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PARTE IV

Dal “sacro romano impero” all’arte ottoniana”

774: fine regno longobardo a causa dei Franchi di Carlo Magno.

A discapito di molte opinioni negative sui L., essi non erano di certo un popolo

barbaro o persecutore della Chiesa. Non esisteva nemmeno la perfetta unione

fra L. e romani. Quindi i Franchi non portarono un revival latino e il

cattolicesimo in un’ Italia ridotta a stato barbaro; tant’è che C.M. chiamò alla sua

corte, per organizzare la sua grandiosa opera di diffusione della cultura, molti

maestri longobardi. Esistono molte opere che testimoniano l’esistenza di un

legame tra mondo carolingio e longobardo. Basti guardare l’arte del VII secolo.

Circa 50 anni dopo i capitelli di S. Eusebio (Pavia), alla svolta dell’ VIII secolo

venne realizzato un CAPITELLINO SU COLONNA proveniente dalla chiesa

scomparsa di S. Giovanni in Borgo (oggi il capitello nel castello visconteo di

Pavia). La sua forma nasce dal rapporto tra la funzione statica e lo stacco di linee

d’ ombra. Non c’è distinzione fra capitello e abaco: blocco unico. Faceva parte di

un arredo liturgico. È vano cercare modelli nell’oreficeria o in una tipologia

antica: l’autore è consapevole erede del suo tempo, libero da ogni atteggiamento

di revival. Al centro del capitello, squadrato, la croce che risulta essere l’asse

portante e condizionante della forma del capitello che sembra nato per

incorniciarla. La croce che prende il posto delle foglie.

Negli stessi anni di questo capitellino, il regno longobardo fiorisce di fenomeni di

estrema vitalità culturale e di pari varietà di influssi, forme, idee, tecnologie…

provenienti da officine longobarde ma con gli influssi più diversi.

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CHIESA DI SANTA MARIA DELLE PERTICHE: tipica corrente filo romana. Oggi

scomparsa, nota da disegni (tra cui uno di Leonardo). Insieme a S. Sofia a

Benevento: due libere riprese del mausoleo di Costantina.

Appartiene invece a una corrente “germanica” la LAPIDE DI ALDO. Qui ripresa

della tecnica dell’ oreficeria alveolata trasportata in pietra. Opera dal sapore

classico per il calibrato impianto compositivo che vede al centro la croce e per il

risalto dato al testo scritto. Emerge la linea, quella linea sintetizzante, astratta e

significante dalla forte carica costruttiva; non è specifica della sola arte

longobarda.

Le fasi conclusive della storia dei L. possono venire ben espresse da un

CAPITELLO pavese in S. Giovanni Domnarum (metà VIII secolo). Tipologia a

foglie grasse (comune fra VIII e IX secolo) fila di foglie piatte nasce dal

collarino ben staccata dal blocco; agli angoli girali. Qui la crocetta non determina

la forma del capitello, ma è puramente decorativa. Autonomia dal modello

classico. Valore bidimensionale del modellato, basato su piani di superficie

staccati e lisci. Non c’è alcun intento di mimesis naturalistica. Tuttavia in questo

capitello è possibile distinguere una componente classicistica che va vista in

diretto rapporto con la subito successiva rinascita carolingia. Da una parte

nostalgia dell’antico come bene perduto, nostalgia sentita già durante il periodo

della rinascenza liutprandea. Esempio emblematico del periodo di rinascenza

liutprandea è la reggia di CORTEOLEONA, oggi socmparsa, da cui provengono

pochi frammenti d’arredo tra cui un a TESTA DI CAVALLINO, lavorata a

bassorilievo dalle superfici vibranti di alto potere evocativo e sintetico.

NON CI SONO DUNQUE TENDENZE UNITARIE NELL’ARTE LONGOBARDA TRA

META’ E IL TERZO QUARTO DELL’ VIII SECOLO.

A favore di questa affermazione basti osservare:

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l’ ALTARE DI RATCHIS (737-744) un unicum. Opera d’ oreficeria tradotta

in pietra. Intenso linearismo che diventa sigla astratta. Perfezione tecnica

e violenta deformazione delle immagini. Grande forza espressiva.

BATTISTERO DI CALLISTO (732) nel duomo di Cividale. Aulica struttura

dal sapore classicheggiante.

Alla luce di simili compresenze di scelte culturali, sono comprensibili le molte

ipotesi di attribuzione delle opere (ambito longobardo o carolingio?). Come per

quanto riguarda il TEMPIETTO DI SANTA MARIA IN VALLE a Cividale o per la

CHIESA DI SAN SALVATORE a Brescia. Si tratta probabilmente di opere che

appartengono alla prima età carolingia che vanno considerate come un intenso

lavorio di riappropriazione classicista, ma nello stesso di approfondimento di un

nuovo linguaggio “volgare”. Conferma del legame tra L. e carolingi (come se i L.

fossero “maestri” addirittura della cultura carolingia). Tendenza aulica che

rimase per secoli tipica di una ben precisa cultura “imperiale” dall’impero

carolingio fino a quello Ottoniano( fino al X-XI secolo).

SANTA MARIA MAGGIORE a LOMELLO. Recupero paleocristiano in età

ottoniana; salvo la ritmicità spezzata tipica del futuro romanico. Rivestimento in

stucco dorato e dipinto con l’emergere di personaggi in stucco a figura intera,

frontali che riecheggino esempi ravennati ma anche le figure del Tempietto di

Cividale.

Svolta carolingia consapevole rielaborazione globale di ogni aspetto della

cultura del tempo. Alla sua base c’è la volontà di Carlo Magno; si tratta di una

grandiosa operazione culturale e politica promossa e guidata dall’imperatore tra

VIII e IX secolo. Carattere univoco dell’operazione. Si riuscì a giungere a tanto

grazie a una serie di scuole monastiche che C.M. mise al servizio del suo

programma di diffusione culturale. Di particolare importanza fu soprattutto il

monachesimo benedettino. Il processo voluto da C.M. porta alla nascita dell’

“Europa”, di un’unità culturale nata dalla fusione delle diverse culture del tempo.

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La linea guida è una riappropriazione rielaborata del classicismo anche alla luce

delle varie espressioni culturali del tempo; esempio emblematico: CAPITELLI

DEL SACELLO DI SAN SATIRO(Milano). Ci sono capitelli di spoglio del IV secolo e

altri di IX secolo costruiti ex novo. Gli elementi di cui sono composti questi ultimi

sono gli stessi dei capitelli tardo antichi ma semplificati e stilizzati (da più foglie

rese naturalisticamente a foglie grasse, piatte, stilizzate disposte in maniera

rigidamente simmetrica). Dunque dietro l’apparente recupero classico

permangono in questi capitelli carolingi degli elementi che si rifanno ai capitelli

longobardi di Pavia del VII-VIII secolo( es: non c’è distinzione fra abaco e il cespo

di foglie e il modellato non ha rapporto con quello dei modelli classici).

Scompare in sostanza ogni forma di mimesis e ogni effetto allusivo. Il capitello è

blocco e nodo strutturale.

ALTARE DI VUOLVINIO (Milano, S. Ambrogio) dal nome dell’artista Vuolvinio

magister il cui nome è inciso sul retro dell’altare, insieme a quello del

committente Angilberto II, vescovo di Milano (829-859). Immagini in lamina

d’argento dorata sbalzate con forte risalto lineare dal forte vigore plastico ed

espressivo. Il racconto risulta fortemente intenso nella sua corposità e spazialità,

ma lo spazio non è più uno spazio classico, esiste solo dove la linea dà corpo al

racconto e sparisce dove il racconto finisce. Qui tolta la figura umana, la

figurazione si dissolve; ogni forma si ricollega all’altra creando un tracciato che

va da una forma all’altra. (Racconti vita S. Ambrogio).

SANTA MARIA FORIS PORTAS A CASTELSEPRIO Punta estrema della

“questione longobarda”. Soggetto singolare: nascita e infanzia di Cristo e

contemporaneamente proclamazione della sua divinità espressa attraverso

l’immagine bizantina del Pantocrator. Quindi unità natura umana e divina di

Cristo antiariana/ origine bizantina sia perché i racconti sono tratti da vangeli

apocrifi sconosciuti in Occidente, sia per la tipologia delle immagini.

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Tecnica esecutiva quasi impressionistica, le figure e i volumi sono definiti dal

colore steso con pennellata dal tratto rapido e fluido che ha dei precedenti nella

tradizione pittorica ellenistica.

La chiesetta sorge vicino Varese, subito fuori del piccolo di Castelseprio

costruito fra V e VI secolo forse a scopo difensivo. La chiesa è coperta da un tetto

a capriate sporgenti, è realizzata con ciottoli di fiume, ha una forma semplice ed

aggraziata ben conosciuta tra Occidente e Oriente tra V e X secolo; per cui la sua

forma può dirci poco sulla cronologia e sulla provenienza dell’edificio. Aula

unica rettangolare preceduta da un atrio e aperta sugli altri tre lati da absidi di

cui solo quello centrale conserva gli affreschi. Quindi ogni possibilità di datare il

complesso sta solo nelle forme degli affreschi. Non è un’impresa facile; la critica

non è giunta a un accordo anche se sono state stabilite della limitazioni: non

prima del VI secolo e non dopo i primi del X secolo. Gli affreschi non presentano

neanche nulla che si possa comparare con altre opere: parlano un perfetto

classico le immagini sono costruite con sicurezza prospettica e dinamica in

uno spazio concreto. Ciò che differenzia quest’ opera dai suoi prototipi classici è

l’intensa vita spirituale sconosciuta da quella tradizione.

Tra le varie ipotesi di datazione1 si insiste molto su quella che li vorrebbe

collocare in età carolingia, in riferimento a capolavori come l’altare di Vuolvinio.

Ipotesi improbabile in primis per motivi di natura stilistica: in tutte le opere

carolingie a noi note sono caratterizzate da uno spazio di natura mentale, legato

ed evocato dai gesti e dai corpi umani (si veda il SALTERIO DI UTRECHT

realizzato tra 820-830 in cui appunto lo spazio esiste nel moto dei copri e

sparisce dove essi spariscono). Invece a Castelseprio lo spazio vive

indipendentemente da chi lo abita. Inoltre è improbabile che si tratti di un’opera

carolingia poiché esistono opere di inizio età c. che già “citano” Castelseprio.

Restano due possibilità: o un genio fuori del suo tempo venne nel piccolo borgo

1 Vedi p. 237

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nel IX secolo a crearvi un modello per la nascente scuola carolingia locale oppure

questi maestri lombardi si modellarono su un nobilissimo antico (esempio che

più si avvicina agli affreschi: dipinto funebre tomba in San Giovanni in Conca).

INSULAE DI CLASSICISMO PRECAROLINGIO

ROMA TRA VIII E IX SECOLO

Procedendo nell’ VIII secolo Bisanzio appare sempre meno presente, mentre

diverrà meno estranea dopo la creazione dell’impero carolingio. A Roma:

monasteri ellefoni numerosi che sono i portatori della cultura greca.

Dal 685 al 756 da Sergio I a Zaccaria si succedettero tutti papi greci(tranne

Gregorio II). Fenomeno dell’emergenza dell’apporto palestinese nuovi

sistemi stilistici semplici, di impronta linearistica, impianti narrativi veloci,

coloritura espressionista. Segnano l’episodio più rilevante della pittura romana

di VIII secolo: CAPPELLA TEODOTO in SANTA MARIA ANTIQUA (compiuti al

tempo di Zaccaria 741-752). Serie di pannelli di carattere iconico in cui compare

il committente Teodoto davanti alle icone della Vergine o dei Santi titolari della

cappella, cioè Quirico e Giuditta. Immagine della Crocifissione in cui è fortissima

l’influenza palestinese nell’assetto generale per il quale vale il richiamo all’icona

con la Crocifissione del Sinai ( es. veste lunga di Cristo).

Troviamo gli stessi spunti anche nell’ambito delle scelte architettoniche

pianta con tre absidi ( a Roma compare per la prima volta in S. Angelo in

Pescheria e verrà poi ripresa in chiese come SANTA MARIA IN DOMNICA).

Tuttavia non si deve pensare che la situazione artistica abbia solo connotati

palestinesi; i tratti romani sono visibilissimi già all’interno di singoli complessi

pittorici.

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La dinamica delle frammentarie linee pittoriche dell’VIII secolo non con sente di

dividersi intorno alle due sole polarità romana/palestinese. A Roma ci si

comincia ad avvicinare soprattutto all’Occidente: processo che culmina con

l’Incoronazione di Carlo Magno nell’ 800 a San Pietro per mano di Leone III.

La pittura carolingia a Roma è da giudicare sostanzialmente non carolingia

poiché i contenuti e il substrato della rinascita carolingia e della rinascita

romana non collimano. Nella prima prevale una vaga immagine dell’antichità e

prevale il carattere intellettualistico o antiquario, a Roma invece nasce un’ arte

nuova in cui si riconoscono le proprie radici e le proprie tradizioni.

Le fabbriche religiose scelgono come modello San Pietro; torna il transetto che

era stato abbandonato in epoca post costantiniana ma è soprattutto nei mosaici

di IX secolo che si celebra una vitalità artistica nuova e antica rinascita della

decorazione a mosaico, accantonata da un secolo; i temi rimandano alla

tradizione paleocristiana. Nel gruppo compatto di mosaici realizzati sotto papa

Pasquale I a Santa Prassede, a Santa Maria in Domnica, nel Sacello di San Zenone

il più forte dei modelli ripresi è la Maiestas di Cristo accompagnata dai Santi

Pietro e Paolo (presente per esempio a Santa Prassede e Santa Cecilia in cui

torna lo schema tratto da SS. Cosma e Damiano a sette figure). Gli sfondi tornano

azzurri invece che oro. Nuovo capitolo con i mosaici sotto Pasquale

elementarità delle forme che deriva da un processo di decantazione dal

superfluo. I contorni sono sintetici e funzionali, si riduce la gamma cromatica ma

le forme risultano semplificate.

Sulla forte tradizione romana rinnovati influssi bizantini.

TRA LONGOBARDI E CAROLINGI: I CASI DI CIVIDALE E BRESCIA

San Salvatore a Brescia fondato da Desiderio, ultimo re dei L. nel 753. Si

pe3nsava, fino agli anni ’50, che a Desiderio fosse legata la cosiddetta chiesa II,

ma poi furono trovati dei resti di un’ altra chiesa con tanto di decorazioni in

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stucco e cripta2 sotto la Chiesa II. Quindi la Chiesa I fu legata alla fondazione di

Desiderio, mentre la II fu datata al IX secolo e quindi in età carolingia. Anche la

Chiesa II presenta un programma unitario di decorazioni in stucco(che rivestono

l’intero edificio) che si possono confrontare con quelli dell’oratorio di S. Maria in

Valle a Cividale3. Tracce di stucco e affreschi ovunque provano che furono opera

di diversi artefici ma di un’unica fase di lavori. Resta problematica comunque la

cronologia del ciclo e dell’edificio. Legami per gli affreschi, per gli stucchi e per la

tecnica costruttiva con il Tempietto di Cividale (legato però a una datazione di

VIII secolo). Problema compatibilità stilistico/costruttiva in datazioni così

divergente. Forse ciò si può interpretare alla luce della linea di continuità che

lega il periodo longobardo con quello carolingio.

L’ALTARE DI RATCHIS (Museo Cristiano di Cividale) prende il nome dal duca

Ratchis che figura sull’epigrafe che corre lungo il bordo superiore dell’altare e

che ricorda i lasciti del duca alla chiesa di San Giovanni, dove era collocato

l’altare. L’opera è databile tra 739 e 744 (periodo in cui R. fu duca di Cividale).

E’ un parallelepipedo in pietra con le 4 facce decorate: Maiestas Domini,

L’epifania e l’Incontro tra Maria ed Elisabetta e due grandi croci. Rilievo molto

basso dove la linea incide fortemente la pietra facendo risaltare soprattutto

mani e occhi in un’ accentuazione espressionistica. Linguaggio espressivo che si

collega a un filone che ha fra i suoi punti salienti la lamella di Agilulfo e la testa di

Teodolinda ( opere caratterizzate da una consapevole ricerca di astrazione e

sintesi esercitata sul modulo antico).

Cividale attesta molto bene la bipolarità culturale dell’arte del periodo

longobardo e che spesso ha causato datazioni tardive come nel caso del

2 Solo la cripta sopravvisse alla distruzione della chiesa; cripta che subì ampliamenti in età romanica.3 Cioè il Tempietto di Cividale

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Tempietto di Cividale4 per il quale è stata proposta addirittura una datazione al

X secolo).

Lo stucco ha particolare successo nell’alto medioevo anche se la fragilità del

materiale ha causato spesso la perdita di molte opere di cui abbiamo notizie

dalle fonti scritte. Francovich ha proposto una datazione disgiunta delle sei

sante rispetto alla struttura architettonica datandole tra X e XI secolo alla luce di

un confronto con delle miniature tratte dal Sacramentario di Warmondo di Ivrea.

I CENTRI DELLA CULTURA CAROLINGIA

Quando i L. vengono sconfitti nel 774, gran parte dell’Italia entra nell’orbita

europea dell’Impero Carolingio. La Longobardia Minor rimane ancora

longobarda e l’avamposto meridionale a confine con l’impero carolingio è

rappresentato dall’Abbazia di San Vincenzo in Volturno (nel IX secolo poteva

contare su una popolazione di circa 1000 persone).

Nelle abbazie carolinge appare il WESTWERK corpo innestato sul lato

occidentale della chiesa che , tramite la divisione in più piani, consentiva all’

imperatore e ai suoi dignitari di corte la partecipazione ai riti da un livello

superiore e distinto rispetto alla comunità.

4 Si tratta della più importante e meglio conservata testimonianza architettonica dell'epoca longobarda ed è particolarmente importante

perché segna la convivenza di motivi prettamente longobardi (nei Fregi, per esempio) e una ripresa dei modelli classici, creando una sorta di continuità aulica ininterrotta tra l'arte classica, l'arte longobarda e l'arte carolingia (nei cui cantieri lavorarono spesso maestranze

longobarde, come a Brescia) e ottoniana. Fu edificato verso la metà dell' VIII secolo nel luogo in cui un tempo sorgeva la gastaldia, ovvero il

palazzo del gastaldo, signore della città; si trattava quindi di una cappella palatina. L'iniziativa si deve probabilmente ad Astolfo, duca del

Friuli dal 744 al 749 e re dei Longobardi dal 749 al 756, e a sua moglie Giseltrude. È composto da un'aula a base quadrata con una

spaziosa volta a crociera, che si chiude con un presbiterio, più basso, diviso da coppie di colonne in un loggiato a tre campate con volte a botte parallele. Il lato ovest era l'antica parete d'ingresso e su questo lato rimangono ancora cospicui resti di una straordinaria decorazione a stucchi e ad affresco. L'abside era anticamente decorata a mosaico, ma oggi non ne resta traccia. La lunetta della porta è incorniciata tra intrecci di vitigni con grappoli. Al centro è raffigurato Cristo tra gli Arcangeli Michele e Gabriele, mentre nello stesso registro si trova una fascia affrescata con Martiri. Sopra la lunetta del portale si sviluppa un elaborato fregio di viticci, realizzato a giorno, incorniciato da rosette entro cui erano sistemate perle vitree.

La parte più interessante è comunque il Fregio al livello superiore, liberamente sovrapposto agli elementi architettonici dell'edificio come le finestre. Qui si trovano sei figure a rilievo di Sante, in stucco, eccezionalmente ben conservate: le loro monumentali figure sono da collegare ai modelli classici, riletti secondo la cultura longobarda. I panneggi delle vesti riccamente decorate hanno un andamento accentuatamente rettilineo che ricorda i modelli bizantini[1], dai quali però le Sante si distaccano per il maggior senso del volume e per il verticalismo, ulteriormente marcato dalla lunghezza delle pieghe delle tuniche.

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CAPPELLA PALATINA DI AQUISGRANA edificio che Carlo Magno fece costruire

da prima del 798 entro una delle sue residenze preferite. Pianta centrale,

ottagonale all’interno ed esadodecagonale nel giro più esterno. La cappella

sintetizza la complessa cultura carolingia, esito di una volontà di recupero di un

modello classico. In edifici come questo elementi di spoglio ravennati valevano

come dotte citazioni. L’impianto della cappella ha tra i suoi precedenti San

Vitale, San Lorenzo a Milano ma anche Santa Maria Delle Pertiche di Pavia. Non

esiste comunque un particolare periodo classico preso a modello.

IX secolo: molto importante anche MILANO.

ALTARE DI VUOLVINIO collocato verso l’ 830-840 da Vuolvinio in S. Ambrogio.

Committente: Vescovo Angilberto. Scene: sulla faccia anteriore scene

cristologiche intorno alla figura centrale del Cristo; sulla posteriore episodi della

vita di S. Ambrogio. Sui fianchi: croci gemmate tra angeli e santi.

L’opera è frutto della collaborazione di vari artisti; a Vuolvinio è da attribuire il

disegno e l’esecuzione del lato posteriore. Qui le figure sono monumentali su

uno sfondo dai rari elementi architettonici(con procedimento analogo a quello

delle miniature del Salterio di Utrecth). Smalto cloisonné per incorniciare le

scene permette l’attribuzione dell’opera a una bottega dell’Italia

settentrionale perché tale tecnica è sconosciuta in area transalpina.

Testimonianze pittoriche del periodo: piuttosto abbondanti. Affreschi rinvenuti

a TORBA presso Castelseprio all’interno di due ambienti ricavati in una torre che

apparteneva a un complesso monastico. Datati tra VIII e IX secolo. Dono del tutto

estranei agli affreschi di Santa Maria Foris Portas ma offrono ragionevoli spunti

di confronto con gli affreschi di San Salvatore a Brescia.

SAN BENEDETTO DI MALLES in Val Venosta è un edificio a pianta rettangolare

in cui si aprono tre nicchie con tre altari. Vi sono raffigurati: Cristo tra gli angeli,

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al centro, ai lati Santo Stefano e San Gregorio. Sulla parete divisionale con le

nicchie laterali sono raffigurati due veri e propri ritratti; uno è di un guerriero

con una spada in mano, l’altro di un ecclesiastico con modello della chiesa in

mano. Hanno nimbi quadrati che li attestano come personaggi viventi.

Questi affreschi sono stati collegati con quelli di San Salvatore a Brescia.

Vi erano anche decorazioni in stucco.

CHIESA DI SAN GIOVANNI DI MUSTAIR. Apparteneva a un monastero

benedettino. Pianta a tre navate conclusa da tre absidi di cui quella centrale è più

emergente. Decorazione pittorica in tutto l’edificio eseguita nell’ 820 o tra 829-

840. Molti affreschi sono astati reintegrati o strappati per le cattive condizioni.

Tra 1157-1180 fu eseguito un secondo strato pittorico poi rimosso. Gli affreschi

si presentano in un’ottantina di riquadri divisi su cinque registri. Le scene

univano l’antico testamento con le storie dei santi patroni di Mustair.

AFFRESCHI DELLA CHIESA DI SAN PROCOLO a Naturno. Datati tra VIII e IX

secolo. Grafismo che li ha messi in rapporto con l’Altare di Ratchis.

LA SCULTURA A INTRECCIO

Sono stati rinvenuti molti pezzi d’arredo nelle chiese di tutta Italia. Nel IX secolo

è peculiare la decorazione a intreccio. Linguaggio astratto considerato in alcuni

casi all’iconoclastia orientale, in altri casi a un impoverimento della scultura. Ma

è il risultato di un processo diverso: l’oggetto iconico dell’intreccio geometrico

non comunica cose o eventi ma la ricerca di principi universali. Ai motivi base

del cerchio o del nastro intrecciato si uniscono elementi di chiaro valore

simbolico (croce, albero, della vita ecc…)

GLI AVORI

IX secolo. Uno dei periodi di maggior fulgore per gli avori. Nell’Italia

settentrionale sono individuabili due linee di tendenza: una essenzialmente

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decorativa; una che invece rivela interesse per la figura umana e ha come

modello la tradizione tardo antica. Generalmente possiamo affermare che in

questi avori appare una certa sensibilità per il dato realistico.

Anche il X secolo in periodo ottoniano, Milano vede la produzione di avori. Es:

SITULA DI GOTOFREDO Commissionata dal vescovo Gotofredo per l’unzione

dell’imperatore Ottone II in occasione del suo ingresso a Milano nel 980.

IL CIBORIO DI SANT’AMBROGIO E GLI STUCCHI DEL X SECOLO

Ciborio di S. Ambrogio innalzato sopra l’altare di Vuolvinio. Ciborio innalzato su

quattro colonne romane di spoglio, ha le quattro fronti eseguite in stucco su

ogni lato scene articolate nella stessa maniera, cioè una figura centrale

dominante sulle altre affiancata da personaggi in scala minore. Sono presenti dei

personaggi che il Peroni ha individuato come membri della famiglia degli Ottoni.

Confronto con la Situla di Gotofredo.

La plastica in stucco è uno dei settori più vivaci la cui storia non può essere

esclusa da quella delle origini della scultura romanica.

IL LIBRO MINIATO IN AMBITO CAROLINGIO

Nel periodo carolingio si assiste a un’intensa produzione del libro miniato. La

committenza è molto ricca e vengono prodotti sia testi per uso liturgico che la

copia di testi di autori classici. Si moltiplicano gli scriptoria in collegamento con

le abbazie benedettine. C’è un legame sempre più consapevole con il mondo

classico sempre accompagnato da tributi alla cultura bizantina e greca. Molto

importanti gli scriptoria di Reims, Tours e Metz. Verso l’869-870 è compiuta da

un miniatore di formazione reimsese il codice della BIBBIA DI CARLO IL

CALVO(oggi conservato a Roma a San Paolo).

Alla fine del X secolo l’Italia Meridionale vede diffondersi una particolare

tipologia di libro di uso liturgico, la cui origine è nella liturgia bizantina

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incentrata in un rituale proteso a mettere in contatto diretto l’uomo con il

divino. A questa esigenza risponde il rotolo liturgico, cioè un testo scritto e

riccamente miniato arrotolato su se stesso, che nelle cerimonie veniva fatto

scorrere dall’alto dell’ambone verso i fedeli. Il testo è scritto rovesciato rispetto

all’illustrazione in modo che i fedeli potessero seguire la complessa liturgia

attraverso le immagini. Si conoscono 31 rotoli liturgici definiti come Exulet .