· Web view“UN ANNO DI GRAZIA DEL SIGNORE” (Lc 4,19) Intervento al Ritiro di fine...

16
“UN ANNO DI GRAZIA DEL SIGNORE” (Lc 4,19) Intervento al Ritiro di fine anno pastorale al Consiglio Pastorale e ai 2 Consigli Affari economici - Comunità Pastorale S. Giulio e S. Bernardo - Castellanza Legnano, Sabato 25 giugno 2016 Signore, oggi sono contento di aver perso del tempo. Ti prego, fammene perdere ancora. Forse, così, ne perdevi tanto anche tu. Aiutami a rivedere i miei atteggiamenti pastorali sempre tesi all’efficienza, privi di abbandoni, vuoti di tempi vergini, intrisi di faccende e incapaci di giocare su spazi sottratti all’ossessiva schiavitù dell’agenda. (T. Bello) Cari amici e amiche del Consiglio Pastorale e dei Consigli Affari Economi, sento forte l’esigenza, nel formulare un titolo per questo mio intervento, di riferirmi al fatto che stiamo vivendo un anno di grazia del Signore. Anzitutto in ragione dell’Anno Santo della Misericordia. Un anno che proprio perché si è incentrato sul tema della Misericordia di fatto sta incidendo molto nella vita della Chiesa. Anno che ha visto, anche da parte nostra, momenti di partecipazione intensa e particolare. Non ultimo il pellegrinaggio a Roma di 150 parrocchiani (3-5 giugno). Questo è però un anno di grazie anche per me. Perché è il primo anno che trascorro con voi, come parroco. Sono arrivato con don Alessandro nel settembre dello scorso anno, mentre già mi stavo muovendo con il cuore verso la vostra Comunità pastorale. Un anno fa, come in questi giorni, avevo da poco ricevuto la comunicazione della mia nomina a Castellanza. Il mese di giugno 2015 rappresentava il momento dei primi contatti, di qualche telefonata informativa. Mentre intuivo un passaggio che non sarebbe stato facile per nessuno. Per voi, ma anche per chi mi ha preceduto per andare altrove; e per me, che lasciavo una parrocchia per andare in un’altra. 1

Transcript of · Web view“UN ANNO DI GRAZIA DEL SIGNORE” (Lc 4,19) Intervento al Ritiro di fine...

Page 1: · Web view“UN ANNO DI GRAZIA DEL SIGNORE” (Lc 4,19) Intervento al Ritiro di fine anno pastorale al Consiglio Pastorale e ai 2 Consigli Affari economici - Comunità Pastorale S.

“UN ANNO DI GRAZIA DEL SIGNORE” (Lc 4,19)

Intervento al Ritiro di fine anno pastorale al Consiglio Pastorale e ai 2 Consigli Affari economici - Comunità Pastorale S. Giulio e S. Bernardo - Castellanza

Legnano, Sabato 25 giugno 2016

Signore, oggi sono contento di aver perso del tempo. Ti prego, fammene perdere ancora. Forse, così, ne perdevi tanto anche tu. Aiutami a rivedere i miei atteggiamenti pastorali sempre tesi all’efficienza, privi di abbandoni, vuoti di tempi vergini, intrisi di faccende e incapaci di giocare su spazi sottratti all’ossessiva schiavitù dell’agenda. (T. Bello)

Cari amici e amiche del Consiglio Pastorale e dei Consigli Affari Economi, sento forte l’esigenza, nel formulare un titolo per questo mio intervento, di riferirmi al fatto che stiamo vivendo un anno di grazia del Signore. Anzitutto in ragione dell’Anno Santo della Misericordia. Un anno che proprio perché si è incentrato sul tema della Misericordia di fatto sta incidendo molto nella vita della Chiesa. Anno che ha visto, anche da parte nostra, momenti di partecipazione intensa e particolare. Non ultimo il pellegrinaggio a Roma di 150 parrocchiani (3-5 giugno). Questo è però un anno di grazie anche per me. Perché è il primo anno che trascorro con voi, come parroco. Sono arrivato con don Alessandro nel settembre dello scorso anno, mentre già mi stavo muovendo con il cuore verso la vostra Comunità pastorale. Un anno fa, come in questi giorni, avevo da poco ricevuto la comunicazione della mia nomina a Castellanza. Il mese di giugno 2015 rappresentava il momento dei primi contatti, di qualche telefonata informativa. Mentre intuivo un passaggio che non sarebbe stato facile per nessuno. Per voi, ma anche per chi mi ha preceduto per andare altrove; e per me, che lasciavo una parrocchia per andare in un’altra. Circa il cambio di destinazione di un prete si possono dire molte cose. Si tratta di un passaggio che crea disagi e speranze. Sia nei fedeli, come anche nei preti interessati. Vi assicuro che anche un prete nel tempo stabilisce dei legami, delle buone relazioni che non è facile lasciare. C’è una umanità dietro quella che chiamiamo obbedienza, carica di sentimenti e di emozioni che, a secondo del soggetto, si manifestano e si esprimono. Spesso, insieme ad una certa sofferenza, s’accompagna un certo entusiasmo, una certa attesa, speranza. Se mai qualcuno mi chiedesse (e talvolta qualcuno l’ha fatto e lo fa ancora) se sono contento di essere a Castellanza, rispondo senza fatica e non in modo ingenuo, che sono contento d’essere qui. Per questo posso dire che questo primo anno passato con voi è stato un anno di grazia del Signore. Certe fatiche le prevedevo, altre situazioni no. Ma è impagabile la bellezza del volto delle persone quando sorridono e di dicono accoglienza e attesa. Mentre ti accorgi che il cuore resta comunque aperto e serenamente disponibile a fare un pezzo di strada insieme. Ecco, tutto questo è davvero una grazia grande. Tutto questo rappresenta per me in questi giorni la possibilità reale di riaffermare che il dono della vostra presenza per è impagabile e che in me c’è speranza, attesa, sguardo al futuro nel nome del Signore.

1

Page 2: · Web view“UN ANNO DI GRAZIA DEL SIGNORE” (Lc 4,19) Intervento al Ritiro di fine anno pastorale al Consiglio Pastorale e ai 2 Consigli Affari economici - Comunità Pastorale S.

Elogio di questo tempo

Stiamo vivendo una stagione particolarmente intensa per la Chiesa. Un tempo molto bello e stimolante, ma anche impegnativo e carico di questioni che ci provocano e ci impegnano.Papa Francesco ha saputo suscitare una speranza entusiasmante, del tutto particolare. La sua quotidiana enciclica dei gesti (così mons. Nunzio Galantino, segretario CEI) e il suo parlare semplice e diretto raggiungono ogni giorno i cuori e le menti di credenti e non credenti, semplici e intellettuali, poveri e potenti. Mi capita spesso, quasi ogni giorno di scorrere velocemente i suoi interventi ufficiali, il contenuto delle sue omelie di S. Marta, certe sue trovate ad effetto e fuori schema in occasione di qualche udienza. Scruto qualche scatto fotografico e non mi dispiace leggere anche qualche articolo critico nei suoi confronti. Perché non a tutti va un papa così. A me però questo papa piace. Il modo nel quale richiama e testimonia la pienezza di una vita vissuta alla luce dell’incontro con il Signore infonde coraggio, scuote le coscienze e interpella le intelligenze, alimenta la passione per il Vangelo e per la Chiesa… il suo correre incontro all’umanità per raggiungere i più lontani e i più emarginati ci fa riscoprire la forza evangelizzatrice, cui tutti siamo chiamati a partecipare. Oggi è in Armenia e non avrà peli sulla lingua a riguardo del genocidio degli Armeni, anche se la Turchia continua a tacere…Mi sento fortunato a vivere questo periodo particolare del cammino della Chiesa nella storia. Sento di appartenere ad una Chiesa che ancora una volta ha la possibilità di dimostrarsi capace di suscitare attese, stima e affetto da parte degli uomini e delle donne che vivono dentro e fuori di essa. Stiamo vivendo una stagione della vita della Chiesa sparsa nel mondo, la chiesa universale, carica di fascino e di interessi, nella quale sentiamo di respirare a pieni polmoni, prendendo fiato per continuare a la Chiesa e stare con essa nel mondo, a servizio del mondo. Questo Papa è uno che mentre pungola la Chiesa ad uscire da sé stessa, a darsi una mossa, nello stesso tempo senti che la ama. Come un padre esigente, come una madre affettuosa. Come un pastore che non si tira comunque indietro, rischiando anche la vita per le sue pecore.

Ricorderete quel testo suggestivo sulla Chiesa, pronunciato quasi l’inizio del suo pontificato, in occasione di una veglia di Pentecoste con i Movimenti: “Non chiudersi, per favore! Questo è un pericolo: ci chiudiamo nella parrocchia, con gli amici, nel movimento, con coloro con i quali pensiamo le stesse cose… ma sapete che cosa succede?Quando la Chiesa diventa chiusa, si ammala, si ammala. Pensate ad una stanza chiusa per un anno; quando tu vai, c’è odore di umidità, ci sono tante cose che non vanno. Una Chiesa chiusa è la stessa cosa: è una Chiesa ammalata. La Chiesa deve uscire da se stessa. Dove? Verso le periferie esistenziali, qualsiasi esse siano, ma uscire. Gesù ci dice: “Andate per tutto il mondo! Andate! Predicate! Date testimonianza del Vangelo!” (cfr Mc 16,15). Ma che cosa succede se uno esce da se stesso? Può succedere quello che può capitare a tutti quelli che escono di casa e vanno per la strada: un incidente. Ma io vi dico: preferisco mille volte una Chiesa incidentata, incorsa in un incidente, che una Chiesa ammalata per chiusura! Uscite fuori, uscite!“ (Veglia di Pentecoste, in dialogo con i Movimenti, 20 maggio 2013).

E mentre ascolto queste parole mi domando: in che senso le nostre chiese particolari, la mia Comunità Pastorale di Castellanza ha voglia di aprire le finestre, di uscire altrimenti – come dice il papa – c’è il pericolo che si ammali? In che senso c’è il rischio che le nostre parrocchie, uscendo da certi schemi, da certi parametri di vita ecclesiale più tradizionali, si imbattano in qualche incidente, in qualche difficoltà, in qualche imprevisto? Cosa significano anche per noi queste parole: “preferisco mille volte una Chiesa incidentata, incorsa in un incidente, che una Chiesa ammalata per chiusura!”. Sono parole che mi hanno fatto pensare. Che ci devono far

2

Page 3: · Web view“UN ANNO DI GRAZIA DEL SIGNORE” (Lc 4,19) Intervento al Ritiro di fine anno pastorale al Consiglio Pastorale e ai 2 Consigli Affari economici - Comunità Pastorale S.

pensare, tenendo i piedi per terra certo. Ma questo non ci esime dal fatto che queste parole di facciano pensare…

Accorgersi delle fatiche…

Mi piacerebbe poter dire la stessa cosa, provare lo stesso entusiasmo a riguardo delle gioie e delle fatiche della vita della nostra Diocesi. E’ innegabile che anche la diocesi di Milano è in fermento, anche se forse si percepisce più immediatamente un clima di sosta, quasi di eccessiva prudenza, quando non è esplicitamente segno di una certa stanchezza. Di una fatica a muoversi e a rischiare.Di fatto siamo nell’anno che il nostro Arcivescovo ha voluto dedicare con la sua Lettera pastorale del settembre scorso al pensiero di Cristo (Educarsi al pensiero di Cristo, 2015). Ad essere sinceri non sono state molte le occasioni nelle quali abbiamo potuto riprendere questa Lettera pastorale, per quanto all’inizio dell’anno pastorale il testo era stato distribuito a tutti i consiglieri del CP e dei Caep, in vista anche dell’introduzione nell’ottobre scorso fatta da Mons. Paolo Martinelli, vescovo ausiliare di Milano, proprio qui a Castellanza, coinvolgendo l’intero Decanato della Valle Olona. La partecipazione – come alcuni di voi ricorderanno – è stata piuttosto debole, scarsa. Come se venissero trattate cose troppo impegnative e non in grado a suscitare un reale interesse. Sia da parte della gente in genere, ma forse anche da parte dei Consigli pastorali, come anche da parte dei preti stessi. Anche questo stile, un po’ stanco e dimesso a livello diocesano e a livello di realtà pastorali sovraparrocchiali, potrebbe essere motivo di revisione in occasione di una riflessione di fine anno pastorale come questa. Senza voler insegnare a chi ha il compito di guidare una diocesi complessa e grande come la nostra, tuttavia personalmente sono sempre più convinto che la metodologia più coerente per educare ed educarsi davvero al pensiero di Cristo, cioè al suo modo di sentire (“Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù”, Fil 2,5), sia di fatto quella di tornare ad ascoltare la Parola di Dio. Ascoltiamo magari una figura carismatica come papa Francesco, Ascoltiamo volentieri un prete amico che ci ha entusiasmato nel passato, ascoltiamo delle buone mediazioni, ma il punto decisivo – sto parlando a dei consiglieri pastorali – è quello di tornare seriamente a riascoltare la Parola di Dio. Così come ci aveva insegnato il Card. Martini, nei suoi 22 anni di episcopato milanese (1980-2002). Da qui non si scappa. Ci dobbiamo riappropriare ancora una volta della Parola di Dio. Per essere ancora più precisi e puntuali, in termini cioè di metodo di approccio della Parola di Dio che ci aiuti a meglio assimilare il pensiero di Cristo, credo dovremmo tornare ad evidenziare almeno due prospettive: 1) un più preciso ascolto della Parola durante le celebrazioni eucaristiche domenicali 2) e la riproposizione, a partire magari già dal prossimo anno Pastorale, di un percorso biblico formativo per la nostra Comunità Pastorale, aperto naturalmente anche a tutte le altre parrocchie del nostro Decanato. Come dovessimo rivitalizzare, riproponendola, la gloriosa iniziativa dei centri di ascolto. Poi, per essere onesti, l’attenzione concreta alle fatiche dovrebbe in ogni caso allargare lo sguardo alle difficoltà che segnano specificamente la vita della nostra gente. Così come dovremo cercare di inserire tutto questo nell’orizzonte ancora più vasto dei tanti drammatici problemi che avvolgono e scuotono il mondo. I tanti focolai di violenza, di spazi di ingiustizia, le difficili condizioni di vita in cui si trovano tante persone, famiglie e comunità, tanti popoli.

3

Page 4: · Web view“UN ANNO DI GRAZIA DEL SIGNORE” (Lc 4,19) Intervento al Ritiro di fine anno pastorale al Consiglio Pastorale e ai 2 Consigli Affari economici - Comunità Pastorale S.

Sappiamo anche quante famiglie nella vita di tutti i giorni devono fare i conti con una crisi economica che non allenta a sufficienza il suo morso. Sappiamo che la vita della nostra società è spesso rallentata da un tracollo della credibilità della politica e delle istituzioni che non sembrano trovare via di uscita. Non dovremmo mai stancarci di denunciare lo scandalo della piccola e della grande criminalità, della piccola e della grande corruzione che infesta la nostra convivenza civile.Seguiamo con sgomento gli eventi mondiali con le tante tragiche situazioni di guerra, di ingiustizia e di povertà. Ci sentiamo davvero chiamati in causa dal dramma delle migrazioni, una inaccettabile ferita dell’umanità e allo stesso modo ci turba profondamente la persecuzione dei cristiani in tante zone del mondo? Su questo punto c’è ancora molto da fare da parte nostra e delle nostra comunità Pastorale.

E’ il tempo della speranza

In Tu puoi soltanto attendere, un poeta toscano Renzo Barsacchi, descrive il tempo dell’attesa, di cui è impastata la vita, muovendo dalla sola certezza che il domani ci raggiungerà sempre come sorpresa: “Il tempo è incerto. In bilico il sereno e la pioggia. Ma né l’uno né l’altro dipendono da te. Tu puoi soltanto attendere, scrutando segni poco leggibili nell’aria. Ti affidi al desiderio ascoltando il timore. Le tue mani sono pronte a difendersi e ad accogliere. Così non sai quando Dio ti prepari una gioia o un dolore e tu stai quasi origliando alla porta del suo cuore, senza capire come sia deciso da quell’unico amore, lo splendore del riso o delle lacrime” (Marinaio di Dio, Nardini, Firenze 1985, 74).

Dobbiamo essere onesti: attorno a noi c’ un clima di incertezza e carico di molte fatiche. Ma dobbiamo anche accettare che certe stanchezze stanno anche dentro di noi. Eppure sappiamo, da cristiani, cioè da discepoli del Signore, che l’insieme di tutti questi elementi, insieme magari a tanti altri che sfuggono alla nostra coscienza e magari prima o poi si potrebbero anche manifestare, tutti questi elementi di complessità e di fatica danno forma al contesto, al grande orizzonte nel quale concretamente siamo chiamati a concorrere alla missione apostolica della Chiesa nel nostro tempo. E parlo di ‘missione apostolica’ perché sto parlando propriamente a dei Consiglieri pastorali. Ricordo una espressione carica di realismo e di ottimismo di papa Benedetto XVI, di qualche anno fa, quando diceva: “Questo nostro tempo non è meno ricco di generosità, di bontà, di senso religioso, di santità persino, di quanto non lo fossero altri tempi passati. Anzi, in certi momenti questa bontà, questo senso religioso sembrano trovare un circuito più largo, universale (…). Questo nostro tempo non è meno povero degli altri per le infedeltà, le immoralità nella vita morale privata e pubblica, in quella personale e in quella amministrativa, la irreligiosità e anzi la lotta alla religione, a Dio stesso (Benedetto XVI, 11 ottobre 2012).

4

Page 5: · Web view“UN ANNO DI GRAZIA DEL SIGNORE” (Lc 4,19) Intervento al Ritiro di fine anno pastorale al Consiglio Pastorale e ai 2 Consigli Affari economici - Comunità Pastorale S.

Questo non è, dunque, tempo di recriminazione o di nostalgie. Questo è tempo di speranza. Nel quale anche noi, come Consiglieri pastorali, vogliamo essere segno di speranza, di attesa positiva e cristiana, stando dentro il tessuto della società come forza viva. Con lo stile di chi unisce e non divide, di chi cerca ostinatamente un progetto comune e non un interesse di parte, di chi sa fare unità, perché è capace innanzitutto di farla nella propria vita. Solo così potremo aiutare la nostra chiesa, ma anche il nostro Paese a rinnovare quella forza morale e quella coesione sociale di cui ha bisogno per tornare a crescere. Ci dovremmo fare davvero una domanda a questo riguardo: sappiamo anteporre a livello sociale e politico al bene individuale il bene comune? A volte mi domando se certe fatiche e certe divisioni che viviamo a livello ecclesiale, di Comunità pastorale, non derivino da una incapacità, da una mancanza di educazione a convergere su un senso comune della fede, dall’essere insieme nella Chiesa, riferendoci ad un unico Vangelo, rispetto al particolarismo delle proprie tradizioni, delle proprie abitudini ecclesiali, ai propri schemi interpretativi dell’Evangelo stesso… Il fatto è questo: più staremo dentro l’assolutizzazione di certe specifiche visioni di chiesa, di certi arroccamenti, e più il tempo della speranza fatica ad essere intravisto e percepito dai più, proprio perché affaticati a difendere l’indifendibile.

Un tempo per credenti inquieti

Questo, e non altro, è il nostro tempo. Il tempo nel quale la grazia della presenza del Signore, che ci ha promesso che resterà con noi sempre (in ogni tempo della storia), si manifesta concretamente e continuerà a manifestarsi ancora. E, dunque, questo, come ogni altro, è il tempo propizio per gettare il seme buono del Vangelo. E vogliamo vivere con questo spirito stando dentro questa nostra chiesa, camminando per le strade del nostro mondo, del nostro Paese, della nostra città. Abitando la vita quotidiana delle persone, in ascolto del cuore di ciascuno, in dialogo vero con tutti. Come? Proprio perché si tratta di una stagione particolarmente significativa e carica di attese, dunque, quella che stiamo vivendo è anche una stagione estremamente esigente. Nella quale non possiamo non avvertire con particolare responsabilità la richiesta con cui papa Francesco ci invita a fare in modo che “le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione” (EG, 27). In questo senso questo è per noi il tempo per essere credenti inquieti. Resi tali dal Vangelo, dall’incontro con il Signore stesso. Cioè dall’urgenza propria, che l’incontro stesso con il Signore fa nascere dentro ciascuno di noi. Consapevoli, come dice papa Francesco, che “se uno ha realmente fatto esperienza dell’amore di Dio che lo salva, non ha bisogno di molto tempo di preparazione per andare ad annunciarlo, non può attendere che gli vengano impartite molte lezioni o lunghe istruzioni” (EG 120). E’ tempo d’essere inquieti e non tiepidi, né timorosi. La stagione nella quale viviamo ci chiede di prendere slancio, che vuol dire anche acquistare anche un po’ di coraggio per liberarci dai timori che non fanno aprire al dialogo fecondo, che riducono le certezze a ponti levatoi e le prassi consolidate a zavorre che impediscono di osare. Non è un momento nel quale si possa restare seduti, convinti di poterci limitare a fare ciò che abbiamo sempre fatto solo perché “si è sempre fatto così” (EG 33).

5

Page 6: · Web view“UN ANNO DI GRAZIA DEL SIGNORE” (Lc 4,19) Intervento al Ritiro di fine anno pastorale al Consiglio Pastorale e ai 2 Consigli Affari economici - Comunità Pastorale S.

L’immagine evangelica che può ispirare i nostri passi ‘inquieti’ è quella di Maria, la giovane ragazza di un piccolo paese che, dopo aver accolto il Signore nella propria vita “si alzò e andò in fretta” (Lc 1,39), inoltrandosi senza esitazione nella regione montuosa della Giudea per condividere la gioia della pienezza di senso che aita la sua vita. Insomma, non possiamo ridurci ad essere statue da museo belle e gloriose, cariche di storia e di meriti, ma immobili. Dobbiamo evitare la tentazione della quiete. Di quel tipico quietismo ecclesiastico che non solo clericale, ma può prendere per abitudine e per sfinimento anche i laici, la nostra gente in genere. Evitando di confondere il gusto della pace e della benevolenza, con l’acquietamento della coscienza, la sua semplificazione, quasi una sorta di addormentamento della coscienza. Che si abitua a tutto che dice, come il ricco della parabola di Luca: “Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia” (Lc 12,13-21). Quell’atteggiamento interiore che ci porta a dire tutti, preti e laici: “ma cosa devo fare di più? Non abbiamo fatto abbastanza?”.  Diceva don Primo Mazzolari, parroco di Bozzolo nel mantovano, nel secolo scorso, che le “più belle pagine della chiesa sono state scritte dalle anime inquiete” (…). Non da coloro che si trovano tutto a posto, che non avvertono nessuna stonatura, che placidamente si svegliano, mangiano, ruminano, s’addormentano”. Credenti di questo tipo “saranno degli ottimi funzionari e dei subordinati esemplari, mai degli apostoli. Non è certo un mestiere comodo essere o vivere presso degli inquieti, per cui, si capisce come l’ordinari educazione tenda a far scomparire o addomesticare il tipo. Ma se si pensa che ogni grande o vera passione, non può ridurre questo tono, c’è da chiedersi se, spegnendo l’inquietudine non si spenga pure lo spirito” (La più bella avventura, Sulla traccia del ‘prodigo’, Edb, bologna 2008,pp. 209-210). In questo senso il magistero di papa Francesco rappresenta una straordinaria provocazione per ciascuno di noi, laici, consacrati o ordinati, a scrivere nuove pagine di santità. Andando oltre una adesione al Vangelo che rischia a volte di essere identificata più con il rispetto di norme, tradizioni e consuetudini formali, che non con una passione autentica per il Signore e per l’umanità. Sono convinto che i severi richiami di papa Francesco nei confronti di coloro che si lasciano tentare dalla “accidia pastorale” (EG 81-83) e dalle altre “malattie curiali” (Discorso alla curia Romana del 22 dicembre 2014) sono rivolte anche a tutti. Non solo ai cardinali, ai vescovi e ai preti, ma anche a tutti i laici, impegnati a loro modo nella Chiesa e nelle singole comunità cristiane. Perchè anche i laici condividono o dovrebbero condividere la responsabilità di annunciare il Vangelo, facendo in modo credibile, con la vita, con la trasparenza della fede, con la carità che passa nelle azioni.

Rileggere l’Evangelii Gaudium, gettando le reti dall’altra parte.

Tutto questo chiede però di avere il coraggio e la libertà di cercare strade nuove e poco praticate per arrivare ai “crocicchi delle strade” (Mc 22,1-14). Cioè là dove si incrociano le vite delle persone. Una prospettiva di impegno che riguarda tutta la Chiesa e che sembra particolarmente urgente per quella italiana, ma che chiede anche un surplus di responsabilità a tutti coloro che, all’interno delle nostre parrocchie e della nostra Comunità pastorale, potrebbero o dovrebbero portare un contributo prezioso in questo senso dentro il popolo di Dio. E qui penso anche a voi, membri del nostro Consiglio Pastorale e degli altri consigli della Comunità.

6

Page 7: · Web view“UN ANNO DI GRAZIA DEL SIGNORE” (Lc 4,19) Intervento al Ritiro di fine anno pastorale al Consiglio Pastorale e ai 2 Consigli Affari economici - Comunità Pastorale S.

E’ in questo senso infatti, che il Papa, in occasione del convengo ecclesiale di Firenze (novembre 2015), dopo aver sottolineato che spetta non a lui, ma alla Chiesa Italiana – “popolo e pastori insieme” – decidere quali strade percorrere per annunciare il Vangelo nell’Italia di oggi, giungeva a fare una proposta sulla quale sarà opportuno ritornare insieme:“permettetemi solo di lasciarvi una indicazione per i prossimi anni in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni diocesi e circoscrizione, in ogni regione, cercare di avviare, in modo sinodale, un approfondimento dell’Evangelii Gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni, specialmente sulle tre o quattro priorità che avete individuato in questo convegno. Sono sicuro della vostra capacità di mettervi in movimento creativo per concretizzare questo studio” (10/11/2015, Ai rappresentanti del Convegno Naz. della Chiesa Italiana a Firenze). Diventa così urgente e prioritario domandarci come assumere questa priorità che papa Francesca continuamente ripete a tutti le chiese del mondo: “sogno una scelta missionaria, capace di trasformare ogni cosa. (…). La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che poga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di ‘uscita’ e favorisca così la risposta positiva di tutto i coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia (EG 27). Questo non significa buttare a mare tutto ciò che si è fatto fino ad oggi. Non significa neppure che dobbiamo cercare di fare qualcosa di originale a tutti i costi. Nulla sarebbe più sbagliato che guardare al percorso che le nostre parrocchie hanno fatto nel passato e soprattutto negli ultimi decenni come una zavorra di cui liberarsi e non invece come un bagaglio di esperienze preziosa, da portare con sé nel nuovo viaggio che si vuole intraprendere. Come se chi frequenta i sentieri di montagna, la fatica del cammino insieme chiede sempre la prudenza di procedere senza strappi e la saggezza di rispettare il passo di ciascuno. L’immagine più calzante per dire tutto questo potrebbe essere quella dell’invito rivolto da Gesù ai discepoli, sul lago di Tiberiade, dopo la resurrezione: “gettate le reti dalla parte destra della barca e troverete” (Gv 21,6). Gettare le reti dall’altra parte della barca: una cosa tutto sommato semplice per chi aveva pescato tutta la notte ma fino a quel momento non aveva preso proprio nulla. Insomma non si tratta di cambiare mestiere, di cambiare lago, barca, reti ecc. ma piuttosto di provare a gettarle in modo nuovo, in un’altra direzione, con un altro sguardo al mare. E per poter fare questo papa Francesco ci dice in modo molto chiaro che il primo passo da compiere è quello di dare vita a un autentico esercizio di discernimento comunitario: “Invito tutti a essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità. Una individuazione dei fini senza un’adeguata ricerca comunitaria dei mezzi per raggiungerli è condannata a tradursi in mera fantasia (…). L’importante è non camminare da soli, contare sempre sui fratelli e specialmente sulla guida dei Vescovi, in un saggio e realistico discernimento pastorale” (EG 33). Un invito da accogliere senza sconti, senza ridurre il richiamo al discernimento comunitario a una formula rituale. Ad una espressione che si dice senza sapere cosa comporta. Mettere in pratica questo discernimento chiede umiltà, generosità, pazienza, coraggio. Chiede di mettersi realmente in ascolto, insieme alla realtà nella quale e per la quale siamo chiamati a vivere, servire, testimoniare. Di fare insieme uno sforzo per leggere in profondità

7

Page 8: · Web view“UN ANNO DI GRAZIA DEL SIGNORE” (Lc 4,19) Intervento al Ritiro di fine anno pastorale al Consiglio Pastorale e ai 2 Consigli Affari economici - Comunità Pastorale S.

il tempo nel quale ci troviamo, per lasciarci interrogare dalla vita delle persone e della comunità, con il cuore e la mente predisposti ad accogliere e a mettere insieme, in un faticoso esercizio di sintesi, sensibilità e convinzioni differenti, modi diversi di interpretare le sfide che la realtà ci pone davanti e propensione anche opposte nel reagire a esse. Chiede, ancora, di essere aperti allo stupore alla meraviglia, che nasce dall’incontro con la vita, misurarsi con una realtà che ci sorprende e che ci chiede la forza di scommettere sull’umanità, incamminandoci per condividere tratti di strada con altri diversi da noi anche quando non siamo sicuri di dove quella strada porterà. Pronti soprattutto a lasciarsi mettere in discussione dall’incontro con la vita delle persone, a essere messi in crisi, a coltivare il dubbio, a soffermarci sulle domande e non solo sulle risposte. E’ in questo modo che possiamo concorrere alla costruzione di quella che ci stiamo abituando a chiamare Chiesa sinodale. “proprio il cammino della sinodalità – da detto papa Francesco – è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio. Quello che il Signore ci chiede, in un certo senso, è già tutto contenuto nella parola ‘Sinodo’. Camminare insieme – laici, pastori, vescovo di Roma – è un confetto facile da esprimere a parole, ma non così facile da mettere in pratica (…). Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto, nella consapevolezza che ascoltare ‘ è più di sentire’. E’ un ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da imparare. Popolo fedele, Collegio episcopale, vescovo di Roma: l’uno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo” (Discorso in occasione della commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17/10/2015). Da questo punto di vista sono sempre più convinto che il metodo di ascolto intrapreso con l’Assemblea di Ascolto dell’8 maggio scorso in vista della composizione di un nostro Progetto Pastorale, sia non solo democratico (nel senso acquisito e integrato dalla nostra cultura), ma propriamente in linea con il senso sinodale rilanciato da papa Francesco in questi ultimi tempi nella Chiesa.

Esercitare la corresponsabilità

In alternativa ad un modo di pensare e di vivere, che anche l’Evangelii Gaudium definisce in modo lapidario e penetrante “tristezza individualistica”, presentandolo addirittura come “il rischio del mondo attuale” (EG, 2) è giusto sottolineare il valore di un modo di stare nella Chiesa e nella società che educa alla condivisione delle scelte, delle fatiche e delle corresponsabilità. Il tema della corresponsabilità è stato fortemente evidenziato negli anni passati dall’episcopato del Card. Tettamanzi. E sarebbe interessante cercare di tradurlo, di concretizzarlo con senso profondamente ecclesiale dentro le nostre comunità cristiane. Non è un tema facile, dopo anni, secoli di clericalismo. Tuttavia vanno cercate strade nuove, con pazienza, senza creare steccati o contrapposizioni, ma imparando con pazienza ad assumersi nella chiesa delle responsabilità che sono insiste in ogni cristiano, in ciascun credente a partire dal Battesimo ricevuto e assunto con coscienza e responsabilità. E’ su questo piano, comunque, che si gioca di fatto la possibilità concreta di “fare cultura” nel senso più vero e più importante del termine, incidendo in profondità sul nostro tempo, immettendo nel corpo della nostra società degli anticorpi sani per combattere il virus dell’individualismo, che genera continuamente processi di disgregazione dei legami sociali e di assolutizzazione dell’io.

8

Page 9: · Web view“UN ANNO DI GRAZIA DEL SIGNORE” (Lc 4,19) Intervento al Ritiro di fine anno pastorale al Consiglio Pastorale e ai 2 Consigli Affari economici - Comunità Pastorale S.

Quello che voglio dire è questo: dobbiamo cercare insieme “nuove strade” attraverso cui metterci al passo con questo pontificato per aiutare la nostra Chiesa, la nostra diocesi, le nostre parrocchie, la nostra Comunità pastorale a lasciarsi trainare senza timore e senza remore dalla grande spinta che papa Francesco sta imprimendo a tutta la Chiesa universale. Facendo nostra la sua ansia di andare incontro ai tanti bisogni, alle tante richieste di aiuto, ai tanti dubbi e alle tante speranze che abitano i cuori delle donne e degli uomini di oggi, dei giovani, dei ragazzi, dei bambini, soprattutto di coloro che si sentono estranei al Vangelo e distanti dalla Chiesa, facendo germogliare quella speranza che nasce dall’incontro coni l Signore. Senza esitazioni e con coraggio, ma anche senza strappi, senza divisioni. Il processo di cambiamento in cui si trova la Chiesa italiana e la nostra stessa chiesa rappresenta un percorso delicato e faticoso, per nulla scontato. Un percorso che chiede di essere sostenuto con passione e generosità a partire, innanzitutto da un autentico sensus ecclesiae, da un amore vero per la Chiesa e da una fedeltà serene e solida dentro di essa. Da una capacitò di stima reciproca. Fatta di simpatia e dal desiderio di incontro. Una Chiesa sempre più capace di mostrare a tutti, e soprattutto a quelli che don Mazzolari avrebbe chiamato “i lontani”, il volto misericordioso e accogliente del Signore: una Chiesa aperta e fiduciosa nei confronti dell’umanità e del proprio tempo, una chiesa “sbilanciata in avanti. Non vogliamo pensare ad un'altra chiesa. Non esiste un’’altra chiesa’. Una chiesa alternativa. Vogliamo porci a servizio di questa nostra Chiesa. Non una chiesa a nostra immagine e somiglia, ma una chiesa che sta sempre nel cuore e nel sogno di Dio. Facendo in modo che avanzi tutta, non solo una parte. Camminando insieme. tutti con lo stesso passo, senza ritardi manche senza forzature, senza strappi, senza pensare di sentirci soddisfatti di correre mentre una parte della nostra chiesa rimane ferma dov’è o prende un’altra strada.

Forse ci sembrerà di lottare un po’ come Giacobbe con l’Angelo al guado dello Yabbok, trovandoci a pregare con le stesse parole forti con le quali pregava anche Søren Kierkegaard: “Non permettere che dimentichiamo: Tu parli anche quando taci. Donaci questa fiducia: quando siamo in attesa della Tua venuta Tu taci per amore e per amore parli. Così è nel silenzio, così è nella parola: Tu sei sempre lo stesso Padre, lo stesso cuore paterno e ci guidi con la Tua voce e ci elevi con il Tuo silenzio...” (Diario III,1229). E una poetessa, Elena Bono, esprime in maniera intensissima quest’idea della forza generatrice di vita che ha ogni vera relazione d’amore, in particolare quella con Dio. Bellissimi questi suoi versi: “Quando tu mi hai ferita? Forse ero ancora nel seno di mia madre o forse solo nei tuoi pensieri. Tu mi amasti da sempre. Io non ho che un piccolo tempo da darti ed un piccolo amore. Ma mi perdo nel tuo, questo mare che brucia e di sé si alimenta. Allorché mi feristi io non sapevo quanto il tuo amore facesse male. Ed è questo che vuoi, soltanto questo in cambio dell’infinito amore: che io soffra l’amor tuo,

9

Page 10: · Web view“UN ANNO DI GRAZIA DEL SIGNORE” (Lc 4,19) Intervento al Ritiro di fine anno pastorale al Consiglio Pastorale e ai 2 Consigli Affari economici - Comunità Pastorale S.

che me lo porti come piaga profonda e non la curi” (I galli notturni, Garzanti, Milano 1952, 77).

Dunque: “L’unica gioia al mondo è cominciare. E’ bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante. (Cesare Pavese)

10