Vajont, la responsabilità dell'opinione pubblica
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VAJONT LA RESPONSABILITA’ DELL’OPINIONE PUBBLICA
Tutti sanno che la vigilanza della collettività ha un ruolo ineludibile in queste vicende.
Secondo me manca un contributo divulgativo di uno storico molto qualificato che abbia il coraggio di rileggere
questa vicenda con questa prospettiva, analizzare la responsabilità dei media, ma anche della gente comune.
Io qui mi limito a porre qualche domanda e a motivarla, sperando in una risposta qualificata.
LA STAMPA: CHE BRUTTA ARIA ALLORA! ED OGGI?
Da una parte il coro degli illustri giornalisti, Buzzati, Bocca, Montanelli, unanimi nell’assolvere senza esitazione
Volpi&Cini&C. e ad additare la natura nemica, come unica responsabile.
Dall’altra Tina Merlin: nessun riconoscimento rilevante, nemmeno locale, anzi l’”esilio” in Polonia, dopo un po’.
Il suo libro, boicottato dall’editoria italiana, poté essere pubblicato solo nel 1983.
SI SAPEVA QUANDO SAREBBE CADUTA ESATTAMENTE LA FRANA?
Mi stupisce molto il tipo di reazione mediatica suscitata dalla testimonianza del notaio Chiarelli, ricordata dai figli in
occasione dell’anniversario: che l’evento fosse abbondantemente previsto, mi pareva ormai ben confermato.
Negli stessi giorni, comunque, si è aggiunto autorevolmente Rivis, allora dirigente della SADE a Soverzene, vedi
“LA STORIA IDRAULICA DEL GRANDE VAJONT”: i suoi colleghi sono morti perché quella sera erano saliti alla
diga, proprio per assistere alla caduta attesa in quelle ore.
L’ONDA ALTA 27 METRI SOPRA LA DIGA, UNA STIMA SCIENTIFICA?
I geologi dovrebbero provare a restituire dignità piuttosto che credibilità alla loro scienza, perdono tempo a
sviscerare complesse questioni scientifiche: nell’immaginario collettivo è indelebilmente impressa la colpevole
arrendevolezza degli specialisti, di fronte alle pressioni della SADE.
Emblematico il tormentato scienziato Edoardo, annichilito dall’autoritario genitore, Carlo Semenza.
Per gli ingegneri idraulici la sudditanza è stata forse più sfacciata; credo che anche un “buon geometra”,
confrontando il monte Toc con il modello di Nove, l’avrebbe tranquillamente definito privo di rigore scientifico.
SI POTEVA DECIDERE UN’EVACUAZIONE PER POCHE ORE?
Rivis dice che l’intero bacino si poteva svuotare in un giorno circa; ovvero in poche ore si poteva raggiungere una
quota di sicurezza assoluta, ben al di sotto delle inaffidabili, incertissime, previsioni di Ghetti.
E vero? Si sapeva? Poteva semplificare enormemente la decisione di evacuare? http://rivemuson.wordpress.com/
I GEOLOGI
CARLO SEMENZA, GEOLOGO DILETTANTE
Grande ingegnere e costruttore di dighe, autodidatta in
geologia.
Mi ha lasciato stupefatto il panegirico del tribunale che lo
condanna, ma che ne intesse le lodi con enfasi inusuale.
Mi fa pensare a quelle interviste che vediamo tutti i giorni al
telegiornale: è stato commesso un efferato crimine ed i vicini
di casa dell’inquisito ribadiscono come apparisse “tanto una
brava persona.”
DAL PIAZ
Illustre geologo, ormai vecchio e stanco quando opera come
consulente SADE: certo conosceva il suo mestiere.
Qualche dubbio sulla stabilità della sponda sinistra lo
manifesta e non omette di ribadire, privatamente,
l’inderogabile necessità di indagini accurate sul posto, che lui
è riluttante a fare.
Il “dilettante” Semenza lo tranquillizza e arriva a vergare, sulla
bozza di Dal Piaz, le correzioni che il titubante professore
apporterà diligentemente.
EDOARDO SEMENZA
Figlio di Carlo, questo sì geologo.
Scopre addirittura la paleofrana, evidenziando chiaramente i
rischi enormi che Dal Piaz poteva solo supporre.
L’autorevole papà lo zittisce e tranquillizza.
E’ evidente che oggi le cose andrebbero in maniera completamente diversa, su questi temi è aumentata
enormemente la cultura media, ma soprattutto la sensibilità della gente.
L’ORIGINALE ED IL MODELLO DI NOVE
La percezione di scarsa verosimiglianza del profano come me è forte ed immediata, ma vale relativamente poco.
Dal punto di vista idraulico suppongo contino soprattutto i dati del volume e della velocità di caduta, forniti da
SADE, risultati poi tutti, senza eccezione, enormemente sottostimati, addirittura come ordine di grandezza.
Confrontando le due foto, mi impressiona sopratutto la riproduzione della sponda opposta: la sua forma reale
ebbe un ruolo fondamentale nel determinare il rimbalzo dell’onda che si diresse poi verso Longarone.
TOC
TOC
Anche oggi il lavoro delle commissioni scientifiche è spesso protetto da un’aura ossequiosa, sacrale, di mistero.
Invece, quando c’è di mezzo qualche interesse materiale, il rigore professionale, nel lavoro degli esperti
consultati, va validato sempre, con motivata “malizia” ed intransigenza inesorabile.
Questi esperimenti, per quanta cura abbia usato la SADE nel cercare di secretarli, erano accessibili ai media.
Tina Merlin, fu allora l’unica voce critica importante, l’unico anticorpo attivo ed efficace.
IL “RAFFINATO” MODELLO IDRAULICO DI NOVE
LA VELOCITA’ COMPLETAMENTE ERRATA
I tempi di caduta prescritti da SADE per i test, erano dell’ordine di alcuni minuti, come
minimo.
L’esperto di idraulica, bontà sua, esagerò, arrivando ad ipotizzare anche un tempo
“estremamente breve” di 1-1,5’.
In tal caso la sua stima prevedeva un’onda alta 27 metri sopra la diga: ovvero un valore
certamente molto approssimativo per un’escursione così enorme dell’energia cinetica.
Immaginate la perizia di un perito dell’assicurazione automobilistica, che stimi la stessa
energia d’impatto per una velocità del veicolo di 60 km/h oppure 90 km/h (902/602= 2,25!).
A mio parere, questo modo di proporre una stima sarebbe stato sufficiente per convincere
un “buon geometra”, che non c’era certo da fidarsi di questo, tanto decantato, modello.
La frana scese in circa 20”; (2702/602), vale a dire, considerando costante la massa, con
un’energia cinetica 20 volte superiore alla più pessimistica ipotesi.
QUANTE DISCORDANZE!
La massa non rotolò, ma scivolò, il volume fu enormemente sottostimato.
Il modello, indicato a Ghetti da SADE, prevedeva una caduta in due fasi ed invece il fenomeno fu simultaneo.
Dopo 50 anni ed una serie di evidenze acquisite, è ancora ragionevole dubitare che la frana fosse esattamente
prevista in quelle ore, con il livello dell’invaso perfettamente regolato alla quota stabilita?
Magari si può disquisire sull’esatto significato del termine “pilotata”, ma ha davvero importanza?
“ANNUNCIATA” UN GIORNO PRIMA, SECONDO IL NOTAIO CHIARELLI
Lo venne a sapere nell’ambito della sua attività professionale, ebbe lo scrupolo di segnalarlo a quanti furono
disposti ad ascoltarlo, con la frustrazione di riscontrare il disinteresse di molti, salvo qualche rara eccezione.
Come narra la figlia, la sua testimonianza al processo gli costò una specie di ostracismo della comunità locale,
che lo amareggiò molto umanamente, ma lo danneggiò anche sul piano professionale.
PREVISTA CON PRECISIONE DI QUALCHE ORA IN SADE
Rivis racconta nel suo libro come a Soverzene, essendo accertata l’imminente caduta quella sera stessa, i suoi
colleghi, salirono alla diga, per assistere all’evento.
Non erano pazzi o suicidi, credevano ciecamente alle stime di Ghetti, cioè ai 27 metri d’altezza massima
dell’onda.
COME PILOTARE LA CADUTA SECONDO MÜLLER
Abbassare/alzare il livello dell’invaso era una tecnica tra le più praticate, per provocare, in modo controllato, la
caduta di una frana.
Il geotecnico l’analizza approfonditamente, confrontandola con altre, nello studio commissionatogli da SADE.
Biadene eseguì queste manovre, monitorava attentamente tutti gli effetti, con un risultato tecnicamente “perfetto” :
- altezza dell’invaso a 700,42 metri , un errore di 42 cm
- momento della caduta previsto e rispettato con una precisione di qualche ora
LA FRANA “PILOTATA”
IL BACINO SI POTEVA SVUOTARE IN 24 ORE
LO SVUOTAMENTO ACCELERATO IN SICUREZZA
Dal racconto di Rivis ho appreso un dato che mi ha veramente sconvolto: la diga era dotata di un formidabile
sistema idraulico ed il bacino poteva essere svuotato con incredibile rapidità.
Io avevo cristallizzato l’immagine di Biadene paralizzato dal dilemma:
- accelerare lo svuotamento per diminuire la massa d’acqua che avrebbe scavalcato la diga
- non svuotare affatto per mantenere la spinta idraulica a contrasto dello scivolamento della frana
Salite e discese “micrometriche”, al rallentatore, come negli incubi.
Anche nel processo, si accenna superficialmente alla velocità di svuotamento, Biadene risponde evasivamente al
giudice, il tema non viene certo sviscerato.
IL FORMIDABILE SISTEMA
IDRAULICO PER LO
SVUOTAMENTO
Invece, a quanto pare, messa alle strette,
SADE avrebbe potuto svuotare molto
rapidamente, al di sotto di qualsiasi, ipotetico,
livello di sicurezza.
L’effetto previsto era la rapida caduta della
frana : inevitabile far evacuare la popolazione,
ma per un tempo pianificato e breve.
Il margine di incertezza delle stime di Ghetti
era un dato molto controverso allora: mi
domando in quale misura Biadene potesse
sinceramente prenderle per oro colato,
spingendolo ad osare così tanto, avendo
alternative ragionevoli.
A quanto ammontava per SADE-ENEL il
danno economico di “sprecare” tutta quella
preziosa acqua, rilasciandola nel Piave, invece
di sfruttarla a Soverzene?
VOLPI, CINI E FELICE MANIERO
VOLPI FONDATORE DELLA SADE
Una vita molto avventurosa ed estremamente interessante.
Personaggio di grande spicco durante il fascismo, ministro, governatore, presidente degli industriali.
Figura importantissima nella storia economica del Veneto: fondatore di SADE per la valorizzazione dell’energia
idroelettrica.
Ideatore e costruttore di Porto Marghera.
CINI PRESIDENTE SADE ANCHE AL TEMPO DELLA CATASTROFE
Ministro delle comunicazioni al tempo del fascismo.
Insieme a Volpi, protagonista nella ideazione e costruzione di Porto Marghera.
Il suo nome appare, a quei tempi, anche nella vicenda ILVA, incaricato della sua ristrutturazione, a causa delle
ingenti perdite economiche (!).
Accanto a Volpi fin dalla fondazione della SADE, presidente dal 53 al 64, cioè anche ai tempi della catastrofe.
Un groviglio inestricabile di responsabilità formali al momento della tragedia; in breve tempo alla SADE subentrò
ENEL e poi MONTEDISON.
Ma, se si consultano con attenzione le testimonianze, appare evidente che il gruppo dirigente SADE operava, con
smisurata autonomia operativa, anche a passaggio avvenuto.
IL NESSO CON FELICE MANIERO
A quanto pare l’astuto delinquente aveva organizzato una barriera molto efficace alle indagini sul suo conto.
La “mala del Brenta” venne chiamata anche “quinta Mafia”: come tale fu possibile combatterla e sgominarla.
Volpi era già morto ai tempi del processo, Cini fu molto cortesemente “disturbato” per qualche breve
testimonianza e ne uscì indenne.
Qualcuno può credere davvero che persone come Semenza, Biadene, Pancini, autorevoli dirigenti, rappresentino
integralmente il “male”, mentre il loro “capo”, l’integerrimo Cini, dedicava tutto se stesso al filantropismo?
Raccontare la vita di Cini e Volpi, ecco una sfida tremenda ed affascinante per uno storico molto in gamba,
indispensabile per capire il Veneto di oggi.