Viaggio nel Salento magico. Dove si racconta di folletti e streghe, di fate, orchi e sirene...

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Il fascino della Terra d’Otranto sta nel suo sapere ancestrale arricchitosi nei secoli, e per tutto il medioevo, grazie al passaggio di genti e culture diverse, e conservatosi, poi, in epoca moderna, quando, col cambiare delle rotte, da snodo centrale del Mediterraneo, l’antica terra fra due mari, la Messapia appunto, divenne estrema periferia d’Italia. Ma se quella ricca memoria rimaneva sconosciuta al forestiero, purtuttavia si tramandava, quasi invariata, negli usi, nei costumi e nelle superstizioni dei salentini, e questo fino ai giorni nostri. Le testimonianze proposte nel libro risalgono ad epoche veramente insospettabili, che vanno dal II secolo a. C., quando Nicandro di Colofone narra nelle sue Metamorfosi della battaglia a passi di danza combattuta fra le ninfe Epimelidi e i giovani pastori messapi, fino ad arrivare alla fine del XIX secolo, con le leggende raccolte da Giuseppe Morosi nella Grecìa Salentina.

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La terra e le storie

Collana diretta da Antonio Errico e Maurizio Nocera

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Capone EditoreVia provinciale Lecce - Cavallino, km 1,250 - LECCETel. 0832 611877

Mail to: [email protected]

On line: www.caponeditore.blogspot.com

Skype: capone.editore

© Copyright 2013

ISBN: 978-88-8349-199-3

Stampa: Tiemme - Industrie Grafiche - Manduria

Giugno 2013

Della stessa collana:

1. Antonio Errico, Fiabe e Leggende di Puglia, 2013

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Viaggio

nel Salento magico

Federico Capone

Prefazione di Maurizio Nocera

Capone Editore

Dove si racconta di folletti e streghe, di fate, orchi e sirene,

del venefico morso della tarantola, di fatti di vita quotidiana,

di usi, di costumi e di superstizioni, con fiabe e filastrocche

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“Le donne le si riunirono in cerchio attorno strette per mano

in una specie di danza che a lei ricordava il ballo della tarantola

quando il paziente morsicato dalla bestia velenosa viene seppellito

fino al collo nella terra smossa e intorno gli danzano

sette vedove sette maritate e sette fanciulle

finché la terra non gli ha risucchiato dalla carne il veleno”.(Grazia Deledda, Il Dio dei viventi, Milano 1922)

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La magia della Terra dei due mari,

di Maurizio Nocera 7

Il Salento fra miti, leggende e fatti quotidiani 15

La Terra d’Otranto ai tempi del mitoLe ninfe e i pastori 23

***

Tarantismo e dintorni: scritti di baseUn satiro (o Dioniso) e la menade 33

Gaufredi Malaterrae, Nostri a tarantis vexantur 34

Goffredo di Malaterra, I nostri molestati dalle tarantole 35

Albericus Aquensis, Quomodo a serpentibus multi perierunt in re-

gione Sidanis 36

Alberto di Aquisgrana, Come molti morirono a causa dei serpenti

nella regione di Sidone 37

Girolamo Mercuriale, De tarantula 38

Girolamo Mercuriale, Intorno alla tarantola 39

Cesare Ripa, Puglia 41

***

Altre notizie sul tarantismoGeorge Berkeley, La tarantola di Puglia 45

Antoine Laurent Castellan, Lettera IX 51

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Richard Keppel Craven, Notizie sulla tarantola 61

Girolamo Marciano da Leverano, [Degli animali velenosi] 65

Favole, leggende e storie di vita quotidianaGiuseppe Morosi, Leggende di Martano, Castrignano, Sternatia 83

Trifone Nutricati Briganti * Giuseppe Gigli * Sigismondo Castro-

mediano, Fate e folletti, orchi, streghe sirene, spiriti della casa e

fatti di vita quotidiana 89

***

Bibliografia 141

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La magia della Terra dei due maridi Maurizio Nocera

Quando fu pubblicato per la prima volta Il morso del ragno,dedicai la mia introduzione allo sfortunato Giorgio Di Lecce(1953-2003) «ricercatore del mito della taranta», autore di La

danza della piccola taranta. Cronache da Galatina (dalla parte

dei protagonisti): 1928-1993. A memoria d’uomo. Scrissi pure cheavevo dato il mio contributo a stilare una prima bozza della bi-bliografia sul fenomeno del tarantismo, che in Salento si era ma-nifestato per lungo tempo. In La danza della piccola taranta,

quella bibliografia non venne inserita, perché Giorgio preferì darlaalle stampe a parte, in un secondo momento. Tuttavia a me è sem-pre rimasta la copia della prima stesura, con molte voci ineditenon presenti nell’opera del Di Lecce.

Oggi, senza che io abbia mai avuto modo di sapere anticipata-mente della ricerca condotta autonomamente da Federico Capone,che da tempo conosco per il rigore scientifico dei suoi studi e glioriginali metodi d’analisi con i quali li conduce, vedo inseriti inViaggio nel Salento magico alcuni importanti testi sul tarantismo,risalenti ad epoche veramente insospettabili, che vanno dal II se-colo a. C., con Nicandro di Colofone, fino ad arrivare alla fine delXIX secolo.

C’è subito da segnalare che nella premessa – Il Salento fra miti,

leggende e fatti quotidiani – l’autore riconosce a La terra del ri-

morso, la completezza del lavoro sul campo eseguito nel giugno1959 a Galatina e dintorni, da Ernesto de Martino (1908-1965) ela sua equipe. In realtà, il primo etnografo italiano, aveva già avutomodo di studiare differenti fenomeni etno-antropologici, in parti-colare nel Meridione d’Italia e più specificatamente in Basilicata,tanto che, in Sud e Magia, pubblicato per la prima volta nel 1959,

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il discepolo di Benedetto Croce, che affermava di avere frequen-tato «l’università di via Trinità Maggiore, a Palazzo Filomarino»,ove il filosofo risiedeva, anticipava la sua indagine in Salento, e,a completare il saggio, inseriva una breve e significativa appendicedal titolo Intorno al tarantismo pugliese.

È proprio nella premessa che Federico Capone sostiene chel’indagine sui fenomeni etnografici si è oggi alquanto rallentata,se non addirittura fermata, a causa di interessi assolutamente estra-nei alla stessa: per lo più si tende all’utilizzo della fenomenologiaa fine di mero business.

Proprio per fornire ulteriori spunti di analisi, in questo Viaggio,che vuole essere la continuazione di in Salento pubblicato diecianni orsono, egli apporta un’importante novità, proponendo alcunibrani rimasti fuori nel 2003, in particolare quelli di «Goffredo diMalaterra (1100 ca., nell’edizione Ernesto Pontieri del 1928), diAlberico Aquensis (1100 ca.), di Girolamo Mercuriale (ediz. 1588)e di Girolamo Marciano da Leverano (ediz. 1855), ma anche quellidi Nicandro di Colofone (II sec. a. C.) e di Ovidio (I sec. a. C.)»,essenziali per lui, ma anche per chi qui scrive, perché stanno allefondamenta del fenomeno salentino.

L’antologia si apre col testo di Nicandro di Colofone, che è quiil più antico degli autori, essendo nato nella seconda metà del IIsecolo a. C. e vissuto molto probabilmente fino ai primi decennidel secolo successivo. Autore greco di età ellenistica, nacque evisse, particolare di una certa importanza, a Claro nei pressi dellaterra di Colofone, un territorio oggi corrispondente all’attuale cir-condario della città turca di Smirne, che nell’antichità veniva in-dicata nella Ionia asiatica, patria – secondo la tradizione – diOmero. A Colofone insisteva il culto di Apollo Clario (da qui iltermine clarinetto) del cui santuario – stando ad alcune fonti – Ni-candro era stato uno ierofante. Denominato anche l’Etolo per isuoi interessi con l’Etolia, è indicato come il maggiore degli autori

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Il Salento fra miti, leggende e fatti quotidianidi Federico Capone

Pur svolgendo un ruolo centrale nei processi di identificazionedel territorio – tanto per il visitatore occasionale, da sempre prontolungo il suo cammino ad annotare con particolare attenzione queifenomeni che gli apparivano insoliti o curiosi, quanto per gli abi-tanti stabili – il tarantismo non ha mai rappresentato, se non a par-tire dalla seconda metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, lapeculiarità delle genti di Terra d’Otranto.

Questa attenzione, in parte giustificata, ha fatto sì che tutto ciòche ruotasse attorno al morso del ragno, divenisse oggetto di analisie ricerca, con la pretesa di svelare e di divulgare i segreti di un ritodel quale, ad oggi, se ne discute l’origine, temporale e spaziale1.

Nonostante i numerosi sforzi e la pervicace (buona) volontà, benpoco si è aggiunto, se non in casi assai rari, a La terra del rimorso

(Milano 1961); pur tuttavia, non si può negare che il movimentocreatosi attorno al tarantismo abbia risvegliato, nel pubblico piùampio, un interesse che stava pian piano scemando verso quelleculture che sono delle classi popolari, provengono da queste e inqueste trovano terra fertile per attecchire, sopravvivere e rinnovarsispontaneamente, senza forzature.

In questo quadro di riscoperta, la ricerca ha subìto un rallenta-mento notevole, se non addirittura uno stop: ingenti somme di de-naro sono state investite per confezionare piccoli e grandi eventiall inclusive, in grado di soddisfare la richiesta di esoticità del tu-rista. Pazienza se poi, neppure in maniera velata, si sia fatta coin-cidere la tradizione con il tradimento, ostentando e promuovendoper imporre, spesso mediante finanziamenti pubblici, il proprioconcetto di diversità (che diviene paradossalmente omologante elivellante) e di meticciato (come se le culture, non fossero già ri-sultato di incroci – non imposti).

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In alternativa a queste logiche egemoni ed egemonizzanti e inuna prospettiva di ricerca delle radici di questa terra, avvalendocidi fonti poco conosciute, abbiamo dato alle stampe In Salento. Usi,

costumi, superstizioni. Antologia di brani di autori italiani e stra-

nieri dal Settecento al Novecento (2003).Ci piace ora proporre, a dieci anni di distanza, Viaggio nel Sa-

lento magico, anche questa una antologia, legata alla prima a dop-pio nodo, tanto per la finalità, quanto perché gli scritti che lacompongono sono, in buona parte, quelli che ritenemmo opportunoescludere perché non funzionali al percorso generale che si inten-deva principiare, che non doveva essere incentrato sul tarantismo:rimasero quindi fuori, per quanto concerne il morso del ragno, gliscritti, fondamentali, di Goffredo di Malaterra (1100 ca., nell’edi-zione Ernesto Pontieri del 1928), di Alberico Aquensis (1100 ca.),di Girolamo Mercuriale (ediz. 1588) e di Girolamo Marciano daLeverano (ediz. 1855), ma anche quelli di Nicandro di Colofone(II sec. a. C.) e di Ovidio (I sec. a. C.), perché questi ultimi pote-vano apparire scollegati dal discorso generale, in quanto non rien-travano né nella narrativa di viaggio né avevano legame diretto conle usanze del luogo.

Oggi le cose sono cambiate e queste ulteriori testimonianze, fintroppo spesso citate, ma quasi mai effettivamente lette nella loroversione originale, si mettono a disposizione del lettore.

Il tempo del mito

È una leggenda, tramandataci da Nicandro di Colofone, nel IIsecolo a. C. (e poi ripresa da Ovidio ed altri), che apre questa rac-colta: in un luogo della Messapia, chiamato dei “sassi sacri” e daalcuni collocato, per una tradizione fantasiosa, presso i “massi dellavecchia”, nel territorio di Giuggianello2, ci fu una sfida fra gli in-digeni e le ninfe Epimelidi.

È un racconto che esalta i comuni attributi fra le Epimelidi eDioniso: primo fra tutti la spiccata abilità a ballare. Anche il punto

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Le ninfe e i pastori

Passeggiando per la Terra d’Otranto, fra stradine delimitate da

muretti a secco, si scorgono secolari ulivi contorti, quasi volessero

liberarsi dal segreto che li lacera.

Si consumano al sole e accolgono, nelle loro cavità, lingue bi-

forcute, quasi fossero la loro anima.

Assumono talvolta forma umana poiché, come narra nelle sue

Metamorfosi1 Nicandro di Colofone, un autore greco del II secolo

a. C., erano, gli ulivi, fanciulli irrequieti e boriosi. Mutarono a se-

guito di una battaglia impari, a passi di danza, fra questi giovincelli

messapi e le ninfe Epimelidi, amiche di Dioniso2:

«[…] Queste cose sono accadute molto tempo prima

della spedizione di Ercole3. In quel tempo si viveva con

le pecore e i pascoli.

Si racconta dunque che, nella terra dei Messapi, presso

il luogo chiamato dei Sassi sacri, apparvero le ninfe Epi-

melidi che guidavano le danze e che poi [dopo l’appari-

zione delle ninfe danzanti] i fanciulli dei messapi,

abbandonando le greggi, mentre le guardavano danzare

[guardavano le danze] dissero che essi stessi sapevano

condurle [condurre le danze] ancor meglio.

Le ninfe non gradirono questo discorso e si gareggiò

tra le parti, per qualche tempo sulla superiorità di danzare:

i fanciulli, pensando di sfidare [gareggiare con] delle

donne mortali simili a loro, ignoravano certamente che

competevano con esseri divini.

I giovinetti avevano una maniera di ballare semplice,

rozza, come quella dei pastori: ma alle ninfe tutte le cose

accrescevano spesso l’eleganza. Vintili [vinti i fanciulli]

esse così dissero loro: fanciulli, avete sfidato le ninfe Epi-

melidi: dunque insensati [pazzi], poiché siete stati vinti

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La pagina, con rielaborazione in italiano a fronte, è tratta dal De venenis et morbis venenosis trac-

tatus..., di Girolamo Mercuriale, Albertus Scheligius, Venecia 1588.

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GIROLAMO MERCuRIALE

Intorno alla tarantola*

Tra i falangi e i ragni se ne annoverano alcuni altri che, volgar-

mente, sono chiamati tarantole e sono esclusivi dell’Italia e, so-

prattutto, della Puglia, per cui si può dedurre che Plinio sbagliò

quando scrisse che sono una schiera straniera all’Italia, dal mo-

mento che non solo questo genere è peculiare ma, in verità, nelle

regioni italiane ne nascono molti altri, come è confermato dal-

l’esperienza e dall’autorevolezza di molti scrittori. Questo animale

produce molti sintomi sorprendenti simili a quelli degli scorpioni

e dei ragni. Si dice, in verità, che ne provoca uno singolare: quando

morde [punge] uno, quello è solito rimanere sempre nello stato e

nel modo di fare in cui è stato punto finché il veleno non è stato

espulso dal corpo, così che se punge qualcuno che cammina,

quello camminerà sempre, se sta saltando [ballando] sempre balla,

se sta ridendo sempre ride; io non sono in grado di affermare se

ciò sia vero o meno, ma quelli che si sono trovati in Puglia, lo

danno per certo; e talvolta io ho visto qualcuno che saltava di con-

tinuo, e diceva che era stato morso dalla tarantola, ma appena ve-

niva preso dal capo e legato con funi, veniva curato. Tuttavia, per

il resto affermano che contro il morso della tarantola può fare

molto la musica, ma i rimedi per questo veleno sono da ricercarsi

dagli abitanti della Puglia. E questo è la fine della trattazione spe-

cifica sui veleni che vengono iniettati dagli animali.

* Nostra rielaborazione.

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Medico che cura un folle, “infornadogli” la testa,

forse una sorta di cura clibanica, incisione settecentesca

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muni di Terra d’Otranto una festa popolare, nominata festa degli

innocenti. In tal giorno si usa dal popolo formulare mille scherzi,

consistenti specialmente nel far delle burle a danno dei più cre-

denzoni. Si creano affari, che non esistono, per mandare una per-

sona da un luogo all’altro, e farla rimaner con un palmo di naso;

si inventano malattie per far correre i parenti al capezzale di malati,

che godono invece la miglior salute del mondo, e così di seguito.

Questa festa popolare ha qualche riscontro nel moderno primo

d’aprile. Senza dubbio poi è una continuazione del culto che i Ro-

mani avevano per le feste di Saturno, Saturnalia, che ricorrevano

al 17 di dicembre, e che erano le feste più celebri di quel gran po-

polo, che, senza distinzioni di classi, si abbandonava alla gioia, ai

festini e financo all’orgia [...]. (Giuseppe Gigli)

IV.

Dacci oggi la nostra superstizione quotidiana

Superstizioni minori

Il popolo ha la superstizione dei colori, ai quali annette gran-

dissima importanza, nell’addobbarsene, e sceglie sempre quelli

che hanno un significato buono.

I primi cristiani ebbero in alto grado tale superstizione; per essi

il bianco esprimeva la verità, l’innocenza e la fede; il rosso,

l’amore e il martirio; il verde, la santa speranza, la durata, la vita,

ecc.

Nel popolo quando un giovinetto vuole amoreggiare con una

ragazza, la prima cosa che compie è di regalarle di sfuggita un ga-

rofano rosso.

A proposito di primo amore, debbo qui registrare un curiosis-

simo costume tarantino del quale non mi par chiara l’origine e il

significato: nel popolo di quell’antica città dunque, quando un gio-

vinotto desidera la mano d’una fanciulla, comincia a gironzare na-

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turalmente sotto le finestre della bella, la quale facilmente ne com-

prende le intenzioni. Allora, se a lei non garba, si ritira la donna

nell’interno della casa; se, viceversa, piace, dalla finestra sputa sul

capo del felice sposino.

Il nostro popolo è quasi, nella maggior parte, analfabeta. Per

supplire alla mancanza di scrittura, cosa necessaria al retto anda-

mento dei conti della campagna, molti si servono di superstiziose

figure fatte di geroglifici e altri segni.

Curiosissimo era il registro d’un pizzicagnolo, vissuto molti

anni in Manduria, a nome Antonio Filizzola, il quale, non sapendo

scrivere, componeva il suo registro di figure capricciose e deformi,

sotto alle quali eran notati i prezzi dei prodotti venduti: le figure

rappresentavano i vari suoi debitori […].

Bestie che parlano, nella Notte Santa

Il Natale ha pure le sue superstizioni, intorno alle quali si in-

trecciano mille e mille graziosissimi racconti sulla nascita del bam-

bino Gesù.

Il Natale è la festa che più commuove e consola il popolo: esso

pensa che in quel giorno non deve rimaner digiuno nessuno.

In quasi tutte le case, in quella notte, si lascia acceso il fuoco,

per potersi scaldare Gesù, se mai venisse in cerca di asilo.

Il concetto religioso spesso nel popolo si eleva stupendamente

sino alle più gentili vette della poesia: questa del Natale è una delle

più meravigliose poesie popolari.

E non solamente il fuoco è tenuto vivo durante tutta la lunga

notte, ma molti e molti preparano i vestitini più caldi e le pietanze

più saporose pel Bambino.

I presepi di cartone e di conchiglie sono lì ad attestare un altro

lato di questa bella fede popolare. E non dimenticano di ornare

tali presepi di molti squisiti frutti, perché riescano più graditi al

divino infante. E non obliano di lasciare ogni notte un lume ac-

ceso, perché il futuro Salvatore possa, alla mite luce d’una lam-

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1588***

Minervini, Giulio, Monumenti antichi inediti posseduti da Raffaele Barone,

Napoli 1850***

Morosi, Giuseppe, Studi sui dialetti greci della Terra d’Otranto…, Lecce

1870***

Nicandro di Colofone, Theriaká e Alexiphármaka, a cura di Giuseppe Spata-

fora, Roma 2007

Nigro, Raffaele, Ascoltate signore e signori. Ballate banditesche del Sette-

cento meridionale, Cavallino-Lecce 2012

Nocera, Maurizio, Il morso del ragno. Alle origini del tarantismo, Cavallino-

Lecce 2005

Nucita, Ada e Gnoni, Antonio, Ricordi di cose sopite. Tradizioni, supersti-

zioni, usi e costumi di Terra d'Otranto, Cavallino-Lecce 1994

Ovidio, Le metamorfosi –Metamorphoseon libri XV**

Ripa, Cesare, Iconologia… , 1593***

Rizzelli, Ruggero, Le facezie di Papa Galeazzo, a c. di Fernando De Domi-

nicis, Cavallino-Lecce 2006

Rizzelli, Ruggero, Gli aneddoti di Papa Galeazzo, a c. di Mario De Marco,

Cavallino-Lecce 1996

Romanelli, Domenico, Antica topografia istorica del Regno di Napoli, 2 voll.,

Napoli 1819***

Ross, Janet, The land of Manfred, Londra 1889 (nell’edizione M.T. Ciccarese,

Capone Editore)

Saint-Non, Jean-Claude Richard De, Voyage pittoresque ou Description des

Royaumes de Naples et de Sicile, Parigi 1781-1786

Schott, Gaspare, Physica curiosa, 1697***

Schott, Gaspare, Magiae Universalis..., Bambergae 1674***

Tempesta, Antonio, Metamorphoseon ... Ovidianarum, ca. 1585, 1606**

Johan Wilhelm Baur, [Ovidii Metamorphosis], 1641 ca.*****

Trifone, Nutricati Briganti, Intorno ai canti e racconti popolari del leccese,

Vienna 1873**

Disponibilità online al gennaio 2013

* disponibile su Issuu.com/sataterra

** disponibile su Internet

*** disponibile su GoogleBooks

**** disponibile su liberliber.it

***** disponibile su http://ovid.lib.virginia.edu/tempestabaurnew.html

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“Forse qualcuno pensa che la natura abbia guastato

quei suoi doni tanto cospicui di cui ho parlato,

per il fatto che in questa regione vive una tarantola,

un animale molto nocivo, del cui veleno ci si libera

col suono di flauti e di tamburelli”.(Antonio De Ferrariis detto il Galateo)

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