massimo valore agli occhi di Schlafferovvero “der poetische Zynismus” (p.151)riesce ad elevarsi al di sopra della paludenella quale è forse definitivamentesprofondata.Nel 1962 il regista americano John Hustongirò un film non molto riuscito su Freud(Freud, titolo italiano Freud, passionisegrete), con Montgomery Clift nel ruolodell’inventore della psicanalisi. In una scenadel film i luminari dell’Università di Viennalo chiamano ad esporre le proprie idee e, inqualche modo, a giustificarle. Freud prendela parola e con aria ispirata e lo sguardoallampanato di Montgomery Clift dichiarail suo nuovo credo. Conclusa la suaesposizione, il decano prende la parola e,brutalmente, commenta che le affermazionidel collega sono da dividersi in duecategorie: cose nuove e cose vere. Ma,aggiunge, quel che è vero non è nuovo equel che è nuovo non è vero.

Matteo Galli

Cultura tedesca 19 – giugno 2002,Romanzo, a cura di Domenico Mugnolo,Roma, Donzelli, 2002, pp. 320, € 23,24

Nell’ampia sezione monografica di questonumero della rivista romana confluisconogli atti del convegno ‘Leggere il romanzo.Prospettive metodologiche e percorsiinterpretativi nella germanistica’, svoltosi aMacerata tra il 21 e il 24 aprile 1999. Lequattordici relazioni presentate per

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l’occasione e raccolte da DomenicoMugnolo abbracciano una considerevoleestensione temporale, che da Anton Reiserdi Moritz giunge fino a Medea di ChristaWolf. Se in sede di puntualizzazione storicadi una scelta che per forza di cose si dà intermini di sintesi e ricapitolazionedell’avventura del romanzo tedesco puòcolpire il silenzio sulle testimonianze delBarocco e del Settecento prestürmeriano, vaperò detto che la ragion d’essere di questaoperazione si svela a una attenta lettura informe del tutto autonome dalla meranecessità compilativa. Del resto, lo stessocuratore avverte nella Presentazione delvolume che tra gli obiettivi del simposiomaceratese non figurava l’intenzione “diavviare una riflessione né sulla teoria delromanzo, né sul genere in se stesso, sullesue linee di sviluppo nella letteratura dilingua tedesca” (p. 7). Ora, mentre in realtàtali istanze, pur private di espressione diretta,ordinano con il loro continuo intersecarsi lagriglia su cui poggiano gli episodi cheinnervano la miscellanea, Mugnoloindividua con chiarezza la caratteristica piùevidente di questa operazione di mappaturadel romanzo in lingua tedesca quandoconclude la sua premessa sottolineando che“[l]e opzioni metodologiche in ognuno degliinterventi restano dunque riconoscibili nellamisura in cui l’analisi o l’interpretazione –o anche l’illustrazione delle premesse perl’analisi e l’interpretazione – lascianotrasparire inequivocabilmente la diversaFragestellung che ne è all’origine” (p. 8).In effetti è proprio la feconda varietà delleprospettive di lettura delle opere vagliate acolpire positivamente il lettore di questaraccolta. Né tale pluralità si esaurisce nellafondamentale differenza tra un approccioanalitico e uno interpretativo, perché se èvero che attorno a tali agglomerati sicondensano i differenti approcci deicontributori, altrettanto evidente risulta chesi tratta di una ripartizione condotta per lineeessenziali, a tracciare una alterità che a contifatti si traduce in dinamica alternanza. Lacaratteristica principale della raccolta pare

allora sustanziarsi nella capacità di rendereoltre due secoli di cultura tedesca nei tratti diuna rappresentazione cartografica, sulla cuisuperficie il fenomeno-romanzo si moltiplicain una serie di emergenze rizomatiche. Néquesta metafora suoni come lettera morta,perché grazie a essa si intende sottolineare lafruibilità del volume come guida peraffrontare alcuni tra gli snodi decisivi dellapoesia e più in generale della vita spiritualedei paesi di lingua tedesca dalla Aufklärungai giorni nostri. È una funzione, questa, diorientamento, e forse ancor più disuggerimento di itinerari di approccio allaletteratura, che fa tornare alla mente ilcontrassegno di una delle pubblicazioni‘storiche’ della germanistica italiana, quelRomanzo tedesco del Novecento che atrent’anni dalla sua apparizione mantieneincorrotta la propria validità di preziosostrumento didattico. Qui come là si affida allacuriosità e alla sensibilità di chi legge ilcompito di infrangere i limiti e le convenzionidella critica, per ricalcare i contorni degliinterstizi aperti tra i vari luoghi nominati daglistudiosi della letteratura, colorandoli di uninteresse per aspetti che trascendono, puressendo in origine in essa compresi,l’immediatezza del dato testuale. I risvoltimetodologici che articolano il discorso svoltonella raccolta assumono in tal modo unavalenza complessivamente assai prossima allaprovocazione estetica di jaussiana memoria.Se lo studio della letteratura su salde basistoriche si integra con il piacere della lettura,come accade per la maggior parte delle opereprese in esame, la conseguenza più logica èun prodotto assai ricco di sfumature variegate,nel segno di lectiones personali che mostranosovente di discendere da lunghe frequen-tazioni degli autori in questione.L’impressione generale suscitata dalla totalitàdegli interventi è insomma quella di unagermanistica italiana attenta a dialogare conle tendenze e le acquisizioni della ricercainternazionale, e al tempo stesso strettaattorno alla difesa di un cospicuo significatodell’elaborazione poetica, senza cedere allelusinghe delle più estremistiche posizioni

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propugnate da recenti movimenti inclini asminuire vieppiù l’apporto della letteraturaal plasmarsi dei vari paesaggi culturali. Sicoglie invece in differenti momenti delRomanzo una tensione volta al confrontocon le situazioni illuminate dallaKulturwissenschaft meno dispostaall’incondizionata relativizzazione del testopoetico. Non è allora un caso che il taglioantropologico, quello in fondo più adatto aindagare il romanzo nella sua configu-razione geo-storica, impronti piùnettamente di sé proprio il primo e il piùcorposo contributo della miscellanea, quelloche Giulia Cantarutti dedica a DerWeltmann und der Dichter di FriedrichMaximilian Klinger (pp. 9-46). Se la stessavicenda di Klinger, ricorda Cantarutti, sioffre sia nelle sue linee biografiche eartistiche sia nella contraddittoria ricezionequale occasione per decentrare un interessein troppi casi ancora colpevolmente limitatoallo studio del “rappresentante perantonomasia dello Sturm und Drang, sullafalsariga della sua stilizzazione ritrattanell’autobiografia goethiana” (p. 9),l’operazione sottesa a questo ampliamentodell’orizzonte critico pare in realtà ben piùambiziosa. Il richiamo alla crescenteperifericità della posizione di Klinger, inispecie di quella assunta dall’autore nellasua trascurata fase poststürmeriana, invisaal potentato weimariano – Goethe renderàpubblica e maliziosa confessione della suamancata lettura del romanzo in questione –guida Cantarutti in una rigorosa e dottaricostruzione del romanzo del 1798,un’opera che nella produzione di Klingerpersino all’interno dell’anno di edizione èoffuscata dalla coeva e più nota Geschichteeines Teutschen der neuesten Zeit. Insiemecon l’invito a non dimenticare che “ilWeltmann fa parte di un quadro che spiccaper la sua complessità nel panoramaeuropeo” (p. 18) del proprio tempo,Cantarutti illustra il progetto dialogicoklingeriano mediante acute riflessioni sullaricezione tedesca del modello, il Neveu deRameau di Diderot. La presenza lungo

questa strada di nomi quali Hans-RobertJauß e Doris Bachmann-Medick ci avvertetuttavia che l’attento studio del particolare,il romanzo di Klinger, si svolgerà nel segnodi un intensissimo dialogo con la più vivainclinazione antropologica del tardoilluminismo tedesco ed europeo,corrispondendo l’ignorato Weltmann anchea “una altrettanto ignorata apologia dell’usodella penna come stilo […], bisturi chepenetra fin nelle intime fibre” (p. 17). È allaluce di siffatte considerazioni preliminariche il contributo di Cantarutti si presta forsepiù di ogni altro tra quelli contenuti nellacollettanea maceratese a sagomare il propriosoggetto nel contesto di una rappresen-tazione cartografica. Termini altrimenticonvenzionali, quali philosophischerRoman, Moralphilosophie, Unterhaltung,Geselligkeit prendono qui forma concreta,toponimi di una provincia dello spirito chegiusto grazie alla prassi del romanzo si dàcome real existierend, giustificando appienola propria qualifica politica senza maiabbandonare l’orizzonte di una serrataanalisi della contingenza culturale.Nel corso del volume altri interventi sidistinguono, sia pure in maniere tra lorodifferenti, per la proposta di letture in cui sitocca con mano la stratificazione dei sensi edelle modalità di scrittura che agiscono neiromanzi presi di volta in volta in esame. CosìGiusi Zanasi (pp. 137-156) insiste sul trattocon cui Alfred Kubin delimita l’inquietanteuniverso parallelo in Die andere Seite, maprova a sconfinare, a investigare da dentroquella verkehrte Welt tanto variamenteinterpretata dalla critica per “risalire alloZeitgeist, scavare alle radici delle numerosecorrenti poetiche di quel tempo, individuarel’humus in cui affondano tante fecondefluttuazioni e contaminazioni” (p. 140). La“cartografia del “sogno” che Zanasimenziona nel titolo del suo contributo rilevain questo caso il gioco dell’alternanza qualecifra strutturale del capolavoro letterariokubiniano. L’estenuante allucinazionesinestetica in cui si traduce l’esperienza diuna dimensione assurda e paranoica viene

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disciolta in conclusione nella “resa dei contidi Kubin col proprio mondo intellettuale,artistico, affettivo dominato dalla morte” (p.156). Ma la portata di tale costrutto di fatturapsicoanalitica si coglie soprattutto nelcostante rimando dell’autoreferenzialitàdell’artista alla geografia del mondo daincubo, così come Kubin la puntualizza nelsuo romanzo e come Zanasi la sa rileggeree rendere con tutto il suo carico di oscure epotenti suggestioni.Un altro gruppo di interventi presenti inquesta raccolta può identificarsi sullo statutodella ricerca comune, ancorché condottasecondo modalità peculiari a ciascuno degliepisodi, di una sorta di contingenza esteticasu cui il prodotto-romanzo cresce e maturacome codice espressivo decisivamentesegnato dall’interazione tra l’autore e ilproprio contesto culturale. Questadisposizione è palese nel caso dello studiodi Anton Reiser di Karl Philipp Moritzproposto da Alessandro Costazza (pp. 67-84), dove la figura del “dilettanteinesistente” profilata nel titolo vieneattentamente seguita nel lungo cammino dicomposizione dell’opera, cogliendo unaradicale trasformazione del punto di vistaautoriale finora sfuggita alla Moritz-Forschung, abbagliata dalla sedicentequalifica psicologica ostentata dal Reiser.Riscrivendo, sia pure per sommi capi, lapluriennale gestazione del romanzo, Costaz-za annota lo sbilanciamento dell’originariaprospettiva psico-antropologica versol’enunciazione di una severa normativaestetica. Tuttavia il merito principale diquesta rilettura consiste nel collocare taleoperazione, in apparenza volta a stigma-tizzare l’attitudine dilettantesca di una interagenerazione di giovani artisti tedeschi,all’interno di una più ampia critica dellaEmpfindsamkeit, in cui Costazza pare giàravvisare i sintomi di una degenerazionedell’enfasi esperienziale, prodromo dellamoderna crisi dell’arte. Se a proposito delReiser pressoché inevitabili erano stati iriferimenti ai Lehrjahre, al romanzogoethiano è interamente votato il contributo

di Elena Agazzi (pp. 85-108). Qui lacorrelazione tra Einbildung, Bild e Bildungnon si limita a coadiuvare uno sforzointerpretativo (ed eloquente sarebbe già di persé il richiamo alla werkimmanenteInterpretation dei Lehrjahre propugnata daKarl Schlechta), ma si configura qualereferente dinamico di una tensione esplorativache consente ad Agazzi di sondare alcunipunti del vastissimo retroterra culturaledell’opera goethiana, soffermandosi inparticolare sul carattere mimico dell’avven-tura di Wilhelm, sul “principio dellacontraffazione, per cui i personaggi delMeister non sono sempre ciò che appaiono”e che “fa parte della finzione teatrale, ma èanche un atout narrativo” (p. 105). In talsenso, e soprattutto supportando le proprieconsiderazioni con la costruzione di un altromodello triadico, in cui il Goethe che plasmain immagini romanzesche la wilhelmianaEinbildungskraft teatrale paga dazio alleIdeen zu einer Mimik di Johann Jacob Engelper poi vantar credito nei confronti del saggiodi Carl August Böttiger sulle recite di Ifflandin quel di Weimar, Agazzi fornisce un interes-sante esempio di proficua contaminazione tracritica letteraria e histoire des mentalités.Anche nei tre interventi che concludono lasezione monografica del fascicolo, con i qualiAntonella Gargano, Giulio Schiavoni e AnnaChiarloni si sospingono fin sulla soglia delnostro presente parlando rispettivamente diMalina di Ingeborg Bachmann (pp. 227-239),di Die letzte Welt di Christoph Ransmayr (pp.241-255) e di Medea di Christa Wolf (pp. 257-271), si ravvisano, sia pure a titoliestremamente differenti, elementi atti aestendere la significazione testuale agli spazicompresi in strutture di più ampio respiroantropologico. Così Gargano vede nell’Io delromanzo bachmanniano “il contenitore di unmateriale archeologico di cui dispone,archeologo di se stesso, per ricostruire lapropria storia” (p. 231), e coerentemente consiffatto presupposto definisce Malina la“traduzione letteraria” (p. 238) di una stranitaprassi archeologica in cui il lavoro di scavo èconcreta attività fisica, che capovolge però il

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proprio fine nell’interramento, nellarestituzione all’oblio. L’avvertenzapreliminare grazie alla quale Gargano siripromette di evitare il battutissimo sentierointitolato al binomio archeologia-psicanalisimisura lo spessore di un intervento preclusoad ogni accomodante ovvietà, e in questepagine volte a sintetizzare “il difficileesercizio di un’ars oblivionis, che però […]è tutto l’opposto della rimozione” (p. 239)sembra di cogliere il palpito di un cuorehillmaniano. Schiavoni, introducendo lapropria analisi del romanzo ovidiano diRansmayr, spende le parole più adatte asintetizzare le affinità tra l’autore austriacoe Christa Wolf, accomunati nel “loroimpulso a raccontare ciò che è in procintodi scomparire” e nella “loro disposizione amisurarsi in termini provocatoriamenteproduttivi con materiali ‘adiacenti’caratteristici del retaggio storico-culturale,inventando (o re-inventando) tutto unmondo” (p. 243). Con questo, le insidiosebanalità insite nel discorso intorno alrecupero post-moderno della dimensionemitologica vengono neutralizzate dallaprecisa messa a fuoco della differenza, delladistanza da cui Ransmayr e Wolf assistono,similmente allo spettatore di Blumenberg,al naufragio dell’individuo-poeta nell’uncaso e della dignità dello spirito nell’altro.Ora, se gli esiti del racconto di taledisperazione sono ovviamente alquantodiversi, le due letture che chiudono gli attidel convegno maceratese esprimono conaccenti rigorosi il medesimo, potente pessi-mismo di queste due toccanti testimonianzedella condizione contemporanea. Tutto teso,l’intervento di Schiavoni, a seguire con gliocchi del latitante esule ransmayriano lastesura di una sorta di consuntivo dellepossibilità della poesia lungo l’“itinerariodi una letteratura che interroga se stessa”(p. 243); concentrato, quello di Chiarloni, aincalzare la polifonia epica di Wolf nei suoilucidi passaggi dalle nebbie della mitologiaattraverso l’attualizzazione storica parallelaal dissolvimento dell’esperienza della DDRnel baccanale del mercato, fino all’approdo

al cuore più segreto dell’ordito metaforicoche l’autrice contesse secondo un peculiareintento politico e antropologico, veicolatodall’evocazione di un (forse) perduto“sapere istintivo”, di “una memoriacreaturale capace di generare conoscenza disé e del mondo” (p. 268).All’insegna della metafora si dipana anchelo studio di cui Emilia Fiandra fa oggettoCécile di Theodor Fontane (pp. 125-136),che immette nel fascinoso mondo delnarratore berlinese quasi riproponendo incifra cinematografica la splendida scenainiziale di questo grande romanzodell’adulterio. E intorno al “rinvio a uncentro vacante […] costante dell’interotesto, costruito sulla figura dell’assenza” (p.132), Fiandra dispone, con un incedere chericorda appunto l’ordinarsi delle sequenzedell’Effi Briest di Fassbinder, la ricerca delnon-detto, del retrotesto che rende cosìintrigante la causerie fontaniana, nel casospecifico di Cécile ideale campo d’indagineper le finalità socioletterarie ambite daiGender Studies. Al centro del volume nonpuò certo passare inosservata la cospicuapresenza di Fontane, che grazie al contributodi Domenico Mugnolo (pp. 109-124), voltoa ricongiungere sotto l’egida dello Zeitbildil primo e l’ultimo dei romanzi dello scrittore– Vor dem Sturm, del 1878, e Der Stechlin,del 1898 –, si staglia come figura dieccezionale rilevanza nella costruzione di unproblematico canone della modernità,giocato, come annota Mugnolo, sul fragileequilibrio tra tradizione e infrazione. Lameticolosa revisione cui Mugnolo sottoponeil giudizio largamente condiviso con cuiThomas Mann – e con lui Lukács – lamentala sostanziale immaturità della prima provafontaniana e lo sfaldamento della materiapoetica patito dall’ultima getta un ponteideale verso la serrata trattazione di FabrizioCambi intorno al nucleo mitografico dellatetralogia biblica dell’autore di Lubecca (pp.193-202). Si avverte in queste pagine tuttolo sforzo dell’elaborazione del mito secondoi dettami di una gravissima contingenzastorico-politica, l’apparente incongruità e

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insieme l’ineluttabilità di una scelta dicampo resa improcrastinabile da unpresente di oscura barbarie ma al tempostesso venata da una stranita giocositàseriosa, da quella che Cambi definisce“connotazione ludico-estetica” (p. 194) edà forma a “una strategia associativo-combinatoria che avvicina e intreccia mitie leggende di culture ed epoche fra lorodistanti come variazioni e modulazionidiverse di un comune, ‘infantile’accostamento alla realtà” (p. 202). SeCambi sottolinea lo sforzo manniano peruna illuministica conciliazione sul pianodella scrittura dei tempi e dei luoghi delmito, della storia e dell’utopia, nelle sueconsiderazioni su Berlin Alexanderplatz diAlfred Döblin (pp. 173-191) SimonettaSanna vede l’immersione dello scrittorenovecentesco nella dimensione mitologicacome l’occasione per una riemersionecarica di potenzialità mantico-orfiche. Inaperta polemica con buona parte dellaDöblin-Forschung, Sanna segue la vicendadi Franz Bieberkopf fin nei suoi recessi piùsegretamente ermeneutici, per ricondurre ilconclusivo e spesso frainteso descensus adinferos dell’eroe a una profonda coerenzaimmaginifica dell’opera, nel solco di unatradizione sapienziale nuovamenterischiarata dalla post-nietzscheanaridefinizione dell’antitesi tra apollineo edionisiaco suggerita da Giorgio Colli.Ispirata da una peculiare nozione odeporicaappare anche l’analisi del Golem di GustavMeyrink esposta da Margherita Cottone(pp. 157-172); qui il romanzo d’ambien-tazione praghese assurge a prototipo di unamoderna accezione del fantastico, inteso“come letteratura della “soglia”, […]Zwischenwelt, spazio intermedio, punto ditangenza in cui è possibile una diversaesperienza delle cose” (p. 160). Cottone,nell’ammirare il tenebroso incanto dellaPraga magica solcata dalla narrazione diMeyrink, segnala il magistrale adattamentodello spazio alle varie istanze, topografiche,etnografiche, simboliche, metaforiche cheriecheggiano durante il viaggio allucinante

dell’io oltre i contorni dell’identità, ma anchela venatura sperimentale di un cammino diesplorazione mai dimentico del necessariorigore formale. Rigore e coerenza etica sonole cifre della lettura di Ansichten eines Clownsdi Heinrich Böll così come la riassume ItaloMichele Battafarano (pp. 203-226);esplicitamente funzionale a una “occasionedidattica” (p. 225), il testo della conferenza,che lo studioso preferisce mantenere nella suastesura originaria, tallona con implacabilelucidità il testo di Böll, senza lesinareinteressanti considerazioni preliminari sul“ tempo della lettura di un romanzo” e “sulromanzo come libro” (p. 203). Ne discendela presa d’atto di realtà tecniche, editoriali,traduttive che troppo spesso si danno perscontate, laddove esse “spiegano il contestostorico-culturale di un libro, illustrano talunimomenti della sua ricezione, sottolineanoindirettamente le cause del successo del libro,suggerendo così anche modelli di lettura” (p.204). Alla luce di queste avvertenze, la triadecomposta da fede, sesso e denaro che presiedealla interpretazione di Battafarano strutturaun’opera che è uscita vincente dal bozzolosituazionista in cui pareva rinchiusa almomento della sua comparsa. Di più, il feliceconnubio tra pratica etica ed esegesi paolinadivulgata negli anni del Wirtschaftswundergenera “un atto di fede nella funzioneconoscitiva della letteratura, in questo casodel romanzo” (p. 225). Ultimo tra i contributiche arricchiscono il volume in questione aessere preso in esame, lo studio di MicheleCometa sul Laocoonte nell’Ardinghello diWilhelm Heinse (pp. 47-66) è per sua stessanatura quello più disposto a offrirsi comesaggio interdisciplinare, pur se tuttavia giàall’esordio si precisa l’intenzione di guardareal romanzo di Heinse più con gli occhi dellaKunstbeschreibung che con quelli dellaLiteraturwissenschaft. Ne consegue undiscorso denso di riferimenti colti al dibattitoestetico contemporaneo, il cui nucleo centralepare come striato da una finalità metastorica,nel suo compattarsi attorno al discernimentonella prassi romanzesca heinsiana di “unapprofondimento di carattere antropologico,

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svelando proprio quella componente eroticadell’estetica winckelmanniana che lacultura tedesca del primo romanticismotendeva a rimuovere, complice lo stessoGoethe” (p. 56). Sotto la superficie deldolore metafisico, del Weltschmerz cheHeinse a detta di Cometa distilla dalLaocoonte, quasi a voler travolgerel’acquiescenza del giudizio winckel-manniano, si cela allora quella “costruzionedi una koinè rinascimentale” primamenteadditata nell’Ardinghello e in seguito, purin modo controversi, così decisiva nelformarsi dell’estetica della Goethe-Zeit.

Stefano Beretta

Idillio e anti-idillio nella letteratura tedescamoderna, a cura di Rita Svandrlik, Bari,Palomar, 2002, pp. 312, € 23,50

La circolazione della maschera pastoralenelle letterature europee è stata in genereaccompagnata, anche nelle stagioni di piùdiffusa penetrazione, da una sostanzialeincertezza circa i caratteri specifici in baseai quali distinguere, in un’ottica tantodescrittiva quanto normativa, l’idillio daglialtri generi contigui. L’assenza di unatrattazione particolare dedicata alla formaidillica nelle poetiche di Aristotele e Orazio;la moltiplicazione dei profili in qualchemodo riconducibili alla materia campestre,per lo più coincidenti con il tipo di attivitàesercitata dagli individui residentiall’esterno della cerchia urbana (contadinie pastori, con un tradizionale vantaggioriconosciuto a questi ultimi in virtù deimomenti di ozio concessi dalla cura delgregge, ma anche, e già in Teocrito,pescatori e da Orazio in poi perfino cittadinicui il contatto con la natura fornisce il destroper una laus ruris intesa a risarcirli dagliaffanni dei negotia quotidiani); ancora, loslittamento delle referenze allegoricheinnescate dal genere, che se nel Seicento siconcentrano di preferenza sulrispecchiamento delle abitudini e delle

occupazioni del ceto nobiliare, riprodotte neltravestimento bucolico a un alto livello dicoerenza formale e soprattutto senza alcunaintenzione di sottoporle a una revisionecritica (“ins gemein werden Hirtengedichtegenennet alle die Geschicht / welche theilshoher Personen Liebshändel unterverdeckten Namen beschrieben / theils zuTraur und Freudenbegängnissen mit sondernErfindungen gewidmet seyn”, scriveHarsdörffer alla metà del XVII secolo nelPoetischer Trichter, e la medesimadefinizione potrebbe essere applicata a unculmine del romanzo pastorale francesecome L’Astrée di Honoré d’Urfé), nelSettecento, rifluendo entro quella più ampiacorrente di riposizionamento ideologico cheporta le convenzioni retoriche a staccarsiprogressivamente dall’ambito dell’elocutioper aderire a quello dell’inventio, aperto findai primi momenti della Querelle desAnciens et des Modernes a tutti i multiformisviluppi connessi all’apprezzamento delbeau relatif e del “verosimile”, operanoinvece su un modello antropologico solidalecon il consolidamento dell’intrapresaborghese, modello identificato in un idealedi medietà universale-umana alimentato perun verso dal prestigio riconosciuto al mondoantico (e si spiega così, per esempio, laprofonda identità di vedute tra un Geßner eun Winckelmann), per l’altro da un concettodi virtù saldamente incardinato nellamobilità della prassi socio-economica, daritrovarsi appunto non nella sprezzatura enel pieno dominio formale tipici delladécence aristocratica, ma nella discrezionee nella duttilità, oltre che nella sensibilitàalle ‘ragioni del cuore’, proprie del terzostato, ciò che finisce – come è evidente –per rendere la rappresentazione del mondocampestre del tutto secondaria rispettoall’evocazione di quel piacere estetico lievee composto che un Fontenelle e un Batteux,per fare solo i nomi più noti, indicano comecompito principale dell’idillio; e infine, larapida scomparsa, all’indomani delvastissimo successo fatto registrare dagliIdilli di Geßner, del genere bucolico in sé, a

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fronte della sua dispersione carsica in altreforme congeniali, nel corpo delle quali va aricoprire funzioni sostanzialmenteaccessorie, incentrate più sulla presenza disingoli elementi topici adibiti a episodiciintermezzi di carattere lirico (particolar-mente apprezzati, per esempio, dal gustobiedermeier) che sull’attitudine a sostenereautonomamente lo sviluppo dell’intreccio;tutto ciò ha avuto come conseguenza, sulpiano critico-storiografico, non soltanto,come si diceva, una persistente opacità dellanozione stessa di idillio, bensì soprattuttouna lunga stagione di silenzio intorno aquesto genere, silenzio che la Germanisticasi risolve a infrangere, se si prescinde dailavori di Sengle (che, sia pure decisivi perla Renaissance degli studi su questoargomento, dovrebbero essere ormai unavolta per tutte riconosciuti nei loro limitioggettivi, giacché è davvero difficile seguirelo studioso sul terreno della liquidazionegenerale da lui perseguita nei confronti ditutte le avanguardie novecentesche, rispettoalle quali l’idillio, appunto, costituirebbeuna sorta di arcano remedium, una robustainiezione di sani spiriti vitali), solo con lacomparsa, nel 1967, della monografia diRenate Böschenstein.La stessa Böschenstein, peraltro, lì dovefaceva per la prima volta il punto sullaquantità dei materiali sino ad allora dispersie adesso, grazie alla sua acribia, finalmentedisponibili a una trattazione sistematica,avvertiva che non tanto verso un chiarimentometodico e una rigorosa limitazione degliattributi generici si sarebbe dovutaindirizzare la Forschung successiva, quantoverso la comprensione dell’“idillico” comestato d’animo, come proiezione sulla naturadi uno stato di persuasione interiore, comealone di significati, in definitiva, riferibiliall’attimo felice e irripetibile di un Erlebnisimperniato sulla percezione di una unitàorganica tra individuo e mondo, esperienzacome tale indipendente dall’obbligo di unaprecisa codificazione strutturale. E se si puòcerto puntare il dito contro i residuistaigeriani impliciti in una posizione simile,

o rilevare che, muovendo da questo punto,non si compiono significativi progressi (mala gran copia dei prelievi testuali raccolti daBöschenstein relativizza da subito taleobiezione) nei confronti dello studio deigeneri letterari di impostazione kayseriana,in cui appunto il rilevamento dellestratificazioni genetiche passa di solito insecondo piano rispetto alla rivelazione di unapresunta carica argomentativa impressa apriori nella fisionomia stessa della singolaGattung, è d’altronde necessario riconoscerecon uguale prontezza che la ricercasull’idillio, anche a tanta distanza di tempodalla ripresa del dibattito, è tuttora chiamataa fare i conti con la difficoltà, che insisteinnanzi tutto sul puro piano terminologico(nel quale l’ipotesi filologicamente piùaccreditata, che ricollega l’adozione dellaparola ‘idillio’ come marcatore generico allaripresa del sostantivo adoperato per designarenella sua interezza, e senza limitazioni diforma o contenuto, il corpus teocriteo, nonha ancora avuto pienamente ragione dellaversione secondo la quale a monte di ‘idillio’starebbe un diminutivo del termine eidos,‘immagine’, dunque ‘quadretto’, ‘piccolaforma’), di pervenire a una precisazionestabile delle caratteristiche distintive delgenere nel suo complesso. Gli studi dedicatipiù o meno a partire dalla metà degli anniSettanta alla questione dell’indice di politicitàdell’idillio nella letteratura tedesca delSettecento (questione accesa – è chiaro –dall’osservazione della frequenza con cui ilgenere ricorre, sia pure declinato secondomodalità a tratti anche aspramente divergenti,in frangenti dominati da un travaglio socialee politico di particolare intensità, si pensi allaLuise di Voß, a Hermann und Dorothea e allateoria dell’idillio in Schiller tra il saggio Sullapoesia ingenua e sentimentale e il Tell), chehanno avuto in Helmut J. Schneider l’autoredei contributi di maggiore rilievo, hanno difatto aggirato l’ostacolo, preferendo inserirela materia pastorale entro quello schemaermeneutico progressivo incentrato sullalettura del testo letterario come manife-stazione parallela e sintomatica del processo

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di emancipazione del terzo stato. Una piùprecisa focalizzazione delle competenzespecifiche dell’idillio è lecito in questosenso attendersi dall’estensione allo studiodel genere di quelle tecniche interpretativefondate non sull’attribuzione ai gruppisociali di gusti e modelli di condottasubordinati incondizionatamente alla loroposizione economica, ma sull’analisi dellacircolazione di questi stessi modelli da ungruppo all’altro sulla spinta di determinantisaldamente radicate negli interessi culturalidel tempo, dalla tensione verso unaeloquentia corporis basata su un’espres-sione globale delle attitudini individualiall’esigenza insieme giusnaturalistica epietistica di una relazione formativa con lanatura e di una strategia atta a distillare dallepassioni del singolo elementi riconvertibiliin un’ottica altruistica e sociale. Lì dove(come nel recente volume di Carsten Behle,“Heil dem Bürger des kleinen Städtchens”.Studien zur sozialen Theorie der Idylle im18. Jahrhundert, Tübingen 2002) ci si èmossi in questa direzione, si è stati in gradodi avanzare ipotesi convincenti su quello cheappare sempre più il problemafondamentale e in un certo senso distintivodell’idillio nella temperie settecentesca, aldi là delle occorrenze in contestidisomogenei di una sfumata e imprecisabilesensibilità idillica: la tensione mai risoltatra impulsi progressivi e regressivi, lamancata saldatura, per dirla in terminiszondiani, tra il piano tematico, in cui siannunciano – con un’evidenza tantomaggiore quanto più è costitutiva nell’idilliol’assenza di lavoro, o al limite l’eserciziodi un’attività completamente priva ditravaglio – le inquietudini e gli squilibrilegati al graduale cambiamento dei modi diproduzione, alla formazione del proletariatourbano, alla fine del mondo feudale, e quelloformale, in cui l’omogeneità di superficie(già marcata nella sorvegliatissima prosa diGeßner e poi portata all’estremo nellasolenne cantabilità della partitura metricagoethiana) tende chiaramente aneutralizzare il peso di quelle

trasformazioni.Il volume curato da Svandrlik, che ospita inmassima parte interventi di studiosifiorentini, nonché un contributo conclusivodel vero e proprio spiritus rector dellaricerca sull’idillio, Renate Böschensteinappunto, si sofferma prevalentemente sullafase declinante della parabola del genereletterario nella storia della cultura tedesca,prendendo le mosse, più che dalla brevestagione dell’entusiasmo idillico accesodagli scritti del ‘Teocrito svizzero’, dalperiodo della crisi, o almeno della forterelativizzazione di quello stesso entusiasmo,corretto e integrato (per esempio, comedimostra Vivetta Vivarelli, in Goethe,Hölderlin e Jean Paul) dall’acutaconsapevolezza dell’inservibilità – se nonproprio, come scriverà Hegel nell’Ästhetikin una celebre stroncatura delle Idyllengeßneriane, della pericolosità – di un idillioesclusivamente concentrato sullacontemplazione della propria levigatezza edella propria felice separatezza.Parallelamente rispetto a quella tendenzaall’azzeramento del genere come unitàautonoma e alla costituzione di settoricircoscritti di effusione idillica nel corpo diopere più estese, infatti, si registra (edateremmo il terminus a quo intorno al1770, all’altezza della reazione stürmerianaagli sdilinquimenti sentimentali dei pastoridi Geßner) un’intuizione sempre più nettadella plausibilità di uno stato di beatitudinearcadica solo in presenza di una spintaaltrettanto potente all’oltrepassamento deilimitati confini del locus amoenus. Il che nonsignifica in ogni caso resa all’angosciagenerata dal movimento tumultuoso dellastoria (che di nuovo Vivarelli analizza inrapporto a una serie di motivi e metaforeriferibili all’ambito della Rivoluzionefrancese), ma può implicare, come nellateoria schilleriana dell’idillio, unaricostituzione ‘sentimentale’ e a posterioridel sentimento di totalità implicito nellacostruzione immaginale dell’età dell’oro,una forma ricreata in una condizione dimaturità ulteriormente potenziata dalla

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coscienza della forza della protensione eticanecessaria a ripristinarla (una traccia cheMaria Chiara Mocali segue alla luce dellaripresa effettuatane da Heine, sviluppandoun denso percorso di lettura all’interno delBuch der Lieder, in bilico tra le polaritàdell’Oriente come “luogo utopico […] in cuiil poeta concede piena cittadinanzaall’amore corrisposto”, p. 126, e della fiabatedesca come recupero di una nuovapossibilità idillica imperniata sulla figura delWanderer) o, come nella poesia dell’ultimoHölderlin, un impulso a realizzare con laparola poetica una situazione di massimacondensazione formale intesa a opporre unfreno alla dispersione dell’aorgico. È inquest’ottica che Giuseppe Bevilacqua (cuisi deve peraltro, nel saggio che inaugura laraccolta, un’intuizione lungimirante edecisiva circa le connessioni tra la popolaritàdella topica idillica nel secondo Settecentoe la contemporanea diffusione dei raccontidi viaggio, espressioni coincidenti delcomune interesse del secolo per le formedel primitivo) indica in Hebel una variazionesignificativa rispetto al disegno tipicamentegeßneriano di una comunità posta al riparodalle tensioni e dagli squilibri prodottidall’instaurarsi, tra un individuo e l’altro,di relazioni di sfruttamento connesse allapratica del lavoro. Negli AllemanischeGedichte di argomento idillico siaffermerebbe secondo lo studioso unatipologia “georgica” nella quale il lavoronon è assente, ma è organizzato sulla basedi un assoluto disinteresse nei confronti delconseguimento del profitto individuale ecome tale assimilato all’operosità del ritmonaturale: “il carattere saliente di codestolavoro”, scrive Bevilacqua, “è quello dellaperfetta organicità con le funzioni vitali cheanimano l’intera natura, senza alcunainterferenza di scopi ad essa estranei” (p.35).L’intervento di Marie Luise Aigner prendein esame le modalità che presiedono alladiscesa di motivi-chiave della tradizionedell’idillio – primo fra tutti il locus amoenus,che l’autrice analizza con persuasiva

ricchezza documentaria nelle sue componentifondamentali – in un genere di diffusaadozione nel circuito della comunicazioneletteraria a cavallo tra Sette e Ottocento comeil romanzo popolare di argomento amoroso.Aigner si sofferma in particolare sul fermentoegualitario annidato nella rappresentazione diuna umanità colta in uno stato di completasospensione dei conflitti, dedita aun’esistenza naturale da cui risulta rimossa,in modo conforme allo spirito della radicaleKulturkritik rousseauiana, ogni traccia didisuguaglianza. In proposito sarebbe forse dadifferenziare con maggiore accuratezza ilgiudizio secondo cui la comunità ruraledisposta intorno al centro vitale della capannariscaldata dall’intensità dei sentimenti diamore e di amicizia che stringono i suoimembri in un indissolubile vincolo reciprocoriflette “la convinzione da parte dellaborghesia di poter superare ogni disparitàsociale” (p. 90), giacché nel mondo pacificatodell’idillio la borghesia stessa vedeverosimilmente (e su questo aspetto leindicazioni di Bevilacqua sono estremamenteistruttive) non una proiezione destinata allarivendicazione simbolica di un più estesospazio operativo in una fase di lentaestensione dei propri traffici, bensìl’immagine ideale di un correttivo a questostesso sviluppo, di una mediazione volta acontenere il potenziale anarchico intuito neldenaro e nella travolgente espansionedell’economia industriale (e comunque innessun caso il terzo stato pensa a un progettodi abolizione delle differenze di classe versoil basso); è peraltro indubbio, qualunque siail segno da attribuire a tale indirizzoideologico, che la funzione sociale di questigeneri minori consiste – come vede beneAigner – nella trasmissione di una topicapervasiva intesa a conferire senso comune aun programma strettamente legato ai bisognie alle aspirazioni dei ceti produttivi.La contaminazione dell’idillio di stampogeßneriano, fin nei dettagli del suo repertoriofigurativo, con il vasto ambito dei motivi chelo Svizzero aveva intenzionalmente oscurato(finendo così, come è ovvio, per rivelarne con

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urgenza tanto maggiore tutta l’irrisoltacrucialità), si fa via via tanto estesa –seguendo il percorso diacronico suggeritodal volume – da indurre a dubitare, comegià aveva fatto trent’anni fa Jens Tismar nelvolume dal titolo programmatico (edestinato a conseguire nella Forschungs-geschichte una diffusione propriamenteformulare) Gestörte Idylle, che si possaparlare di questo genere letterario senzacalcolarne esplicitamente anche il rovescio,senza riferirsi cioè, come scrive MariaFancelli nel suo saggio benniano, “a unacondizione non più pensabile se non inrelazione al suo antonimo” (p. 225). Se inLenau, secondo l’interpretazione diFrancesca Spadini, la precarietà dell’idillioè da mettere in relazione soprattutto a unacondizione di disagio personale spinto sinoai limiti della perdita di ragione, in Stifter –ne rende conto la rigorosa lettura di RitaSvandrlik – il sogno di un ritiro arcadicodiventa la cifra di una finzione primitivisticache, mettendo in gioco problemi capitalidell’identità dell’individuo (toccati dallastudiosa con una sapiente e stimolantemoltiplicazione di strumenti interpretativi,orientati sia nella direzione di questioni digender, sia verso il chiarimento delleimplicazioni antropologiche accese dallapagina stifteriana), arriva a ricreare l’idillio,nel racconto Die Narrenburg, non comesemplice cornice dello svolgimentodiegetico, la quale viene anzi allusivamentesvelata nella sua implausibilità, bensì comemanifestazione visibile dell’avvenutaformazione del protagonista, cometraduzione sensibile del processo di Bildungche porta Heinrich ad assumereconsapevolmente il suo ruolo di tutore delmondo patriarcale, liberando il castello dallasituazione di degrado in cui lo aveva ridottola Schwärmerei dei suoi precedentiproprietari.La tesa dialettica tra la negazione razionaledell’idillio e la ricerca segreta di unaprospettiva dalla quale attingere, se non laconfidenza istintiva nell’indisturbata totalitàsottesa all’immagine idillica tradizionale,

almeno l’impulso a vivere in una formarinnovata quella stessa totalità, costituisceper Marco Meli una chiave di lettura utile aipotizzare alcuni elementi di continuitàpersistenti lungo l’intero svolgimento dellascrittura di Gottfried Benn. Incrociandosicon il tema prettamente benniano dell’op-posizione tra volontà di forma e spinta allaregressione in uno stato di completadissoluzione formale caratterizzatodall’annullamento di ogni residuo volitivo,questo anelito verso l’idillio ricreato finisceper coincidere con una condizione diseparazione e di autoesclusione dal mondocircostante tematizzata nella figura diNarciso. La disillusione che sancisceimmancabilmente il venir meno di ognicostruzione di segno idillico azzardata daRönne esprime in questa chiave la per-suasione della irrimediabile inattingibilitàdell’idillio stesso, il quale sopravvivesoltanto nelle forme di una mascherataingannevole da cui non occhieggia nessunasperanza di totalità, ma, come Meli dimostraattraverso un uso elegante e misurato dellostrumentario psicanalitico, fa capolino lospettro della castrazione. Con il saggio diMatteo Galli sui percorsi seguiti dallanarrativa della DDR dopo la caduta del Murola miscellanea arriva infine a sondare letracce dell’idillio nella letteraturacontemporanea (e il quadro complessivoviene ulteriormente allargato dall’interventofinale di Renate Böschenstein, che si occupatra l’altro di romanzi di Philip Roth e ToniMorrison). Galli individua tre tendenze,ciascuna distinta dall’atteggiamento difondo degli scrittori considerati sia neiconfronti del mito originario di fondazioneoperante a tutti i livelli della cultura ufficialenella DDR, sia rispetto alle diverseconfigurazioni assunte dalla parabolautopica e umanitaria coltivata nel qua-rantennio socialista ora come obbligatoesercizio retorico volto a coprire la paralisidell’involuzione burocratica, ora comecornice di un ripensamento generale dellevicende collettive e di una cauta esplora-zione degli spazi ancora disponibili a un

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lavoro di riforma. Il codice idillico restacompletamente estraneo all’ampia frazionedegli autori (Wolfgang Hilbig in testa) cheGalli raccoglie sotto le insegne della“bernhardizzazione postuma”, di uncorrucciato piacere dell’effusione logor-roica, cioè, destinato a compensare i decennidi obbligata laconicità. Di un’“utopia senzaidillio” si potrà invece parlare a propositodelle opere ‘post-89’ degli scrittori (basteràcitare Christa Wolf e Volker Braun)tradizionalmente impegnati in una tortuosaattività di ‘dissidenza interna’ basata sultentativo di “difendere in qualche modol’utopia socialista e segnalare, pur ricor-rendo a tutte le necessarie astuzie dellaSklavensprache, le aberrazioni delcosiddetto socialismo reale” (pp. 237-238);per converso, la definizione di “idillio senzautopia” focalizza con precisione la fiorituradi imprese editoriali riconducibili al filonedell’Ostalgie, quella trasfigurazioneintenzionalmente disimpegnata deglielementi propri del vissuto quotidiano nellaGermania Est, che nei lavori di Sparschuhe Brussig, ma anche in una ricca produzionecinematografica culminata nel recentissimoGood Bye Lenin, ha dato voce a unsentimento diffuso, impiantando non inultimo un fenomeno commerciale diproporzioni ragguardevoli.

Maurizio Pirro

Jürgen Bolten, Claus Ehrhardt (Hrsg.),Interkulturelle Kommunikation. Texte undÜbungen zum interkulturellen Handeln,Sternenfels, Verlag Wissenschaft & Praxis,2003, pp. 396, € 18,80

Le parole “intercultura” ed “interculturalità”non compaiono fino ad oggi nei maggiorivocabolari italiani e tedeschi; eppureparadossalmente esse sono da annoverarsitra quei termini che non solo vengonoprediletti dai media, al pari di “glo-balizzazione” ed “internazionalizzazione”,ma che negli ultimi anni sono divenuti

spesso anche oggetto di riflessione e di unintenso dibattito da parte esperti di variediscipline: sociologi, linguisti, economisti, enon da ultimo anche filosofi e germanisti.Anzi è proprio ad un filosofo, Hans GeorgGadamer, che si devono l’individuazione ela denominazione pionieristica del centro diinteresse degli studi interculturali: loZwischen. Questo luogo, la cui esistenza èindissolubilmente legata alla compresenza didue realtà diverse, contigue, ma nonconvergenti, e alla loro reciproca interazione,è non solo, come postulava Gadamer, il puntodi vista dell’ermeneuta, ma anche ilBlickwinkel di ogni studioso di fenomeniinterculturali, siano essi di caratteresociologico, linguistico, letterario oeconomico. La lingua, la società, l’economia,la letteratura vengono studiate in questaprospettiva non più isolatamente, ma nellemolteplici relazioni che esse instaurano conlingue, società ed economie di altre culturee, non da ultimo, nella reciproca influenzache esercitano le une sulle altre. ClausEhrhardt e Jürgen Bolten sembrano avereassunto proprio questo Blickwinkel nellaprogettazione e realizzazione del volumemiscellaneo Interkulturelle Kommunikation.Il primo, docente di Lingua tedesca allaFacoltà di Lingue e Letterature stranieredell’Università di Urbino, il secondo, docentedi Comunicazione economica interculturalealla Facoltà di Filosofia dell’Università diJena, hanno trovato un luogo comune, da cui,ognuno nella specificità dei propri interessie competenze, potesse non solo osservarel’interculturalità in quanto evento che oggiha luogo nel mondo a vari livelli (linguistico,politico, economico, sociale), ma soprattuttomettere in luce le conseguenze che essoproduce sulla comunicazione quotidiana e/ospecifica. Questo Zwischen, peraltro, non èsolo un luogo virtuale, ma un effettivo spaziodi collaborazione creatosi tra l’Università diUrbino e quella di Jena: il volume nasceinfatti unitamente al progetto di un percorsodi studi binazionale, in fase di realizzazione,che permette tra l’altro agli studenti dellaFacoltà di Lingue di Urbino di perfezionare

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a Jena i propri studi linguistici ed economici.Il volume si rivolge quindi principalmente,oltre che agli studiosi, linguisti, economistied esperti di comunicazioni sociali,soprattutto agli studenti delle laureespecialistiche che stanno nascendo, in Italiaed in Germania, dalla collaborazione tra lefacoltà umanistiche ed economiche. Costoropotranno trovare non solo nei testi, ma anchenegli esempi, nelle esercitazioni e nellabibliografia, elaborate dai curatori alla finedi ogni contributo, un valido aiuto perapprofondire e consolidare le conoscenzeacquisite nella lettura.Il volume, interdisciplinare ed interculturalequindi sia nell’oggetto che nell’organiz-zazione, raccoglie articoli già pubblicati inaltre sedi, ad eccezione di quello inedito diEhrhardt, suddivisi in quattro sezioni. Icontributi della prima parte introducono iltema, offrendo risposte alla domanda difondo di colui che si avvicina per la primavolta a questa disciplina: “che cos’è lacomunicazione interculturale e quali sono imeccanismi che sono alla base di ogniprocesso comunicativo?”. Il saggio diBurkart offre una definizione dicomunicazione in contrasto con l’ideadiffusa in ambito economico e politico,secondo cui l’atto comunicativo consistenella semplice trasmissione di contenuti;l’autore, che sembra qui tradurre la lezionejakobsoniana, sottolinea il caratterereciproco della comunicazione, intesa comeun processo dinamico di mediazione disignificati, reso possibile da un’istanzamediatrice. L’autore mette in lucesoprattutto il forte condizionamento operatoda fattori culturali, sociali e affettivi chespesso impediscono il realizzarsi di questoprocesso: le istanze di socializzazionestabiliscono delle affinità nei patrimoniconoscitivi dei singoli, ma la diversità diesperienze e sensibilità fanno sì che unaparte dei significati che l’individuo intendecomunicare vada inevitabilmente perduta.Proprio il carattere problematico dellacomunicazione, l’inevitabile margine diapprossimazione, evidenziato da Burkardt,

sono ciò che per contrasto mettono in luceSchütz e Luckmann nello studio sullaalltägliche Lebenswelt, intesa come quelmondo naturale, sociale e culturale, in cuil’uomo agisce ogni giorno in maniera nonproblematica. Gli autori sottolineano che èproprio questa realtà naturale a esser messain discussione nell’incontro con l’estraneo,vale a dire con esperienze non imme-diatamente interpretabili dal patrimonioconoscitivo a disposizione. Questodisorientamento non è però, secondo gliautori, inevitabilmente negativo in quantoinduce il soggetto ad agire per trovare unamodalità interpretativa, ampliando così ilproprio orizzonte culturale originario.L’articolo successivo (Assmann) specificameglio l’oggetto di studio dellacomunicazione interculturale, che finora erastata definita genericamente come unprocesso spesso ostacolato dall’incontro conl’estraneo; l’autore la distingue dallacomunicazione quotidiana, che si fonda suuna “memoria comunicativa”, limitatadall’immediatezza spazio-temporale, eindividua il suo fondamento e il suo oggettonella “memoria culturale” di un determinatopopolo, vale a dire nel patrimonio venutosia creare in un lungo lasso di tempo in seguitoalla sedimentazione di valori, immagini edeventi in libri, monumenti, rituali e paesaggi.I due articoli successivi (Spitzer, Goffman)individuano gli elementi su cui propriol’identità culturale sopra definita, la nostramemoria collettiva, esercitano la propriainfluenza: la psiche e le relazioni sociali.Essa non solo condiziona infatti i modi e itempi con cui il nostro cervello organizza leinformazioni ricevute, ma anche le modalitàcon cui le informazioni ordinate dalla nostrapsiche vengono comunicate; questocondizionamento è tale che inevitabilmente,in ogni relazione con gli altri individui, negliinterlocutori insorgono veri e propristereotipi che mettono in pericolo lacomunicazione stessa (Goffman).I contributi della seconda sezione descrivonoin modo specifico e da prospettive diversela relazione che sussiste tra i due fenomeni

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che nella prima parte del volume erano statidelineati singolarmente, a livello teorico: lacultura o meglio le culture e lacomunicazione. Il contributo di Gudykunste Ting Toomey ha il merito non solo diillustrare l’influenza reciproca tra cultura ecomunicazione, ma soprattutto di fornireprecise definizioni sia dei diversi approccidi studio delle culture che dei tipi di analisidei modi e dei tempi della comunicazioneintra- e interculturale. Al di là della pretesadi schematizzazione forse eccessiva essodelinea con chiarezza il rapporto da un latotra le ricerche intraculturali e gli studicomunicativi di carattere antropologico,etnologico e socio-linguistico e dall’altro traquelle interculturali e gli studi che sioccupano primariamente di mettere aconfronto la modalità di comunicazione,socializzazione e di interazione tra culture.Ehrhardt offre finalmente un contributo dicarattere linguistico; finora i diversi autoriavevano alternativamente incentrato il lorointeresse sulla cultura e/o i meccanismicomunicativi, citando solo marginalmentela lingua, vale a dire il più degno edautorizzato abitante dello Zwischengadameriano, l’istanza che più di ogni altrarappresenta il trait d’union tra la cultura ela comunicazione, senza la quale ladimensione culturale del singolo come delgruppo a cui esso appartiene può difficil-mente tradursi nell’atto comunicativo.Diversamente dai rappresentanti delrelativismo linguistico Ehrhardt ritiene chel’ovvio e scontato legame tra lingua e culturanon debba essere studiato a livello distrutture, ma in modo pragmatico, neiriflessi e nelle conseguenze che essocomporta a livello comunicativo. Questorapporto non è direttamente proporzionale:la cultura non è determinata dalla lingua deisuoi parlanti e la lingua non è in quantosistema il prodotto immediato di una cultura.L’autore abbraccia la tesi humboldtiana,secondo cui la lingua è prima di tuttoenergeia, vale a dire il prodotto dideterminati sforzi comunicativi. Per taleragione la ricerca dei linguisti, che vogliano

dare il loro contributo alla ricercainterculturale, dovrà incentrarsi non sulladescrizione del sistema lingua ma piuttostosullo studio del modo in cui i rappresentantidi una certa cultura facciano uso di talesistema nella comunicazione. In questaprospettiva le difficoltà di comprensione chesorgono tra i rappresentanti di due differenticulture sono sì una conseguenza del fatto chealmeno uno dei due parlanti utilizza una L2,ma ciò non è riconducibile alla differentestruttura della L2 rispetto alla L1, mapiuttosto al fatto che il parlante non nativo,per colmare lacune di carattere linguistico,interpreta il messaggio del suo interlocutore,facendo uso di conoscenze pregresse, nonchédi supposizioni e stereotipi. Il contributo dellalinguistica interculturale può essere “solo” dinatura pragmatica e applicata; il suo primariooggetto di studio sarà non la lingua in sé, mal’utilizzo della lingua nel processocomunicativo; il suo fine sarà di comprenderein che misura le competenze e gli stereotipitradotti a livello linguistico da un parlantepossano rendere difficoltosa la comuni-cazione interculturale. Il saggio di Galtungtraduce in pratica quanto enunciato a livelloteorico da Ehrhardt, mostrando l’applicabilitàdelle tesi linguistico-comunicative avanzate:lo studioso traccia una cartina geograficadelle diverse modalità di comunicazioneproprie di intellettuali appartenenti allequattro maggiori aree culturali del pianeta(sassone, teutonica, gallica e nipponica). Aldi là della rigida schematizzazione e dellasemplificazione di Galtung, che descrive glistili intellettuali unicamente sulla base delleesperienze il saggio ha il merito di mostrareempiricamente lo stretto legame tra cultura ecomunicazione: non solo ogni atto comuni-cativo è condizionato dall’appartenenzaculturale degli interlocutori, ma partendodall’osservazione delle modalità comuni-cative è possibile risalire addirittura ad alcunedelle caratteristiche della società e dellacultura dei parlanti.Una volta definito e discusso il legame tracultura e comunicazione e presa coscienzadell’importanza che esso riveste per la

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comprensione dei meccanismi comunicativiin un contesto internazionale il lettore puònella terza parte del volume comprenderemeglio in che modo le competenze culturalisi traducano effettivamente nellacomunicazione, vale a dire come si giungada un semplice confronto tra due culturediverse all’interazione interculturale. Ilsaggio di Wierlacher e Hudson-Wiedemannpresenta lo status quo della diffusione dellaprospettiva interculturale in diversediscipline, prima fra tutte la germanistica(A. Wierlacher, 1985) per riflettere inparticolare sul tipo di contributo che essopuò concretamente fornire: l’assunzione diun angolo visuale interculturale per lo studiodei fenomeni culturali e della loro efficaciacomunicativa porta non solo a ridefinire leculture non più come monadi ma comeprodotto di atti sociali, che si vannocostituendo progressivamente attraverso loscambio con altre realtà simili o differenti,ma anche a riqualificare la comunicazioneinterculturale come momento di interazioneper eccellenza, nel quale culture diverse nonvengono solo messe a confronto, magiungono a interagire fino a modificarsi eacquisire una consapevolezza maggiore epiù piena della propria identità. Lacomunicazione interculturale genera nonsolo un sapere interculturale, vale a dire unacomprensione degli standards propri e dellacultura straniera, ma anche una competenzainterculturale, vale a dire la capacità diinstaurare un dialogo tra culture, di giungeread una mediazione e cooperazione e difondare un’unità pluralista, nella quale ilriconoscimento dell’altro si trasforma in unvero e proprio “atto di tolleranza” (KarlJaspers). Il secondo saggio di questa sezione(Adler) mostra come sia possibile, ma ancheestremamente difficoltoso, tradurre inpratica il modello ideale di comunicazioneinterculturale appena delineato: esso offreuna classificazione dei diversi tipi dicomunicazione o di non comunicazione chepossono scaturire dall’interazione di duedifferenti culture. Alla base del successocome del fallimento della comunicazione

interculturale vi è la diversa percezione diuna stessa realtà da parte dei protagonistidell’atto comunicativo, così come pure unadiversa interpretazione dell’attocomunicativo. Ogni individuo organizza lapropria esperienza in categorie e, nelmomento in cui si avvicina ad una culturadifferente, ricorre a stereotipi radicati nellasocietà e nel suo gruppo culturale, nonchéa complessi meccanismi di autodifesa chetendono a ricondurre l’estraneo al noto e ametterne in luce primariamente lasomiglianza piuttosto che le differenze.Tutto ciò genera non solo una cattivapercezione e interpretazione della realtà, maanche un’errata valutazione della culturastraniera e porta inevitabilmente alfallimento della comunicazioneinterculturale. Secondo l’autrice il primopasso per la correzione di questocomportamento consiste nel riconoscimentodel proprio condizionamento culturale edella capacità di cessare di considerare ilproprio punto di vista come l’unico possibileper interpretare la realtà.L’ultima parte del volume ospita saggi dimateria economica, dalla lettura dei qualiemerge che la comunicazione interculturalenon è semplicemente una categorialinguistica e sociologica, ma un fenomenoche oggi, nell’era della globalizzazione einternazionalizzazione dei mercati, deveessere appreso e opportunamente utilizzatoanche nell’organizzazione e nella gestioneaziendale. Accanto e unitamente ad unagermanistica e a una linguisticainterculturale diventa oggi necessariosviluppare anche un marketing, unmanagement e una formazione delpersonale interculturali. Ciò comporta nonsolo una riorganizzazione e un ripensamentodell’attività svolta in ognuno di questisettori, ma anche uno sforzo di teorizzazionee concettualizzazione, al quale le disciplineumanistiche possono contribuire in manieradeterminante. I saggi presentati mostranoinfatti chiaramente che la ricercainterculturale nelle discipline economicheè ancora in una fase assolutamente

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sperimentale ed è bisognosa di strumentiteorici ed esplicativi. Il saggio di Dmochriflette sulla possibilità di giungere ad unastandardizzazione della pubblicità,dimostrando come oggi essa sia realizzabilesolo parzialmente e che non sia ancorapossibile giungere ad una comunicazioneinterculturale a livello pubblicitario, in granparte perché mancano studi di base suimeccanismi comunicativi interculturali inquesto settore. Sulla stessa linea si pone ilcontributo di Macharzina: la messa aconfronto di diversi modelli di gestione delleimprese (occidentale, orientale, islamico) eil tentativo di giungere alla correzione deglierrori presenti in ogni singola propostaattraverso un confronto con i modelli di altreculture nonché l’assunzione di alcuni deiparametri da esse adottate, sono solo unprimo passo verso un managementinterculturale; le ricerche finalizzate adindividuare un modello interculturaleproduttivo ed efficace di gestione d’impresa(policentrico, comparativo, sinergetico,geocentrico) sono infatti ancora in una fasegiovanile. L’ultimo articolo mostra infineche anche nell’ambito della formazione delpersonale solo negli ultimi anni si ècominciato a sviluppare un approcciointerculturale: il training, il consulting, ilcoaching e la mediazione interculturale inambito aziendale sono fenomeni con i qualii formatori devono inevitabilmente fare iconti, ma che per ora non sono ancora statiteorizzati in maniera soddisfacente. Inoltrefino a questo momento le esperienze inquesto settore si sono configurate per lo piùcome interventi di carattere straordinario,momenti di formazione, condotti da traineresterni al contesto aziendale (“off the job”).Nel mutato scenario dei mercati a livellomondiale l’incontro tra culture non è più unfenomeno straordinario ed isolato, ma unarealtà quotidiana, con cui non solo tutto ilpersonale, quasi ad ogni livello dell’azienda,ma anche ogni cittadino deve inevitabil-mente confrontarsi. La comunicazioneinterculturale non è una categoria linguisticae nemmeno una parola altisonante inventata

dagli esperti di comunicazione sociale, maun evento quotidiano con cui la maggior partedegli uomini si trova a fare i conti nellaquotidianità lavorativa e privata.La razionale suddivisione e presentazione delmateriale raccolto dai curatori permettono allettore, studente o studioso di disciplinelinguistiche, sociali o economiche diavvicinarsi all’argomento con gradualità e dauna pluralità di prospettive: solo dopo averecompreso che cosa sia l’intercultura e comeavviene la comunicazione il lettore vieneinfatti a scoprire in quale misura e con qualimodalità le culture possano giungere adinteragire nel processo comunicativointerculturale; solo dopo avere compreso lanatura di questi complessi meccanismicomunicativi egli giungerà a conoscere qualiimplicazioni questa interazione può averesulle lingue utilizzate nell’atto comunicativoe infine quali riflessi essa produca sullagestione dell’attività in aziende multina-zionali. Il volume dimostra infine come glistudi sulla comunicazione interculturale sianodi estrema importanza sia a livello economicoche sociale: essi permettono infatti non solodi giungere ad una riorganizzazione eristrutturazione dell’attività aziendale in vistadi una maggiore produttività, ma anche, ecerto non solo in contesti produttivi, ad uneffettivo miglioramento della qualità dellacomunicazione e dell’interazione tra gliindividui, miglioramento che influenzeràinevitabilmente il grado di tolleranza e lecapacità di integrazione tra i membri di unao più comunità. L’approfondimento dellemodalità e dei processi messi in atto nellacomunicazione interculturale non è quindisemplicemente una riflessione teorica, mauno studio la cui finalità è assolutamentepragmatica: la comprensione della culturastraniera è infatti la condizione necessaria nonsolo per un’azione culturale proficua maanche per giungere ad una convivenzapacifica, capace di rispettare e valorizzare lediversità.

Elena Polledri

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Teresina Zemella (a cura di), Iwan Goll.Intersezioni testuali e multimediali,Bologna, CLUEB, 2002, pp. XII-225, CD-ROM, € 17,00

Il volume a cura di Teresina Zemella sulpercorso testuale e su quello multimedialerealizzati a partire dal ‘dramma satirico’Methusalem, der ewige Bürger delloscrittore alsaziano Iwan Goll documenta lediverse fasi di una ricerca sul Surrealismosostenuta dall’Unione Europea (Connect 99Drei Originale. Ricognizioni multimedialinel Surrealismo europeo).Presupposto implicito del progettointernazionale (a cui hanno partecipato leuniversità di Barcellona, Berlino, Erlangen-Nürnberg, Oxford e Parma), interdisci-plinare, intermediale e interculturale -secondo il principio della “EuropeanCulture of Bridges” (p. 1) che ne definiscel’intento etico - è la considerazione del testodi Goll quale ‘opera aperta’ il cui valoreartistico viene demandato all’atto della‘concreazione’ sviluppato attraverso la suarilettura e riscrittura.Methusalem viene infatti riproposto in tre‘originali’, ovvero tre letture innovative einedite, ma anche - secondo l’ipotesiteoreticamente più qualificante che inserisceil progetto entro i dettami genettiani dellatranstestualità - tre interpretazioni originaliche rivendicano la medesima legittimità deltesto di partenza.Le riscritture, oltre che nella lettura e analisidel dramma surrealista, o iperrealista,consistono nella realizzazione del video-film (del cui CD il libro è corredato)Methusalem. Ein Kinodram diretto dalregista Thomas Martius e della pièce teatraledi René Pollesch, che al film si ispira, DerHype von bürgerlichen Lebensstilenriportata sotto forma di copione, in tedescoe in inglese alla fine del libro. Presentataall’inizio dai due brevi interventi di AndrzejWirth (sotto la cui egida è stata realizzata laperformance di Oxford), l’opera teatraleaffronta il dilemma degli effetti catastrofici

della società dei consumi sull’umanità acausa dei quali “einkaufen” e “gutesAussehen” (p. 219) diventano metro dimisura di ogni desiderio.Se tra le letture plausibili di un testo si puòipotizzare anche la traduzione - e l’esempioillustre del palinsesto dell’immaginarioPierre Menard ne chiarirebbe la funzione ditramite fra la tradizione letteraria precedentee la contemporaneità - se ne possonodistinguere, in questo caso, due specie.I risultati della prima, quella interlinguistica,frutto dell’accurato lavoro del gruppo diParma ed Erlangen, si possono verificareleggendo l’articolo di Gabriella DondoliniA proposito della traduzione italiana dellapièce ‘Methusalem oder der ewige Bürger’di Yvan Goll nel corso dell’officina ditraduzione all’interno del Progetto Connect(pp.167-200): la traduzione del testo di Goll,normalmente propedeutica per larealizzazione dell’intero progetto, avrebbeinvece seguito, e non preceduto, larealizzazione video, beneficiando, nellacostituzione testuale, dell’ausilio dellasperimentazione drammatica delle parole edella loro risonanza ricettiva.L’altra modalità traduttiva è - sempresecondo la tassonomia jacobsoniana postaqui a principio guida - quella intersemiotica.La trasposizione filmica, bella e infedele,in cui i temi di rivoluzione e amore sonoossessivamente e nuovamente riproposti - aquesto riguardo si noti la circolarità dellapièce che propone come ouverture edepilogo la medesima scena dell’incidentemortale della fanciulla - opera unacomplessiva decostruzione alogica deldramma di Goll. Si vedano in particolare lescene dei sogni - in bianco e nero, come dainvalsa consuetudine cinematografica - delpoco sognatore Matusalemme, o quelle deglianimali, non interamente realizzate, mainterposte a scandire e commentare glieventi nella considerazione di un’attualiz-zazione dei contenuti (così avviene, adesempio, che un uomo baffuto alla fontanainciti certuni a non mollare alludendoprobabilmente agli studenti-attori che

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interpretando i rivoltosi contro Ma-tusalemme finiscono per insorgereeffettivamente contro le strutture costituitedel potere occupando gli edifici del rettoratouniversitario dove si svolgevano le riprese).In questo caso la rilettura e la riscrittura diun testo, come dialogo infinito tra passato epresente, ripropongono l’annosa discussionesulla validità del messaggio trasmesso edell’engagement dell’arte avanguardisticache opera la sua critica contro il mondopiccolo-borghese e che rende l’opera di Golltutt’oggi “brandaktuell” (p. 90).Arma prediletta in quest’àmbito è cer-tamente la satira, mordente e accanita, cheAntonella Gargano in Goll, Chaplin eCharlot (pp. 69-76) accosta a quella delNarr inglese, in verità già prediletto eapologetico oggetto d’interesse del poetaalsaziano. Esemplare demistificatoredell’ordine dato, Charlot esprime la comicitàper antonomasia proprio in quella parti-colare irriverenza nei confronti delle autoritàcostituite, quasi che la “vista delle lorodisavventure provocasse nel pubblico lavoglia di ridere molto di più che se quellestesse disgrazie fossero capitate a semplicicittadini” (p. 71).Ancora specificatamente di satira golliana,ma in relazione al contesto storico, si occupalo studio di Teresina Zemella in Naufragiodi una rivoluzione ( pp. 123-139) che si puòaccostare al naufragio blumemberghiano acui assiste un impassibile spettatore, proprioin considerazione della contemplazione edella catarsi di lucreziana memoria comeuniche possibilità di fronte alle avversitàquali - nel caso del discorso affrontato - gliavvenimenti storici e politici della Berlinodegli anni Venti.Del contesto postbellico si interessa ancheRaffaele Pinto in Desiderio e lotta di classein Methusalem (pp. 141-144). L’italianistadi Barcellona sembra ribadire il precettosulla corrispondenza mcluhaniana quandointende l’ironia come mezzo specificodell’Avanguardia surrealista per sostenereil messaggio, questa volta serio, della lottadi classe. Disperante, tuttavia, l’incipit e

anche la conclusione del discorso: l’unicomessaggio sociale possibile dietro aifunambolismi sarebbe solo tendente alnichilismo, ogni cambiamento radicalenasconderebbe immobilismo e indifferenza,di qualsiasi ideologia o progetto politico sitratti. Lo studio, rilevando il nessoimprescindibile tra conflitto di classe e libido,motiva il tentativo golliano di scorgere lafunzione decostruttiva del desiderio sessualesottolineandone l’influenza sullemanifestazioni artistiche del Novecento.Verba volant, scripta et imago - si dovrebbeaggiungere al binomio - manent: ritornanoin mente per libero associazionismo (e chesurrealismo sarebbe se non agisseroautomatismi di questo tipo!) le immagini delvideo sulle movenze meccanizzate deirivoltosi e dell’automa.Oltre a dimostrare la centralità degli studivisivi (come sostenuto da Nicola Arrigoni inL’occhio di vetro di “Matusalemme” ovveroil linguaggio mediatico del teatro, pp. 149-159) e la grande efficacia della multimedialitànell’apprendimento, principio didattico di cuii curatori dell’evento sono consapevoli (inmerito si veda il saggio di Silvana HuscherGrund der Wahl, pp. 201-211, dedicato alladidattizzazione per moduli dell’opera di Gollche tiene presente l’esigenza prioritaria deldestinatario, unico autentico interprete, delmessaggio trasmesso), le figure richiamate‘automaticamente’ sono certamente moltosignificative.Si consideri quale esempio l’automa comevariazione novecentesca della tradizionalemarionetta in Iwan Goll e la categoria delgrottesco: l’‘Automa’ e il ‘Golem’ (pp. 27-51). In questo saggio Cristina Graziolipercorre un lungo excursus storico dellacategoria del grottesco e della marionettaverificandone l’incidenza in età moderna intutte le trasmutazioni figurali. Si ispira forsea Starobinski la riflessione sul doppio - quellovisivo, rappresentato dallo specchio, e quellofonetico, dal pappagallo - e la considerazionedella scissione imagologica della marionettadalla natura intimamente ossimorica,inquietante e corrotta da una parte, aulica e

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pura dall’altra, terrena e celeste, burlesca eriflessiva. Interessante l’analogia posta tral’automa - distributore automatico di Witz -e il Golem (ancora spauracchio per ilvisitatore troppo curioso delle soffitte dellasinagoga praghese), benché sia forse arditoipotizzare che ci sia dell’intenzionalità nellascelta del nome Methusalem come allusionesubliminale a meth (secondo ciò che restadel nome quadrilittero scritto sulla frontedel Golem). Goll, ebreo solo apparen-temente ‘anebraico’, esplicita tramite talefigura le sue radici culturali assieme alla suaintrinseca condizione di eterno esule,destino raffigurato altrimenti in Jean sansterre.Marionetta dalla natura intimamente grettae volgarmente opulenta è Methusalemnell’interpretazione di Erminio Morenghi(Matusalemme figura immortale. Alcuneriflessioni, pp.115-122). La considerazionedella simbologia alimentare del gulasch -tanto presente da scandire il ritmo dell’interapièce - raffigura un borghese vorace eansioso, fedele solo ad una inconcepibilelogica dell’accumulo che vige persino intutte le sue manifestazioni oniriche, comeemblematicamente dimostrato dal secondosogno di Matusalemme in cui il problemaesistenziale della celeberrima scenaamletica viene capovolto in problema dinatura commerciale rispetto a cui l’arteappare un investimento monetario comealtri.In un’ampia prospettiva storico-letteraria èinserito lo studio di Luigi Allegri Ivan Golle le avanguardie teatrali europee (pp. 17-25) che mette l’eclettico Surrealismogolliano in relazione alle Avanguardiestoriche. Il saggio non si propone dirintracciare rimandi filologicamente esatti,bensì di formulare una serie di collegamentiintertestuali con Dada, Espressionismo,Neue Sachlichkeit e con il Futurismo - liasonpiù pericolosa tra tutte - sulla base dellecomuni istanze antiborghesi, antirealistiche,antinaturalistiche.La capacità di promuovere e di “attuare unmontaggio dei vari ismi” (p.61)

oltrepassando le rigidità temporali ol’appartenenza a movimenti, fa di Goll unasorta di rappresentante del Geist der Zeit,secondo Giuliana Ferrari in Ivan Goll eRuggero Vasari. La prima versione italianadi Matusalemme (pp. 53-67), in cui lastudiosa affronta il problema della ricezionedell’autore alsaziano in Italia in base aun’opera traduttoria prima d’ora solomarginalmente analizzata.Questa considerazione della produzione diGoll, al di là di strette delimitazionicronologiche, conferma quella tradizioneinterpretativa che lo vede anello dicongiunzione fra tendenze teatrali nonprecisamente coeve - come l’Ubu roi e ilteatro della crudeltà - soprattutto per quelche riguarda il linguaggio, incoerente,meccanico, ambiguo, e incapace diadempiere ad alcuna funzione comunicativa.Alla luce delle esternazioni grottesche deglianimali, Norbert Dittmar, in Multimediale,kubistisches und grotesk-überrealistischesTheater: Methusalem oder Der ewigeBürger von Yvan Goll (1891-1950) (pp. 77-91) avanza un paragone transtestuale conAnimal Farm sulla base del tópos letterariodelle fiere in rivolta, che fa spiccare comemacroscopica differenza l’uso dellinguaggio in chiave costantementestraniante.La destrutturazione linguistica dà luogo agiochi di parole, storpiature e deformazionidel genere - esemplare quella del “funeralecomico” (p. 193): le parole ‘liberate’(osservava infatti Derrida come il rapportotra significato e significante somiglicuriosamente a quello tra padrone e schiavo)dalle catene logiche di cui fanno partequotidianamente, esaltate nei loro valorifonici piuttosto che semantici, vengono fatteprecipitare in un contesto inedito secondoquello spaesamento sistematico che ilsurrealista tedesco Max Ernst esemplificavaattraverso la pittura dell’armadio di DeChirico in mezzo a un paesaggio classico.Tuttavia, dei rischi di ridurre la poetica diGoll alla discussione di un esercizio tecnico-retorico, avverte Stefano Beretta in La

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resurrezione tecnica del dramma ‘DieUnsterblichen’ di Yvan Goll (pp. 93-114) cheattraverso il titolo ossimorico ci introducenei meandri del ‘dramma satirico’ edell’estetica golliana. L’aporia Kunst undAntikunst decreta il fallimento totale dellamissione espressiva e rappresentativa dellaparola e dell’arte e di quel “realismod’accatto” (p.100) - in verità non si capiscebene se sia più accorato l’antinaturalismodi Goll o quello dell’autore di questointeressante saggio! - tuttavia differen-ziandosi dall’apatismo e dal disimpegnodell’Assurdo: Goll crede ancora nellapossibilità di articolare un linguaggiodrammatico inedito che possa dire “vonDingen hinter den Dingen” (p. 102) perché,aggiunge l’autore dell’articolo, è convintodi possedere “la rischiarante consapevolezzadi chi non ha fermato i suoi passi alla torbidasuperficie delle cose, ma ha scavato nellepiù tetre profondità per poi risalire ederigersi fino a toccare vette immacolate” (p.102). Tale conclusione, oltre a ricordare lametafora wittgensteiniana delle parole qualipellicola superficiale di un’acqua piùprofonda, allude anche alla linfa in cui Goll,novello Orfeo, si immerge (nella con-siderazione degli elementi orfici Berettapropone una suggestiva interpretazione del‘simultaneismo’, tecnica avanguardistica dicui si fa largo uso anche nel video, comesovrapposizione di voci provenientidall’aldilà).Giovano all’equilibrio interdisciplinare dellibro due brevi interventi ispirati da Euterpe;quello del musicologo Gian Paolo Minardisulla colonna sonora del video di MartiusEin Kinodramm (pp. 145-147) e quello diGiuliano Ghirardi sui Poeti surrealisti neiprimi lavori di Pierre Boulez (pp.161-165),con intersezioni disciplinari piuttostoinsolite considerando che ad accostarsi alSurrealismo sono prevalentemente le artifigurative.L’unico vistoso vizio del volume si rilevanella cura dattilografica di certi articoli (siriscontrano diversi refusi soprattutto nei testiredatti in inglese), che pur non inficiando il

valore contenutistico degli interventi, creatalvolta qualche problema nella complessivafluidità ricettiva degli stessi.Tuttavia, l’avere discusso di Surrealismo eautomatismi verbali spinge a considerare glistessi refusi quali sorprendenti chiavi di letturadi mondi sommersi ed emergenti e comeparenti prossimi del calembour - valga pertutti l’esempio di ‘whit’, per due volteriportato nello spazio di una pagina (p. 3) alposto di with, che in una elaborazione ludicae dinamica della parola, appare comemanifestazione dirompente del rimosso delloscrittore sostenitore così del contrario di ciòche avrebbe voluto dire! - confermando infondo la boutade goethiana: ‘penso semprequando vedo un errore di stampa, chequalcosa di nuovo è stato inventato’.

Paola Di Mauro

Federica La Manna, “Più solitario d’unlupo”. Tipologia del Melanconico nelSettecento tedesco. Con uno scritto di GiorgioCusatelli, Lecce, Manni, 2002, pp. 272, € 14,46

Una monografia come quella proposta daFederica La Manna sul tema della melanconia- “volendo usare questa forma più legataall’origine piuttosto che il comune‘malinconia’, che ha subito unacontaminazione con il termine ‘male’”, comela stessa autrice mette in evidenza dalle primebattute di “più solitario d’un lupo” (p. 7) -nel Settecento tedesco, potrebbe a torto esserecatalogata come uno di quei tanti scritti chesi sono misurati con uno stato patologico incui si è soliti riconoscere l’indole di un interosecolo. In effetti, e questo emerge chiaramentedal primo capitolo di “più solitario d’unlupo”, non esiste nessun’altra disposizionedell’anima che occupi il pensiero occidentaleda secoli, in modo ininterrotto, come lamalinconia; una Stimmung che, nel Settecentotedesco, si impose come argomento di studioantropologico a diversi livelli interessandocontemporaneamente la storia, la filosofia, la

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medicina, la psichiatria, la religione, lateologia, l’arte e la letteratura. Malattiasociale per antonomasia del Settecento, nonsolo tedesco (si ricordi il paradigmaticoscritto inglese di G. Cheyne, The EnglishMalady; or a treatise of nervous desease ofall kinds, as spleen, lowness, vapours,lowness of spirits, hypochondriacal, andhysterical distempers del 1733), lamelanconia assurse, infatti, già nellaGermania del tempo a vero e proprio sigilloepocale, ad un’inclinazione dell’anima che,collegandosi a diverse eziologie, rilevava icontrassegni della genialità o, per lo meno,di un temperamento segnato dallagrandezza. Senza indugiare su quelle figuregoethiane, come Werther, oppure Aurelie eMignon dei Wilhelm Meisters Lehrjahre oancora Ottilie delle Wahlverwandtschaften,che nella seconda metà del Settecentodivennero le icone dell’ipocondria e dellamelanconia contribuendo al radicarsi diqueste patologie come mali sociali di unintero secolo, ma limitandosi a rilevarecome la loro ombra lunga si estenda sullaproduzione letteraria “minore” dell’epoca,il saggio di La Manna riesce a muoversimolto agilmente attraverso unacatalogazione delle tipologie delmalinconico che, come riflette già l’indicedel testo, benché collegandosi a diversecause, germogliano nella Einsamkeit. Giàil titolo del volume, esergo da Democritoed Eraclito. Dialoghi del riso, delle lacrimee della melanconia (1627) di GiacomoFerrari, si riferisce, infatti, esplicitamentealla solitudine come condizione diinsorgenza della melanconia e allude,peraltro, al vivacissimo dibattito, a cuiparteciparono anche Platner, Nicolai,Knigge, Schiller e il francese Tissot, che,suscitato in particolare dalla pubblicazioneda parte di J. G. Zimmermann delleBetrachtungen über die Einsamkeit (1756)e Vor der Einsamkeit (1773) – testi confluitipiù tardi nel più noto Über die Einsamkeit(1784-85) -, contribuì nel Settecento a“fornire una definizione del fenomenomelanconico in chiave sociale” (p. 51).

Malattia contemporaneamente del corpo edell’anima, la melanconia viene cosìindagata nella sua complessità, all’internodel volume di Federica La Manna,prendendo le mosse dai primi studi medicidi questa patologia - dalla dottrina umoralea quella empedoclea degli elementi fino allaloro associazione -, per giungere alladiscussione del Problema XXX di Aristotelesecondo cui “una quantità appena più elevatadei livelli normali di bile nera può dareorigine a una superiorità intellettiva” (p. 16).Proprio la ricezione della riflessionearistotelica attorno alla melanconia diventail fulcro attorno al quale ruota l’evoluzionedi “più solitario d’un lupo” che,proponendo nel primo capitolo un’esaustivapanoramica dei diversi approcci a questapatologia attraverso i tempi, mostra comefra Medioevo e Rinascimento si collochi unmomento decisivo dello studio dellamelanconia che ne sancisce l’ingresso “didiritto nel regno delle malattie dell’anima,diventando colore stesso dell’esistenza econnotando altresì una caratteristica umanae poetica” (p. 21). Centrale appare, quindi,accanto all’opera di M. Ficino, e allaconvinzione di quest’ultimo che sianecessario trovare il giusto mezzo framelanconia (intesa come forza creativa) efollia, il volume di R. Burton Anatomy ofMelancholy (1621) che, indicato da LaManna come la summa delle teorie di secoli,fece della melanconia “il male universale,la condizione stessa dell’uomo” (p. 22).Burton ebbe, in effetti, il grande merito diannettere ai tre tipi di melanconia giàteorizzati nell’antichità da Galeno, duenuove tipologie di questo “male universale”che concorsero a rendere il Settecento ilsecolo melanconico per eccellenza: “c’è daconsiderare la suggestiva distinzione fra unamelanconia patologica, temperamentale eumorale, e una certa dolce melanconia, chesi considerava uno stato privilegiato, unasorta di afflato poetico, in quanto conduceval’artista a una visione creativa eall’enthusiasmos” (p. 23). Insistendo propriosu quest’ultimo aspetto del melanconico,

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sulla caratterizzazione della melanconiaintesa come Stimmung momentanea, sisviluppa la riflessione di “più solitario d’unlupo” orientandosi a livello letterario versola scelta di testi che riflettono la necessitàdel Settecento tedesco “di tradurre illinguaggio dell’anima, nel tentativo didominare le passioni e il proprio destino,per guardarsi dall’esterno, con occhi nuovie disincantati” (p. 10). La questione dellatraduzione in forma scritta del linguaggiodell’anima in un’immagine oggettiva – unBild che non sia frutto di un soggettivoeinbilden dovuto ad una Einbildungskraftdistruttiva a cui le passioni possono esserericondotte – soffre, tuttavia, nel caso dellaresa letteraria della patologia malinconica,di una debolezza sostanziale che risiedenella difficoltà di trovare un genere, unaforma della scrittura, capace di riflettere lacomplessità di questo male spirituale. Perquesto motivo, come si evince chiaramentedalle intenzioni della stessa autrice, si è resonecessario all’interno di “più solitario d’unlupo” orientarsi verso la scelta di alcuni testiriconducibili al romanzo antropologico, ilgenere in cui, nell’ultimo ventennio delSettecento, confluì la vasta gamma disuggestioni offerte alla scrittura dal dibattitointorno all’uomo in ambito filosofico,estetico, medico e artistico. Accantoall’analisi del tema melanconico nell’AntonReiser di Moritz, vengono così propostecaratterizzazioni letterarie della melanconiache legano questa patologia alla memoria(Lebensläufe nach aufsteigender Linie di T.G. von Hippel), alla rinuncia (DieGeschichte des Fräuleins von Sternheim diS. La Roche, Woldemar di F. H. Jacobi eDer Waldbruder di J. Lenz) e all’eros(Philosophische Vorlesungen für emp-findsame Seelen di J. Lenz, Versuch über dieKenntniß des Menschen di J. Wezel eWilhelmine Arend oder die Gefahren derEmpfindsamkeit dello stesso Wezel). Ilsaggio di La Manna si presenta, dunque,come uno studio multidirezionale dellapatologia della melanconia nel Settecentotedesco, in cui confluiscono vari campi del

sapere umano di fronte ad un male, il cuiinsorgere si lega a contingenze fisiche ementali. Attraverso una scelta di testi, daqualche tempo non più frequentati o solomarginalmente studiati dalla critica, che sidiffusero, però, rapidamente e con successonel Settecento, La Manna è riuscita aproporre un quadro organico delle differentirappresentazioni letterarie della tipologia delmelanconico, in cui questo stato patologicosi evolve da semplice malumore momenta-neo, attraverso l’ipocondria e la melanconia,fino alla follia, ultimo livello di degene-razione della Stimmung melanconica.Particolarmente interessante è la prospettivadi analisi, a cui si accennava prima e su cuila stessa autrice sembra insistere, che legal’insorgere della melanconia, oltre che ad unanon controllata Empfindsamkeit, alla facoltàumana della Einbildungskraft. Quest’ultima,a proposito della quale Novalis, distinguen-dola dalla Phantasie in piena Frühromantik,sosterrà che “Il bene più grande consistenell’immaginazione” (Blütenstaub, Fram-mento 578), veniva considerata, infatti,durante il Settecento, come emerge anche daiGedanken von den Würkungen derEinbildungskraft in den menschlichenKörper (1751) di E. A. Nicolai, una dellecause precipue della melanconia, inparticolare se il suo potere era accresciutoda un eccessivo isolamento, da un volontarioesilio dal mondo e dai piaceri della vita, comericordato in “più solitario d’un lupo”all’interno di questa citazione da Über dieEinsamkeit di Zimmermann: “L’impulso allasolitudine è il sintomo più comune dellamelanconia. Tutti i melanconici rifuggono laluce del giorno e lo sguardo degli uomini.Incapaci di abbandonarsi a un pensiero tranneche a quello che li consuma, rendono lapropria vita una tortura. Questa situazionepeggiora nella solitudine, quandol’immaginazione non riceva un colpoviolento che le faccia cambiare direzione”(p. 53). Tuttavia, e in questo si manifesta unodegli aspetti più produttivi dello studio dellatipologia del melanconico nel Settecentotedesco, la Einbildungskraft si configura

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anche come presupposto necessario allascrittura, come facoltà che precede econforma la prassi poetica. Il legame framelanconia e immaginazione emerge,peraltro, anche all’interno di diverserappresentazioni iconografiche dellapatologia che, attraverso i secoli, hannoconcorso a stabilire un nesso inscindibilefra Melancholie e Einbildungskraft. Oltrealla celeberrima incisione Melencolia I diA. Dürer del 1514, torna alla mente qui ilpasso in cui W. Benjamin, all’internodell’Ursprung des deutschen Trauerspiels,trattando il rapporto fra dramma e tragedia,ricorda l’immagine della melanconiaproposta da F. C. Stieler nell’ErnelindeOder Die Viermahl Braut (1665): “[…] èuna vecchia, vestita di miseri stracci, con latesta velata (!), seduta su una pietra sottoun albero rinsecchito, la testa china ingrembo, accanto a lei una civetta”. Questacivetta che accompagna la solitariamelanconia, uccello nell’antica Grecia sacroad Atena, dea protettrice delle arti, dellescienze e delle istituzioni, è senza dubbioun chiaro riferimento alla facoltà umanadell’immaginazione. Centrale, dunque, perl’analisi della tipologia del melanconicosembra essere lo studio del rapporto framelanconia, immaginazione e scrittura; unatriade che manifesta, in modo esemplare, lasua spendibilità all’interno della Reise in diemittäglichen Provinzen von Frankreich diM. A. Thümmel, a cui viene dedicato ilquarto capitolo di “più solitario d’un lupo”.Si tratta di una sezione particolarmenteinteressante del volume che, oltre a fornireun esaustivo compendio medico-scientificosui trattamenti della melanconia messi inatto nel Settecento, quali il viaggioterapeutico posto da Thümmel a pretestodella narrazione, ha dato all’autrice – e inquest’aspetto si deve riconoscere una delleprospettive d’analisi più innovative del temamelanconico all’interno non solo di questasezione ma dell’intero saggio di La Manna- la possibilità di indagare le zoned’influenza fra autori, pensatori, medici escienziati francesi (in primo luogo

Rousseau, Chapelle, Bachamaumont,Montesquieu e Pinel), e il côté intellettualetedesco che si è misurato con quest’incli-nazione dell’anima. Quest’indagine siaccompagna alle domande che da semprela patologia solleva: cos’è la melanconia?Una premessa della genialità e dell’attocreativo oppure un disturbo patologico delcorpo e/o dell’anima? Un grado intermediofra follia e ottusità? L’espressione della resadinnanzi alla mancanza di un significato delmondo?La melanconia è, contemporaneamente,tutto ciò e proprio nell’impossibilità dirispondere univocamente a queste domanderisiede il fascino che la patologia conserva,come oggetto di ricerca e speculazioneattorno all’uomo, dalle sue primeteorizzazioni aristoteliche sino alla ricercamoderna che, nata in ambito degli studiwarburghiani, ci sembra essersi concretatain Saturno e la melanconia. Studi di storiadella filosofia naturale, religione e arte(1983) di R. Klibansky, E. Panofsky e F.Saxl.Proprio nel solco della ricerca moderna inambito di melanconia, il saggio di F. LaManna ci sembra, peraltro, raccoglierel’eredità di Melancholie und Aufklärung.Melancholiker und ihre Kritiker inErfahrungsseelenkunde und Literatur des18. Jahrhunderts (1977) di H.-J. Schings,ampliandone la prospettiva di analisi versouno studio interdisciplinare, in cui laletteratura si piega a pretesto per analizzare,da diversi punti di vista, una patologiadivenuta cifra del Settecento tedesco.

Raul Calzoni

Davide Stimilli: Fisionomia di Kafka.

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Torino: Bollati Boringhieri, 2001, (SaggiArte e letteratura) pp. 119, € 14,46

Peter von Matt: … fertig ist das Angesicht.Zur Literaturgeschichte des menschlichenGesichts. Frankfurt am Main: Suhrkamp,1989 (st; 1694) pp. 268, € 11,50

Vom Titelbild schaut uns – wie könnte eseigentlich auch anders sein – dasabgehärmte, ausgezehrte Gesicht eines demTode anheim gegebenen Menschen an: dieschmalen skeptischen Lippen, die schöngeformte Nase, die stark eingefallenenWangen, die tiefliegenden Augen – ThomasMann hätte wahrscheinlich vonKirgisenaugen gesprochen –, die starkausgeprägten Brauen, die Stirn mit ihremerstaunlich niedrigen Haaransatz und dendichten, schwarzen, etwas borstigen, nachhinten gekämmten Haaren und schließlichdie abstehenden, einen respektlosenBetrachter an Mister Spock erinnerndenOhren. Wer hätte dieses letzte Foto, dieseinzwischen zu einer ziemlich abgenutztenIkone des am Schreiben und am Lebenleidenden Phthisikers Kafka noch niegesehen? Wer wäre bei nährer Betrachtungnoch nicht auf den Gedanken verfallen, dasswomöglich doch ein Zusammenhangzwischen physischer Erscheinung undCharakter besteht, wie ihn diePhysiognomiker seit jeher postulieren. Vonhier zu einer Studie über KafkasPhysiognomie ist es dann nur noch einkleiner Schritt. Nun hat Stimilli mit seinemEssay Fisionomia di Kafka jedoch keinabsolutes Neuland beschritten, was aufeinem so gut beackerten Feld wie der Kafka-Forschung mittlerweile auch beinaheausgeschlossen ist. So ist Peter von Matt ihmmit seiner Studie zur Literaturgeschichte desmenschlichen Gesichts zuvor gekommen,worin Kafkas äußeres Erscheinungsbildebenso analysiert wird wie die seltenen aberstilistisch und inhaltlich um sobahnbrechenderen Gesichtsbeschreibungenin seinen fiktionalen Werken undTagebüchern. Matt unterzieht den

Porträtisten Kafka einer sehr genauenDeutung und zeigt dessen beinahedekonstruktivistisches Verfahren ante litteramauf und lässt sich dabei von einer Maximeleiten, die sich jeder Kafka-Leser und -Interpret zu Herzen nehmen sollte: “[mankann] Kafka nur falsch lesen. […] Kafka aberzu lesen im klaren Bewusstsein, dass man mitSicherheit falsch lesen wird und falsch lesenmuss und also beim Lesen immerzu sichselbst zu bestreiten hat, ohne je zumRichtigen zu gelangen – das kann dann zuletztschon wieder ein fast sausendes Spielergeben, ein Spiel im Widerschein jenesradikalen ([…]) Triumphes über die ganzeWelt, aus dem das Gelesene einst entstandenist.” (Peter von Matt; S. 16) Nimmt man diesewenig tröstlichen Worte Matts ernst, soergäbe sich aus der gesamten Kafka-Rezeption im Grunde und günstigstenfallsbloß eine “Topographie des Fehllesens” , ummit dem Titel eines Buches von HaroldBloom zu sprechen.Wie und wo findet nun Stimillis Essay seinenPlatz in der Kafka-Forschungslandschaft, ausder noch heute die Arbeiten von HeinzPolitzer, Hartmut Binder, Walter H. Sokel und– warum nicht – Klaus Wagenbach und injüngerer Zeit auch Reiner Stachs Biographieüber Kafka. Die Jahre der Entscheidungenherausragen? Schwer zu sagen. Das hängt mitdem Unbehagen zusammen, das sich nach derdoch recht zähen und mühsamen Lektüre vonFisionomia di Kafka einstellt und der Tat-sache, dass man auch am Schluss nicht rechtweiss, worauf der Autor eigentlich hinaus-wollte. Das mag von der begrenzten Bereit-schaft des Rezensenten herrühren, Stimilli beiseinem Streifzug durch stark frequentierteund recht entlegene Gebiete der Philosophiezu folgen aber auch mit der (Ent-)Täuschungder Leseerwartung: Der Titel hatte etwas ganzanderes versprochen, als das Buch letztlicheinzulösen vermag. Immerhin könnteFisionomia di Kafka als genitivus objectivuswie auch als genitivus subjectivus gedeutetwerden. Um Kafkas Erscheinungsbild gehtes aber nur am Rande und auch die Portraits

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aus Kafkas Feder werden weitgehendignoriert. Über weite Strecken versucht sichStimilli hingegen an einer Deutung Josef K.sund die vage Vermutung drängt sich auf, dassdas Buch sich in Wahrheit in irgendeinerWeise um die Physiognomie der Figureninnerhalb des Schloss-Romans drehenkönnte. Stimilli bleibt unentschlossen undkachiert diese Ratlosigkeit mitGelehrsamkeit. Dabei fährt er dann auchgleich mächtiges Geschütz auf undbombardiert den Leser mit großem Kalibervom Range eines Schopenhauer oderNietzsche, aber auch mit kleinererphilosophischer und literarischer Munitionwie Bachofen, Weininger oder RudolfKassner.Immerhin ist der Anfang des Essays rechtvielversprechend, denn Stimilli setzt miteinem Benjamin-Zitat über die Unschärfealler denkbaren Aussagen über Kafka undseine Romanfiguren ein: “Allenfalls könnteman von diesem Kafka eine Legende bilden:Er habe sein Leben darüber nachgegrübelt,wie er aussähe, ohne je davon zu erfahren,daß es Spiegel gibt.” (Walter Benjamin:Franz Kafka: Beim Bau der chinesischenMauer. In: ders.: Gesammelte Schriften., R.Tiedemann; H. Schweppenhäuser Hg., Bd.II,2 Frankfurt am Main: Suhrkamp, 1977,S. 677). Von dieser Legende ausgehend,kommt Stimilli ohne große Umschweife zuKafkas spiegelbildlichem Missverhältnis zuseinem Vater, seiner Fortpflanzung-sunfähigkeit und seinem kindhaft-juvenilenErscheinungsbild. Diese psychologisch-physiognomische Deutungskette führtunweigerlich zum Brief an den Vater. So weitso gut. Diese hier nur grob skizzierteAneinanderreihung von Anhaltspunkten zuKafka firmiert unter dem Titel:“Introduzione – Specchio” . Stimilli ist alsomeilenweit davon entfernt, uns vorab zusagen, was er eigentlich vorhat, was er mitseinem Essay bezwecken und wie er dabeivorgehen will. Vielleicht bricht sich hier dieteutonisch-pedantische Denkungsart desRezensenten Bahn, wenn er gleich und

womöglich expressis verbis wissen will,was ihn erwartet und was er selbst erwartendarf.Sollte der Rezensent seinem Gegenstandvielleicht einen Tort antun? Lesen wir alsoweiter und machen einen Sprung zumvierten Kapitel mit dem Titel Castellumanimae. Hier setzt Stimilli bei einemphysiognomischen Verfahren an, das demLeser aus dem Proceß vertraut ist und dasvon dem Kaufmann Block in das Reich derSuperstition verwiesen wird: “Ein solcherAbgerglaube ist es z.B. daß viele aus demGesicht des Angeklagten, insbesondere ausder Zeichnung seiner Lippen den Ausgangdes Processes erkennen wollen.” (FranzKafka: Der Proceß, Malcolm Pasley Hg.,Frankfurt am Main, 2002 S. 237) Anhandeines Zitats aus der Strafkolonie und einesQuerverweises auf Nietzsches FröhlicheWissenschaft gelangt Stimilli schließlich zuder Aussage, dass dem Aberglauben etwasaufklärerisches anhafte. Wäre Stimilli nocheinen Schritt hinter Nietzschezurückgegangen, so wäre er beiLichtenbergs Aufsatz “Über Physiognomik;wider die Physiognomen” gelandet. Nunwendet sich – der von Nietzsche hochgeschätzte – Lichtenberg jedoch geradevom Standpunkt des Rationalisten undEpistemologen mit satirischer Verve gegendie Umtriebe der Trivial-Physiognomie undfragt polemisch: “Bezieht sich denn allesim Gesicht auf Kopf und Herz? Warumdeutet ihr nicht den Monat der Geburt,kalten Winter, faule Windeln, leichtfertigeWärterinnen, feuchte Schlafkammern,Krankheiten der Kindheit aus den Nasen?”(Georg Christoph Lichtenberg: Schriftenund Briefe, Franz H. Mautner Hg., Bd. 2.Frankfurt am Main: Suhrkamp, 1983, S.88). Und wenn in Kafkas Romanphysiognomischer Aberglaube undProphetie denunziert werden, so könnte –rein theoretisch – auch Lichtenberg dabeiPate gestanden haben. StimillisArgumentation mäandert zwischenWeininger, Schopenhauer und Nietzsche

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dahin, gelangt aber zu dem erstaunlichhandfesten Schluss, dass “Se è dunqueindubbio che nell‘immagine di Schopen-hauer si deve riconoscere uno degliantecedenti più immediati del Castellokafkiano, è con tutta probabilità attraversola riflessione nietzschiana che tale modellodoveva riverberarsi sulla concezione delromanzo.” (Stimilli, S. 60) Benötigte Kafkaaber tatsächlich Nietzsche und Schopen-hauer als geistige Taufpaten, um Das Schlossaus der Wege zu heben? Vielleicht halten wires - anstelle einer allzu philosophielastigenDeutung Kafkas - doch lieber mit WalterBenjamin: “Unverkennbar, daß imMittelpunkt seiner (Kafkas; C.N.) Romaneer selber steht, was ihm aber da zustößt istvon der Art, den unscheinbar zu machen, deres erlebt, ihn zu entrücken, [...]. Und dieChiffre K., mit der die Hauptfigur seinesBuches Das Schloß gezeichnet ist, sagt dennauch gerade so viel, wie man auf einemTaschentuch oder im Inneren einesHutrandes finden kann, ohne daß man darumden Verschwundenen zu rekognoszierenwüßte.” (Benjamin; Franz Kafka, a.a.O., S.677) Interessant ist, dass auf die hierangeführte Stelle ausgerechnet das obenbereits wiedergegebene Zitat folgt, mit demStimilli sein Buch eröffnet. Pikanterweisenimmt Benjamin in seinem Aufsatz Kafkaaber gerade gegen hochfliegende meta-physische und religionsphilosophischeDeutungen in Schutz. Eben die vonBenjamin beschriebene Technik Kafkas desChiffrierens und gleichzeitigen Sich-Entziehens ist es jedoch, die es möglichmacht, alle nur denkbaren Thesen überKafka aufzustellen aber auch alle nurdenkbaren Gegenthesen. Kafkas Werk bleibt– ungeachtet des teils beeindruckendeninterpretatorischen Aufwandes - seltsamimmun gegen alle Deutungsversuche, unddas hatte Benjamin mit erstaunlicherHellsichigkeit erkannt.

Christoph Nickenig

Margot Heinemann/Wolfgang Heinemann.Grundlagen der Textlinguistik. Interaktion -Text - Diskurs. Tübingen, Niemeyer, 2002(Reihe Germanistische Linguistik; 230:Kollegbuch) (Studienbuch), pp. XIII + 281.,€ 22,00

A poco più di dieci anni dalla pubblicazionedel volume Textlinguistik. Eine Einführung(1991), frutto della collaborazione diWolfgang Heinemann e Dieter Viehweger (al-tro esimio linguista, precocemente scompar-so nello stesso anno), i curatori della serie“Germanistische Linguistik” (Helmut Henne,Horst Sitta e Herbert Ernst Wiegand)ripropongono un volume dedicato ai fonda-menti della linguistica testuale. Ne è autorelo stesso Heinemann, che torna così a occu-parsi di un ambito di interesse che gli è parti-colarmente congeniale (è tra l’altro curatore,insieme a Klaus Brinker, Gerd Antos e SvenF. Sager, del volume Text- und Gesprächs-linguistik [Berlin, 2000] appartenente allaprestigiosa serie “Handbücher zur Sprach-und Kommunikationswissenschaft” della casaeditrice de Gruyter), insieme a MargotHeinemann, studiosa che si è rivelata per i suoicontributi di linguistica pragmatica, in specialmodo per le importanti ricerche sullaJugendsprache.Il nuovo testo, concepito come strumento distudio e dunque di introduzione alla discipli-na, sostituisce in catalogo la precedenteEinführung, della quale sembra accogliereessenzialmente la prospettiva teorica, tuttaviainserendola in un quadro assai ampio e arti-colato dei recenti sviluppi della linguisticatestuale, a livello di oggetto di studio, di oriz-zonte metodologico, di prospettivepragmatiche: con il che si esplorano e si per-corrono nuove vie rispetto al passato.Come segnalato dagli autori nella premessaal volume, la linguistica testuale, filiazionedegli studi linguistici risalente agli anni set-tanta, ha assunto negli ultimi dieci anni nuoviprofili, sulla scia del tentativo, operato su piùfronti metodologici, di ridiscutere e ridefinireil concetto di “testo”.Dati gli intenti didattici del lavoro, gli autori

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scelgono di mantenersi neutrali all’internodel dibattito, riportando con la necessariadistanza critica le varie possibilità che, apartire da una interpretazione potenzialmen-te eclettica della nozione di testo, si apronoagli studiosi della disciplina. L’intento sirealizza in una panoramica molto chiara eben strutturata delle tendenze di studio e diapplicazione della linguistica testuale: il la-voro riassume in sé i pregi della sintesi edella esaustività.

La rassegna si apre con il capitoloInteraktion - Kommunikation - Text, che il-lustra l’orizzonte teorico in cui si viene acollocare il principio di testo quale veicoloessenziale di interagire comunicativo.Il capitolo seguente (Text und Diskurs) -centrale in quanto discute le premesse teo-riche essenziali al sussistere della discipli-na - riassume gli elementi di testualitàevidenziati dai diversi approcci concettualie metodologici (grammaticale, semantico,pragmatico, cognitivo), segnalando comeogni prospettiva di partenza si riveli parzia-le e pertanto inadeguata ad affrontare lacomplessità dell’oggetto testo. La coscien-za di ciò porta a occasionali pessimismi erinunce nell’ambito degli studiosi della di-sciplina, cui è possibile far fronte - indica-no gli Heinemann - con una sintesi integra-tiva del concetto di testo mediata dalcognitivismo e dalla teoria dei prototipi: indimensione prototipica il testo viene defi-nito “Merkmalbündel” (p. 103), ossiadetentore di “bundles/clusters of attributes”(Eleonor Rosch). Un’ulteriore caratterizza-zione della dimensione testo è offerta, nellostesso capitolo, nella contrapposizione conil concetto di “discorso”. Il termine, di ma-trice foucaltiana (Foucault concepisce il di-scorso quale forma di istanza astratta checondiziona l’agire sociale in base a una com-plessa rete di connessioni tra istituzioni, pro-cessi economici, norme di comportamentoe tecnologie), è inteso in prospettiva stretta-mente linguistica nell’accezione più margi-nata di “Menge von Texten/Äußerungen, diepragmatisch und/oder semantisch auf-

einander bezogen sind und oft institutionellzusammenhägen” (p. 113).Nel terzo capitolo (Textproduktion undTextverarbeitung) si analizzano i fenomeni“testo” e “discorso” da un punto di vistacognitivo, introducendo e illustrando, in viateorica e con l’usuale precisione e limpidez-za, i meccanismi fondamentali nel processodi produzione, recezione e classificazionedei testi.Il capitolo che segue (Zur Praxis desUmgehens mit Texten/Diskursen) è riserva-to al momento applicativo di Textanalyse,Textbeschreibung, Textproduktion: Le pro-cedure illustrate sono accompagnate daesempi concreti di descrizione di testi cam-pione, utili e sicuramente efficaci a scopididattici.L’ultimo capitolo (Textlinguistik – einespecies sui generis?) è dedicato alle prospet-tive di sviluppo della disciplina e includeuna lunga serie di desiderata.A conclusione del volume quindici paginedi valevoli riferimenti bibliografici e un det-tagliato indice degli argomenti.

Il lavoro degli Heinemann costituisce unaguida preziosa, di orientamento per chi af-fronta da novizio le teorie linguistico-testua-li, di consultazione per tutti coloro - docen-ti, discenti e non solo - che affrontano lostudio e la classificazione dei testi, di sti-molo per tutti gli studiosi della linguisticadel testo.Gioverebbe alquanto, non solo a scopi di-dattici, la diffusione e divulgazione del te-sto in Italia, in cui l’accoglienza spesso una-nime e incondizionata della teoria “classi-ca” di Beaugrande-Dressler sembra avereprovocato indugi nella recezione critica e nelpieno potenziale di sviluppo della discipli-na.

Marina Foschi

Johann Nepomuk Nestroy, Il mondo è la

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vera scuola, due atti unici introdotti e tra-dotti da Gabriella Rovagnati, La Spezia,Agorà, 2002, pp. 146, s.i.p

A quasi quarant’anni dall’uscita dell’unicovolume di teatro di Nestroy in italiano pub-blicato da Adelphi nel 1974, contenente cin-que pièces, tradotte da Italo AlighieroChiusano e da Ervino Pocar, e il celebre sag-gio sul commediografo viennese di KarlKraus, stampato su “Die Fackel” nel 1912,Gabriella Rovagnati propone, in una versio-ne eccellente e godibile, la traduzione deidue atti unici Die Schlimmen Buben in derSchule (1847) e Häuptling Abendwind oderDas greuliche Festmahl (1862) corredata daun’ampia ed esauriente introduzione.A Gabriella Rovagnati dobbiamo essere gra-ti per il suo impegno tenace e pressoché so-litario in Italia di traduttrice e studiosa diNestroy il cui bicentenario della nascita,caduto nel 2001 unitamente alla conclusio-ne dell’edizione storico-critica dell’operaomnia, sarebbe passato inosservato se nonsi fosse organizzato a Milano un convegnointernazionale i cui atti sono stati raccoltinel recente volume Tradizione e trasgres-sione (CUEM, 2002) che in appendice pre-senta anche la traduzione di passi dalla far-sa Höllenangst scelti per una lettura sceni-ca tenuta al Piccolo Teatro di Milano. D’al-tra parte va ricordato che sia nellagermanistica italiana, fatta eccezione del-l’ancora più che valida ma isolatissima mo-nografia di Alberto Destro, L’intelligenzacome struttura drammatica. Saggio suJohann Nestroy (1972), sia nel mondo delteatro con rarissime messinscene, domina-no una trascuratezza e una singolare omis-sione della tradizione teatrale popolare au-striaca dell’Ottocento. L’accostamento aNestroy e la sua diffusione paiono essersiarrestati in Italia proprio nella fase della suavera scoperta dopo la citata edizioneadelphiana le cui origini affondavano pro-babilmente nei lucidi paragrafi dedicati daMittner nella sua Storia della letteraturatedesca a Ferdinand Raimund e a Nestroydefinito “il più fertile, poliedrico e forse an-

che il più profondo commediografo della let-teratura tedesca”, che coniugava “il cinismodella spensieratezza disperata e losmascheramento dell’idillio bieder-meieriano”, e nel preciso inquadramento diMagris nel Mito absburgico secondo cui“l’inesauribile comicità” nestroyana discen-de “da una sferzante penetrazione delle de-bolezze umane”. Sin troppo scontata e sban-dierata risulta come motivazione della scar-sa ricezione dell’opera nestroyana la difficol-tà di trasporre in altra lingua la viennesitàdella lingua e dello spirito dei suoi testi, deicouplets, delle umoristiche e amare scherma-glie dei personaggi che con la loro voce illu-minano e denunciano un ambiente, un va-cuo sistema di valori, quel bonario, gauden-te “weiterwursteln” che sostiene le miseriemorali dei ricchi e le miserie materiali deipoveri. L’edizione italiana di questi due testiteatrali dimostra che in realtà la traduzione,al di là delle intrinseche difficoltà e dellaconsapevolezza, come scrive Rovagnati, della“portata della sfida e dei limiti di questo comedi qualsiasi lavoro di versione”, risulta nonsolo possibile ma si pone come incentivo aproseguire nella necessaria operazione dipresentare una Lesedramatik come copionedi base per una rappresentabilità che preve-da tutto quel corredo di linguaggi comple-mentari di cui Nestroy stesso come autore,rifacitore e attore è stato magistrale interpre-te.In questa prospettiva “la traduzione è unasorta di emigrazione in un luogo nuovo e di-verso, non sempre commensurato alle esigen-ze dell’ospite; ma è anche gesto d’accoglien-za”. Si deve quindi auspicare che il “gestod’accoglienza” nei confronti del teatronestroyano sia sempre più frequente e con-vinto. Tuttavia, si diceva, gli ostacoli lingui-stici non sembrano essere l’unica ragionedella nostra modesta frequentazione diNestroy che, come accade in simili casi, ri-schia di divenire un’icona rispolverata inqualche occasione per il suo celebrato BöserGeist Lumpacivagabundus o per qualche di-vertente suo calembour. Rovagnati ricorrenella sua introduzione alla nota introduzione

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di Kraus che nel già ricordato saggio del1912 Nestroy und die Nachwelt, scritto inoccasione del cinquantenario della mortedell’autore, insiste sull’unicità e nonesportabilità di un autore che è l’incarna-zione di una Vienna ottocentesca in alcunmodo trasponibile in altra lingua. Kraus vacomunque oltre, spiegando la limitata rice-zione di Nestroy, riferita peraltro anche alsuo paese, con motivazioni ideologiche an-cora oggi valide: “Come andò che un simi-le spirito fu affossato? (…) La posterità ri-pete il suo testo, ma non lo conosce (…) Ilpensiero di Nestroy parte dal ceto e va ver-so il mondo (…) La posterità di Nestroy,grazie alla propria insensibilità artistica, fala stessa cosa che ha fatto il mondo suo con-temporaneo, il quale condivideva i temi dellasua opera: questo lo prese per il suo buffo-ne d’attualità, quella dice che è invecchia-to. Nestroy colpisce la posterità, perciò que-sta non lo capisce”. Kraus coglie quel-l’aspetto paradossale secondo cui alla noto-rietà buffonesca di Nestroy, la cui opera perdirla con Jura Soyfer “era incontesta-bilmente destinata alla gente di periferia, acoloro che alla meno peggio vivevano ‘alpianterreno’ e non ‘al primo piano’”, noncorrisponde nella ricezione anche dei con-temporanei un tasso di reale comprensionedella vera operazione di critica corrosiva neiconfronti di una società la cui componentepopolare era chiamata a rifiutarel’ autopersiflage e la caricatura di se stessa.Da questo punto di vista risulta felice la scel-ta di proporre La classe dei monellacci, unaBurleske con musica in un atto, conclusapochi mesi prima della rivoluzione del 1848i cui fermenti democratici e libertari sonopoi trasposti nella nota pièce Freiheit imKrähwinkel (1848) dove l’illusione, comeosserva Rovagnati, era stata “una libertà insedicesimo, soffocata dal provincialismoancor prima di essere repressa con la for-za”. Se la satira nestroyana è un divertentema amaro atto d’accusa nel presente nei con-fronti di un’istruzione privata sovvenziona-ta da ambienti aristocratici che impongonoil riconoscimento dell’ignoranza anche ai

propri figli, Rovagnati sottolinea “la deri-sione della cultura tardo settecentesca cheaveva guardato con fiducia alla Bildung” edella scuola descritta come “una palestra diammaestramento al servilismo, all’omertà,alla piaggeria”.L’atto unico Il gran capo vento vespertinoovvero l’orrendo banchetto rafforza la chia-ve di lettura politica che ai contemporaneinon poteva non risultare di difficile uso. Sin-golare è il destino di questo copione che,rappresentato nel 1862 pochi mesi primadella morte, è stampato solo nel 1912 e solonegli anni Cinquanta del Novecento vienevalutato in tutta la sua portata di modernità.Costruito sullo svuotamento o rovesciamen-to del mito del buon selvaggio, questa“Indianische Faschings-Burleske”, questo(in)cruento nonsense, ambientati in una im-probabile dimensione esotica, passano inrassegna tutti i mali e le corruzioni dei go-verni chauvinistici dopo il 1848. Se “ilcannibalismo è addirittura una piacevoleforma di eliminazione dei problemi dellasfera privata e quotidiana”, esplicitandomacabramente il tasso di perversione delborghese, il machiavellismo che dominal’esercizio del potere, il culto della vanità edell’edonismo, cui noi oggi potremmo ag-giungere quello dell’immagine, “l’idealetutto asburgico della Konzilianz”, sono idisvalori con i quali si governano le cosedel mondo.Nestroy impersonò molte volte lo scolaroragionatore Willibald nella Classe deimonellacci e per quattro volte il ruolo di Ven-to vespertino. Dopo le celebrazioni delbicentenario della nascita e dopo trent’annidall’unico allestimento ufficiale di Nestroyin Italia per la regia di Franco Parenti si puòsperare che la traduzione di queste duepièces aiutino a interrompere il suo lungosilenzio scenico.

Fabrizio Cambi

Rahel Levin Varnhagen, Briefwechsel mit

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Ludwig Robert, herausgegeben vonConsolina Vigliero, München, C.H. Beck,2001, pp. 1014, € 98.

Meine Briefe sind meine Journale intitolavaAlexander Košenina, con parole di RahelLevin Varnhagen (1779-1833), un suoarticolo sulla FAZ del 12 maggio 1999 chedava conto di un convegno, “Archiv-Edition-Netzwerk”, organizzato dalla germanistaamburghese Marianne Schuller nel Warburg-Haus. L’equiparazione fra “Briefe” e“Journale” avviene in un’imperativapreghiera, “Verwahrt meine Briefe, den dassind meine Journale”, caratteristica dell’al-lora appena ventitreenne Rahel, indefessanel raccomandare la conservazione delle suelettere, di tutte la sue lettere: “Und sterb’ ich– such alle meine Briefe [...] zu bekommenund ordne sie mit Brinckmann”, avevascritto all’amica Wilhelmine von Boye nelluglio 1800, trentun anni prima di morire.Sono esortazioni che possono considerarsiformula individuationis di questa ebreaberlinese – figlia del banchiere MarkusLevin e moglie, dal 1814, del diplomaticoKarl August Varnhagen von der Ense – cheviene tradizionalmente ricordata solo per lastraordinaria capacità di attrarre nel propriosalotto i più bei nomi della vita politica eculturale dell’epoca. “Rahel non pubblicònulla”, scrive Mittner nella sua Storia dellaletteratura tedesca, “ma fece moltissimoconsigliando e guidando i giovanifrequentatori del suo salotto, fra cui Heine”.In realtà i salotti berlinesi sono due, di cuiquello del 1790-1806 è menzione d’obbligo,ben prima della canonica monografia diPeter Seibert, Der literarische Salon, ognivolta che si parla dell’istituzione tipica della“civiltà della conversazione”; e non è veroche Rahel non abbia pubblicato nulla in vita:lo ha fatto ricorrendo a pseudonimi, noncriptici per i contemporanei; intendeva anchepubblicare le sue lettere. Il fatto è chel’immagine un po’ stereotipa della brillantesalonnière e dei suoi “Hebammendienste”ha tenacemente offuscato una realtà che èstata immessa in circolo nella germanistica

solo negli anni Ottanta: ovvero che RahelLevin Varnhagen, che si autodefiniva “sanstalents et sans instruction” e al contempoaffermava “Der größste Künstler ist nichtüber mir”, è uno dei talenti letterari più ricchie affascinanti della stagione fra Spät-aufklärung e Biedermeier.Questa acquisizione critica si deve in primoluogo al gruppo di studiose italo-tedesche chetroviamo elencate in antiporta al Briefwechselmit Pauline Wiesel, herausgegeben vonBarbara Hahn unter Mitwirkung von BirgitBosold, il volume che nel 1997 inaugura, peri tipi dell’editore monacense Beck, la EditionRahel Levin Varnhagen: ossia “Edition RahelLevin Varnhagen – Herausgegeben vonBarbara Hahn und Ursula Isselstein, mit eineritalienisch-deutschen Arbeitsgruppe vonBirgit Bosold, Renata Buzzo Margari,Marianne Schuller und Consolina Vigliero”.Consolina Vigliero, nel 2001 curatrice delsecondo volume, il carteggio fra Rahel e ilfratello prematuramente scomparso, loscrittore e giornalista Ludwig Robert (1778-1832), appare assieme a Marianne Schuller,Renata Buzzo Margari e, di nuovo infunzione-guida, Barbara Hahn e UrsulaIsselstein fra i relatori di un convegno oggiconcordemente ritenuto epocale, svoltosi aTorino nell’aprile 1986 presso il Dipartimentodi Scienze del linguaggio e letteraturemoderne e comparate: Rahel Levin Varn-hagen. Die Wiederentdeckung einerSchriftstellerin. Il titolo del convegnotorinese, i cui atti, a cura di Hahn e Isselstein,sono usciti nel 1987 presso Vandenhoeck &Ruprecht come Beiheft 14 della “Zeitschriftfür Literaturwissenschaft und Linguistik” èprogrammatico. E la Edition Rahel LevinVarnhagen è la realizzazione di taleprogramma.Al centro di questa restitutio come pure delconvegno “Archiv-Edition-Netzwerk”svoltosi nella città di Aby Warburg, nel segnodi Mnemosyne, sta una collezione di autografiche, anche nelle sue vicissitudini belliche epostbelliche, costituisce un capitolo nonminore di storia tedesca: la SammlungVarnhagen. Il suo inventario di 923 pagine

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redatto da Ludwig Stern nel 1911 spiegaperché ogni buon europeo potesse ripetere,con Eugène Susini, “Je pleure chaque nuitsur la perte du Fonds Varnhagen” neitrent’anni abbondanti in cui questi fondiunici nel loro genere per quantità e qualità,conservati fino al 1941 nell’ex KöniglicheBibliothek di Berlino, sembravano sparitinel nulla. Una buona stella aveva invecevegliato sull’immane archivio raccoltodall’attivissimo pubblicista e storico liberaleche nei suoi venticinque anni di vedovanzasi era consacrato a un autentico culto dellamoglie, dando alle stampe, inizialmentecome manoscritto per gli amici, il celebreRahel. Ein Buch des Andenkens für ihreFreunde (1833, ampliato a tre volumi nel1834). Le carte più care a Varnhagen,salvatesi dalle bombe nella bella chiesabarocca di un antichissimo convento dellaSlesia, Grüssau, alias Kreszów, sonoricomparse nel 1977 nella bibliotecajagiellonica di Cracovia. La loroconsultazione e utilizzazione scientifica hadovuto fare i conti anche con l’esistenzadella cosiddetta cortina di ferro. Prima dellericercatrici italo-tedesche testé nominatesolo uno scrittore, Günter de Bruyn, poetadoctus, aveva lavorato nella BibliotekaJagiello_ska pubblicando il carteggiogiovanile con il conte Finckenstein con iltitolo Rahels erste Liebe. Nach denOriginalen hg. und erl. von G. de Bruyn,Berlin [-Ost] 1985: nessun germanista avevaperò esplorato ai fini di un’edizione deimanoscritti le migliaia di pagine di epistolarie diari, nonché la massa di foglietti scioltiche Rahel, ammiratrice di Lavater,chiamava, con preciso senso dell’etimologiae della tradizione settecentesca, Denkblätter.Delle due più importanti edizioninovecentesche infatti, l’una, i quattro volumidi lettere a cura di Friedhelm Kemp, risaleal 1967, epoca in cui l’archivio di Varnhagensi riteneva perduto (1979II, presso Winkler);l’altra, Rahel-Bibliothek. Gesammelte Werkein dieci volumetti, a cura di KonradFeilchenfeldt, Uwe Schweikert e Rahel E.Steiner, uscita nel 1983 di nuovo presso un

editore monacense, Matthes & Seitz,ripropone in edizione anastatica quantoaveva pubblicato nel 1834 e 1849Varnhagen, nel 1861 e 1874-1875 la nipotedi Varnhagen, Ludmilla Assing (conl’aggiunta di lettere conservate inbiblioteche dell’ex BRD).La rinuncia da parte degli editori deiGesammelte Werke al lavoro immane chequalifica la Edition Rahel Levin Varnhagenviene motivata con considerazioni che valela pena citare: “Angesichts jedoch derMaterialfülle einerseits, mit der in Krakaugerechnet werden muß, und andererseits deraktuellen Schwierigkeiten, die eineBereitstellung so umfangreichen Materialsnach wie vor zumindest erheblich verzögernwürden, wird für die vorliegende Ausgabeauf die Benutzung des in Krakau lagendenBestands absichtsvoll verzichtet”. Cosìnell’Editionsbericht, volume X, p. 8. Ilragionamento è ineccepibile, ma con questalogica non nascono opere come quella cuiBeck ha saputo conferire una vestetipografica di ottimo gusto, elegante emaneggevole nonostante il numero dipagine. E, senza nulla togliere allameritevolissima riproposizione fotomec-canica (con indici) del canonico Rahel. EinBuch des Andenkens del 1834, di carteggimaggiori e minori nonché testi sparsi e didifficile reperimento, sottolineo una veritàovvia: un discorso sullo stile epistolare e piùin generale sullo stile di questa con-temporanea di Hölderlin, radicata “in einemsich fertig gemachten, vollbildetenJahrhundert” (lettera di Ludwig Robert del1817, p. 167), può dispiegarsi solo se sidispone di fedeli e integrali trascrizioni deglioriginali. È quanto offre il Briefwechsel mitLudwig Robert. Vigliero scioglie solo lesigle, ma non integra le abbreviazioni se nonnell’apparato di Anmerkungen; conserva lapunteggiatura e le – altrettanto importanti –sottolineature dell’originale; rispettainsomma tutti gli scarti rispetto alle normegrafiche. I “difetti della scrittura” infatti –come Isselstein aveva sottolineato fin dalConvegno su La lettera familiare

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organizzato a Bressanone da GianfrancoFolena – sono oggetto di precisa riflessionein una autrice “cresciuta con il Judendeutschdella sua famiglia” (“Quaderni di Retoricae Poetica” 1, 1985, p. 180). La Edition RahelLevin Varnhagen è la prima a tenererigorosamente conto di ciò che perl’ammiratrice dello spirito (non dellalettera!) della grande epistolografia francesecostituiva la consapevolissima condicio sinequa non per la pubblicazione delle propriemissive: il “mantenimento della loro grezzaautenticità” (“Quaderni di Retorica ePoetica” 1, 1985, p. 178). In altri termini:se Sabine Becker nell’introduzione a RahelLevin Varnhagen, Studien zu ihrem Werk imzeitgenössischen Kontext (St. Ingbert, 2001,p. 12) può ancora denunciare l’assenza diun’indagine “aus literaturwissenschaftlicherPerspektive” dell’epistolografia raheliana,oggi, grazie al lavoro del gruppo di ricercaitalo-tedesco, cominciano ad esistere lepremesse per intraprendere questo tipo diindagine, sviluppando alcune feliciannotazioni critiche di Kemp, dei curatoridei Gesammelte Werke e specialmente diMarianne Schuller.Quali investimenti di tempo e di energierichieda arrivare alle fresche fragolearomatiche con sabbia e radici di cui parlaRahel designando metaforicamente lapropria scrittura lo si desume dagli anniintercorsi fra l’uscita in libreria dei due primiBriefwechsel e il momento in cui è statoconcepito il progetto editoriale, ora DFG-Projekt sotto la guida della germanistaamburghese organizzatrice del Convegno“Archiv-Edition-Netzwerk”. L’incontro fraHahn e Isselstein – ovviamente nellaBiblioteka Jagiellońska – è del 1984, comesi legge in Der Text aus meinem beleidigtenHerzen. Studien zu Rahel Levin Varnhagen(Torino 1993, p. 222) della germanista oraattiva a Genova. Due anni dopo, al convegnotorinese, Hahn e Vigliero erano in grado dischizzare con mano sicura tradizione ecaratteristiche dei carteggi su cui lavoravano,spiegando le priorità che sarebbero state datenell’ordine di pubblicazione. Alla

ricercatrice torinese – che nel suo intervento“Mein lieber Schwester-Freund”. Rahel undLudwig Robert riprendeva un’apostrofe diLudwig (a p. 187 del carteggio ora pubblicato)– erano già familiari anche gli altri epistolarie parte di un ulteriore, sorprendente repertodella Biblioteka Jagiellońska, usato nellapostfazione e nelle note al Briefwechsel mitLudwig Robert: si tratta di una versione diRahel. Ein Buch des Andenkens für ihreFreunde di mole tripla rispetto a quella in trevolumi uscita nel 1834 e che Varnhagen nonha mai pubblicato. Nel 1986 Vigliero dunquenon solo aveva ormai alle spalle le letture dibase – tra i vari carteggi esiste una complessarete di rimandi che è indispensabileconoscere, come ben si vede ora nelleAnmerkungen del carteggio fra Rahel e Robert–, ma aveva già pressocché risolto ilpreliminare lavoro di trascrizione e datazionedelle lettere: lo si può evincere dalla primapagina del suo contributo a stampa del 1987.Che il Briefwechsel mit Ludwig Robert, dovel’apparato critico occupa il 40% delle 1014pagine, sia apparso tre lustri più tardi ( e e ilBriefwechsel mit Pauline Wiesel, che Hahnnegli Atti del Convegno torinese, p. 41,annunciava per il 1988, nove anni dopo), ladice lunga sull’impegno richiesto da unaedizione critica commentata: commentatafornendo, come vedremo, non ciò che il lettorecolto già conosce o riesce a trovare da solo,ma il distillato di un immane lavoro dacertosino in biblioteche ed archivi. Viglierone elenca quarantotto, celebri e oscure, dallaBibliothèque Nationale de France allaEvangelische Kirchengemeinde diKnittlingen e alla Badisches Staatstheater-Bibliothek (e con analogo impegno inve-stigativo procede anche Hahn).Prima di entrare nel merito specifico deirisultati di un genere di ricerche chepresuppone, non in linea secondaria, unparticolare ethos del lavoro scientifico, riservoun cenno al problema tecnico-editorialecomplessivo, che fa sì che la SammlungVarnhagen avesse la parte del leone nelricordato convegno su “Archiv-Edition-Netzwerk”: un fondo di oltre seimila lettere

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di e a Rahel, con un numero dicorrispondenti che sfiora i trecento, siconfigura come un laboratorio ideale persperimentare le più audaci e sofisticatesoluzioni editoriali, compresi gli“elektronische Kommentare” in forma dibanche dati prospettati da Hahn nel suoNachwort. Qui basti rilevare che ladimensione e tipologia del carteggioraheliano pongono nei termini più pressantiun problema generale: Kann man einenNachlaß edieren? A questo riguardorimando all’omonimo articolo, dalsottotitolo Zum Konzept der “Edition RahelLevin Varnhagen”, apparso fin dal 1993 in“Editio. Internationales Jahrbuch fürEditionswissenschaft” VII, pp. 216-222 afirma di Barbara Hahn e Marianne Schuller.Quanto al modo in cui, con dichiaratopragmatismo, è organizzata l’edizione, essorisulta metodologicamente interessan-tissimo: la Edition Rahel Levin Varnhagennasce a struttura amplificabile, non rigida-mente predefinita. È una sorta di “offeneForm” editoriale che è un po’ l’equivalentedella dimensione operativa nelle hardsciences. Sei i volumi in cantiere, tre gliambiti abbracciati: epistolari con amiche,affidati a Hahn, epistolari con la famiglia,affidati rispettivamente a Vigliero e BuzzoMargari, Tagebücher und Aufzeichnungen,affidati a Isselstein. Potranno via viaaggiungersi epistolari già editi, ma inficiatida errori e omissioni di cui fanno fede imanoscritti. L’uscita del Briefwechsel mitLudwig Robert risponde dunque a unaprecisa strategia intesa a pubblicareinnanzitutto materiale finora ampiamenteinedito e solo in un secondo tempo amigliorare lo status editoriale di ciò che ègià pubblicato.Dalla prima sezione del Nachwort diVigliero, in cui si delineano Geschichte undRezeption (pp. 911-914) del carteggio, siapprende che fino al 2001 erano stampate,e solo in forma parziale, diciassette letteredi Ludwig a Rahel e ventisette di Rahel alui: una quantità risibile rispetto alle trecentolettere ora pubblicate dalla ricercatrice

torinese.Come avviene di norma, le trecento lettere,quasi sempre autografe, conservate nellaBiblioteka Jagiello_ska, sono ciò che si èsalvato di un carteggio sicuramente assai piùampio, all’insegna del “nur recht oft undrecht viel geschrieben” (p. 64). La primalettera conservatasi è del 1794: la invia unadolescente che ancora si firma col nome diLiepmann Levin, fresco di studi compiutiall’ottimo Gymnasium francese di Berlino,appena arrivato a Breslavia per l’apprendi-stato commerciale voluto dalla famiglia.L’ultima è indirizzata “An Ludwig Robertin Baden-Baden” in data 9.7.1832: ildestinatario era morto qualche giorno primadi “Nervenfieber”.La distribuzione delle missive conservate èassai difforme: i primi tre anni sonorappresentati da cinque lettere soltanto, altrianni da un’unica lettera. Per il densissimoperiodo 1798-1806 si hanno otto lettere intutto: il 1802-1805 sono completamenntescoperti, come il 1808 e il 1810-1811. Dalgennaio 1822 al settembre 1824 solo novelettere, dall’ottobre 1825 si salta al febbraio-marzo 1826, dall’ottobre 1827 all’ottobre1828, mentre per il 1829 è rimasto un unicoscarno biglietto.La parte centrale del Nachwort intitolata,sulla falsariga di un’autocaratterizzazionenella lettera alla sorella del 20.10.1818,Ludwig Robert “Eine Auster in seinerSchale”, ricostruisce l’itinerario artistico eumano dello scrittore anche negli anni in cuiil carteggio tace. Particolarmente pregevoleil fatto che a tale fine vengano utilizzate lelettere indirizzate a Cotta, editore del“Morgenblatt für gebildete Stände”:materiale d’archivio non conservato aCracovia, bensì a Marbach.Più in generale è proprio il ricorso ampio eoculatissimo a materiale inedito a qualificarela parte più impegnativa del lavoro compiutoda Vigliero: le Anmerkungen (pp. 607-908).L’indispensabilità del commento alle lettererisulta potenziata dal rapporto partico-larmente stretto fra i due corrispondenti.Tutti i Levin hanno invero una notevolissima

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cultura artistica (di cui fanno fedeesemplarmente le riflessioni inedite diMoritz, il fratello nato nel 1785,commerciante, sulla non rappresentabilitàa teatro di Kassius und Phantasus oder DerParadiesvogel, a p. 741 delle Anmerkungen).Ludwig però, che è l’unico dei Levin che aun certo punto abbandona le redditizieoccupazioni ereditarie per vivere, mailargamente, – nie au large (p 453) –, comelibero scrittore, condivide come nessun altrogli interessi della sorella: tanto da utilizzarnele lettere per i propri articoli – con esempiad oculos quale quello fornito nella letterada Karlsruhe del 16.3.1826.Di “wahrhaft brüderlichen Gesinnungen”parla, p. 93, Rahel, nella risposta alla letteradel 30.6.1807 in cui Ludwig stigmatizzacome “hämisch” una recensione diSchleiermacher concernente Fichte: “unsernverehrten Lehrer, den RechtschaffendstenMann!” (p. 77). Rivelanti di questa profondasintonia – ad onta di screzi – sono epitetiquali “theuerer Religionsbru[der]” (p. 590,nell’ultima lettera) “mein lieber Sohn” (p.290, nel 1820, quando “Louis” haquarantadue anni) o la resistenza che Raheloppone allorché il fratello – secondo unaabitudine tipica della lunga stagione in cuile lettere non hanno ancora carattere privatoin senso odierno – le annuncia di volereindirizzarsi, oltre che a lei, a RebekkaFriedländer alias Regina Frohberg: “Fühldoch; daß Du unmöglich mit derGeistesvigeur, und Freiheit; und scherz inallem Frist, und Kürze über jede Sache anR: schreiben kannst als an mich?!” (p. 56).Ora proprio questa “Kürze über jede Sache”non solo estrinseca ma intrinseca, propria auna comunicazione in cui basta un cennoper farsi capire dall’altro, rendeindispensabile che il testo sia integrato nelleAnmerkungen. Un esempio a p. 231: percapire l’umanissima esortazione a toglieredall’imbarazzo la Huber – “das Geschehenewird doch nicht besser wenn die Frau leidet”– occorre conoscere il retroscena, ovverosapere che Therese Huber, redattrice del“Morgenblatt”, aveva ‘tagliato’ una

recensione di Ludwig a Kotzebue, conoscernele ragioni specifiche, esposte nella lungalettera, conservata nella Jagiello_ska, dellaHuber a Rahel, nonché la situazione dellascrittrice vedova del secondo marito, LudwigFerdinand Huber. A cinque righe di testo necorrispondono settantatre in corpo piccolonelle Anmerkungen; tipologicamentesi trattadi trascrizioni di materiale manoscritto e dauna citazione dagli Erlebnisse di FriedrichWilhelm Gulitz (3 voll., Berlin 1869).Vigliero cita infatti con abbondanza, oltre cheda materiale inedito (specie, come è ovvio,di Varnhagen), da opere o rivisteottocentesche di assai difficile reperimento,riuscendo a individuare quasi tutte le fontiabbreviatamente indicate. Così nella letteradel luglio 1821 indirizzata a Ludwig aKarlsruhe, che inizia parlando lungamentedell’effetto prodotto dal Meister, a p. 350 silegge: “Dinstag hatte ich nach meiner Artgroße Gesellschaft: es galt Maria Weber; derhier seine Oper mit dem rauschenstenglänzendsten Beyfall in neuem Haus den Tagvorher gegeben hatte”. La nota relativa, cheoccupa un’intera pagina, riporta ciò che scriveVarnhagen sull’accoglienza al Freischutz,citazioni dai Blätter aus der preußischenGeschichte, il commento nella versione maistampata del Buch des Andenkens, la poesiadi Weber che Rahel invia al fratello e illuminainfine il rapporto con Spontini. In tal modoviene reso comprensibile ciò che segue neltesto.Anmerkungen brevissime non sono meno utilie fanno anch’esse da reagente allascrupolosità della curatrice. Un’analisi attentadell’apparato critico rivela infatti cheVigliero, oltre a controllare tutti i libri diRahel (facendo l’autopsia delle tracce dilettura raheliene – ad esempio, p. 672, nota25 – a volte ripassate a penna dal marito: p.772, nota 12, relativa alla versione deiWanderjahre della primavera del 1821), hafatto ricorso a una massa di fontidisparatissime non comprese nella quattrofitte pagine di Siglen (pp. 598-601). Doversimuovere fra due lingue costituisce unaulteriore complicazione: ad esempio con “die

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Heldenfischer in der Stummen von Portici”(p. 535) si allude a La Muette de Portici, dicui in nota vengono forniti anche data eluogo della première e nome dell’autore,Daniel-François-Esprit Aubert. A questoproposito va lodata una scelta di estremoimpegno nella Edition Rahel LevinVarnhagen e particolarmente opportuna inun carteggio in cui si parla assai spesso dimesse in scena teatrali, di attori ecompositori: il tipo di Register. Nel casospecifico nel Register si legge: “Aubert,Daniel-François-Esprit (1782-1871), fr.Komponist”. Seguono i titoli delle operecomposte da Aubert nominate nel carteggio.Il Register dà infatti gli estremi biografici ebibliografici dei personaggi citati ecomprende anche i nomi dei luoghi e i titolidegli articoli e delle riviste, non di rado‘effimeriche’ al massimo grado, come la“Berliner Cholera-Zeitung”. La frequenzadelle citazioni è un indice prezioso per illettore: evidenzia ad esempio il ruolo di “LeGlobe” (che non è Eine Lekture im Zeichender Weltliteratur solo per Goethe, comemostra l’attento studio di Heinz Hamm suGoethe und die französische Zeitschrift “LeGlobe”) e la crucialità di alcuni autori ecompositori quali Rossini e specie Spontini.Dispiace non potere passare in rassegnaneanche per sommi capi i giudizi su Goethe(14 rimandi solo al Torquato Tasso),Schiller, gli Schlegel, Tieck, Kleist, Heine,E.T.A. Hoffmann (“meinem guten FreundHoffmann”, come scrive Ludwig nel 1815:di qui anche la sua così tempestivavalutazione, p. 133, del “neuerfundenesgeniales Meisterstück”, Der goldene Topf).Le stroncature di epigoni che andavano perla maggiore e, per converso, l’interesse perla letteratura americana da parte di LudwigRobert vengono brevemente rilevate nelNachwort (pp. 934-935) assiemeall’entusiasmo per Goethe e Fichte (p. 934).Da raccomandare, perché illuminante ariguardo, l’ampio lavoro di taglio storico diHans-Joachim Becker, uscito come vol. 14dei Fichte-Studien Supplementa, FichtesIdee der Nation und das Judentum

(Amsterdam, Rodopi, 2000). Sottolineo chel’originalità di lettura, nota per quantoriguarda Goethe, concerne anche Fichte: neè una spia il “beständig und aphoristischlesen” (p. 495) della Staatslehre da parte diLudwig nel febbraio 1827.Proprio l’intrecciarsi costante di riflessioneestetica, etica, politica connota un carteggioin cui, come scrive Vigliero nell’ultima partedel Nachwort, intitolata Der Briefwechsel:die Landschaften eines Briefromans (pp.931-936), emerge “ein Zeitbild, wie es inkeiner anderen Korrespondenz Rahelszutage tritt” (p. 931). Di qui l’eco suscitatadal Briefwechsel mit Ludwig Robert neigrandi organi di informazione: “dieGeschichte einer verzweifelten jüdischenAssimilation” lo definisce Hans-JürgenSchings nella FAZ del 5.9.2002,aggiungendo, con l’abituale perspicacia, larelativa caratterizzante “die sich zugleich alseminent deutsche Bildungsgeschichteversteht”. Gli inizi riportano infatti aquell’eccezionale crogiolo di tedeschi ebreie ugonotti francesi vanto della politicafridericiana: “Il n’y a qu’un seul Berlin”,annota Ludwig da Parigi nel marzo 1801,stigmatizzando come “schändlich”, p.48, laseparazione fra ebrei e cristiani; poco dopoil Congresso di Vienna, nella lettera daBerlino del 21.1.1816, Ludwig fa proprie dauna parte, p. 136, le parole del maresciallofrancese Ney dopo le vittorie dei prussiania Dennewitz “Les Prussiens sont ivres”, edall’altra, p. 141, quelle Fichte, “Solange dieMenschen nicht weiser und besser werden,sind ihre Bemühungen glücklich zu werdenvergebens”, per denunciare la “Sünde derneumodischen Christen” (p.139) cheammorba l’aria della città amata-odiata;nell’agosto 1819, l’anno in cui Varnhagen ècostretto a ritirarsi dai suoi incarichidiplomatici al servizio della Prussia a causadelle sue idee liberal-democratiche, ilresoconto alla sorella sugli episodi diviolenza antisemita avvenuti a Karlsruhe siconclude con un commento che, dopo ildodicennio nero, mette i brividi: “Wieverderbt die Menschen aber sind und wie

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wenig Sinn sie für Recht und Gesetz, ichwill nicht sagen für Menschenliebe haben,da sieht man daraus, daß sich über alle dieseVorfälle gar keine Indignation ausspricht,nicht ein Mal in den öffentlichen Blättern”(p. 242).A riscontro le lettere di Rahel. Ricordo soloquella del 29.8.1819: “Ich kenne mein Land!Leider, Eine unseelige Cassandra! Seit 3Jahren sag’ ich; die Juden werden gestürmmtwerden: ich habe Zeugen. Dies ist derDeutschen Empöhrungs Muth. Und wie so?Weil es das gesitteste, gutmüthigste,friedliebenste, Obrigkeit ehrendste Volk ist”,dove l’incipit suona davvero profetico: “Ichbin gränzenlos traurig: und in einer Art wieich es noch gar nicht war. Wegen der Juden”.Ciò che affascina in questo scambioepistolare è che l’acume diagnostico dei dueebrei berlinesi, davvero “Früchte aus einemStamm” (p. 231), si sviluppa in uno spazioche Ludwig – alias “Louis” – definisce pernegativum quando constata, nel dicembre1817, “Kein Raum mehr für Witz, Elleganz,Einfälle[n], schöne[n] Trieben undkünstlerisches Streben” (pp. 167-168). Sonoqueste prerogative, eredità preziosa delsecolo di Lessing e Lichtenberg, che fannosì che il Briefwechsel mit Ludwig Robert silegga in realtà con molto più piacere di un“Milieu-Roman” cui Vigliero, p. 932, loparagona, usando un termine che mi parepoco consono al respiro squisitamenteeuropeo dei due corrispondenti. Penso chea questo splendido carteggio si attaglinoinvece a perfezione le parole con cui OttoJulius Bierbaum salutava, all’inizio delNovecento, l’edizione critica in tre volumidei Briefe di Lichtenberg, autore non a casocosì caro – si veda a p. 434 – all’autrice chegrazie a Isselstein è finalmente entratanell’Aphoristikforschung: “Es gibt wenigeRomane, die so anregend und spannend sind,wie diese [...] Bände”.

Avere reso fruibili, con la trascrizione e ilcommento, queste lettere ha anche un altroimportantissimo risvolto cui accennoconclusivamente. Ludwig Robert, scrittore

sempre ostacolato dalla censura e dagliantisemiti, ma assai apprezzato ai suoi tempidalla parte migliore del pubblico, è oggi undimenticato. Possibili integrazionibibliografiche quali il contributo di LilianeWeissberg, Dramatic History: Notes on aBiblical Play by Ludwig Robert (nella sillogea cura di Ezra Mendelsohn, Studies inContemporary Jewish History, Oxford, 1996,pp. 3-20) non modificano la fondamentaleverità che Vigliero espone a p. 936: “Währendsich die Aufmerksamkeit der Forschung aufbestimmte journalistische Arbeiten richtete,mit dem Ziel, Rahels Mitautorschaft bzw.alleinige Autorschaft zu belegen, fiel [...]Ludwigs beachtliches journalistisches Talentbald und bis heute in Vergessenheit”. IlBriefwechsel mit Ludwig Robert confrontainvero spessissimo con l’autore di teatro,specie con Die Macht der Verhältnisse. EinTrauerspiel in fünf Aufzügen – “mit Bedachtprosaisch” (p. 504) – pubblicato da Cotta nel1819 e finemente caratterizzato da Rahel inuna delle tante lettere opportunamente inseritenelle Anmerkungen, pp. 850-853; ma nonmeno frequente e serrato è il discorso suicontributi che vengono stampati o nonstampati nel “Morgenblatt”, con avvincentiesempi di confluenza fra epistolografia esaggistica. La felicità di Ludwig negli schizzie Porträts tocca autentici vertici quali il ditticoDie Georges e Die Duchésnois nella letterada Parigi del 29.8.1806 e il ritratto dellacontessa Golz (nelle Anmerkungen, p. 671).Se Rahel, come documentato nelleAnmerkungen, p. 782, commenta La Bruyère,ama lo stile lapidario delle epigrafi (p. 530) einvita a rileggere Lichtenberg, Robert già nellalettera da Amsterdam del 16.701807preannuncia alla sorella che le farà avere “dieganze Sammlung Aphorismen über Liebe,Promemoria genannt”. Gli Aphorismen ausParis che appaiono a puntate sul“Morgenblatt” a partire dal luglio 1826 sonoargomento del carteggio ancor prima dellalettera coeva (p. 463 e la Anmerkung 111 a p.838). Quale importanza attribuisca lorol’autore emerge da annotazioni quali “endlichwieder die Fortsetzung meiner Aphorismen

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aus Paris, die doch ein Ganzes bilden” (p.504). Oggi ne cercheremmo invano traccianella Sekundärliteratur.Capace di un’autentica dimensione dialogicanel carteggio con una scrittrice somma che(analogamente, del resto, a Lichtenberg)dichiarava di non essere tale, Ludwig Robertnon ha dubbi sul valore di generi amati daimaestri della prosa quanto trascurati dallastoriografia tradizionale: la lettera del26.6.1826 porta l’esplicita designazione diuna lettera raheliana come Werk (p. 458).La caratterizzazione di Heine nell’ultimamissiva alla sorella articola –autobiograficamente –, con straordinariaperspicuità, le ragioni per cui un autenticolirico diventa, in epoca moderna, “ein unterThränen lachender Publicist” (p. 585).Il carteggio edito da Vigliero costituisceanche l’invito più suasivo a riscoprire ilLudwig Robert “Publicist”: l’autore diquelle che Sengle, in una sua storicaAntrittsvorlesung, chiamava Zweckformen.Per ricchezza di implicazioni la EditionRahel Levin Varnhagen costituisce dunqueun autentico evento. Ed è profondamentesignificativo che esso sia il frutto di unacollaborazione italo-tedesca che non hauguali nella storia della germanistica.

Giulia Cantarutti

SCHEDE

Lia Secci e Hermann Dorowin (a cura di),Il teatro contemporaneo di lingua tedescain Italia, Napoli, Edizioni ScientificheItaliane, 2002, pp. 360, € 28,00

Fin dove arriva il contemporaneo? Nel taglioofferto dai due curatori di questo volume(ripreso dagli atti di un convegno – “Laricezione del teatro contemporaneo di linguatedesca in Italia” – tenutosi a Roma dal 30marzo al 1 aprile 1998) coesistono in essoanime diverse: teatro di autori (ThomasBernhard, Rainer Werner Fassbinder) o distati (la DDR) che non ci sono più,

generazioni che esordiscono negli anniSessanta (Peter Handke), Settanta (BothoStrauß), su su fino alla contemporaneità piùstretta. Il taglio unificante è o dovrebbeessere dato dal rapporto degli autori e deiteatri con la scena italiana: in questo sensoIl teatro contemporaneo di lingua tedescain Italia rappresenta un repertorio preziosodi testimonianza su un fenomeno – quellodel travaso della drammaturgia tedesca inItalia – che ha assunto dimensioni notevolinel corso degli ultimi decenni. Gli interventi,tuttavia, non si limitano a ripercorrere lastoria delle edizioni e delle rappresentazionidi singoli autori (Thomas Bernhard negliinterventi di Luigi Quattrocchi e RobertoMenin, Peter Handke in quello di HermannDorowin, Heiner Müller in quello di LuciaTorsello, mentre Luisa Gazzero Righi sioccupa in due distinti articoli di BothoStrauß e di Herbert Achternbusch) o di interedrammaturgie (quella tedesca orientale nelcapillare contributo di Antonella Gargano oquella dei “bavaresi arrabbiati” – FranzXaver Kroetz, Martin Sperr, Rainer WernerFassbinder – nel ricco, documentatissimosaggio di Teodoro Scamardi), ma cercanodi misurarne l’impatto sulla nostra culturanella doppia dialettica di ciò che viene toltoe di ciò che viene aggiunto. A taleprospettiva si alterna quella dal taglio piùtradizionalmente critico, in cui la produzionedi autori o correnti vengono ricapitolati inuna sintesi più globale, senza diretto oprecipuo riferimento alla loro traduzionesulla scena italiana: è questo il casodell’intervento di Sigrid Schmid-Bortenschlager su Elfriede Jelinek, cui facomunque da contrappeso quello di LiaSecci sulla ricezione di Jelinek in Italia; diquello di Erika Achermann sul teatro dellaSvizzera tedesca dopo Dürrenmatt e Frisch;e in parte di quello di Anna Fattori sullaproduzione teatrale delle autrici svizzero-tedesche contemporanee – intervento questoche, comunque, dato il taglio attento agenerazioni di scrittrici nuove e nuovissime,difficilmente poteva proporsi in mododiverso: le autrici di cui Fattori ricostruisce

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i percorsi sono praticamente ignote nelnostro paese. Su un crinale intermedio,invece, si situa l’intervento di Mauro Ponzisu Peter Turrini, che trae spunto dalle(poche) rappresentazioni dell’operadell’autore austriaco in Italia per approdarea una riflessione globale sulla suaproduzione e sulla sua poetica. Completanoil volume i profili degli autori trattati, cui siaccompagnano dettagliate schederiassuntive delle bibliografie teatrali e dellerappresentazioni allestite in Italia: èsoprattutto in virtù di questa ampiaappendice che l’opera si pone come puntofermo della ricerca sulla nostra ricezionedella letteratura teatrale tedesca negli ultimianni.

Alessandro Fambrini

Achim von Arnim, Raffaello e le sue vicine,a cura di Gabriella Catalano, Milano, SE,2002, pp. 94, € 10,00.

Questo racconto, che Arnim in una letteraai Grimm definisce “eine Lieblingsarbeitvon mir”, è un prodotto davvero particolaredella poetica tardoromantica. La storia diRaffaello, delle sue due vicine, poli oppostidel femminile e dell’atteggiamento vitale,e di Bäbe, figura deforme e scimmiesca, asua volta contrapposizione speculare delgenio creatore, rappresenta una curiosa einteressante tappa nel percorso direinterpretazione a cui la figura dell’artistaRaffaello veniva allora sottoposto nelquadro della progressiva radicalizzazionedel pensiero romantico. Divenuto sommarealizzazione moderna dei canoni antichidell’arte in seno al Classicismo – a partireda Winckelmann che si vanta di averneriscoperto l’eccellenza accanto a quelladegli antichi – Raffaello viene prepo-tentemente investito dalla tensionespeculativa primo-romantica e del suolinguaggio modulato sulla sfera religiosa.Dalla “leggenda” wackenrodiana dellaRaffaels Erscheinung alla glorificazione

estatica della Madonna Sistina nei Gemälde(“Athenaeum”, III fasc., 1799), Raffaellodiventa l’incarnazione di quella ispirazionesuperiore in cui si realizza il congiungimentofra umano e divino. Il racconto di Arnimaffronta, se così si può dire, di petto proprioil progressivo scollamento di questi due pianiche caratterizza la lettura tardo-romantica,riuscendo ancora a evitare il ripiegamento,come sarà dei pittori nazareni, o la rassegnataaccettazione della dicotomia insanabile fral’artista e la sua vita che caratterizzerà il tardoottocento. Al contrario, il racconto arnimiano,proprio per la sua capacità di far interagireaspetti e spunti molto diversi, sa ancorasfruttare la possibilità di sovrapporre e farinteragire linguaggio artistico e linguaggioreligioso, ultimi bagliori di quelpotenziamento dell’espressività che era unpunto nodale della riflessione filosofica epoetica precedente. Proprio il gioco degliopposti, dei riflessi e dei capovolgimenti chesostiene questa vicenda, mescolandoarditamente fatti storici, leggendari e letterari,permette la raffigurazione della molteplicitàe dell’ambiguità insite nella ricerca di unaconciliazione fra ispirazione artistica epulsioni vitali.Il racconto, che era già stato tradotto neglianni Ottanta per l’Accademia Raffaello inoccasione del quinto centenario della nascitadel pittore, è in realtà poco noto e questanuova versione ben fa sperare in una suarivalutazione, anche e soprattutto per la resaaccurata e felice di un linguaggio pieno diombre e lampi, di tensioni e vibrazioni cheriproducono le emozioni del narratore, fedelecompagno del pittore, tutto teso a confutarele “molte notizie menzognere” e presentareRaffaello, con tutte le sue contraddizioni,quale “l’anima più innocente in questomondo corrotto” (p. 12).Nel saggio che accompagna la traduzione,Gabriella Catalano riaffronta ampiamente lepeculiarità di tale linguaggio sul piano dellastruttura formale e sottolinea come leambiguità e le contrapposizioni – in unaparola lo spessore stesso della figura siastorica che letteraria – si radicano in un

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tessuto narrativo che vive del “gusto delpastiche” (p. 84) e che tende a mettere inscena lo sforzo di riconciliazione, pur senzanegarne l’impossibilità. Il racconto della vitadell’artista “alla ricerca del proprio centro,travolto dai richiami della sensualità e dalleproiezioni estatiche che informano la suaarte” (p. 89) diviene così arabesco soffertoe vivido di un problema sostanziale dellamodernità.

Donatella Mazza

SEGNALAZIONI

SAGGI

Sandra Bosco Coletsos, I riti di iniziazioneall’età adulta nelle fiabe dei fratelli Grimm,Alessandria, dell’Orso, 2003, pp. 215, €

12,91

Daniela Calligaro, Gli esordi di BertoltBrecht e l’amicizia letteraria con Klabund,pres. Di Arnaldo Alberti, Milano, Teti, 2003,pp. 224, € 15

Anna Chiarloni (a cura di ), La prosa dellariunificazione. Il romanzo in lingua tedescadopo il 1989, Alessandria, Edizionidell’Orso, 2002, pp. 308, € 23

Michael Dallapiazza (a cura di), Tristano eIsotta. La fortuna di un mito europeo,Trieste, Ed. Parnaso, 2003, pp.363, € 26

Enrico De Angelis, Ritratto di lettere dallaMagna, Pisa, Jacques e i suoi quaderni 40,2003, pp. 695, s.i.p.

Franco Fortini, Un dialogo ininterrotto. In-terviste 1952-1994. Saggi. Arte e letteratu-ra, Torino, Bollati Boringhieri, 2002, pp.LIII-749, € 40

Sylvia Handschumacher, Aspetti didatticidella traduzione in tedesco dall’italiano,Pescara, ed. Campus, 2003, pp. 233, € 14

Maurizio Pirro, Anime floreali e utopiaregressiva, Salomon Gessner e la tradizionedell’idillio , Pasian di Prato, Campanotto,2003, pp. 212, € 18

Mauro Ponzi e Aldo Venturelli (a cura di),Aspetti dell’identità tedesca. Studi in onoredi Paolo Chiarini, Roma, Bulzoni, 2003,Tomo II/1: pp.XIII + 1-437, Tomo II/2: pp.438-846, i due voll. indivisibili € 83

Luigi Reitani, Hölderlins “Nänie”. “MenonsKlagen um Diotima” als ästhetische Replikauf Schiller, Udine, Forum, 2003, pp. 90, €

5

Anacleto Verrecchia, Rapsodia viennese.Luoghi e personaggi celebri della capitaledanubiana, Venezia, Marsilio, 2003, pp. 310,€ 24

RIVISTE

Annali dell’Istituto Universitario Orientaledi Napoli (AION) . Studi Tedeschi - FilologiaGermanica - Studi Nordici - StudiNederlandesi. Nuova Serie, X (2000), 2Saggi: Raffaella Del Pezzo, Lc 1,27:… infragiftim abin… “Promessa ad un uomo”;Carla Morini, La versione anglosassone delromanzo di Apollonio nel contesto del suomanoscritto; Maria Cristina Lombardi, LeKenningar per ‘poesia’ nelle Fridthiofs-rimur; Simonetta Carusi, Miß Sara Sampsone il romanzo borghese inglese; GiovanniChiarini, 1771: Una guida per le nuovegenerazioni. J. J. Volkmann fra Napoli, Cumae Paestum; Helmut Pfotenhauer, Deutsch-römer um 1800. Zu Carl Ludwig FernowsSitten- und Kulturgemälde von Rom unddessen Kontext; Francesca Terrenato, Pitturae scrittura nell’opera giovanile di Jacobusvan Looy; Claudio Vicentini, Itinerario diPirandello nella cultura tedesca; Mirella

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Carbone, Joseph Roth criticocinematografico; Elvira Naimoli,Concorrenza tra principi ortografici nelleriforme tedesche. Recensioni.

Studi germanici(nuova serie) Anno XL, 1, 2002Claus Riessner, Die Rückreise Goethes vonRom. Ein wenig beachteter Lebensabschnittdes Dichters; Giovanna Cermelli, Animalisimbolici nella fiaba romantica; MaurizioPirro, “Die entzauberte Tradition”. MaxKommerell e il modello ermeneuticogeorgiano; Simonetta Sanna, L’universo siè fatto più grande. Tre tesi attorno alromanzo. Note – rassegne – profili:Katharina Maria Gemperle, L’acquisizionedei verbi modali ‘dovere’ in tedesco da partedegli studenti italiani. Recensioni.

Studia austriaca“Sprach-Wunder”. Il contributo ebraico allaletteratura austriaca.Ediderunt Fausto Cercignani, MichaelaBürger-KoftisWalter Zettl, Jüdische Autoren als Bewahrerdeutscher Kultur. DeutschsprachigeLiteratur aus den ehemaligen KronländernGalizien und Bukowina; Fausto Cercignani,Il fine secolo viennese: Arthur Schnitzler,Richard Beer-Hofmann e Karl Kraus;Antonio Pasinato, Scrittori ebrei di Praga;Armin A. Wallas, Jüdische Dimensionenexpressionistischer Literatur ausÖsterreich. Grundzüge und exemplarischeAnalysen (Albert Ehrenstein, Franz Werfel,Simon Kronberg); Hermann Dorowin, JuraSoyfer und das Wiener Volkstheater;Rosanna Vitale, Lingua e Heimat in “DieWelt von Gestern” di Stefan Zweig; AnnaLucia Giavotto, Hermann Broch, Virgilio el’idea di destino; Luigi Reitani, Catastrofee memoria. L’autobiografia dopo la Shoah:Elias Canetti, Albert Drach, Ruth Klüger;Giuseppe Bevilacqua, Quasi una fantasia.La “Conversazione nella montagna” diPaul Celan; Jürgen Doll, “Ein Jude an dieZionisten”. Zu Erich Frieds Gedichtband“Höre, Israel! ” ; Gunhild Schneider, “Wie

ein Fremder eine neue Sprache lernt,vorsichtig, behutsam, wie man ein Lichtanzündet in einem dunklen Haus und dannweitergeht”. Ilse Aichinger und Hilde Spiel– Zwei Töchter der deutschen Sprache;Michael Bürger-Koftis, (Sprach-)Kritiker,Dichter und Denker. Die neue Generation:Robert Schindel, Robert Menasse und DoronRabinovici.Doron Rabinovici, “Gedenken istvergessen”. Der Versuch einer Würdigung,con trad. it. a fronte di Luigi Reitani

TRADUZIONI

Jurek Becker, I figli di Bronstein, trad. degliAllievi della Scuola Europea di TraduzioneLetteraria, Firenze, Le Lettere, 2003, pp. 265,€ 15

Wilhelm Busch, Plif e Plof, trad. di ElisabettaDell’Anna Ciancia, Milano, Adelphi, 2002,pp. 209, € 9

Friedrich Dürrenmatt, Nel cuore del pianeta.Cristianesimo, ebraismo, islamismo emarxismo tra libertà, uguaglianza efraternità, trad. di Daniela Idra, Milano,marcos y marcos, 2003, pp. 119, € 10

Christian Fürchtegott Gellert, Vita della con-tessa svedese von G., a cura di Maria PiaMicchia, Palermo, Sellerio, 2002, pp. 240,€ 9

Johann Wolfgang Goethe, I dolori delgiovane Werther, con un saggio introduttivodi Massimo Lardi, Locarno, Pro GrigioniItaliano, 2001, pp. 273, s.i.p.

Johann Wolfgang Goethe, Epoche dellospirito, in “Panoptikon”, 3, 2002, pp. 136, €

9,30

Wladimir Kaminer, Militärmusik, trad. diRiccardo Cravero, Parma, Guanda, 2003, pp.166, € 13

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Heinrich von Kleist, Michael Kohlhaas, trad.di Paola Capriolo, a cura di HermannDorowin, Venezia, Marsilio, 2003, pp. 270,€ 15

Helmut Krausser, Il falsario, trad. di Gio-vanna Agabio, Torino, Einaudi, 2002, pp.442, € 18,50

Jakob Michael Reinhold Lenz, DerHofmeister-Il Precettore, trad. e note diConsolina Vigliero, Torino, Editori LibreriaStampatori, 2002, pp. 251, € 12

Friederike Mayröcker, Della vita le zampe,a cura di Sara Barni, Roma, Donzelli, 2002,pp. 214, €11

Erich Maria Remarque-Marlene Dietrich,Dimmi che mi ami. Testimonianze di unapassione, a cura di Werner Fuld e ThomasF. Schneider, trad. dal francese di CarloMainoldi, Milano, Archinto, 2002, pp. 153,€ 17,50

Gregor von Rezzori, Tracce nella neve, acura di Andrea Landolfi, Parma, Guanda,2002, pp. 317, € 16,50

Bernhard Schlink, L’inganno di Selb, trad.di Umberto Gandini, Milano, Garzanti,2003, pp. 347, € 16

Anna Seghers, Jans deve morire, trad. di Ma-rina Pugliano, Roma, e/o, 2003, pp. 85, €

10

Adalbert Stifter, Due sorelle, trad. di RosellaCarpinella Guarneri, Milano, Adelphi, 2002,pp. 209, € 9

Adalbert Stifter, La cartella del mio bisnon-no, trad. di Simonetta Puleio, Piombino,Aktis, 2002, pp. 320, € 20,66

Kurt Tucholsky, Il castello di Rheinsberg,trad. di Palma Severi, postfaz. di SusannaBöhme-Kuby, Genova, il melangolo, 2003,pp. 174, € 8

Johannes Urzidil, Di qui passa Kafka, trad.di Margherita Carbonaro, Milano, Adelphi,2002, pp. 207, € 10

Thomas Vogel, L’ultima storia di MiguelTorres da Silva, trad. di Stefano Beretta,Firenze, Ponte alle Grazie, 2003, pp. 176,€ 10

Ernst Weiss, Jarmila. Una storia d’amoreboema, trad. di Rosella Carpinella Guarneri,Milano, Adelphi, 2002, pp. 94, € 7

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57. Zehn Jahre nachher. Poetische Identität und Geschichte in der deutschenLiteratur nach der Vereinigung. Fabrizio Cambi und Alessandro Fambrini (Hrsg.),

2002, 370 pp., ISBN 88-8443-018-6, € 16

Il volume raccoglie gli atti del Convegno su “Identità poetica e storia nella letteratura tedescadopo l’unificazione”, tenutosi a Trento nel maggio 2000. In occasione del decennale dellacaduta del Muro germanisti di vari paesi e gli scrittori Volker Braun e Richard Pietraß hannocompiuto un primo bilancio del panorama letterario tedesco contemporaneo non disgiunto dauna rivisitazione critica del recente passato della Repubblica Democratica tedesca.

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XIV. Cesare Cases, Saggi e note di letteratura tedescaa cura di Fabrizio Cambi, 386 pp. € 15.50

Il volume, da tempo irreperibile, raccoglie scritti, composti fra gli anni Cinquanta e i primi anniSessanta, che spaziano dalla Aufklärung alla letteratura contemporanea e alla critica letteraria,in un’esplorazione dei processi culturali dettata dalla militanza delle idee e dalla ricerca di unaprospettiva interpretativa. La ristampa è corredata da una recente intervista all’autore.

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Osservatorio Critico della germanisticaanno IV, n. 16Dipartimento di Scienze Filologiche e Storiche - Trento 2001

Direttore Responsabile: Massimo Egidi

Redazione: Fabrizio Cambi, Alessandro Fambrini, Fulvio FerrariComitato esterno: Luca Crescenzi, Guido Massino, Lucia Perrone Capano, Grazia Pulvirenti,Aldo Venturelli, Roberto VenutiProgetto grafico: Roberto MartiniImpaginazione: C.T.M. (Luca Cigalotti)Editore: Maria Pacini Fazzi Editore - Lucca

Periodico quadrimestrale (febbraio, giugno, ottobre)Abbonamento annuale (tre numeri): € 12,91Abbonamento estero: € 18,59Numero singolo e arretrati: € 5,16

Modalità di abbonamento: versamento sul conto corrente postale numero 11829553 intestatoa: MARIA PACINI FAZZI - LUCCA, specificando nella causale sul retro ABBONAMENTOANNUALE A ‘OSSERVATORIO CRITICO DELLA GERMANISTICA’, e indicando nome,cognome, via e numero, c.a.p., città, provincia e telefono, oltre al numero di partita i.v.a. per glienti, istituzioni, aziende che desiderano la fattura.

Manoscritti di eventuali collaborazioni e libri da recensire vanno indirizzati ai componentidella redazione presso il Dipartimento di Scienze Filologiche e Storiche,via S.Croce 65, 38100Trento (tel. 0461/881718, 0461/882709 o 881739; fax. 0461/881751; [email protected]).

Amministrazione e pubblicità: MARIA PACINI FAZZI EDITORE S.R.L., piazza S. Romano16 - casella postale 173 - 55100 Lucca; tel. 0583/440188 - fax 0583/464656; [email protected]

Stampa: Tipografia Menegazzo - viale S. Concordio 903 - LuccaLuglio 2002

periodico in attesa di registrazione presso il Tribunale di Lucca

ISSN

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OSSERVATORIO CRITICOdella germanistica

Università degli Studi di Trento

III - 8€ 5,16

IV - 16

INDICE

Jens SPARSCHUHDal tavolo! La storia di un’opera non scritta1 1

Matteo GalliHeinz Schlaffer, Die kurze Geschichte der deutschen Literatur 5

Stefano BerettaCultura tedesca 19 – giugno 2002, Romanzo, a cura di Domenico Mugnolo 7

Maurizio PirroIdillio e anti-idillio nella letteratura tedesca moderna, a cura di Rita Svandrlik 13

Elena PolledriJürgen Bolten, Claus Ehrhardt (Hrsg.), Interkulturelle Kommunikation. Texte und

Übungen zum interkulturellen Handeln 18

Paola Di MauroTeresina Zemella ( a cura di), Iwan Goll. Intersezioni testuali e multimediali 23

Raul Calzoni Federica La Manna, “più solitario d’un lupo”. Tipologia del Melanconiconel Settecento tedesco. Con uno scritto di Giorgio Cusatelli 26

Christoph Nickenig Davide Stimilli: Fisionomia di Kafka

Peter von Matt: … fertig ist das Angesicht. Zur Literaturgeschichte des menschlichenGesichts 30

Marina FoschiMargot Heinemann/Wolfgang Heinemann, Grundlagen der Textlinguistik. Interaktion -Text - Diskurs 32

Fabrizio CambiJohann Nepomuk Nestroy, Il mondo è la vera scuola, due atti unici introdottie tradotti da Gabriella Rovagnati 34

Giulia CantaruttiRahel Levin Varnhagen, Briefwechsel mit Ludwig Robert, herausgegeben vonConsolina Vigliero 36

SCHEDE 43

SEGNALAZIONI 45