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Venezia Il ghetto di Venezia nasce nel 1516 a Canneregio. Il ghetto era un quartiere di Venezia in cui si rifugiavano gli ebrei dopo essere scappati dai loro paesi d’origine. Si riconosceva l’entrata del ghetto dall’architrave, che era costituito da pietre, sette delle quali -per la loro disposizione e il loro numero- simboleggiano la menorah, cioè il candelabro a sette braccia tipico della religione ebraica. Il portone dell’entrata al Ghetto, veniva chiuso al tramonto (ma negli anni l’orario viene spostato all’una di notte) e veniva aperto sempre dall’interno all’alba. Fuori dal portone c’erano due guardie di sorveglianza per evitare che i cristiani entrassero e si comportassero come nel resto d’Europa dove gli ebrei venivano maltrattati, non accettati e perseguitati perché si diceva che fossero gli assassini di Dio, ‘deicidi’. Altrove gli ebrei venivano accusati di essere responsabili di qualsiasi disgrazia: carestie, malattie, guerre, pestilenze. A proposito della peste e di altre malattie contagiose, venivano accusati perché si ammalavano di meno, siccome si lavavano spesso le mani visto che la loro religione prevede di mostrare rispetto per Dio che ha dato il cibo. In realtà ci sono tre ghetti a Venezia: 1. Ghetto Nuovo (quello che abbiamo visitato) 1516 2. Ghetto Vecchio 1541 3. Ghetto Nuovissimo 1633 All'interno dei ghetti hanno vissuto tantissime persone (fino a 5000 mentre adesso ce ne sono 500) e quindi è stato calcolato che ogni persona avesse a disposizione solo un metro quadrato per vivere. Gli edifici erano anche molto alti perché avevano sei, sette, dieci piani, ma gli appartamenti avevano il soffitto basso addirittura un metro e mezzo! Non erano nemmeno appartamenti perché una famiglia di sei sette persone viveva in una stanza all’interno della quale a volte passavano le scale di due palazzi adiacenti. Nella stessa stanza spesso c’erano anche delle galline. Anche le finestre erano basse e strette, ma davanti ai balconi c’erano dei piccoli orti in cui si coltivava nei vasi erbe aromatiche e quello che poteva servire per la cucina. Siccome erano dei bravi agricoltori, all’interno del ghetto c’erano degli spazi adatti alla coltura di tutto quello che non potevano far crescere nei vasi. All’interno del ghetto vivevano diverse comunità di ebrei fra cui gli Askenaziti che erano quelli provenienti dal Nord dell’Europa, i Sefarditi che venivano dalla Spagna; i Levantini originari dell’Est e i Francesi o Ponentini. Ciascuno di questi gruppi aveva un lavoro specifico:

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Venezia

Il ghetto di Venezia nasce nel 1516 a Canneregio.

Il ghetto era un quartiere di Venezia in cui si rifugiavano gli ebrei dopo essere scappati dai loro paesi

d’origine.

Si riconosceva l’entrata del ghetto dall’architrave, che era costituito da pietre, sette delle quali -per la loro

disposizione e il loro numero- simboleggiano la menorah, cioè il candelabro a sette braccia tipico della

religione ebraica.

Il portone dell’entrata al Ghetto, veniva chiuso al tramonto (ma negli anni l’orario viene spostato all’una di

notte) e veniva aperto sempre dall’interno all’alba. Fuori dal portone c’erano due guardie di sorveglianza

per evitare che i cristiani entrassero e si comportassero come nel resto d’Europa dove gli ebrei venivano

maltrattati, non accettati e perseguitati perché si diceva che fossero gli assassini di Dio, ‘deicidi’.

Altrove gli ebrei venivano accusati di essere responsabili di qualsiasi disgrazia: carestie, malattie, guerre,

pestilenze.

A proposito della peste e di altre malattie contagiose, venivano accusati perché si ammalavano di meno,

siccome si lavavano spesso le mani visto che la loro religione prevede di mostrare rispetto per Dio che ha

dato il cibo.

In realtà ci sono tre ghetti a Venezia:

1. Ghetto Nuovo (quello che abbiamo visitato) 1516

2. Ghetto Vecchio 1541

3. Ghetto Nuovissimo 1633

All'interno dei ghetti hanno vissuto tantissime persone (fino a 5000 mentre adesso ce ne sono 500) e quindi

è stato calcolato che ogni persona avesse a disposizione solo un metro quadrato per vivere.

Gli edifici erano anche molto alti perché avevano sei, sette, dieci piani, ma gli appartamenti avevano il

soffitto basso addirittura un metro e mezzo!

Non erano nemmeno appartamenti perché una famiglia di sei sette persone viveva in una stanza all’interno

della quale a volte passavano le scale di due palazzi adiacenti. Nella stessa stanza spesso c’erano anche

delle galline.

Anche le finestre erano basse e strette, ma davanti ai balconi c’erano dei piccoli orti in cui si coltivava nei

vasi erbe aromatiche e quello che poteva servire per la cucina.

Siccome erano dei bravi agricoltori, all’interno del ghetto c’erano degli spazi adatti alla coltura di tutto

quello che non potevano far crescere nei vasi.

All’interno del ghetto vivevano diverse comunità di ebrei fra cui gli Askenaziti che erano quelli provenienti

dal Nord dell’Europa, i Sefarditi che venivano dalla Spagna; i Levantini originari dell’Est e i Francesi o

Ponentini.

Ciascuno di questi gruppi aveva un lavoro specifico:

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I Ponentini erano addetti alla sistemazione dei vecchi capi di vestiario; i Levantini erano artigiani e mercanti;

i Sefarditi commerciavano e si dedicavano alle arti; infine, gli Askenaziti prestavano denaro.

Infatti, all’interno del Ghetto c’erano tre banchi dei pegni che si chiamavano con nome di tre colori Rosso,

Verde e Nero perché così era facile riconoscerli dal colore anche se nessuno, a parte gli ebrei, sapeva

leggere e scrivere.

Di questi tre è rimasto funzionante solo quello Rosso.

Oltre a questo tipo di professione, gli ebrei non potevano svolgere qualsiasi lavoro: per esempio, non

potevano essere medici e insegnanti, perché i non ebrei temevano che fossero mestieri troppo importanti e

pericolosi.

Proprio per questo gli ebrei imparavano a leggere e a scrivere fin da piccoli per poter esercitare i mestieri

che ancora erano permessi, come ad

esempio: strazzer (straccivendolo), scoazzer (netturbino), dolzer (pasticcere), galliner (allevatore e

venditore di galline), fenerator (colui che presta

soldi), pellizzer (pellicciaio), stramazzer (materassaio), becher (fornaio)...

L’alfabeto ebraico, però, è diverso dal nostro perché ha ventidue lettere che corrispondono ai numeri (la ‘a’

è il numero uno, ad esempio).

Anche il calendario è diverso perché segue le fasi della luna e, quindi, ogni mese dura ventotto giorni (come

quello musulmano).

Gli ebrei si distinguevano anche per l’abbigliamento: i maschi dovevano portare sempre la kippah (a parte

in casa, ma con le finestre chiuse) e gli abiti o neri o bianchi; mentre le femmine erano tenute ad indossare

una maglietta a maniche lunghe fino oltre ai polsi (anche d’estate) e una gonna lunga sotto il ginocchio, che

poteva avere anche delle fantasie ed essere colorata prima del primo ciclo mestruale, ma doveva essere a

tinta unita e con colori spenti successivamente. Se fidanzate le ragazze portavano sulla testa un cappellino.

La sera precedente al matrimonio il futuro marito portava in dono alla fidanzata un vassoio colmo di dolci

come a dire che dal giorno dopo sarebbe cominciata una vita ricca di dolcezza.

A proposito dei cibi, occorre sottolineare che quelli che noi consideriamo tipici della cucina veneziana,

sono, in realtà, tutti di origine ebraica: i bigoli in salsa, sarde in saor, fritoe alla veneziana, riso allo

zafferano, risi e bisi, riso all’uvetta, fegato alla veneziana, le verdure ripiene, il polpettone (ovviamente non

di carne di maiale)…

Molte di queste informazioni le abbiamo apprese dalla guida, mentre altre le abbiamo ottenute durante le

attività programmate intervistando brevemente i passanti per strada.

A proposito delle strade, percorrendole durante i nostri spostamenti, abbiamo notato che spesso,

specialmente nelle calli affacciate ai rii (i canali), sono convesse. Una nostra supposizione è che siano

costruite volutamente così per far defluire l’acqua verso i canali in caso di pioggia e di acqua alta: infatti, se

il livello del mare si innalza, rimane asciutta la parte centrale almeno per un poco.