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0 Scuola Secondaria di I grado “Augusto Caperle” Verso Monet... Immagini, impressioni e riflessioni, racconti Classe III D Anno scolastico 2013 -2014

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Scuola Secondaria di I grado

“Augusto Caperle”

Verso Monet...

Immagini, impressioni e riflessioni, racconti

Classe III D

Anno scolastico 2013 -2014

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Presentazione

Sono costretto a continue trasformazioni, perché tutto cresce e rinverdisce. Insomma, a forza di trasformazioni, io seguo la natura senza poterla afferrare, e poi questo fiume che scende, risale, un giorno verde, poi giallo, oggi pomeriggio asciutto e domani sarà un torrente.

C. Monet

Queste parole di Claude Monet ben presentano il percorso da cui sono

nate le immagini, le riflessioni ed i racconti raccolti in queste pagine.

Dopo la visita alla mostra d’arte Verso Monet, durante la quale hanno

avuto modo di ammirare splendide opere d’arte, i ragazzi e le ragazze

di III D ne hanno riprodotte alcune; potete vedere i risultati nella prima

parte di questo lavoro.

Poi sono state loro avanzate due proposte diverse.

Perché non scegliere il dipinto che più avesse colpito oguno di loro e,

dopo aver riportato in una breve introduzione i dati dell’opera, non

lasciarsi ispirare da essa e dagli elementi in essa raffigurati per

inventare un racconto che desse libero spazio alla fantasia?

O, in alternativa, perché non riflettere sulle emozioni che proviamo e

che nascono dall’opera d’arte? Esse sono la chiave per farci scoprire,

al di là di ogni conoscenza teorica, il messaggio che l’artista

intendeva trasmettere e che si è conservato lungo i secoli.

Questi sono gli spunti che hanno ispirato le ragazze ed i ragazzi di III D

nella scrittura delle pagine che seguono, nate dalla convinzione che

anche le parole hanno colori speciali: ispirandosi ad un’opera d’arte,

esse possono ricreare l’atmosfera di un panorama, i colori di un cielo o

di un prato, evocando sentimenti e sensazioni. Ogni ragazzo, ogni

ragazza ha scritto le proprie emozioni o riflessioni, oppure ha creato il

proprio racconto.

Buona lettura.

Le insegnanti di Italiano ed Arte della classe III D

Maria-Cristina Voi e Maddalena Panzieri

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Indice Presentazione pag. 1

Immagini pag. 3

Emozioni e riflessioni San Giorgio al tramonto di Elisa Belloni pag. 10

Ninfee di Alice Benatti pag. 12

Ninfee di Edoardo Bonafé pag. 15

Mare al chiaro di luna di Brian Colognese pag. 16

Capriccio di Aldo Gaspari pag. 18

Il lago Tahoe di Alessandro Mascalzoni pag. 20

La Senna a Chatou di Arianna Perozeni pag. 22

Il sentiero riparato di Sofia Raule pag. 24

L’uliveto di Marco Rossi pag. 26

L’eruzione delle Souffrier Mountains di Mauro Vedovello pag. 28

Racconti La casetta del pescatore sugli scogli di Giorgia Braghi pag. 30

Temporale sulla puzsta di Rebecca Danzi pag. 33

La Senna a Chatou di Jacopo Fameli pag. 35

Capriccio di Rachele Godi pag. 38

L’eruzione delle Souffrier Montains di Nicola Marchesini pag. 41

La casetta del pescatore sugli scogli di Beatrice Merzi pag. 43

La Senna a Chatou di Luana Montoli pag. 45

Eruzione del Vesuvio di Mattia Mosconi pag. 48

Helminghan Dell di Noemi Salvagno pag. 50

Eruzione nell’isola di San Vincenzo di Alberto Stevanoni pag. 54

Il salice piangente di Matilde Tommasi pag. 56

La casetta del pescatore sugli scogli di Alice Tommasini pag. 58

La casa del pescatore a Varengeville di Irene Verdari pag. 61

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Immagini

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Emozioni e riflessioni SAN GIORGIO AL TRAMONTO

In questo testo parlerò dell’opera impressionista di Claude Monet “San

Giorgio al tramonto”. Essa è stata realizzata nel 1908 ed attualmente è

conservata al National Museum Wales, a Cardiff in Galles.

La tecnica esecutiva utilizzata da Monet per questo quadro è l’olio su tela. Il

pittore ha usato molti colori diversi per il dipinto.

Il quadro ha come soggetto una chiesa della Serenissima Repubblica di

Venezia, rappresentata nella parte sinistra del dipinto.

Nella parte destra, invece, si intravede l’ombra di alcune cupole di altri

edifici, ma anche queste non sono nitide e distinguibili perché sono dipinte

con un insieme di colori.

La cattedrale si riflette nell’acqua della laguna; l’acqua del mare e il cielo

fanno da cornice.

Questo quadro non riproduce soltanto un luogo, ma attraverso colori, luci e

ombre, Monet è riuscito a creare un dipinto in grado di trasmettere

emozioni e stati d’animo che, forse, provava egli stesso in quel momento.

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I contorni della cattedrale non sono definiti. Questo aspetto, mi dà un senso

di turbamento e di indecisione. Anche il colore utilizzato per il complesso di

San Marco esprime queste sensazioni. È caratterizzato da pennellate scure,

che richiamano altri sentimenti come una profonda tristezza e una sorta di

depressione interna. Guardando la tela, mi accorgo che il cielo non è del

solito colore azzurro, ma sembra quasi un’esplosione di colori e l’acqua è

stata dipinta in tal modo da sembrare in movimento. Tutto, nell’insieme, non

mi dà certo l’idea di un tramonto sereno.

Secondo me, Monet voleva esprimere in quest’opera qualche suo disagio

interno che forse sarebbe esploso successivamente. Proprio così, ha

espresso sé stesso rappresentando un’esplosione di colore: era ciò che

probabilmente il pittore si portava dentro e che aveva la necessità di far

uscire. Una vera e propria confusione, quella che Monet provava,

rappresentata dal miscuglio di colori.

Secondo me, Monet è riuscito bene a rendere soggetto di questo quadro la

natura stessa, soggetto principale dell’Impressionismo.

Il paesaggio di questo quadro, inoltre, ha fatto rinascere in me alcuni ricordi

della mia infanzia. Non a Venezia, ma nelle isole Eolie, avevo già provato la

sensazione espressa dal tramonto rappresentato in questo quadro, quando

il sole, con una miriade di colori arancio, tramontava e si immergeva nel

mare in una calda serata d’agosto.

Elisa Belloni

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Emozioni e riflessioni NINFEE

Ninfee, C. Monet, 1908

Un tocco violaceo, uno rosato, uno color lavanda. Una rapida pennellata

verdognola, accostata al riflesso turchese del cielo nel laghetto a Giverny,

in Francia; ed ecco che, come d'incanto, appaiono una delicata ninfea in

equilibrio sulle sue tipiche foglie e l’acqua, resa poco cristallina dalla

naturale vegetazione che cresce indisturbata. Basta poco per creare tutto

ciò, anche se le ninfee di Monet poco non sono.

È restando davanti ad opere simili che capisco come tutto possa prendere

una propria forma, creare un proprio spazio, una propria dimensione senza

tempo nella quale immergersi e ricevere.

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Ricevere tante emozioni, una tempesta di sentimenti sprigionata

liberamente da ciò che all'apparenza è un semplice quadro; è un vento

forte, un mare impetuoso, un fuoco scoppiettante. Trovarsi di fronte a

questo dipinto è per me “entrare nel mondo del dipinto”. Un mondo il cui

senso va oltre il tempo: benché sia frutto di un determinato periodo storico,

esso si rivela custode di un'infinita sensazione di indescrivibile forza. Per

entrare in questo spazio non basta vedere: bisogna guardare, scrutare,

osservare al di là della forma, perché le emozioni che trasmette e che ora

sento così vicine sono il segreto custodito dall'opera.

A mio parere, infatti, il messaggio dei quadri si estende oltre ciò che noi

possiamo percepire in maniera semplice, è qualcosa di complesso e

strepitoso, è il messaggio delle emozioni.

Osservando le ninfee di Monet riesco ad entrare nella spettacolare

dimensione creata da esse, riesco a sentirmi come se sulla riva di quel

grazioso laghetto ci fossi io che, immersa nei miei pensieri, mi guardo

timidamente intorno alla ricerca di sensazioni che solo i più attenti sono in

grado di cogliere. Ora forse mi potrà essere detto che è tutto frutto della

mia immaginazione e che il modo in cui mi sento, tanto pacifico quanto

strano, non riguarda la realtà. Ma io credo che questa concretezza non

possa essere raccontata e descritta senza immaginazione e che l'arte, e

tutto ciò che essa lascia provare, incide a tal punto sulla realtà da

plasmarla, rendendola migliore.

Io credo che davanti ad una qualsiasi opera risulti normale avere come

primo rapporto un giudizio, mi piace o non mi piace, ma l'importante è

dimenticare la propria opinione ed aprirsi a un'esperienza nuova che possa

arricchire. Che cosa significa esperienza in questo caso? Vuol dire che ci

sono opere che, dopo averne colto il vero senso, vanno a costituire una

delle piastrelle principali della strada della vita e non importa se verranno

lasciate indietro, lungo il percorso, perché saranno sempre presenti ed

importanti, in quanto ci hanno cambiato la vita stessa.

È interessante questo; io sono dell'idea che, prima di osservare Monet, uno

stagno era solo un semplice stagno, mentre dopo esso può diventare una

fonte di magia: diviene un luogo che ha una sua importanza, novità e

unicità. L'arte è in grado di cambiare i modi di vedere, l'arte è potente. La

difficoltà sta nel saper accoglierla, il che può sembrare semplice, ma

bisogna riuscire a mettere da parte il proprio giudizio ed accettare nuove

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idee, diverse ma capaci di arricchire immensamente la mente contorta

degli esseri umani. L'interpretazione di un'opera significa mettere del proprio

nel mondo dell'opera stessa, e non lasciarsi trasportare solo dalle vere

emozioni suscitate da essa.

Più guardo queste ninfee e più posso confermare tutto ciò. "Ora," mi dico

"chiudi gli occhi e cerca di immaginare Monet, nel suo giardino quasi

incantato... Lo vedi? Ottimo. Ed ora osservalo mentre dipinge quella riva del

laghetto, osserva il suo volto, guarda dentro il suo sguardo. Riesci a

percepire le immortali sensazioni di serenità, gioia, libertà e pace? Riesci a

sentire l'immobilità dell'acqua in questa giornata di primavera? E,

soprattutto, ti rendi conto dello spazio in cui ora ti trovi, uno spazio oltre la

storia? Io sì."

Ho i brividi. L’arte è pelle d’oca, l’arte è restare a bocca aperta e con gli

occhi sgranati. L’arte è rifugio, è un mezzo d’espressione tramite il quale

vengono trasmessi sentimenti puri. Niente maschere, l’arte è verità.

Alice Benatti

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Emozioni e riflessioni NINFEE

Io e la mia classe ci siamo trovati nel Piazzale Lambranzi, a Marzana, per

andare alla visita guidata sull’impressionismo e su Claude Monet alla Gran

Guardia. Siamo arrivati alle nove e mezzo circa; entrati, ci ha accolto una

ragazza che era la nostra guida. Si è presentata e noi ci siamo presentati a

lei. La guida ci ha accompagnato in sette stanze dove c’erano i dipinti di

artisti del periodo impressionista.

Abbiamo ammirato quadri bellissimi, però uno mi è rimasto impresso nella

mente e si tratta del quadro di Claude Monet intitolato Le ninfee.

Questo quadro rappresenta le ninfee dello stagno nel giardino del pittore, a

Giverny, in Francia. In esso, oltre alle ninfee, ci sono molte altre specie di

piante: tulipani e salici piangenti, da ciò che vedo nelle immagini di quel

luogo. Ho scelto questo quadro perché mi piacciono molto le piante, mi

piacciono anche il modo in cui è colorato, le diverse sfumature e tonalità di

luce che il pittore ha espresso.Monet passò quasi tutta la propria vita ad

osservare questo stagno e dipingerlo; questo mi ha molto colpito.

Edoardo Bonafé

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Emozioni e riflessioni MARE AL CHIARO DI LUNA E VIANDANTE SUL MARE DI NEBBIA

Nella mostra “Verso Monet” che

siamo andati a vedere con la

scuola, il quadro che mi è piaciuto di

più è ”Mare al chiaro di Luna” di

Caspar Friedrich.

Questo quadro è stato dipinto nel

1835 - 1836, è un olio su tela, grande

134 cm per 169,2 cm.

Friedrich era un pittore romantico e

basava i suoi dipinti sull’osservazione

di paesaggi della Germania come

questo.

Ma analizziamolo meglio; facendo qualche ricerca ho scoperto che questo

paesaggio è il Mar Baltico, che si trova nel nord della Germania.

L’opera mi dà sensazioni ed emozioni molto malinconiche, date dal colore molto

scuro del quadro e dalle nuvole molto grosse e scure.

Ma non mi trasmette solo malinconia, ho anche la sensazione di vastità.

Questa sensazione è data dall’orizzonte che mi fa

sentire piccolo in confronto alla natura imponente

espressa nel quadro.

La sensazione di piccolezza è presente in molti quadri,

come quello studiato a scuola il cui titolo è:

“Viandante sul mare di nebbia”.

Ma ritorniamo al quadro di prima.

A scuola abbiamo visto che in esso la natura,

(soggetto principale del quadro) non comunica la

sensazione di libertà ma è una natura sfavorevole e

“cattiva”, cerca di “ucciderti”.

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In questa angoscia, però, si trova anche la speranza : uno squarcio di luce in

mezzo alle nuvole dato dalla Luna, dà al quadro un senso di salvezza possibile.

che nel “Viandante sul mare di nebbia”non c’è.

Per ricapitolare: questo è un quadro che trasmette inquietudine ma anche un po’

di speranza.

Brian Colognese

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Emozioni e riflessioni

CAPRICCIO

Il giorno in cui siamo andati alla mostra al palazzo della Gran Guardia non

ero molto entusiasta all’idea, perché per me i quadri dipinti dal periodo

impressionista fino ad oggi sono quadri privi di senso, creati utilizzando linee

e forme a caso. Ma, dal momento che la scuola non condivide la mia

stessa opinione, ho dovuto “sopportare” due ore di visita guidata all’interno

dell’imponente costruzione.

Uno dei pochi quadri che mi è veramente piaciuto è stato il «Capriccio» di

Giovanni Antonio Canal, detto Canaletto, dipinto però nel periodo

precedente a quello impressionista. L’opera mostra in primo piano il Ponte

dei sospiri di Venezia e accanto al ponte sono stati dipinti due edifici di città

differenti, uno di Vicenza e uno di Padova. Questo quadro, a prima vista, mi

ha fatto venire in mente la gita che feci in quinta elementare a Venezia.

Dapprima, l’impressione dominante in me è stata lo stupore, non solo per

l’idea dell’accostamento di questi due monumenti, ma anche per la

perfezione con cui il quadro è stato realizzato: i tre edifici sembrava che

fossero stati veramente attaccati per magia l’uno all’altro, e lo sguardo

indifferente delle persone sullo sfondo suggeriva normalità; nessuno pareva

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che se ne fosse accorto e la gente passeggiava tranquilla in secondo

piano. Anche il modo in cui è stato dipinto lasciava stupiti gli spettatori: i

monumenti sembravano una fotografia, i particolari erano così perfetti che

nessuno avrebbe detto fosse un quadro.

Aldo Gaspari

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Emozioni e riflessioni IL LAGO TAHOE

<<Ed ecco, alla vostra sinistra potete osservare l’angolo dedicato agli artisti

americani dell’epoca romantica…>>. La visita alla mostra “Verso Monet”

stava per volgere al termine ed eravamo tutti abbastanza stanchi, visto che

era durata molto, quindi, arrivati a quel punto, prestare attenzione alle

parole pronunciate dalla guida non era certo facile!

Buttai un’occhiata veloce e disinteressata ai due quadri degli artisti

menzionati. Un secondo dopo non riuscivo a togliere il mio sguardo da uno

dei dipinti in particolare: “Il Lago Tahoe” di Albert Bierstadt, realizzato nel

1867. Era come se avesse una calamita all’interno che mi attraeva: non

potevo fare a meno di osservarlo! Infatti, più che le indiscutibili abilità

tecniche dell’artista, a sorprendermi erano le emozioni che la visione di quel

quadro suscitava in me: erano così tante e contrastanti tra loro che non

riuscivo a distinguerle! Dal coraggio alla paura, dall’armonia alla

confusione… Insomma, un po’ di tutto!

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È proprio una bella sensazione quando qualcosa ti colpisce in modo tale da

non riuscire più a staccare gli occhi! In particolare, quando a farmi questo

effetto è un’opera d’arte, mi viene da pensare alla bravura dell’autore,

perché significa che è riuscito a raggiungere il suo scopo: comunicare a chi

ammira il suo capolavoro le sue sensazioni e i suoi stati d’animo.

Le emozioni sono “l’essenza” dell’arte: un pittore può avere le abilità

tecniche migliori del mondo, ma se i suoi quadri non suscitano niente nei

cuori di coloro che li guardano, non ha colto nel segno. Attraverso le

emozioni, inoltre, è possibile arricchire la descrizione di un quadro,

aggiungendo particolari affascinanti e interessanti alla solita esposizione

della tecnica, della struttura compositiva, dei soggetti… In ogni dipinto,

ciascun elemento evoca in chi lo guarda un’emozione particolare, in modo

tale che nell’insieme lo spettatore sia “travolto” da una marea di stati

d’animo, restando quindi senza parole.

Anche nel quadro si ripresenta questa situazione, perché ogni elemento ha

un ruolo preciso. Ad esempio, la roccia in primo piano mi trasmette una

sensazione di coraggio e curiosità: mi piacerebbe spingermi in esplorazione

per scovare che cosa ci sia dietro! Ma oltre a darmi coraggio, c’è un altro

elemento del dipinto che mi trasmette la sensazione inversa, cioè la paura:

le nuvole in cielo mi incutono un po’ di timore perché danno l’idea che da

un momento all’altro possa scatenarsi un violento temporale. In

contrapposizione a questa paura, c’è la calma, trasmessa dall’acqua

ferma e limpida del lago e da uno spiraglio di cielo azzurro, con le

montagne sullo sfondo che mi donano sicurezza, grazie alle loro enormi

dimensioni. Un’altra sensazione, forse quella dominante, è l’armonia offerta

dalla natura, la vera protagonista del quadro: gli alberi, le rocce, l’acqua, le

montagne sono di una bellezza eccezionale, da togliere il fiato e mi

trasmettono a loro volta un altro stato d’animo molto importante, cioè il

rispetto. Sembrano infatti ricordarci che, se la natura non viene rispettata,

può ribellarsi contro di noi per mezzo di catastrofi naturali.

Analizzare un’opera d’arte attraverso le sensazioni che offre è molto bello

perché si possono anche tralasciare gli approfondimenti tecnici, dando così

spazio alla nostra spontanea e creativa interpretazione. Le emozioni

trasmesse sono davvero molte e diverse: basta lasciarsi trasportare da esse.

Alessandro Mascalzoni

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Emozioni e riflessioni

LA SENNA A CHATOU

In tutta la sua storia, l’uomo ha sempre provato il bisogno di esprimere, di

esternare ciò che di immenso nasconde al suo interno, qualcosa che lui

stesso stenta a trovare, di cui fatica a percepire il profondo significato.

È da questo bisogno di esprimersi che nascono l’arte, la poesia, la musica.

Sono i colori, le parole, le note che portano con sé le emozioni dell’autore.

Come in una tela, dove il pittore ripone le proprie emozioni, sicuro che essa

non lo tradirà mai. Come nei colori, animali ribelli che accontentano o

deludono a seconda di quali rapporti stabiliscono tra loro; e il pittore,

domatore esperto, li indirizza verso ciò che assomiglia ad un sentimento.

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Tutto questo, succede su una tela. Una tela che il tempo non può intimorire,

una tela fedele alla sua promessa fatta al pittore che un secolo prima le

aveva confidato le proprie emozioni. Le tiene strette a sé, decisa a non

farsele sfuggire. Le emozioni, impregnate nei fili che la compongono, sono

pronte a “farsi rivivere” da qualsiasi persona le si avvicini. Mi hanno assalito.

E’ stato un attimo: una goccia salata mi ha illuminato gli occhi, per poi

andare a rigare la mia guancia accaldata per l’elevata temperatura della

sala. Avevano fatto il loro dovere: mi avevano emozionato. Ero fragile, ora, i

colori sgargianti di quel quadro mi fecero intuire uno strano velo di

malinconia. Una malinconia antica, ma ricorrente. La malinconia

dell’acqua che scorre, del sole delicato, del fiore scosso da un vento

conosciuto: “La Senna a Chatou”.

Il pittore era stato bravo; Renoir aveva nascosto dietro colori allegri una

dolce malinconia, che accarezza come quel vento, che ancora soffia in

quella tela. Un passato che mi appartiene, ma che sfugge alla mente; fa

parte del mio essere, eppure sfuma nei vaghi ricordi. La stessa emozione?

Quei colori mi appartengono, ed è questo il motivo per il quale riescono ad

emozionarmi. Sfumature interiori, azzardate. Fanno ricordare quando non

pensavo in continuazione a ciò che doveva venire; captavo e catturavo le

emozioni, come farfalle nel retino del mio cuore. Ed ora le ritrovo disegnate:

la paura, la felicità, la spensieratezza, la tranquillità; tutte sono presenti, non

ne manca neppure una. Aggregate ad altre dipinte insieme a loro, nuove

emozioni che ancora non mi appartengono: l’amore che ti fa battere forte

il cuore è in quella ragazza in piedi, la serietà regalata dalla responsabilità.

Ma quelle già vissute, quelle mi hanno emozionato di nuovo. Hanno scosso

la polvere che faceva da scudo al mio stato interiore; ed eccomi qui, nuda

davanti alle mie emozioni. Impotente. Sono io. C’è una parte di me in quel

quadro. Una parte di me passata, come se mi guardassi allo specchio: mi

rivedo, piccola ma conosciuta, sono io.

Arianna Perozeni

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Emozioni e riflessioni

IL SENTIERO RIPARATO

Il ventidue gennaio ho visitato con la mia classe la mostra “Verso Monet” e

sono rimasta estasiata dalla bellezza e dal significato dei dipinti esposti alla

Gran Guardia. Tra le numerose sezioni di quadri, quella che riguardava

l’Impressionismo ed il paesaggio è stata quella che ho apprezzato

maggiormente.

Un dipinto in particolare mi ha veramente colpita e l’autore di esso è tra i

principali esponenti del movimento artistico.

“Il sentiero riparato”: è questo il titolo di uno dei capolavori di Claude

Monet, pittore che esprime alla perfezione i concetti base della corrente

artistica cui appartiene.

Penso che Monet abbia scelto questo titolo per rendere l’idea della

sicurezza: un sentiero “riparato” è sicuro, protetto, confortevole, fa stare

bene. La scena rappresentata è molto semplice: il soggetto principale è

ovviamente il paesaggio, però è presente anche un uomo che passeggia

lungo un sentiero immerso nella natura.

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Questa è una scena di vita quotidiana molto semplice; l’osservatore può

facilmente immedesimarsi nel personaggio posto al centro del dipinto,

quindi capire ed apprezzare di più il lavoro del pittore.

La struttura compositiva è ridotta al minimo, è assente: Monet ha dipinto, da

bravo pittore impressionista, “en plein air”, senza aver fatto neanche uno

schizzo prima di procedere con la stesura del colore.

Le pennellate sono visibili ad occhio nudo: è piacevole osservare come il

pittore, con l’utilizzo di tutti i colori puri, nell’insieme abbia saputo creare un

effetto sorprendente. Le tonalità scelte per rappresentare il prato ed i

cespugli in primo piano sono calde, gioiose, mentre man mano che si

progredisce verso la fine del sentiero i colori diventano sempre più sfumati e

tendenti al blu, all’azzurro, segno di distacco e freddezza.

La pittura, per Monet, è un’esigenza, qualcosa di vitale, come l’ossigeno, e

indissolubile, come un patto fatto col sangue.

Il pittore ha letteralmente dipinto i sentimenti: ha trasferito sulla tela il

mistero, l’amore per la natura, il colore della vita, la purezza e la freschezza

che lo contraddistinguono, la speranza in un futuro luminoso, la serenità e la

pace.

Ogni quadro fa parte di un suo percorso interiore, che sta a noi decifrare

per capire il genio artistico di Monet.

Si dice che i pittori impressionisti “cogliessero l’attimo” per rappresentare la

bellezza, la luminosità ed i colori riflessi sul paesaggio in un solo istante.

Penso che l’Impressionismo, oltre ad essere un movimento artistico, sia

anche uno stile di vita: fa apprezzare ogni istante come fosse l’unico al

mondo, quindi permette di godere di ogni emozione che esso suscita in noi

per offrirla agli altri sotto forma di colore.

Sofia Raule

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Emozioni e riflessioni

L' ULIVETO

Vincent Van Gogh è stato un pittore post-impressionista che influenzò

l’espressionismo (movimento culturale tra la fine del XIX e il XX secolo).

Nacque in Olanda nel 1853 e morì nel 1890. La sua vita fu breve, e purtroppo

segnata da molti dolori e disagi, derivanti da una forma di infermità mentale.

Trascorse gli ultimi anni della sua vita in un centro di cura in Provenza e mise fine

alle sue sofferenze suicidandosi, almeno così si pensa, con un colpo di pistola.

Il quadro qui sopra, L'uliveto, è stato realizzato da lui nel giugno del 1889, l’anno

prima della sua morte. L’opera è molto deprimente e a mio parere mette

angoscia. I colori sono spenti e tristi. I tronchi degli alberi sono blu e quindi surreali,

ma, allo stesso tempo, in grado di evocare dolore. Questo sentimento è dato non

solo dal colore ma anche dalla forma contorta e quasi sofferente che assumono.

Anche l’erba è abbastanza surreale ed angosciante.

Un altro quadro di Van Gogh che mi è piaciuto e mi ha, per un certo verso, un po'

inquietato è il Campo di grano con volo dei corvi.

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Anch’esso è stato dipinto nell'ultimo periodo della sua vita e precisamente nel

1890 ed è l’esempio più palese della sua immensa angoscia verso la vita e del suo

timore della morte.

I corvi sono sempre stati dei simboli di malaugurio, di morte e di sciagure. Anche

qui i colori sono angoscianti. Il dipinto è diviso in due parti orizzontali: quella del

campo di grano, l’altra del cielo molto scuro in alto, che va via via a schiarirsi. Una

cosa particolare di questo dipinto è l’uso del nero, che non era mai utilizzato dagli

altri pittori.

In generale mi piace molto Van Gogh per il suo uso del colore e per la sua

sensibilità. Trovo che le sue opere siano molto belle perché trasmettono moltissimo

sul piano emotivo e l'uso del colore è davvero unico.

Marco Rossi

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Emozioni e riflessioni

L’ERUZIONE DELLE SOUFFRIER MOUNTAINS

NELL'ISOLA DI SAN VINCENZO A MEZZANOTTE

Questo dipinto L'eruzione delle Souffrier Mountains nell'isola di San Vincenzo a

mezzanotte è stato realizzato nel 1815 dal pittore William Turner.

L’artista è nato in Inghilterra, più precisamente a Londra, nel 1775. È stato un

pittore inglese appartenente al movimento romantico, e il suo stile ha posto le basi

dell’impressionismo.

Pur essendo famoso per le sue opere ad olio, Turner è anche uno dei più grandi

maestri della realizzazione dei paesaggi ad acquarello.

Questo quadro mi ha veramente colpito per le emozioni che mi ha trasmesso.

Ad esempio nel guardarlo ho provato una sensazione di paura, per la distruzione

che provocano i lapilli di fuoco.

Turner in questo quadro presenta come soggetto principale il vulcano e la sua

distruzione, ma se lo guardi bene si possono scorgere i particolari come il laghetto;

in mezzo all’acqua e al buio si intravede anche una barchetta solitaria.

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I dipinti di Turner rappresentano spesso scene impressionanti come naufragi,

incendi e catastrofi naturali, come il quadro di cui sto parlando.

Cos’altro posso dire di quest’opera?

È molto buio in essa, l’unica luce dell’opera è rappresentata solo dagli schizzi di

lava che erutta il vulcano. Ma piano piano, se guardi il quadro, ti accorgi dei

particolari, ad esempio l’acqua illuminata dal fuoco.

Non saprei che altro dire, una cosa certa è che questo quadro è stato l’unico

quadro della mostra che mi ha particolarmente colpito.

Mauro Vedovello

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Racconti LA CASETTA DEL PESCATORE SUGLI SCOGLI

C. Monet, La casetta del pescatore sugli scogli, 1882

Camminando sulle rive di un lago in una splendida giornata primaverile,

con la brezza che mi accarezzava dolcemente i capelli, notai sulla mia

destra, leggermente in salita, una piccola casa. Di fronte c’era un orticello,

dove crescevano dell’insalata e delle fragole, invece davanti alla facciata

dell’abitazione, si sviluppavano rigogliosi degli alberi che la sovrastavano

maestosamente.

Mi sarebbe piaciuto moltissimo entrare in quella misteriosa abitazione, ed

ammirare lo spettacolo che si sarebbe aperto di fronte ai miei occhi,

guardando fuori dalla finestra di una probabile cucina.

Ma, mentre fantasticavo persa nei miei pensieri, vidi uscire un vecchio

signore con una lunga barba, un grande cappello e con le maniche della

camicia riavvolte fino al gomito.

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Nella mano destra l’uomo aveva uno strano bastone, ma guardai meglio e

scoprii che era una canna da pesca, nella mano sinistra invece sembrava

avesse una specie di lenzuolo piegato, di un colore strano.

Ma quello che mi colpì erano i suoi occhi, strani, belli, quasi inquietanti, forse

anche un po’ tristi; chissà quante storie e quali segreti nascondevano.

Decisi di seguirlo, e con passo svelto e silenzioso mi avvicinai per scoprire

dove andasse così velocemente. Arrivammo sulla riva del lago, dove il

vecchio anziano avvicinatosi a una roccia aprì uno sgabello, si sedette, e

incominciò a pescare.

Parlando con delle persone del paese scoprii che la tristezza nascosta negli

occhi del vecchio pescatore non era altro che la preoccupazione di una

moglie malata e il quotidiano pensiero di dover racimolare i soldi per le

cure.

Decisi con i paesani di raccogliere del denaro per donarli alla coppia di

anziani, così una domenica pomeriggio mi avviai verso la vecchia casetta

diroccata.

Quel giorno faceva caldo, un caldo devastante, per cui mi portai una

borraccia d’acqua per la lunga camminata che mi aspettava. Durante il

tragitto vidi il pescatore che tornava alla sua dimora, e lo chiamai.

Lui, inconsapevole di chi fossi, fu sorpreso della mia visita; mi chiese il mio

nome e mi invitò ad entrare.

Appena fui nella misteriosa casa, notai subito le grandi finestre che

facevano entrare una luce limpida, subito dopo vidi la signora anziana che

mi salutò con un sorriso. Spiegai che avevo raccolto del denaro per le cure

della signora, e che noi paesani li avremmo potuti aiutare quando ne

avessero avuto bisogno.

La signora avrebbe dovuto sottoporsi ad un trapianto di cuore, per cui

prima di fare l’operazione sarebbe servito un donatore. Passarono vari

giorni, vari mesi, finalmente un pomeriggio di settembre mi arrivò la

chiamata dall’ospedale e mi dissero che avevano trovato un donatore.

Accompagnai la signora all’ospedale e le fecero subito delle analisi, poi la

mandarono in sala operatoria per il trapianto. Suo marito aspettò tutto il

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tempo in sala d’attesa; con il sudore sulla fronte continuava a chiedere se

stesse andando bene, l’operazione.

Appena la moglie fu uscita, ci dissero che era andato tutto bene e che

dopo qualche giorno sarebbe tornata come prima. E tornarono a vivere la

loro vita di tutti giorni con alcuni problemi in meno, per affrontare altri anni

insieme più uniti di prima.

Giorgia Braghi

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Racconti TEMPORALE SULLA PUSZTA

Da un quadro nasce tutto: una storia, dei sentimenti, dei ricordi, un discorso

ma anche la verità. È come un libro aperto: l’osservatore legge quello che

racconta e, parola dopo parola, percepisce sentimenti estranei che non

appartengono a lui ma al pittore che l’ha creato e che sentiva il bisogno di

farli conoscere a qualcuno, a un amico. Alcune volte, però, le pagine sono

bianche o semplicemente il libro viene scritto in una lingua sconosciuta e

allora l’unica cosa da fare è interpretarla, navigando con la fantasia.

Questo è un quadro, anche se all’apparenza è solo un foglio con dei colori

buttati qua e là.

Ci sono molti pittori e ognuno dipinge in modo diverso: “raccontando” e

basta o inserendo delle riflessioni, dei pensieri. E anche ogni “lettore” è

diverso. Ad alcuni un quadro può trasmettere di più, ad altri di meno.

Qualche mese fa con la classe sono andata a vedere una mostra in cui

erano presenti quadri dal ‘600 fino ad arrivare a Monet, bravissimo pittore

dell’impressionismo, la cui arte all’inizio era ritenuta strana, secondo me, solo

perché era qualcosa di nuovo rispetto alla tradizione. Ma non era l’unico

che dipingeva in modo particolare: ognuno aveva il suo stile, il suo modo,

guidato dai sentimenti, dal cuore.

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Era bellissimo girare in mezzo a tele di tutti i colori, dai più svariati temi:

natura, città, corsi d’acqua, campi fioriti, persone … ma una mi ha colpito

ed è di un pittore che si chiama Karoly Lotz, non molto conosciuto; il quadro

si intitola Temporale sulla puszta.

Mi sono soffermata molto su questo quadro e ne sono rimasta affascinata,

non riuscivo a muovermi e avevo gli occhi sgranati. Il mio cervello stava

facendo una serie di pensieri, cercava di capire il significato del quadro e

cosa rappresentasse inventando una storia, cercando di entrare nella

mente del pittore.

Era una bella giornata d’estate, il vento tirava e scompigliava i capelli,

sembrava quasi che facessi i capricci. Il cielo era di un blu tanto intenso che

a guardarlo dava al cuore un senso di immensità, ma anche di libertà, la

stessa che provavano gli uccelli che volavano in circolo, con le ali aperte, e

sfruttavano le correnti ascensionali per volare sempre più in alto per poi

scendere in picchiata e ricominciare la processione. Stavo percorrendo una

strada sterrata, la quale era segnata dal passaggio dei carri diretti verso la

città. Sulla mia destra, l’acqua creava delle piccole onde dovute al vento,

a cui piaceva cancellare quel senso di tranquillità che regnava prima

dell’arrivo di quelle nuvole che si potevano vedere in lontananza.

Dovevo sbrigarmi. Aumentai il passo perché non volevo bagnarmi. Dopo

cinque minuti giunsi al mulino di mio zio e gli consegnai la medicina che

avrebbe alleviato il dolore di sua moglie, causato dalla malattia che la

tormentava da due anni. Provai un senso di pena nel vederla sofferente ma

di fatto non potevo aiutare gran che, se non come avevo appena fatto. Li

salutai presto, anche se a malincuore; mi chiusi la porta alle spalle e guardai

il cielo: non prometteva bene, anzi per niente. Nuvoloni sovrastavano la

puzsta e occupavano il cielo che prima mi dava felicità, mentre ora mi

trasmetteva un senso di oppressione, di tristezza ma anche di rabbia.

Cominciai a correre e, dopo un po’, mi accorsi che i miei piedi atterravano

sulle pozzanghere. Stava piovendo e i miei vestiti si stavano inzuppando.

Arrivai in città e lasciai la puzsta desolata come l’avevo trovata prima, se

non per il fatto che c’erano i gabbiani, i quali stavano cercando a loro

volta di trovare rifugio, per non fare la mia stessa fine.

Rebecca Danzi

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Racconti LA SENNA A CHATOU

Qualche settimana fa sono andato a visitare con la mia classe la mostra

“Verso Monet”, presso la Gran Guardia di Verona. Tra i dipinti impressionisti

mi ha colpito particolarmente La Senna a Chatou di Renoir, realizzato nel

1881. Mi è piaciuto perché rappresenta una scena che infonde tranquillità

ed il pittore coglie la bellezza della natura sulle rive della Senna. Nella parte

destra del quadro una ragazza porta un mazzo di fiori e sembra immersa

nell’armonia del paesaggio.

L’artista utilizza la tecnica tipica degli impressionisti, agendo con piccoli

tocchi di pennello molto rapidi e immediati. I colori principali sono: il verde,

nelle diverse sfumature, il rosa e il turchese.

Nel piccolo paese di Chatou, viveva in un collegio un’adolescente di nome

Sarah. Era rimasta orfana fin da piccola e per questo aveva un carattere

difficile: non parlava mai con nessuno, era sempre triste e malinconica.

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L’unico posto in cui trovava un po’ di serenità, era un prato sulle rive della

Senna, soprattutto in primavera, quando i fiori e la brezza del vento la

rendevano felice. Per questo ci andava spesso e restava per ore a

guardare le barche che scivolavano sull’acqua.

Un giorno, mentre se ne stava seduta sul prato a raccogliere margherite,

passò in bicicletta un ragazzo vestito con abiti poco puliti e con un berretto

in testa. Vedendo la ragazza si fermò e si presentò.

- Buongiorno, mi chiamo Jean. E tu invece, chi sei?

- Sarah. Come hai fatto ad arrivare fin qui con la bicicletta?

- L’ho portata un po’ sulle spalle e poi ho infilato un sentiero tra l’erba

alta. Mi piace venire in questo posto quando sono triste. Solo questa

dolce natura mi tira su il morale.

Sarah, stranamente, riuscì a sentirsi subito a suo agio insieme a Jean e dopo

qualche incontro i due ragazzi impararono a conoscersi e diventarono

grandi amici.

Avevano molti aspetti in comune: Sarah, pur vivendo in un collegio, era sola

e infelice; Jean viveva in una casa molto piccola con i genitori che lo

maltrattavano, e anche lui si sentiva molto solo. Inoltre, entrambi amavano

la natura e solo restando in mezzo ad essa, trovavano la felicità.

Sarah, che prima era sempre pessimista e malinconica, si aprì agli altri e

cominciò a sorridere alla vita. Cambiò completamente aspetto: il colorito

del viso divenne più vivace e il suo corpo sembrava rifiorire giorno dopo

giorno.

Anche Jean, nonostante fosse più socievole di Sarah, cambiò carattere: si

ribellò ai suoi genitori e si trasferì dal nonno, iniziò ad andare a scuola e

prese sempre bei voti.

Ben presto l’amicizia si trasformò in amore: Sarah e Jean si sposarono nella

chiesa di Chatou e comprarono una casa vicino al fiume, dove avrebbero

trascorso il resto della loro vita. Arrivarono anche tre figli, due maschi e una

femmina, molto solari e sempre sorridenti.

Jean trovò lavoro in una bottega del pane e riuscì anche a comprare una

piccola barchetta. Quegli anni furono indimenticabili: quel luogo, dove si

erano incontrati per la prima volta, aveva trasformato la loro vita.

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Però la felicità non durò per sempre. Il giorno del ventesimo anniversario di

matrimonio, Sarah e Jean andarono sulla riva del fiume per ricordare i bei

momenti passati insieme, ma Jean scivolò su un sasso, batté la testa e non si

risvegliò più. Qualche giorno dopo si organizzò il suo funerale e Jean fu

seppellito in quel luogo che era stato magico per lui nel bene e nel male.

Immersa nella tristezza, Sarah ritornò malinconica, sconsolata, senza

volontà. Nonostante l’amore dei figli, non ebbe più voglia di parlare e si

chiuse in se stessa, come molti anni prima. Solo passeggiare tra l’erba alta a

raccogliere i fiori, guardare le barche passare sulla Senna, sdraiarsi

all’ombra di un albero fiorito, aiutavano Sarah a ritrovare l’armonia che

Jean aveva condiviso con lei.

Pensava che solo in quei momenti Jean avrebbe potuto ammirarla

dall’alto, come fosse davanti ad un quadro, che con i suoi colori vivaci, ma

anche sfumati, esalta la bellezza della scena e trasmette forti emozioni.

Jacopo Fameli

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Racconti CAPRICCIO CON ARCO DI TRIONFO IN ROVINA SUL BORDO DELLA LAGUNA

Il 22 gennaio sono andata con la mia classe e la terza B a visitare la mostra

“Verso Monet” alla Gran Guardia. I quadri presenti alla mostra erano tutti

molto belli ma il quadro che mi è piaciuto di più è: “Capriccio con arco di

trionfo in rovina sul bordo della laguna” di Bernardo Bellotto, dipinto nel

1743. La tecnica utilizzata per realizzare questo quadro è olio su tela.

Questo quadro rappresenta un arco di trionfo ai piedi della laguna di

Venezia. Il paesaggio è triste, i colori sono spenti e tenui, l’arco è tutto

rovinato e alcune parti, danneggiate, con il tempo si sono staccate.

L'AMORE È UNA TELA FORNITA DALLA NATURA E ABBELLITA DALL'IMMAGINAZIONE

“Alessandro… Alessandro…”,nessuno rispondeva. Maria gridava a

squarciagola per le vie di Venezia, ma del figlio nessuna traccia; continuò a

cercarlo perché era preoccupata! Era la terza volta in tre giorni che

Alessandro usciva di casa di mattina e non si faceva vedere fino alla sera.

Non voleva dire a nessuno dove andasse perché si imbarazzava: era il suo

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posto segreto, dove andavano lui e suo nonno, ma ora che l’ anziano

signore se ne era andato, si recava lì da solo.

Mentre stava tornando indietro, sua madre gli venne incontro urlandogli:

”Dove eri finito?! Mi sono preoccupata tantissimo! Non farmi mai più questo

scherzo!”; Alessandro annuì con la testa ma senza fare caso davvero alle

parole della madre. Era perso nella sua immaginazione.

Il giorno seguente Alessandro si alzò presto, fece un giro per il mercato e

mentre camminava verso l’ arco incontrò Alice.

“ Ciao Alessandro!”. Il ragazzo; immerso nei suoi pensieri, si girò e quando la

vide rimase senza parole. “Ccciao!” rispose lui titubante. La ragazza che lo

aveva salutato era Alice Malfieri, la ragazza di cui era innamorato; era

bella: aveva gli occhi color azzurro come il cielo durante un temporale, le

labbra sottili e perfette (secondo lui), capelli biondi … insomma, BELLISSIMA!

La conversazione tra i due continuò fino a quando non arrivarono all’ arco.

Appena la ragazza vide quella straordinario “monumento” rimase a bocca

aperta.

“Cosa c’è?”, le chiese Alessandro, e lei indicò l’arco come fosse ipnotizzata.

Allora lui le raccontò tutta la storia che lo legava a quel monumento.

Quando era piccolo suo nonno andava lì, in quel luogo meraviglioso, per

pensare alle fatidiche domande delle vita e non solo a quelle; si poneva

mille domande e, pur non sapendo come potesse accadere un fatto simile,

in quel luogo trovava tutte le risposte. Quando Giuseppe (così si chiamava il

nonno di Alessandro) ebbe un nipotino, iniziò a portarlo nel suo posto

segreto. Come il nonno, anche Alessandro trovava lì tutte le risposte.

Alla fine di quella meravigliosa storia, Alice abbracciò Alessandro; la sua

storia l’aveva commosso. Dopo pochi istanti Alice disse:” Sai, con te mi

trovo bene. Sei sempre pronto ad ascoltarmi e sei l’ unico che lo fa.” Udito

questo, Alessandro prese il coraggio e la baciò. Era il loro primo bacio e fu

bellissimo.

Quando fu a casa, Alessandro iniziò a pensare a ciò che era accaduto e si

chiese se avesse fatto bene a baciarla, se quello che era accaduto non

avrebbe influito sul loro rapporto come amici. Decise di andare nel suo

posticino speciale, ma qualcosa era cambiato perché non riuscì a trovare

una risposta. Era deluso e arrabbiato allo stesso tempo.

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Poco dopo arrivò anche Alice, “Cosa ci fai qui?” le chiese Alessandro.

“Rifletto,” gli rispose lei. Rimasero in silenzio per un tempo che parve

interminabile; alla fine il ragazzo parlò ma non si capì bene cosa disse, allora

lo ripeté: “Vuoi stare con me?”

“Sì” fu la risposta di Alice. I due si abbracciarono e Alessandro si pentì di

aver pensato, per un solo secondo, di non andare più all’ arco.

Questa idea non gli sfiorò mai più la mente. Quel posto era troppo

importante per lui: lì erano custoditi i ricordi con suo nonno, lì avrebbe

sposato l’ amore della sua vita, lì aveva preso le decisioni più importanti

della sua vita, lì aveva dato il suo primo bacio, ma soprattutto, lì aveva

conosciuto la sua anima gemella nonché futura madre dei suoi figli, Alice

Malfieri.

Quel posto era davvero importante per Alessandro e Alice, che volevano

mantenere il ricordo di quel luogo speciale che aveva significato tanto per

loro; tanto che ancor oggi, Piero ed il nonno Alessandro si recano lì per

condividere le emozioni, le paure e i momenti belli della vita.

“QUELLO CHE È IMPORTANTE PER LA TUA FAMIGLIA LO SARÀ ANCHE PER TE, ANCHE SE ALL’

INIZIO TI PUÒ SEMBRARE CHE NON CONTI.”

Rachele Godi

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Racconti L’ERUZIONE DELLE SOUFFRIER MONTAINS

Durante la visita al Palazzo delle Gran Guardia per ammirare la mostra

intitolata “Verso Monet”, nella quale erano esposte tantissime opere d’arte

dei più famosi pittori vissuti tra il 1600 ed il 1900 (con le loro interpretazioni dei

paesaggi) l’opera che più mi ha colpito ed ha attirato la mia attenzione è

stata “L’eruzione delle Souffrier Montains”, dipinta da Joseph Mollard William

Turner nell’anno 1815.

Il quadro è un dipinto ad olio dalla grandissima forza impressionista:

nonostante l’autore, Turner, fosse un artista del periodo “romantico” egli è,

comunque, da molti indicato come il precursore della corrente artistica

denominata “impressionismo”.

E’ proprio il termine impressionismo che fa capire quanta forza ci sia nelle

sue opere. Una forza che in qualche modo attrae chi le guarda

abbracciandolo in un susseguirsi di sensazioni che fanno apparire come

reali i paesaggi riprodotti, così che è facile sentirsi parte di essi.

L’eruzione vulcanica, rappresentata in un paesaggio notturno per meglio

esaltare i colori della scena principale ed il contrasto di essi in un ricercato

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effetto di sensazioni da trasmettere allo spettatore, dà al quadro tutti gli

elementi dell’ “impressione”: sembra di trovarsi coinvolti nella scena

medesima.

Molto ricercato è anche l’utilizzo del colore dell’eruzione, che si rispecchia

nell’acqua conferendo leggerezza al dipinto. Esso è anche molto ricco di

elementi simbolici; per esempio, l’inserimento di una barca rappresenta la

possibilità di salvezza dell’uomo e del suo destino di fronte ai grandi

imprevisti della vita.

Guardando il dipinto, la mia fantasia ha cominciato a lavorare e mi sono

immaginato di essere io stesso a remare su quella barca in mezzo allo

specchio d’acqua cercando di sfuggire alla grande quantità di lapilli che,

incandescenti, correvano nel cielo per cadere poi nell’acqua, a grande

velocità e con sibilo e rumore assordante.

Io, affascinato dallo spettacolo della grande eruzione, osservavo incuriosito

il fenomeno straordinario che, al tempo stesso, mi provocava grande paura

e incontrollata meraviglia.

Remavo, sudavo, volevo allontanarmi per non rimanere bruciato; anche il

lago si stava scaldando per la lava che vi entrava sulla sinistra e che faceva

ribollire l’acqua producendo un vapore acqueo che sembrava nebbia e

saliva a nascondere o a sfocare l’orizzonte.

L’ansia di fuggire, la fatica di allontanarmi, lo sforzo di non guardare per non

rimanere accecato dalla grande luce emanata dal vulcano ma pure la

voglia di osservare lo sviluppo della scena, mi facevano venire alla mente

un sacco di pensieri. Non sapevo dare loro risposte o forse non avevo

nemmeno il tempo per rispondere, dato che un’altra considerazione già

occupava la mia mente.

Ho trascorso un po’ di tempo davanti al quadro non rendendomi conto che

mi ero immedesimato nella situazione raffigurata essendone stato, in

qualche modo, rapito.

La sensazione che ho provato è stata proprio quella di vivere la vicenda in

prima persona viaggiando con la fantasia; non sarei riuscito a raccontare

questa storia in terza persona, da semplice spettatore.

Nicola Marchesini

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Racconti LA CASETTA DEL PESCATORE SUGLI SCOGLI

C. Monet, La casetta del pescatore sugli scogli, 1882 (olio su tela, pittura en plein air)

Il 22 Gennaio con la mia classe e accompagnati delle insegnanti Panzieri,

Coppola e Zandonà siamo andati a visitare la mostra “VERSO MONET” al

Palazzo della Gran Guardia. Mi è piaciuta molto e ho avuto modo di

ammirare da vicino i quadri più famosi di questo pittore impressionista.

Un quadro che mi ha colpito molto è stato : “LA CASETTA DEL PESCATORE

SUGLI SCOGLI”. Mi è piaciuto perché, guardandolo, mi sentivo parte di quel

paesaggio. Avevo l’ impressione di sentire il rumore del mare, il calore del

sole e di vedere le vele delle barche che si muovevano davanti a me.

IL PESCATORE CLAUDE

C’era una volta un uomo di nome Claude. Abitava in una casetta sopra

una scogliera in una località marina della Normandia. Faceva il pescatore e

ormai il mare era diventato la sua casa. Claude ogni mattina si alzava

molto presto, prima dell’alba e usciva con la sua barca. Tornava sempre al

calar del sole, quando non si riusciva più a pescare per la scarsità di luce.

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Una sera d’autunno, al ritorno dopo una giornata passata in mare, non era

riuscito a pescare molto per il mare in burrasca. Il giorno seguente decise

comunque di andare al mercato per vendere il pescato. Anche gli abitanti

del villaggio si lamentavano perché le tempeste avevano fatto sì che la

pesca non fosse più abbondante come nella bella stagione. Erano giorni

duri e il povero pescatore non riusciva nemmeno a pescare a sufficienza

per mangiare.

Trovandosi senza lavoro, decise di riordinare la soffitta di casa e in una

vecchia cassapanca trovò una tela, una tavolozza e dei tubetti di colore

ad olio. Gli venne in mente che, se non poteva pescare ,avrebbe sempre

potuto fare come secondo lavoro il “pittore”. Così prese tutto quello che

serviva e andò in cerca di un bel posto tranquillo in cui dipingere. Mentre

camminava per un sentiero, vide girandosi il tetto della sua casa e, dietro di

essa, lo splendido mare all’orizzonte con le vele delle barche agitate dal

vento.

La visione lo catturò, prese pennelli e colori e iniziò a dipingere ciò che

vedeva. Si sentiva libero, felice e pensava a quando era giovane e alla

scuola di pittura che aveva frequentato senza successo. Lì insegnavano a

dipingere in uno studio e non all’aria aperta. In pochi giorni il dipinto era

finito e Claude fu molto contento del lavoro fatto, le pennellate erano corte

e veloci, i colori erano chiari, non mescolati prima sulla tavolozza ma

direttamente sulla tela. Era un capolavoro!

Un giorno Claude si recò al villaggio attratto da una mostra di quadri. Ogni

talento poteva portare un proprio dipinto che sarebbe stato venduto

all’asta. Claude pensò di portare la sua “Casetta sul mare”, anche se

credeva di essere troppo vecchio per dipingere seriamente. I giudici,

invece, rimasero molto colpiti dalla tecnica e dal modo in cui era stato

realizzato il dipinto, che fu venduto ad un museo della Francia per una cifra

molto alta.

Passarono i mesi e Claude divenne un pittore famoso, prima sulla costa

della Normandia e poi in tutta la Francia. Dopo la sua morte divenne

celebre in tutto il mondo. Era proprio lui! Il grande Claude Monet, colui che

fece nascere un movimento nuovo, “l’Impressionismo”e una tecnica nuova,

la pittura en plein air. Ed oggi noi siamo venuti qui per visitare questa mostra

e vedere i dipinti realizzati da questo grande pittore.

Beatrice Merzi

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Racconti LA SENNA A CHATOU

Questo dipinto s’intitola "La Senna a Chatou"; è opera di Pierre Auguste

Renoir. La tecnica esecutiva che ha utilizzato è la pittura ad olio ed è uno

dei tanti dipinti della corrente artistica impressionista. Renoir ha realizzato

quest’opera intorno al 1881 ed ora essa si trova al “Boston Museum of Fine

Arts”. Ad essa si ispira il mio racconto.

Amelie, una donna che ormai era giunta alla fine della sua vita, ogni

domenica tornava sempre in quel posto che le aveva segnato

l'adolescenza e che non riusciva a dimenticare.

Un giorno, quando era ragazza, stava camminando tranquilla sulla riva

della Senna, quando si accorse che un ragazzo la stava fissando. Ad un

certo punto Gautier (il ragazzo) si diresse verso di lei. I due discussero e si

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chiesero cosa ci facessero in quel posto; entrambi avevano lo stesso motivo:

erano scappati da casa perché volevano andare alla ricerca del mondo e

lasciare la vita quotidiana che li aveva stressati. Insomma, i due erano fatti

uno per l'altro; decisero così che non aveva senso scappare ognuno per

conto proprio, meglio andare alla ricerca di nuove terre, scoprire il mondo,

godersi la vita. Infatti viaggiarono dall'Africa all'America senza mai fermarsi.

Pochi mesi dopo, tutto finì... Gautier si arruolò come soldato francese ed

andò in guerra. Amelie, disperata, lo supplicò di mandarle tante lettere per

sapere come stava e così egli fece; in guerra conobbe Hugo, un francese

che viveva a Parigi, che divenne il suo migliore amico tanto da salvargli la

vita e morire lui al suo posto. Ormai la guerra era finita e Gautier era

disperato, non sapeva cosa fare, aveva perso il suo migliore amico e non

sapeva dove fosse la sua amata. Si trasferì a Rouen, in Normandia, dove

conobbe una cantante dalla quale ebbe un figlio e si sposarono.

Poco dopo ricevette notizie di Amelie, si misero in contatto, ma essendo già

sposati non poterono vivere insieme. Decisero però che il quattordici

febbraio di ogni anno alle ore 14.00 si sarebbero trovati nel posto in cui si

erano conosciuti e alla stessa ora. Per sette anni si incontrarono in quel

luogo, sapevano che ormai si erano costruiti entrambi un'altra vita, ma

nessuno dei due si dimenticò del primo amore e avevano ancora in

comune tante cose.

Un giorno però Amelie seppe che Gautier era morto di tumore al cervello. Si

disperò e decise di divorziare da suo marito: voleva stare da sola e pensare

a Gautier ogni momento della giornata. Amelie riuscì a trovare la moglie di

Gautier così da parlare con lei; decisero insieme di seppellire il suo corpo

sulla riva della Senna, dove Amelie l'aveva conosciuto. Ogni domenica si

ripromise che sarebbe andata a portare i fiori in quel posto e così fece; un

giorno pensò che aveva compiuto un atto inopportuno, quello di lasciare il

proprio marito e così i due si rimisero insieme. Suo marito si chiamava Pierre

Auguste Renoir, era un pittore impressionista e dipingeva molti paesaggi.

Ora Amelie, come tutte le altre domeniche, stava camminando lungo la

Senna con i fiori in mano che stava per porre sulla tomba di Gautier. Pierre,

per farle ricordare quel momento fece un dipinto; proprio quella domenica

la dipinse. Come si può infatti vedere, nel dipinto vi è una donna (Amelie)

con dei fiori in mano, che sta camminando sulla riva della Senna, là dove

aveva conosciuto il suo più grande amore.

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Amelie morì a sessantasette anni; era disperata ma allo stesso tempo una

speranza dentro di lei si illuminava: quella che forse un giorno avrebbe

incontrato Gautier in paradiso. Infine questo dipinto ha suscitato in me tante

emozioni: speranza, felicità da un lato e tristezza dall'altro. Mi hanno fatto

pensare a questa storia che, pur non essendo vera, mi rende felice.

Luana Montoli

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Racconti ERUZIONE DEL VESUVIO

W. Turner, Eruzione del Vesuvio, 1817

Il quadro che mi ha colpito di più alla mostra visitata con la classe al

palazzo della Gran Guardia, è stato il quadro appartenente all’epoca del

romanticismo realizzato da Turner, Eruzione del Vesuvio.

Di questo quadro mi hanno affascinato i colori, l’imponenza che l’autore è

riuscito a dare al vulcano. Infatti la descrizione di questo quadro in lingua

francese è già finita sulla mia “tesina” da portare all’esame. Dato il fatto

che ora su questo quadro dovrò raccontare una storia, credo che

potrebbe tranquillamente iniziare in questo modo.

All’inizio del 18oo a Napoli appena “sotto i piedi” del Vesuvio c’era un

tranquillo paesino. Paesino?!

Ma cosa vi vengo a raccontare, alla faccia del pesino, questo lo potremmo

chiamare paesone !

Infatti dovete pensare che questo centro (del quale l’identità non è ancora

del tutto certa) era uno dei centri di scambio più importanti del nostro

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paese. Aveva tre porti navali, due per comprare e scambiare merce, e un

altro per i turisti o i mercanti provenienti da paesi arabi venuti in Italia per

fare fortuna. E proprio qui nasce il nostro protagonista, Ciro, il 17 agosto del

1800.

Passano gli anni ,Ciro comincia la scuola elementare, anche se a lui non

piace perché viene sempre preso in giro da tutti: indossa degli occhiali e

quindi ha un’aria un po’ bruttina. Passano gli anni e il nostro protagonista

comincia la scuola per lottatori e, avendo recuperato la vista, ora è un bel

ragazzo corteggiato da molte ragazze.

Il nostro Ciro è ormai diventato un “pezzo forte” di quel paese, quindi

dovete pensare che per la festa dei suoi 17 anni gli invitati saranno stati tanti

quanti gli invitati al matrimonio di William e Kate. Però, a sera inoltrata, nella

casa di Ciro si sente una scossa improvvisa, non una scossa di un terremoto

qualsiasi, era un terremoto che non veniva dal sottosuolo ma bensì

dall’onnipotente guardiano naturale della città: il Vesuvio.

Quel guardiano perennemente silenzioso e calmo, ora si era messo contro

Napoli.

All’improvviso un immenso bagliore illuminò quella buia notte nuvolosa

come se fosse giorno, e dopo che con quel flash il Vesuvio ebbe scattato

una foto ricordo a Napoli, iniziò a distruggerla. Come quando si infila un

accendino in un formicaio le formiche fuggono fuori, così fecero Ciro, i suoi

amici, la sua famiglia e tutti gli abitanti di Napoli. Solo che invece di una

misera fiammata di un accendino, i napoletani in quella che fu l’ultima

notte per molti di loro, videro l’inferno.

Enormi gittate di lava bollente bucavano il cielo per poi cadere giù in

picchiata su Napoli e tutte le città confinanti.

Poi, oltre alla lava che cadeva dal cielo, cominciò qualcosa di peggiore:

una terribile pioggia acida provocata dai potenti gas del vulcano. In pochi

anzi in pochissimi si salvarono, e chissà se il nostro Ciro fu uno di quelli.

Mattia Mosconi

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Racconti Helminghan Dell

Quest'opera di John Constable rappresenta un ponte che si trovava in un

parco dell'Inghilterra, Helmingham Park, da cui deriva il titolo del quadro

Helmingham Dell. Il periodo in cui il quadro è stato realizzato è quello del

Romanticismo, i pittori romantici infatti davano importanza alla libertà e alla

libera espressione dei sentimenti. Non si preoccupavano della tecnica ma

pensavano a ciò che volevano comunicare, come in questo caso:

Constable attraverso la luce, i colori e la posizione esprime dei sentimenti e

non si preoccupa dei minimi particolari.

L'eternità in uno sguardo

Elly era il suo nome. Una creatura meravigliosa fin dalla nascita, aveva degli

splendidi occhi cristallini, i capelli erano biondi, la tinta del grano dei campi

vicino a casa sua.

Sarebbe probabilmente stata data in sposa a qualche importante e illustre

personaggio , se non fosse che quando il giorno della sua nascita arrivò, lei

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nacque senza un braccio. Il braccio destro non si era formato e non

avrebbe mai potuto fare tutto ciò che ogni rispettosa donna, madre

dell'epoca avrebbe dovuto fare. Appena si accorsero che le mancava un

arto, decisero subito di abbandonarla: non serviva alla famiglia, non

sarebbe stata utile a far nulla, sarebbe stata solo un peso. Perché spendere

tanti soldi in più per poi veder svanire ogni aspettativa, dato che non

sarebbe mai riuscita a sposarsi, ad essere una buona madre di famiglia?

Non era la normalità, e ciò fece prendere la decisione ai famigliari di

abbandonarla. Aveva solo pochi giorni e si ritrovava da sola, sulle sponde di

un piccolo fiumiciattolo, sotto un ponte, in una giornata di pioggia,

probabilmente l'unica che avrebbe vissuto. Stava diluviando, le gocce

parevano sbattere su ogni foglia degli alberi circostanti, la piccola bambina

sotto la pioggia aveva gli occhi chiusi, quasi dormisse.

Ad un certo punto un bambino passò di corsa sul ponte; nonostante avesse

il passo spedito e veloce il suo sguardo fu catturato da quel piccolo

corpicino sulla sponda del fiumiciattolo. Così, di colpo si arrestò, restò fermo

per una manciata di secondi, poi d'istinto accorse a recuperare la piccola

Elly. La neonata teneva sempre gli occhi chiusi, anche quando il bambino

la prese in braccio lei non diede segni di vita. Il bambino corse sempre più

forte cercando di affrettarsi per salvare la piccola, arrivato a casa spalancò

bruscamente la porta dell'entrata e subito andò a cercare la madre,

appena la trovò si affrettò a gesticolarle qualcosa, senza dirle una parola.

La madre prese la piccola in braccio, la posò delicatamente su un letto di

paglia e le tolse la coperta fradicia che la avvolgeva, dopo di che notò

che le mancava un braccio. La sua prima espressione fu di stupore, non di

terrore, come lo erano state quelle dei familiari di Elly. Dopo averle dato una

seconda occhiata la madre sorrise, come fosse nata sua figlia, come se Elly

fosse la gioia più bella che le fosse mai capitata, come se quella piccola

creatura fosse la salvezza. Si affrettò quindi a vestirla con quel poco che

possedeva e se ne prese cura finché non imparò a reggersi in piedi da sola.

Elly era una bambina splendida, sorrideva sempre e sembrava che

neanche badasse alla mancanza dell'arto; era ancora piccola è vero, ma

era come se lei avesse dovuto nascere così, perché era così che riusciva ad

essere quello che era. Elly cresceva e le piaceva dove viveva, era una

piccola e umile casa di campagna, con i campi tutti attorno; viveva con

Julie, la mamma, e Tom, il bambino che le aveva salvato la vita. A Elly

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piaceva molto la sua vita, Tom le insegnava molte cose. Nonostante non

avesse un braccio, lei non si poneva alcun problema ad affrontare qualsiasi

nuova situazione o prova che le venisse proposta; era una bambina molto

coraggiosa, ma ciò che aveva imparato meglio a fare era comunicare con

Tom. Lui non era normale come tutti, come lei non lo era, Tom era muto e

Elly aveva imparato a comunicare con lui come neanche sua madre

sapeva fare. Un vantaggio per Elly era che con Tom andavano oltre i gesti,

loro comunicavano con gli sguardi, comunicavano con i sorrisi, i loro

pensieri erano quasi in sincronia e sembravano collegati da un filo invisibile.

Giocavano sempre insieme e quando erano insieme sapevano solo ridere,

la felicità non mancava, loro erano l'uno la felicità dell'altro, e lo sarebbero

stati per sempre, in eterno.

Crescendo e diventando maturi cominciarono a provare qualcosa di più

dell'amicizia, qualcosa di più forte che sembrava stringerli insieme e portarli

in un altro mondo, dove non esistevano la sofferenza e la disperazione, ma

solo sorrisi, amore e gioia infinita. Un giorno in piena estate stavano

passeggiando per le campagne inglesi quando ad un certo punto si

ritrovarono sul ponte dove Tom aveva trovato Elly; lei lo sapeva di essere

stata abbandonata, la storia gliel'avevano raccontata più d'una volta

perché la voleva ascoltare spesso, per riuscire a ricordare. Tom prese

l'iniziativa di voltarsi e andare via, ma Elly oppose resistenza, lei voleva

vedere. Convinse Tom a scendere sulle sponde del fiumiciattolo e ad

indicarle il punto esatto dove l'aveva ritrovata, così lui fece.

Elly si sdraiò sulla riva, chiuse gli occhi. Subito una bufera di ricordi le piombò

in mente, le immagini erano confuse: pioggia, acqua, terra, fango, alberi.

Poi di colpo riaprì gli occhi, ansimava cercando di riprendere fiato come

quando ci si risveglia dagli incubi. Tom accorse subito preoccupato e la

abbracciò forte stringendola quasi stesse per volare via. Quando la lasciò,

Elly lo guardò dritto negli occhi, dopo uno sguardo intenso Tom la baciò,

per la prima volta. Dopo quel giorno divennero sempre più uniti, passavano

il tempo insieme e condividevano ogni cosa, Julie era molto contenta di ciò

che entrambi erano diventati e molto fiera di aver cresciuto entrambi,

soprattutto lei non rimpiangeva il giorno in cui aveva cominciato a

prendersi cura di Elly, era una gioia vederla crescere, bella com'era, felice.

Gli anni passarono veloci tra sorrisi e momenti speciali, Elly e Tom avevano

una vita spensierata, non avevano intenzione di sposarsi, a loro andava

bene così, il loro legame era più forte così, non serviva altro. I due

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invecchiavano insieme, come erano cresciuti, si prendevano cura l'uno

dell'altro e insieme affrontavano le difficoltà, si davano sostegno a vicenda

e non smettevano mai di sorridere, perché nonostante a entrambi

mancasse qualcosa, loro si completavano: Elly dava a Tom una voce, e lui

un braccio a lei.

Un giorno decisero di tornare a quel ponte, dove Elly era stata ritrovata e

portarono con sé dei pezzi di legno e un pezzo di ferro appuntito. Quando si

trovarono sul posto decisero di disegnare quel paesaggio come ricordo

della loro vita; ad Elly ancora ricorrevano i ricordi confusi di quando era

piccola, ma erano più chiari e frequenti quelli del primo bacio che aveva

dato a Tom. Quella tavoletta di legno è sempre stata custodita da loro e

non si sa che fine abbia fatto.

Con gli anni i due cominciarono ad avere i primi segni di cedimento dovuti

all'età, ma niente poteva togliere il sorriso che avevano sul volto, pareva

quasi non fossero capaci di provare tristezza, si sentivano eterni e nemmeno

la morte li spaventava, loro sarebbero rimasti per sempre insieme. Arrivò il

giorno in cui i due terminarono i giorni terreni e morirono, li ritrovarono

abbracciati distesi a terra, non si sa se si fossero suicidati o altro, all'epoca

nemmeno ci si preoccupava, o magari il caso aveva voluto che fossero

uniti anche nella morte, per continuare insieme un'altra vita, che però

sarebbe stata per loro eterna per davvero.

Noemi Salvagno

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Racconti ERUZIONE NELL’ISOLA DI SAN VINCENZO

L’opera che ho scelto è di William Turner, si intitola Eruzione nell’isola di San

Vincenzo e fu realizzata nel 1815. Per eseguirla il pittore ha usato colori che

tra loro contrastano molto come il giallo e il nero. Sotto alla pittura, Turner ha

fatto un disegno di base per distinguere le varie figure. Questo tipo di

caratteristiche si avvicinano molto alla pittura accademica. Di diverso,

rispetto ad essa, c’è il soggetto principale che in questo caso è la natura

mentre nelle Accademie ci sono scene mitologiche, religiose o storiche.

Partendo da questo quadro ho inventato un racconto verosimile che si

ispira al vulcano in eruzione e alle persone vicine ad esso, in basso a destra.

Paolo si svegliò all’improvviso, sentendo una voce provenire dal piano di

sotto. Era il telegiornale della televisione del salotto appena accesa. La

giornalista stava parlando dell’ennesima eruzione in Italia nel giro di pochi

mesi. Questo fatto è dovuto ai grandi e pericolosi movimenti della crosta

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terrestre e del magma sotto la superficie. Infatti, cosa strana ma vera,

anche nel nord Italia si sono formati dei vulcani i quali continuano ad

eruttare provocando numerosi danni agli edifici delle città vicine ad essi.

Tutti i bambini, in particolar modo Paolo che era il più sensibile, avevano

molta paura dei vulcani e della lava. I genitori cercavano di tranquillizzarli

ma, la maggior parte delle volte, non vi riuscivano. Appena sentivano la

parola lava, loro si mettevano a piangere. Infatti Paolo scese le scale con le

lacrime agli occhi e andò dalla mamma che, per farlo calmare, gli

raccontò una bugia. Disse che il vulcano che aveva eruttato era in Sicilia,

invece era proprio quello vicino alla città di Paolo. Almeno una volta al

mese in Italia un vulcano eruttava. La situazione si faceva sempre più critica

perché ogni volta che un vulcano eruttava ovviamente tutti i soccorsi si

attivavano ma, se nel giro di qualche giorno ci fosse stata un’altra

fuoriuscita di lava, non ci sarebbero stati abbastanza soccorritori per aiutare

tutti gli individui in difficoltà.

Paolo voleva fare qualcosa per cercare di prevenire i danni delle eruzioni,

quindi studiò per diventare geologo e per capire molto bene i vulcani. Una

volta laureato, iniziò a studiare tecnologia, informatica e robotica. Questo

perché voleva costruire uno strumento che prevedesse le eruzioni. Dopo

alcuni anni di tentativi falliti, Paolo trovò la soluzione. Gli scienziati e i geologi

non ci credevano perché secondo loro era impossibile prevedere quando

un vulcano avrebbe eruttato. Ma il congegno inventato da Paolo riusciva a

captare i movimenti del magma, calcolando quando sarebbe fuoriuscito.

Certe persone erano a favore di questa invenzione ed altre no. Le persone

scettiche andarono a dimostrare la loro incredulità vicino al vulcano presso

il quale erano posizionati i congegni di Paolo. Dopo qualche giorno, i sistemi

segnalarono la presenza di un movimento del magma. Paolo fece

allontanare dalle città vicine le persone che credevano in lui e le mise in

salvo. Qualche ora dopo questa operazione, il vulcano iniziò ad eruttare e

gli increduli vennero sommersi dalla lava.

Alberto Stevanoni

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Racconti IL SALICE PIANGENTE

Ho deciso di ispirarmi al dipinto “ Il salice piangente” di Claude Monet. La

tecnica usata è una pennellata a tratti molto “decisi e lunghi”. Il quadro è

stato realizzato nel 1918.

C’era una volta un bambino di nome Peter. Peter amava andare a giocare

con il suo aeroplano giocattolo in un grande prato, anzi lo si può definire

enorme, questo prato. Lui amava giocare lì con il suo bellissimo aeroplano e

ci andava ogni giorno; se per caso un giorno non avesse avuto tempo per

andarci, il giorno dopo sarebbe rimasto di più, tutte le ore che aveva

saltato.

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Un giorno decise di fare una passeggiata con la madre e lungo il cammino

vide una pianta strana che lo affascinò subito; decise di chiedere alla

madre che pianta fosse e la madre rispose che era un salice.

Il salice aveva una forma un po’ buffa perché, anche se il tronco era

“normale”, le foglie non “incorniciavano” l’albero, anzi erano tutte rizzate

come se l’albero fosse al contrario. Peter convinse la madre a comprargli i

semi per far crescere questo affascinante albero nel prato in cui andava

tutti i giorni.

Il giorno seguente i due decisero di comprare questi semi ed il ragazzo

impaziente andò subito a piantarlo nel posto da lui preferito.

Peter andava tutti i giorni a “trovarlo”, andava ad annaffiarlo e si prendeva

cura molto bene di questo alberello che, giorno dopo giorno, settimana

dopo settimana, mese dopo mese, diventò un bellissimo albero pieno di

foglie; proprio un albero incantevole.

Il ragazzo era molto soddisfatto del lavoro che aveva compiuto e non

vedeva l’ora che i suoi amici andassero a trovarlo per mostrare loro quel

capolavoro.

Passarono gli anni e Peter diventò un ragazzo alto, bello, dolce, insomma

tutte le caratteristiche positive che una persona potesse avere, lui le aveva.

L’unico problema che si presentò fu quando Peter si trovò la fidanzata. Voi

penserete: cosa c’entra una ragazza con il salice? C’entra, la ragazza, e

anche molto perché quest’ultima “portò” Peter a non prestare più

attenzione al salice.

La loro relazione durò per qualche mese, ed in quei mesi Peter trascurò

moltissimo l’albero.

Quando i due ragazzi si lasciarono Peter tornò dal salice e lo vide con tutte

le foglie e i rami abbassati. Peter fece di tutto per far tornare le foglie e i

rami dritti verso il cielo… ma non cambiò niente, anzi no, ci furono dei

cambiamenti: crebbero nuove foglie, ma verso il basso.

Così nacque il salice piangente.

Matilde Tommasi

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Racconti LA CASETTA DEL PESCATORE SUGLI SCOGLI

L’opera che ho scelto è “La casetta del pescatore sugli scogli” che è un

dipinto ad olio su tela di Claude Monet, di dimensioni 60x73 cm; è stata

realizzata nel 1882. Questo dipinto raffigura una casa in stile antico, che si

trova circondata da molti alberi e cespugli, dalla quale c’è una fantastica

vista sul mare dove si vedono molte barche a vela.

La tecnica usata è quella tipica dei pittori impressionisti: piccoli tocchi di

diverso colore accostati in modo da sfumarlo e mischiarlo direttamente sulla

tela. I colori sono molto vivi, allegri e vivaci tanto da dare un senso di felicità

e gioia, che provo nel guardare questo dipinto.

Io ho scelto di descrivere quest’opera perché mi ha colpito subito per la sua

luminosità e perché le si possono far assumere interpretazioni diverse in base

ai pensieri e alle idee che una persona ha. Ad esempio a me, appena l’ho

guardata, è venuta in mente questa storia.

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IL SOGNO DI BEN

Molti anni fa, in quel mare, sempre alla stessa ora, passava con le barche a

vela un gruppo di pescatori. Questi pescavano, chiacchieravano e

ammiravano il paesaggio.

Tra loro c’era anche Ben, (soprannominato “il pescatore” per la sua

passione per la pesca fin da quando era piccolo). Era un povero ometto di

origini molto umili che passava la giornata facendo viaggi con la barca a

vela e cercando di procurarsi così del cibo insieme ai suoi amici. Quella

barca per lui era molto importante perché gli era stata data da sua madre,

quando il padre era morto. Ben non aveva una casa ma dormiva per

strada e si faceva aiutare dagli amici.

Ogni giorno si fermava in mezzo al mare ad ammirare quella vecchia casa

distrutta, senza neanche un tetto e circondata da molti cespugli. Il suo

sogno era poterla ristrutturare e andarci ad abitare, vivendo in pace e

tranquillità.

I suoi amici lo vedevano strano quando passavano per di lì perché era nello

stesso tempo felice di vedere la casa, ma anche triste perché pensava di

non poter mai andarci a vivere. Così decisero di realizzare il suo sogno e

renderlo felice più di ogni altro uomo al mondo. Andarono con lui alla

vecchia casa, si misero all’opera e incominciarono a ristrutturarla. Prima di

tutto tolsero le erbacce e piantarono dei pini e dei fiori, poi tolsero i vecchi

pezzi di muro crollato e ne costruirono uno molto più resistente. Ben era ogni

giorno più collaborativo e contento, però era ancora incerto sulla buona

riuscita finale. Pensava che non ce l’avrebbero fatta e lui non sarebbe

riuscito a mantenere l’edificio con così pochi soldi. Ma, giorno dopo giorno,

il lavoro migliorava, la casa cominciava ad essere arredata e colorata,

molto più viva.

Alla fine, erano tutti molto soddisfatti, era venuto proprio un bel capolavoro

e Ben si era perfino commosso. Gli amici lo aiutarono a stabilirsi nella nuova

casa e anche a mantenersi, tanto fecero da riuscire a trovargli un lavoro.

Eseguiva piccoli lavori manuali per la gente del paese, un lavoro che può

sembrare inutile, però gli è servito perché ha cominciato a guadagnare

soldi, costruendo per sé una vita come quella di tutti gli altri. Da quel giorno

ha sempre ringraziato i suoi amici e avrebbe fatto qualunque cosa per loro

se si fossero trovati in difficoltà.

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Tutti i giorni i suoi amici uscivano sul mare con la barca a vela; lui si univa a

loro e, quando arrivava in mezzo al mare, fissava continuamente quella

casa. Da quando è andato ad abitarci lui, essa è stata soprannominata:

“La casetta del pescatore”.

Alice Tommasini

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Racconti LA CASA DEL PESCATORE A VARENGEVILLE

Durante l’uscita didattica a cui ho partecipato con la classe, dopo aver

ammirato quasi tutti i quadri esposti, uno in particolare mi ha colpito: La

casa del pescatore a Varengeville.

Questo quadro è stato dipinto nel 1882, con tecnica olio su tela, da Claude

Monet, le dimensioni sono 60x73 cm.

La classica tecnica di pittura di questo artista era appunto, come si può

vedere, quella di dare piccole e veloci pennellate di colore, senza

mischiarle sulla tavolozza ma ponendole direttamente su tela, in modo che

risultasse un colore “improvvisato”. Oltre alle semplici e veloci pennellate, un

altro aspetto che caratterizza questo quadro, come tutti quelli di quel

periodo definito “impressionismo”, è la mancanza di contorni e di linee

definite che rendono il quadro molto più imperfetto rispetto alle opere del

periodo precedente. La mancanza di contorni aiuta lo spettatore a

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collocare il quadro all’interno di un periodo storico-culturale detto

impressionismo, definito così perché, del contenuto del dipinto, vi è soltanto

l’impressione e si vuol lasciare libero spazio di pensiero e immaginazione a

chi lo ammira.

L’opera rappresenta una casa su una scogliera vicino al mare; dietro di

essa si cela una storia che non tutti attraverso un semplice e affrettato

sguardo riescono a percepire; per questo ho deciso che sarò io a

raccontare come, secondo il mio parere, sarebbe andata la vicenda

accaduta prima che il pittore la raffigurasse sulla tela.

Monet dopo una lunga giornata di lavoro andava tutte le sere ad ammirare

la piccola e graziosa casetta della sua amata; questa si trovava vicino ad

una scogliera, dalla quale assisteva sempre al tramonto ripensando al suo

grande amore “proibito”.

Nella famiglia della giovincella Monet non era accettato perché era

considerato un uomo senza lavoro e, quindi, senza la speranza di poter

intraprendere una vita con la figlia che, al contrario, ne era completamente

innamorata. Dopo anni ed anni di questa routine e di vari tentativi di

conquistare i genitori della ragazza, gli venne in mente un’idea, cioè di

creare un dipinto della casa della sua amata per poi portaglielo e

dimostrare ai genitori che anche come pittore avrebbe potuto, dato che

ne aveva le doti, vendere tanti quadri in modo da poter guadagnare il

pane sufficiente per nutrire la famiglia.

E così avvenne: alla conclusione del quadro, egli glielo portò e, con sua

meraviglia, sorprese anche il padre di lei che lasciò che i due innamorati si

sposassero. Ovviamente non avvenne tutto così in fretta, infatti Monet

dovette realizzare molti altri quadri, che rappresentassero non solo la

casetta dell’amata, ma anche soggetti di vita quotidiana e la natura in tutti

i suoi aspetti migliori.

Monet decise di raffigurare proprio il suo giardino e, un dipinto dopo l’altro,

lo riportò su tela da cima a fondo. Per non far intuire che i suoi soggetti

fossero copiati, li dipinse in modo tale che non fu possibile per il padre della

fanciulla riconoscere il vero luogo di ispirazione. Per ben due anni Monet

passò le sue giornate a dipingere la natura, in particolare uno dei suo

soggetti preferiti: le ninfee. Riuscì a conquistare non solo il cuore della

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fanciulla, ma anche quello del padre che decise di concedere la mano

della figlia in sposa a Monet. Egli la trattò da subito come uno dei tesori più

preziosi della vita.

Il dipinto della famosa casetta venne appeso sopra al camino della casa

dei due innamorati, come ricordo per la moglie del luogo dove vivevano i

suoi genitori. Su richiesta della donna, Monet dipinse la casa da una

prospettiva più vicina, in modo tale che si vedesse meglio; ma un’altra cosa

gli fu chiesta, cioè di non dipingere la casa durante il giorno, come aveva

fatto in precedenza, ma al tramonto in modo che il quadro trasmettesse

emozioni più forti.

Quest’altro dipinto venne regalato ai genitori che ne fecero anch’essi un

uso particolare, cioè lo appesero nella sala per dimostrare che il marito

della figlia, anche se non di nobile famiglia, era capace di catturare

l’attimo di una giornata su una tela.

Questa è la romantica storia di Monet e della sua amata, raffigurata su una

semplice tela e raccontata con delle piccole e veloci pennellate di colore.

Irene Verdari