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Rassegna Stampa del giorno 15 Luglio 2013 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 p p p a a a g g g i i i n n n a a a 1 1 1 via Modena, 5 - 00184 ROMA Tel. 06.4746351 - Fax 06.4746136 e-mail : [email protected] Sito: www.fiba.it Aderente alla UNI (Union Network International), alla CES (Confederazione Europea dei Sindacati) e alla CISL Internazionale R R R A A A S S S S S S E E E G G G N N N A A A S S S T T T A A A M M M P P P A A A 1 1 1 5 5 5 L L L U U U G G G L L L I I I O O O 2 2 2 0 0 0 1 1 1 3 3 3 ^ ^ ^ L L L U U U N N N E E E D D D Ì Ì Ì ^ ^ ^ U U U n n n a a a f f f o o o r r r i i i s s s m m m a a a a a a l l l g g g i i i o o o r r r n n n o o o ( ( ( t t t i i i l l l e e e v v v a a a q q q u u u a a a l l l c c c h h h e e e r r r o o o m m m p p p i i i s s s c c c a a a t t t o o o l l l e e e d d d i i i t t t o o o r r r n n n o o o ! ! ! ) ) ) : : : « « « L L L u u u o o o m m m o o o u u u m m m i i i l l l e e e c c c o o o n n n o o o s s s c c c e e e i i i p p p r r r o o o p p p r r r i i i l l l i i i m m m i i i t t t i i i c c c o o o m m m e e e u u u n n n r r r e e e c c c i i i n n n t t t o o o i i i n n n v v v a a a l l l i i i c c c a a a b b b i i i l l l e e e ! ! ! » » » ( ( ( V V V i i i n n n c c c e e e n n n t t t M M M c c c E E E a a a t t t e e e r r r ) ) ) F F F I I I B B B A A A - - - C C C I I I S S S L L L Il bancario Cisl raccoglie firme per un tetto agli stipendi ............................................... 2 A A A S S S S S S I I I C C C U U U R R R A A A Z Z Z I I I O O O N N N I I I / / / L L L A A A V V V O O O R R R O O O Professionisti, lavori in corso sulla riforma .................................................................... 3 «Proroga al 2014 per le polizze»....................................................................................... 4 B B B A A A N N N C C C H H H E E E / / / L L L A A A V V V O O O R R R O O O Tutti pazzi per i fondi di debitoi finanziamenti alternativi per le Pmi ......................... 5 Il rebus Save e il lungo addio della Provincia e di Generali ............................................. 6 E E E C C C O O O N N N O O O M M M I I I A A A : : : P P P R R R I I I M M M O O O P P P I I I A A A N N N O O O Crisi e caos delle regole tagliano le multe ....................................................................... 7 Le scelte sullImu entrano nel vivo ................................................................................ 8 Per l’Italia a rischio il 62% dei fondi Ue ........................................................................ 9 Marca da bollo, notaio, modulo F23, Pin... La mia disavventura per pagare le tasse ...... 10 Stretta sulla spesa per finanziare Iva e Imu ................................................................... 11 Bankitalia: il fisco sta pesando su crescita e competitività ............................................. 12 Il faticoso cammino dei Titoli di Stato tra le insidie dei partiti litigiosi .......................... 13 Le imprese temono il fisco più del costo del lavoro.......................................................... 14 Il governo cerca subito 5 miliardi i conti finali con la legge di stabilità........................... 15 Ai giovani l’agricoltura piace aumentano gli occupati e il Pil ......................................... 16

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Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi

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via Modena, 5 - 00184 ROMA

Tel. 06.4746351 - Fax 06.4746136 e-mail: [email protected] Sito: www.fiba.it

Aderente alla UNI (Union Network International), alla CES

(Confederazione Europea dei Sindacati) e alla CISL Internazionale

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Il bancario Cisl raccoglie firme per un tetto agli stipendi ............................................... 2

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Professionisti, lavori in corso sulla riforma .................................................................... 3

«Proroga al 2014 per le polizze»....................................................................................... 4

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Tutti pazzi per i “fondi di debito” i finanziamenti alternativi per le Pmi ......................... 5

Il rebus Save e il lungo addio della Provincia e di Generali ............................................. 6

EEECCCOOONNNOOOMMMIIIAAA::: PPPRRRIIIMMMOOO PPPIIIAAANNNOOO

Crisi e caos delle regole tagliano le multe ....................................................................... 7

Le scelte sull’Imu entrano nel vivo ................................................................................ 8

Per l’Italia a rischio il 62% dei fondi Ue ........................................................................ 9

Marca da bollo, notaio, modulo F23, Pin... La mia disavventura per pagare le tasse ...... 10

Stretta sulla spesa per finanziare Iva e Imu ................................................................... 11

Bankitalia: il fisco sta pesando su crescita e competitività ............................................. 12

Il faticoso cammino dei Titoli di Stato tra le insidie dei partiti litigiosi .......................... 13

“Le imprese temono il fisco più del costo del lavoro” .......................................................... 14

Il governo cerca subito 5 miliardi i conti finali con la legge di stabilità ........................... 15

Ai giovani l’agricoltura piace aumentano gli occupati e il Pil ......................................... 16

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EEEnnnrrriiicccoooMMMaaarrrrrrooo

Il bancario Cisl raccoglie firme per un tetto agli stipendi

A due mesi dall’intesa sulla rappresentanza mancano gli adempimenti necessari

e si litiga sulle Rsu Un'iniziativa insolita per un sindacato moderato come la Cisl. Addirittura singolare se a prenderla è la categoria dei bancari. Da qualche settimana, almeno nelle grandi città, capita di imbattersi nei banchetti per la raccolta delle firme con distinti signori in giacca e cravatta o signore in tailleur che sollecitano un autografo. Si tratta della campagna per una legge di iniziativa popolare lanciata da Raffaele Bonanni e dal suo sindacato dei bancari guidato da Giulio Romani per mettere un tetto di 294 mila euro alla retribuzione fissa dei manager (pari a quello per i dirigenti pubblici) e un rapporto di 1 a 1 per il salario variabile. In tutto, insomma, non si potrebbe mai prendere più di 588 mila euro lordi l'anno. L'obiettivo dell'iniziativa è di raggiungere almeno 50 mila firme. La Cisl ha chiesto di sottoscrivere anche ad alcuni sindaci, tra i quali Giuliano Pisapia (Milano), Ignazio Marino (Roma) e Federico Pizzarotti (Parma). Oggi, denuncia la Fiba, i presidenti di banche guadagnano in media 23 volte la retribuzione media di un bancario mentre un amministratore delegato addirittura 42 volte tanto. Lo storico accordo sulla rappresentanza è stato firmato il 31 maggio scorso tra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria, ma due mesi dopo mancano ancora gli atti conseguenti per renderlo operativo. Per esempio le intese con l'Inps e il Cnel per la certificazione degli iscritti ai sindacati, mentre sono in alto mare le trattative tra le stesse organizzazioni sindacali e le altre associazioni datoriali (il confronto è cominciàto con le cooperative) per estendere l'accordo. Una fase di passaggio e di incertezza che crea tensioni tra i sindacati, con la Cgil che spinge perché governo e Parlamento prendano l'iniziativa e varino una legge sulla rappresentanza e Cisl e Uil che frenano. La scorso settimana i segretari generali, Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, ne hanno parlato in una riunione con l'ex collega Guglielmo Epifani, ora segretario del Pd. E hanno concluso che per il momento è meglio aspettare. Nel frattempo queste tensioni trovano riscontro anche nei luoghi di lavoro. Emblematico il caso della Piaggio di Pontedera. Qui la Fiom-Cgil, nelle recenti elezioni delle Rsu, le rappresentanze sindacali unitarie, è arrivata prima, prendendo il 46% dei voti contro il 30% della Fim-Cisl. In base all'accordo del 31 maggio la Rsu va suddivisa in termini proporzionali, senza più il terzo riservato ai sindacati firmatari del contratto nazionale, quota che è stata abolita dalla stessa intesa. Applicando le nuove regole la Fiom avrebbe la maggioranza relativa della Rsu sia nel collegio degli operai sia in quello degli impiegati. Se invece si applicassero le vecchie regole tale maggioranza, tra gli impiegati, sarebbe invece della Fim, che in quest'area ha preso il 37,1% dei voti, appena sotto il 37,7% della Fiom, che potrebbe però superare grazie appunto del meccanismo del terzo riservato ai firmatari del contratto nazionale, visto che la Fiom non è tra questi. «Per evitare contenziosi inutili e dannosi nella ripartizione dei delegati della Rsu si applichi l'accordo del 31 maggio», avverte il segretario generale della Toscana della Fiom Cgil, Giacomo De Sanctis. Ma la Piaggio è solo uno dei tanti casi.

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PROFESSIONISTI,

LAVORI IN CORSO SULLA RIFORMA Assicurazioni, tirocini e società: a un anno dal varo gli Ordini alle prese con i nodi della

liberalizzazione Il cantiere è ancora aperto. Polizze assicurative, consigli di disciplina, tirocini, formazione continua, società: a un mese esatto dallo scoccare dell'anniversario della riforma delle professioni (il Dpr 137 del 2012), il mosaico della liberalizzazione deve essere ancora completato. Una riforma partita addirittura dall'agosto 2011 quando la Commissione Ue, di fatto, impose al Governo dell'epoca di avviare anche un processo di apertura nell'accesso agli Albi, soprattutto da parte dei più giovani. All'appello manca ancora l'obbligo per tutti i professionisti di dotarsi di una polizza assicurativa per la responsabilità professionale: già prorogato di un anno, sarebbe in scadenza il prossimo 15 agosto. Ma ora che il termine si sta avvicinando sale il pressing - a chiederlo è anche il presidente del Cup, Marina Calderone (si veda l'intervista nella pagina a fianco) - per un nuovo rinvio di qualche mese. La stima del Sole 24 Ore sui dati forniti dagli Ordini è che a oggi la quota di assicurati oscilli tra il so e il 6o per cento. I lavori sono in corso su deontologia, formazione e società. A rallentare l'attuazione sono state in alcune circostanze i ritardi o le problematiche legate ai rinnovi dei Consigli nazionali (come nel caso di commercialisti e dei geometri). Un discorso a parte va fatto, invece, per gli avvocati: il Consiglio nazionale forense è al lavoro per rendere operativa la riforma di categoria (legge 247/2012), entrata in vigore il 2 febbraio. La copertura professionale L'obbligo di avere una polizza assicurativa per la responsabilità professionale - e di comunicare gli estremi e il massimale ai clienti- sarebbe dovuto scattare un anno fa. Il Dpr di riforma delle professioni ha però concesso un rinvio di un anno per consentire ai Consigli nazionali e alle Casse dei professionisti di negoziare convenzioni collettive con le compagnie assicurative da proporre agli iscritti. Una chance che le professioni giuridico-economiche possono offrire: al di là del Notariato (l'assicurazione per gli iscritti è stata stipulata ne11999 ed è diventata poi obbligatoria nel 2006), i Consigli nazionali di commercialisti e consulenti del lavoro hanno negoziato convenzioni quadro. Mentre i tecnici hanno privilegiato soluzioni aperte: gli ingegneri hanno indicato in una circolare le polizze idonee a garantire gli iscritti, mentre architetti e periti agrari puntano su più convenzioni quadro. L'individuazione della polizza giusta ha richiesto spesso un percorso piuttosto lungo di catalogazione dei rischi legati alla professione, come per esempio nel caso dei biologi. Quasi tutti gli Ordini, poi, hanno cercato di strappare alle compagnie assicurative proposte più favorevoli per i giovani, e di garantirsi una copertura "postuma", cioè anche per i danni denunciati dal cliente a distanza di anni. Ma la tutela dei clienti passa anche attraverso il rispetto della deontologia professionale, su cui devono vigilare - secondo la riforma- i nuovi consigli di disciplina distrettuali e centrali composti da membri diversi dai consiglieri degli Ordini. Il percorso per la formazione dei nuovi organismi sembra ormai vicino alla conclusione. Tirocini e formazione Nel restyling delle regole sull'accesso all'Albo e sulla formazione continua obbligatoria degli iscritti, gli Ordini stanno procedendo a macchia di leopardo. I ritardi più evidenti riguardano la stipula delle convenzioni conle università, sia per l'anticipo dei primi sei mesi di tirocinio nell'ultimo anno di corso universitario, sia per il reciproco riconoscimento dei crediti per adempiere all'obbligo di aggiornamento professionale. Gli agronomi, a esempio, stanno accelerando sui tempi: finora sono dieci le convenzioni siglate ma entro l'anno si punta ad arrivare a 24. Società e compensi Non sembrano decollare le Società tra professionisti (Stp) aperte anche a soci di capitale. Dal 21 aprile (data di entrata in vigore del regolamento attuativo) a venerdì scorso ne risultano registrate solo sei: pesano le incertezze su trattamento fiscale e contributi - anche se il Ddl semplificazioni chiarisce che producono reddito da lavoro autonomo - sia i paletti allapartecipazione in una sola compagine. Altro tassello è l'abolizione delle tariffe minime e massime (previsto dal decreto liberalizzazioni di inizio 2012), che ha introdotto il concetto di parametro. Così per le liquidazioni da parte dei giudici, il compenso deve essere calcolato con riferimento ai parametri stabiliti dal decreto della Giustizia 140/2012, o da altri decreti ministeriali varati per i singoli Ordini (come il Dm 46/2013 per i consulenti del lavoro). I parametri - in generale più bassi delle vecchie tariffe - sono stati contestati dagli avvocati, che il 24 maggio scorso hanno trasmesso una controproposta alla titolare di Via Arenula, Annamaria Cancellieri. Che, dopo la rottura consumata nei giorni scorsi, potrebbe riaprire il dialogo con i legali proprio con un nuovo documento. Un problema in via di soluzione riguarda il nuovo "tariffario" di architetti e ingegneri sui compensi da mettere alla base delle gare d'appalto, per evitare che, abolite le tariffe, partano offerte al massimo ribasso. Il decreto «parametri-bis», predisposto dalla Giustizia, sta ora per ricevere il via libera delle Infrastrutture, per poi passare al Consiglio di Stato. La preoccupazione, in generale, resta quella di «evitare uno svilimento delle competenze professionali - sottolinea Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni - soprattutto nelle gare per gli appalti pubblici, sempre di più al ribasso, per le quali servirebbero soglie minime prefissate».

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L’INTERVISTA Marina Calderone (Cup)

«Proroga al 2014 per le polizze»

«La validità dell'obbligo di assicurazione è fuori discussione, ma un'ulteriore proroga di alcuni mesi rispetto alla scadenza di metà agosto potrebbe essere senz'al tro utile per consentire a tutti gli ordini di arrivare a definire le convenzioni migliori». Secondo Marina Calderone, presidente del Cup (Coordinamento unitario delle professioni), si potrebbe prendere a riferimento il decreto del fare «che riconduce tutte le scadenze a due sole date, il i° luglio e il 1° gennaio e far scattare il nuovo adempimento dal 204». Un ulteriore slittamento, rispetto a una scadenza che è già una proroga... I ritardi non riguardano tutti: i consulenti del lavoro, ad esempio, hanno già una polizza nazionale che copre i due terzi degli iscritti. L'entrata in vigore dell'obbligo a metà agosto crea problemi tecnici nei casi in cui c'è difficoltà ad assicurare da un lato un alto livello di protezione e dall'altro un costo conveniente. Lo sforzo di tutti i consigli nazionali è infatti quello di definire le convenzioni migliori per tutelare in primis i giovani. Formazione, deontologia, società tra professionisti: cosa manca per la piena attuazione? A livello complessivo il cantiere della riforma è in piena attività: a questo punto servirebbero piccoli correttivi, per tenere conto anche della specificità dei diversi ordini. L'aver messo, ad esempio, a 18 mesi il tetto per la pratica professionale impone ad alcune categorie di concentrare la formazione in poco tempo rispetto al passato e per questo diventa fondamentale realizzare progetti formativi di qualità, anche nella stipula delle convenzioni con gli atenei. Le nuove regole sulla giustizia disciplinare, poi, potrebbero creare difficoltà nell'individuare la rosa dei giudici nei collegi più piccoli e si potrebbe intervenire con una modifica alla legge - ricorrendo le condizioni e acquisiti i pareri necessari - per decidere un accorpamento delle commissioni tra province limitrofe. Sulle Stp, infme, aspettiamo un chiarimento sul regime fiscale applicabile ai redditi prodotti da queste società.

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Tutti pazzi per i “fondi di debito”

i finanziamenti alternativi per le Pmi ESISTONO GIÀ IN ALTRI PAESI E ORA ARRIVANO ANCHE IN ITALIA. NIENTE A CHE VEDERE CONI CLASSICI

STRUMENTI OBBLIGAZIONARI, QUI SI FINANZIERANNO LE IMPRESE PICCOLE E MEDIE CHE EMETTERANNO I

“MINI BOND” COME ALTERNATIVA AL CREDITO BANCARIO Roma Ecco la nuova parola d'ordine per le piccole e medie imprese: "fondi di debito". Ovvero fondi d'investimento che erogano nuovi finanziamenti tramite sottoscrizione di emissioni obbligazionarie dedicate. Le grandi società come Enel, Fiat, Eni, Generali non hanno certo difficoltà a piazzare i loro bond sui mercati. Qui invece si tratta di finanziare le piccole e medie imprese non quotate. Le quali, non è un caso, da alcuni mesi, grazie al governo Monti, possono emettere i cosiddetti "mini- bond" e cambiali finanziarie senza le restrizioni quantitative e le penalizzazioni fiscali che bloccavano in precedenza questa forma di finanziamento. Fatto lo strumento, serve tuttavia chi sia in grado di effettuare l'investimento. Le Pmi hanno fame di soldi, molto più delle grandi corporate che hanno più facile accesso alle banche o al mercato del capitale di rischio e di debito. Ma per i piccoli non c'è scampo. La scure del credit crunch si sta abbattendo su di loro. Sbarcare in Borsa con laloro ridotta dimensione è difficile. Emettere mini-bond e non trovare compratori una perdita di tempo e di denaro. Eppure da qualche parte ci dev'essere qualcuno disposto a finanziare piccole e medie realtà con ottime prospettive di crescita, anche internazionale (perché, inutile nasconderselo, le società che zoppicano difficilmente troveranno soldi emettendo mini-bond). Soltanto in Italia ci sono ben 3.000 miliardi di euro investiti dalle famiglie in attività finanziarie. Poco meno della metà, circa 1.300 miliardi, è investita nei fondi d'investimento. E poi ci sono i soggetti istituzionali come le fondazioni, i fondi pensione, le assicurazioni: nel loro portafoglio c'è posto per tante cose ma, finora, non per il nuovo debito delle Pini. E sarà difficile che possano farle senza specifici intermediari specializzati. Ma le iniziative realmente partitesi contano sulle dita di una mano. Uno dei fondi in gole positionè Impresa Italia, creato da un imprenditore da tempo attivo nel private equity, Nicola Riello. «Purtroppo - dice Federico Merola, tra i promotori di questo fondo - c'è un certo ritardo culturale da parte del sistema politico e istituzionale che non ha favorito un percorso accelerato verso questi fondi, nella prospettiva di sostituire una fetta di quel credito bancario che non c'è e non ci sarà più». Qualcosa però comincia a muoversi, tanto che domani, martedì 16 luglio, il ministro dell'Economia, Saccomanni, incontrerà i rappresentanti dei principali investitori istituzionali per vedere come il sistema paese può aiutare le Pmi a creare canali di finanziamento complementari e di mercato rispetto al canale bancario. Nell'attesa, Assogestioni, l'associazione dei fondi d'investimento, si è già mossa: «I nostri associati - dice il presidente Domenico Siniscalco - sanno bene che í fondi di nuova generazione (Ucits) possono già detenere una quota fino al 10% di bond illiquidi delle Pmi. Presto, aggiunge, avremo passi concreti. Ora che i mini bond finalmente ci sono è giusto aiutare il nostro sistema produttivo e mostrare che i fondi lavorano nell'interesse generale per connettere meglio risparmio e investimento». Peri fondi di debito veri e propri - strumenti chiusi destinati a investitoriistituzionali - oltre a quello indipendente dal sistema bancario lanciato da Riello, c'è anche un'iniziativa del Mps. E stanno arrivando anche gli stranieri. È stata da poco autorizzata da Bankitalia la distribuzione in Italia del Tenax Credit OpportunityFund, strumento didiritto irlandese specializzato nel credito alle Pmi. Mentre da mesi si sta dando da fare anche Muzinich, la società con base a New York e specializzata in bond highyield, che lavora per lanciare sul mercato tricolore l' "Italian Opportunities", un fondo da 200 milioni di euro. Per il momento Muzinich, più che portare capitali esteri cerca investitori proprio in Italia, ma metterebbe sul piatto unaleva pari a150%. «Se sufficientemente liquidi - dice Matteo Ramenghi di Ubs European Banks- gli strumenti di debito delle imprese di medie dimensioni dovrebbero riscontrare una buona domanda anche daparte degli investitori esteri. Ne beneficerebbero anche le banche attraverso l'apporto commissionale, una maggior crescita economica e una migliore qualità degli attivi». La sensazione è che occorra dare il "la" perché i fondi di debito possano davvero svolgere un ruolo anche parzialmente sostitutivo di una parte del credito bancario per le Pini. «Il nuovo regolamento che sostituirà il "703" - dice Sergio Corb ello, presidente di Assoprevidenza, l'associazione dei fondi pensione preesistenti - conterrà una revisione delle modalità d'investimento di casse previdenziali e fondi pensione. In quella sede si vedrà che spazio il legislatore vorrà accordare a questa asset class». E in corso di revisione anche la normativa sulle assicurazioni. «Dopo le modifiche al Decreto Sviluppo, anche il nuovo regolamento rappresenta un segnale positivo per il mercato - dice Antonio Coletti, managing partner dello studio legale Latham& Watkins - anche se questa asset class rappresenterà una piccola parte degli investimenti di assicurazioni e fondi pensione, considerato che i minibond rimangono' uno strumento illiquido e con un profilo di rischio potenzialmente elevato». Vero? «Dipende - precisa Federico Merola Illiquidi magari sì ma con durate che possono essere ragionevolmente brevi. Per il rischio, la Sace è attiva nel settore e così i Confidi e il fondo nazionale di garanzia. Portare il rischio dell'investimento a livelli ragionevoli è ilvero senso industriale di questi nuovi operatori».

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Il rebus Save e il lungo addio

della Provincia e di Generali PER ORA NÉ AMBER NÉ FININT POSSONO ACQUISTARE IL PACCHETTO MESSO IN VENDITA DALL'ENTE

PUBBLICO. EA OTTOBRE CEDE LA SUA QUOTA IL LEONE DI TRIESTE Venezia Kepler ha iniziato a sondare gli umori per l'acquisto delle 550mila azioni Save messe in vendita dalla Provincia dì Venezia. Peccato che i due pretendenti "naturali" siano dal 2 luglio in back out period. Il regolamento Consob lo prevede a ridosso dei conti del semestre e intpediscel'operatività sul titolo da parte dei soggetti rilevanti, cioè sopra il 10%. Quindi per ora né Amber, azionista di Save con il 15%, né Finint che, indirettamente attraverso Agorà e direttamente attraverso altri veicoli, ne detiene circa il 46,6%, possono fare alcuna proposta. Fino all'indomani del 2 agosto, giorno in cui il cda di Save licenzierà i conti di metà anno (nota a margine: il traffico di giugno dello scalo veneziano è cresciuto del 5,4%), forse non ci saranno sorprese. Da quel punto in poi inizierà però lo showdown. La finanziaria di Marchi e DeVido e il fondo del magnate Joseph Oughourlian mostreranno l'aggressività che sono pronti a mettere in campo fino all'appuntamento clou del 14 ottobre. Giorno in cui scade il patto che lega Generali (che della finanziaria veneta è pure azionista con il 10%) e Finint in Agorà, società che custodisce circa i140,6% dello scalo veneziano. La settimana scorsa la provincia di Venezia, presieduta da Francesca Zaccariotto, ha messo invenditaun' altra tranche del 3,44% di Save che intende alienare entro fine anno (complessivamente l'ente ha l'8,7%). Sul mercato, o a premio ai blocchi, transiterà quasi l'1% del terzo aeroporto italiano. Ma le mosse che verranno fatte su questa piccola fetta saranno ottime spie di ciò che potrebbe avvenire ad ottobre. A conti fatti, tra la parziale uscita della provincia e il disimpegno del Leone è in ballo, da qui all'autunno, più o meno il 17% della società aeroportuale. Enrico Marchi, presidente di Save e Finint, come in ogni risiko che si rispetti, sta già allestendo la sua strategia di attacco. Su un versante c'è il piano di buy back fino al 12%. Il programma, aggiornato al 5 luglio, è arrivato al 5,379% del capitale. Il secondo fronte è invece la ricerca di supporter per prendersi il pacchetto del Leone, che corrisponde a circa il 13,64% di Save. Al suo fianco si è già schierato l'altro azionista di Agorà e cioè Morgan Stanley. Pare che Marchi possa anche contare sulla sponda di un banchiere amico: Gianni Zonin, che attraverso la Nordest Merchant della Popolare di Vicenza ha il 2,44% dello scalo veneziano. Il riassetto societario di Save si compone mentre è in divenire la partita degli aeroporti del Nordest. Sullo scalo triestino Ronchi dei Legionari, per far entrare Save nel capitale manca il "sì" della governatrice del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani, che però ancora non è arrivato. Poi c'è la questione dell'aeroporto Catullo. I veronesi hanno bisogno di un socio privato per sostenere il piano di rilancio di circa 50 milioni di euro. Save è stata indicata come una dei potenziali interessati, manon sembra avere alcuna fretta di andare all'altare con gli scaligeri. In queste settimane sono stati fatti anche altri nomi, tra cui il fondo di Vito Gamberale F2i, l'aeroporto Orio al Serio, e Amp Capital, azionista di riferimento dell'aeroporto di Melbourne

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Crisi e caos delle regole

tagliano le multe Nel 2011 i Comuni hanno incassato il 7,5% in meno dell'anno prima - Accertamenti a quota 1,47 miliardi Meno multe nelle città. Non perché gli automobilisti sono più disciplinati, ma ennesimo effetto della crisi, che ha fatto diminuire la mobilità degli italiani. L'indagine, condotta “CHI MULTA DI PIÙ...” da Bureau van Dijk per il Sole 24 Ore, mostra che nelle città le sanzioni per violazioni al codice della strada si sono attestate nel 2011 a 1,47 miliardi (-6,5%) e gli incassi effettivi hanno fatto segnare una flessione del 7,5%. Record di multe pro capite a Rovigo; in calo Milano, Bologna e Palermo.Se diserta anche un esercito fedele come quello delle multe, che negli anni tante soddisfazioni ha assicurato agli assessori al bilancio, significa che il quadro dei conti comunali è davvero preoccupante. Battute a parte, la notizia è che la rassegna delle entrate raccolte dai Comuni sulla strada, che Il Sole 24 Ore effettua ogni anno con l'aiuto della banca dati AidaPa di Bureau van Dijk, segna per la prima volta pesanti segni meno rispetto all'anno prima. Il periodo di riferimento, fornito dagli ultimi certificati di conto consuntivo disponibili per tutti i Comuni, è il 2ou: in quell'anno gli accertamenti, cioè le sanzioni che i sindaci iscrivono nel bilancio consuntivo, si sono attestate a1,47 miliardi, cioè il 6,5% in meno rispetto all'anno precedente. Ma ancora peggio sono andate le riscossioni, vale a dire gli incassi effettivi. Quelle complessive si sono fermate a 1,19 miliardi, con una flessione del 7,5% rispetto a 12 mesi prima, e quelle «in conto residui », che riguardano i verbali di anni precedenti non ancora finiti in cassa, non hanno superato i 255 milioni: una miseria, pari al 20,4% in meno di quanto raccolto nei dodici mesi precedenti. I dati dei consuntivi scontano sempre un certo "invecchiamento", ma altri due numeri sono sufficienti a confermare che la tendenza è proseguita anche negli ultimi mesi. Per pescarli bisogna rivolgersi alla banca dati del ministero dell'Economia, che monitora in tempo reale gli incassi delle amministrazioni pubbliche, e mostra che nei primi sei mesi del 2013 le riscossioni da «sanzioni e ammende» sono crollate di un altro 25 per cento. È «finita la pacchia», come sicuramente penseranno molti automobilisti e le associazioni che in questi anni hanno combattuto contro una certa bulimia da multe registrata in tanti Comuni? Pare di sì, se in capoluoghi come Nuoro, Brindisi, Teramo o Salerno gli accertamenti si sono più che dimezzati in un anno, se anche la «regina delle multe», Rovigo, piazza in tabella un -12,6% e solo Firenze, tra le città tradizionalmente primatiste, mantiene i livelli dell'anno prima. Tra le altre grandi, Roma e Napoli sono ancora in crescita (ma nel capoluogo campano la riscossione nell'anno si ferma al 23%, e nel bilancio ci sono ancora quasi zoo milioni di «crediti dubbi» per le vecchie sanzioni mai incassate), mentre Milano frena del 7,9 per cento. La questione, però, va ben al di là di un "rinsavimento" da parte delle amministrazioni locali che in effetti negli anni passati hanno in alcuni casi fatto un affidamento eccessivo sulle multe per quadrare bilanci che non tornavano. Prima di tutto, come accennato le riscossioni effettive frenano più degli accertamenti, a indicare il fatto che anche se i verbali diminuiscono, cresce la quota di quelli che non arrivano alla cassa. Un fenomeno di questo tipo è senza dubbio favorito dal caos continuo che domina sulla riscossione locale, e che proprio a metà 2011 ha vissuto il proprio punto di svolta con il «decreto sviluppo» di maggio che sanciva l'uscita di Equitalia dal ramo dei tributi locali. Due anni abbondanti sono passati, l'addio dell'agente nazionale della riscossione non c'è ancora stato ma la pioggia di proroghe, gli inciampi normativi e l'assenza di prospettive del settore non hanno certo fatto bene alla macchina della riscossione. Giusto poche settimane fa l'ultimo rinvio, inserito in Parlamento nel decreto «sblocca-debiti» per tenere in piedi il rapporto fra Equitalia e Comuni fino al 31 dicembre, si era "dimenticato" delle multe occupandosi solo dei «tributi», imponendo una correzione in corsa nell'ennesimo pacchetto sviluppo. A non essere stato davvero corretto, però, è un altro ostacolo alla riscossione innalzato nel 2mi, con la norma che ha di fatto bloccato le azioni esecutive per i debiti sotto i 2mila euro: doveva alleviare la tensione fra contribuenti ed Erario, ma ha colpito soprattutto le casse comunali e in particolare le multe, perché per arrivare a 2mila eouccroo r r o n o p i ù d i 5 o divieti di sosta medi, oppure 12 verbali lasciati invecchiare per anni facendo lievitare sanzioni e interessi. L'ultima legge di stabilità è intervenuta sul problema, ma continua a prevedere un intervallo di almeno sei mesi fra l'invio di una «comunicazione dettagliata sul debito» e l'avvio dell'eventuale azione esecutiva. L'altro colpo alle multe è dato dalla crisi economica, che oltre ad aumentare il tasso di morosità in tutti i settori ha cambiato le scelte di spostamento degli italiani. Secondo l'ultimo rapporto Isfort-Hermes presentato da Asstra, l'associazione delle aziende di trasporto pubblico, fra 2008 e 2012 la mobilità è diminuita del 23,9%, ed è aumentata la quota di persone che scelgono i mezzi pubblici perché più economici: e chi si sposta in treno o in autobus non prende multe.

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Settimana decisiva. Giovedì la cabina di regia

Le scelte sull’Imu entrano nel vivo

Non solo bonus sui lavori in casa. La settimana che inizia oggi si annuncia decisiva per il futuro della tassazione sugli immobili. All'ordine del giorno del Governo e del Parlamento c'è soprattutto il capitolo Imu. Giovedì si riunirà la cabina di regia della maggioranza. Sul tavolo ci saranno le principali ipotesi circolate al momento. Cancellazione totale dell'acconto sulle abitazioni principali (con relative pertinenze), terreni e fabbricati agricoli e case popolari; innalzamento della detrazione fino a 600 curo per esentare dal saldo di dicembre tra il 75% e no% delle prime case; consegna dal 2014 di tutta la partita Imu ai Comuni. Naturalmente si tratterà di mettere d'accordo le anime diverse della maggioranza: con il Pdl che spinge per l'abolizione totale dell'imposta sulle abitazioni principali e il Pd che invece chiede una rimodulazione senza cancellare il prelievo sui proprietari con una maggior capacità contributiva. Al fronte politico si aggiunge quello economico delle coperture. Un nodo difficile da sciogliere perché si intreccia con le altre questioni ancora da risolvere. Prima di tutte l'Iva. Il decreto sul lavoro ha soltanto rinviato al l'ottobre l'aumento dell'aliquota dal 21 al 22 per cento, trovando le risorse necessarie in gran parte con l'aumento degli acconti in scadenza il 2 dicembre. Una scelta, però, contestata da più parti e che rimette in moto la ricerca di finanziamenti alternativi: servono 1,05 miliardi che potrebbero anche raddoppiare se dovesse prevalere lo slittamento del rincaro al i° gennaio 2014. Al momento i tecnici dell'Esecutivo stanno studiando la soluzione di reperire i fondi necessari attraverso un nuovo intervento di spending review. Poi la "fase 2" sull'Iva porterebbe a rivedere i panieri per evitare l'aumento dell'aliquota ordinaria con uno spostamento di beni e servizi dal prelievo agevolato (4% o 10%) verso quello più alto. Anche questa è un'operazione tutt'altro che al riparo da incognite come dimostra l'innalzamento dell'Iva sugli allegati ai prodotti editoriali prevista proprio dal decreto sui bonus ristrutturazioni e risparmio energetico (Dl 63/2013). Nelle commissioni Finanze e Attività produttive della Camera è emerso l'orientamento unanime di modificare l'intervento per non gravare su un settore in difficoltà. Una scelta che potrebbe spingere il provvedimento verso una terza lettura in Senato. Intanto oggi scade il termine per la presentazione degli emendamenti in Commissione mentre l'approdo in Aula è previsto per lunedì prossimo. In uno scenario in cui si prospetta un imbuto parlamentare con l'esame del decreto del fare atteso proprio nell'Aula di Montecitorio a partire da giovedì, mentre il decreto Imu-Cig e quello sul lavoro sono attualmente all'esame del Senato.

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Per l’Italia a rischio

il 62% dei fondi Ue Solo la Romania fa peggio nell’utilizzo delle risorse europee per lo sviluppo

regionale L’Europa ha appena deciso di concentrare sforzi e soprattutto risorse nella lotta alla disoccupazione giovanile. L'Italia ha esultato, ma l'esperienza pregressa nella gestione dei fondi comunitari non lascia spazio all'ottimismo: a sei mesi dal termine del periodo di programmazione 2007-2013 l'Italia ha speso solo il 38% delle risorse del Fondo per lo sviluppo regionale (Fesr). Solo la Romania ha fatto peggio. Per le risorse del Fondo sociale (Fse) è andata meglio, ma il recupero è arrivato negli ultimi mesi e solo grazie a una deroga Ue. Il lavoro che il ministro alla Coesione, Trigilia, deve fare per archiviare anni di inefficienze e immobilismo è enorme. La Commissione e i Governi stanno lavorando alla definizione delle risorse per i prossimi sette anni. L'Italia è già in ritardo: sono in ballo 29 miliardi di contributi comunitari. Nell'attuale congiuntura è l'occasione giusta per uno scatto d'orgoglio. Non può essere sprecata. Si è fatto un gran parlare, dopo il Consiglio europeo di fine giugno, della "víttoría" italiana per la decisione dei leader Ue di destinare otto miliardi di euro a combattere la disoccupazione giovanile. Ma l'Italia ha davvero pochi motivi per rallegrarsi, alla luce dell'incapacità storica di spendere le risorse comunitarie. A meno di sei mesi dalla chiusura del programma quadro pluriennale 2007-2013, i fondi realmente spesi e certificati alla Commissione europea sono i14o% circa di quelli assegnati con i fondi strutturali, il Fondo europeo per lo sviluppo regionale (Fesr) e il Fondo sociale europeo (Fse). Una media che nasconde una realtà ancora più preoccupante: nella classifica dei 27 Paesi membri (la Croazia è entrata solo da pochi giorni) l'Italia è penultima nell'utilizzo dei fondi Fesr che sono i tre quarti degli oltre 28 miliardi complessivi assegnati all'Italia con Fesr e Fse. Secondo i dati della Ue aggiornati alla scorsa settimana, l'Italia ha speso solo il 38% dei 21 miliardi dei fondi Fesr impegnati. Quindici punti sotto la media Ue, quasi la metà rispetto al 73,3% dell'Estonia, ma anche molto lontano dal Portogallo, terzo con il 71,5%. Peggio di noi ha fatto solo la Romania. La Spagna è sopra il 57% e la Grecia addirittura al 6i, appena sotto la Germania. Le cose vanno meglio nel rendiconto del Fse. In meno di un anno l'Italia ha scalato diverse posizioni nella classifica europea salendo al 53,4% di spese certificate alle Ue, solo due punti e mezzo sotto la media, un punto sopra la Francia. Ma l'accelerazione è stata possibile solo grazie a due mosse dell'ex ministro Fabrizio Barca avallate da Bruxelles: la riduzione della quota di cofinanziamento nazionale e la possibilità di utilizzare le risorse Fse per gli ammortizzatori sociali. Soprattutto quest'ultima si è rivelata la mossa più efficace per smuovere un po' di miliardi, ma è senza dubbio una forzatura rispetto alla missione del Fse che dovrebbe finanziare politiche attive del lavoro e non sussidi per la disoccupazione. Tra risorse europee e cofinanziamento nazionale, l'Italia deve ancora spendere circa 3o miliardi entro dicembre 2015 (grazie alla regola N+2). Quasi un miliardo al mese. Non farcela significherebbe perdere la quota di fondi comunitari che sono più della metà. Sarebbe inaccettabile.

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Marca da bollo, notaio,

modulo F23, Pin... La mia disavventura per pagare le tasse Quando una burocrazia da Stato arrogante trasforma i cittadini in sudditi Caro direttore, la burocrazia che affligge il nostro Paese fa molto danno ai cittadini, ma forse ne fa ancora di più allo Stato stesso che la produce. Nei mesi scorsi ho ereditato con mio fratello l'appartamento in cui ha abitato mia madre; e lo abbiamo affittato. Da aspirante buon cittadino, decido di andare a registrare il contratto, per poterlo poi indicare nella denuncia dei redditi.L'impiegato che esamina la pratica osserva che sul contratto avrei dovuto apporre due marche da bollo, da 14,62 euro l'una. Vado dunque a comprarle e torno con le marche da bollo; sennonché l'impiegato osserva che le marche avrebbero dovuto recare una data anteriore a quella della stipulazione del contratto e ci aggiunge una sanzione di euro 3,65 (ma perché mai, dal momento che la registrazione, per legge, può avvenire fino a 3o giorni dopo la stipulazione?). A questo punto, l'impiegato rileva che i proprietari sono due: non si può procedere alla registrazione senza che siano presenti entrambi. Ma mio fratello abita in un'altra città! Allora deve inviare una procura perché io possa rappresentalo. Obietto che, se anche mio fratello non mi avesse incaricato di questo adempimento, lo Stato dovrebbe essere contentissimo del fatto che io lo compia. Niente da fare: occorre la procura. Perché? Perché anche su quella si paga l'imposta di registro: altri i68 euro. E se mio fratello fosse venuto di persona? Altri 168 euro anche in quel caso, senza rimedio. E se mio fratello non ne volesse proprio sapere? L'impiegato non risponde; ma i suoi occhi parlano da soli: «Vuole smetterla di formulare ipotesi totalmente estranee a quelle contemplate dal regolamento?». Chiedo dunque a mio fratello di prendere appuntamento con un notaio per stipulare la procura. Costo: 30o euro per il notaio più i 168 della registrazione dell'atto. Torno quindi all'Agenzia delle Entrate, convinto di avere superato l'ultimo ostacolo. A questo punto viene effettuato il computo dell'imposta di registro da pagare: di base 472 euro. Ma l'impiegato osserva che nel contratto abbiamo inserito una penale - peraltro assai modesta - per il caso in cui l'inquilino ritardi nei pagamenti. Per questa sola clausola aggiuntiva l'imposta di registro aumenta di 168 euro (e se poi non ci saranno ritardi nei pagamenti? Non importa: l'imposta aggiuntiva va pagata lo stesso). Insomma, alla fine l'imposta da pagare viene determinata in 64o euro più i 168 per la procura. E mi spiegano che per pagarla devo compilare un modulo F23 e andare a fare il pagamento in Banca. Eseguito diligentemente anche questo passaggio, torno fiero all'Agenzia delle Entrate con il mio F23 timbrato dalla banca. Penso dentro di me: «Ho pagato, ora devono soltanto prendere atto ed effettuare la registrazione». Effettivamente, a questo punto l'impiegato prende a digitare intensamente sul suo terminale. Ma subito aggrotta la fronte: «Lei ha più di nove proprietà immobiliari». «No», rispondo «ne ho solo tre: oltre alla prima casa, un appartamentino in montagna e una casa in Toscana». Già, ma se si contano anche due pezzetti di terreno che vi sono attaccati, due box e due soffitte di cui una adattata a mansarda, si arriva proprio a nove. E ora con l'appartamento della mamma fanno dieci. Devo riconoscere che l'impiegato ha ragione; ma ancora non comprendo dove voglia andare a parare. Me lo spiega impietosamente lui stesso: chi possiede più di nove unità immobiliari non può fare la registrazione allo sportello; può farla solo per via telematica. Oddio, e ora come si fa? Mi spiegano che devo andare a un altro sportello per chiedere un codice Pin, necessario per eseguire la pratica online. Ma mi avvertono anche del fatto che, eseguendo la pratica in questo modo, il pagamento dell'imposta non può essere effettuato per mezzo del modulo F23: va fatto anche quello online. E io che ha già pagato con 1'F23 in banca? Non c'è altro modo per rimediare che quello di chiedere il rimborso e intanto procedere a pagare una seconda volta con l'altro sistema. Mi sento vessato e persino schernito per questa mia pretesa di registrare da solo (senza consulenti!) un contratto di locazione. In questa gimkana costosissima (più ancora di tempo che di denaro) a cui ho dovuto sottopormi vedo l'arroganza di un'amministrazione alla quale tutto è dovuto dal cittadino- suddito, mentre nulla essa stessa al cittadino deve: non la semplificazione degli adempimenti che un management minimamente capace e attento al benessere del contribuente onesto dovrebbe essere capace di garantire con intelligenza e sollecitudine; non l'informazione completa e tempestiva che un impiegato minimamente diligente e ben addestrato dovrebbe fornire fin dal primo contatto con il contribuente; non l'attenzione a evitare tutti i piccoli e grandi aggravi degli adempimenti, le piccole e grandi complicazioni gratuite, che costano al cittadino sproporzionatamente di più di quanto rendono allo Stato. Che stupido, questo Stato! Quanto più volentieri pagheremmo le tasse, se avessimo la sensazione che l'amministrazione pubblica si comporta verso di noi con la stessa diligenza, sollecitudine e buona fede che da noi essa pretende!

Pietro Ichino

Senatore di Scelta civica

www.pietroichino.it

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VVVaaallleeennntttiiinnnaaa SSSaaannntttaaarrrpppiiiaaa

Stretta sulla spesa

per finanziare Iva e Imu Costi standard, meno sgravi fiscali e agevolazioni alle imprese: il Tesoro a

caccia di risorse ROMA - Sta per essere nominato a sorpresa il commissario per la spending review: il governo guidato da Enrico Letta ha finalmente trovato la figura giusta a cui affidare i tagli della nostra spesa pubblica, un «mostro» da 800 miliardi. Il nome sarà rivelato solo nei prossimi giorni, ma dalle prime indiscrezioni si tratta di un italiano che ricopre attualmente un ruolo in un organismo internazionale e che quindi rientrerebbe proprio per fare le pulci agli sprechi di casa nostra. Un compito delicato: in assenza di nuove entrate possibili, i tagli di spesa dovranno essere usati anche per trovare le coperture strutturali per il taglio dell'Imu e il rinvio dell'aumento dell'Iva fino a dicembre. E' infatti questo l'obiettivo del ministero del Tesoro: dopo un primo rinvio del rincaro fino al 30 settembre, che per il governo è coperto dall'aumento degli anticipi dei prelievi fiscali, via XX Settembre punta a rimandare fino al 31 dicembre lo scatto dell'Iva. Così da chiudere il 2013 e rimandare la questione Iva direttamente alla legge di Stabilità. Quindi non c'è nessuna manovra correttiva in vista: «Sarebbe un provvedimento autolesionista perché, oltre ad aggravare la recessione, aumenterebbe il debito pubblico», sottolinea il viceministro all'Economia Stefano Fascina (Pd). E il ministro della Pubblica amministrazione Gianpiero D'Alta spiega: «Non è alle porte alcuna manovra correttiva. Saccomanni sta facendo con grande serietà un lavoro difficile per trovare le risorse necessarie a intervenire su Imu e Iva». L'argomento sarà sul tavolo della cabina di regia del governo fissata per giovedì 18: dopo l'appuntamento saltato la scorsa settimana, infatti, è stato deciso di riunire in un solo incontro entrambi i temi. Si tratta di un capitolo che vale al massimo 5 miliardi: uno per coprire il secondo rinvio del - l'Iva, sempre che il Pdl non si metta seriamente di traverso alla copertura ipotizzata dal governo (in quel caso i miliardi diventerebbero due, uno per il primo rinvio e l'altro per il secondo); e quattro per l'abolizione totale dell'Imu sulla prima casa, ipotesi sostenuta strenuamente dal Popolo delle libertà. Che invece il Pd vorrebbe rivedere «al ribasso»: cioè rimodulando la tassa sulla prima casa in modo tale da esentare la maggior parte dei proprietari e far pagare solo i più ricchi. Come si trovano questi cinque miliardi? Sono tre i capitoli su cui i tecnici stanno lavorando: la spinta per l'addzione dei costi standard per Pubblica amministrazione e enti locali; la diminuzione delle agevolazioni fiscali per i benestanti (per esempio, solo i bisognosi potrebbero detrarre gli occhiali dal 740); e la razionalizzazione delle agevolazioni per le imprese. Ma c'è un altro argomento spinoso che probabilmente finirà nella riunione: l'adozione di contratti acausali per tre anni, slegati dalla contrattazione collettiva, in vista dell'Expo: un tema che sta a cuore al presidente della commissione Lavoro al Senato, Maurizio Sacconi: «Bando alle polemiche, la maggioranza dovrebbe incoraggiare il governo a decidere in questo senso». E le "grane" non finiscono qui. «Esistono almeno altri tre capitoli cui guardare per valutare tutto il discorso delle coperture - avverte il sottosegretario all'Economia Pierpaolo Baretta - Bisogna trovare fondi, difficilmente quantificabili, per finanziare il patto di Stabilità dei Comuni, in modo che possano sbloccare risorse per scuole e rischio idrogeologico. Poi bisogna rimettere mano alla Cassa integrazione guadagni, almeno per un miliardo. E va coperta anche la Tares, rinviata a dicembre, per un altro miliardo ». E' vero che qualche spicciolo potrebbe arrivare dalla riduzione degli interessi sul debito pubblico. Ma quelli dovrebbero andare alla riduzione del cuneo fiscale, altro tema caldo dell'autunno italiano.

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Bankitalia: il fisco sta pesando

su crescita e competitività «L’industria? Ormai vale meno del 20% del Pil» ROMA - Non è il costo del lavoro a frenare la competitività delle imprese, ma è il peso del fisco a cui si aggiungono gli alti costi dell'energia. Lo affermano un gruppo di economisti - tra loro vi è anche l'attuale Ragioniere dello Stato Daniele Franco - della Banca d'Italia in un ampio studio sul «sistema industriale italiano tra globalizzazione e crisi». Il costo del lavoro, «se valutato al netto della tassazione, non risulta un fattore di freno primario per la competitività delle imprese italiane» mentre «i costi dell'energia e una pressione fiscale molto elevata sull'economia regolare rendono più difficile alle imprese competere», afferma lo studio che svolge una preoccupante analisi sull'andamento del sistema produttivo italiano dall'avvio della crisi ad oggi. All'inizio del 2013 la produzione industriale «risultava inferiore di circa un quarto al livello pre- crisi». Nel 2012 l'industria italiana «ha prodotto 257 miliardi di euro di valore aggiunto, con un'occupazione di 4,7 milioni di addetti. Rappresenta oggi meno del 20% del valore aggiunto e dell'occupazione complessiva», ma, dice Bankitalia, è una fonte fondamentale di innovazione e competitività (effettua oltre il 70% della spesa per ricerca e sviluppo del settore privato) e ha un ruolo decisivo nell'equilibrio dei conti con l'estero (contribuisce per quasi 1'80% alle esportazioni) e agisce anche da traino per il settore terziario. Se si eccettua il comparto dell'energia caratterizzato da tassi di variazione sempre positivi, la crisi al di là dell'impatto degli ultimi due anni sulle costruzioni ha appesantito soprattutto le difficoltà del Made in Italy innestandosi su una tendenza di più lungo periodo. Il tessile e le calzature hanno mostrato dall'aprile 2008 un calo del 30,7% e del 39,3%, ma se si risale alla seconda metà degli anni Novanta il calo è del 50-70%. Il declino per questi due settori è condiviso anche da Francia e Germania, dove però la produzione ha subito danni minori nel periodo di crisi. In Italia ci sono state conseguenze pesanti sul mercato del lavoro e anche sul reddito. Nel 2012 quello procapite è risultato inferiore del 9% rispetto al livello registrato nel 2007 e Bankitalia prevede un ulteriore calo nel 2013. 11 costo del lavoro rappresenta circa il 17% del fatturato dell'industria in senso stretto e circa i due terzi del valore aggiunto. Oltre un terzo è assorbito dagli oneri sociali. Per un lavoratore dipendente medio, celibe, senza carichi familiari, impiegato nel settore industriale, la retribuzione netta rappresentava nel 2011 poco più del 52% del costo complessivo per l'azienda a fronte di quasi il 58% in media negli altri Paesi dell'area dell'euro. La percentuale risultava più bassa soltanto in Belgio, Germania, Francia e Austria dove però, a conti fatti, in presenza di una retribuzione lorda più elevata le buste paga risultavano più ricche del 15-30%. Ebbene, secondo lo studio dell'Istituto di via Nazionale, la penetrazione nei mercati europei delle produzioni di Paesi a bassi salari ha fatto sì che il dibattito sulla competitività delle imprese italiane si sia spesso imperniato sul costo del lavoro, in particolare su un indicatore (Clup, costo del lavoro per unità di prodotto) che raffronta il costo alla produttività del lavoro. Ma questo «è fuorviante » e soprattutto non vero perché le analisi dimostrano che ad aver determinato il declino («non irreversibile») dell'industria frenandone la competitività sono state soprattutto le alte tasse, i costi dell'energia e «gli oneri determinati dalle inefficienze della burocrazia e della giustizia civile».

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IL FATICOSO CAMMINO

DEI TITOLI DI STATO TRA LE INSIDIE DEI PARTITI LITIGIOSI

Nelle prossime settimane, nel pieno dell'estate, gli operatori si attendono, come sempre, un certo movimento sul tabellone di Borsa e dei titoli di Stato. Ma tutto lascia pensare che potrebbero essere oscillazioni di superficie, solo un po' di schiuma, insomma. Arriviamo a fine stagione con una tendenza di fondo incoraggiante, almeno dal punto di vista delle casse pubbliche. Nel 2013 il tasso di interesse ponderato corrisposto dal Tesoro, a fronte delle emissioni di titoli a lungo e medio termine, è stato pari al 2,12% contro il 3,11% del 2012 e il 3,61% del 2011. Inoltre lo Stato ha già incassato 290 miliardi di euro, contro i 450 previsti i dal programma di quest'anno. Ora, però, gli investitori e gli speculatori stanno soppesando le diverse variabili in campo. Da una parte c'è la recente retrocessione del rating compiuta da Standard & Poors (da Bbb+ a Bbb, appena due tacche prima dell'area in cui sono confinati i bond ad altro rischio). Dall'altra parte agisce, in senso contrario e simmetrico, l'effetto Draghi. Il 4 luglio il presidente della Bce ha annunciato che la politica monetaria della Banca centrale «resterà accomodante per un lungo periodo» e che i tassi di interesse resteranno sui livelli minimi. È chiaro: in teoria tra S&P e Draghi non ci sarebbe partita. A queste condizioni neanche gli operatori più spregiudicati proverebbero ad attaccare gli equilibri della finanza pubblica italiana. Eppure, ancora una volta, l'Italia della politica rischia di compromettere il cammino. Non a caso, nelle ultime sedute il sismografo degli scambi ha ripreso a muoversi nervosamente, seguendo le tensioni che arrivavano dalla Maggioranza sul caso Mediaset, sull'opportunità di mantenere in piedi il governo e così via. Questo non significa che il vincolo dei mercati debba diventare l'arbitro delle scelte dei partiti o del Parlamento. Ma, semplicemente, che varrebbe la pena considerare per quanto tempo ancora le forze politiche potranno permettersi scontri prolungati e rinvii, anziché compiere scelte nette e comprensibili.

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Studio della Banca d’Italia: forte preoccupazione per il calo della produzione

“Le imprese temono il fisco

più del costo del lavoro” MILANO - Non è il costo del lavoro a rendere le imprese italiane poco competitive. Piuttosto «il peso del carico fiscale sull'economia regolare e il costo dell'energia ». Due zavorre che hanno contribuito non poco al declino dell'industria nazionale: complice il perdurare della recessione, ora mostra «un quadro di diffusa debolezza » con una «perdita di produzione che ha assunto dimensioni preoccupanti», con il risultato per cui «in tutti i compartii livelli produttivi sono inferiori a quelli precedenti la crisi». È questo, in sintesi, il contenuto di un ampio studio della Banca d'Italia, un lavoro d'equipe formato da otto economisti, che fa il punto su "Il sistema industriale italiano tra globalizzazione e crisi". Un documento che contiene al tempo stesso, le ragioni del declino e le sue possibili soluzioni. Si parte dalle prime. A pesare sulle aziende, come hanno capito da tempo i lavoratori guardandosi nel portafoglio, non è il costo degli stipendi. Al netto del carico fiscale, s'intende. La retribuzione netta di un dipendente celibe, nel 2011 era del 15% inferiore rispetto a Belgio e Francia e del 30% rispetto alla Germania. Il freno allo sviluppo è invece dato dalle tasse, nel nostro paese superiore del 2,5% rispetto alla media Ue. E se si considera anche l'Irap si arriva a5 punti percentuali. Poi c'è l'energia. In questo caso i prezzi pagati dalle imprese italiane rispetti ai concorrenti dell'eurozona sono del 30% superiori. Ma non ci sono solo i fattori esterni. Secondo lo studio di Bankitalia anche le imprese hanno compiuto errori. Nodi che non si riescono ancora a sciogliere: bassa capitalizzazione, dimensioni ridotte, scarse risorse destinate a ricerca e sviluppo, proprietà familiare. L'analisi ricalca le tesi dominanti sulla situazione di caduta dell'industria italiana. Che non comincia di certo nel 2009, con lo scoppio della bolla immobiliare. Ma rileggerle fa sempre un certo effetto: «Gli andamenti dell'ultimo quadriennio si inseriscono in una tendenza declinante di più lungo periodo, sia nelle produzioni tipiche del made in Italy, come tessile e calzature, sia in quelle caratterizzate da livelli tecnologici più avanzati e da rilevanti economie di scala, come elettronica e autoveicoli». La recessione, sempre secondo gli analisti di via Nazionale, ha portato allo scoperto la malattia già in atto: «L'andamento insoddisfacente della produttività e la perdita di competitività sui mercati riflettono le difficoltà della nostra industria ad adattarsi ai grandi cambiamenti avvenutine' corso degliultimi due decenninel contesto internazionale. Difficoltà che - conclude lo studio - incidono profondamente sul progresso tecnico e organizzativo dell' inetero sistema economico ». Un de profundis senza possibilità di riscatto? No, perché la conclusione degli otto economisti lascia accesa la luce in fondo al tunnel: «Il declino dell'industria italiana non è irreversibile, purché le imprese sappiano trasformarsi ».

Rassegna Stampa del giorno 15 Luglio 2013

Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi

Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007

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Il governo cerca subito 5 miliardi i conti finali con la legge di stabilità

Giovedì la cabina di regia deciderà sullo slittamento dell’Imu ROMA - Nessuna manovra extra, ma servono subito almeno 5 miliardi per Iva e Imu. Ovvero per sterilizzare il punto all'insù di Iva da ottobre a dicembre (posto che si riesca a coprire lo spostamento daluglio ad ottobre) . E cancellare, come chiede in pressingil Pdl, l'Imu 2013 sullaprima casa per tutti. Il viceministro dell'Economia Fassina e il ministro per la Pubblica amministrazione D'Alia rassicurano dunque sulla tenuta dei conti pubblici. Ma non escludono che, qualora saltasse il tavolo politico, queste spinose questioni fiscali saranno rinviate in blocco all'autunno, allorquando in sede di legge di stabilità - la ex finanziaria - si rifaranno tutti i conti. E se non vi sarà una manovra extra, di emergenza per lo sforamento del tetto del 3% tra deficit e Pil, di sicuro ci sarà una manovra. Assai corposa. Ne sapremo di più questo giovedì, alla cabina di regia tra governo e maggioranza, il super vertice politico saltato la scorsa settimana a causa dei mal di mancia p dl per la sentenza Mediaset. Sul tavolo, le "vecchie" coperture Iva (inserite nel decreto lavoro) trovate da Sacco - manni, per spostare il rincaro da121 al 22% daluglio ad ottobre. Non piacciono a nessuno (aumento degli acconti di fine anno di Irpef, Ires, Irap e ritenute delle banche), ma finora zero alternative plausibili. Poi c'è l'Imu. Il ministro dell'Economia vuole mandare gli italiani in vacanza tranquilli. Ma se le soluzioni tecniche da lui predisposte (tutte coperte con nuovi e mirati tagli di spesa) non saranno gradite sia al Pd che al più riluttante Pdl, «non sarebbe una tragedia» rimandare l'intera riforma Imu all'autunno, fanno intendere fonti non smentite del governo. Allorquando cioè il quadro di finanza pubblica sarà più chiaro, le previsioni sul rapporto tra deficit e Pil nitide, l'effetto degli stimoli attivati con ecobonus edilizi e crediti dello Stato alle aziende misurabili. A quel punto, tra settembre ed ottobre, conti alla mano, si ve drà se il tetto del 3% regge e come intervenire in tutti i campi lasciati in so - speso: Imu, Iva, Tares, ticket sanitari. Sospendere in modo permanente queste quattro vocivale 11 miliardi di euro. E certo non si potrà più ragionare entro il p e - rimetro 2013, laddove i 5 miliardi servono solo a tamponare Imu e Iva. Senza pensare che i fondi della Cassaintegrazione in deroga sono già finiti - lo dicono le Regioni - e un emendamento della senatrice p d Ghedini al decreto lavoro ne prevede il rifinanziamento, sin da ora, di altri 1,4 miliardi. La Tares picchierà a dicembre, ilrincaro dei ticket sanitari da gennaio. Non proprio orizzonti lontani. A fine anno scadranno anche i contratti pro - rogati dei precari della pubblica amministrazione. E poi con l'inizio de120141agiostraricomincerà. L'Iva e l'Imu saranno fermate in modo strutturale o no? E come? Con quali soldi? Bisogna deciderlo presto. L'ingorgo è fiscale, burocratico, ma anche di sfiducia e incertezza che paralizzano cittadini e imprese. Chi pagherà, quanto, quando? «Non c'è nessuna manovra correttiva in vista. Sarebbe un provvedimento autolesionista perché oltre ad aggravare la recessione, aumenterebbe il debito pubblico», ha detto ieri Fassina. «Non è alle porte alcuna manovra correttiva», gli ha fatto eco D'Alia. «Saccomanni sta facendo con grande serietà un lavoro difficile per trovare le risorse necessarie a intervenire su Imu e Iva».

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Ai giovani l’agricoltura piace

aumentano gli occupati e il Pil “È UN LAVORO FIGO” DICE IL MINISTRO DI GIROLAMO.

SONDAGGIO TRA LE NUOVE GENERAZIONI CONFERMA: SONO PIÙ COLORO CHE PREFERISCONO UN IMPIEGO IN

AGRITURISMO ALLA BANCA. INTANTO I CAPITALI ESTERI FANNO INCETTA DI BRAND Milano «Consentitemi un termine poco istituzionale: fare agricoltura deve essere figo». Se avesse usato il termine inglese "cool", sarebbe sembrata comunque poco formale, ma meno ruspante. Eppure con le sue parole, il ministro dell'agricoltura Nunzia di Girolamo ha centrato l'argomento, perché i numeri snocciolati dall'Istat e di recente all'assemblea della Coldiretti le danno ragione: mostrano un settore che nonostante la crisi riesce a segnare un saldo positivo in una delle voci che creano più grattacapi a tutti i governi d'Europa, l'occupazione. E fare agricoltura appare davvero "figo" se è vero quanto sostiene un sondaggio, secondo il quale i138 per cento dei giovani italiani preferirebbe gestire un agriturismo piuttosto che lavorare in una multinazionale (28 percento) o fare l'impiegato in banca (26 per cento). Il censimento dell'Istituto di statistica italiano relativo al 2011 ha messo in evidenza come gli occupati in agricoltura siano 969mila, il 2,2 per cento in più rispetto all'anno precedente. La tendenza è stata confermata nel primo trimestre di quest'anno, in cui i lavoratori agricoli complessivi sono saliti dello 0,7 per cento, mentre le assunzioni di under 35 hanno segnato l'incremento record del più nove per cento. Secondo il presidente dellaColdiretti, Sergio Marini, con il ricambio generazionale si potrebbero inserire altri 200mila giovani nelle campagne. Ma servono nuovi interventi legislativi. «Sono necessarie norme efficaci per favorire il ricambio generazionale in agricoltura. Sono ancora troppo pochi i giovani impegnati direttamente nel settore primario», ha sostenuto Luca Sani, presidente della commissione agricoltura della Camera dei deputati, riferendosi alle statistiche che parlano di una azienda 'under 40' su dieci. «Le azioni prioritarie che la commissione agricoltura porterà avanti in questa direzione sono innanzitutto tre: promuovere concretamente, dopo anni di annunci, l'affidamento delle terre incolte, soprattutto demaniali, ai giovani agricoltori attraverso canoni agevolati di compravendita o affitto; incentivare l'affiancamento generazionale per consolidare il connubio tra innovazione tecnologica e tecniche tradizionali agricole e favorire l'accesso al credito per le aziende condotte dai giovani imprenditori», ha spiegato Sani. Lo stesso presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano in un messaggio inviato all'assemblea della Coldiretti è stato chiaro: «Pur risentendo della situazione di grave difficoltà che attraversa l'economia del Paese, il mondo dell'agricoltura testimonia, con la sua passione e il suo impegno realizzativo, capacità di ripresa che possono contribuire in modo rilevante al processo di crescita dell'economia e dell'occupazione ». E Marini gli ha fatto subito da eco: «L' agricoltura è l'unico settore che dimostra segni di vitalità con una variazione tendenziale positiva del Prodotto interno lordo (+0,1 per cento) e un aumento degli occupati dipendenti complessivi (+0,7 per cento), in netta controtendenza rispetto agli altri comparti». In effetti nel primo trimestre, l'Italia ha segnato un calo tendenziale del Pil del 2,4% provocato dalle flessioni nell'industria e nei servizi, mentre il tasso di disoccupazione, è risultato ancora tra i più elevati d'Europa (12,2%). «Se capiamo che l'Italia ha una grande potenza nell'agroalimentare, noi incideremo ancora di più con questo comparto sul Pile avremo generato occupazione », cercando «di far tornare i giovani all'agricoltura», ha sostenuto la di Girolamo, che ha anche annunciato una cabina di regia con i ministri Zanonato (Sviluppo economico) e Bonino (ministro degli Esteri) per aiutare «le aziende agricole che sono piccole ad andare sui mercati esteri facendo rete e squadra». Nel frattempo, il valore dell'industria alimentare italiana è stato colto al volo dai grandi capitali stranieri che continuano a rastrellarne i marchi storici, dall'OrZzo Bimbo agli spumanti Gancia, dai salumi Fiorucci alla Parmalat, dalla Star al Riso Scotti, fino al vino Chianti nel cuore della Docg del Gallo Nero, diventata proprietà di un imprenditore cinese. Sono molti e di prestigio i brand dell'agroalimentare italiano finiti in mani stranieri, per un valore complessivo, dall'inizio della crisi, di circa 10 miliardi di euro. A dominare il settore sono sempre le grandi multinazionali, che l'Italia non è stata in grado di creare. La difesa del sistema produttivo è affidata alle grandi cooperative che giocano un ruolo da protagonistanel settorevitivinicolo (Cantine Riunite, Caviro, Cavit e Mezzacorona) e nel settore lattiero caseario dove la fanno da padrone Kraft, Danone e la Lactalis che ha da poco rilevato anche la Parmalat. Nel 2011 il sistema produttivo cooperativo dell'agroalimentare valeva 35 miliardi e in tre anni è aumentato del 2%. Sono 5.900 imprese e consorzi con 993mila soci, che gestiscono tutta la filiera dal campo al mercato. Rispetto all'ultima rilevazione del 2008, oltre al fatturato, è cresciuto il numero di cooperative (+1,1%) e l'occupazione salita dello 0,5% a 94mila addetti. Per combattere la crisi, si deve ripartire da qui.

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