Vademecum dell'antiberlusconiano: decrescere per non diventare nani

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Da uno dei blog più noiosi e pallosi della rete (http://riciardengo.blogspot.com/2010/10/un-libro-che-il-trota-non-leggerebbe.html), un piccolo libro presuntuoso a basso costo, scritto sotto l'effetto allucinogeno dei tg di Minzolini in una capanna sull'albero, l'unico ebook che vanta proprietà terapeutiche contro il male del nuovo millennio ed effetti dimagranti se letto prima dei pasti. ISBN: 978-1-4466-4312-9 Copyright: Riciard's libri Pagine 22 Formato del file: PDF Dimensioni del file: 253.5 kB Prezzo: Gratuito Scaricatelo gratuitamente qui: http://www.lulu.com/product/ebook/vademecum-dellantiberlusconiano/13046143?produ..., fate finta di leggerlo in treno per distanziare tutti i compagni di viaggio, condividetelo via mail col vostro peggior nemico, e prima di vedere il vostro portatile o il vostro reader avvolto dalle fiamme del camino, ricordatevi che è un ebook. Attenzione, presenta controindicazioni: dopo averlo letto Libero e Il Giornale potrebbero usare il metodo Boffo anche contro di voi.

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“Per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti”

Fabrizio De Andrè

Davanti a me una signora sui sessanta anni passa al vaglio tutti i tipi di pane disponibile al supermercato. Ne prende uno in mano e comincia a tastarlo, lo buca in più punti con il pollice per saggiarne la morbidezza, poi lo rimette a posto. Continua con un altro, e un altro ancora, poi, come soddisfatta, smette, prende una coppia di pane toscano, la soppesa nel palmo, e senza bucarla la mette nel carrello.

Ad un altro meno fortunato toccheranno quei pezzi di pane torturati a gruviera, a lei non interessa.

Non sono fatti miei.

Quante volte, ogni giorno lo diciamo, lo pensiamo, lo diamo per scontato?

E dandolo per scontato il nostro mondo assume una dimensione ristretta, l’orizzonte si avvicina e rende tutta la nostra vita conforme a una piccola, semplice gabbia delimitata da confini vicini, dove ci si sente sicuri.

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Nimby. Not in my backyard. Non nel mio cortile.

C’è bisogno di una strada. Non nel mio cortile.

C’è bisogno di un asilo nuovo. Non nel mio cortile.

C’è bisogno di nuovi alloggi popolari. Non nel mio cortile.

Arriva dal resto del mondo gente che soffre la fame. Non li voglio nel mio cortile.

Non vorremmo niente nel nostro cortile che non abbia già a che fare con la dimensione conosciuta e quotidiana, la dimensione privata.

Quattro mura, una porta, qualche finestra. Il mondo fuori della porta. Ma a portata di finestra, che possa vedere qualcosa da raccontare, imbastendo teorie e pettegolezzi.

La contraddizione sta tutta nel fatto che dentro alle nostre quattro mura, dentro al nostro cortile troviamo alimenti, vestiti, prodotti di ogni genere che con la nostra dimensione quotidiana hanno ben poco a che fare, distinti con un piccolo “Made in” Cina, Sri Lanka, Giappone o altro.

La finestra che crediamo guardi solo il nostro cortile, osserva il mondo, fin dove arriva lo sguardo, e il mondo da quel varco, penetra in casa nostra, con forza e determinazione.

Provate ad immaginare il mondo come composto da tessere di domino.

Una accanto all’altra, con lieve tocco casca la prima e cadendo spinge la seconda, e come per incanto una dietro l’altra, seguendo un tragico piano fisico, cadono tutte, inesorabilmente.

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Che voi siate la prima, l’ultima o una delle tessere nel mezzo, ciò che sta accadendo al di fuori del vostro schema, vi riguarda.

“Dovevo insegnare ai miei ragazzi (...) Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto. Su una parete della nostra scuola

c'è scritto grande: I CARE. E' il motto intraducibile dei giovani americani migliori. "Me ne importa, mi sta a cuore".

E' il contrario esatto del motto fascista "Me ne frego"".

(Don Lorenzo Milani)

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"Quotidianamente le azioni di acquisto individuali hanno

straordinaria importanza nel determinare i termini dello scambio commerciale, le condizioni sociali e le risorse umane a livello internazionale. L'antropologo Daniel Miller, in uno dei suoi

numerosi saggi sul consumo, sostiene che la casalinga è potenzialmente il "dittatore globale" nel mondo moderno,

anche se "il potere che deriva dal consumo non viene vissuto come conferimento di autorità nella vita quotidiana di chi lo

esercita". " (da Paul Ginsborg, "Il tempo di cambiare")

"voi votate ogni volta che fate la spesa, votate ogni volta che

schiacciate il telecomando, ogni volta che andate in banca sono voti che date al sistema. (...) Usate le armi del nemico. Avete Internet, passatevi le informazioni con la telematica."

Alex Zanotelli

Temo proprio che il problema non sia Berlusconi.

Non siamo più bambini che giocano a calcio nel campo di cemento vicino alla chiesa, e Berlusconi non è quello che ha portato il pallone. Non ha diritto a decidere le squadre, e tantomeno a prendere il pallone e di punto in bianco dire “il pallone è mio e ci gioco io”.

Siamo noi a guardarlo come se il pallone fosse suo, e non solo il pallone, il campetto da calcio, le nostre divise, la strada vicina e oltre.

Questo perchè la nostra vita segue senza chiedersi un perchè i binari costruiti dal modello berlusconiano.

Il modello berlusconiano è ovunque. Tutto intorno a te.

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Lo avrete già sentito dire una miriade di volte: Berlusconi è un venditore, sarebbe capace anche di vendere due scarpe spaiate, entrambe destre, diceva Dario Fo. Anche la merda sarebbe capace di vendere, continuava. E’ proprio questo il punto: la riduzione del rapporto sociale e politico in rapporto di compravendita.

Fozza Itaia - Iniziamo dal 1993, l’anno precedente allo “scendo in campo” ormai celebre. L’agenzia pubblicitaria Testa affigge 11300 poster murali raffiguranti dei bambini che dicono “Fozza Itaia”. La gente per le strade si chiede cosa mai possano voler dire, cosa mai si stia cercando di reclamizzare. Tutti lo prendono come un teaser, ovvero una pubblicità in grado di creare l’aspettativa del prodotto prima ancora che questo sia lanciato sul mercato. Con un manifesto, con uno spot, con uno slogan, si introduce il prodotto, senza presentarlo, creando attesa e curiosità. In realtà non fu questo il caso, poichè a detta dei creativi padri dello slogan Maurizio Sala e Pierluigi Bachi i manifesti

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non volevano reclamizzare alcunchè, dietro non c’erano nè aziende, nè prodotti. Fu una campagna ideata gratuitamente "Venne da noi Francesco Villa, presidente della Fispe (Federazione italiana sviluppo pubblicita' esterna) che intendeva sensibilizzare l' opinione pubblica sulle misure previste dal nuovo Codice della strada che, se approvate, avrebbero eliminato gli spazi destinati a cartelloni e manifesti". I danni al mercato dell' affissione, che vale 640 miliardi e da' lavoro a 25 mila persone, assicurano, sarebbero stati enormi. La Testa, dunque, preparo' (gratis) la campagna, che poi si dispiego' con 11300 poster murali, 11 mila cartelloni su tram e autobus, 3 mila pannelli nelle stazioni di servizio.” Per quanto grottesco, non esiste traccia o prova di correlazione tra questi poster, questo slogan ed il partito di Berlusconi. Ciò che è chiaro è che se il committente non è stato lui stesso, allora da ottimo manager ha saputo soffiare il vento su delle vele già spiegate. Se il teaser non è stato fatto ad hoc per lui, allora l’ha semplicemente sfruttato a piene mani. L’inizio del partito di Berlusconi, il suo nome, il battesimo di cotanta volontà di salvare il paese si è basato sulla pubblicità, fin dall’inizio. Scendo in campo – Arriva il 1994 e Berlusconi propina a tutto il popolo italico affezionato alle sue reti il video in cui enuncia la sua volontà di salvare il paese, salvarci tutti da un tempo meschino, da minacce che non meritiamo. Arriva il salvatore. I sondaggi iniziali gli attribuiscono percentuali irrisorie di consenso, mentre un sondaggio della Swg, che intervista un campione di 800 italiani attesta Berlusconi come secondo uomo dell’anno subito dopo Carlo Azeglio Ciampi. Forte della sua immagine di leader vincente, di grande imprenditore, guida le sue televisioni all’assalto e bombarda i cittadini. Ha un consenso da costruire, e lo fa utilizzando tutti i mezzi. Varrebbe la pena rinfrescarsi la memoria con questo piccolo cammeo di ritagli: http://www.youtube.com/watch?v=ns6r_0ekV5s&feature=player_embedded

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(cito qui, ad esempio, Ambra Angiolini, all’epoca giovane conduttrice di Non è la Rai: il padre eterno tiene per Berlusconi, Forza Italia, tutto il polo, insomma quello là. Stalin tiene per Occhetto, e Satana, anche Satana tiene per Occhetto) Berlusconi vinse le prime elezioni di Forza Italia e del Polo della libertà, lo sapete tutti, vinse le elezioni guidando un partito nato solamente da pochi mesi. Ci sarebbe riuscito senza il pieno controllo dei media, senza l’immensa campagna pubblicitaria televisiva, e non solo, che mise in piedi? Vendonsi – Parlando di come la pubblicità sia riuscita ad influenzare le persone e della misura in cui ci riesca, Oliviero Toscani ha detto: “Siamo rispettati per ciò che consumiamo. Siamo diventati degli schiavi di questo messaggio. Dicono: "Non è vero che ascoltiamo la televisione". Non è vero. Soprattutto i giovani parlano col linguaggio della pubblicità televisiva. E la cosa mi fa molta paura. Io credo che la televisione rimbecillisca in modo incredibile”. Silvio Berlusconi ha avuto la capacità di stringere nelle proprie mani le redini di tutto ciò che è comunicazione in Italia, decidendo quindi, di fatto, cosa va di moda e cosa non, cosa gli italiani devono mangiare o meno, come dobbiamo vestirci, cosa dobbiamo ascoltare, cosa e per chi votare alle elezioni. Votare alle elezioni o comprare una marca di detersivo differente rispetto alla solita è la stessa cosa. Il cittadino non è più cives della poleis, è consumatore. Affacciatevi alla finestra e provate a contare: quante pubblicità vedete? Oppure chiudete gli occhi e provate a recitare a memoria l’ultimo slogan che avete recepito dalla televisione. Guardate la vostra ultima spesa ed osservate cosa avete davvero comprato. Chiedetevi perchè avete comprato senza indugio un prodotto rispetto ad un altro, inserendolo

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nel carrello, con passo deciso, frettoloso, poichè non c’è tempo da perdere. Non c’è mai tempo da perdere. E’ quello che vogliono farci credere. La televisione educa - Secondo un articolo scritto da Valentina Ungaro, psicologa, su Mentesana.it, La TV si è gradualmente trasformata da strumento d’informazione e intrattenimento nel tempo libero, in vero e proprio educatore di bambini al punto da rappresentare spesso una “compagnia virtuale”, talvolta preferita in parte o in tutto a quella reale. Inoltre, ha cominciato a produrre modelli di vita che sono diventati sempre più esempi da interiorizzare e imitare. (...)Secondo l’Accademia Americana di Pediatria i bambini che guardano per tante ore la TV sono esposti a circa 40.000 messaggi pubblicitari ogni anno.Il bambino prima dei 7 anni non è ancora in grado di capire lo scopo delle pubblicità (cioè, vendere il prodotto), soprattutto se si sta promovendo un oggetto a lui gradito; perciò, il potere di suggestione degli spot pubblicitari sui bambini molto piccoli è elevato. Provate a guardare una volta la televisione con vostro figlio, vagliate assieme tutti i cartoni animati e registrate le interruzioni pubblicitarie. Nelle numerosissime pubblicità, un bambino vi ritrova i suoi eroi, pronti a lanciare un prodotto, a dirgli: sarai come me se compri questo, se indossi quest’altro e via dicendo. Un bambino non ha le difese per rielaborare questo puro e tetro attacco alla sua personalità, motivo per cui, molto facilmente crescerà all’interno delle mode, della massificazione generazionale. Questo è di per sè un problema per quanto riguarda l’educazione dei figli, il bagaglio cultuale ed etico che vogliamo gli venga trasmesso fin dai primi passi, ma pone anche un’altra domanda: sicuri che un adulto abbia i mezzi per resistere al bombardamento mediatico? La domanda che pongo è: se la democrazia è un sistema di governo guidato e controllato dall’opinione dei governati, come spesso è stata definita (ad esempio, G.Sartori “Homo videns”), allora come nasce e si forma la pubblica opinione?

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La democrazia rappresentativa non si caratterizza come governo del sapere, capace di autogoverno, ma come governo fondato su di un pubblico sentire, su di una sensazione diffusa. E la televisione forma opinioni, senza far riflettere, poichè finge di mostrare la realtà, con tutta la prorompenza delle immagini, mentre taglia gli angoli, decide le inquadrature, scorcia le interviste, modifica l’audio. E così facendo forma opinioni ben definite, spacciandole per verità, con tutto il rischio e la probabilità che queste seguano le idee del proprietario del canale. Che in Italia ha un solo nome e ben conosciuto. L’ho visto in televisione - Basta che ci sia un’opinione, non è necessaria l’informazione e la pluralità di vedute, poichè la televisione “mostra i fatti”. L’ho visto in televisione, così si dice. Il problema sorge quando ciò che viene mostrato non è la realtà, ma una finzione di realtà progettata ad arte come se fosse un palcoscenico. Un esempio palese è stata la consegna delle prime abitazioni dopo il terremoto della città di L’Aquila, alla rigorossissima presenza del premier. In quell’occasione, datata 15 settembre 2009, Berlusconi entra nell'unica casina col prato davanti, quella che serve da set (...) Sento degli applausi, voglio vedere chi applaude, se è Aquilano. Cerco mani che battono e non le trovo. Ma gli applausi ci sono, escono da un altoparlante. Come in una sit com. (da Misskappa blog: http://miskappa.blogspot.com/2009/09/berlusconi-ad-onna.html) In questo caso la televisione è stata capace di vendere a tutta una nazione, con sola eccezione ed anomalia dei blog e di chi li segue, l’idea del governo del fare, di un uomo che riesce in uno schiocco di dita a risolvere le situazioni più catastrofiche, acclamato dal consenso degli applausi popolari. In una parola: pubblicità, branding del marchio Berlusconi. Brandocracy - Tutto è pubblicità, non conta ciò che è il prodotto, ciò che importa è vendere. E’, del resto, ciò che il mondo delle grandi marche, del branding, ha già capito: si

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deve investire sul marchio non sul prodotto. (Per chi volesse approfondire No Logo di naomi Klein è un ottimo inizio) Esempio: guardate attentamente una qualsiasi pubblicità di Nike, Adidas, Benetton, e contate quante volte viene menzionata la qualità del prodotto. Quante volte viene descritto un particolare che differenzia il prodotto in questione da altri? Quanto dureranno queste maledette scarpe? Di cosa sono fatte? Il tempo dello spot scorre e non avrete modo di contare alcunchè, per il semplice fatto che si sta reclamizzando un modo di essere, uno stile. Vi dicono cosa significa “essere Nike”, appartenere a Nike, a quel modello, ogni spot descrive la possibilità per ognuno di noi di essere ciò che lo spot rappresenta. Just do it. Fallo. Significa che chi è Nike può farlo, ha le capacità, ed ha la libertà di farlo. Deve solo volerlo. Berlusconi non ha fatto altro che applicare le categorie e le tattiche del branding alla politica, pubblicizzando se stesso come uomo giovane, vigoroso e riuscito, curando nei dettagli la sua immagine e le sue apparizioni (quantomeno le prime), svuotando il prodotto finale, la politica, di significato, riducendo il dialogo e la pluralità ad un gioco di squadre: o sei con me (e come me) o contro di me. O del Milan o della Juve. Se vi chiedete il perchè alla gente piaccia, vi basterà andare a fare due passi in centro e contare il numero di scarpe nike che incrociate in un quarto d’ora. Quella è la risposta. Boicotto il boicottaggio – Difficile, ma non impossibile sfuggire alla macchina pubblicitaria e cominciare a lottare contro il modello berlusconiano. In molti si sono sbracciati in questi anni per indicare la strada del boicottaggio dei prodotti appartenenti al gruppo berlusconiano, altri, come Daniele Luttazzi, hanno proposto una sorta di boicottaggio dei principali marchi che fanno pubblicità sulle reti fininvest, al fine di bloccarne gli ingentissimi finanziamenti. L’idea è: andare su google, cercare “big spender” ed inviare ad ognuna delle aziende che troviamo una lettera del tipo o smettete di fare

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pubblicità sulle reti mediaset, o comprerò i prodotti della concorrenza.

(Qui il video di Luttazzi: http://www.youtube.com/watch?v=X8Y0xU7573Y).

E’ una via percorribile, e non è sbagliata, credo sia troppo poco incisiva.

Le carte in tavola sono molto chiare: da un lato del bancone ci sono i venditori, dall’altra noi, i clienti. Saremmo davvero stupidi se esercitassimo la nostra azione semplicemente non comprando, sarebbe un ruolo estremamente marginale per dei protagonisti.

Noi siamo quelli che comprano, noi siamo la domanda, noi siamo il mercato. E allora tanto vale usare bene l’arma che abbiamo indicando al mercato la strada da prendere.

Se ad esempio tutti noi da domani cominciassimo a comprare fazzoletti di colore blu, rapidamente il mercato comincerebbe a produrre quasi esclusivamente fazzoletti di quel colore.

Sfamiamo la curiosità - Un buon inizio sarebbe cominciare ad informarsi su cosa stiamo comprando. Quell’articolo che stiamo tenendo in mano, un attimo prima di gettarlo nel carrello, da dove viene? Qual è la sua storia? Quante persone sono state sfruttate per ottenere questo prezzo

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basso, è possibile che io stia acquistando un prodotto ottenuto mediante lavoro minorile? Ci sono simbologie precise e criteri che segnalano i prodotti che sicuramente non hanno causato sfruttamento a danni di persone e tantomeno sofferenze ad animali, basta cominciare ad interrogarsi, porre dei principi etici in cima alla lista della spesa. Un coniglietto, da anni, sta a simboleggiare che il prodotto in questione non è stato testato su animali, esistono linee, come i prodotti a marchio Coop, che garantiscono il rispetto di un codice etico in cui il primo escluso è lo sfruttamento, umano o animale, molti supermercati si sono dotati di proprie linee solidal, che seguono le regole del Fair Trade (mercato equo e solidale), ed esistono molti punti vendita equi e solidali chiamati botteghe del mondo, dove trovare numerose cose interessanti ed appetibili.

Se tutti noi cominciassimo ad evitare i prodotti che non presentano una certificazione di assenza di sfruttamento (di qualsiasi tipo), il mercato, per pura legge di sopravvivenza, escluderebbe i produttori più crudeli, o, al limite, li costringerebbe ad adeguarsi. Non dobbiamo riempire solo la pancia, ma anche il cervello. Sfamiamo la nostra curiosità.

Piccoli pensionati crescono – Eccovi un altro esempio reale di cosa sia possibile fare. Correva l'anno 2001 ed i pensionati inglesi insegnarono al mondo come sia possibile segnare la strada su cui deve camminare il mondo. Alcuni di questi rampanti pensionati si accorsero che i gestori dei loro risparmi e dei loro fondi pensione avevano acquistato titoli di fondi d'investimento che comprendevano anche azioni della Glaxo, forse la piu' grande casa farmaceutica del mondo, ritenuta responsabile dell'eccessivo costo dei medicinali nel terzo mondo. Cosi' molti, spontaneamente, scrissero alle societa' di gestione dei loro risparmi per protestare ottenendo di contro visibilità inaspettata sui giornali.

In un secondo momento decisero di far circolare la protesta in internet, riuscendo così a raccogliere le dichiarazioni di

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protesta di decine di migliaia di risparmiatori, che accanto alla propria firma annunciavano l'importo del proprio investimento. Riuscirono a raccogliere firme per piu' di 1500 milioni di euro in fondi. A questo punto bastò loro dare un ultimatum ai propri broker: "Se non togliete la Glaxo dai vostri fondi noi ritiriamo i nostri soldi". La Glaxo stessa fece due conti, per arrivare a scoprire che far crollare i prezzi delle medicine in Africa era meglio che affrontare il panico in borsa.

Banche armate – E ancora uno. Cosa fanno le banche con i nostri risparmi? Investono, direte voi. Certo. Ma in cosa? Uno dei modi di investire delle banche è quello di fare da tramite tra stati produttori ed esportatori di armi e stati compratori di armi. L’Italia è uno dei più importanti paesi al mondo nell’esportazione di armi (la produzione di armi in Italia è aumentata del 222% in appena cinque anni), si dice secondo solo agli Usa. Dal 2001 alcune organizzazioni si sono mosse, pianificando la campagna Banche armate, ovvero campagna di pressione nei confronti degli istituti di credito che effettuano operazioni (finanziamenti o intermediazioni) legate alle esportazioni di armi. Riusciamo a sapere quali banche effettuino queste intermediazioni perchè una legge (n.185 del 90) stabilisce che tali operazioni debbano essere approvate dal Governo, che annualmente ne da conto al Parlamento in una relazione. La campagna propone semplicemente di scrivere alla propria banca, per chiederle di sospendere questo tipo di azioni, ed ha già ottenuto alcuni effetti, stando alle dichiarazioni del Monte dei Paschi di Siena, ad esempio, che sostiene di non avere più niente a che fare con i “traffici” di armi.

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Ritroviamo l’interesse, prima ancora di boicottare, usiamo la nostra forza economica per spostare il mercato verso scelte etiche, consapevoli. Sempre più in alto - In sintesi, si tratta di scegliere cosa comprare, visto che abbiamo scritto sulla fronte “clienti”. Comprare determinati oggetti per costringere il mercato a compiere scelte etiche. Ma non solo. Si tratta di provare a sfuggire alla rete che ci ha impigliati da tempo, che presuppone che ogni essere umano semplicemente lavori e compri, in un turn over continuo. Ci hanno convinto che l’unico modo possibile di vivere sia questo, ci hanno convinto che questo modello di sviluppo sia il migliore, basato sulla crescita a tutti i costi e i meccanismi (pubblicitari e non) per sostenerla. E noi, miopi, non ci siamo nemmeno resi conto di attraversare un periodo storico costellato di crisi economiche senza soluzione di continuità. E’ possibile un’altra vita, un altro modello di sviluppo, più aderente a ciò che è oggettivamente il percorso di un essere vivente. La teoria della crescita a tutti i costi, della crescita infinita (cioè più si cresce più stiamo meglio) deriva dall’idea di interpretare l’economia come un organismo vivente. In realtà, un essere vivente, studiamo fin da piccoli, nasce, cresce, si riproduce e muore; non cresce all’infinito. Inoltre le risorse su cui si basa un qualsiasi processo di sviluppo o produzione, sono finite, e non possono per definizione dare luogo a una crescita infinita. La realtà dei fatti è che ce la stiamo mettendo tutta, in questa parte di mondo “civilizzato” che viene spesso identificato con il “nord”, per ottenere una crescita infinita, non riuscendoci e producendo una società basata esclusivamente sul consumo, sul compra oggi e butta domani. Ogni mese 800 camion partono dagli Usa stipati di computer buttati via, per scaricarli in Nigeria, dove inquinano le falde acquifere o, al minimo, occupano lo spazio dove i bambini giocano. Grazie a questo tipo di impostazione di società ogni giorno

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scompaiono dalle 50 alle 200 specie viventi: alcune scompaiono ancora prima di essere scoperte. Si tratta, di solito, di batteri, ma alle volte si parla anche di specie più conosciute come le api. L'uomo può essere una di queste specie.(S. Latouche) Decresciamo per non nanizzarci - Piccolo, ma visibile, accanto alle grandi autostrade progettate dagli economisti della crescita, si snoda un sentiero che porta sul cartello un nome particolare: decrescita. La decrescita è un progetto politico, radicale e rivoluzionario: si tratta di rompere con l'unidimensionalità dell'economia, al fine di ritrovare la pluralità, la politica, ma anche un ritmo biologico e uno stile di vita più familiari all’essere umano. Se dobbiamo per forza smettere di credere nella crescita come unica via quasi teologica, è necessario pensare anche a cosa far crescere al posto dell’economia, e per quanto possa sembrare ridicola la risposta è semplice: la gioia di vivere, la qualità dell’acqua, la qualità dell’aria, la qualità del lavoro, il tempo che dedichiamo a noi stessi, il tempo che dedichiamo agli altri... Serge Latouche ci viene incontro con la teoria della decrescita, e le sue virtuosissime “otto erre”, un programma di vita quotidiano, di gesti quotidiani, volto a migliorare la vita di tutti noi, uscendo dal modello attuale, che lo si voglia chiamare berlusconiano o meno, per riprenderci la nostra vita. Rivalutare il nostro modo di vivere, elaborando un differente atteggiamento nei confronti della natura e del contesto in cui ci inseriamo. Smettere di saccheggiare e sfruttare ogni risorsa che la natura ci offre, cercando di ritrovare la nostra via col benessere della stessa. Da predatori a giardinieri. Cioè atteggiamenti più attenti verso l’ambiente, come ad esempio la raccolta differenziata, o anche solo il prendere una volta in meno la macchina a favore di una biciclettata, di un mezzo pubblico o dei propri piedi, che non sembra, ma portano lontano. Riconcettualizzare la visione attuale del mondo e di conseguenza tutto il vocabolario che ci è stato sottratto,

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ricominciare a dare alle parole i propri significanti e concetti, poichè una posizione "rivalutata" impone una riconcettualizzazione. Cambiando il contesto, cambia anche l’etica, o il supposto codeice etico. Se riuscissimo davvero a slegarci dalla società dei consumi, dal modello berlusconiano dove tutto è pubblicità, un lessico differente sarà necessario, per rendere efficace anche a parole il cambiamento. Ristrutturare l'apparato produttivo e i rapporti sociali al cambiamento dei nuovi valori. Cioè, in sordina, lavorare meno, per poter dedicare più tempo a noi stessi e alla nostra rete di rapporti sociali. In secoli di sviluppo i tempi di produzione si sono notevolmente abbassati, per produrre la stessa quantità di un certo prodotto ad oggi serve minor tempo rispetto a qualche decennio fa, un’infinità di tempo in meno rispetto ad un secolo fa. Si continua a lavorare la medesima quantità di ore perchè, al fine di produrre crescita continua, è necessaria la sovrapproduzione (società dei consumi in cui si produce, si compra e si butta), ma se producessimo solo ciò di cui c’è realmente bisogno, potremmo tranquillamente lavorare molto meno. E non finisce qui. Un altro buon motivo per lavorare meno deriva dal considerare il proprio lavoro come una merce: più una persona lavora, più è disposta a fare straordinari e massacrarsi, meno varrà il suo lavoro . Come per tutte le cose, più ce n'è e meno valgono. Questo fa sì che non sia per niente vero che se più si lavora più si guadagna, anche perchè le stesse politiche che incitano a fare straordinari mirano poi a tassarli in maniera improponibile. Lo stesso vale per il prodotto finito: se tutti lavoriamo di più ne produciamo di più, per cui questo, alla fine, viene prodotto in quantità superiore alla richiesta, diminuendo di valore, facendo così diminuire le entrate di chi produce e di conseguenza la sua capacità di pagare chi lavora. Il lavoro, per come lo intendiamo e lo viviamo oggi, è una droga, ovvero non è parte della vita, finisce per identificarsi con la vita stessa. Le persone tendono a scordare, in vista del lavoro, altre cose che devono crescere e curare al suo posto,

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dai rapporti relazionali alla qualità dell'ambiente, finendo per ammalarsi di quello che viene detto work-alcholism. Ridistribuzione delle ricchezze. Non allarmatevi, nessuno vi chiede donazioni, vi si chiede solo di "prelevare meno" dall'insieme delle risorse: cominciamo capendo cosa acquistiamo, se ha a che vedere con il continuo depredamento del sud del mondo. Mettere fine a questo continuo saccheggio sarebbe, oltre che norma, già una redistribuzione. Basti pensare che le tre persone più ricche al mondo detengono ricchezze come le 700 milioni di persone di tutta l'Africa Subsahariana messe insieme, oppure anche semplicemente che le popolazioni occidentali, da sole, spendono l'80% delle risorse globali. Se tutti consumassero come un italiano, che non è nemmeno in cima alla lista dei predatori, occorrerebbero più di tre pianeti. (S. Latouche) Rilocalizzare cioè produrre in massima parte a livello locale, e acquistare in massima parte ciò che è locale, per evitarne l'impatto ecologico e sociale e per avere il controllo visivo su ciò che si acquista. Se non vi siete mai chiesti cosa davvero portate in tavola, cominciate a fare piccole indagini, e scoperchiando la pentola troverete un mondo barbaro, che non ha niente a che vedere con la gioia dello stare insieme a tavola che è peculiare per noi italiani. Partite dalla carne, attraversate i mari di conservanti, e gli oceani di maltrattamenti, arrivate alla lettura degli ingredienti degli alimenti e cercate, ad esempio cosa sia l’olio di palma. Se tutto ciò fosse continuamente sotto i vostri occhi, localizzato, potreste realmente scegliere cosa mangiare e quale tipo di economia di sviluppo favorire. Ridurre il nostro impatto sulla biosfera, rivedere i nostri modi di produrre e consumare. Riutilizzare/Riciclare due parole che parlano da sole. Riprendersi la propria vita, seguire queste otto erre, è molto più che deberlusconizzare e deberlusconizzarci. Una volta intrapreso questo cammino il modello berlusconiano non sarà più un problema, presentandosi già sorpassato, gettato alle spalle da una nuova, forte, consapevolezza sociale.

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Da predatori a giardinieri, l’orto da balcone

Con le idee si mangia - Sono idee, e con le idee non si mangia.

E’ una delle frasi indispensabili se si vuole redigere una enciclopedia dei luoghi comuni: se vuoi mettere sotto i denti qualcosa devi pensare terra terra, stare coi piedi per terra, abbrutire la tua analisi, scendere dal piano ideale.

E noi, guardacaso, siamo qui proprio per smentire questo orrendo luogo comune.

Un buon inizio per la nuova vita decrescente e anti-nanizzante, è riprendersi indietro l’abitudine millenaria, ormai persa, di essere agricoltori. Non è necessario un campo di vaste dimensioni per divertirsi e sapersi meravigliare davanti ai prodigi della natura, e tantomeno per mettere insieme una macedonia e una insalata dal gusto davvero speciale, basta un terrazzo.

Con un po’ di impegno riuscirete a gustarvi verdure non trattate, dal gusto veramente naturale, e ogni tanto potrete fare il gesto dell’ombrello a chi le vende a prezzi allucinanti.

E se ancora non siete del tutto persuasi, credendo che il vostro terrazzo subirà una mutazione estetica poco piacevole, beh, sappiate che piante come le zucchine hanno bellissime foglie e fiori, da mostrare al vicinato con orgoglio.

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Potete cominciare in primissima primavera, decidendo di seminare le piante, e accudirle fin dal primo istante, o in tarda primavera (maggio-giugno) con delle piantine acquistate. Se è la prima volta che provate a fare del vostro terrazzo un piccolo orto, vi consiglio questa seconda ipotesi.

Riguardo a cosa piantare, potete sbizzarrirvi. E’ consigliabile cominciare con le piante aromatiche, che non hanno bisogno di troppe cure e, già da sole, danno un sapore completamente diverso ai piatti in tavola. Bisogno di un po’ di origano? Eccolo fresco.

Quindi, come suggerimento, direi: origano, salvia, rosmarino, timo (anche tutti i tipi, anche in un solo vaso di ampie dimensioni), maggiorana, basilico, menta, erba cipollina. E chi più ne ha più ne metta.

Un’altra pianta che non richiede particolari cure è il peperoncino. Potete scelgiere tra una gamma di semi molto variegata e divertirvi a vederli crescere di annaffiatura in annaffiatura. Anche il peperoncino non chiede vasi di dimensioni colossali, colora il terrazzo sia con i fiori che con i frutti, e rende piccante l’atmosfera. Anche il cetriolo, se curato e innaffiato regolarmente, non presenta difficoltà a svilupparsi su di un terrazzo, e lo stesso vale per le fragole.

Da qui in poi il passo è un poco più lungo. Per mia piccola esperienza i pomodori, ad esempio, richiedono molta più attenzione di queste altre piante, poichè sono più facilmente attaccati dai parassiti e dai funghi. Ma non scoraggiatevi, garantisco che un pomodoro staccato sul terrazzo e portato in tavola è un tripudio di gusto e soddisfazione.

Lo stesso vale per i peperoni, che verranno di piccole dimensioni, ma saporitissimi, o le melanzane.

Tentar non nuoce, non credete?

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Vi ascio alcuni link utili per trovare suggerimenti sulla costruzione di un bell’orto da balcone, gli stessi siti che ho seguito io quando decisi di cominciare a cimentarmi con il mio orto da balcone:

http://chiaverini.blogspot.com/

http://www.erbaviola.com/come-fare-un-orto-sul-balcone

http://www.giardinaggio.it/ (qui specialmente troverete tutto, ma proprio tutto ciò che vorreste sapere su qualsiasi pianta)

Non c’è modo migliore per cominciare a riprendersi la propria vita che vederla sbocciare sotto forma di pianta, di nuove foglie, fiori e frutti. Seguire il tempo della natura, la sua lenta saggezza, ci fa riflettere e rilassare, lasciandoci scoprire una dimensione persa, ormai inglobata dal metodico caos quotidiano della città. L’uomo è coltivatore da millenni, di ortaggi e di idee, è un ruolo che ci appartiene, e che dobbiamo riprenderci.

Buon raccolto a tutti voi, e buona rivoluzione della quotidianità,

buona decrescita e denanizzazione.