Verzar Bass 1985 (L'Ara Di Lucius Munius a Rieti)

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Monika Verzár Bass L'Ara di Lucius Munius a Rieti In: Mélanges de l'Ecole française de Rome. Antiquité T. 97, N°1. 1985. pp. 295-323. Riassunto Monika Verzar Bass, L'Ara di Lucius Munius a Rieti, p. 295-323. L'ara circolare di Lucius Munius è stata trattata finora soprattutto per la sua iscrizione; qui invece si analizza il monumento intero, la sua provenienza, la sua forma e in particolar modo l'iconografia di Ercole e la tematica del fregio (oggi perduto) in rapporto con l'iscrizione. Il monumento, eretto nella prima meta del I sec. a.C. da parte di un privato (coactor) in un santuario extraurbano di i, è dedicato a Hercules Sanctus Victor, protettore della transumanza, del commercio, ma anche divinità oracolare in zona sabellica. Citer ce document / Cite this document : Verzár Bass Monika. L'Ara di Lucius Munius a Rieti. In: Mélanges de l'Ecole française de Rome. Antiquité T. 97, N°1. 1985. pp. 295-323. doi : 10.3406/mefr.1985.5501 http://www.persee.fr/web/revues/home/prescript/article/mefr_0223-5102_1985_num_97_1_5501

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Monika Verzár Bass

L'Ara di Lucius Munius a RietiIn: Mélanges de l'Ecole française de Rome. Antiquité T. 97, N°1. 1985. pp. 295-323.

RiassuntoMonika Verzar Bass, L'Ara di Lucius Munius a Rieti, p. 295-323.

L'ara circolare di Lucius Munius è stata trattata finora soprattutto per la sua iscrizione; qui invece si analizza il monumento intero,la sua provenienza, la sua forma e in particolar modo l'iconografia di Ercole e la tematica del fregio (oggi perduto) in rapporto conl'iscrizione. Il monumento, eretto nella prima meta del I sec. a.C. da parte di un privato (coactor) in un santuario extraurbano di i,è dedicato a Hercules Sanctus Victor, protettore della transumanza, del commercio, ma anche divinità oracolare in zonasabellica.

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Verzár Bass Monika. L'Ara di Lucius Munius a Rieti. In: Mélanges de l'Ecole française de Rome. Antiquité T. 97, N°1. 1985. pp.295-323.

doi : 10.3406/mefr.1985.5501

http://www.persee.fr/web/revues/home/prescript/article/mefr_0223-5102_1985_num_97_1_5501

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MONIKA VERZAR BASS

L'ARA DI LUCIUS MUNIUS A RIETI *

II monumento qui presentato à stato esaminato già in numerose occasioni, ma l'attenzione riguardava soprattutto la sua storia travagliata in epoca moderna e i vari problemi posti dall'iscrizione (fig. 1)1. In questo contributo saranno poste al centro della trattazione l'iconografia delle rappresentazioni in altorilievo (oggi perdute), in particolare quella di Èrcole, e la sua interpretazione.

Dato che si tratta di un monumento parzialmente distrutto (soltanto la lastra contenente l'iscrizione è stata ritrovata (fig. 2), sembra opportuno, al fine dell'analisi proposta in questa sede, ricostruire le peripezie dalla scoperta in poi, ο meglio, la documentazione relativa ad esse. Di particolare importanza per un esame globale dell'ara di Munio sono quindi le testimonianze sulle parti irrimediabilmente perdute, cioè sul fregio figurato.

Gli studiosi dell'800 hanno rivolto la loro attenzione più al contenuto dell'iscrizione che al rilievo scolpito e il problema più discusso che riguardava il nome del dedicante (L. Munius ο L. Mummius) è stato risolto con la fortunata riscoperta della parte del monumento che contiene l'epigrafe, salvatasi perché riutilizzata sul rovescio per un'iscrizione a Mons. Èrcole d'Aragona, governatore di Rieti nel 17 IO2.

L'ara sarebbe stata trovata nel 1483 a Contigliano presso Rieti, (o, come dice Antonio da Sangallo il Giovane, in un castello, che però è stato identificato con il castello di Contigliano3, in presenza dell'umanista Pom-

* Desidero ringraziare per utili consigli e le discussioni stimolanti i colleghi F. Coarelli, G. F. Gianotti, G. Tedeschi e M. Torelli.

1 Da ultimo A. Reggiani, Rieti, museo civico, rinvenimenti della città e del territorio {Cataloghi dei musei locali e delle collezioni del Lazio, 2), Roma, 1981, p. 50 ss., scheda 87. Per l'iscrizione : B. Riposati, in Epigraphica, 11, 1979, p. 137 ss.

2 A. Sacchetti Sassetti, Le ultime vicende di un antico monumento reatino, Rieti, 1952, p. 13 (rist. in Rieti, 7, 1974, p. 15 ss.). Trascrizione dell'iscrizione settecentesca in A. Reggiani, cit. a nota 1, p. 50.

3 Cfr. A. Sacchetti Sassetti, cit. a nota 2, p. 45 ; per il Castello di Contigliano, P. Angelotti, Descrittione della città di Rieti, Roma, 1635, p. 118. Inoltre F. Gori,

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ponio Leto che ne copiò l'iscrizione). Il monumento fu portato sotto il portico della cattedrale di Rieti, dove lo videro Pietro Marso, l'allievo di Pomponio Leto, forse anche Fra' Giocondo (cod. Veron. a. 1488, f. 171) e, ancora, nel 1534, Pietro Apiano4. Invece Antonio da Sangallo il Giovane e Pirro Ligorio, alla metà del '500, parlano del monumento come situato in mezzo alla piazza del Vescovado5. Mentre ai tempi di J. Gruter, che comprese l'epigrafe nella sua raccolta pubblicata nel 1603, dando come luogo di conservazione la cattedrale, i due semicerchi che formavano il monumento intero si trovavano già nel Monte di Pietà, dove li nota ancora lo studioso reatino P. Angelotti, nel 1635 6. Infine Loreto Mattei, anch'egli testimone oculare, in un discorso la menziona come conservata nel Palazzo priorale; sempre lì si trovava il monumento nel 1710, quando ne fu tolta l'iscrizione per incidere sul retro di essa l'iscrizione a Èrcole d'Ara- gona, e nel 1721, quando furono rimessi insieme i rilievi, privati della lastra con epigrafe, e nel 1755, quando S. Catenacci lo vide in mano di P. Secchi, che fece distruggere i rilievi7.

Descrizione del monumento

Forse la descrizione più remota del monumento ci è trasmessa da J. Gruter, che raccolse le notizie di Metello e Apiano8. P. Apiano dovrebbe aver visto l'ara nel 1534 (per la trascrizione dipende da Pomponio Leto, direttamente, ο da Fra Giocondo9) e il suo commento è il seguente : «Rea- te, ante fores summi templi, in capite pilae marmoreae, quae piena est viro- rum varii habitus choreas ducentium et ascendere conantium, quidam inte-

Relazione delle ultime scoperte di Antichità nella regione Sabina, in Vita Sabina, II, 1900, p. 5 (cfr. anche per i ripostigli).

4 A. Sacchetti Sasseto, cit. a nota 2, p. 4 ; T. Mommsen, in CIL IX 4672, (p. 441).

5 Per A. da Sangallo il Giovane, cfr. Uff. Firenze dis. 2091 A. Pirro Ligorio : cfr. nota 15.

6 P. Angelotti, cit. a nota 3, p. 89. 7 A. Sacchetti Sasseto, cit. a nota 2, p. 11 ss., a p. 13 cita un articolo di M. Mi

chaeli, intitolato «Di un antico monumento reatino» (Pisa, 14. die. 1876). Cfr. inoltre M. Michaeli, Memorie storiche della città di Rieti, Rieti, 1898, I, pp. 91 e 111 ss. Cfr. anche CIL IX 4672.

*CIL I 2,12, p. 507 n°632. Mommsen ha già riconosciuto che il monumento è stato visto da Metello, mentre Pighius, che secondo lo stesso studioso l'avrebbe visto, certamente non ha potuto fare un'autopsia del pezzo.

9 A. Sacchetti Sassetti, cit. a nota 2, p. 5. Per Apiano cfr. CIL IX, p. 441.

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rim Ulte muliebri vestitu manu clava tenet». Il personaggio con vestiti femminili e clava in mano è indubbiamente Èrcole.

Metello - e da lui J. Pighius : la fonte comunque risale a L. Budaeus10 - riferisce : «(pila marmorea) est piena virorum et hominum (= mulierum) varii habitus choreas ducentium et scalam quandam conscendentium et ascendere conantium. Quidam illic mulieris habitu manu clavam tenens . . . Hercules putatur, sed vix prae nimia attritione agnoscitur».

Verso la fine del 1545, dopo gravi alluvioni provocate dal fiume Velino, Antonio da Sangallo il Giovane si recò due volte a Rieti11, incaricato del progetto per la correzione del Velino allo scopo di impedire le disa- strose alluvioni, ben conosciute già in epoca antica. Di Sangallo è conservato un foglio che contiene soltanto una trascrizione dell'epigrafe (Uff. 2091 A) con la seguente notizia12 : «Questa si è un tondo come saria una boche de un pozo alto velcircha palmi 4 che lo tutto si è lo diametro di palmi 10 dove è intagliato una storia de un sacrificio e da una banda si è questo epitaffio et è adesso in Rieti sulla piaza del Vescovado».

Sullo stesso foglio in basso è disegnata l'ara di Valerio Menandro dedicata a Nettuno, proveniente dal lago di Piediluco (oggi conservata nell'antiquario di Terni) 13. Sangallo nella sua nota non menziona la figura di Èrcole, ma allude soltanto a un sacrificio e a una « banda », ovviamente il «coro» delle altre descrizioni.

Pochi mesi dopo, il 5 maggio 1546, nella città sabina, giunse Pirro Ligorio, in occasione della consegna di un gonfalone alla città 14. Fu ovviamente durante questa visita che Pirro Ligorio disegnò e commentò la

10 Cod. Vat. 6039 f. 351. 11 A. Sacchetti Sassetti, Antonio da Sangallo e i lavori delle Marmore, in Archivi

d'Italia, Quad. 4, Roma, 1958, p. 5 ss. M. Michaeli, cit. a nota 7, p. 85 s., data però erroneamente il disegno di A. da Sangallo al 1544.

12 Uffizi dis. 2091 A, neg. 66616. Il disegno è soltanto citato in G. Giovannoni, Antonio da Sangallo il Giovane, Roma, 1959, p. 25 e non è stato incluso nel catalogo di 0. Vasori, / monumenti antichi nei disegni degli Uffizi (Xenia, Quad. 1), Roma, 1981. Cfr. invece : P. N. Ferri, Indice geografico-analitico dei disegni di architettura civile e militare esistenti nella R. Galleria degli Uffizi in Firenze, Roma, 1885, p. 121.

13 Per il soggiorno di A. da Sangallo al lago di Piediluco, cfr. A. Sacchetti Sassetti, cit. a nota 11, p. 12 s.

Anche Pirro Ligorio ha diseganto l'ara di Piediluco, cfr. E. Mandowsky, Ch. Mitchell, Pirro Ligorio's Roman Antiquities, Londra, 1963, n° 55, (Cod. Neap.) p. 341, PI. 31 b. (Cod. Urs. f. 135 ν.).

14 A. Sacchetti Sassetti, Le ultime vicende, cit. a nota 2, p. 5 s. ; Id., Un gonfalone di Pirro Ligorio a Rieti, in L'arte, 16, 1913, 4, p. 314 ss.

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Fig. I - II monumento di L. Munius nel disegno di Pirro Ligorio (cod. Taur.).

Fig. 2 - Iscrizione del monumento di L. Munius, Mus. Civ. Rieti, inv. 341.

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ormai famosa base di Rieti. I suoi codici 15 ci forniscono le informazioni più dettagliate sul monumento; nel codice conservato oggi a Torino egli aggiunse il disegno del lato frontale di esso, scelta che rivela un interesse soprattutto per l'epigrafe e non tanto per i rilievi. Comunque sui lati egli disegnò due figure viste di profilo, a destra Èrcole in abito femminile con la clava nella destra (fig. 1) e a sinistra un personaggio togato. Sembra

15 Codice Torinese Reate è città illustrissima d'Italia nelli

Sabini, posta nell'Umbelico d'Italia secondo scrive Varrone . . . Hoggidì questa città chiamano Rieti, et delle sue antichità si trova questa base rotonda nel mezzo della sua piazza, sopra de la quale fu già la statua di Sancte Sabinorum che è il Genio detto Sango et alcuni il chiamano Genio altri Enialio figliuolo di Marte, alcuni vogliono che sia Hercole, altri Apolline perciò che tutti gli iddij secondo i Mistici sono il sole et questo è Apolline. Ma di questa varietà havendone scritto con longa narra- tione qui solamente narreremo della bella et maravigliosa pietra di questa dedicatio- ne de la quale parleremo volontieri, sì per la vaghezza delle favole che contiene, sì per la magnif icentia del marmo, come per la eccelentia del scultore che dottissimamente l'ha scolpita con molte figure di Bassorilievo ; perciò che attorno contiene un ordine di persone che sacrificano, et appresso a loro in un altra partita vi stanno le Muse, fra le quali s trova Hercole vestito da Musa, et esso è quello che fornisce il numero di nove perché delle Muse non vi si mostrano più che otto, et lui nove; e li vestimenti di cui egli è vestito sono sottilissimi che si scorgono i suoi rilevati membri, et porta la clava in mano, et la pelle del leone in testa col volto ordinario che si suole fare a lui colla barba crespa et folta, la qual cosa non vuole dire altro che quel significato per lo quale egli si usurpa col cognome di Musagete che a noi tanto suona come a duce delle Muse, come tutti i poeti glielo danno. La maniera dunque de la scultura di questa Base è Greca et dinanzi tiene sculpiti quei versi qui copiati SANCTE, etc.

Questo Lucio Munio di che le lettere parlano hanno voluto alcuni che sia Mum- mio che disfece Corintho et s'ingannano, perciò che si trovano due famiglie la Mu- nia et la Mummia che hanno non so che del suono medesimo, ma sono differenti come sono li Cafurnij et li Calpurnij che vengono da Sabini in Roma.

Codice Napoletano Di Hercole Sancte et Musagete, cap. Questa base rotonda è di quelle inscrit-

tioni di Rieti, sopra della quale fu già la statua di Sante de Sabini, cioè di Hercole, così detto da loro, sì come io ho appieno ragionato delli cognomi di lui, nel libro XXXIII. Ella è bella à maraviglia, sì per la vaghezza delle favole, come per l'eccellen- tia dello scultore, che dottissimamente l'ha sculpita : dintorno contiene un ordine di persone che sacrificano, et appresso a loro stanno le Muse, fra le quali si ritrova Hercule vestito da Donna, et fornisce il numero di nove, perché delle Muse non se ne mostrano più che otto, i vestimenti Donneschi di che egli è vestito sono sutti- lissime che mostrano quasi il nudo, porta la clava in mano et la pelle del leone in testa col volto ordinario che si suole fare a lui. La qual cosa non vuoi dire altro che quel cognome che i poeti gli danno di Musagete, che à noi tanto suona quanto guida delle Muse. La maniera di questa Base è Greca, et dinanzi tiene sculpiti questi versi che vi mostro.

I quali sì come le figure sono fieramente consumate per la vecchezza. Et tra le Muse è sculpita una sedia, attorno alla quale sono le muse.

Questo Lucio Munio di che le lettere fan pentione hanno voluto alcuni che sia quello che disfece Corintho, la qual cosa à mè par difficile che sia, con ciò sia cosa che colui sia detto Mumio et non Munio.

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sicuro che Ligorio avesse disegnato soltanto questo lato, anche se leggiamo in un saggio di A. Sacchetti Sassetti 16 : «... così non solo trascrisse le antiche lapidi reatine ma ci lasciò anche il disegno di due preziosi marmi di greco scalpello che oggi più non esistono».

Sia nel codice torinese che in quello napoletano troviamo lunghi commenti relativi al monumento. Il codice di Napoli viene abitualmente datato tra il 1550 e 1553, mentre quello di Torino dopo il 1559 (a causa della sua dedica), ο meglio dopo il 1566 (perché vi sarebbe stata utilizzata la nuova Orthographia di A. Manuzio) 17. Ad ogni modo, il disegno e gli appunti, per quanto si sa del metodo di lavoro di Pirro Ligorio, risalgono con certezza alla sua visita nel luogo e sono stati eseguiti davanti al monumento18. Nonostante la maggiore antichità del codice di Napoli, il testo relativo alla nostra ara sembra un riassunto di quello contenuto nel codice di Torino. Sembra perciò utile notare le differenze tra i due commenti e i punti comuni sui quali l'autore ritorna e insiste particolarmente. Nel codice napoletano egli mette in rilievo la bellezza del lavoro e parla di « maniera greca » ; invece è più breve nelle descrizioni e in particolare nelle considerazioni sul nome del dedicante, L. Munius. Rispetto al contenuto del codice di Torino, egli aggiunge un oggetto che viene chiamata «sedia» (strana somiglianzà con la sedia del codice di Metello), forse un altare ο un sostegno, oggetti frequenti nelle rappresentazioni di Muse19. Il resto della descrizione è molto simile : in ambedue i codici si insiste non soltanto sul fatto che Èrcole porta gli abiti femminili, la clava e la leonté, ma anche - con parole diverse - sul tipo di vestito, che viene descritto come molto leggero e trasparente.

Nel codex Taurinensis si aggiunge inoltre una lunga precisazione sul nome di L. Munius e sul pericolo di confusione con il famoso L. Mum-

16 A. Sacchetti Sassetti, Un gonfalone, cit. a nota 14, p. 314 : «. . .Così non solo trascrisse le antiche lapidi reatine, ma ci lasciò anche il disegno di due preziosi marmi di greco scalpello che oggi più non esistono».

17 E. Mandowsky, Ch. Mitchell, cit. a nota 13, p. 39 (Torino), p. 140. Pirro Ligorio preparava i lavori per il codice di Torino a Ferrara. Cfr. anche T. Mommsen, CIL IX, p. LI. H. Dessau, Römische Reliefs beschrieben von Pirro Ligorio, in Sitz. Ber. Preuss. Akad Wiss., 1883, 2, p. 1079 s.

18 E. Mandowsky, Ch. Mitchell, Pirro Ligorio, cit. a nota 13, p. 42 affermano, che Pirro Ligorio faceva prima un disegno preciso del pezzo in situ, fatto controllabile su pochi schizzi rimasti.

19 Già A. Sacchetti Sassetti, cit. a nota 2, p. 7. Per le rappresentazioni con Muse cfr. ad es. D. Pinkwart, Das Relief des Archilochos von Priene und die Musen des Philiskos, Kallmünz, 1965. K. Tuchelt, Weihrelief an die Musen (a Didima in epoca ellenistica), in AA, 1972, p. 87 ss.

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mius, passo del quale ha detto giustamente A. Sacchetti Sassetti : «. . .Pir- ro Ligorio non aveva motivo di accrescerne l'importanza dato che non era Mummio, ma Munio20». Mommsen, diffidando di Pirro Ligorio, accetta in CIL I, la correzione in Mumius, non senza dubbi per il mestiere menzionato nella iscrizione stessa21. In CIL IX, tuttavia, Mommsen ritira due volte il suo giudizio negativo relativo ad alcune trascrizioni dell'iscrizione e riconosce l'indipendenza di certi autori, in particolare di studiosi locali22, senza però tenerne conto nella nuova edizione dell'iscrizione e per il problema del nome del dedicante. La tradizione locale è da considerare particolarmente importante, date che il monumento fu sempre collocato in luoghi accessibili (fino alla sua distruzione nel 1755) ed era molto noto e per questo frequentemente citato ο descritto.

Di particolare interesse è la descrizione di M. Vittori23, vescovo di Rieti intorno al 1560, che si interessa più della scena di sacrificio e non menziona Èrcole, ma invece parla di un «coro di tibicines», elemento molto importante per la conoscenza del monumento. Il fatto che gli studiosi locali non abbiano copiato da manoscritti precedenti risulta non soltanto dall'originalità della loro descrizione, ma anche dalle precise indicazioni dei vari luoghi di conservazione (mentre troviamo frequenti errori nelle raccolte epigrafiche «ufficiali», come in quella di Gruter e di Boissard)24

20 Art. cit. a nota 2, p. 295. 21 CIL P, p. 507 {CIL IX, p. 441). 22 CIL IX, p. 441 s. Cfr. M. Michaeli, Memorie storiche della città di Rieti, cit. a

nota 7, p. 87 : «... Ligorio, in questo punto, a parer mio ingiustamente sospettato, . . .». Cfr. anche F. Palmeggiani, Rieti e la regione Sabina, Roma, 1932, p. 179.

23 «Intus vero in tempio marmor aliud er at, orbiculari identidem forma, ex duo- bus constans semicirculis, intus vacuum foris vero multarum rerum, quae spectant ad sacrificium, in circuitu exculptis imaginibus. Sedent enim pontificus vittis insignes, talarique veste decori, oblatas suppltciter a populo victimas suscipientes : ardet alibi ignis, is enim in medio marmoris vacuitate ad cotnburenda sacrificia succende- batur. Adsunt qui hostias munerave eo proijciant. Sunt etiam vulgo qui circumspec- tent : dum litatur, populus coronae modo datis apprehensisque manibus décore com- positus in circuitu marmoris saltai : chorea tibicinum sono regitur, ac variatur ... », da M. Vittori, De antiquitatibus Reatis, ms. Bibl. com. Rieti, coli. 13 s. Un ms. posseduto da Holstenius è andato alla collezione Barberini, ora alla Biblioteca Vaticana, Cfr. A. Sacchetti Sassetti, La vita e gli scritti di M. Vittori, Rieti, 1917, p. 44 ss.

24 J. Gruter, Corpus Inscriptionum, Amsterdam, 1603, 96, 7 (tratto dalle schede di Apiano, Fulvio e Metello); ma Gruter ha cambiato il testo in vari punti rispetto alle sue fonti - nonostante che il monumento, allora, fosse ancora visibile, non davanti alla Cattedrale, come dice Gruter, ma nel Monte di Pietà. Gruter non ha migliorato neppure la seconda edizione del 1707, pur avendo utilizzato anche A. Manutius, Ad II de officiis eandem laudai inscriptionem, Venezia, 1576. Manuzio,

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e, come si può verificare oggi sull'originale dell'iscrizione ritrovata, dalla maggiore precisione nella trascrizione dell'epigrafe. L'uniformità nella trascrizione del testo inciso da parte di studiosi locali non «specializzati» in epigrafia latina, e la loro indipendenza dalle opere degli specialisti avrebbe dovuto mettere in guardia uno studioso come Mommsen25.

Th. Mommsen, con il riconoscimento dell'indipendenza di alcuni studiosi dai codici ligoriani, avrebbe dovuto automaticamente rivalutare anche l'attendibilità di Pirro Ligorio. Un tipico risultato di questa contraddizione - ipercritica e giudizio sprezzante da un lato, ma correzioni e accet- tazione di una notevole credibilità e attendibilità dall'altro lato - si trova in un articolo di H. Dessau dal titolo Römische Reliefs beschrieben von Pirro Ligorio, comunicazione presentata alla Preussischen Akademie da Th. Mommsen26. Dessau, dopo giudizi durissimi nei riguardi dell'antiquario cinquecentesco, lo descrive come fededegno per i disegni di sarcofagi. Inoltre lo stesso autore accetta la lettura Munius nella sua Sylloge27.

Questa visione ipercritica, tipica del secolo scorso, che faceva delle testimonianze di Pirro Ligorio un corpus di falsificazioni e di imbrogli, è oggi in gran parte superata. I migliori studiosi, dopo aver esaminato gran parte del materiale raccolto nei codici, hanno potuto constatare che28: «When we have unbroken surviving stones to compare with the drawings, we are impressed again and again by Ligorio's remarkable and sharpsighted fidelity to the imagery and inscriptions of his models ». Pir-

che ha visto l'originale, ha dato la trascrizione più corretta. Cfr. anche J. J. Bois- SIER, Antiquitatum Romanarum, VI pars, Francoforte, 1602, tav. 78, con l'errata indicazione : in hortis Iulii IH Pont. Max. Inoltre si veda L. A. Muratori, Novus Thesaurus veterum inscriptionum, I, Milano, 1739, classis I, p. XCVI (ex schedis Am- brosianis) : non accetta la prima riga di Gruter - Sanco Fidio Semopatri - e la lettura Mumius di Gruter.

Per le letture corrette da parte di studiosi locali, cfr. ad es. P. Angelotti, Descrittione della città di Rieti, Roma, 1635, p. 89, dove si leggono soltanto due errori : nella seconda riga, hac, invece di hoc, nella 4. riga : faxeis, invece di faxseis. Cfr. inoltre A. Manutius, De quaestitis per epistolam libri III, Venezia, 1576 (De reatina urbe, agroque Sabinaque gente), p. 7 s. e 14 ss.

25 Cfr. l'argomentazione di G. Wissowa, in Beri. Wochenschrift, 20. August, 1904, col. 1052.

26 H. Dessau, cit. a nota 17. Cfr. inoltre W. Henzen, Zu den Fälschungen des Pirro Ligorio, in Commentationes Philologae in honorem Th. Mommsen, Berlino, 1877, p. 627 ss.

27 H. Dessau, Inscriptiones Latinae Selectae, Berlino, 1955, 3410. 28 E. Mandowsky, Ch. Mitchell, cit. a nota 13, p. 42.

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ro Ligorio era qundi molto preciso quando i dettagli erano ben riconoscibili e leggibili, mentre «ricostruiva» ed integrava tutte le parti perdute ο mal conservate.

Per il nostro rilievo, e in particolare per la figura di Èrcole (fig. 3), si può credere che fosse sufficientemente «leggibile» e conservata non solo da essere disegnata, ma anche da essere descritta nei particolari - e non si può sospettare che Pirro Ligorio, dopo aver riconosciuto vagamente un abito femminile, l'avrebbe disegnato leggero e sottile, forse non conoscendo altri esempi di vestiti femminili indossati da uomini, poiché conosciamo il suo disegno di un tibicen con il caratteristico abito femminile

Fig. 3 - Èrcole del disegno di Pirro Ligorio (ingrandimento).

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pesante e con cintura29. Tanto meno possiamo sospettarlo di aver ricostruito, dopo anni, ricordandosene superficialmente, Eracle secondo il mito di Onfale, dato che non potrebbe tenere in mano la clava (elemento molto importante per questo mito!). Questo dettaglio ci viene tramandato anche da fonti sicuramente indipendenti da Pirro Ligorio30.

Luogo di ritrovamento

Tre luoghi di ritrovamento vengono indicati : uno è nella città stessa, riferimento poco attendibile e suggerito probabilmente dal luogo di conservazione31. Un'altra indicazione, presso Contigliano (o Quintiliano come riportano testi rinascimentali), sembra invece, per vari motivi, la più credibile, mentre per l'epigrafe, F. Gori parla anche di una località alle porte di Rieti, neu'« isoletta » formata dal Velino e chiamata « Votu de santo » 32.

La località esatta nei pressi di Contigliano, a ovest di Rieti, viene cha- mata Monte ο Colle d'oro33, nome derivato da ricchi ripostigli di monete repubblicane (F. Gori parla di 3, C. Pietrangeli di 4), scoperti nel 1899, mentre anteriormente a questo ritrovamento lo stesso punto si chiamava, secondo F. Gori, Colle de Santo34, nome quest'ultimo verosimilmente condizionato da rinvenimenti che suggerivano il nome del Santo, come poteva essere il nostro stesso monumento. Per caratterizzare meglio la zona, saranno ricordati alcuni accenni topografici notati da F. Gori, assieme a qualche particolarità del posto, interessante per una eventuale localizzazione di un luogo di culto35. L'Autore citato lo descrive nel modo seguente : «Prima del ponte lapideo di Rieti, dalla via Salaria, si dipartiva un'altra strada la quale costeggiava il lago Velino in direzione di Septem Aquae - che nel Medioevo aveva lo stesso nome di Salaria». Tracce di questa strada antica sono state ritrovate tra Contigliano e Greccio. Egli nota che

29 E. Mandowsky, Ch. Mitchell, cit. a nota 13, p. 110 s., p. 460, cat. 110, Pi. 65, a.

30 J. M. Metellus, Cod. Vat. 6039, f. 351. 31 F. Gori, cit. a nota 3, p. 6. 32 F. Gori, cit. a nota 3, p. 4 s. 33 F. Gori, cit. a nota 3, p. 4 ss. ; C. Pietrangeli, Rieti e il suo territorio, Milano,

1976, p. 34 M. Vittori, De Antiquitatibus Reatis, ms. 1572, c. 14. P. Angelotti, Descrittio-

ne della città di Rieti, Roma, 1653, p. 89 s.; F. Gori, cit. a nota 3, p. 5. 35 F. Gori, cit. a nota 3, p. 4.

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presso Greccio c'è una contrada denominata Limiti che segnava il limite del lago Velino, il quale in epoca romana doveva essere molto più esteso e raggiungere quindi la zona descritta come probabile luogo di ritrovamento del nostro monumento, cioè quasi certamente il luogo di un santuario extraurbano di Ercole-Sanctus- Victor, con un thesaurus cospicuo di epoca repubblicana. A questo punto sono di notevole interesse le seguenti osservazioni : P. Angelotti, nella sua descrizione della città di Rieti menziona le Sette Acque vicine a resti di una villa, la villa di Assio come conclude l'autore36, da F. Gori identificato con il vicus Septem Aquae, e con i cunicula citati da Cicerone nella pro Scauro (12). Più sicuro è il cenno in una delle lettere all'amico Attico (IV 15), dove Cicerone dice di aver visitato le Septem Aquae nelle vicinanze della villa di Q. Axius. Il luogo nella descrizione di F. Gori, sopra citato, sembra ugualmente vicino al Colle Santo. Inoltre nella stessa area, stando al Gori, sarebbero stati osservati molti aeroliti 37 ; quindi i fenomeni analoghi descritti da Livio per la zona di Rieti potrebbero essere localizzati in questa stessa area - ο piuttosto si tratterebbe di un caso di tradizione popolare legata a questa zona, che potrebbe forse risalire ai tempi antichi (Liv. 25,7). Il fenomeno della caduta di pietre dal cielo fa parte dei tipici prodigi antichi per indicare un luogo in cui doveva sorgere un santuario38.

Infine vorrei ricordare la lussuosa villa dei Brutta Praesentes, sul Monte Calvo, nel territorio di Trebula Mutuesca, dove sono state rinvenute numerose statue appartenenti a un ciclo di Muse39.

Per quanto riguarda l'epigrafe, mi limiterò anche qui a poche osservazioni, importanti però ai fini dell'analisi che si propone : i due punti più discussi della iscrizione riguardano la divinità, qui chiamata Sanctus e, nella riga sotto, con l'importante epiteto Victor, che spesso nelle discussioni intorno a quest'epigrafe è stato un po' trascurato; inoltre, il nome del dedicante, tanto vicino a un suo quasi omonimo molto più illustre, Lucio Mummio, che tanto più poteva essere implicato in una lectio faci-

36 P. Angelotti, cit. a nota 34, p. 18 e p. 106. Cfr. F. Gori, cit. p. 3, nota 2. 37 F. Gori, cit. a nota 3, p. 5. 38 Cfr. l'articolo «prodigiwn » s.v. in RE, 46, Halbband, Nachträge, col. 2283 ss.,

in part. 2289; Cic. de divin.l 97; II 58. Si veda in generale: L. Wülker, Die geschichtliche Entwicklung des Prodigienwesens bei den Römern, Diss. Lipsia, 1903, p. 7 ss. ; F. LuTERBACHER, Der Prodigienglaube und Prodigienstil der Römer, Burgdorf, 1904, p. 18 ss.

39 C. Pietrangeli, Rieti, cit. a nota 33, p. 57 ; M. Torelli, Due epigrafi inedite di Trebula Mutuesca, in Epigraphica, 24, 1962, p. 55 ss.

MEFRA 1985, 1. 20

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lior, in quanto ha lasciato numerose tracce nell'area sabina (Trebula Mutuesca, Cures, Nursia, ma anche per una sua importante dedica a Hercules Victor a Roma) 40. Ma basta citare le spiegazioni di Pirro Ligorio che già parlava, conscio della tentazione, dell'inganno come dice lui, e con preoccupazione e insistenza ritorna sul problema del gentilizio Munius, distinto da Mummius, passo che è stato escluso dalla trascrizione del testo del codice ligoriano torinese da parte di Mommsen nel CIL IX, maggiore responsabile della creazione di un falso titolo Mummiano41.

Il nome della divinità venerata in questo monumento ha fornito l'occasione a lunghe e dotte dispute sull'identità tra Sanctus e Sento Sancus, accostamento (o forse confusione) attestato per il periodo imperiale42; ma, secondo Latte, in periodo repubblicano Èrcole era l'unico - ad eccezione di Apollo - ad avere l'epiteto Sanctus*3. Tornando alla nostra ara, altri tre elementi militano sicuramente in favore di una identificazione con Sanctus-Hercules, al punto da poter escludere l'assimilazione Sanctus e Senio Sancus : si tratta cioè dell'altro epiteto Victor, come già detto un po' dimenticato nella discussione, della evidente rappresentazione di Er-

40 Per i monumenti eretti da L. Mummio, cfr. M. Pape, Griechische Kunstwerke aus Kriegsbeute und ihre öffentliche Aufstellung in Rom, Amburgo, 1975, p. 17 ss. L. Pietilä-Castren, Some Aspects of the Life of Lucius Mummius Achaicus, in Arctos, 12, 1978, p. 116 ss.

41 T. Mommsen riporta integralmente il testo del codice neapolitano, mentre di quello contenuto nel cod. taur., egli interrompe la citazione quando arriva alla parola Musagete (CIL IX, p. 442), tralascia la discussione sul dedicante e riprende la trascrizione alla fine del testo torinese, omissione strana, dato che già F. Ritschl, Titulus Mummianus, Berlino, 1852, p. XII, rifiutava la correzione.

42 Sul problema di Semo Sancus e l'eventuale identificazione con Sanctus, ο più specificamente con Èrcole, particolarmente nel periodo che ci interessa : importante è un'elegia di Properzio IV 9, dove i MSS. che riportano Sanctus venivano da alcuni corretti in Sancus con riferimento al passo di Varr. L.L. V 66, passo a sua volta corretto con l'espunzione della «t» dalla parola Sanctus: cfr. G. Goetz, F. Schoell, M. Terenti Varronis De Lingua Latina, Lipsia, 1910, p. 21 (V 66). La correzione è senz'altro giustificata da certi punti di vista, ma va anche detto che tutto il passo varroniano che riferisce un'opinione di Elio Stilione è poco chiaro, è da notare inoltre che anche il passo di Festo (276, 1 1 Lindsay) è stato corretto (da Sanctus in Sancus) ; per Festo cfr. inoltre ed. Lindsay, p. 420 dove viene spiegato l'epiteto Sanctus : alla seconda riga l'autore faceva riferimento a un'opinione contrapposta a quella di Elio Stilione (At Aelis s . . . fr. 463,7 ss.).

43 Κ. Latte, Römische Religionsgeschichte, Monaco, 1960, p. 220, tranne un'iscrizione che si riferisce ad Apollo. L'epiteto Sanctus, secondo Roscher, s.v. col. 309 (Hofer), rivela spesso influsso orientale. H. Delehay, Sanctus, in Analecta Bollandiana, 28, 1909, p. 145 ss. Cfr. inoltre Cic. Pro Mil., 5, dove si parla di Jupiter Latiaris Sanctus.

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cole sul fregio e della menzione di una decima - offerta fatta soltanto ad Èrcole, secondo l'antico rituale del culto dell'ara Maxima*4.

Il gentilizio dei Munii sembra poco diffuso, ma circa metà delle attestazioni risalgono al periodo repubblicano45. L'area di diffusione va da Roma fino in Campania, cioè Lazio, Sabina, Sannio, sia per quanto riguarda le iscrizioni repubblicane sia per quelle imperiali. Tra gli esempi noti sono di particolare interesse un Lucius Munius Ludi Libertus dal santuario dei fratres Arvales, anch'esso liberto e con lo stesso prenome del dedicante dell'ara di Rieti. L'iscrizione di Roma potrà essere datata alla fine del II sec. a. C. -inizi I sec. a. C. Oltre ad altre attestazioni del nome a Roma, a Amiterno, Anna, Isernia, Benevento, Allifae, Praeneste, di eminente importanza è quella di un M. Munius. M.F. Lemonia, rinvenuta nell'agorà di Smirne, ovviamente negotiator coinvolto nel grande commercio con l'Oriente46.

Già F. Ritschl, e successivamente H. Dessau e G. Wissowa collegavano il carattere dell'iscrizione di Lucio Munio a Rieti con l'attività di un mer- cator ο negotiator41 , ma più specificamente G. Bodei Giglioni insiste sul

44 Accenni alla decima sono del resto molto frequenti tra le iscrizioni repubblicane, cfr. A. Degrassi, ILLRP, 134, 142 (?), 136, 149, 155. Cfr. inoltre nota 55.

Inoltre, ad es., G. Bodei Giglioni, Pecunia fanatica, rist. in F. Coarelli, Studi su Praeneste, Perugia, 1978, p. 22 ss. (da RSI, 89, 1977, p. 52 ss.) H. Roth, Untersuchungen über die lateinischen Weihgedichte auf Stein, Giessen 1935, p. 35. CIL I2 1482, 1531, 1698, 1805, 2645 (?), 585 (82).

45 Secondo Münzer, (s.v. «Munius») in RE, XVI, 1, col. 642 il gentilizio era rarissimo. Nella letteratura si trovano due cenni : Tac. Hist. IV 1 8 e Val. Max. IX 1,8 che correggeva il nome in Mucius. Per le iscrizioni repubblicane: CIL I2 977, dal santuario dei fr. Arvales, CIL I2 1117 (= VI 8313) olla da vigna S. Caesarii. CIL I2 682 trovata tra Caserta e Marciano, si riferisce a un pagus Herculaneus (N. Mun- nius, N. L. Antiocus). CIL I2 1532 da Atina (dedica a Cerere). CIL I2 1533 da Atina (// vir che con il suo collega costruiva la via per il foro pecuario). CIL I2 1875 a l'Aquila con provenienza incerta. Da segnalare anche i bolli su tegole e pesi da telaio nel mantovano di L · MUN · PRI(MI) - l'integrazione «Munatius» proposta nel catalogo della mostra Misurare la terra . . . Il caso mantovano, Modena, [1984,] p. 172 ss. non è sicura. A. Passerini, in Athenaeum, 15, 1937, p. 270, no. 35, aggiunge un negotiator ricordato in un'iscrizione dell'agorà di Smirne. Inoltre: CIL IX 4274, 3941, 6310, 1894 bis, 1895, 2376, CIL VI 34004 (—3), 14598, 22695 (—8), 22743 (liberto di un Munio con il nome Musaeus), CIL XIV 3919, 2991.

46 A. Passerini, cit. a nota precedente. 47 F. Ritschl, Titulus Mummianus, Berlino, 1852, p. XII. H. Dessau, Inscriptio-

nes Latinae Selectae, Berlino, 1892-1906, 3410. G. Wissowa, Beri. Philol. Wochenschrift, 20. August 1904, col. 1052, parla di Geschäftgewinn invece di Kriegsbeute.

H. Roth, Untersuchungen über die lateinischen Weihgedichte auf Stein, Diss. Giessen, 1935, p. 84.

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termine «pro usura»48, che secondo un passo delle Verrine di Cicerone (II, 3, 168) significherebbe anticipo della decima, cioè una quota della decima uguale al tasso di interesse praticato nella usura. Inoltre l'autrice sottolinea che i verbi cogère e dissolvere avrebbero il significato di comprare e vendere. Recentemente, e ancora più esplicitamente ci è ritornato J. An- dreau, proponendo di riconoscere un ricco coactor49. Incerto resta se Munio abbia esercitato la sua attività nel santuario di Èrcole ο se, da esterno, forse banchiere nella vicina Reate, abbia fatto l'offerta ad Èrcole, protettore dei commercianti. Secondo G. Bodei Giglioni, l'attività bancaria e la disponibilità per depositi nei santuari dell'Italia repubblicana non erano molto diffuse e, secondo la stessa studiosa, nessun santuario nell'Italia romana concedeva prestiti50. Un'intensa attività bancaria, proprio in stretto rapporto con Èrcole Vincitore, è stata proposta da C. Pie- rattini per il caso del santuario di Èrcole a Tivoli51, da dove proviene anche un'iscrizione greca che menziona due trapezisti52. Un particolare legame tra il mestiere del coactor ο auctionator e il loro dio protettore Èrcole risulta dal titolo di un'Atellana di Novio, all'incirca contemporanea al nostro monumento : Hercules Coactor (o Auctiontor), quindi Èrcole come esattore, simile al reatino Lucius Munius53.

Non è qui il momento di approfondire quest'aspetto di Èrcole in Italia centrale, protettore del commercio, degli affari bancari, ma anche guerriero54, appunto: Victor. L'aspetto commerciale risale, per D. van

48 G. Bodei Giglioni, Pecunia fanatica, cit. a nota 44, p. 53. 49 J. Andreau, Les affaires de Monsieur Jucundus (Collection de l'École française

de Rome, 19), Roma, 1974, p. 106 accenna al rapporto tra coactor e decima. Più specificatamente l'autore tornerà sull'argomento in una monografia in corso di preparazione. Cfr. inoltre Id., Banque grecque et banque romaine, in MEFRA, 80, 1968, p. 469 ss., in part. p. 493.

50 G. Bodei, cit. a nota 44, p. 26 (53). 51 C. Pierattini, Aspetti funzioni e fortuna dell'Ercole Tiburtino, in Atti Mem.

Tivoli, 54, 1981, p. 22 ss. 52 G. Bevilacqua, Due trapezisti in un'iscrizione a Tivoli, in Arch. Class., 30,

1978, p. 252 ss. Inoltre: Z.Mari, in Atti Soc. Tib., 56, 1983, p. 50 s. (Herculaneus Coactor Argentarius).

53 P. Frassineto, Atellanae Fabulae, Roma, 1967, p. 79. 54 Per l'aspetto commerciale : J. Bayet, Les origines de l'Hercule romain, Parigi,

1926, (BEFAR, 132), p. 288 ss. Come guardiano del tesoro, cfr. anche : J. Bayet, Hercule funéraire, in MEFR, 39, 1923, p. 89 ss. Inoltre si veda : D. Van Berchem, Hercule Melqart à l'ara Maxima, in RPAA, 32, 1959/60, p. 61 ss.; Id., in Syria, 44, 1967, p. 73 ss. e 307 ss. ; R. Rebuffat, Les Phéniciens à Roma, in MEFRA, 78, 1966, p. 7 ss., in part. p. 25 s. e 39 s.

Su Hercules Victor: S. Weinstock, Victor and Invictus, in HThR, 38, 1945,

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Berchem, più che alle origini greche del culto nei pressi dell'antico porto di Roma, all'influsso del fenicio Ercole-Melqart. Comunque si può dire che questa è la sua funzione principale in periodo repubblicano, che toglie quasi tutto lo spazio a Mercurio. Particolarmente frequenti sono i grandi e piccoli santuari dedicati a Èrcole in tutta la Sabina, nel Lazio, nell'area dei Marsi, Vestini, Aequi, Peligni ecc. 55, ed Èrcole diventò così in modo particolare protettore delle greggi e dei pastori, aspetto che ricorda naturalmente anche la sua fatica dei buoi di Gerione, la più legata all'Italia56. Sembra quindi sufficiente soltanto ricordare quello che è stato detto più volte prima, che i sacelli, le are, i santuari si trovavano lungo le vie commerciali, ma anche sui passaggi della transumanza, preferibilmente nei pressi dei mercati (extra-urbani, come ad esempio i fora pecuaria - ο di altro bestiame - quale la situazione originaria del santuario di Tivoli, ma probabilmente anche dei Sjantuari di Èrcole a Praeneste, a Sora, a Alba Fucens e di tanti altri luoghi57) oppure in località dove si svolgevano dei mercati e delle fiere periodiche, come ha dimostrato E. Gabba58. Ma pic-

p. 189 ss., inoltre Id., in RE s.v. Tibur, col. 827 ss. C. Pierattini, cit. a nota 51, p. 29 s.

55 V. Van Wonterghem, Le culte d'Hercule chez les Paeligni, in AC, 42, 1973, p. 36 ss. A. De Niro, // culto di Èrcole tra i Sanniti Pentri e Frentani, Doc. di Antichità italiche e romane, Molise, 1977. In generale : J. Ch. Balty, À propos de quelques séries de bronzes italiques et du culte d'Hercule. . ., in Alumni (Bruxelles), 39, 1964, p. 45 ss. Sulle statuine votive : G. Colonna, Bronzi votivi umbro-sabellici a figura umana, I, Firenze, 1970, p. 118 ss. Sul culto in generale : E. C. Evans, The Cults of the Sabine Territory, Roma, 1939, p. 69 ss. G. Hallam, Cenni sul culto di Èrcole Vincitore in Tivoli e dintorni, in AttiMem. Tiburt., 11/12, 1931/32, p. 394 ss. G. Becatti, // culto di Èrcole a Ostia, in BCAR, 67, 1939, p. 37 ss. Su singoli monumenti, cfr. ad es. : Sora : La media Valle del Liri, in Boll. dell'Ist. di St. e di Arte del Lazio merid., 9, 1976/7, p. 74, sched. 20,13. NSA, 1910, p. 29 s. (Iscr. CIL X 5708). Fondi: NSA, 1937, p. 65 s. Anguillara : NSA, 1934, p. 146 ss.

56 Cfr. per il rapporto : G. Dumézil, Les dieux des marchands, in La religion romaine archaïque, p. 219 n. 1 e p. 433 ss. Sul santuario presso Padova : A. Degras- si, ILLRP 1072-1087. T. Yoshimura, Italische Orakel, in La Nouvelle Clio, 7-9, 1955-7, p. 397 ss. A. La Regina, M. Torelli, Due sortes preromane, in Arch. Class., 20, 1968, p. 221 ss. Cfr. inoltre : G. M. Rispoli, Iniziazione e katabasis di Eracle, in ΑΑΡ, 1, 1969/70, p. 423 ss.

57 J. Ch. Balty, in Alba Fucens II, Bruxelles-Roma, 1969, p. 69 ss. Per il santuario di Èrcole di Praeneste, cfr. F. Coarelli, Lazio (GAL), Bari, 1982, p. 155. Per il santuario di Èrcole presso Sora, cfr. ora A. Tanzilli, Antica topografia di Sora e del suo territorio, Isola del Liri, 1982, p. 142 s.

58 E. Gabba, Fiere e mercati nell'Italia romana, in SCO, 24, 1975, p. 141 ss. ; E. Gabba, M. Pasquinucci, Strutture agrarie e allevamento transumante nell'Italia romana, Pisa, 1979, p. 181 e note 237 e 238.

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coli sacelli o edicole dovevano trovarsi ai bivi lungo le vie, come attesta Festo (p. 334 L) e come dimostrano numerosi ritrovamenti sparsi, grotte, iscrizioni, statuine votive, ecc. 59.

Interpretaziune del fregio raffigurato sul monumento di l. munius

Comunque, il problema più grosso collegato con l'interpretazione dell'ara di Lucio Munio è quello del fregio figurato e in particolare quella della figura di Èrcole, del quale abbiamo descrizioni dettagliate e un disegno sufficente per poterne capire le fattezze, disegno che del resto, come già è stato notato, corrisponde alla descrizione che lo accompagna.

Nel ricchissimo repertorio di episodi del mito di Eracle esistono due leggende in cui l'eroe divinizzato appare in abiti femminili. Una è la storia di Eracle al servizio della regina orientale Onfale60, l'altra è quella di Eracle naufrago e rifugiato a Cos61. La prima è la più citata tra gli archeologi, che collegano quasi sempre l'Èrcole vestito da donna con il mito di Onfale; molti vedono anche nell'episodio di Cos un rapporto diretto con la stessa leggenda, che però è da respingere62. Stando alle fonti letterarie si deve costatare che questo rapporto tra le due leggende non è stato visto in epoca antica, e che esse sono molto diverse per quanto riguarda la struttura e il significato : nel mito di Onfale, ambientato in Oriente, Eracle ha anche una funzione di amante oltre che di servo-sacerdote ed è quindi una specie di Melqart-Baal-Adonis che si unisce alla regina in hieros gamos63. Giovanni Lido, che ci racconta la storia (de mag. Ill 64), mette in evidenza l'elemento erotico, di seduzione, e descrive il vestito di Èrcole come leggerissimo e trasparente, in modo che si poteva intrav-

59 Cfr. nota 55. 60 Joh. Lyd., de mag. Ill 64. 61 Plut, qu.gr. 58. L. R. Farnell, Greek Hero Cults and the Idea of Immortality ,

Oxford, 1921, p. 160 ss. P. Nilsson, Griechische Feste, Lipsia, 1906, p. 491 ss. 62 L. R. Farnell, cit. a nota 61, p. 162 ss. 63 Accenno allo hieros gamos : E. G. Suhr, Herakles and Omphale, in AJA, 57,

1953, p. 261. L'autore rifiuta l'idea che la sposa di Eracle a Cos possa essere Onfale. Cfr.

inoltre U. Von Wilamowitz Moellendorff, Hercules Fur ens, I, p. 279 ss., 315 e 319 - che spiega come errore il riferimento etinco ad una donna tracia, corrotto da Tra- chis; l'autore stabilisce un rapporto tra la leggenda di Cos e Onfale, in quanto quest'ultimo mito conosce un legame tra Eracle e Trachis.

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vedere il suo corpo. Questo connotato decisamente erotico è rimasto uno degli elementi principali anche nella letteratura latina che accenna a questo mito, da Ovidio (Fast. II 319) a Properzio (IV 10,4), a un'opera perduta di Apuleio intitolata Erotikos6* che trattava lo stesso mito, a Tertulliano (de pali. Ili 1). Le poche rappresentazioni figurative sicure tra le opere d'arte romana sottolineano con molta evidenza lo stesso aspetto, così ad esempio due gruppi scultorei che rappresentano Èrcole con il vestito leg- gerissimo, abbracciato da Onfale nuda con la leonté in testa e la clava in mano (cfr. fig. 4)65. Una versione un pò differente si trova su un cratere della bottega aretina di Cerdo Perennio che rappresenta Èrcole su una kline circondato dalle serve della corte ed in compagnia di personaggi dionisiaci66.

Nella legenda di Cos invece, Eracle, salpato con altre sei navi da Troia, si perde in una tempesta e raggiunge, naufrago, l'isola Cos, dove però arriva senza le sue armi. Sull'isola viene coinvolto in una lotta contro un pastore al quale chiedeva un ariete per fare un sacrificio, e successivamente con i Meropi venuti in soccorso del pastore. L'eroe si rifugia nella casa di una donna tracia e si nasconde sotto la veste prestatagli dalla stessa donna. L'eroe finalmente vince la battaglia e sposa Chalkiopé; da allora, preosegue il racconto, i sacerdoti di Eracle avrebbero eseguito il sacrificio in abiti femminili.

Secondo L. R. Farnell e W. R. Halliday67, si tratta di una leggenda complessa e composta da vari elementi. Per la prima parte è stata riconosciuta un'origine omerica; segue la lotta contro il pastore Antagoras, impresa che ricorda la lotta contro Eryx per i buoi di Gerione; invece la successiva avventura con i Meropi richiamerebbe vicende piratesche, spesso legate alla storia di quest'isola, particolare che ci interessa anche

64 T. Mantero, L'Erotikos di Apuleio, in Studi classici in onore di Q. Cataudella, Catania, 1972, III, in part. p. 480 ss.

65 E. G. Suhr, Herakles and Omphale, cit. a nota 62, p. 251 ss.; R. Herbig, Herakles im Orient, in Corolla L. Curtius, Stoccarda, 1937, p. 208 ss.; P. Arndt, La Glyp- tothèque Ny Carlsberg, Monaco, 1896, p. 175, tav. 126; G. E. Rizzo, Pittura ellenisti- co-romana, tavv. 73-74 (casa di M. Lucrezio); G. Lippold, Herakles-Mosaik von Liria, in JDAI, 37, 1922, p. 1 ss. e tav. 1.

66 M. T. Marabini Moevs, Le Muse di Ambracia, in BA, 66, 1981, 12, p. 1 ss., in part. G. E. Rizzo, // sarcofago di Torre Nova, in MDAI (fi), 25, 1910, p. 160 ss. H. Le Bonniec, Hercule et Omphale dans les Fastes d'Ovide, in Homm. à A. Grenier, II, Bruxelles, 1962, p. 974 ss.

67 L. R. Farnell, Greek Hero Cults and the Ideas of Immortality, Oxford, 1921, p. 160 ss.; W. R. Halliday, The Greek Questions of Plutarch, Oxford, 1928, p. 212 ss.

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Illustration non autorisée à la diffusion

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Fig. 4 - Èrcole e Onfale nella Ny Carlsberg Glyptothek (secondo P. Arndt, Katalog der Skulpturen in der Ny Carlsberg Glyptothek, Monaco, 1935, tav. 126).

per la leggenda di fondazione del culto di Hercules Victor a Roma68. L'eroe si rifugia poi in una casa di una donna tracia, che gli offre un proprio abito perché questi possa travestirsi ο a dirla con Plutarco, nascondervisi sotto. A questo punto occorre osservare la differenza fondamentale con il tipo di vestito presente nel mito di Onfale, che viene

68 Se l'interpretazione con imprese piratesche è giusta, si potrebbe confrontare l'elemento molto simile nel racconto di Masurio Sabino, riferito da Macrob. Sat., Ili 6, 11.

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descritto come sottile e trasparente; qui invece sembra che l'autore, con il verbo katakryptein e il vestito pesante lungo di origine tracia, con cintura a vita, volesse fare allusione a un elemento teatrale ο forse misterico. Eracle, come un attore, si nasconde sotto la maschera e il vestito tracio; ma non si sa bene quale rapporto abbia tale donna con il racconto delle imprese di Eracle a Cos, se non forse per dare il vestito così caratteristico all'eroe69.

La questione della donna tracia ha incuriosito anche L. R. Farnell che si domanda : « What has a Thracian woman to do with Kos and an old tradition about Herakles?»70. Invece W. R. Halliday parla di «obscure connexion of Thracian woman with the cult of Herakles in Kos»71. Wila- mowitz risolve il problema, spiegando il riferimento all'appartenenza etnica della donna come corruzione da Trachis72; L. R. Farnell tenta di analizzare quest'elemento curioso attraverso un racconto eziologico relativo all'introduzione del culto di Eracle a Erythrai nel quale viene utilizzato lo stesso riferimento alla donna tracia73. Il confronto sembra tanto più convincente, dal momento che si tratta di una leggenda connessa con l'arrivo di Eracle in una città ionica di una zona molto vicina. In questo caso, Eracle viene da Tiro e le donne tracie vengono specificamente indicate come schiave. Questa precisazione fatta da Pausania (7,5,5), che riporta la leggenda dell'introduzione di Eracle a Erythrai, ha indotto a pensare che la donna tracia starebbe in ambedue i racconti per una schiava o, almeno, all'introduzione del culto. In effetti, sia nel santuario di Eracle a Cos, sia in quello a Erythrai, gli schiavi sembrano eccezionalmente ammessi74.

Inoltre, sia L. R. Farnell, che W. R. Halliday riconoscono nel matrimonio tra Eracle e Chalkiopé e nel secondo travestimento dell'eroe che indossa per le nozze una veste a fiori una parte autonoma rispetto al racconto iniziale della leggenda75. Questo secondo travestimento di Eracle a

69 Sembra evidente che si tratta allo stesso momento di un modo per dire che il vestito fosse di questo tipo. Per il vestito tracio usato nel teatro : G. E. Rizzo, cit. a nota 66, in particolare p. 156 ss.; M. Bieber, Die Herkunft des tragischen Kostüms, in JDAI, 32, 1917, p. 15 ss.

70 L. R. Farnell, cit. a nota 67, p. 160. 71 W. R. Halliday, cit. a nota 67, p. 215. 72 U. von Wilamowitz Moellendorff, cit. a nota 63. 73 Paus. 7, 5, 5; L. R. Farnell, cit. a nota 67, p. 160 s. 74 Id., p. 162 e 163, cfr. anche per il problema dell'ammissione della donna al

culto di Eracle. 75 L. R. Farnell, cit. a nota 67, p. 165 ss.; W. R. Halliday, cit. a nota 67, p. 216.

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Cos differisce totalmente dal primo; l'eroe, da sposo - e quindi in un rito di passaggio nuziale - porta la veste decorata {stole anthiné), certamente il leggero abito tipico delle ragazze di Cos76. Plutarco, insomma, per rispondere alla domanda perché i sacerdoti del culto di Eracle ad Antimachia indossano abiti femminili, risponde con il racconto della leggenda eziologica che contiene, oltre a varie componenti diverse tra di loro, anche due tipi di travestimento.

Tornando all'Eracle-Melqart di Tiro, introdotto a Erythrai, è interessante notare che le monete di questa città mostrano la statua del dio con la clava nella mano destra e la lancia nella sinistra, quindi una specie di Eracle guerriero come Hercules Victor11. Ma a parte quest'aspetto dell'eroe nella versione fenicia, un'altra informazione relativa alla stessa divinità ci fornisce un dato molto prezioso per il problema dell'abbigliamento femminile : Silio Italico, descrivendo il santuario e il culto di Èrcole gaditano, chiamato anche Tyrio, parla dei sacerdoti che portano un vestito leggero di lino, incolore e senza cintura78. Questo tipo di vestito doveva quindi essere praticamente dello stesso genere della veste sidonia di Èrcole nel mito di Onfale, cioè il tipico chitone della cortigiana, con la fondamentale differenza del colore. La veste sidonia viene sempre descritta come tinta di rosso, alle volte anche come pietà19, mentre era tipico, anche in altre aree della Fenicia, che il sacerdote portasse l'abito bianco, non tinto80.

Ritornando ora al nostro monumento, il disegno che raffigura Èrcole di profilo riproduce chiaramente un abito leggero, senza cintura e che lascia scoperto il braccio destro (cfr. fig. 3); il testo di Pirro Ligorio parla di stoffa leggerissima che fa intravvedere «i suoi rilevati membri»81.

Si tratta quindi indubbiamente di un abito come lo indossa l'eroe nel mito di Onfale e non del pesante vestito tracio, come l'Èrcole di Cos nel primo travestimento. Ci sono però due cose che impediscono di ricono-

76 Sul vestito in particolare, W. R. Halliday, cit. a nota 67, p. 217 ss., T. Mante- ro, cit. a nota 64, p. 480 ss. ; S. M. Sherwin White, Ancient Cos, Gottinga, 1978, in part. p. 382 ss. Cfr. inoltre RE, s.v. Sandon, col. 2265 (Philipp).

77 Cfr. Röscher, s.v. Herakles, col. 2137. Per l'epiteton Victor, cfr. S. Weinstock, cit. a nota 54.

78 Sil. It., Punic. 3,23 : Saetigeros arcere ses; nee discolor vili, ante aras cultus; velantur corpora lino.

79 Seneca, Hercules Furens, 467, 663 : fulsitque pictum veste Sidonia latus. Ov. Fast II 319 : dat tenuis tunicas murice tinctas.

80 A. Garcia y Bellido, Hercules Gaditanus, in AEA, 36, 1963, p. 70 ss. 81 Cfr. nota 15.

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scere senza problemi la versione della leggenda di Onf ale nel monumento reatino : primo, la descrizione di Pirro Ligorio parla chiaramente di otto figure femminili che lui chiama Muse, esprimendo però un certo disagio quando dice che Èrcole stesso sarebbe la nona Musa, altrimenti mancante; secondo, l'epigrafe del monumento con la menzione dell'epiteto Victor non lascia spazio per interpretazioni libere82. Per quanto riguarda il primo punto, non ci è noto nessun rapporto tra il mito di Èrcole e Onfale e le Muse. Il fatto che il già citato atelier aretino di Perennio abbia prodotto, oltre a un cratere con la rappresentazione del mito della regina orientale, anche una serie di coppe con Èrcole e le muse83, chiamandolo Hercules Mosön, quindi Hercules Musarum, potrebbe essere un caso. Infatti, la figura di Èrcole sulle coppe, pur indossando abiti femminili anche come Musagete, viene resa in tutt'altro modo : egli porta l'abito pesante, cinto alla vita, con un mantello sulle spalle, ma in questo caso la maschera alzata lo fa chiaramente riconoscere come Èrcole-attore, appunto con l'abito da attore ο musicista. Altre, più sicure rappresentazioni di Hercules Musarum, danno invece l'eroe nudo : così nell'importante serie monetale di Q. Pomponius Musa64, la quale si rifaceva forse al ciclo che si trovava nel tempio di Fulvio Nobiliore a Roma, costruito nel 187/179 a. C. - la cui facciata, con la statua di Èrcole nell'intercolumnio centrale, è forse ricon- scibile in una lastra Campana85 : anche qui, comunque, l'eroe è nudo. Tuttavia in questo contesto si può ricordare che nel tempio di Hercules Musa- rum a Roma si trovava un'altare (o una base) circolare, riconoscibile sulla Forma Urbis, che era, forse, decorata con le rappresentazioni di Èrcole e

82 II carattere di Victor è più specifico e chiaro di quello di Sanctus, cfr. S. Wenstock, cit. a nota 54. Our facendo un riferimento allo «scambio» degli attributi tra Eracle e Onfale nello Hercules Furens di Seneca (465 ss.), dramma dove l'eroe viene chiamato anche Victor, non si può dire che ci sia un'identificazione tra l'Eracle del mito di Onfale e quello chiamato Victor. Interessante per il problema che ci occupa in questa sede sarebbe conoscere più specificamente il carattere dell'epiteto Sanctus in questo periodo. In epoca repubblicana, come già accennato, Sanctus sembra esclusivamente Hercules, come risulta anche dalle iscrizioni raccolte da A. Degrassi ILLRP, dove troviamo addirittura, nell'indice, «Sanctus v. Hercules » (p. 458). Senio Sancus chiamato Sanctus, come CIL VI 568 è indubbiamente imperiale. Per Sanctus cfr. nota 42, inoltre RE s.v., col. 2248 ss. (Link) e Roscher, s.v., col. 308 ss. (Höfer).

83 M. T. Marabini Moevs, Le Muse di Ambracia, in BA, 66, 1981, 12, p. 20 ss. 84 M. T. Marabini Moevs, cit. a nota 83, p. 9 ss. e fig. 3. 85 M. T. Marabini Moevs, cit. a nota 83, p. 5, fig. 5. Per il tempio di Hercules

Musarum cfr. anche il recente articolo di M. Martina, Aèdes Herculis Musarum, in DArch, 1981, 1, p. 49 ss. con ricca bibliografia.

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le 9 Muse86. Anche se dovessimo accettare che sulla base di Rieti è rappresentato Hercules Musarum di un tipo finora sconosciuto, resterebbe da spiegare il rapporto tra questo e Hercules Victor, o cioè, meglio, se questo possa essere identificato direttamente con il primo e se le 8 fanciulle non meglio descritte debbano per forza rappresentare le Muse, attribuendo allo scultore l'errore di aver dimenticato la nona. 0 se non possa invece trattarsi di un altro coro di ragazze che appaiono in otto, ο almeno con un numero non fisso, ad esempio ninfe, Sibille, o, eventualmente, il coro dei tibicines (in abiti femminili), di cui parla M. Vittori87.

Proprio parlando dei tibicines, si può ricordare la data delle feriae tibicinum del 13 giugno, festa legata al sabino Hercules Victor di Tivoli, che corrisponde al dies natalis di Hercules Musarum68. I tibicines di Roma, vestiti da ragazze - com'era del resto uso per questi musicisti - si recarono a Tibur, dopo che era stato proibito loro di consumare il banchetto nel tempio di Giove. Successivamente, con l'inganno, furono riportati ubriachi su un carro a Roma nel Foro89; aition che sembra appartenere più alla sfera dionisiaca che a quella erculea. Osservazioni analoghe sono state fatte anche per numerosi altri elementi riguardanti i culti di Hercules Victor e Invictus90. Potrebbe forse essere in rapporto con la leggenda del ritorno dei tibicines una statua descritta da Plinio (n.h. 34, 93) : «... est una (statua) praetereunda, quamquam auctoris incerti, iuxta rostra, Herculis tunicati, sola eo habitu Romae, torva facies sentiensque suprema tunicae ». In seguito Plinio riferisce che ci sarebbero state tre dediche sotto questa statua, una delle quali di un Ti. Septimius Sabinus. La tunica menzionata da Plinio ricorda il termine uguale usato da Dione Cassio e Lampridio per Commodo nelle sue esibizioni come gladiatore, vestito da Èrcole in abiti femminili91. Sempre secondo Plinio, presso i rostri erano

86 Cfr. la supposta base di statua CIL, VI, 1307. Cfr. inoltre Plin. n.h. 35,36; Cic. pro Arch. 27; Paneg. Lai., IX 7. Non è certo che l'ara menzionata de Plut., Quaest. Rom. 59 sia da collegare con il tempio di Hercules Musarum.

87 Cfr. p. 301 e nota 23. 88 Cfr. M. Martina, cit. a nota 85, p. 54 ; per il dies natalis di Hercules Musarum :

Fasti Philocali, CIL I, 1, 320 (= //, XIII, 2, 471). Per i Quinquatrus minusculae, cfr. K. Latte, cit. a nota 43, p. 165, nota 2.

89 Per la leggenda dei tibicines: Liv. 9, 30, 5; Val. Max. 2,5, 4; cfr. inoltre l'iscrizione repubblicana CIL I2 988 (VI 36756). A proposito dei Quinquatrus minusculae : K. Latte, cfr. nota precedente.

90 J. G. Frazer, Atys et Osiris, Parigi, 1926, p. 226, n. 753; K. Latte, cit. a nota 43 p. 362. Röscher, s.v. Herakles, col. 2184 (Furtwängler).

91 Cass. Dio 20, 3; Ael. Lamprid. 9, 6; cfr. inoltre Herod. 14, 8; Athen. XII 537. J. Gagé, L'assassinat de Commode et les sortes Herculis, in REL, 46, 1968, p. 280 ss.

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collocate le statue di tre Sibille, Probabilmente le tre Sibille italiche92 : quindi il rapporto con l'Èrcole tiburtino mi pare abbastanza certo. Alla stessa festa dei tibicines, connessa ovviamente con il luogo dove era arrivato il corteo tornando da Tivoli, appunto nel Foro, fa inoltre riferimento un passo di Valerio Massimo (II 5,4) che dice : « Tibicinum quoque collegium solet in foro vulgi oculos in se convertere, . . .personis tecto capite variaque veste velatum, concentus edit».

Un'idea di quest'Ercole «tunicato», menzionato in Plinio, ci potrebbe essere data forse da un rilievo rinvenuto nel foro di Tivoli, utilizzato in una mensa ponderarla (fig. 5)93. L'identificazione con Hercules Victor è senz'altro fuori dubbio : comunque sia chiamato il tipo di abito, la rappresentazione sul rilievo tiburtino mostra un Èrcole con il pesante vestito tracio, cinto e con maniche lunghe : il vestito quindi che abbiamo visto sulle coppe aretine di un Èrcole-attore, il vestito da tibicen, oppure quello del primo travestimento della leggenda di Cos : ad ogni modo, un abito decisamente diverso da quello, descritto e diseganto, che indossa Èrcole sul monumento di Lucius Munius a Rieti.

Resta infine un importante passo di Giovanni Lido (de mens. IV 67), che menziona per il 3 aprile la festa di Herakles Epinikios nei cui Misteri, come dice esplicitamente l'autore, gli uomini si ornavano di abiti femminili, usando il termine stola.

Stola ο stole è un termine abbastanza generico che, ad esempio nel citato passo delle Quaestiones Graecae di Plutarco viene usato chiaramente per il leggero vestito fiorito delle ragazze di Cos, cioè per l'abito indossato da Èrcole nel secondo travestimento, in occasione delle nozze con Chalkiopé94, mentre Giovanni Lido, nel suo racconto del mito di Eracle ed Onfale (de mag. Ill 64), usa l'espressione chiton per il leggero vestito sido- nio. Secondo Ateneo invece, la stola sarebbe stata inventata da Eschilo per gli attori e poi sarebbe stata usata dallo ierofante di Eleusi, e quindi starebbe chiaramente per il pesante vestito tracio95. Non potendo quindi identificare con certezza il tipo di vestito portato dagli uomini ai «Misteri» di Èrcole Vincitore, chiamato stola da Giovanni Lido, e dato che in

92 Plin. n.h. 34, 22. La frase di Plinio : Equidem et Sibyllae iuxta rostra esse non miror, très sint licet. Forse non meraviglia, perché le statue si trovavano vicine a quella di Èrcole che, se veniva riconosciuto come Èrcole tiburtino, avrebbe avuto uno stretto rapporto con una Sibilla, cfr. C. Pierattini, cit. a nota 51, p. 11.

93 C. F. Giuliani, Tibur I, Forma Italiae I 7, Roma, 1970, p. 66, fig. 26. 94 Cfr. Plut., Qu. Gr. 58. 95 Athen. I 21 E; G. E. Rizzo, cit. a nota 66, p. 156.

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Fig. 5 - Rilievo con Èrcole Tiburtino dalla mensa ponderarla del foro di Tivoli.

testi latini gli abiti femminili indossati da uomini vengono chiamati con termini altrettanto vaghi come vestis ο tunica96, sarà opportuno indagare ulteriormente sulle funzioni ed i vari aspetti di Hercules Victor ed i probabili significati del suo travestimento da donna.

Un aspetto è, appunto, quello misterico, il forte rapporto con il culto di Dioniso e in genere con i culti ctonii, Demetra, Kore, ecc.97, per il quale

96 SlL. It., Punic. Ill 21 ss.; Propert. IV 9; Ον., Fast. II 347. 97 J. Bayet, cit. a nota 54, p. 258 ss. e 396 ss. H. Le Bonniec, Hercule et Omphale

dans les Fastes d'Ovide, in Hommage à A. Grenier, II, Bruxelles, 1962, p. 947 ss.

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esiste un indizio preciso nel culto di Èrcole a Tivoli, Ostia, Anzio ed altri98, cioè quello del sacrificio purificatorio della scrofa pregna. I monumenti romani che rappresentano Èrcole iniziando ai misteri lo mostrano effettivamente coperto con qualche tipo di vestito : nell'esempio del sarcofago di Torre Nova con una specie di chitone, sull'urna Lovatelli un'abito con frange e cintura il ed. chitone fimbriato".

Ma i documenti sia archeologici che letterari sono purtroppo poco significativi e non ammettono una precisa definizione del tipo di vestito indossato da Hercules-Mystis 10°. Di grande interesse a questo proposito è lo Hercules Furens di Seneca, tragedia che tratta a lungo l'iniziazione e la katabasis di Èrcole, che viene chiamato Victor quando ritorna dall'Ade. Nello stesso dramma si fa inoltre sarcastico riferimento alla vestis sidonia dell'eroe, che aveva avuto il «coraggio» di dare la clava e la leonté a Onfa- le e vestirsi con l'abito leggero femminile della regina101.

Va inoltre ricordato l'aspetto oracolare del santuario di Èrcole a Tivoli e di tanti altri nell'Italia repubblicana102. Ai ricordi letterari di un oracolo di Fauno (Virgilio, Aen. 7, 81 ss.) e della Sibilla Albunea si aggiungono due importanti iscrizioni che collegano il luogo di oracolo di Tivoli con il Santuario di Èrcole Vincitore103. Ma bastava già il racconto eziologico di Masurio Sabino, riferito da Macrobio nei Saturnalia (III 6,11) per capire l'evidente rapporto tra Hercules Victor e la sua funzione come dio

98 G. H. Hallam, in JRS, 21, 1931, p. 277 ss. (grotta a Tivoli). G. Becatti, // culto di Èrcole a Ostia, cit. a nota 55 : ara circolare con Èrcole sacrificante un maiale {CIL 4298). Cfr. un rilievo a Torino: G. E. Rizzo, cit. a nota 66 p. 131, n. 2, fig. 10. Cfr. in generale per il problema : A. D. Nock, The Cult of Heroes, in HthR, 37, 1944, p. 141 ss. R. Turcan, À propos d'Ovide Fast. IV 313-330, in REL, 37, 1959, p. 195 ss. Κ. Kerenyi, Eleusis, New York, 1967, p. 52 ss. Pithoi circolari in un santuario di Eracle sono stati trovati a Thasos : F.Robert, Thymélè, Paris, 1939, BEFAR, 147, p. 244. G. M. Rispoli, Iniziazione e katabasis, cit. a nota 56.

99 K. Kerenyi, Eleusis, New York, 1967, p. 54 ss., figg. 12 A-D. 100 Cfr. K. Kerenyi, Eleusis, cit.; G. E. Rizzo, cit. a nota 66, p. 14 parla del chito

ne fimbriato. 101 Seneca, Here. Furens, 467 ss. 102 T. Yoshimura, Italische Orakel, in La Nouvelle Clio, cit. a nota 56, p. 399 e

413 ss. R. Bloch, in La divination ed. par A.Caquot et M. Leibovici, Paris, 1968, p. 216 ss. A. La Regina, M. Torelli, Due sortes preromane, in Arch. Class., 20, 1968, p. 121 ss. J. Gagé, L'assassinat, cit. a nota 91, in part. 284 ss., A. Bouché Leclercq, Histoire de la divination dans l'antiquité, Bruxelles, 1879-82, vol. IV, p. 14 ss. Cfr. anche E. Moskovszky, Larentia and the God?, in Arch. Hung. 25, 1973, p. 241 ss.

103 Importante soprattutto l'iscrizione : Delanei. H. V. Sortiar, da Tivoli, cfr. //, IV, 1 (G. Mancini), Roma, 1952, n. 11. Inoltre l'iscrizione che menziona Albunea: cfr. C. Pierattini, cit. a nota 51 ; // Tibur, IV 1 (G. Mancini), Roma, 1952, n. 359.

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oracolare : un certo Marcus Octavius Herrenus dopo esser stato tibicen, esercita l'attività di commerciante. In uno dei viaggi egli era stato aggredito dai pirati, contro i quali si difese con successo. In un sogno gli apparve Èrcole, rivelandogli che l'esito favorevole era dovuto al suo intervento. In seguito, Octavius Herrenus gli costruì un tempio, dedicando la statua di culto, e nella dedica lo chiamava Vincitore. Difficilmente potremmo pensare a una storia più programmatica di questa : Octavius Herrenus era tibicen e quindi apparteneva a un collegio sacerdotale di musicisti molto famoso, per il quale è attestato un particolare rapporto con Tibur - e forse in particolare con il santuario di Èrcole104. Dopo egli esercitò l'attività più significativa in quest'area geografica nella seconda metà del II sec. a. C, cioè quella del mercator, negotiator, anzi M. Octavius Herrennus faceva parte dei negotiatores coinvolti nel commercio con l'Oriente, dato che navigando sarebbe stato attaccato dai pirati. Il suo dio-protettore, al quale avrebbe offerto la decima già prima di partire, era Èrcole, protettore dei commercianti, e, in rapporto con il commercio orientale, in parti- colar modo, protettore dei commercianti d'olio (come risulta da dediche a Delo) 105, quindi di uno dei prodotti di mercato più noti della Sabina 106.

Il racconto culmina però con l'apparizione del dio in sogno ad Herrenus, a cui suggerisce di conferirgli l'epiteto Victor. Si tratta quindi, indubbiamente, di un'ispirazione divinatoria durante il sonno oracolare. L'incubazione doveva per altro essere la prassi più diffusa nel culto degli eroi mantici : Asclepio, Anfiarao, Trofonio, ecc. 107. M. Guarducci, parlando del carattere oracolare di Èrcole, trattando di Hercules Curinus a Sulmo, ricorda anche il sintomatico epiteto «Somnialis» — oltre a quello di Victor e di Sanctus, ambedue attestati in alcuni graffiti trovati nel santuario vicino Sulmona 108. In generale si può, inoltre, parlare di uno stretto rapporto con la iatromanzia e quindi anche con i culti ctonii 109.

A. Brelich, nella sua monografia sugli eroi greci, afferma che Eracle non sembrerebbe un eroe mantico, pur avendo manifestazioni mantiche nelle tragedie come nello Hercules fur ens uo. Per la Grecia conosciamo il

104 C. Pierattini, cit. a nota 51, p. 34 nota 61 e p. 36, n. 74. 105 F. Coarelli, L'agorà des Italiens à Délos : II mercato degli schiavi?, in Delo e

l'Italia, Opuscula (Inst. Finlandiae), II, 1982, p. 132 s. e nota 77. 106 Le fonti sono raccolte in RE, s.v. «Sabini», col. 1584 (Philipp). 107 A. Bouché Leclercq, cit. a nota 102. 108 M. Guarduccì, Graffiti parietali nel santuario di Èrcole Curino presso Sulmon

a, in Scritti sul Mondo antico, in Mem. F. Grosso, Roma, 1981, p. 225 ss. 109 A. Brelich, Gli eroi greci, Roma, 1968, p. Ili ss. 110 A. Brelich, cit. a nota 109, p. 195.

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nome di Herakles Mantiklos nello Asklepieion di Messene111 e quindi associato con l'eroe-mantis dell'incubazione per eccellenza. Un Eracle oracolare, che appare a Sofocle nel sonno, è citato inoltre da Cicerone (de divin. I 54). Un altro santuario oracolare connesso con Eracle si trovava a Bura in Achaia, dove, in una grotta fuori dell'abitato, veniva praticato l'oracolo con gli astragali, uno dei rari esempi in grecia di un tipo di cle- romanzia, più diffusa come prassi in Asia minore - ad esempio a Termes- sos in una grotta dedicata a Eracle - e soprattutto in Italia sotto la forma di oracolo con le sorti112.

Nel giudizio di Cicerone (de divin. II 85), l'oracolo con le sorti era poco serio e poco attendibile. Questo tipo di «gioco d'azzardo», certamente più popolare che il famoso oracolo per ispirazione di tipo delfico, è più legato alla superstizione, ai piccoli miracoli e alla magia, un fenomeno che, non a caso, ha visto una vastissima diffusione nel II sec. a. C. 113. Tra i più famosi santuari oracolari in Italia dobbiamo collocare, accanto a quello della Sibilla di Cuma e della Fortuna di Praeneste, l'oracolo di Gerione presso Padova114, che, ovviamente, ha uno stretto rapporto con Èrcole. Yoshimura ha voluto vedere un legame con il passaggio delle Alpi di Èrcole, proveniente dalla Spagna, dove a Gades l'eroe aveva il suo santuario con oracolo più noto, consultato anche da Pompeo e Cesare, descritto da Silio Italico (punie. 3,21) e cantato da Properzio (4,9), dove , alla fine, il dio viene chiamato Sanctus115.

All'oracolo del fons Aponis presso Padova, Yoshimura ha in generale attribuito un'importanza decisiva per la diffusione degli oracoli di Gerio- ne-Ercole in Italia116 e vede un elemento celtico nel tipo delle sortes dei santuari oracolari in Italia. Un legame con l'impresa di Gerione si può probabilmente riconoscere in tutti gli oracoli di Eracle in Italia, connessi con la sua funzione di protettore delle greggi e dei pastori : così certamente a Tivoli, dove il luogo del santuario extra-urbano corrisponde all'antico mercato fuori dell'abitato, sulla via Tiburtina, ma anche a Sul-

111 Paus. IV 23, 10. Cfr. già Pind., I 6, 42-54. 112 F. Heinevetter, Würfel-und Buchstabenorakel in Griechenland und Kleinas

ien, Breslavia, 1911, p. 25 s. 113 A. La Regina, M. Torelli, cit. a nota 102, p. 224 SS. R. Bloch, cit. a

nota 102. 114 T. Yoshimura, cit. a nota 102, p. 408 s. M. Torelli, in DArch, 1983, 2,

p. 15 ss. 115 Cfr. nota 42. 116 Y. Yoshimura, cit. a nota 102, p. 405 ss. A. Bouché Leclercq, cit. a nota 102,

p. 155 ss.

MEFRA 1985, 1. 21

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mona, nel santuario di Èrcole Curino117. Ma persino per il santuario di Hercules Custos a Roma, Marziale in uno dei suoi epigrammi allude al mito di Gerione118. Va ricordato in quest'occasione l'oracolo cleromantico di Hercules Victor a Ostia, che ci è documentato da un rilievo del I sec. a. C. 119 Ed è in questo contesto che troviamo un altro travestimento di un uomo da donna, un travestimento che non serve a nascondersi, ma che allude proprio a un cambiamento di sesso. Il mantis deve apparire come fanciulla, fin dai tempi più antichi, non soltanto dai tempi di Tiresia 120. I Cureti sono chiamati da Halliday, nel suo studio sulla divinazione greca, i maghi della preistoria : per il loro nome esisterebbe una etimologia che lo spiega come derivante dall'abito femminile121. La presenza dei Cureti in culti eroico-mantici, come quello di Messene, offre forse in parte un'inter- pretazione diversa per la curiosa presenza dei Salii, i «Cureti» romani, nel culto di Hercules Victor, fatto che è sempre stato interpretato esclusivamente come funzione marziale del dio tiburtino 122.

Direi quindi che Hercules Victor à anche legato alle funzioni di Hercu- les-Mystis e/o Hercules- Mantis. Quasi certamente non esisteva nessun rapporto vero con il mito di Onfale, mentre non si può escludere un eventuale rapporto con il culto di Cos e con quello fenicio di Gades, dove i sacerdoti indossano delle vesti leggere senza cintura 123.

Resta incerto il significato di quel gruppo di figure accanto a Èrcole, chiamate coro, banda, Muse dai testimoni oculari del monumento di Rie- ti 124 : dato un indubbio stretto rapporto con il santuario tiburtino, la vecchia proposta di M. Vittori, che si tratti di tibicines, non è del tutto infondata, ma anche Muse, Ninfe e Sibille sarebbero giustificabili in un culto di carattere sia misterico sia oracolare.

Il santuario di Hercules Victor reatino, del quale sono rimaste poche tracce, era situato in una zona che si presterebbe particolarmente bene

117 M. Guarducci, cit. a nota 108, p. 230 ss. A. La Regina, M. Torelli, cit. a nota 102, p. 228.

118 Ep. XLV 5. F. Gori, Sull'oracolo di Èrcole, Roma 1864. 119 G. Becatti, cit. a nota 55, p. 46 ss. 120 Cfr. W. R. Halliday, cit. a nota 102, p. 90 ss. 121 Ibid., p. 70. 122 II Mantis è responsabile per la vittoria, e quindi, in questo senso, esiste uno

stretto rapporto : W. R. Halliday, cit. a nota 102, p. 96. Per le funzioni marziali, cfr. S. Weinstock, RE, s.v. Tibur, col. 824 e 828. Id.,

Hercules Victor and Invicuts, in HThR, 38, 1945. 123 Sil. Ital. cfr. nota 78 ; A. Garcia y Bellido, Hercules Gaditanus, cit. a nota 80,

p. 128 s. 124 Cfr. sopra p.299 e note 15 e 23.

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L'ARA DI LUCIUS MUNIUS A RIETI 323

per i tipi di culto sopra descritti. La vicinanza di sorgenti per i culti oracolari, particolarmente quelli in Italia, dove è molto diffusa l'idromanzia (Clitunno, forse Vicarello, santuario di Angizia nella zona dei Marsi) e la vicinanza del lago 125, suggeriscono inevitabilmente un'allusione alla kata- basis dell'eroe e alle due fatiche contro Cerbero e contro Gerione, connesse sia con la sua iniziazione, sia, almeno la seconda, con il suo oracolo. Alla stessa sfera rimanda inoltre anche la forma circolare del monumento 126.

Concludendo, si potrebbe citare un passo di Plinio (N.H. 31, 13) dove viene attribuito all'acqua del lago Velino la forza che fa nauseare ο impazzire, uno dei mezzi tipici nei culti oracolari per entrare in contatto con il dio127. Sembra assai probabile, di conseguenza, la presenza di un oracolo presso il lago Velino che richiamerebbe con forza la situazione del santuario di Angizia al lago del Fucino, zona pastorale, con una divinità che ha evidenti legami con il mondo degli Inferi, ma anche con la iatromanzia. Dalla zona del santuario proviene inoltre un rilievo raffigurante Èrcole sdraiato, chiaramente non come banchettante, ma come Hercules Somnialis 128.

Università di Trieste Monika Verzar Bass

125 Cfr. G. M. Rispoli, cit. a nota 56, p. 423 s. Cfr. anche, per il lago del Fucino : C. Letta, / Marsi e il Fucino nell'Antichità, in Ce.S.D.I.R. 3, Milano, 1972, in part, p. 53 ss.

126 F. Robert, Thymélè (BEFAR, 147), Parigi, 1939, in part. p. 229 ss. e p. 276 ss. Per il rapporto tra oracolo e lago : M. Ninck, Die Bedeutung des Wassers im Kuet und Leben der Alten, Lipsia, 1921, (suppl. a Philologus, 14.2), in part. p. 77 ss.

127 W. R. Halliday, cit. a nota 102, p. 124; cfr. anche p. 212. A. Bouché Le- clercq, cit. a nota 102.

128 II rilievo (con una piccola meridiana) si trova al Museo comunale di Avezza- no, cfr. Neg. Inst. DAI 79-2771.