Giardino o ghetto? Via Padova si racconta

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UNIONE EUROPEA Giardino o ghetto? Via Padova si racconta PROGETTO COFINANZIATO DA Fondo europeo per l’integrazione di cittadini di paesi terzi PARTNER DEL PROGETTO Codici Società cooperativa sociale Onlus Terrenuove Società cooperativa sociale Onlus Comin Società cooperativa sociale Onlus Tempo per l’infanzia Società cooperativa sociale Onlus San Giovanni Crisostomo Parrocchia 2

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Progetto cofinanziato da Unione Europea, Consiglio di Zona 2 del Comune di Milano, Ministero dell'Interno

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UNIONEEUROPEA

Giardino o ghetto?Via Padova si racconta

PROGETTO COFINANZIATO DA

Fondo europeo per l ’ in tegrazione di c i t tadini d i paes i te rz i

PARTNER DEL PROGETTO CodiciSocietàcooperativasociale Onlus

TerrenuoveSocietàcooperativasociale Onlus

CominSocietàcooperativasociale Onlus

Tempo per l’infanziaSocietàcooperativasociale Onlus

San GiovanniCrisostomoParrocchia

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Giardino o ghetto? Via Padova si racconta

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Editoriale .................................................................................................. 2

Il progetto ................................................................................................ 4

I ricercatori si presentano........................................................................ 7Lorenzo................................................................................................ 7Rita Chiara .......................................................................................... 8Giulia T. .............................................................................................. 9Beatrice B. ........................................................................................ 10Giulia B. ............................................................................................ 12Beatrice F. .......................................................................................... 12

Il processo.............................................................................................. 16

Temi salienti .......................................................................................... 19Segregazione e sezionalismo ............................................................ 19Integrazione ...................................................................................... 22Disagio .............................................................................................. 27Cultura e valori .................................................................................. 29Solitudine .......................................................................................... 32

Testimonianze preziose ........................................................................ 35“Tutte queste etnie, questi colori... impazzisco di gioia!” .................. 35“Via Padova come Montmartre” ........................................................ 38

Sommario

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Via Padova non è certo l’unica stradamultietnica di Milano. E Milano non ècerto l’unica metropoli ad avere una viamultietnica. Eppure su via Padova negliultimi anni si sono accesi i riflettori.Giornalisti, politici, sociologi, scrittori,documentaristi e ogni altro genere di stu-diosi, cercano di capire le trasformazionidi questa via per comprendere megliocome diventerà l’intera città. In via Padova e nelle strade adiacentivivono circa 30mila persone e una su trenon è italiana. Coabitano almeno unaventina di nazionalità diverse, soprattuttofilippini, egiziani, cinesi, peruviani, ecua-doriani, cingalesi e romeni. Può vantaredue centri islamici, cinque chiese cattoli-che e minimo quindici chiese evangeli-che. Gli esercizi commerciali sono circaduecento. Due grandi parchi, un camporom, un museo di arte moderna, un liceoartistico e perfino un orto botanico. La festa“Via Padova è meglio di Milano” è stataorganizzata da una settantina tra associa-zioni, cooperative sociali, comitati e scuo-le. Una via da “Guinness dei primati”. L’omicidio del giovane Aziz, il 13 feb-braio del 2010, e la rivolta di decine digiovani egiziani che ne è seguita, hanno

segnato la storia di questo quartiere, ilclamore mediatico che ne è scaturito nonha certo aiutato i milanesi a capirlo.Dieci ragazze e ragazzi, dai 13 ai 25anni, hanno accettato la proposta delConsiglio di Zona 2 e di un gruppo dicooperative, che hanno dato vita al pro-getto “Via Padova. Partecipazione emediazione per la costruzione della coe-sione sociale”, di scendere in strada perparlare con chi in via Padova ci vive olavora. Ne è nata un’inchiesta di cui tro-vate i frutti in questa pubblicazione e sulsito www.viapadovami.itIl grave errore commesso da molti osserva-tori è che di fronte alla complessità di viaPadova si schierano a priori. Pro o controla multiculturalità. Entusiasti o rassegnati. I nostri giovani invece no. Non si sonoschierati: hanno cercato di capire. Ehanno scoperto tante cose interessanti.Qui ve ne anticipiamo solo due.La prima è che la fatica (talvolta la paura)di vivere in una strada multietnica non èsolo degli italiani, ma anche dei tantimigranti che si trovano a confrontarsi conaltre nazionalità. Non è solo il cittadinomilanese a dover fare i conti con la diver-sità: anche un filippino ha difficoltà a

Editoriale

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Per essere socialmente coesi ci vuolemolto più della coesistenza spaziotempo-rale. Si parte, come tutti sappiamo, dallaconoscenza reciproca. Fare un’inchiestaè più che altro un metodo per conoscereil mondo che ci circonda, forse in modoun po’ più sistematico e mirato rispettoalla distratta vita di ogni giorno.

Di via Padova si è parlato molto, ma spes-so i narratori ne hanno esaltata una parte,omettendo molta della complessità che lacaratterizza. L’azione “Racconta ViaPadova!” si è proposta invece di metterein prima fila le persone che vivono nelquartiere, in questo caso giovani e adole-scenti, formati nel mestiere di ricercatori,fotografi o giornalisti. Siamo partiti dallapremessa che esplorare la vita del quar-tiere possa essere un po’ simile all’esplo-rare se stessi: accresce la conoscenza, lastima e la comprensione.Il progetto in cui l’azione si inserisce,“Via Padova. Partecipazione e mediazio-ne per la costruzione della coesionesociale”, si propone di migliorare la vitadi chi vive nella zona, coinvolgendo per-sone di tutte le età e provenienti da tuttoil mondo. È realizzato dal Comune diMilano, attraverso il Consiglio di Zona 2,dalle cooperative sociali Codici, Comin,Tempo per l’infanzia, Terrenuove e dallaParrocchia San Giovanni Crisostomo. Il Progetto è finanziato nell’ambitodell’Azione 4 dei Fondi Europei perl’Integrazione dei Cittadini di Paesi Terzi.Per svolgere l’inchiesta, i partecipanti sisono esercitati con curiosità nell’ascolto enell’osservazione e hanno superato note-

Il progetto

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La nuova casa è in una zona relativamen-te moderna, non ha una tradizione para-gonabile all’antico paese di Crescenzagoe nemmeno una coesione sociale comequella che si respira a Cimiano, dove laparrocchia, le scuole e le associazionihanno unito la gente dagli anni ‘30 a oggi. Qui, nel cuore della lunga via che pro-lunga idealmente corso Buenos Airesverso la campagna, già all’inizio del 2000si capiva che la peculiarità del quartiereera l’eterogeneità delle persone. Diversitàdi interessi, di estrazione sociale e di pro-venienza hanno sempre caratterizzatoquesto tratto di via Padova, tanto da riflet-tersi nell’edilizia: case popolari, case diringhiera, eleganti condomini anni ‘60 epalazzine liberty di inizio ‘900 convivonole une accanto alle altre da decenni.Eppure la convivenza tra persone diversenon è impresa da poco. Chiunque oggiabiti qui, utilizzi la 56 (l’autobus che per-corre l’intera via, da Loreto al quartiereAdriano) o passeggi per la strada, al di làdelle facili estremizzazioni in senso posi-tivo o negativo, se vorrà essere onesto,non potrà negare la complessità di questoquartiere milanese, caduto in degrado permolti, ricco di fascino per altri.Negli ultimi anni gli abitanti di via Padova

hanno visto l’eterogeneità cui erano statiabituati colorarsi di mille colori e riem-pirsi di mille profumi e odori diversi. ViaPadova è diventata, più o meno in tutte lesue parti, al di là delle specifiche diffe-renze, un quartiere multietnico e i suoiabitanti devono farci i conti, con tutte ledifficoltà del caso. L’esperimento di “mix-etnico” non è però del tutto fallito e, oltrealle persone che scappano da via Padovain cerca di isole felici, ci sono tanti citta-dini che sono attratti dalla novità che rap-presenta questo quartiere, e molti abitan-ti che lottano, attivandosi, per costruire oricostruire luoghi di aggregazione eopportunità di incontro.Per quanto mi riguarda, ora sono studen-te di sociologia: certamente in questascelta via Padova ha fatto la sua parte.

Rita ChiaraVia Padova mi ha scelto. Non ero maistata a Milano fino a sei mesi fa, quandoho deciso di trasferirmi e lasciare casa, unpaesino di 2mila abitanti nell’entroterrasardo. Il primo scorcio di città che hovisto è stato proprio una via sporca,degradata, il posto in cui non avrei maipensato di vivere. Invece così è successo.Una storia come un’altra quindi, come

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minori e centri di riposo per anziani. Amolavorare all’interno del sociale, perchéper me è molto gratificante: le tre espe-rienze di tirocinio mi hanno aiutata a cre-scere a livello personale e sono dei ricor-di per me importantissimi.Ora sono iscritta alla Facoltà diSociologia, ma il mio interesse è rivolto aquella di servizio sociale, dove spero dientrare l’anno prossimo. E forse è proprio per questo che ho volu-to provare a fare questa ricerca: per fareuna nuova esperienza e conoscere dal-l’interno, e più da vicino una via che

attraverso tutti i giorni: che ho semprevisto ma mai guardato.

Beatrice B.Prendere parte a questo progetto mi hafornito l’occasione di entrare in contat-to per la prima volta con la realtà di viaPadova: abito a Milano solo da tre anni,frequento la Facoltà di Sociologia allaBicocca e ho sempre trascorso il tempolibero in altre zone relativamente vicinealla mia zona di residenza, che è quel-la di Porta Romana. Il mio approccio a via Padova è statoabbastanza mediato, dal momento cheho deciso di osservarla per intero stan-do sull’autobus 56 che l’attraversa dacima a fondo: l’ambiente a primoimpatto mi è sembrato molto caotico, alivello non solo urbanistico ma anchesociale, dal momento che vi è un conti-nuo via vai di gente di tutte le età,appartenente a svariate etnie, che portaa termine la sua giornata cercando difarsi “i fatti propri”. Questa tendenzialediffidenza verso il prossimo che risultapalpabile già a un primo sguardo ci èstata poi confermata in più di un’inter-vista, poiché l’altro viene considerato apriori un pericolo, generando di conse-

Luca Meola

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emersi molti aneddoti, importanti per cer-care di comprendere come viene vissutala quotidianità in via Padova.

Giulia B.Abito nella zona di via Padova da quandoavevo sette anni. Ho frequentato il ParcoTrotter dalla scuola materna alle scuolemedie. Persino la domenica, quando si vaa mangiare dai parenti, resto in viaPadova. Mia nonna e mia zia abitano,infatti, in fondo a via Padova, versoCrescenzago, e mia zia gestisce da quelleparti il circolo culturale Villa Pallavicini,cresciuto e modificatosi seguendo lecaratteristiche e le esigenze della zona. Per quanto riguarda il mio rapporto con

via Padova c’è da dire che la questione èabbastanza controversa. Da un lato disicuro è una zona difficile da capire; siincontrano e si scontrano decine di cultu-re differenti, di punti di vista diversi e direazioni diverse a questo incontro/scon-tro; non posso tornare a casa da sola ilsabato notte. D’altra parte, è il luogo diMilano a cui sono più affezionata.Proprio questo sapore popolare e dallemille sfaccettature mi affascina; mi dal’impressione che la gente qui sia menofalsa e che segua il suo istinto. Mi piaceche nel tragitto casa-università io possaosservare, per strada e sulla 56, semprequalcosa di interessante, che mi diverta,che mi incuriosisca o che mi faccia veni-re il nervoso. Credo che questo posto siaricco di stimoli e di potenzialità e speroche con il tempo queste si possano decli-nare in modo positivo.

Beatrice F.Il mio nome è Beatrice, sono una ragazzadi 22 anni nata a La Spezia e trasferitasi aMilano per motivi di studio. Quando lamia coinquilina, che studia sociologia, miha parlato del progetto “Racconta ViaPadova” l’ho subito trovato interessante,perché ho pensato che sarebbe stata l’oc-

Luca Meola

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no sempre più “via Padova” e spero viva-mente che gli italiani e i non italiani trovinoun modo per coesistere, perché, per fortunaa mio parere e purtroppo per chi la pensadiversamente, siamo già avviati da tempoverso una mistione culturale, che non potràfare altro che accentuarsi.Indubbiamente per quanto riguarda gli ita-liani sarebbe utile leggere la relazionedell’Ispettorato per l’immigrazione delCongresso americano dell’ottobre 1912,periodo in cui quelli che vivevano nellebaraccopoli periferiche o negli apparta-menti sovraffollati, quelli che facevano l’e-lemosina fuori dalle chiese “con tonilamentosi e o petulanti” eravamo noi: forseun po’ di memoria storica sarebbe utile.

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Il gruppo di ricerca ha iniziato a lavorareinsieme all’inizio di marzo e si è compostodi ragazzi italiani di età compresa tra i 19 ei 22 anni, in parte abitanti della Zona 2 e inparte studenti della Facoltà di Sociologia.Otto ragazzi che per tre mesi si sonoincontrati con cadenza settimanale conl’obbiettivo di scoprire qualcosa in più suvia Padova e raccontarla attraverso i pro-pri occhi e attraverso gli occhi delle per-sone intervistate e fotografate.

E così sono partiti da loro stessi e dalleloro prime osservazioni su via Padova perindividuare i temi che più li interessavanoe che ritenevano peculiari per meglio rac-contarla: il degrado reale o presunto dellavia, il mondo arabo come problema orisorsa, il sovraffollamento o un nuovomelting pot, il tentativo di integrazione ol’incomunicabilità delle differenze.Attraverso i primi lavori la percezione divia Padova ha incominciato a prendereforma, attraverso immagini e racconti ècambiata e si è arricchita di giorno ingiorno.I ragazzi hanno cercato di darsi un tempoe uno spazio per guardare più da vicinola realtà che ognuno di loro conosceva inmaniera superficiale o viveva quotidiana-mente in maniera distratta, per provare aconoscere più da vicino quel pregiudizioo luogo comune che fa di via Padova unluogo pericoloso e che non lascia spazioalle sfumature e alla sua complessità. Durante il progetto hanno imparato a uti-lizzare la macchina fotografica: fin dalprimo incontro con il fotografo i ragazzihanno preso in mano le macchine digitalie provato a prenderne dimestichezza.Hanno così deciso di “camminare per viaPadova come degli extraterrestri, capitati lì

Il processo

Giulia Bersani

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punto e l’altro, dato che, percorrendola intutti i suoi quattro chilometri di lunghez-za, chiunque si accorge, oggi come qual-che anno fa, delle diversità: cambiano lepersone che si possono incontrare sulmarciapiede, cambiano le case, i negozi,cambiano gli odori e anche i rumori, isuoni e le lingue parlate.Allora ecco che gli abitanti, i negozianti echiunque trascorra qualche ora delle suegiornate in via Padova suddivide ideal-mente la via prendendo come riferimentopiazzale Loreto, “la rotonda” (all’altezzadi via Giacosa), il ponte (della ferrovia),via don Orione (dove c’è la ASL), e poiCrescenzago, con la sua Chiesa Rossa ele ville lungo il naviglio Martesana e poi,in fondo in fondo, da un lato il quartiereAdriano, dall’altro, alle porte della città“la Gobba”.Solitamente nelle grandi città più ci siallontana dal centro, più le periferieappaiono complesse e magari anche peri-colose. In via Padova non è così. Quasitutti gli intervistati hanno indicato comezona più pericolosa e malfamata quellapiù vicina al centro (quindi a piazzaleLoreto), con un particolare riferimentoalle strette traverse che precedono ilponte della ferrovia (venendo da piazzale

Loreto), mentre molti vedono come “zona migliore” quella più periferica,Crescenzago.Parliamo ora della segregazione. Un temamolto ampio, che ha a che fare con lasolitudine, con l’esclusione e la separa-zione. Perché proprio in via Padova, doveriescono a convivere persone tanto diver-se per provenienza e storia personale ènecessario tirare fuori questi argomentinegativi?La risposta a questo interrogativo è nelleparole che ci suggeriscono i nostri inter-vistati, italiani e stranieri. Paura e insicu-rezza, ad esempio, sono per molti ilmotivo della propria esclusione.Per Mahfuzul, ragazzo bengalese cheabita nel cuore di via Padova, è difficiletrovare un po’ di tranquillità in zona e perquesto spesso cerca i suoi spazi in altriluoghi della città, dove si sente più sicuroe dove alla sera non ci sono troppi peri-coli in strada. Le poche persone di fiduciasu cui Mahfuzul può fare affidamentosono gli amici, connazionali, che, tutta-via, non sono in grado di dargli il soste-gno che al suo Paese gli garantiva la fami-glia. La maleducazione delle persone, inparticolare degli altri immigrati, spaventail giovane bengalese, che fatica a dire

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Integrazione

Kebab, couscous, sushi, involtini prima-vera, pasta, alimentari multietnici, inse-gne bilingue se non trilingue, discotechedominicane: il mondo racchiuso in unavia, questa è via Padova.Emblema del mondo moderno, è diversadal resto di Milano perché qui, in unasola zona, sono concentrate personedelle più disparate nazionalità, e ci vuolepoco per accorgersene. Basta infattiallontanarsi da piazzale Loreto per vede-re comparire uno dei tanti money transferdella via che elenca i Paesi verso i quali èpossibile inviare denaro: Perù, Bolivia,Ecuador, Brasil, Repubblica Dominicana,Colombia, El Salvador, Romania,Bulgaria, Moldavia, Marocco, Senegal,Albania.La prima volta che ho messo piede in viaPadova sono rimasta impressionata, tra-volta da questo nuovo mondo di profumi,sapori, lingue diverse, e una delle primecose che mi sono chiesta guardando tuttequelle insegne “internazionali” è stata seciò fosse segno di una vera integrazionetra gli abitanti della zona. Ho provato adaffacciarmi dentro ai negozi non italianiper vedere se fossero frequentati anche da

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La stessa percezione di divisione è coltada Marta, giovane studentessa italiana,e da Mahfuzul, arrivato in Italia dalBangladesh per motivi di lavoro.Quest’ultimo ci racconta, infatti, che alParco Trotter gli stranieri si incontranodivisi per etnie, e che lui stesso frequen-ta prevalentemente bengalesi, tanto daavere la percezione che la maggiorparte delle persone in via Padova sianodella sua stessa nazionalità: del resto,scherzando, dice che la via dovrebbeessere rinominata “via Bangladesh”.Per Salvatore, conducente dell’autobus56, siamo ancora all’“anno zero” dalpunto di vista dell’integrazione: permolti il “marocchino è ancora quelloche ruba il posto di lavoro”, alle feste ivari gruppi stanno divisi e, soprattutto,l’amministrazione comunale è assente.Il suggerimento del conducente è quel-lo di creare punti di aggregazione ecase vivibili che sostituiscano gli appar-tamenti sovraffollati; dovremmo insom-ma partire dai diritti degli stranieri pergarantire una reale integrazione:“Vogliamo l’integrazione? La dico?Dobbiamo pagarli bene, rispettare idiritti, e li facciamo sentire parte di noi[...] questo è il mio sogno!”

Ma nonostante ciò, forse, a livelloembrionale qualcosa si sta muovendo invia Padova.Il signor Claudio infatti ci racconta dellafesta di via Padova che si è svolta in mag-gio: in particolare di quanto è avvenutonel cortile delle case popolari in viaCelentano, dove gli inquilini hanno potu-to pranzare insieme: cous cous, melanza-ne, pasta... ognuno ha portato un piattotipico, italiani e stranieri.Ancora più significativo è il racconto del-l’amicizia tra un commerciante prove-niente dalle Mauritius, in Italia dall’età di21 anni, e di un signore calabrese, aMilano da sei anni. Il primo è proprietariodi Dodo Minimarket, negozio frequentatoa differenza di molti altri anche da parec-chi italiani, situato all’altezza della ferma-ta dell’autobus Don Orione, mentre ilsecondo è proprietario di un’impresa diriparazioni di frigoriferi. Da un certopunto di vista entrambi migranti, seppurdi nazionalità diversa, i due si sono cono-sciuti proprio in via Padova, hanno strettoamicizia e ci hanno confidato la lorointenzione di aprire insieme un ristorantealle Mauritius, uno per ricongiungersi allapropria famiglia e l’altro per scapparedalla crisi e cercare fortuna altrove.

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di alcool all’insufficiente controllo daparte delle forze dell’ordine, passandoattraverso il velo del pregiudizio che osta-cola ogni relazione sociale nel suoinstaurarsi.Prendendo in considerazione analitica-mente i singoli fattori, la quotidianità in viaPadova ci è stata raccontata come costella-ta da episodi di piccola criminalità: moltilamentano il frequente verificarsi di furti,atti intimidatori di vario tipo e spaccio.Emblematico a questo proposito sono idue furti subiti nella zona dal conducentedell’autobus 56 che abbiamo intervistato,uno dei quali è avvenuto durante il suoservizio nel momento in cui lui ha lasciatomomentaneamente la postazione di guidaper aiutare a salire una persona disabile.Una madre di famiglia di origine ecuado-riana, ci ha confidato: “ho paura di uscirela sera, [...] la sera non si può uscire per-ché rubano, [...] fanno di tutto!”.Anche il fenomeno della prostituzionecontribuisce all’immagine di degrado checontrassegna la zona: accanto alle donnedi svariate nazionalità, che accolgono iclienti prevalentemente nelle loro case, èriscontrabile una forte presenza di prosti-tute transessuali, spesso al centro di epi-sodi di violenza; inoltre risulta preoccu-

pante il dilagare della prostituzione gio-vanile maschile, come si evince dalleparole del conducente della 56: “Mentrepasso sento proprio le trattative, si offronoi giovani, a 10 o 15 euro, fanno tuttodavanti a te senza timore, fanno tutto colpassaparola”.Infine un altro grave problema è l’abusodi alcol, spesso associato a quello disostanze, che può causare episodi di vio-lenza, dalla “bottigliata” all’accoltella-mento, e riguarda sempre più i giovanidel quartiere.Il problema di fondo però, quello che“non fa dormire bene di notte”, è uno: ildisagio dato dalla sensazione di vivere inuna zona scoperta, non controllata adovere dalle forze dell’ordine; questo èun tema ricorrente all’interno delle nostreinterviste, che hanno in comune il fatto dirivendicare la necessità di una maggioresicurezza.

Beatrice Baiardi

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lungo tutta la via chiama “i nuovi pove-ri”. Tutti abbastanza educati e rispettosiper Mahfuzul. Eppure secondo il signorClaudio è proprio loro la colpa, “deigenitori e dei nonni che non hanno tra-smesso i valori ai giovani”. Col tempo si sono alternate le generazio-ni, si sono abbandonati certi aspetti dellavita comunitaria. Sempre Claudio affer-ma che “la causa della non integrazioneè la non disponibilità nel dare una mano,a differenza di altre tipologie di immigra-ti, quali i meridionali, che invece spessosono molto più volenterosi”.Ma l’immagine dell’immigrato tipo, tuttopranzi di famiglia e mandolino è ormaiun ricordo sbiadito; il capro espiatoriooggi ha nuove caratteristiche: beve,fuma, spaccia. Almeno questo è quelloche emerge dall’immaginario collettivo. Le lamentele più frequenti riguardanoinfatti le “feste che degenerano”. In par-ticolare il venerdì sera e durante il week-end decine di ragazzi si riversano lungola via per evadere dalla claustrofobicarealtà casalinga. Vetri di bottiglia abban-donati, alcol, urla e schiamazzi. E si fapresto a puntare il dito. Uno scenarionon tanto diverso – se non identico – aquello che si ripete ogni fine settimana

Giulia Bersani

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Solitudine

Come si può essere soli quando si vive indieci nella stessa stanza, quando si passa-no ore per strada o al bar in compagnia,quando sulla 56 c’è così tanta gente danon potere evitare di essere fisicamentein contatto con chi ti circonda? Come sipuò essere soli quando si vive in paralle-lo con decine di persone che ti sonoaccomunate per età, sesso, provenienza egiornata-tipo?Eppure, a quanto pare, in via Padovachiunque è solo.Un giovane ragazzo bengalese ci rivelache l’estesa rete etnica di rapporti creatisiin via Padova non è poi così solida e con-creta. Si può parlare forse di precarietà edi bisogno affettivo.“Gli amici ci sono fino a un certo punto”.La rete di conoscenze che a noi apparetanto imponente e dettatrice di buona vitacomunitaria e sostegno reciproco è inrealtà estremamente fragile, e tenutainsieme più che altro dallo scambio diinformazioni utili (riguardanti principal-mente il lavoro). È piuttosto rilevante ilfatto che tra gli immigrati ci sia general-mente uno sfruttamento molto forte, attra-verso diversi meccanismi. Lo stesso vive-

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modo di vedere. Sono nato a Napoli,poteva benissimo succedere lì, visto che èfamosa anche per i borseggi”. Certo, ci rivela che anche lui ha paura,ma una paura razionale, non quella“fobia che ti inchioda” e che condizionamolte persone che abitano in via Padova,in special modo quelli nuovi, che appenaarrivano pensano subito a barricare lefinestre. Purtroppo non manca una vena di pessi-mismo nel momento in cui ci confessa

che in realtà in questi anni non è cambia-to molto: “sento ancora tanta gente chedice che gli stranieri ci rubano il posto dilavoro e una volta un immigrato mi hachiesto un’informazione e io gli ho rispo-sto dandogli del lei, c’erano lì degli italia-ni e si sono meravigliati che fossi educatocon un extracomunitario”. “Mi è capitatoanche di essere guardato male perché eroal bar a prendere un caffé con un amicoegiziano”. Per questo secondo Salvatore“sull’integrazione siamo ancora all’annozero”: ci sono pochi luoghi di aggrega-zione, a parte i bar. “E ho notato che i varigruppi etnici tendono a rimanere divisi,non si mescolano”. In via Padova ci sonooltre 60 associazioni, “ma spesso non sivede quel che fanno”. L’integrazione èresa ancora più difficile dal fatto che “lìsono tutti di passaggio, io per un annocarico le persone e me li ricordo i visi, poidopo non li vedo più, spariscono, quindinon c’è neanche il tempo di portare a ter-mine un progetto che si sfalda tutto”. “Lamia sensazione è che sia una zona sco-perta, forse è la politica che è sbagliata”.Altra nota dolente della zona è la prosti-tuzione maschile, che sta prendendopiede e coinvolge ragazzi giovanissimiattirati nel Belpaese da sogni di ricchez-

Rita Chiara Mele

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“Via Padova come Montmartre”

Anche una via della periferia est di Milanopuò diventare un effervescente quartiere diarte e artisti. Nuove proposte letterarie, scat-ti che trasudano realtà e laboratori attivi daanni sono la prova che qualcosa sta decol-lando. Tra scettici e chi inizia a crederci,Maria Mesch ha colto da anni le potenzia-lità di via Padova. Vulcano di iniziative, lapittrice tedesca, ci racconta come da tempocerchi di captare le necessità del quartiere ealla fine vi abbia messo radici, mobili.

Una relazione particolarissima quella chela lega a via Padova: sette anni trascorsi aviverci, lavorarci, ispirarsi. Mi racconti unpo’ di questo rapporto.Inizialmente ho aperto qui il mio studio,che per cinque anni è stato anche sede atti-va dell’associazione Durchblick, conmostre, incontri, concerti, laboratorio dipanificazione collettiva domestica e inizia-tive di vicinato. Al momento l’associazioneè meno attiva, ma continuo a vivere moltoil quartiere, privatamente con bimbo ecane, pubblicamente con il mio lavoro: direcente ho realizzato libri giganti per la festadi via Padova (al Parco dei Racconti per l’as-sociazione Amici del Parco Trotter) e conLegambiente ho fatto delle cartoline multi-lingue per incentivare il consumo di acquadel rubinetto, rivolte soprattutto a chi pro-viene da luoghi dove è potabile soltantol’acqua in bottiglia o quella purificata. Direiche via Padova mi ispira... non tanto per l’a-spetto estetico.

Per molti l’arrivo in via Padova è unascelta coatta, lei ha scelto o vi è capitata?È stata una scelta: cercavo un luogo vivo,dove fosse possibile fare cose insolite. Ese non fosse per l’inquinamento, per l’a-ria irrespirabile sarebbe un luogo ideale.

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Sovraffollamento e condivisione deglispazi: quale la sua opinione a riguardo? È un dato di fatto: finché c’è una taledisparità di reddito tra nord e sud delmondo, è comprensibile che ci siano per-sone disposte a vivere in soluzioni di for-tuna, come i posti letto a ore. Sono pron-ti a ogni sacrificio pur di riuscire a man-dare nel Paese d’origine cifre che possonosembrare insignificanti, ma che là fannola differenza. Ho letto in questi giorni su“Internazionale” che in Egitto il 40%della popolazione vive con meno di duedollari al giorno. E l’Egitto non è uno deipaesi più poveri.

Tanto si è detto e si continua a dire suquesto quartiere: guerriglia urbana,laboratorio multiculturale, terra di nes-suno. Cosa c’è di vero o non vero inquesti cliché?Via Padova è una delle vie più lunghe diMilano (oltre quattro chilometri), quindifacilmente finisce sulle pagine di cronaca,e spesso è oggetto di studio. Se le condi-zioni di vita sono difficili, lo sono per lopiù a causa della situazione economica eculturale attuale: mancanza di prospettiveper i giovani, serie difficoltà economiche epreoccupazioni per molte persone di tutte

Giulia Bersani