Verona è - Ottobre 2012

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Anno III - n. 9 - Ottobre 2012 Progettazione e realizzazione web Realizzazione software aziendali Web mail - Account di posta Via Leida, 8 37135 - Verona - Tel. 045 8213 434 www.ewakesolutions.it edito da Associazione Culturale www.quintaparete.it Impressioni d’autunno nel centro della nostra città

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Il numero autunnale del nostro giornale. Continuate a seguirci, novità in arrivo!

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Anno III - n. 9 - Ottobre 2012

Progettazione e realizzazione webRealizzazione software aziendaliWeb mail - Account di posta

Via Leida, 8 37135 - Verona - Tel. 045 8213 434 www.ewakesolutions.it

edito daAssociazione Culturale

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Impressioni d’autunnonel centro della nostra città

UN’IMMAGINE DI AUTUNNO?QUALCHE EVENTO PARTICOLARE?

per es. fiera? manifestazioni?una foto mia?

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Caro lettore,con il prossimo numero di novembre 2012 abbiamo deciso di dare una svolta importante al nostro giornale. Veronaè cambierà la grafica della testata e l'impaginazione in generale, assumendo l'aspetto che siamo soliti vedere nei grandi quotidiani on-line. Più "leggero", più agile e più ricco di notizie, con nuove sezioni per essere sempre più al servizio del nostro pubblico.Siamo certi che comprenderai i minimi disservizi che avremo in questi primi mesi di cambiamento.Veronaè sempre più vicino a te. Potrai trovarci al solito indirizzo internet www.quintaparete.it

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Edito daAssociazione CulturaleQuinta Parete - Verona

Via Vasco de Gama 1337024 Arbizzano di Negrar, Verona

Direttore responsabileFederico Martinelli

Assistente di redazioneStefano Campostrini

Hanno collaborato

Daniele Adami

Stefano Campostrini

Lorenzo Magnabosco

Jessica Mariani

Federico Martinelli

Ernesto Pavan

Alice Perini

Silvano Tommasoli

Realizzazione graficaStefano Campostrini

Autorizzazione del Tribunale di Veronadel 26 novembre 2008

Registro stampa n° 1821

I titoli delle rubriche sono desunti, con ironia, da battute di celebri film

contatti

[email protected]

Federico MartinelliCell.: 349 61 71 250

www.quintaparete.it

Anno III - n. 9 - Ottobre 2012

Musica pag. 2

Teatro pag. 4

pag. 6Libri/Giochi di ruolo

pag. 10Società

pag. 14Viaggi

pag. 18Sport

www.quintaparete.it

in questo numero

Numero chiuso il ____________

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Ottobre 20122 Musica

Un venerdì sera come un altro quel-lo del 14 settembre 2012, una sera-ta d’estate agli sgoccioli. Il pubblico trasuda ancora il caldo d’agosto, è carico e coinvolto. Le gradinate non numerate sono ben riempite, la pla-tea un po’ meno, ma gli spazi vuo-ti non rimarranno inutilizzati. Con Mannarino non si spreca proprio nulla, né la voce, né il corpo e nep-pure l’immaginazione.

Il palco sobrio ospita una schiera di musicisti timidi in penombra: violon-cello, fisarmonica, ottoni, chitarre, tastiere, percussioni, e due coriste, Daniela Savoldi e Simona Sciacca dalla voce calda e incantatrice.

Il “Bar della Rabbia” si prepara al calo dei sipari: non si tratta del con-sueto sipario purpureo ma di due arazzi in stile bizantino raffiguranti due Santi. Nulla di scontato quindi, c’è dietro un profondo significato, come canterà a gran voce lo stornel-latore romano, tra poesie, racconti di terre lontane e ritmi popolari.

L’esordio della poderosa e sensuale Simona Sciacca apre il concerto in un canto melodico, in dialetto cala-

brese, coperta da veli e trasparenze nere. L’atmosfera mistica avvolge il pubblico incuriosito e ipnotizzato dal canto della sirena del cantastorie romano più apprezzato, che avanza timidamente, in abito scuro, sempli-ce, adornato solo dal consueto cap-pello da artista di strada e dalla sua compagna chitarra da cui non si se-para mai.

Via alla “Rumba Magica” e mistica dello stornellatore romano, sgatta-iolato dal cantautorato di periferia a quello delle grandi scene musicali italiane, grazie al merito riconosciu-togli dalla Dandini di “Parla con me” e da Floris di “Ballarò”. Premio Ten-co, Siae e il palco del Primo maggio a Roma sono le tre medaglie ottenute dal trentatreenne romano, che can-ta con l’anima e consuma la chitarra con il suo appassionato strimpellare.

“Svegliatevi Italiani” brava gente, canta Mannarino, “qua la truffa è grossa e congegnata, lavoro inter-mittente, solo un’emittente, pure l’a-ria pura va pagata...!” Mannarino parla con il suo pubblico, cerca di calarsi nei panni della gente comune, veste la sua musica di una responsa-

bilità sociale ammirevole e sincera. Poi racconta la storia della “Strega e del diamante” intervallata dal so-ave canto di Daniela Savoldi, “e chi se la scorda quella canzone” ripete il cantastorie calato nei panni di un ubriacone sudamericano.

E’ tempo di cambiare e gli animi del-la gente risvegliare! Il ritmo incal-zante di “Mary Lou” , la donna del porto che balla con l’abito corto per intenderci, è irresistibile anche per l’ordine del Teatro Romano. Ancora una volta e non finirò mai di scri-verlo, il pubblico non resiste al rit-mo e all’allegria. Se ne frega, (si può dire?), e scende dalle gradinate, sca-valca le transenne e non c’è addetto alla sicurezza che tenga. Mannarino è un rivoluzionario si sa, e i suoi se-guaci pure, e visto che siamo in tema di santi e religione , “al diavolo” i po-sti numerati e non.

Si prosegue con “Osso di seppia”, “l’Amore Nero”, “Le cose perdute”, “L’Onorevole”; il pubblico è di nic-

Supersantos tour: il cantastorie romano “risveglia gli italiani”

Mannarino al Teatro Romano

Verso l’infinito e oltredi Jessica Mariani

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Ottobre 2012 3Musica

chia ma molto preparato. “Maddale-na” è uno dei momenti più emozio-nanti del concerto perché ne svela il senso e il significato. Alessandro ci racconta dell’amore anti-biblico fra la dolce Maddalena e Giuda, che “più di ogni sermone, amava le urla dolci della Maddalena”, senza un dente per di più. Dall’alto dei cieli Dio mi-naccia di fulminare Giuda e la Mad-dalena, in difesa del suo amato, gli urla: “Tu che hai partorito senza far l’amore, che vuoi saperne di questa fregatura”. Sulle note di questa po-esia si eleva il terzo arazzo, quello centrale, che raffigura l’abbraccio fra Giuda e Maddalena, che “stanno insieme, girano nascosti fra la gente, vanno al fiume a far l’amore, su una barchetta che va controcorrente”. Si dispiegano gli applausi e si alzano le urla, il pubblico ha colto la metafora e proclama l’adorazione verso il toc-co d’arte poetica, verso la sfrontatez-za del cantautore che non nasconde le mezze verità.

Da cantastorie Mannarino si tra-sforma in un pagliaccio che “lavo-ra col sorriso”, diverte e interpreta egregiamente la parte; d’altronde è meglio “na mezza risata vera che ‘na dentiera tutta intera”, come afferma

la canzone. Si continua a ballare con “Serenata lacrimosa”, “Tevere grand Hotel, Me so embriacato e Statte zitta”, i brani cult del cantautore, per poi sentirlo intonare a gran voce “Quando l’amore se ne va”, accompa-gnato da una morte impersonificata sul palcoscenico che trasporta un te-schio.

Tre ore di musica senza interruzione, con interpretazioni di brani recenti e non come “Il Bar della Rabbia”, “Scetato vajò” e “Elisir d’amor” dove si vende quella pozione chiamata “amore” che fa bene al cuore; una voce potente, calda e molto espres-siva che si sfoga senza sosta. Nono-stante sia agli esordi, Mannarino è un mostro da palcoscenico. Come dimenticare l’esortazione al pubblico a scendere dalle gradinate e unirsi ai coraggiosi sfidanti di inizio concer-to. Il risultato? Un bagno di folla che balla sotto al palcoscenico; anche io non resisto alla tentazione! Un’atmo-sfera circense fra storie di paesi lon-tani, dall’Amazzonia al Sudamerica, all’Italia, un inno alle cose semplici, alla vita, alla libertà di espressione.

Il concerto culmina con la gloriosa presentazione di tutto lo staff e l’as-solo “Merlo rosso” eseguito da Simo-

na Sciacca, che approda in semplice vestito bianco e chioma folta al vento al centro del palcoscenico; un’artista degna di merito e molto talentuosa. Gli animi degli spettatori si acquie-tano ma non troppo. Mannarino se ne va ma il pubblico lo richiama a gran voce. E lui ritorna impavido dagli adoranti e ripropone altri tre brani fino allo stremo.

Mannarino è stato paragonato a Bu-scaglione, a Capossela, ma è sempre meglio esaltare un’artista nella sua unicità, invece di paragonarlo ad altri, a cui può più o meno assomi-gliare. Musica, poesia, ritmo e tanta passione. Una mescolanza di carat-teristiche che denota la completezza di Alessandro Mannarino.

Un concerto degno di un “santo”, per concludere in bellezza.

Verso l’infinito e oltre

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Ottobre 20124 Teatro

Un bilancio del 90° Festival areniano. Luci e ombre, di scena e non.

Stagione lirica 2012:quest’anno il “Trionfo” è di Tosca

di Jessica Mariani - fotografie di Stefano CampostriniNe hanno viste di cose questi occhi

Pur arrancando e riempiendo solo per metà gli spalti e le poltrone del teatro d’opera lirica più famoso del mondo, la stagione partorita da Fon-dazione Arena si chiude con risul-tati non particolarmente deludenti, ma che denotano una crisi non solo economica ma anche strategica nel-le scelte, di un’arte che affascina il mondo intero da decenni. Grandi nomi, scenografie mozzafiato, un va-riopinto volteggiare dei costumi più disparati, il fascino dell’Arena di Ve-rona e delle candeline accese al terzo gong, che annunciano l’inizio opera e che incantano il pubblico straniero. La presenza di Germania e Inghil-terra si è fatta sentire. Ma è il sano patriottismo italiano che questa volta viene a mancare.

Gli Italiani quest’anno “snobbano” l’opera e le iniziative per riavvicinar-li rimbalzano sulla scelta della Fon-dazione di adulare il pubblico vero-nese promettendo poderosi sconti. Un risultato nella media quello otte-

Giovanni, Julian Kovachev per Car-men, il tanto apprezzato Armiliato in Tosca, e le due giovani perle Fabio Mastrangelo per Romeo et Juliette e Andrea Battistoni per Turandot. Im-peccabile anche la riconferma della regia del mastodontico Franco Zef-firelli in Don Giovanni, Turandot e Carmen, del navigato De Bosio in Aida, dell’argentino Hugo De Ana in Tosca e del regista emergente Fran-cesco Micheli in Romeo et Juliette.

Un discreto successo quello ottenuto con l’opera inaugurale Don Giovan-ni di Mozart, la cui media presenza riscontrata è stata di 7725 spettato-ri, con il debutto areniano di un cast internazionale pienamente all’altezza con D’Arcangelo, Schrott e Pirgu e con Romeo e Juliette, riconferman-do una tenuta invidiabile, grazie ad

nuto, un’Arena riempita mediamente con 426.390 spettatori, con un calo dell’8,4% rispetto al 2011 e vicini ai valori del 2010: è il dato più basso re-gistrato negli ultimi anni. La media di spettatori a recita è stato di 8.525 presenze con una occupazione del 62,13% dei posti disponibili. Questo calo si è concretizzato anche negli incassi: “La flessione oscilla tra il 12 e il 13%” ha rivelato il sovrintendente. Le gradinate non numerate si sono riempite facilmente, de-notando la volontà o forse la necessità della gente di voler spendere meno e godersi il meraviglioso spettacolo co-munque.

Uno scenario di professori d’orchestra invidiabile quello scelto e riconfermato dal di-rettore artistico Gavazzeni: i classici di fama internazionale Daniel Oren per Aida e Don

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altri interpreti famosi e bravi come il tenore americano John Osborn. Romeo e Juliette ha contato tre re-cite favorevoli su quattro, nei giorni di sabato, finendo nella graduatoria al quinto posto con 8072 spettatori medi per sera. Per le altre tre opere in cartellone, Aida è finita al secondo posto, con 8.900 spettatori per sera, seppur incappando in due spettaco-li disastrosi, quelli di domenica 22 e martedì 24 luglio, in cui gli spetta-tori erano appena oltre la soglia dei 5 mila, dove l’ha fatta da padrone la gigantesca tromba d’aria che ha de-vastato il centro di Verona. Carmen, al terzo, si è invece attestata sulle 8.500 presenze e da ultima si trova Turandot, ma al quarto posto, con 8.200 spettatori.

Ma il podio della vittoria spetta alla passionale e rivoluzionaria Tosca di Puccini che ha fatto segnare nel-le cinque serate una media di 9278 presenze. Emozionante e suggestiva la Prima dell’opera ambientata nel-la Roma ottocentesca, che ha voluto omaggiare il pubblico degli Emiliani colpiti dal recente terremoto. Il Can-to degli Italiani ha inaugurato la ma-gica serata, l’unica che ha segnato il “tutto esaurito” della stagione 2012, con sconto annesso per le vittime del terremoto in Emilia.

Hugo De Ana sa il fatto suo e ha di-mostrato ancora una volta, dopo il successo 2011 di Traviata e Barbie-re di Siviglia, di conoscere alla per-fezione le potenzialità dell’Arena di Verona, curando le esigenze di tutti i suoi lavoranti. Il Maestro argentino ha curato regia, scene, costumi e luci. La si potrebbe in qualche modo con-siderare una sua creatura, avendone portato a termine quattordici edizio-ni in giro per il mondo, di cui quattro in Arena, trovandovi sempre qualco-sa di nuovo, una ispirazione o piccole scelte da rivedere o mai più ripropor-re. Una scenografia molto apprezzata e che si presta facilmente con la sua imponenza al contesto emozionale creato da arie come “Vissi d’arte”, “E

Lucevan le stelle” e “Te Deum”. Una scelta originale quella di inserire il frammento di monumento in formato gigante che rappresenta l’Arcangelo Gabriele di Castel Sant’Angelo, at-torniato da due cannoni per lato che sparano solennità nel Te Deum e che stupiscono il pubblico, quasi frastor-nato dal rumore. Una qualità vocale mista ad una insostituibile dram-maticità quella che caratterizza i tre maggiori interpreti: Martina Serafin nei panni di Tosca, Antonenko nei panni di Cavaradossi e Mastromari-no nei panni di Scarpia. Voce e azio-ne, intensità e poca raffinatezza che caratterizzano l’amore incondizio-nato e viscerale di una donna come Tosca.

Ora si punta al Centenario 2013 con un calendario rinvigorito di date e ospiti d’eccezione, nella speranza che gli Italiani tornino a sedersi fra le gradinate dell’Arena di Verona, e che un’arte così completa come l’ope-ra lirica venga riapprezzata e rivalo-rizzata.

Come dice il famoso motivetto reci-tato sulle note della Gazza Ladra nel pre-opera: “all’Arena di Verona, i so-gni diventano realtà”.

Ottobre 2012 5Teatro

Ne hanno viste di cose questi occhi

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Ottobre 20126 Libri/Tecnologia

Ci dispiace cominciare questa recen-sione del nuovo e-reader di Amazon con una polemica nei confronti di Amazon stessa; ma non possia-mo non chiederci se la scelta di far uscire una nuova versione del Kindle a meno di un anno di distanza dall’ultima sia del tutto corretta nei confronti de-gli acquirenti. È vero che la tec-nologia corre, ma il fatto che il prodotto sia uscito più o meno in coincidenza della scadenza della garanzia limitata del suo predecessore (che, ricordiamo, è cosa diversa dalla garanzia legale) non può non suscitare qualche pensiero spiacevole. Del resto, un lettore di ebook non ha bisogno di chissà quali migliorie per essere funzionale; e in effetti, nonostante il Kindle 5 sia ottimo, le differenze con il “vecchio” modello non sono poi tante.

Il nuovo Kindle ha caratteri meglio definiti, gira le pagine più in fretta ed è nero. Il passaggio da una schermata all’altra è discreta-mente veloce, mentre lascia un po’ a desiderare la funzione di sottolinea-tura, che richiede probabilmente più gesti del necessario. La home page

mantiene la consueta semplicità, ri-sultando ancora una volta un po’ disadorna e non del tutto pratica, a

meno di non fare un utilizzo sapiente delle raccolte; perlomeno, la cosa vale per noi, che avendo caricato sul let-tore decine e decine di ebook, qual-che volta facciamo fatica a orientar-

ci. Incuriosisce il fatto che l’opzione per disabilitare la connessione alle reti wireless si chiami ora “modalità

aeroplano” e non sia disponibile dal menu della home page, ma dalla pagina delle impostazio-ni; un cambiamento bizzarro (peraltro applicato anche al Kindle 4 tramite un aggiorna-mento del firmware), che rende un po’ più scomoda l’accensione e lo spegnimento della wireless senza aggiungere nulla di nuo-vo.

Conviene, per chi ha già un Kindle, comprare il nuovo modello? Probabilmente no, a meno che questi non abbia an-cora il Kindle Keyboard (non disponibile in Italia): i cam-biamenti non sono abbastan-za sostanziali per giustificare l’acquisto. Per tutti gli altri, il Kindle 5 è una buona opzio-ne: con un prezzo di 79 euro, è uno dei lettori più economi-ci sul mercato italiano ed è di

ottima qualità. Sconsigliamo invece l’acquisto della custodia a marchio Amazon, che, come sempre costosis-sima, si graffia anche facilmente ed è facilmente sostituibile con i modelli proposti da altri produttori.

Interessante, ma non innovativa, l’ultima trovata di Amazon

Il “nuovo” Kindle non è poi così nuovo

di Ernesto PavanÈ la stampa, bellezza

I Nostri servizi:Cartoleria - Cartoline - PosterAssortimento Libri nuovi ed usati in inglese e spagnolo.Libri e giochi didattici per bambini e ragazzi. Angolo bambini.

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Page 9: Verona è - Ottobre 2012

Ottobre 2012 7Libri

Narrativa, poesia, vita vissuta, storia locale, didattica scolastica, cultura nel senso più ampio del termine.

Spazio agli autori emergenti, giornalisti e ricercatori.Particolare attenzione alla promozione del territorio, delle

economie emergenti (marmo, vino, enogastronomia, percorsi turistici alternativi) e a indagini psico-sociologiche.

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La domanda è sempre attuale: da dove nasce la questione meridiona-le? I “terroni” hanno davvero nel sangue la pigrizia e il malcostume, oppure la vera risposta è un’altra? Pino Aprile presenta un’ipotesi tan-to sconvolgente quanto plausibile: la questione meridionale l’hanno crea-ta i settentrionali.

Nelle trecento pagine di questo sag-gio, a volte con estrema lucidità e al-tre volte con il tono accorato di chi la calunnia l’ha subita, l’autore di-mostra come l’Italia del sud non ab-bia avuto che da perdere dall’Unità; come saccheggi e tasse abbiano fatto precipitare il Meridione nelle con-dizioni in cui è oggi; come lo Stato italiano abbia sempre fatto di tutto, sia dal punto di vista economico che da quello sociale, per privilegiare il Nord e abbia sempre sfruttato il Sud come fonte di denaro, materie prime e uomini (come manodopera o come soldati). Senza nulla togliere al valo-re storico e politico del Risorgimen-to, Pino Aprile non manca però di sottolineare che la storia dell’Italia unita è stata costellata di ingiustizie e angherie a danno del Meridione e che la situazione attuale è frutto del-

la cultura e non della natura.

Certo, è difficile accettare l’idea che la parte d’Italia più prospera lo sia diventata a spese di quell’altra e non per via di una superiorità che non esiste; ma potrebbe essere il primo passo di un cambiamento che da troppo tempo in molti, forse con ipo-crisia, non smettono di invocare.

Pino Aprile, Terroni. Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero meridionali, Piemme, pp. 303, € 13,00

Un saggio storico, dettagliato e documentato, sulla questione meridionale

Come gli italiani del Sud sono diventati meridionali

di Ernesto PavanÈ la stampa, bellezza

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Ottobre 20128 Libri

È la stampa, bellezza

Non è una polemica, per carità. A chi volete che piacciano le polemi-che? Però, qualche volta è proprio necessario dire pane al pane e vino al vino. Soprattutto quando ben conosciamo gli argomenti dei quali stiamo parlando.

La testata che accoglie queste mie poche righe è un giornale esclusiva-mente on-line. Esso richiede la stessa fatica da parte dei giornalisti per cercare le notizie e raccontar-le ai lettori, lo stesso im-pegno da parte dei gra-fici che impaginano ma soprattutto richiede un maggior sforzo di par-tecipazione ai lettori, i quali, seppur avvisati dell’uscita del giorna-le scaricabile dal sito della testata in formato PDF, si devono attiva-re e andare a cercare e a leggere il “loro” giornale.

Oggi, siamo tutti consapevoli che pubblicare un giornale su carta è diventato proibitivo, per i costi di stampa che l’operazione comporta. Poi, i ricavi che si possono trarre dal-la vendita in edicola sono in caduta libera: i consumatori stanno sempre

più riducendo l’acquisto di

g ior na -li –

l’A.D.S. parla chiaro in questo senso – perché l’internet e la televisione ci hanno abituati alle notizie in tem-po reale; inoltre, non ci possiamo nascondere che viviamo, tutti, una stagione di profonda crisi economi-ca, che induce ad apportare tagli un po’ qui e un po’ là al nostro bilancio personale. La raccolta pubblicitaria, anch’essa schiacciata dalla crisi eco-

nomica, non è più suf-

f iciente p e r

co-

prire le spese di produzione di un giornale. Certo, dobbiamo ricono-scere che gli inserzionisti ancora non si sono abituati all’idea di pubblica-zioni solo digitali, se escludiamo le grandi testate nazionali come la “Re-pubblica” o il “Corriere della Sera”. Un conto è dimostrare, certificati alla mano, tirature e diffusione; altra cosa è parlare di visite ricevute sul sito, di download, di link inviati per

posta elettronica.

Qui ci sono tutte le ragioni per le quali la free-press, venuta prepoten-temente alla ribalta soltanto pochi anni fa, ha già tristemente imbocca-to il viale del tramonto. Per soprav-vivere, editori poco corretti hanno dichiarato tirature e diffusioni molto maggiori di quelle reali, per indurre gli inserzionisti ad aderire alle loro proposte. Ma le bugie hanno le gam-be corte e ben presto sono venute a galla, portando a fondo i loro autori.

Eppure, il fenomeno continua. Ci sono ancora dei furbetti che stampa-no sì e no un migliaio di copie del loro giornale e dichiarano agli inser-zionisti una tiratura interamente di-

stribuita, e dunque una diffusio-ne, di cinque, dieci volte mag-

giore. Mille copie distribuite gratuitamente, in tutta

Verona, non si vedono nemmeno. Infatti, di al-meno un paio di questi giornaletti stiamo acca-nitamente cercando di

toccare con mano una copia carta-cea, senza riuscirci. Dove saranno?

di Silvano Tommasoli

Il giornale che avete “tra le mani” è visionabile on-line al sito indicato qui sopra nella sezione “Sfoglia il giornale”

L’editoria ai giorni nostri attraversa un periodo difficile, anche a Verona

Giornali, giornalisti e giornalai

www.quintaparete.it

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Ottobre 2012 9Giochi di ruolo

Non è necessario che un gioco di ruolo, per essere di qualità, debba essere per forza scritto e pubblicato in maniera indipendente: il Marvel Heroic Roleplaying (Margaret Weis Production, 13,76 € su Amazon.it) ne è la dimostrazione. In uno splendido volume a colori di circa 230 pagine (metà delle quali dedicate allo scena-rio di esempio) sono racchiuse tutte le regole necessarie a giocare gli eroi della Marvel, dall’Uomo Ragno a Wolverine, e a fornire di ciascuno di essi la propria interpretazione per-sonale. Il gioco, infatti, non consiste soltanto nel “muovere” i propri per-sonaggi preferiti, ma anche nell’e-volverli e modificarli radicalmente, proprio come accade nei fumetti. E, a differenza della maggior parte dei giochi sui supereroi presenti sul mer-cato, funziona pure!

Il sistema del Marvel Heroic Roleplay-ing è molto semplice e si basa sulla creazione e l’utilizzo di pool di dadi, che dipendono a loro volta dai trat-ti e dai poteri del personaggio. La Cosa vuole rompere qualche ro-bot assassino? Il giocatore prende un dado a 6 facce (perché Ben sta agendo da solo), un dado a otto facce (perché “È tempo di distruzione!”), un dado a dodici facce (per la super-

forza della Cosa) e un altro dado a otto facce (perché Ben è esperto nel combattimento). I dadi vengono lan-ciati e il loro risultato determina non solo il successo o il fallimento dell’a-

zione, ma anche le eventuali compli-cazioni, la creazione di opportunità tattiche, ecc. Se considerate che le stesse regole valgono anche per una discussione accesa fra protagonisti e per la scena drammatica in cui un eroe convince un malvagio a ravve-dersi, potete capire come il sistema di gioco sia al tempo stesso semplice e funzionale.

Dall’editoria mainstream, un prodotto che stupisce

Il gioco che ti trasforma in un autore Marvel

di Ernesto PavanNessun uomo è un fallito se ha degli amici

Il gioco si struttura in Eventi, cia-scuno dei quali è uno scenario (di solito ispirato a particolari saghe fu-mettistiche) che prevede la presenza in scena di determinati eroi e avver-sari e fornisce diversi spunti e opzio-ni per quello che potrebbe succede-re. Diversi Eventi sono pubblicati dall’editore del gioco e disponibili a pagamento, ma il manuale contiene le indicazioni per crearne di propri (e non si tratta esattamente di fisica quantistica). Dapprincipio, la strut-tura degli Eventi – che sono divisi in Atti veri e propri – ci è parsa un po’ rigida, ma in realtà si tratta di sem-plici linee guida, adattabili alla biso-gna. Un gruppo che ha esperienza di gioco non tradizionale potrà farne buon uso in questa circostanza.

Se proprio dobbiamo trovare un di-fetto nel manuale del gioco, possia-mo dire che le regole potrebbero be-neficiare di qualche spiegazione e di qualche esempio in più, soprattutto per quanto riguarda il ruolo dell’Os-servatore (il giocatore che gestisce i cattivi, gli altri personaggi seconda-ri e l’inquadratura delle scene), che appare poco definito. Ciò detto, il rapporto qualità/prezzo è eccellente e il gioco in sé è molto bello. Sicura-mente un acquisto consigliato.

per metterti in contatto con noi: [email protected]

Page 12: Verona è - Ottobre 2012

Ottobre 201210 Società

“Laura è bisessuale?” furono le pri-me parole che mi uscirono di bocca. In realtà, avrei voluto dire: “Lau-ra voleva davvero farmi mettere con una lesbica?”, ma non sarebbe stato carino. Non che fossi dell’umore di essere carino, si capisce: ancora una volta, Elisa si era dimostrata al di là delle mie possibilità. Quel vago senso di serenità che era nato in me morì. Speravo solo di essere riuscito a nasconderlo.

Elisa fece spallucce. “Forse. O forse è vero che da omo si può diventare etero. Non lo so.”

Una curiosità quasi morbosa si fece strada attraverso l’imba-razzo. “Se posso permettermi, come fa un essere umano a stare con Laura?”

Elisa fece una smorfia non del tutto scherzosa e mi diede un pugnetto sulla spalla. Ahi.

“Non dire così. Laura è dolcis-sima. Non è un’aquila, vero, ma non ha mai voluto esserlo ed è contenta così. Non te ne sei mai accorto?”

Ci pensai su per un attimo. Avevo sempre pensato che Lau-

ra fosse un po’ scema... e in quel mo-mento mi resi conto che non avevo mai pensato che fosse falsa. E che non le avevo mai detto una parola cattiva, e probabilmente non avrei mai avuto il cuore di prenderla in giro. Scema del villaggio sì, ma la mia scema del villaggio. Cioè, mia e di Giovanni. Più di Giovanni che mia, in effetti. Diciamo che ero socio di minoranza.

Ridacchiai. “Sì, me ne sono accorto.” Rimanemmo in silenzio per qual-che istante, ma non era un silenzio spiacevole. Pur non guardandola in faccia, sentivo il suo sorriso. Se lei e Laura erano ancora amiche, doveva avere dei bei ricordi del periodo in cui stavano insieme.

C’era una domanda che volevo fare, ma avevo troppa paura di fare. Due,

a dire il vero. Decisi che venti-cinque anni erano troppo pochi per prendere coraggio e feci quella che mi spaventava di meno.

“Come mai vi siete lasciate?”

La sentii sospirare. Persino il suo sospiro era bello, non come quello di tante persone, che lo hanno visto fare nei film ma non hanno mai provato quelle sensazioni che spingono a esa-lare in quel particolare modo. Elisa sospirava in modo pesan-te e vagamente mascolino.

“Un giorno è venuta da me e mi ha detto che mi voleva troppo bene perché potessimo stare in-sieme. Eravamo troppo diverse; era sicura che avremmo litigato e ci saremmo lasciate male, così,

Un racconto a puntate

Non capita tutti i giorni - parte III

di Ernesto PavanStorie di ordinaria follia

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Page 13: Verona è - Ottobre 2012

L’ immagine del braccio nella pagina a fianco è in licenza CC, tratta da Hacklock.

In alto in questa pagina la birra cinese Tsingtao

Ottobre 2012 11Società

per evitarlo, mi ha proposto di farlo da amiche. Come facevo a dirle di no?”

“E le hai pure presentato Giovanni?”

“Sì, due mesi dopo. Mi intristivo a pensarla da sola.”

“Io le avrei mandato un SMS con scritto ‘Goditi la solitudine, tr...’”

Elisa mi diede una spinta che per poco non mi fece cadere dalla pan-china. Quanta forza c’era in quelle braccine?

“Me lo aveva detto che sei cinico.”

Mi voltai a guardarla, inarcando le sopracciglia. “Cinico? Io? Per tua informazione, ho molti valori. Per esempio, le tre...” No, per favore, non tirare fuori la storia delle tre V, implo-rai me stesso. Non fare figuracce. “... Niente, scusa.” Dopo un momento, aggiunsi: “Brutti ricordi, tutto qui.”

“Chi non ne ha?” Avrei voluto poter-mi arrabbiare con lei, ma come pote-vo avercela con quel sorriso lentig-ginoso? Mi accorsi in quel momento che i suoi occhi erano di un color verde stagno che mi fece quasi sen-tire il profumo dei pini. Avevo paura di impazzire.

Ero talmente perso da non accor-germi che mi stava fissando a sua volta, fino a quando non mi chiese:

“Ti sei incantato?” Annuii, aspettan-domi che da un momento all’altro un ometto sbucasse da dietro una colon-na per consegnarmi tutto allegro il diploma di Perfetto Imbecille.

Invece, ricevetti un regalo di com-pleanno in anticipo.

“Ti dico una cosa,” mormorò Elisa, facendomi segno di avvicinarmi. Obbedii e lei mi disse all’orecchio: “Laura è stata la mia prima ragazza. Prima mi piacevano i maschi, e an-che adesso non mi fanno schifo.”

“Questo significa...”

Elisa inarcò un sopracciglio. “Signi-fica che hai una possibilità, sciocco. Non sprecarla.”

Vidi con la coda dell’occhio Laura e Giovanni che stavano tornando. Laura aveva in mano un sacchetto di plastica pieno delle mie caramelle preferite.

Sì, era davvero una ragazza adora-bile.

Ma aveva perso una grande oppor-tunità che io ero intenzionato a co-gliere.

“Andiamo?” chiesi mentre mi alzavo. Elisa mi seguì e, prima che potesse-ro venirmi altri dubbi, la presi per mano.

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Page 14: Verona è - Ottobre 2012

Ottobre 201212 Società

Invece no, non nascono ridendo. Piangono o, se non lo fanno, c’è qualcuno, lì in sala parto, pronto a farli piangere per la prima volta. E meno male, dirà chi di voi ha avu-to esperienza nel settore neonatale: il nuovo arrivato lascia un ambiente accogliente, la pancia della mamma, dove respirava per mezzo del cor-done ombelicale, e si ritrova in una stanza freddina con luci al neon. Mi immagino una mamma che piange e ride nello stesso tempo e un papà che piange senza ridere (forse la compa-gna lo ha insultato troppo mentre spingeva fuori il pargolo?), il neona-to è lì, che aspetta di respirare con le sue forze.

Respirare, nulla di più semplice. Come camminare o andare in bici-cletta. Peccato (o per fortuna?) che, prima di tutto, dobbiamo imparare, dal latino in-parare, ovvero, prende-re possesso di quelle capacità che ci permettono di compiere delle azio-

ni. Sbucciandoci le ginoc-chia e cappottandoci con un triciclo, piantando il sedere per terra prima di muovere i primi passi con sicurezza e, anche, piangendo, perché il primo atto respiratorio, ge-neralmente, è fastidioso. Non ce lo possiamo ricordare, ma ognuno di noi, a pochi attimi di vita, avrà provato una sen-sazione di bruciore. Poi, via, con il motore acceso ci siamo incamminati lungo il nostro viaggio.

Non so se davvero il mondo potrebbe essere diverso qua-lora i bebè, invece di piange-re, iniziassero la loro vita ri-dendo. Sono certa, però, che se tutti i bambini potessero sempre avere sul viso anche

solo un abbozzo di vero sorriso, la vita potrebbe essere più leggera, per tutti. Perché, come scrisse Leopardi nello Zibaldone, «I fanciulli trovano il tutto nel nulla, gli uomini il nulla nel tutto». A volte, ahimé, tutto precipita nel nulla e nulla può avere la forza di disegnare sul volto dei genitori un segno di felicità se niente si può fare per salvare il sorriso del tuo bambi-no.

Malattia rara. È strano quale peso relativo possano avere le parole. Sfu-mature imbarazzanti. Raro: che raz-za di vocabolo è? Un termine bifido, senza ombra di dubbio.

Sinonimo di prezioso e, guarda un po’, in questo caso può andar a brac-cetto con i portafogli a fisarmonica, perché non è raro trovare qualcuno disposto a qualsiasi cifra per acqui-starsi un raro.

Ripugnante trovarlo accanto alla parola “malattia”. Malattia rara. Co-muni, credo, le sensazioni che si pro-vano qualora ci si trovi imprigionati in questa ragnatela d’acciaio. Una pugnalata?

Spinose sfumature di un’ordinaria parola: raroIntrovabile. Prezioso. Ma se di mezzo c’è la malattia?

Storie di ordinaria folliadi Alice Perini

«Il mondo sarebbe diverso se i bambini nascessero ridendo»Giovanni Soriano

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Ottobre 2012 13Società

Storie di ordinaria follia

Se la rarità colpisce un bambino poi…

Se quel bambino, che sembra dor-mire così beato nella carrozzina, fa parte della tua cerchia familiare…

L’articolo dovrebbe finire qui. Per-ché con le MR, questa l’abbreviazio-ne dell’espressione “malattie rare” così come compare nel Rapporto 2011 dell’Istituto Superiore di Sani-tà, non si sa dove sbattere la testa.

Cosa volete che vi scriva ora? Rab-bia, sconcerto, amarezza.

E poi? Svelarvi il nome della MR? Perché dovrei, mi chiedo.

Paradossalmente, il mondo è pieno zeppo di queste infelici rarità. Sa-

rebbe l’ennesimo nome di un elenco che non avrà mai fine, la solita lista di sintomi, un copia-incolla dal sito internet dell’associazione nata con lo scopo di assistere le famiglie cadute in questa trappola.

Non sono un medico. Avrei voluto studiare medicina, questo sì. Ero già sicura della specializzazione che avrei voluto conquistarmi: neonato-logia. Per fortuna ho seguito il consi-glio di chi mi conosce, dei miei geni-tori. Troppo sensibile. Chissà, forse sarei stata un bravo medico. Devota allo studio, curiosa di sapere, dedi-ta ai miei pazienti. Comprensiva, in grado di ascoltare. Ma con un enor-me difetto: la presunzione di poter guarire ogni malanno. Con l’ambi-zione di voler essere infallibile. Per-

fetta. Con la pretesa di combattere ogni giorno contro una vita che per-fetta non è. Ogni fallimento sarebbe stato vissuto come una sconfitta non solo lavorativa, ma, soprattutto, di vita. Incapace di perdonarmi anche di fronte a quei casi in cui davvero il medico ha dato tutto se stesso.

Io scrivo. Non sono una scrittrice, ma ho l’opportunità di parlare at-traverso un foglio, di scegliere un argomento e di ricamarci sopra un decoro che può piacervi o annoiarvi.

Questa volta sento di aver solo mes-so in fila una parola dietro l’altra, se-guendo un’onda enorme di pensieri che si accavallano e litigano fra loro nella mia testa.

Il ricamo, purtroppo, non spetta a me oggi. Sarà banale, ma è pur sempre la verità: dovessi deciderlo io, questo benedetto ricamo, MR sa-rebbe solo l’abbreviazione inglese di Mister. Nulla più.

E poi, i bambini potrebbero anche nascere piangendo.

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Page 16: Verona è - Ottobre 2012

«La follia sta nel fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversie»Albert Einstein

Ottobre 201214 Viaggi

Saldo in agenzia, ritiro dei voucher, conferma dell’orario del volo, spe-rando che, almeno stavolta, la for-tuna giri dalla tua e che l’aereo sia pronto a staccare il carrello dalla pi-sta del Catullo puntuale. Puoi conce-dere, al massimo, quel maledettissimo quarto d’ora accademico, 15 minuti di agio che, in ogni caso, ti auguri il tuo boeing possa recuperare cielo facendo.

Sempre la stessa cosa.

Check-in: un’ora trascorsa tenendo le dita incrociate perché la tua va-ligia, con soli 2 viaggi sul groppo-ne ma rattoppata qua e là come un patchwork, rimanga entro i 15 Kg.

Dogana: non sempre è la stessa cosa. «Di chi è questo zaino?». Cavoli, è il mio. «Posso dare una controllata?». Chiaro, sto cercando di aprirtelo mentre tu stai già rumando lì dentro. Mentre ripenso a cosa diamine ho messo in quello zaino, la signora in divisa gioisce nel veder emergere un sapone. Un normale sapone da buca-to. Grazie a questa massa bianca in-forme, con la quale il mio fidanzato lava ogni sera i costumi da bagno del giorno, ho perso 2 Kg in 30 secondi e guadagnato qualche capello bianco dallo spauracchio.

Poi pulmino, aggrappati l’uno all’al-tra, con le teste che ruotano a 360° per cercare lui, l’aereo.

È sempre così.

anno fa, Santorini, romantica mez-zaluna del Mediterraneo e inizia la discesa verso Karpathos. Con la fac-cia spiaccicata al finestrino vedo del-la terra in mezzo al mare e sento che quella è la meta della nostra unica vacanza all’anno. Anche se il nostro boeing sembra proseguire oltre, so, con un pizzico di presunzione, che è lì che trascorreremo la prossima set-timana.

La forma dell’isola, stretta e allun-

Noi, semplici viaggiatori + car a noleggio = emozioni da un’isola del Dodecaneso

Kar-pathos, la formula (greca) di una follia. Tutta da ripetere

di Alice PeriniGiro giro tondo, io giro intorno al mondo

Eccolo, bianco e rosso, con una A stilizzata disegnata sulla coda. Po-sti in 26° fila. Dicono che in caso di incidente aereo i più sfortunati siano quelli delle ultime file. “Che follia!” penso tra me e me. Non può essere sempre la solita cosa e, come Albert Einstein, mi aspetto, in caso di ne-cessità, un risultato diverso.

Turbolenze, nuvole di panna monta-ta sotto di noi, poi un saluto dall’al-to a un’isola già conosciuta qualche

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Ottobre 2012 15Viaggi

gata, impressa nella mia memoria dalle tante volte in cui ho sfogliato il depliant e due strisce d’asfalto grigio-nero, la pista, me lo confermano. Un vento fortissimo, il meltemia, che in-crespa le onde del mare mischiando il blu al bianco della spuma.

È sempre la stessa emozione.

Scendere dalla scaletta, ritrovarsi in un aeroporto che fino a pochi anni fa non esisteva, non vedere l’ora di raggiungere la meta nella meta, Pi-gadia, unico centro di tutta l’isola. Bancomat, ufficio postale, farmacie, negozietti, taverne e 3.000 abitanti (in inverno) da moltiplicare per tre nella stagione estiva.

Albergo spartano, come piace a noi, con vista sulla catena montuosa che

attraversa l’isola, dove al mattino si addensano nuvole basse, ansiogene per chi, come noi, ha dovuto sop-portare 4 giorni di pioggia su 7. Ma questa, per fortuna, è solo la storia di Skiathos, un anno fa.

Mezzo a noleggio e carta geografica alla mano: così è la nostra vacanza. Daniele, mio compagno di vita e di viaggio da ormai 7 anni, che in sel-la a un motorino o a bordo di una macchina è pilota ufficiale; io, casco in testa o finestrino abbassato alla ri-cerca di angoli che m’immagino nes-suno possa aver ancora fotografato.

“Fermati appena puoi, vorrei fare qualche foto”: una delle mie follie, quella di trovare in un’isola, che potrà assomigliare per 100 motivi a un’al-tra, 101 cose che la rendano unica.

Kyra Panagia, chiesetta con cupola rossa e baia dalle acque azzurro-verdi, foto inflazionata perché spiat-tellata su tutti i depliants di tutti i tour operator, Amoopi, dove scovare tra le rocce pesci e granchi, Apella, stretta insenatura avvolta da rocce e albe-ri di pino, eletta, qualche anno fa, spiaggia più bella di tutto il Medi-terraneo. E poi Lefkos, sul versante occidentale dell’isola, dalla sabbia soffice e dalle caratteristiche taver-ne nelle quali gustare ottimi piatti di pesce fresco.

Giorni volati in fretta, come il melte-mia, dal soffio furioso che non ci ha mai abbandonati.

Riconsegniamo l’auto a noleggio a una signora che ci domanda, in in-glese, cosa abbiamo gustato di Kar-pathos. Sorpresa, carta alla mano, ci indica altri 10 posti dove avremmo dovuto metter piede.

Ah, signora mia, su 7 giorni, 1 se ne va per il viaggio di andata e 1 per quello di ritorno. E poi, da quando in vacanza vince chi vede più “cose”? Siamo Alice e Daniele, non Wile Co-yote e Beep Beep in versione fidanzati.

La nostra prossima follia? Già pia-nificata: fare la stessa cosa, ritornare a Karpathos, aspettandoci qualcosa di diverso…tranne noi, i viaggiatori!

Giro giro tondo, io giro intorno al mondo

Page 18: Verona è - Ottobre 2012

Ottobre 201216 Viaggi

L’aereo ha toccato pista da meno di 2 secondi e subito scatta l’applauso al pilota. “Bene” – mi dico tra me e me, ancora appiccicata come una sottiletta al sedile del boeing. Sotto il nostro sedere, oltre al giubbotto di salvataggio che, per fortuna, se n’è rimasto quatto quatto lì al suo po-sto, c’è terra; serve solo un’energi-ca frenata che colori l’asfalto grigio della pista di un nero carbone e un bel parcheggio – di difficoltà non dovrebbero essercene – non ho no-tato altri aeromobili fermi. Qualsiasi posteggio sarà perfetto.

Ma ecco un mistero, un quesito che vorrei quasi sottoporre all’attenzio-ne di Voyager: quale strana forza del-la natura fa in modo che il 99% degli viaggiatori si slacci la cintura quan-do ancora la spia luminosa è accesa? Non vorrei essere nei panni di una hostess che ha appena agganciato il citofono ripetendo di rimanere se-duti con le cinture allacciate finché l’apposito segnale non si sarà spento.

E mi arrabbierei ancora di più, da hostess, nel vedere che, ad aereo an-cora non fermo, c’è già la rincorsa del passeggero più furbo che si av-vinghia alla cappelliera, ritira i ba-gagli e si mette in coda davanti al portellone dell’aereo. Ancora chiuso, ovviamente.

Perché? Ti devono ancora portare la scaletta per scendere, dove vai?

Una spiegazione, forse, c’è. Il tuo pensiero ristagna lì da un po’: le va-ligie. Ti vuoi guadagnare la pole posi-tion accanto al nastro trasportatore per raccattare il tuo bagaglio non appena lo vedrai spuntare all’oriz-zonte. Se potesse, questo uomo - ché di solito è loro il compito di recupe-rare il nécessaire per la vacanza - si infilerebbe nella stiva dell’aereo per recuperarsela da solo, ‘sta maledetta valigia.

Blu, fucsia, nera, rossa, di Hello Kitty e una incellofanata con la scritta “Se-curity bag”.

Tu aspetti.

Questo nastro ancora non si decide a

sputare la mia valigia: medie dimen-sioni, grigio-argento, con il cartel-lino giallo dell’agenzia compilato a dovere con nome e cognome, numero di telefono e indirizzo dell’albergo.

Eccola! Quella è la mia. Prima che arrivi dalla sua proprietaria la guar-deranno tutti: sono con il mio ragaz-zo alla fine del rullo, un posto come un altro, solo che la tua valigia sfila davanti ai 180 passeggeri del volo, perché l’unico buco che hai trovato per il recupero bagagli è un pertugio situato poco prima che il tuo baga-glio ritorni fuori, vicino agli scarica-tori di aero-porto.

Finalmente fa capolino anche quel-la del mio ragazzo Daniele. Ottimo, possiamo andare.

Altro mistero: Daniele non mi segue. Guarda la sua valigia rigida, l’ideale per i viaggi in aereo. Resistente, in po-licarbonato. Zoppica (la valigia). Due passi e voilà! La rotellina se ne và.

Ci guardiamo perplessi. Parte qual-

Mistero: perché, al nastro trasportatore, ti tocca recuperare pezzi di bagaglio?

La valigia sul letto è quella…che finirà dal tuo riparatore di fiducia

di Alice PeriniHouston, abbiamo un problema

«Non viaggio mai in aereo. Il viaggio verso l’aeroporto mi fa venire il mal d’auto»Milton Berle

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Ottobre 2012 17Viaggi

che imprecazione che ha come unici riferimenti l’organo ses-suale maschile e un prodotto del corpo umano che non è pipì.

Io risoluta nel far denuncia, perché, mi dico, non è possibile che il momento del ritiro baga-gli generi un’ansia pari al gior-no in cui ti sei laureata. Vali-gia mezza aperta per due anni, valigia con lucchetto rotto e serratura danneggiata, valigia (rigi-da) con un taglio di strana natura lo scorso anno.

Lui, il mio ragazzo, titubante. “No, è lo stesso. Mi arrangio. La tengo sollevata”. Certo, sollevarla di peso è l’unica possibilità che ti è rimasta,

Lasciamo l’aeroporto con un foglio in mano, il riassunto del-la grazia con la quale, in tan-ti aeroporti di questo mondo, viene trattata la “roba” altrui.

Per 7 giorni abbiamo altro su cui concentrarci, al bagaglio claudicante ci si pensa in Italia.

Si va all’agenzia viaggi per avere delucidazioni sulla prassi da seguire in questi casi. Trop-

pe volte abbiamo lasciato perdere pagando di tasca nostra le aggiusta-ture dovute alle porcherie altrui.

Email alla compagnia aerea, racco-mandata alla compagnia assicura-tiva con un elenco interminabile di dati, preventivo di riparazione del bagaglio danneggiato. Il tutto entro 7 giorni dalla data di arrivo in Italia.

Tutta questa trafila per una ruota del cavolo che invece di starsene in-collata al suo posto (nonostante le botte che avrà preso) se n’è andata per la sua strada?!

Risultato, non facciamone un miste-ro: abbiamo desistito.

Attualmente, la valigia è “ricovera-ta” in un negozio di riparazioni di Verona, dove per 15 Euro la nostra sventurata recupererà la sua norma-le silhouette. Nell’attesa che venga il prossimo guasto. Perché questo, si-gnori, non è un mistero.

Houston, abbiamo un problema

altre soluzioni non ne vedo, denuncia a parte.

Sfinito dalla mia insistenza, faccia-mo rapporto al personale dell’aero-porto. Conversazione in inglese. La marca? Acquistata quando? Pagata quanto?

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Ottobre 201218 Sport

di Daniele AdamiQuando il gioco si fa duro

Da che cosa è composto lo sport? Quante possibili risposte! È fatto di società, di presidenti, di allenatori, di atleti. È fatto di interessi, di dena-ro, di business, di diritti televisivi. È fatto di storie, di giornali, di scanda-li, di scoop. Manca qualcosa.

Alla base di tutto vi sta l’essere umano. Che sia donna o uomo non importa, il motore di questa macchi-na risiede nella carne, nel cuore, nei muscoli, nelle ossa. A volte, tuttavia, può mancare qualcosa.

In che senso? Volgiamo l’attenzio-ne alle Paralimpiadi, competizioni in cui gareggiano persone che po-tremmo definire come “diversamen-te normodotate”. Già, perché se un uomo abituato a correre quotidiana-mente ha perduto le proprie gambe in un incidente, con il supporto di uno strumento tecnologico può con-tinuare a farlo. E a livelli alti. Allora, manca qualcosa?

Dipende. Lo sportivo è lo stesso, sia che usi le braccia per andare in

bicicletta che le “consuete” gambe. L’uomo, la donna, insomma, sono gli stessi. Alex Zanardi, dopo l’incre-dibile botto che gli è quasi costato la vita, ha mantenuto intatta la sua voglia di vivere. Anzi, è aumentata a dismisura. Si è alzato ancora in piedi e ha proseguito il suo cammi-no all’interno dello sport, divenendo un esempio per migliaia di persone

in tutto il mondo. Facciamo, per una sola volta, i ripetitivi: allora, manca qualcosa?

Direi di sì. Un po’ di nostra compren-sione nei confronti di chi partecipa alle Paralimpiadi, un po’ di attenzio-ne da parte degli organi di informa-zione. Non manca, invece, la passio-ne che vive in un essere umano.

Alcune righe per coloro che vedono lo sport senza osservarlo

Vivo ergo gioco

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Page 21: Verona è - Ottobre 2012

Ottobre 2012 19Sport

Quando il gioco si fa duro

In queste ultime settimane si è par-lato di un uomo del ciclismo al qua-le sono state tolte numerose vittorie prestigiose. La persona in questione, dopo tale sentenza, si è dimessa dalla presidenza della fondazione cui ave-va dato vita. Gli sponsor, dal canto loro, si sono fatti da parte in ma-niera alquanto repentina. Il mondo dello sport, insomma, gli ha voltato le spalle, dalla sera del lunedì alla mattina del martedì. E lo stesso ha fatto il mondo non sportivo. Giornali cartacei, televisioni e internet si sono scatenati, come se covassero rabbia da anni.

Lame che si sono conficcate nella carne del ciclista. Varie “spade di Damocle” gli sono piombate in testa e nel cuore. Tuttavia, c’è stata un’e-spressione che mi ha particolarmen-te colpito: “A. deve essere dimentica-to”. Una frase che, senza un minimo di spiegazione, inciterebbe a porre nell’oblio questa persona accusata di aver barato e ingannato per anni. Cancellare di netto il ricordo dei trionfi che aveva conquistato.

È possibile una cosa simile o no? La-sciamo da parte i dubbi che rimango-no sulla vicenda, in quanto le autori-tà preposte a indagare sono ancora

Uno sportivo che ha visto il suo mondo voltargli le spalle e la mente

Se è giusto il “rimembrar”

di Daniele Adami

al lavoro. Il fuoco che vorremmo in-stillare nella mente dei lettori di tali righe è appunto la questione del ri-cordo. Toglierlo, annerirlo e buttarlo via sarebbe come togliere, annerire e buttare via la persona stessa. Lo sport non può farlo, e neppure ciò che sta attorno allo sport. Si è det-to che questo è il caso più eclatante di sempre, ma in quelli precedenti, anche se “minori” (poi occorrerebbe riflettere su cosa intendiamo per mi-nori) si è tentato di gettare via tutto?

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