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GIUGNO 2009 Urologia QUESTO SUPPLEMENTO È STATO REALIZZATO DA MEDIAPLANET. IL SOLE 24 ORE NON HA PARTECIPATO ALLA SUA REALIZZAZIONE E NON HA RESPONSABILITÁ PER IL SUO CONTENUTO

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GIUGNO 2009 Urologia

QUESTO SUPPLEMENTO È STATO REALIZZATO DA MEDIAPLANET. IL SOLE 24 ORE NON HA PARTECIPATO ALLA SUA REALIZZAZIONE E NON HA RESPONSABILITÁ PER IL SUO CONTENUTO

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UROLOGIA- UNA PUBBLICAZIONE DI MEDIAPLANETProject Manager: Cristian Riello, Mediaplanet 02-36269421Production Manager: Gianluca Cò, Mediaplanet 02-36269443Produzione/Layout: Daniela Borraccino,Mediaplanet [email protected]: Henry BorziStampa: Il Sole 24 OreDistribuzione: Il Sole 24 OreFoto: istockphoto.com

SIU: Società Italiana di UrologiaL’Urologia è quella scienza medica che si occupa della prevenzione, dello studio e della cura delle patologie, delle malformazioni e delle disfunzioni dell’apparato urinario maschile e femminile, dell’apparato genitale maschile e del retroperitoneo.Fino agli inizi del secolo scorso, l’Urologia rappresen-tava una branca della Chirurgia Generale: la sua rapi-da espansione, tuttavia, lasciava presagire un futuro di completa autonomia per la disciplina.L’ispirazione venne dall’esempio dei cugini d’oltralpe: nel 1907, di ritorno dal congresso annuale della So-cietà Francese di Urologia, Carmelo Bruni e Michele Pavone, due pionieri dell’Urologia italiana subito si adoperarono per istituire un comitato fondatore del-la Società Italiana di Urologia insieme a Ferria e Ales-sandri. Nel 1908, nasce così a Roma la Società Italiana di Urologia.Da allora, quella della Società Italiana di Urologia è stata una storia di crescita, sviluppo e prolifica pro-duzione scientifica.Attualmente, la Società Italiana di Urologia annovera circa 2500 membri, che, attraverso i 360 centri specia-lizzati sono presenti su tutto il territorio nazionale. Nel corso dei decenni, inoltre, la SIU ha ispirato, se non addirittura direttamente favorito, la nascita di altre Società scientifiche di settore, quali la Società Italiana di Urodinamica, la Società Italiana di Urologia Oncologica, la Società Italiana di Andrologia, l’Asso-ciazione Italiana di Endourologia e tante altre, ciascu-na dedicata ad approfondire uno specifico aspetto della grande disciplina urologica. La Società si è posta l’obiettivo di promuovere e favorire la ricerca tecnico-scientifica nel campo dell’Urologia, lo sviluppo e il corretto esercizio della professione urologica e l’aggiornamento continuo dell’urologo al fine di assicurare i migliori standard

assistenziali al paziente. L’Associazione può organizzare incontri di studio e convegni, promuovere indagini, studi, rilevazioni statistiche, informazioni e produrre documentazioni relative ai suoi campi di interesse; promuovere, soste-nere e realizzare ogni iniziativa volta ad attuare lo svi-luppo, la valorizzazione e il progresso dell’Urologia; svolgere attività di ricerca, di formazione e di divul-gazione nel settore dell’Urologia, anche a favore dei propri soci.L’Associazione si propone di valorizzare e promuo-vere l’attività scientifica dei propri soci. Ha inoltre lo scopo di rappresentare e promuovere la specialità urologica nei confronti delle Istituzioni e comunque di terzi; in particolare cura i rapporti con le altre Asso-ciazioni Scientifiche Nazionali e Internazionali, con i Ministeri, le Regioni, gli Organi Professionali, i gruppi cooperativi di ricerca di base, traslazionale, clinica e le Istituzioni in genere.

Per ulteriori informazioni sulla società italiana di urologia (siu): www.siu.it

largo lanciani 1 - 00162 roma tel. 0686202637

fax 0686325073 [email protected]

La Federazione Italiana Incontinenti - FINCO

La Federazione Italiana Incontinenti (FINCO) è un’As-sociazione di volontariato che vede tra i suoi obiettivi l’aggregazione, la tutela ed il reinserimento sociale dei cittadini incontinenti e più in generale delle persone colpite da disturbi del pavimento pelvico.La FINCO è attenta alla qualità della vita dei Cittadini incontinenti tutelando i dispositivi medici (pannoloni, traverse, sonde, cateteri, tamponi vaginali, tappi anali, etc.), rivendicando la rimborsabilità dei farmaci per la continenza e l’utilizzo delle nuove tecnologie mediche e chirurgiche. Gli incontinenti italiani sono 5milioni, il 60% sono donne. L’incontinenza urinaria è un proble-ma molto diffuso nei paesi industrializzati ed è difficile valutare con precisione quale sia la dimensione del pro-blema.L’incapacità più o meno grave di urinare a tempo e luo-go ha un impatto sociale devastante che incide pesan-temente sulla qualità della vita della persona colpita, sia per il vissuto soggettivo che per i rapporti interper-sonali, basti pensare ai molteplici campi della vita che possono essere gravemente intaccati:“sociale, psicolo-gico, professionale, familiare, fisico, scolastico, sessuale ed economico”.

La FINCO si adopera per:

per eliminare nelle 1. persone colpite il senso di vergogna e incorag-giarle a cercare aiuto;

per favorire una 2. diagnosi precoce e il trattamento tempesti-vo;

per massimizzare 3. l’accesso e la possibi-

lità di scelta per le donne affette da incontinenza urinaria; per ottenere la rimborsabilità dei farmaci per la 4. continenza; per ottenere dispositivi medici contenitivi di “5. quali-tà”, garantendo la libera scelta; per mappare e far costruire bagni pubblici nel Ter-6. ritorio;per istituire in ogni provincia i “7. Centri per la Ria-bilitazione, la cura e la prevenzione dell’incon-tinenza”;per sensibilizzare al problema la Cittadinanza, le 8. Istituzioni ed i mass-media, grazie alla “Giornata nazionale per prevenzione e la cura dell’incon-tinenza”, istituita con la Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 10 maggio 2006, che ogni anno si svolge il 28 giugno. Giornata in cui gli Ambulatori accreditati FINCO effettuano vi-site gratuite grazie ad un network che vede riuniti i rappresentanti delle Associazioni pazienti, le Isti-tuzioni, le Strutture sanitarie e le Associazioni dei professionisti della salute (medici, ostetriche, infer-mieri professionali e fisioterapisti).

Sito internet: www.giornataincontinenza.com.

Come iscriversi all’AssociazioneChi desidera associarsi può:

utilizzare il conto corrente postale n. 69779080, 1. intestato alla FINCO - Casella Postale n. 30 - 70010 Capurso (BA);effettuare un Bonifico Postale, codice IBAN: 2. IT43T0760104000000069779080;effettuare un Bonifico Bancario intesto alla 3. FINCO, Banca Popolare di Bari – codice IBAN: IT98F0542404002000001002415.;donare il proprio 5 per mille alla FINCO, 4. Associazione che rientra tra i soggetti che pos-sono ricevere il 5 per mille: Codice Fiscale n. 93240300728. In tal caso si è soci <gratuitamen-te> per l’anno in corso, ma occorre inviare una fotocopia della pagina del modello reddituale firmato (fax: 080.5619181)

Per ulteriori informazioni può telefonare al numero verde: 800.050415 (ore 9/12) Siti internet:www.finco.orgwww.giornataincontinenza.come - m a i l : finco@f i n c o . org

2 Urologia

- SUN - Società Urologi Nuova..............................................3- Che Cos’è la prostata..............................................................3- Il tumore all aprostata...........................................................4- Prostata agire o aspettare....................................................4- La terapia “focale” per il carcinoma prostatico iniziale.........................................................................................5- Il trattamento del carcinoma prostatico con HIFU.....5- Prostata, con il laser si risolve in un giorno....................6- High-Intensity focused ultrasound (HIFU) nel trattamento del carcinoma della prostata....................6- La vaporizzazione prostatica con laser greenlight.....6- Terapie minivasive nel carcinoma prostatico................7- Chirurgia robotica in urologia............................................8- Studio Reinvent: la cura della disfunzione erettile dopo prostatectomia............................................................8- La riabilitazione cavernosa dopo chirurgia radicale per cancro della prostata......................................................9- Carcinoma del rene.............................................................14- Tumore vescicale..................................................................14- Incontinenza urinaria..........................................................15- La prevenzione dell’incontinenza urinaria dopo interventi sulla prostata.........................................15- Incontinenza urinaria: definizione, incidenza e impatto sociale..................................................................17- Litrotrissia Extracorporea: il futuro.................................18- La calcolosi urinaria: novità in tema di prevenzione e trattamento..........................................................................18- Sindrome del dolore cronico pelvico............................19- Prevenzione e cura in urologia pediatrica e dell’adolescente................................................................19

SOMMARIO

Il 23 ottobre 1998 nasceva ufficialmente a Treviso la S.U.N. (SOCIETÀ UROLOGIA NUOVA) in seguito al vole-re di un gruppo di Urologi Ospedalieri ed Universitari appartenenti alla S.I.U. (Società Italiana di Urologia).Tale decisione avveniva in quanto si era sentita nel tempo aum entare l’esigenza di dare vita ad una nuova Associazione, non sicuramente antitetica alla SIU, ma certamente di supporto, con caratteristiche scientifiche innovative e con una propria precisa fun-zione.Tale progetto, privo di finalità secondarie, costituì un impegno ispirato ad autentici valori di pariteticità con un’intima ed aperta coesione tra le varie componenti ospedaliere ed universitarie, senza alcun personali-smo o ambizione politica, rimarcando alcuni valori fondamentali in una continuità Societaria, quali rigo-re morale, serietà scientifica e di intenti.L’iniziativa fu largamente apprezzata, ottenendo, in risposta ad una prima lettera informativa sulla na-scita della Società, un ampio consenso e numerose adesioni. La SUN come Società generalista, ha volu-to acquisire sin dalla sua fondazione, una precisa fi-sionomia sotto il profilo scientifico, impostando dei progetti con una finalità prettamente educazionale, rivolta in particolare ai giovani in formazione.

Sono state così concretizzate alcune iniziative quali quella di dedicare, nell’ambito dei Congressi nazio-nali, un reale spazio ai medici Specializzandi, consen-tendo loro ampie possibilità di espressione, di dialo-go e di dibattito.Infatti già dal I Congresso di Torino nel 1999, e sem-pre di più in quelli successivi, si è stabilito e consoli-dato uno stretto rapporto con gli specializzandi, a cui si è voluto riservare un’intera giornata congressuale, la giornata riservata all’ESRU (European Society of Resident in Urology). In tali incontri vengono trattate varie tematiche molto importanti sotto il profilo for-mativo, con la partecipazione di docenti qualificati ed esperti nel settore scientifico, ed organizzati dei cor-si teorico-pratici di Endoscopia originali e primi del genere in Italia, su argomenti di largo interesse per i giovani in formazione.Queste iniziative hanno avuto sin dall’inizio un im-mediato riscontro nell’elevato numero di adesioni, da parte dei giovani provenienti da tutte le scuole, al di sopra di ogni aspettativa. L’interesse per questa ini-ziativa è stato tale che gli stessi corsi di Endoscopia, con le analoghe modalità organizzative, sotto l’egida SUN, sono diventati, negli anni successivi, itineranti in tutto il territorio nazionale, riscuotendo grande

successo presso tutte le sedi universitarie italiane. La sempre più stretta collaborazione che negli anni si è andata affermando tra la SUN ed i giovani specializ-zandi, il loro apprezzamento per queste iniziative ed i ripetuti riconoscimenti sul piano scientifico, ampia-mente manifestati dagli stessi che hanno frequentato i Congressi con una presenza sempre ben motivata, hanno confermato la validità dell’indirizzo e delle scelte educazionali con le quali la Società ha voluto caratterizzarsi, sin dal suo inizio.

Prof. Alessandro TizzaniDirettore Clinica Urologiadi Torino

SUN - Società Urologia Nuova

Che cosa è la prostataLa prostata è una piccola ghiandola dell’apparato genitale maschile che si trova al di sotto della vescica e che avvolge la porzione iniziale dell’uretra, il condotto che trasporta l’urina dalla vescica all’esterno. Ha una funzione im-portante nella produzione del liquidi seminale, poiché fornisce i componenti fondamentali per la sopravvivenza e la qualità degli spermatozoi.Nelle società industrializzate il tumo-re alla prostata è il tumore maschile più frequentemente diagnosticato e in Italia è al primo posto (43 mila casi nel 2005). Solitamente è diagnostica-to negli uomini di età superiore a 50 anni, mentre è più raro il riscontro nei soggetti più giovani. A differenza della maggior parte degli altri tumori, piccoli focolai di cellule tumorali possono es-sere riscontrati all’interno della prosta-ta senza che rappresentino un reale pe-ricolo per la salute del soggetto. Circa il 40% degli uomini di età superiore a

50 anni evidenzia la presenza di cellule tumorali nella prostata, e questa per-centuale aumenta progressivamente con l’età, divenendo elevata dopo i 70 anni. Tra questi circa il 30% è di piccole dimensioni e non è aggressivo: queste forme sono definite “indolenti”. In con-clusione, il tumore della prostata com-prende una varietà di forme che vanno da quelle a crescita molto lenta, che possono non dare problemi nell’arco della vita della persona, ad altre inve-ce che possono crescere rapidamente, superando i confini della ghiandola e diffondendosi ad altre parti dell’orga-nismo. Unici fattori di rischio certi sono la storia familiare e l’età. Gli uomini che hanno un parente stretto (padre, zio o fratello) che ha, o ha avuto, questo tumore, presentano maggiori proba-bilità di ammalarsi. Per questi motivi è opportuno che anticipino i controlli, effettuandoli a partire dai 40-45 anni. L’appartenenza all’etnia afro-americana

si è anche dimostrata un fattore certo di rischio per questo tumore, essendo maggiore la sua diagnosi nei maschi di razza nera.Il rischio di sviluppare questa malattia sembra possa aumentare in presenza di alcuni condizioni quali l’obesità, gli elevati livelli di ormoni maschili, l’espo-sizione a inquinanti ambientali e un elevato consumo di carni rosse e di lat-ticini. Per quanto concerne le possibili correlazioni con l’alimentazione, sem-bra che una dieta ricca di grassi animali (burro, carni rosse, soprattutto se con elevato livello di ormoni) e povera di frutta e verdura, possa aumentare la suscettibilità ad ammalarsi.Da ultimo, crescenti evidenze speri-mentali attribuiscono all’infiammazio-ne cronica o ricorrente un ruolo fon-damentale. Che cosa inneschi questa risposta infiammatoria, che poi causa il danno al tessuto prostatico favorendo lo svi-

luppo di cellule tumorali, non è a oggi noto. Gli indiziati principali sono: virus, batteri e sostanze tossiche introdotte dall’esterno.

Come si manifesta? Purtroppo non esistono sintomi speci-fici solo di tumore prostatico. I disturbi che possono essere riscontrati sono:

indebolimento del getto delle uri-•ne frequente bisogno di andare in ba-•gno, sia di giorno che di notteincontenibile stimolo a urinare •possibile dolore quando si urina•presenza di sangue mentre si uri-•na

Se si accusa uno dei predetti sintomi, è buona norma avvertire il medico, ricor-dando però che nella maggior parte dei casi i disturbi sono originati dall’ingros-samento benigno della prostata e ciò non costituirà pericolo per la salute.

Urologia 3

Prostata: agire o aspettare?

Dott. Valdagni, può fornirci qualche notizia sul tumore alla prostata?Si tratta di una malattia di notevole rile-vanza per l’impatto clinico-sanitario, per i risvolti assistenziali, economici, sociali e psicologici che comporta. E’ infatti, la ne-oplasia più frequente nel maschio italia-no. Nel 2005 sono stati 43.000 i nuovi casi diagnosticati, 9.200 i decessi e 174.000 le persone che hanno avuto nel passato o che hanno oggi a che fare con questo tumore.Per la sua esperienza, qual è il miglior approccio alla malattia?Il tumore alla prostata ha caratteristiche peculiari che lo rendono una malattia complessa sia per prevenzione e diagno-si sia per la decisione terapeutica: tutto ciò comporta un approccio articolato di procedure diagnostiche e terapeutiche che richiedono il coinvolgimento di più specialisti. Le criticità esistenti eviden-ziano come l’approccio multidisciplinare possa rappresentare una soluzione otti-male per questi pazienti.Quali sono le figure professionali coin-volte nella cura di questo tumore?Sono molteplici: l’urologo, l’oncologo radioterapista, il brachiterapista e l’on-

cologo medico. Più sono le conoscenze specialistiche in gioco, più facilmente ci possono essere opinioni differenziate e talora anche contraddittorie, il che può essere fonte di confusione per il pazien-te e causare una sorta di pellegrinag-gio da un professionista all’altro. Anche per questo, nell’ambito del Programma Prostata della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, attivato dalla Direzione Scientifica come progetto speciale nel 2005, è stata creata la Clinica Multidisciplinare.La Clinica Multidisciplinare: ci può spiegare in cosa consiste?Il paziente con diagnosi di tumore alla prostata che per la prima volta si rivolge all’Istituto, è sottoposto a una visita con più specialisti contemporaneamente. Urologo, oncologo medico, radioterapi-sta e psicologo illustrano, in sintonia tra loro e in maniera coerente, i pro e i contro delle diverse proposte terapeutiche e dei lori effetti collaterali.Come vivono i medici la realtà della cli-nica multidisciplinare?Gli specialisti riconoscono l’opportuni-tà positiva di affrontare in tempo reale situazioni cliniche complesse con il con-

tributo del gruppo, la soddisfazione di ricevere dal paziente un buon gradimen-to e la possibilità di migliorare la propria formazione attraverso la discussione collegiale con gli altri specialisti. Si tratta quindi di un gioco di squadra a favore del paziente.Per la prevenzione di questo tumore, quali sono gli attuali suggerimenti?A tutt’oggi non è stato ancora identi-ficato un fattore causale specifico che, eliminato o evitato, possa prevenirne l’in-sorgenza. Il rischio di ammalare aumenta con l’avanzare dell’età e con la familiarità, ossia con l’avere uno o più parenti stretti con questa neoplasia. Inoltre non si ha a disposizione un indicatore diagnostico affidabile e idoneo alle indagini di scree-ning della popolazione, essendo l’Antige-ne Prostatico Specifico (PSA) un marcato-re non specifico di cancro ma di organo (cioè della prostata): il PSA può indicare un’anomalia nella ghiandola prostatica, ma non determina né esclude con cer-tezza la presenza di un tumore. Lo spe-cialista deve perciò integrare questo dato con altri elementi, tra i quali l’esplorazio-ne rettale, le variazioni temporali del PSA, l’ecografia, talvolta la risonanza magneti-

ca, anche se la chiarificazione diagnosti-ca avviene comunque solo dalla biopsia del tessuto prostatico.

La flemma britannica, si sa, è uno stile di vita che caratteriz-za moltissimi sudditi di Sua Maestà. Ma non si pensi che per gli inglesi la pazienza sia importante soltanto quando at-tendono con calma il proprio turno alla fermata del bus: an-che la medicina d’Oltremanica sta sempre più guardando con attenzione alla possibilità di non precipitarsi a interve-nire, soprattutto con il bisturi, in alcuni casi ben selezionati di tumore alla prostata. Lo confermano le nuove linee gui-da messe a punto dal National Institute for Clinical Excel-lence (NICE), il prestigioso ente che decide quali interventi e terapie devono essere finanziate dal Governo in campo sanitario sulla base dei dati scientifici disponibili.Il NICE è una struttura pressoché unica in Europa ed è di-ventato un punto di riferimento per tutti, non soltanto per il Regno Unito. Secondo gli esperti britannici, infatti, nel caso di tumore della prostata localizzato (cioè circoscrit-to all’interno della ghiandola) e poco aggressivo sarebbe meglio adottare una ‘vigilanza attiva’ invece di intervenire chirurgicamente o con la radioterapia. Una strategia che deve in ogni caso essere discussa approfonditamente con il diretto interessato, cioè il paziente, e approvata con con-vinzione sia da lui sia dall’équipe medica.

For men onlyIl tumore della prostata è uno dei più comuni nella popola-zione maschile. Riguarda una ghiandola, la prostata, gran-de più o meno quanto una castagna, che fa parte dell’ap-parato riproduttivo maschile. Si trova vicino alla vescica e, tra le sue diverse funzioni, produce una parte del liquido spermatico, nel quale sono immersi gli spermatozoi quan-do vengono espulsi con l’eiaculazione. Se all’interno di questa ghiandola insorge un tumore significa che alcune cellule cominciano a duplicarsi in modo non controllato. All’inizio queste cellule rimangono all’interno della capsula che riveste esternamente la ghiandola, ma dopo un certo

periodo la neoplasia può progredire e le cellule possono diffondersi in altri organi. I primi a essere colpiti sono quel-li nelle immediate vicinanze della prostata stessa, come la vescica. Poi raggiungono quelli più lontani, come le ossa o i polmoni, dando luogo alle metastasi. Di solito il carcinoma prostatico, così lo chiamano i medici, colpisce gli uomini in là con gli anni, anche se l’età media di insorgenza negli ulti-mi anni si è abbassata da 75 agli attuali 60. Di sicuro sotto i 40 anni è rarissimo. Complessivamente si stima che i nuovi casi di tumore prostatico in Italia siano circa 9.000 all’anno. La sopravvivenza è tuttavia molto elevata, visto che supe-ra mediamente il 70 per cento dei casi a cinque anni dalla diagnosi. Per curarlo sono possibili tre strategie, oltre alla vigilanza attiva: l’intervento chirurgico, la radioterapia o la terapia farmacologica.

Localizzato nell'anziano“L’opzione cosiddetta di vigilanza attiva” spiega Alessandro Sciarra, specialista in urologia, docente all’Università La Sa-pienza di Roma e dirigente di primo livello presso l’Ospe-dale Umberto I della Capitale “non è in realtà una novità: se ne parla già da qualche anno. Per essere adottata, però, devono esserci condizioni ben precise: anzitutto il tumore deve essere veramente localizzato, cioè presente soltanto all’interno della prostata con assoluta certezza. Poi il pa-ziente non deve essere troppo giovane, perché il tumore, più o meno lentamente, progredisce e quindi se ha davanti a sé ancora un’aspettativa di vita lunga è meglio intervenire quando le cellule tumorali sono ancora poche. Infine il carci-noma deve essere a uno stadio precoce e poco aggressivo”. Quest’ultimo aspetto è molto importante perché l’aggres-sività di un tumore descrive la velocità con cui progredisce, vale a dire il tempo necessario perché da localizzato dia luogo a metastasi. “Va però detto con chiarezza” puntualiz-za Sciarra “che la vigilanza attiva è un’opzione, una possi-

bilità, e quindi non è affatto obbligatoria. Il paziente che risponde ai requisiti deve essere adeguatamente informato di tutti gli aspetti negativi e positivi di questa scelta rispet-to a quella di intervenire chirurgicamente”. Occorre infatti tener presente che oggi le metodiche di intervento hanno ridotto parecchio i rischi e gli effetti collaterali di una vol-ta. “L’incontinenza urinaria, che era una delle conseguenze dell’operazione di asportazione della prostata, oggi riguar-da non più del 2 per cento di tutti gli interventi di chirurgia radicale” spiega l’esperto. Un discorso a parte merita invece l’insufficienza erettile che ancora oggi colpisce fino al 30 per cento degli uomini sottoposti a tale intervento. “Spesso però” precisa “la rimozione della prostata non fa altro che esacerbare o aggravare un disturbo di insufficienza erettile già presente per altre ragioni, che sono indipendenti dal ri-corso al bisturi”. Peraltro oggi esistono terapie di riabilitazio-ne, sia per quanto riguarda l’incontinenza urinaria, sia per i deficit di erezione, che danno risultati positivi impensabili fino a pochi anni fa. Questa rimane, comunque, una delle ragioni principali per cui gli studi ritengono che la vigilanza attiva sia una strategia intelligente in determinati casi, oltre al fatto che, nei soggetti più anziani, la velocità di progres-sione della malattia è molto limitata e quindi spesso il de-cesso avviene per cause naturali o per altre patologie ben prima che il cancro prostatico abbia potuto fare danni. E se si decide di attendere, a quali rischi si va incontro? “Il rischio principale è che il tumore cresca di dimensioni e da localiz-zato diventi diffuso. In questi casi la terapia antitumorale diventa più drastica: si ricorre al blocco androgenetico, cioè si inibisce la produzione di testosterone con farmaci. E que-sto provoca con certezza assoluta l’insufficienza erettile”.

Massimo Barberi

Dott. Riccardo ValdagniDirettore responsabile del periodico“Europa Uomo”Direttore “Programma Prostata”Istituto Nazionale dei Tumori,Milano

Il tumore alla prostataun approccio multidisciplinare

Secondo gli esperti britannici, nelle forme localizzate della malattia èsempre meglio aspettare a intervenire. Ma c’è chi non è del tutto d’accordo.

Gli esami previstiSe si decide di adottare la strategia di ‘vigilanza attiva’, che gli inglesi chiamano active surveillance, si evita sì il bisturi o la terapia radiante, ma bisogna sottoporsi a una serie di esami molto frequenti. Per i primi mesi occorre sottoporsi a un dosaggio del PSA (l’antigene prostatico specifico) almeno ogni 30 giorni. Poi si passa a una volta ogni tre mesi. Ci vuole molta costanza e perseveranza perché è fondamentale non saltare nemmeno un esame se si vuole essere certi di tenere il tumore sotto controllo. Questo vale soprattutto perché gli esami per immagini, come per esempio l’ecografia, non sono molto utili per monitorare la progressione del carcinoma prostatico. “A oggi, purtroppo, non si dispone di strumenti abbastanza sensibili per ‘vedere’ se il tumore è rimasto uguale oppure se è cresciuto di dimensioni” spiega Alessandro Sciarra. Una speranza arriva dalla risonanza magnetica associata a spettroscopia: questa metodica è allo studio per valutare se può essere usata a tale scopo. Consente di monitorare le dimensioni del tumore mettendo insieme la capacità di ‘visualizzare’ i tessuti della risonanza magnetica e la misurazione di alcune sostanze tipiche delle cellule tumorali grazie alla spettroscopia. “Finché non saranno dispo-nibili dati certi, quindi, bisogna affidarsi soltanto al dosaggio del PSA” conclude l’esperto.

Le tre possibili diagnosiTumore della prostata localizzato1. : il tumore è presente soltanto all’interno della prostata e non si è dissemina-to né agli organi circostanti né tanto meno a quelli più lontani;Tumore della prostata localmente avanzato2. : il tumo-re, oltre a essere presente nella prostata, si è esteso agli organi circostanti;Tumore prostatico metastatizzato (o avanzato):3. dalla prostata il tumore si è esteso ai linfonodi, alle ossa o ad altre parti del corpo.

4 Urologia

In cosa consiste la tecnica HIFU per il trattamento della prostata?HIFU è l’acronimo di High Intensity Focused Ultra-sounds.La metodica, approvata in Europa nell’anno 2000, è stata introdotta in Italia nello stesso anno dal sotto-scritto con l’apparecchiatura Ablatherm. Oggi sono una trentina nel nostro Paese i Centri in cui tale me-todica viene applicata.Il principio su cui si fonda questa terapia è l’induzio-ne della morte cellulare mediante il calore ottenuto “bombardando” la prostata con fasci di Ultrasuoni ad alta intensità che vengono focalizzati sul tessuto da colpire da una lente acustica applicata ad una sonda ecografia posta nell’ampolla rettale. Il movimento di questa sonda è robotizzato, e con-sente di colpire con precisione e in successione,

mediante centinaia di “lesioni elementari” indotte dall’impatto degli ultrasuoni sul tessuto, tutti i punti della ghiandola individuati in precedenza dal chi-rurgo Con l’HIFU non c’è alcuna necessità di incisioni chi-rurgiche né rischi emorragici. La procedura, quando indicata, è una possibile alternativa alla Radioterapia e all’intervento chirurgico radicale, presentando ca-ratteristiche di assoluta atraumaticità e miniinvasivi-tà; richiede un’anestesia loco regionale, minimizza i disturbi post-operatori e dopo poche ore di ricovero il paziente è in grado di lasciare l’Ospedale.

Quali le Applicazioni terapeutiche?L’HIFU consente di trattare sia tumori prostatici con-finati alla prostata sia forme localmente avanzate ( senza metastasi a distanza).

Inoltre è la metodica più idonea alla terapia “foca-le”, cui è dedicato un intervento specifico in questo stesso “speciale” . Altra applicazione dell’HIFU, impor-tantissima, è il trattamento delle recidive locali dopo Radioterapia e dopo prostatectomia radicale, I risultati del trattamento del cancro prostatico con HIFU a 8 anni sono molto promettenti, sovrapponibili alla Radioterapia e vicini alla Chirurgia radicale, con il vantaggio di una minore incidenza degli effetti colla-terali e di una migliore Qualità della Vita. Disfunzione erettile e incontinenza urinaria sono ridotti del 50% nei trattamenti estesi e fino al 90% nei trattamenti “focali”.

In quali casi si è dimostrato utile l’utilizzo coordi-nato dell’HIFU e del laser a luce verde?Nei casi in cui nella prostata tumorale coesista un’Iperplasia Benigna con sintomi ostruttivi viene posta indicazione alla asportazione dell’adenoma, abitualmente realizzata mediante elettroresezione trans uretrale (TURP) prima di intervenire con l’HIFU, allo scopo di evitare difficoltà minzionali dopo il trat-tamento.Avendo acquisito una grossa esperienza con il la-ser Greenlight nel trattamento dell’IPB noi preferia-mo, soprattutto quando ci sono alte probabilità che l’adenoma centrale sia infiltrato da cellule tumorali, utilizzare la laser-vaporizzazione che garantisce una maggiore “asepsi” neoplastica, vale a dire la non dif-fusione in circolo di cellule tumorali nel corso della procedura, oltre ad una assoluta assenza di san-guinamento che rendono ancora più atraumatico l’intervento sull’adenoma per cui l’ HIFU può essere associato alla vaporizza-zione nella stessa seduta operatoria.

La terapia “Focale” per il carcinoma prostatico iniziale: efficace, non invasiva, rispettosa della qualità della vita

Il trattamento del carcinoma prostatico con HIFU

Con il diffondersi dell’uso del PSA ( raccomandato a partire dal 40° anno di età negli USA), dal 13 al 38% dei tumori prosta-tici viene diagnosticato in una fase molto precoce, allorché è possibile il riscontro di forme di piccolissimo volume, localizza-te in un solo lobo prostatico, a basso rischio di progressione e quindi con scarsissime probabi-lità di evolvere verso forme me-tastatiche mortali.La prostatectomia radicale, che costituisce oggi la terapia di riferimento per conseguire la guarigione del tumore prostati-co localizzato, appare in questi casi iniziali una terapia spropor-zionata per le gravi complicanze (impotenza e incontinenza uri-naria) che seguono l’intervento in un’alta percentuale di casi.Sempre di più gli addetti ai lavo-ri sostengono, per questi casi di cancro a basso rischio, l’astensio-ne da ogni provvedimento tera-peutico, limitandosi al controllo della velocità di accrescimento del PSA e alla re-biopsia a sca-denze predeterminate, pronti ad intervenire solo nel caso che

si dovesse registrare una ten-denza alla progressione locale del cancro, che peraltro avviene solo nel 17-20% dei casi.Tale pratica, che prende il nome di “sorveglianza attiva” non è tuttavia ben accetta dai pazienti perché può comportare un no-tevole stress psicologico, che induce il 15% circa dei soggetti inseriti in questi programmi di sorveglianza a invocare una tera-pia attiva senza attendere che si verifichi qualsiasi progressione. Per questo, si va facendo strada il concetto di una terapia ponte fra la prostatectomia radicale e la sorveglianza attiva, costituita dalla ablazione del solo tumore e denominata “terapia focale”.L’obiettivo è il controllo della ne-oplasia senza dover sacrificare tutto l’organo, come già avviene da tempo per la mammella e per il rene.Data la genesi multifocale del tu-more prostatico e grazie ai pro-gressi realizzati nelle tecniche di biopsia prostatica, ecografia e Risonanza Magnetica Nucleare, che permettono di individuare i soggetti idonei con discreta ac-

curatezza, i casi selezionabili per questa forma di terapia econo-mica sono solo una minoranza.Per adire alla selezione è co-munque indispensabile avere un solo prelievo positivo alla biopsia che ha diagnosticato il tumore.Le tecniche in uso per il trat-tamento dell’intera ghiandola in presenza di tumore organo-confinato, che si prestano per attuare una terapia “focale” va-lida, capace di assicurare il con-trollo locale del tumore con una riduzione sostanziale delle com-plicanze, sono due: la termo-ablazione con Ultrasuoni Foca-lizzati ad Alta Intensità (HIFU) e la crioterapia.Pur trattandosi in entrambi i casi di terapie mini-invasive, l’HIFU, tecnica da noi introdotta in Ita-lia già nel 2000 con l’ Ablatherm, è quella che possiede le caratte-ristiche migliori per affermarsi come la mini-invasiva per eccel-lenza, potendo vantare la possi-bilità di rispettare i tessuti sani con precisione assoluta, garan-tendo, allorché il tumore sia lo-calizzato in posizione favorevo-

le, il rispetto dello sfintere depu-tato alla continenza, nonché dei vasi e dei nervi deputati all’ere-zione. I movimenti robotizzati di una sonda endorettale in grado di emettere gli ultrasuoni ad alta intensità e di farli convergere sull’area tumorale, permettono di distruggere il tumore e di la-sciare indenne buona parte del tessuto prostatico non interes-sato dalla neoplasia. Ciò si tra-duce in una riduzione sostanzia-le delle complicanze di qualsiasi genere. Il trattamento richiede meno di un’ora, è eseguito in anestesia loco-regionale, non prevede sanguinamenti, né do-lore post-operatorio e consente al paziente di lasciare l’Ospedale lo stesso giorno dell’intervento con ripresa delle normali attivi-tà in 2-3 giorni. I primi risultati sono molto buoni.Le forme tumorali selezionate per tale trattamento rientrano necessariamente in protocolli di studio che prevedono precisi controlli nel tempo e l’utilizzo della chemio prevenzione per scongiurare, o almeno allon-tanare nel tempo, la comparsa

di ulteriori focolai tumorali nel tessuto prostatico non trattato. Qualora ciò dovesse verificarsi il trattamento è comunque ripe-tibile senza problemi né rimane precluso il passaggio ai tratta-menti radicali convenzionali.Uno screening prostatico più diffuso è augurabile: potrebbe aumentare i casi suscettibili di un trattamento focale, salva-guardando la qualità della vita di molti.

Dott. Giancarlo ComeriPrimario di Urologia e AndrologiaOspedale Multimedica di Castellanza(Va)

Dott. Giancarlo ComeriPrimario di Urologia e AndrologiaOspedale Multimedica di Castellanza(Va)

Contatti:Castellanza - Multimedica Santa Maria - Viale Piemonte 70, tel 0331393296Como - Studio medico Via Mantegazza,1tel 031.263651Varese - CdC La QuieteVia Dante, 20tel. 0332 806500

Urologia 5

La vaporizzazione prostatica con la-ser greenlight: nuovo standard per la terapia endoscopica dell’ostruzione cervico-uretale da iperplasia prostatica benigna (IPB) e da carcinoma prostati-co avanzato?

High-Intensity focused ultrasound (HIFU) nel trattamento del carcinoma della prostata

Da 6 anni utilizziamo il laser Greenlight, realizzato negli USA per la vaporizzazione trans uretrale della prostata, sia nelle forme benigne (IPB) che nelle forme tumora-li ostruttive. Dopo oltre 400 vaporizzazioni abbiamo potuto constatare i pregi della metodica e correggerne i difetti. I tempi di degenza sono stati sempre contenuti en-tro le 24-30 ore grazie all’ assenza di sanguinamento. I buoni risultati ottenuti si sono mantenuti invariati nel tempo. Minime le complicanze. In nessun caso si è instaurata impotenza. Il tasso di soddisfazione globale dei pazienti è molto elevato.Nei casi di carcinoma prostatico avanzato abbiamo osservato sopravvivenze migliori di quelle abitualmente constatate con la TURP, verosimilmente per l’immediata foto-coagulazione dei vasi che previene l’invasione del circolo sanguigno da parte delle cellule neoplastiche. Fondamentale anche qui, come sempre in Medicina, al di là dello strumento tecnico utilizzato, l’esperienza e la serietà di chi accetta di cimentarsi con una nuova metodica il cui affronto è sempre una rinnovata sfida con sé stessi prima che con la tecnologia o con dei freddi dati statistici.

Dott. Giancarlo ComeriPrimario di Urologia e AndrologiaOspedale Multimedica di Castellanza (Va)

Prof. Massimo PorenaPrimario di Urologia e AndrologiaDirettore Clinica Urologica ed Andrologica, Azienda Ospedaliera di PerugiaProfessore ordinario di Urologia, Università degli Studi di Perugia

Il tumore della prostata è il più frequente negli uomini e rappresenta la seconda cau-sa di morte da cancro nei paesi industrializzati. Le moderne metodiche diagnostiche ne consentono un accertamento sempre più precoce e quindi è aumentato il nume-ro di pazienti che giunge alla diagnosi con un tumore localizzato, potenzialmente curabile. Le linee guida per i tumori confinati alla ghiandola indicano nella Prosta-tectomia radicale e nella Radioterapia esterna il trattamento radicale e quindi il gold standard di terapia. Collateralmente, sono stati proposti trattamenti alternativi che coniugassero una pari efficacia terapeutica con una ridotta invasività: tra questi l’ HIFU (high-intensity focused ultrasound) distrugge il tessuto con l’effetto termico degli ultrasuoni, indirizzati, grazie ad una guida ecografica, sulla zona da trattare. E’ una tecnologia mini-invasiva, con ottimo profilo di sicurezza ed efficacia, racco-mandata in pazienti con tumore localizzato, in assenza di metastasi e comunque nel paziente a rischio basso-intermedio; si può proporre quindi, dopo una accuratissima selezione secondo tali criteri, come alternativa di trattamento nei pazienti candidabi-li a radioterapia, brachiterapia o crioterapia, mostrando risultati assolutamente sod-disfacenti. In casi di recidiva locale può essere impiegata come terapia di salvataggio, grazie al suo ottimo profilo di sicurezza. Nel nostro Centro disponiamo di numero-sissime opzioni terapeutiche che ci consentono una obiettiva comparazione delle metodiche; lo strumento HIFU Sonablate® 500 ha trovato un largo spazio con ottimi risultati, come documentato da numerosi lavori scientifici da noi prodotti.

Un problema vecchio quanto l’uomo, l’ingrossamento della prostata – ipertrofia prostatica benigna (IPB) – è una malattia che riguarda circa il 75-80% degli uomi-ni italiani over 50, con una percentuale che cresce con l’aumentare dell’età. “Le ultime stime” dice il Prof. Lucio Miano, Professore Ordinario e Direttore Clinica Urologi-ca della II Facoltà di Medicina e Chirurgia Università La Sapienza, Roma, “indicano un notevole incremento del-la patologia con l’aumentare dell’invecchiamento nella popolazione: dal 1998 al 2005 gli italiani di età superiore ai 75 anni sono passati da 10 milioni a circa 14 milioni ed entro il 2007 si prevede che l’IPB colpirà oltre 26 milioni di Europei con più di 50 anni”. Un problema socio-sani-tario di vastissime dimensioni che oltre agli elevati co-sti, sostenuti dal SSN (oltre 40 mila interventri chirurgici l’anno) incide pesantemente sulla qualità di vita di chi ne è affetto. Per affrontare e risolvere questa emergenza al maschile, è giunta recentemente in Italia, un’innova-tiva tecnica laser made in USA che, “trasforma il tessuto malato in tante bollicine di vapore e risolve in un giorno

l’ipertrofia prostatica benigna salvaguardando, rispetto gli interventi tradizionali, la potenza sessuale è la conti-nenza urinaria.La nuova tecnica laser PVP, impiegata con successo su più di 100mila pazienti nel mondo, di cui alcune mi-gliaia in Italia è disponibile in centri ospedalieri italiani a totale carico del SSN. Si effettua per via endoscopica in day hospital con anestesia spinale a volte associata ad una leggera sedazione. Nessun paziente, sessual-mente attivo, prima del trattamento, evidenzia il Dott. Giancarlo Comeri, Primario Unità Operativa di Urologia ed Andrologia Multimedia Holding Castellanza (Varese), ha sviluppato impotenza, spesso riscontrata a seguito di tradizionali interventi endoscopici e chirurgici perché la vaporizzazione millimetrica e selettiva dei tessuti non crea danni ai nervi deputati all’erezione che decorrono proprio a ridosso della prostata. Non è stato riscontrato alcun caso di incontinenza urinaria e soprattutto non si sono verificate recidive con la necessità di un secondo intervento a conferma che il laser KTP offre una reale e

definitiva soluzione all’IPB. Benché il costo della tecnica laser attualmente in uso in Italica in alcuni centri di ec-cellenza sia elevato, dice il Prof. Miano, abbatte, con la possibilità di effettuare il trattamento in day-surgery e cioè in un giorno, il costo della degenza media rispetto ai 3-5 giorni richiesti da-gli interventi tradizionali, riduce le liste di attesa e i tempi di convalescenza, aspetti positivi da valu-tare in una analisi costo-beneficio per un suo im-piego routinario.

Prostata, con il laser si risolve in un giornoIl laser KTP vaporizza il tessuto in eccesso senza provocare sanguinamento, il ricovero è di un giorno, rapido il recupero.

Prof. Lucio MianoDirettore Clinica UrologicaUniversità La Sapienza di Roma(Ospedale Sant’Andrea)

6 Urologia

Terapie Mininvasive nel carcinoma prostatico

AB MEDICA, Prof Giorgio Guazzoni, Primario Divi-sione Urologia, Ospedale San Raffaele, Milano

Grazie alla diffusione del PSA e di visite preventive, la maggior parte dei carci-nomi prostatici viene oggi diagnosticata in fase iniziale, quando cioè la malattia è circoscritta all’interno della prostata. Le terapie tradizionali, rappresentate dalla prostatectomia radicale a cielo aperto e dalla radioterapia, hanno il vantaggio di un’efficacia comprovata da anni di espe-rienza, garantendo probabilità di guari-gioni complete in più dell’80%. Tuttavia non sono prive di effetti collaterali inva-lidanti per il paziente, tra i quali spiccano l’impotenza sessuale (che si manifesta già immediatamente dopo l’intervento nel 50-80% dei pazienti e tardivamente dopo radioterapia in più del 50% dei casi), l’in-continenza urinaria, che può affliggere permanentemente il 5-10% dei pazienti operati ed i disturbi irritativi intestinali ed urinari che possono persistere anche per lunghi periodi dopo radioterapia. Le terapie mininvasive originano sia come evoluzioni della chirurgia e della radiote-rapia, sia come applicazioni di nuove for-me di energia finalizzate alla “distruzione” dell’intera prostata o di parte di essa, con l’obiettivo di ridurre al minimo le compli-canze garantendo però la stessa efficacia delle terapie tradizionali.

Tecniche chirurgiche “mini-invasive”Sono rappresentate dalla prostatecto-mia radicale laparoscopica e dalla pro-statectomia radicale robotica. La novi-tà è rappresentata dal fatto che il taglio chirurgico tradizionale viene sostituito da piccoli accessi chirurgici (5-6 “buchi” nell’addome) attraverso cui vengono fatti passare gli strumenti di lavoro, compresa una telecamera che proiettando in un mo-nitor immagini ingrandite della prostata consente una migliore visione. Gli scettici

obiettano che il taglio provocato dalla chi-rurgia tradizionale non è maggiore della somma delle piccole incisioni necessarie per far passare gli strumenti laparoscopici o robotici. Inoltre queste procedure, che generalmente richiedono tempi di esecu-zione più lunghi della chirurgia tradizio-nale, necessitano inevitabilmente di una anestesia totale mentre la chirurgia a cielo aperto può essere eseguita con una ane-stesia spinale. Dove risiede allora la “mini-invasività”? Contrariamente alla chirurgia a cielo aperto, le perdite di sangue con la laparoscopia e la robotica sono minime tanto che è raro dover ricorrere a trasfu-sioni. Il recupero postoperatorio sembra inoltre essere più rapido dopo le procedu-re mini-invasive. Trattandosi però di tecni-che ancora “giovani” manca una valutazio-ne dell’efficacia a lungo termine. I risultati intermedi sulla malattia sono sovrapponi-bili alla chirurgia tradizionale. La tecnica robotica, grazie alla maggior precisione dei movimenti, sembra poi garantire un più rapido recupero della continenza uri-naria e verosimilmente una migliore pre-servazione della potenza sessuale.

Tecniche “radioterapiche” mininvasiveSono rappresentate essenzialmente dalla brachiterapia, che consiste nell’inseri-mento permanente di capsule di titanio contenenti isotopi radioattivi in forma di “semi” all’interno della ghiandola prosta-tica. La procedura necessita di anestesia spinale ed il posizionamento dei semi viene eseguito sotto guida ecografica uti-lizzando multiple sonde inserite median-te puntura attraverso il perineo. L’efficacia della brachiterapia si basa sulla possibilità di somministrare alla prostata elevati livelli di radiazioni riducendo i danni agli organi circostanti (essenzialmente il retto e la ve-

scica). I risultati sono eccellenti e sovrap-ponibili persino alla chirurgia (evitando le complicanze della radioterapia classica) purchè la metodica sia rivolta a pazienti che hanno una malattia molto iniziale ed una prostata non troppo voluminosa. Non esiste il rischio di incontinenza urinaria, mentre il 50% dei pazienti lamenta distur-bi dell’erezione a distanza di 2 o 3 anni dal trattamento. Poiché solo il tumore viene distrutto mentre la restante prostata sana viene risparmiata, una quota di pazienti potrà sviluppare i disturbi minzionali tipici dell’ostruzione prostatica.

Nuove forme di energia “mini-invasive”Un tumore della prostata può essere effi-cacemente eliminato utilizzando elevate temperature oppure il congelamento. Il primo effetto viene ottenuto inserendo una sonda nel retto che produce ultrasuo-ni focalizzati ad alta intensità (HIFU) che vengono convertiti in calore. Il secondo consiste nell’inserimento di “sonde” all’in-terno della prostata, in maniera simile alla brachiterapia, che producono un effetto di congelamento (crioterapia). Entrambe le tecniche vengono eseguite in anestesia ma, come per la brachiterapia, è possibile essere dimessi in giornata. La HIFU, non richiedendo alcuna puntura, non espone al rischio di sanguinamento. Anche in questo caso, trattandosi di tecni-che recenti, mancano dati a lungo termi-ne. I risultati a medio termine sono inco-raggianti, non significativamente inferiori alle tecniche tradizionali se si tratta di ma-lattie molto iniziali. Un vantaggio di que-ste tecniche è quello di essere ripetibili in caso di fallimento. Se il rischio di inconti-nenza urinaria è minore rispetto alla chi-rurgia, queste tecniche presentano però un rischio basso ma reale (1% circa) di

creare delle comunicazioni tra il retto e la via urinaria (fistole). Quanto alla potenza sessuale, questa è conservata nel 50% dei pazienti dopo HIFU mentre sembra essere compromessa nel 90% dopo crioterapia. HIFU e crioterapia sono delle ottime alter-native terapeutiche nei pazienti a rischio operatorio elevato e trovano impiego an-che nei fallimenti della radioterapia.

Il futuroMentre tutte le tecniche mini-invasive sinora descritte hanno come obiettivo di cura la prostata nella sua interezza, il prossimo futuro si concentrerà sull’impie-go delle cosiddette terapie terapie foca-li, cioè finalizzate a trattare solo la parte della ghiandola interessata dalla malattia. HIFU e crioterapia sono le metodiche che attualmente meglio si prestano a questo scopo. Questo tipo di approccio, limitato oggi dalla mancanza di tecniche radiolo-giche sufficientemente accurate a localiz-zare precisamente la zona della prostata in cui si trova il tumore, si propongono di ridurre ulteriormente gli effetti collatera-li, particolarmente quelli sulla potenza sessuale e di conservare funzioni come l’eiaculazione, spesso compromesse dalle terapie tradizionali.

Regione Piemonte

Azienda Ospedaliero-Universitaria San Giovanni Battista di Torino

Università degli Studi di Torino

Facoltàdi Medicina e Chirurgia

Prof. Alessandro TizzaniDirettore Clinica Urologiadi Torino

Urologia 7

Quali sono le terapie innovative in urologia? Attualmente l’obbiettivo da raggiungere in urologia è in-centrato su un maggior utilizzo della tecnica mininvasiva, tramite l’utilizzo della robotica. Nella nostra unità ospeda-liera adottiamo, già da tempo, la chirurgia robotica che in laparoscopia permette una grande precisione grazie a mo-vimenti precisi e fini, unita a una visione solitamente tridi-mensionale e con dimensioni molto maggiori.Inoltre, in urologia, esistono anche altre tecniche che si as-sociano all’evoluzione della diagnosi precoce delle neopla-sie. Si tratta delle cosiddette terapie focali che, nei tumori del rene, si traducono nella crioterapia o crioablazione di parti del tumore utilizzando sempre la tecnica laparoscopi-ca della mininvasività. Per quanto riguarda la diagnosi pre-coce del tumore della prostata la terapia focale si concentra sulla crioablazione della prostata. Infine adottiamo anche la brachiterapia, ossia l’immissione, sempre utilizzando la mininvasività, di piccoli semini radioattivi all’interno della prostata.

Quali vantaggi emergono dall’utilizzo di sistemi roboti-ci mininvasivi per la cura della prostata?L’utilizzo della robotica è una delle tecnologie che, in que-sto periodo, ci caratterizza maggiormente. Storicamente si è passati da robot con tre braccia a robot con quattro braccia, fino a un’evoluzione nel campo della visione ca-ratterizzata dall’avvento dell’alta definizione, con immagi-ni sempre più chiare e nitide. I vantaggi dell’utilizzo della robotica si traducono quindi nella mininvasività, ossia nella presenza di semplici forellini, anziché del taglio chirurgico evidente, che garantiscono un decorso post operatorio de-cisamente più veloce, con risultati nel breve termine net-tamente migliori rispetto alla chirurgia tradizionale, oltre che perdite ematiche decisamente inferiori e un tempo di degenza ospedaliera molto breve, con un conseguente notevole risparmio per il Servizio Sanitario Nazionale. Tale terapia è indubbiamente adatta a pazienti attivi, lavorativa-mente parlando, che hanno quindi la necessità di tornare al lavoro in tempi brevi. L’ausilio del robot, grazie alla visione

tridimensionale in alta definizione, garantisce movimenti precisi annullando tremori e preservando i fasci vascolari nervosi.

In cosa consisterà il nuovo sito internet a uso degli uro-logi e dei pazienti che verrà lanciato nei prossimi gior-ni? In collaborazione con AB Medica abbiamo costituito un sito internet denominato www.urologiarobotica.it, che sarà on-line a breve, con il compito di riunire 16 centri dedicati alla chirurgia robotica in Italia. L’obbiettivo che tale strumento si propone è di divulgare, in maniera molto dinamica, una maggior mole di informazioni per i professionisti riguardo le tecniche chirurgiche adottate dai diversi centri, median-te l’ausilio di video e interviste, e, per i pazienti, il poter en-trare in comunicazione tra loro e individuare facilmente il centro più vicino e idoneo.

ab medica S.p.A. (www.abmedica.it), fondata nel 1984 da Aldo Cerruti, è all’avanguardia nell’importare le tecnologie più avanzate al mondo in diversi settori del medicale e nel fornire consulenza e assistenza per dispositivi medici specialistici, con particolare attenzione alle tecniche robotiche e mininvasive, come il Sistema daVinci, che riducono i rischi, i costi, i traumi post-operatori e la necessità di assistenza a lungo termine.

Il tumore della prostata viene sempre più spesso diagnosticato in pazienti relativamente giovani nei quali è importante garantire non solo la gua-rigione ma anche una buona qualità della vita dopo l’intervento.Accanto ai progressi della chirurgia che, grazie all’introduzione della tecnica di “nerve sparing”, consentono di conservare intatti i nervi diretti ai corpi cavernosi del pene, la riabilitazione preco-ce con gli inibitori della fosfodiesterasi5 rappre-senta l’altro cardine che ha permesso di ottenere un importante miglioramento nelle percentuali di recupero della funzione sessuale nei pazienti reduci dall’intervento.L’approccio proposto in questi ultimi anni preve-de molto spesso il ricorso alla terapia continua-tiva. Tuttavia, nello Studio Reinvent, la sommini-strazione di vardenafil poco prima del rapporto sessuale ha dimostrato una ottima efficacia e

un’elevata tollerabilità. Nello studiosono stati coinvolti 12 paesi tra cui anche l’Italia e dove partecipano i centri di Milano, Genova, Trieste, Firenze, Napoli e Bari.Vardenafil, principio attivo del Levitra ®, è la più recente molecola sviluppata per il trattamento della disfunzione erettile. Facilitando ilrecupero di una vita sessuale normale, è effi-cace anche in chi ha il diabete, l’ipertensione e ha effetti positivi sul sistema cardiovascolare in genere, come dimostrato dallo Studio Realise, la più vasta ricerca mai condotta sulla disfunzione erettile (110.000 uomini in 50 Paesi).Per affrontare il recupero dell’attività sessuale è consigliabile che i pazienti reduci dall’intervento di prostatectomia si rivolgano, possibilmente in coppia, al proprio chirurgo per ricevere l’aiuto e le informazioni necessarie.

Prof. Francesco MontorsiProfessore ordinario Università Vita-SaluteSan Raffaele - MilanoUrologo AndrologoFondazione San Raffaele Del Monte Tabor - MilanoComitato Scientifico Europa Uomo Italia Onlus

Chirurgia robotica in urologia: il futuro è già arrivato

Studio Reinventla cura della disfunzione erettile dopo prostatectomia

L’utilizzo della tecnologia robotica rap-presenta l’ultima frontiera dell’inno-vazione in chirurgia urologica. Negli ultimi anni questa moderna tecnica chirurgia ha avuto una notevole diffu-sione sia negli Stati Uniti che in Europa soprattutto per i promettenti risultati iniziali e per i potenziali vantaggi ri-spetto alla chirurgia tradizionale. Il progetto della chirurgia robotica nasce nel 1991 nell’ambito di un pro-gramma promosso del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. La com-mercializzazione e la distribuzione del moderno robot da Vinci iniziano nel luglio 2000 a seguito dell’approvazio-ne del Food and Drug Administration (FDA), organo regolatore degli Stati Uniti. Concettualmente e tecnologica-mente la chirurgia robotica rappresen-ta l’evoluzione ed il perfezionamento della chirurgia laparoscopica tradizio-nale. Il robot da Vinci offre all’urologo una eccellente e particolareggiata visione tridimensionale ed ingrandita del cam-po operatorio e di ogni dettaglio ana-tomico utile alla realizzazione dell’in-tervento chirurgico. Inoltre, la tecno-logia robotica garantisce una fedele trasmissione di tutti i movimenti della mano del chirurgo agli strumenti lapa-roscopici posizionati nel paziente. L’at-to chirurgico che ne risulta è di estrema

precisione, non condizionato da im-percettibili tremori della mano umana e realizzabile con estrema semplicità anche in spazi anatomici estremamen-te limitati quali quelli con cui l’urologo spesso si trova ad operare. Queste aspetti tecnologici si traducono inevitabilmente in importanti vantaggi per il paziente. L’approccio laparoscopico evita al pa-ziente vistose cicatrici chirurgiche, garantisce un ridotto sanguinamento intraoperatorio e conseguentemente

una minore ricorso a trasfusioni ema-tiche. Inoltre, studi recenti hanno di-mostrato come la chirurgia robotica determini un minore danno sui tessu-ti rispetto alla chirurgia tradizionale. Questa minore invasività si traduce in termini clinici in una più breve degen-za ospedaliera e soprattutto in un più rapido recupero delle proprie funzioni fisiche e delle attività lavorative e ricre-ative. L’intervento più frequentemente ese-guito in campo urologico con l’ausilio del robot è la prostatectomia radicale per neoplasia della prostata. L’inter-vento consiste nell’asportazione com-pleta della prostata e delle vescichette seminali e dalla successiva sutura della vescica all’uretra per consentire ai pa-zienti di continuare a mingere attra-verso il pene. Esiti a lungo termine di questa procedura chirurgica possono essere rappresentati dall’incontinenza urinaria e dalla disfunzione erettiva. La migliore visione dei dettagli anatomici e l’estrema precisione del movimento degli strumenti controllati dal robot fa-cilitano la preservazione dello sfintere uretrale esterno e dei nervi dell’erezio-ne rispettivamente coinvolti nell’origi-ne dell’incontinenza e dell’impotenza. I più recenti dati della letteratura evi-denziano come i pazienti sottoposti a chirurgia robotica riportino eccellenti

risultati in termini di recupero della continenza urinaria e della potenza erettile a parità di radicalità oncologica ottenuta. Oltre alla prostatectomia radicale, in Italia oggi i centri di riferimento per la chirurgia robotica eseguono anche altri interventi di urologia quali la chi-rurgia conservativa dei tumori renali, le ureteropieloplastiche per le patologie del giunto pielo-ureterale e la chirurgia dei prolassi genitali. Inoltre, alcuni cen-tri hanno iniziato a maturare le prime esperienze nell’esecuzione della cistec-tomia radicale nei pazienti con neopla-sie invasive della vescica. Tutti questi interventi chirurgici richie-dono attualmente il posizionamento da un minimo di 3 a un massimo di 6 porte laparoscopiche per consentire l’ingresso degli strumenti laparosco-pici. Tuttavia, lo sviluppo tecnologico lascia presagire ulteriori miglioramenti della chirurgia robotica fino a qualche anno fa non ipotizzabili quali ad esem-pio la possibilità di realizzare questa chirurgia con una singola porta di ac-cesso o addirittura senza alcuna inci-sione sfruttando come vie di ingresso degli strumenti organi comunicanti con l’esterno quali la bocca, il retto, la vagina nella donna.

Prof. Walter ArtibaniProfessore ordinario di UrologiaClinica di UrologiaUniversità di [email protected]

Per verificare l’azione di vardenafil per il recu-pero della funzionalità erettile nei pazienti pro-statectomizzati è stato completato uno studio internazionale rando-mizzato in doppio cie-co, che coinvolge circa 900 pazienti.Lo Studio, denomina-to “Reinvent” (Recove-ring of Erections: Inter-vention with Vardenafil Early Nightly Therapy), è coordinato dal Prof. Francesco Montorsi.

8 Urologia

Si stima che ogni anno vengono diagno-sticati 200.000 nuovi casi di cancro della prostata solo negli Stati Uniti, e di questi, sempre una maggiore quota viene trattata mediante intervento chirurgico di prosta-tectomia radicale1. In Italia, sulla base delle stime proposte dalla Società Italiana di Uro-logia, nel 2006 sono stati riscontrati 44.600 nuovi casi cancro della prostata con 11.000 morti per questa forma di tumore.Una recente pubblicazione di un gruppo americano ha offerto una analisi epidemio-logica particolarmente aggiornata e critica della prevalenza del cancro della prostata e soprattutto delle sue conseguenze cli-niche. Secondo questo lavoro, in America ogni 6 maschi di età superiore ai 50 anni uno scopre di essere affetto da cancro del-la prostata; grazie ai notevoli progressi nel campo della terapia chirurgica e non, solo 1 maschio ogni 33 muore a causa di un cancro prostatico. Tutto ciò significa che le possibilità di cura sono molto alte e soprat-tutto che le forme osservate sono sempre più frequentemente allo stadio iniziale, pertanto suscettibili di trattamenti efficaci e risolutivi2. Un contributo determinante ad un cambiamento così radicale nella storia naturale di questo tumore è sicuramente stato fornito dall’introduzione nella prati-ca clinica del dosaggio del PSA plasmatico. Basta considerare che nel periodo compre-so fra il 1973 ed il 1979, e poi nel periodo compreso fra il 1985 ed il 1989 la percen-tuale di forme localizzate suscettibili di un trattamento radicale era intorno al 73% dei cancri prostatici diagnosticati. Questa percentuale è cresciuta fino al 91% delle diagnosi nell’intervallo di anni compresi fra il 1995 ed il 2001. Inoltre negli stessi 3 intervalli di anni, la percentuale di pazienti che presentava una malattia metastatica è progressivamente scesa dal 20% al 5%. Infi-ne va considerato che anche le percentuali di sopravvivenza globale hanno subito una modifica sostanziale, se si considera che nel 1973 solo il 63% dei pazienti con forme lo-calizzate sopravviveva più di 5 anni mentre nel 2001 questa percentuale ha sfiorato il 100% dei pazienti con forme localizzate2. Volendo commentare in maniera pratica e diretta i risultati di questo interessantissi-mo studio, negli ultimi 20 anni è cresciuto sensibilmente il numero di cancri della pro-stata diagnosticati in fase precoce suscetti-bili di trattamento radicale, in pazienti con meno di 65 anni. Ciò significa che i pazienti presentano delle spettanze di vita molto lunghe e bisogna necessariamente tenere in considerazione anche la qualità di vita che gli viene prospettata. Come ben noto, in caso di cancro della prostata le scelte te-rapeutiche da poter attuare sono svariate, e tutte in grado di garantire un elevato stan-dard di efficacia. Di fatto l’intervento chirur-gico di prostatectomia radicale rappresenta oggigiorno lo standard terapeutico in caso di cancro prostatico organo-confinato. Sebbene questa procedura chirurgica ab-bia raggiunto un ottimale livello di stan-dardizzazione, e venga eseguita in nume-rosi centri specializzati in tutti i paesi del mondo con sequele minime, resta evidente una incidenza non trascurabile di effetti collaterali maggiori, quali l’incontinenza urinaria e la disfunzione erettile3. Il lavoro pionieristico iniziato da Walsh e Donker ha consentito di incrementare notevolmente le conoscenze sull’anatomia delle strutture vascolo-nervose che giungono al pene e controllano il meccanismo dell’erezione4. Sulla base di queste conoscenze è stata co-dificata una innovativa procedura chirurgi-

ca di prostatectomia radicale nerve-sparing, necessaria per preservare queste strutture anatomiche e conservare la funzione eret-tile successiva all’intervento. Le conoscen-ze sulla neuroanatomia della prostata, ma anche di strutture complesse quali l’uretra e i corpi cavernosi, sono state ulteriormen-te approfondite in studi e analisi successi-ve, consentendo l’introduzione di varianti mini-invasive di tecnica chirurgica mirate a ridurre la comparsa di effetti collaterali5. Bibliografia:

BH Lowentritt, P. Scardino et al. Sildenafil 1. citrate after radical retropubic prostatec-tomy. J Urol. 162, 1614-17. Nov. 1994DF Penson, JM Chan et al. Prostate cancer. 2.

J Urol Vol 177, 2020-29. June 2007 F. Montorsi, G. Guazzoni et al. Recovery of 3. spontaneous erections after nerve sparing radical prostatectomy with and without early intracavernous injections of alpros-tadil: results of a prospective, randomized trial. J Urol 158, 1408-10. Oct. 1997PC Walsh, PJ Donker. Impotence follow-4. ing radical prostatectomy: insight into etiology and prevention. J Urol.128: 492, 1982H. Lepor, M. Gregerman et al. Precise lo-5. calization of autonomic nerves from the pelvic plexus to the corpora cavernosa: a detailed anatomical study of the adult male pelvis. J Urol. 133: 207. 1985

Vinvenzo MironeDirettore della Scuola di SpecializzazioneCattedra di UrologiaUniversità degli Studi di NapoliFederico II

La riabilitazione cavernosa dopo chirurgia radicale per cancro della prostata

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La chirurgia e l’era dei nuovi farmaci per il tratta-mento del carcinoma renaleIl tumore del rene rappresenta il 2-3% di tutte le neoplasie maligne; colpisce più frequentemente gli uomini rispetto alle donne (rapporto M:F 1.5:1), con un picco di incidenza tra i 60 e i 70 anni. In Italia, ogni anno si verificano 8.500 nuovi casi.La diffusione e l’utilizzo di sempre più moderne tecniche di “imaging” nel campo della diagnosi ha determinato da un lato un aumento di incidenza di tumori renali (circa il 2% di casi in più ogni anno), e, dall’altro, ad un cam-biamento della modalità di esordio di tale neoplasia. Infatti, oggigiorno sono sempre meno frequenti i tumori che vengono individuati in seguito alla comparsa di sintomi quali l’ematuria, il dolore al fianco o la presenza di una massa palpabile in addome, mentre sono più comuni quelli diagnosticati in modo “incidentale” e pertanto del tutto asintomatici. Queste lesioni, riscontra-te in corso di esami ecografici o TAC spesso eseguite per altri motivi, sono di piccole dimensioni (< a 3-4 cm) e ad

uno stadio più iniziale. Tale cambiamento della “storia natura-le” del tumore del rene ha avuto note-voli ripercussioni anche sul suo tratta-mento: infatti, mentre per anni il “gold standard” è stato rappresentato dalla “nefrectomia radicale”, intervento che consiste nell’asportazione del rene, del tessuto adiposo che lo circonda e dei linfonodi loco-regionali, oggi, poiché i tumori sono spesso “piccoli” e confinati al rene, esiste la possibilità di eseguire una terapia chirurgica “conservativa”, definita come “nefrectomia parziale”. Con questa modalità di intervento si procede alla asportazione del solo tu-more risparmiando la restante parte sana del rene.Questo approccio chirurgico non può essere riservato a tutti i pazienti ma solo a quelli con tumori di dimensioni massime di 4 cm e localizzati al rene: in questi casi ben selezionati, i dati della letteratura dimostrano che i risultati della nefrectomia parziale, in termini di sopravvivenza, siano del tutto sovrap-

ponibili a quelli ottenuti con la nefrec-tomia radicale. Tra le lesioni scoperte incidentalmente, ve ne sono alcune molto piccole (intor-no ai 2 cm.).Una percentuale variabile di queste -tra il 20-30%- risulta essere, all’esame istologico definitivo, una lesione be-nigna. La biopsia percutanea rappre-senta una procedura sicura che può fornire, in casi selezionati, informazioni utili nella diagnosi delle piccole lesioni renali e che può aiutare nel selezionare quei pazienti idonei a protocolli di sor-veglianza attiva o meritevoli di terapia chirurgica.In caso di neoplasie voluminose, lo-calmente avanzate e con aspetti di infiltrazione degli organi adiacenti la nefrectomia radicale rimane invece an-cora oggi il trattamento più indicato.Recentemente, grazie al perfeziona-mento e alla evoluzione della tecnica chirurgica, sia la nefrectomia radicale che parziale possono essere eseguiti, in laparoscopia.Tale metodica chirurgica consente di ottenere, in centri con esperienza lapa-roscopica consolidata, risultati onco-logici del tutto sovrapponibili a quella della chirurgia a cielo aperto standard, con il vantaggio però di una minore invasività (minor degenza in ospedale, ridotto dolore post-operatorio, conva-lescenza più rapida).Per quanto riguarda il trattamento medico, bisogna premettere che fino a qualche anno fa non esistevano far-maci in grado di dare risultati davvero significativi nelle metastasi da carcino-ma renale e l’immunoterapia alla lunga non si è dimostrata efficace soprattutto in termini di sopravvivenza, obbiettivo primario nella cura dei tumori. La ricerca, negli ultimi anni, ha subito un’accelerazione consistente: sono state identificate le vie di sviluppo dei tumori e le relative proteine implica-te nella crescita del carcinoma renale e sono stati così messi a punto nuove terapie antineoplastiche cosiddette “targeted”.Attualmente i farmaci disponibili in Italia sono: sorafenib, sunitinib, beva-cizumab (associato all’interferone) e temsirolimus.Tali terapie hanno mostrato una attività antitumorale nei confronti di svariate neoplasie e risultano, di solito, meglio tollerate della chemioterapia conven-zionale.Tra queste, il Sorafenib (Nexavar® Bayer Schering Pharma) è in grado sia di ini-bire l’angiogenesi sia la proliferazione neoplastica mediante l’inibizione di differenti target.L’incidenza del carcinoma renale au-

menta con l’età: il 60% dei carcinomi si osserva infatti oltre i 65 anni e la severi-tà della prognosi del carcinoma renale nei pazienti più anziani è probabilmen-te legata da un lato alla diagnosi che spesso in questi pazienti è più tardiva, dall’altro alla compromissione del siste-ma immunitario e alla presenza di pa-tologie concomitanti (es. ipertensione, dislipidemie, diabete). E’ auspicabile in tal senso, che un sempre maggior nu-mero di pazienti possa avere accesso alle nuove terapie a bersaglio mirato; è pertanto necessaria una analisi accura-ta per selezionare le opzioni terapeu-tiche più efficaci e meno tossiche per ogni paziente in base alle sue condizio-ni cliniche e anche alla luce delle pos-sibili interazioni con altri farmaci che il paziente sta assumendo per le co-mor-bidità da cui risulta spesso affetto. Sorafenib (Nexavar®), è un farmaco che ha dimostrato di controllare la malattia nell’80% dei pazienti, in particolare nei soggetti anziani maggiormente sog-getti ad ammalarsi di carcinoma renale, e che allo stesso tempo ha dimostrato di avere un profilo di tollerabilità più che accettabile. L’obiettivo principale per gli specialisti che si occupano di questa patologia è utilizzare al meglio tutte le armi a loro disposizione al fine di offrire il maggior numero di trattamenti disponibili a ogni paziente. E proprio in questo con-testo che la Società Italiana di Urologia Oncologica (SIURO), attraverso incontri formativi, promuove il coinvolgimento di urologi, oncologi e altri esperti della patologia, come anatomopatologi, ra-diologi, con l’obiettivo di fare maggio-re chiarezza nelle modalità di utilizzo di questi nuovi farmaci, soprattutto alla luce delle nuove evidenze che emer-gono dalla comunità scientifica.

Prof. Giuseppe MartoranaProfessore Ordinario di Urologia Università di BolognaPoliclinico S.Orsola MalpighiPresidente della SocietàItaliana di Urologia(SIURO)

con il contributo di:

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Carcinoma del Rene

Il tumore vescicaleIl tumore vescicale è una ma-lattia piuttosto frequente, al 4° posto negli uomini e all’11° posto nelle donne per inciden-za e mortalità in Italia, che è uno dei paesi al mondo, insie-me alla spagna, con la maggio-re incidenza (circa 16.000 casi/anno e 4000 decessi anno per gli uomini e 3500 casi/anno con 100 decessi nelle donne). Nonostante questi dati siano inquietanti, la mortalità tende progressivamente a decresce-re nel tempo nonostante l’in-cidenza sia sostanzialmente stabile.Questo è senza dubbio dovu-to da un lato a una diagnosi mediamente più precoce con trattamenti quindi più tem-pestivi, dall’altro al fatto che disponiamo di un ventaglio di opzioni terapeutiche che, se usate al meglio, possono si-gnificativamente migliorare la

sopravvivenza e la guarigione di molti pazienti.Dei possibili fattori di rischio esogeni quello più pericoloso è senza dubbio il fumo di siga-retta, mentre un abbondante consumo di frutta e soprattut-to di verdura sembra offrire un certo grado di protezione.Il carcinoma transizionale è la forma istologica più frequen-te di neoplasia vescicale (oltre il 90 %) dei casi ed ha origine dalla mucosa che riveste la vescica; nei tre quarti dei casi, all’esordio, anche se spesso è multipla, la neoplasia è super-ficiale ; non ha ancora quindi interessato gli strati profon-di (muscolari) della parete e può quindi essere asportata mediante un intervento en-doscopico di resezione trans uretrale (comunemente noto come TUR-B o TUR-V) senza dover rimuovere la vescica;

oggi esistono sistemi (come la cistoscopia in luce blu, PDD) per agevolare la diagnosi e in alcuni casi rendere più precisa la resezione endoscopica.La caratteristica dei tumori su-perficiali (meglio: non muscolo invasivi)è quella di avere una elevata tendenza alla recidiva e, per lo meno quelli a basso grado, un modesto rischio di progressione verso una forma muscolo-invasiva.Lo scopo delle terapie effet-tuate dopo la TUR è dunque principalmente quello di evi-tare o ritardare la comparsa delle recidive: per ottenere ciò i pazienti vengono sotto-posti a periodiche instillazioni ambulatoriale di farmaci all’in-terno della vescia; i controlli periodici, più stretti durante il primo anno e poi più distan-ziati nel tempo se non com-paiono recidive, consistono fondamentalmente nell’ese-cuzione di specifici esami delle urine (citologia urinaria per tre giorni successivi) e cistosco-pia ambulatoriale ; poco o per nulla utili in questi casi esami radiologici o ecografici. In caso di recidiva la TRUR può esse-re ripetuta, anche più volte e fintanto che la neoplasia resta non muscolo invasiva il tratta-mento può continuare ad es-sere conservativo.Un’eccezione è rappresentata dal carcinoma in situ (Cis), ma-lattia piatta, molto superficiale

ma formata da cellule molto maligne che, in caso di falli-mento delle terapie endovesci-cali (con BCG) presenta un ele-vato rischio di progressione a distanza (metastasi) e impone quindi un intervento demoliti-vo, così come accade quando si sia in presenza di una malat-tia muscolo-invasiva, di prima osservazione o evoluzione di una malattia precedentemen-te non muscolo invasiva.Il trattamento radicale ritenu-to lo standard di riferimento è la cistectomia radicale che prevede l’asportazione com-pleta della vescica; una volta asportata la vescica il transito delle urine può essere deviato verso l’esterno o, in molti casi può essere riportato all’inter-no di una neo-vescica che vie-ne confezionata utilizzando un tratto di intestino (le tecniche sono diverse ma concettual-mente simili fra loro) e colloca-ta quindi al posto della vescica originale e collegata con l’ure-tra così che il paziente possa continuare a mingere per via naturale, ovviamente dopo un periodo di rieducazione/riabi-litazione alla sua nuova condi-zione.In condizioni molto particola-ri e in pazienti molto selezio-nati è possibile risparmiare, nell’uomo, parte della pro-stata e le vescicole seminali e questo consente una migliore conservazione della funzione

erettile e una continenza pres-soché simile a quella antece-dente l’intervento; ribadiamo che questa tecnica, ancora al vaglio della comunità scientifi-ca, è riservata solo a determi-nate categorie molto ristrette di pazienti, con rischio molto basso.Per le forme più avanzate alla chirurgia può esser affiancata la chemioterapia oggi esegui-bile con farmaci (Gemcitabina e Cisplatino) meno tossici e ugualmente efficaci rispetto ai precedenti e che consentono una migliore conservazione della qualità della vita dei pa-zienti.

Il cancro renale rappresenta il 2-3% di tutte le neoplasie. Negli ultimi anni si è registra-to un progressivo aumento di incidenza di tale patologia, so-prattutto in Nord America e in Europa occidentale, che solo parzialmente può essere spie-gata dal miglioramento delle tecniche di diagnosi. I carci-nomi renali si manifestano in forme sporadiche non eredi-tarie e più raramente in forme ereditarie.Studi clinici e genetici hanno dimostrato che non si tratta di una singola entità patologica ma di un insieme di differenti tipologie aventi diverso isto-tipo e decorso clinico. Il ricor-so all’ecografia come tecnica diagnostica di routine ed alla TC ha consentito l’aumenta-ta diagnosi di tumori piccoli e in stadio iniziale; pertanto la scoperta di masse renali di dimensioni maggiori ed in stadio avanzato rappresenta lo scenario clinico di più raro riscontro rispetto al passato.La chirurgia a cielo aperto o laparoscopica, rimane l’opzio-ne terapeutica principale nei pazienti con malattia localiz-zata, assicurando una elevata

percentuale di sopravvivenza tumore specifica (> 95% a 5 anni).La chirurgia renale conservati-va ha trovato sempre maggio-re applicazione nella pratica clinica per tumori di dimensio-ni < 4 cm di diametro, consen-tendo livelli di sopravvivenza libera da recidiva e a lungo termine simili a quelli osserva-ti con la nefrectomia radicale. Di contro, esistono alcune evi-denze di maggior rischio di insufficienza renale cronica e di malattia cardiovascolare in seguito a nefrectomia radica-le; pertanto le recenti racco-mandazioni dell’Associazione degli Urologi Americani scon-sigliano questa procedura nella maggior parte dei piccoli tumori renali. L’uso della via laparoscopica per la nefrecto-mia parziale è scelto da una minoranza di chirurghi.Lo sviluppo e l’efficacia della chirurgia renale conservativa sono state facilitate dall’impie-go di moderni presidi finaliz-zati al controllo del sanguina-mento intraoperatorio, quali collanti contenenti collagene e trombina (Floseal, TachoSil ecc).

In pazienti selezionati ed in centri di riferimento è possibi-le estendere le indicazioni alla chirurgia conservativa anche in caso di neoplasie con dia-metro massimo > 4 cm senza che ciò determini un aumento del rischio di recidiva localeNel corrente anno è stato av-viato in Italia, su iniziativa del-la Società Italiana di Urologia, uno studio osservazionale multicentrico (RECORd) fina-lizzato a creare un database contenente tutte le informa-zioni relative a pazienti con tu-mori renali operati con tecnica conservativa. Questo permetterà di ottenere dati controllati raccogliendo in modo prospettico dati riguar-danti circa 200 pazienti.Recente è l’introduzione di tecniche mininvasive alter-native alla chirurgia tradizio-nale come la crioablazione e l’ablazione mediante radiofre-quenze che possono essere condotte per via percutanea, riducendo il rischio operatorio. Tali tecniche sono state valida-te dalle linee guida delle più importanti società scientifiche e possono essere proposte principalmente in pazienti in

scarse condizioni cliniche ge-nerali non candidabili ad una chirurgia a cielo aperto o lapa-roscopica.I recenti progressi della biolo-gia molecolare hanno favorito lo sviluppo di diverse terapie molecolari per il trattamento del carcinoma renale metasta-tico.

Due farmaci di comprovata efficacia trovano impiego: il Sorafenib ed il Sunitinib. Il pri-mo è indicato nella terapia di seconda linea del carcinoma renale metastatico, il secondo è indicato nella terapia di pri-ma linea dei pazienti a rischio basso ed intermedio.Analogo è il loro meccanismo d’azione, che prevede il ral-lentamento della velocità di crescita tumorale e il blocco dell’apporto di sangue che permette alle cellule tumorali di nutrirsi e moltiplicarsi.

Dott. Nino DispensaRicercatore in UrologiaUniversità degli Studidi [email protected]

Di Giario ContiRicercatore in Primario Urologo e Direttore dipartimento di chirurgiaOspedale S.Anna - Como

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Il professor Lucio Miano presidente della Federazione Italiana Società Urologiche – FISU Professore Ordinario e Direttore Clinica Urologica Seconda Facoltà di Me-dicina e Chirurgia Università La Sapienza, Roma - lancia l’allarme sull’incontinenza urinaria che colpisce circa 8 milioni di italiani. La donna è maggiormente col-pita per le conseguenze di gravidanze e parti - il 50% riporta un danno pelvico già al primo parto- e per le trasformazio-ni fisiologiche della menopausa mentre nell’uomo la patologia è conseguente a interventi alla prostata. L’incontinenza urinaria consiste nell’emissione involon-taria di urina e si distingue in due forme : da sforzo ( IUS) dove un colpo di tosse, una risata o il sollevamento di una borsa causano fughe di urina e l’incontinen-za da urgenza o sindrome della vescica iperattiva dovuta a contrazioni della ve-scica che determinano un improvviso e irrefrenabile bisogno di urinare più volte durante il giorno e la notte. Malgrado l’elevata incidenza che, con ansia, de-pressione e isolamento legati al timore di non riuscire a controllare la vescica, incide pesantemente sulla qualità della vita, i rapporti sociali e l’intesa di coppia,

solo una minoranza , vincendo imbaraz-zo e vergogna si rivolge allo specialista - circa il 25 – 30%. Questo disturbo può invece essere risolto con successo grazie agli ultimi progressi terapeutici che pun-tano su innovative tecniche chirurgiche mininvasive made in USA approdate re-centemente nel nostro Paese ora estese anche all’uomo, rieducazione perineale e farmaci mirati. La rieducazione perineale, è la prima misura terapeutica per l’incon-tinenza . Le nuove tecniche chirugiche mininvasive per il trattamento dell’in-continenza urinaria da sforzo femminile , si chiamano Monarc e Miniarc e pre-vedono l’applicazione di sling - retine in polipropilene che poste sotto all’uretra risolvono il disturbo (8mila interventi in Italia e oltre 450mila nel mondo).Rispet-to ai ‘vecchi’ interventi invasivi (come la colposospensione ) che richiedono un taglio sull’addome, l’anestesia genera-le, ricovero e convalescenza prolungati, i nuovi trattamenti, a totale carico del Sistema Sanitario Nazionale, si possono effettuare in day hospital, in anestesia locale o locoregionale con un ritorno alle normali attività entro una settimana.Per l’incontinenza maschile è giunta recen-

temente in Italia Advance AMS un’inno-vativa metodica che si avvale di una sling - una retina di polipropilene che posizio-nata -come avviene per la donna - sotto l’uretra ripristina la normale continenza. Impiegata con successo negli States e in Europa su circa 4.000 pazienti è già di-sponibile in 12 centri ospedalieri italiani a totale carico del SSN. L’ incontinenza urinaria da sforzo (IUS) che si manifesta a seguito di prostatec-tomia radicale e si verifica con un picco-lo sforzo è causata dall’indebolimento dello sfintere dell’uretra. Adavance ripo-siziona l’uretra nella sua sede anato-mica naturale consentendo allo sfintere di funzionare correttamente .La nuova tecnica, è indicata per i casi di inconti-nenza moderata con parziale conserva-zione della funzione sfinterica. Per i casi più gravi si ricorre allo sfintere artificiale. Valide soluzioni farmacologiche anche per l’altra forma di incontinenza la sin-drome della vescica iperattiva -bisogno irrefrenabile di urinare più volte giorno e notte - spesso associata alla forma da sforzo, arrivano dai farmaci anticoliner-gici, ossibutinina,tolterodina e trospium ai quali si sono aggiunti recentemente

la solifenacina e la fesoterodina con una maggior efficacia e tollerabilità L’incontinenza urinaria continua a rima-nere una patologia nascosta. Solo una minoranza di donne affronta il problema con lo specialista mentre le altre si rasse-gnano ai pannoloni - 300 milioni di euro l’anno - l’85% a carico del Sistema Sani-tario Nazionale , i farmaci sono invece a totale carico del paziente costretto a una spesa media annua di 500 euro.

Incontinenza urinaria

Prof. Lucio MianoDirettore Clinica UrologicaUniversità La Sapienza di Roma(Ospedale Sant’Andrea)

Il carcinoma della prostata è la neoplasia maligna più frequentemente diagnosticata nella popolazione maschile in Italia. In presenza di tumore alla prostata localizzato, la prostatectomia radicale rappresenta oggi il trattamento di prima scelta. Questo interven-to chirurgico, tuttavia, ha un notevole impatto sulla qualità della vita dei pazienti; tra le complicanze, una delle più fastidiose per i pazienti è l’incontinenza post-operatoria.Il professor Francesco Rocco, Direttore della Clinica Urologica I’Università degli Studi, Fondazione Ospe-dale Maggiore Policlinico IRCCS e della Fondazione RTU di Milano e il Dottor Bernardo Rocco Senior As-sistent del Dipartimento di Urologia dell’ IEO hanno messo a punto una variante alla tecnica della prosta-tectomia radicale che permette di ottenere un rapido recupero della continenza dopo l’intervento.

La tecnica nel dettaglioNel corso della prostatectomia radicale dopo la ri-mozione della prostata, si ha una retrazione caudale del complesso sfinterico uretrale e un accorciamento della lunghezza anatomica e funzionale dell’uretra, che sono all’origine dell’incontinenza postoperatoria. La tecnica introdotta da Rocco F. e .Rocco B. prevede una ricostruzione anatomica e funzionale dello sfin-tere, con un allungamento dell’uretra e la creazione di un nuovo piano di appoggio posteriore.

Le prime pubblicazioniNel 2006 i Rocco pubblicano la descrizione della tecnica e i primi risultati su 161 pazienti operati sul Journal of Urology.Nell’ottobre del 2006, esce su European Urology un articolo dedicato all’applicazione laparoscopica del-la tecnica firmato dal dottor B. Rocco e dal Dott. F. Gaboardi e la collaborazione di medici dell’ospedale Sacco, dello IEO, e dell’istituto dei Tumori di Milano.

I primi risultatiI risultati sono ottimi già immediatamente dopo l’in-terevento!: a tre giorni dalla rimozione del catete-re, che avviene in genere entro una settimana dall’ operazione, la percentuale dei pazienti continenti e’ significativamente maggiore rispetto al gruppo di controllo e oltre il 60% dei pazienti operati risulta

continente. a 30 giorni, i tre quarti dei pazienti sono continenti,confermando un vantaggio rilevante ri-spetto ai pazienti sottoposti alla tecnica classica.

La tecnica si affina e si diffonde all’esteroGli articoli dei Rocco, apparsi sulle riviste più presti-giose del settore, non tardano a convincere altri me-dici a provare la nuova tecnica. Negli Stati Uniti, dove ogni anno vengono eseguite oltre 150.000 prostatec-tomie radicali e molti urologi di chiara fama adottano quello che viene chiamato il “principio di Rocco” o “il punto di Rocco” (Rocco stitch) e vi apportano ulteriori modifiche, conseguendo risultati molto validi nel re-cupero della continenza nel postoperatorio.Nel 2007 il dottor Bernardo Rocco dello IEO di Milano collabora con il Dr Vipul Patel del Centro di Chirurgia Robotica dell’Ohio State University (oggi direttore del Global Robotic Institute del Florida Hospital di Orland e massimo esperto mondiale di chirurgia ro-botica ) alla realizzazione di un video per il Journal of Endourology che perfeziona ulteriormente la tecnica, applicandola alla prostatectomia robotica. Il dottor Savatta, Direttore dell’unità di Chirurgia Robotica e del Beth Israel Medical Center di Newark, scrive sul suo sito: “A partire dalla prostatectomia eseguita con Da Vinci numero 245 ho aggiunto il Rocco stitch. Que-sto ha permesso di osservare un rapido recupero del-la continenza.” Ashutosh Tewari, Direttore del Cornell Institute of Robotic Prostatectomy di New York, afferma che per la conservazione della continenza utilizza particola-ri suture “per evitare la ritrazione caudale del tendi-ne centrale e quindi fornire un supporto posteriore (principio di Rocco)”.La percentuale di pazienti da lui sottoposti a ricostru-zione totale che raggiunge la continenza a tre mesi è del 97%, con un tempo medio di recupero della con-tinenza di sole tre settimane : quattro volte inferiore a quello riscontrato senza l’ausilio di questa nuova tecnica.La tecnica di Rocco viene confermata dai lavori di im-portanti gruppi scientifici americani, come la Mayo Clinic e la Cleveland Clinic e da prestigiosi centri europei come la Clinica Urologica di Insbruck. Un’ul-teriore conferma del miglioramento della continen-za post operatoria ottenuta con il Rocco stitch viene dal recentissimo lavoro multicentrico eseguito dalla

Weill Cornell University (Tewari), dalla Lahey Clinic di Boston (Libertino) e dalla Universita’ di Innsbruck (Bartsch); l’esperienza di questi autori, tra i più auto-revoli in campo internazionale, si conferma che l’ap-plicazione del principio di Rocco consente di ottene-re risultati eccellenti.

In conclusioneLa terapia chirurgica per il carcinoma della prostata viene adottata con l’obiettivo di eradicare il tumore, e negli ultimi tempi sono stati fatti passi da gigante per far sì che pur preservando la radicalità oncologica del trattamento venga intaccata il meno possibile la qualità di vita dei pazienti.Nuove tecnologie, in particolare l’applicazione della tecnologia robotica con il sistema Da Vinci, e nuo-ve tecniche chirurgiche, come quella introdotta dal professor Rocco e dal dottor Rocco contribuiscono a guarire il tumore della prostata riducendo al minimo i disagi dell’incontinenza postoperatoria e permet-tendo ai pazienti di conservare una qualità di vita a molto buona.

La prevenzione dell’incontenenza urinaria dopo interventisulla prostata

Prof. Francesco RoccoDirettore I Clinica UrologicaUniversità degli Studi di MilanoDirettore Clinica UrologicaFondazione Ospedale MaggiorePoliclinico Mangiagalli e Regina ElenaIRCCS

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I servizi al paziente incontinente: quali prospettive?Intervista a Daniele Bottanelli, Direttore Commerciale Professional Care - ARTSANAQuanto è importante un prodotto di qualità per l’incon-tinenza?Artsana è complessivamente il leader italiano del mercato incontinenza in tutte le modalità di erogazione del servizio ai pazienti, assistendone oltre 300.000.I soggetti che hanno problemi di incontinenza sono pazienti anziani, spesso affetti da diverse patologie che possono pre-sentare complicanze (irritazioni cutanee, sensibilizzazioni o lesioni epidermiche).Gli ausili assorbenti standard assolvono il solo compito di assorbimento dell’urina e delle feci. Artsana, con il mar-chio Serenity, ha apportato per prima nel mercato italiano dell’incontinenza una grande innovazione tecnologica, oggi vero riferimento di qualità per gli esperti del setto-re: la linea Serenity Soft Dry, una linea di ausili assorbenti con rivestimenti esterni traspiranti che consentono il pas-saggio dell’aria, mentre i liquidi vengono trattenuti con si-curezza all’interno del prodotto. Il portato innovativo del-la linea Soft Dry è in grado di impattare positivamente sulla qualità della vita dei soggetti incontinenti, grazie alla proprietà preventiva (riconosciuta ufficialmente dalla letteratura internazionale) nell’insorgenza delle piaghe da decubito.Il nostro rammarico è che non tutti i pazienti italiani possono scegliere liberamente il prodotto più adegua-to per le proprie esigenze a causa di scelte diverse com-piute dalle regioni o dalle singole ASL.

Quali sono gli scenari evolutivi ed auspicabili nel

mercato dell’erogazione dei prodotti medicali?Allo stato attuale è ancora in vigore il Nomenclatore Tariffario (DL 332/99) che costituisce un grosso limi-te alla circolazione dei pro-dotti innovativi e che lascia dubbi interpretativi sulle modalità di erogazione dei servizi al paziente. Ad oggi la situazione del servizio di erogazione gestito dalle ASL è molto eterogenea e altamente differenziata a seconda delle regioni di riferimento. Esistono due modalità di erogazione del servizio: la consegna domiciliare e la di-stribuzione in farmacia.Il servizio domiciliare (in cui il paziente riceve direttamen-te a casa i prodotti assegnati) prevede l’erogazione di una sola marca di prodotto individuata tramite gara d’appalto in base a valutazioni economiche, che non sempre coin-cidono con l’obiettivo di benessere del paziente. Questo servizio presenta il limite di doversi confrontare con il di-ritto alla libera scelta che ogni paziente dovrebbe avere. La distribuzione in farmacia, una forma di servizio purtroppo in calo in Italia, ha il vantaggio di lasciare al paziente la scel-ta del prodotto e dei tempi di ritiro più adatti alle proprie esigenze e al proprio stile di vita. L’impegno di Artsana,

in linea con gli obiettivi di Assobiomedica, è quello di contribuire all’abbattimento delle barriere di accesso del paziente, consentendogli di usufruire degli stessi diritti, degli stessi prodotti e degli stessi servizi sull’in-tero territorio nazionale.

Quanto costa la qualità?Possiamo affermare con certezza che oggi la qualità non sia un costo bensì un vero risparmio.Artsana ha effettuato una valutazione su tutti i propri servizi e ha evidenziato in modo inequivocabile come i più economici siano quelli in cui è stato possibile erogare gamme di prodotti complete e innovative. Questi servizi hanno portato ad una riduzione della spesa pro-capite addirittura del 20% rispetto a quelli basati su scelte di prodotti a prezzi inferiori, che hanno l’inevitabile conse-guenza di una lievitazione dei consumi. I risultati ottenuti da Artsana sono in linea con quanto rilevato da uno studio sull’intero mercato effettuato dal CERGAS Bocconi per conto di Assobiomedica, secondo cui oltre ai risparmi diretti si evidenziano ulteriori risparmi dovuti alla riduzione dell’insorgenza delle piaghe da decu-bito sui pazienti più gravi.Lo studio Assobiomedica valuta un risparmio com-plessivo per il Paese di circa €40.000.000 annui, grazie all’appropriatezza e al miglioramento della qualità del prodotto offerto. Ovviamente a tutto ciò si aggiunge un netto miglioramento delle condizioni di vita del paziente.

Serenity.La vostra serenità è il nostro primo pensieroSerenity, marchio del gruppo Artsana, è da oltre 25 anni leader italiano degli ausili assorbenti per l’in-continenza. Serenity propone una gamma completa di prodotti adatta per ogni tipologia di incontinenza, da legge-ra a severa, per il benessere dei propri assistiti, con l’obiettivo di restituire loro un sereno ottimismo, ba-sato sull’ascolto, sulla professionalità e su risposte semplici, concrete e innovative.Il CSS (Centro Studi Serenity) e i laboratori di Ricer-ca e Sviluppo interni alla propria unità produttiva (situata in Ortona - Chieti) concorrono costantemen-te al raggiungimento del massimo livello qualita-tivo del prodotto, attraverso il continuo aggiorna-mento tecnologico, il superamento di test clinici e di laboratorio, la raccolta di informazioni e stimoli dal mercato, la cooperazione con gruppi multi-discipli-nari di specialisti medici (geriatri, urologi, andrologi e psicologi). La collaborazione con Istituti e Università è essenziale per lo sviluppo di temi specifici e innovativi: Serenity affida la consulenza medico-scientifica e la forma-

zione degli operatori in ambito geriatrico, sanitario e assistenziale a GrG (Gruppo di Ricerca Geriatrica di Brescia) e approfondisce le conoscenze professiona-li e scientifiche relative al mondo dell’incontinenza attraverso la cooperazione con FINCO (Federazione Italiana Incontinenti) e AILSLeC (Associazione Infer-mieristica per lo Studio delle Lesioni Cutanee).Serenity fornisce consulenza, formazione e as-sistenza post-vendita, coordina servizi e risorse proponendo soluzioni su misura per ogni singolo interlocutore. Grazie ad un team di infermieri pro-fessionali, Serenity svolge attività di consulenza ai pazienti ed ai Care Giver presso Enti Pubblici (ASL) e Case di Riposo, compiendo così una preziosa attività di educazione all’uso dei prodotti e garantendo un continuo aggiornamento della propria offerta grazie al contatto con oltre 300.000 utilizzatori.Serenity offre una gamma completa di ausili as-sorbenti per tutti i livelli di incontinenza. La gamma si articola in 3 linee: Classic, Soft Dry e Light.

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incontinenza severa assicurando sicurezza, praticità e comfort per una protezione totale. La linea, declinata in quattro livelli di assorbimento in base alla gravità delle perdite, comprende differenti modelli che ben si adattano alle abitudini e alle diverse esigenze degli utilizzatori;

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L’incontinenza urinaria non è una malattia che altera lo stato di salute dell’individuo, ma è una condizione inva-lidante in quanto limita le attività sociali e deprime per la perdita di dignità che com-porta. È quindi un problema importante per le donne, per gli uomini e i bambini che ne sono affetti, ma è confessato solamente da pochi.Eppure, questo disturbo, se affrontato in modo adegua-to, può essere prevenuto, sconfitto o tenuto sotto con-

trollo in modo molto effica-ce. L’incontinenza urinaria rappresenta qualsiasi perdita di urine ed è dovuta all’inca-pacità di controllare e tratte-nere l’urina. Può manifestarsi con gravità variabile da per-dite minime (poche gocce) fino alla perdita completa del contenuto vescicale. Fughe d’urina, anche piccole, costi-tuiscono però un problema igienico e una causa di disa-gio sociale che può compro-mettere in misura rilevante la qualità della vita. Le donne

sono maggiormente colpite rispetto agli uomini. Si stima che circa 1 donna su 4 soffra di questo disturbo, e che una percentuale variabile tra il 2 e il 10% della popolazione ma-schile presenti delle perdite di urina.L’incontinenza urinaria è dunque molto più diffusa di quanto comunemente si pensi. La sottovalutazio-ne del fenomeno deriva dal forte “tabù” che ancora lo circonda, cioè la ritrosia e la vergogna a parlarne sia da parte di chi ne soffre o di chi assiste persone che ne sono affette,ma anche dell’opi-nione pubblica in generale. Esistono numerosi studi na-zionali ed internazionali sul-la diffusione del problema, che ovviamente si presenta in modo abbastanza simile ovunque, senza distinzioni geografiche particolari.La Fondazione italiana conti-nenza ha effettuato e divul-gato nel 2005 una ricerca de-moscopica sulla popolazione italiana che evidenzia come,complessivamente,l’incontinenza urinaria interessi il 7% della popolazione italiana di età compresa tra i 18 e i 70 anni. Nella fascia più anziana (55-70 anni) la percentuale raggiunge il 10%. Il disturbo colpisce prevalentemente le donne (12%) e, in misura minore, gli uomini (2%). Fra le diverse tipologie di incon-tinenza urinaria, quella da sforzo si conferma essere la più diffusa; tuttavia, la forma di incontinenza urinaria che

rivela le conseguenze più problematiche sia dal punto di vista psicofisico che gestio-nale è l’incontinenza mista.Il campione di questa ri-cerca non comprendeva la fascia più anziana (oltre 70 anni), che è poi quella con prevalenza maggiore.Solo in Italia, quindi, si stima che le persone affette da una qual-che forma di incontinenza urinaria siano oltre 4 milioni, di cui quasi 1 milione affette da incontinenza grave. Stime recenti valutano in 30 milioni il numero di persone incon-tinenti in Europa. Il processo di invecchiamento della po-polazione nella società mo-derna rende l’incontinenza una patologia in continuo aumento: si pensi solo che in Europa gli ultra 65enni erano circa 71 milioni nel 2000, si stima saranno 107 milioni nel 2025 e 136 milioni nel 2050. Uno dei dati più rilevanti, evidenziato dalla Fondazio-ne italiana continenza con la ricerca del 2005, è relativo ai livelli di informazione ine-renti la malattia. Solamente un quarto circa degli Italiani ha infatti ammesso di avere qualche informazione in me-rito, percentuale che sale di pochissimo (28%) fra le per-sone che soffrono di inconti-nenza urinaria.Contrariamente all’opinione comune, la maggior parte delle persone incontinenti, dopo un’attenta valutazione, è meritevole di trattamento. All’inizio, può bastare modifi-care lo stile di vita.

Alcuni accorgimenti posso-no essere utili, soprattutto se il disturbo è agli stadi ini-ziali e se viene affiancata la riabilitazione della muscola-tura pelvica. Queste norme di comportamento preve-dono ad esempio la perdita di peso, un più attento con-trollo del consumo di liquidi, l’eventuale abolizione o ridu-zione del caffé, del tè e delle sigarette. Esistono poi interventi non invasivi come la rieducazione vescicale, dispositivi minima-mente invasivi, ai Farmaci, Neuromodulazione, fino ai trattamenti chirurgici.Dal 22 al 28 giugno 2009 sarà la World Continence Week,la settimana mondiale per la cura e la prevenzione dell’In-continenza, proposta dalla International Continence So-ciety, associazione internazio-nale che promuove la ricerca e l’educazione scientifica nell’ambito dell’Incontinen-za, è stata proposta anche in Italia nel comune intento di rimuovere il tabù dell’incon-tinenza.

Incontinenza urinaria:definizione, incidenza e impatto sociale

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Prof. Mario De GennaroVice PresidenteFondazione ItalianaIncontinenzaPrimario, Urologo

www.farmaceutica-mev.it

LA NATURA IN AIUTO DELL’UOMO- CALCOLI

- CALCOLI

- CISTITE

- DORMIRE

- RICOSTITUENTE

- STIPSITimbro deltuo Centro

La litotrissia extracorporea (SWL) nata all’inizio degli anni ’80 come tecnica rivoluzionaria che consentiva la frammen-tazione dei calcoli reno-ureterali dall’esterno del corpo, ha conosciuto negli ultimi 20 anni una progressiva evoluzione tecnologica relativa alle modalità di produzione dell’onda d’urto, alla sua focalizzazione sul calcolo, all’accoppiamen-to litotritore paziente ed alla localizzazione del calcolo. I principi fondamentali della SWL sono rimasti invariati ed indipendentemente dalle tecnologie utilizzate ,quasi tutti i litotritori producono a livello del fuoco una onda di pres-sione simile. Il campo acustico dei vari litotritori differisce unicamente in termini di ampiezza del picco dell’onda di pressione, della sua durata , delle dimensioni del secondo fuoco sul calcolo e di energia totale applicata. In gran parte lo sviluppo di litotritori di seconda e terza generazione ha prodotto macchine più facilmente utilizzabili ,meno do-lorose e quindi che non richiedevano l’uso di anestesia o sedazione e tendenzialmente sempre più multifunzionali. Solo più recentemente vi sono stati dei significativi pro-gressi nella ricerca di base tesi a comprendere in maniera più approfondita i meccanismi di frammentazione del calcolo e del danno tessutale, peraltro nella maggior par-te dei casi molto limitato, correlato alla litotrissia. La fram-mentazione del calcolo viene provocata dalla interazione sinergica dell’onda di pressione che induce microfratture nel calcolo e della cavitazione che induce una erosione do-

vuta alla violenta rottura delle micro bolle vicino alla super-ficie del calcolo, la stessa cavitazione è però responsabile di gran parte dei danni tessutali e vascolari ascrivibili alla litotrissia. La migliore conoscenza di questi meccanismi ha portato al tentativo di sviluppo di varie strategie per au-mentare l’efficacia e ridurre il danno derivati dall’onda d’ur-to, aumentando l’effetto di cavitazione vicino al calcolo e cercando di diminuire quello tessutale e vascolare. Tali ten-tativi richiedono però una diversa tecnica costruttiva dei generatori d’onda in uso , sono allo stato sperimentale e non ancora utilizzati nella pratica clinica, nella quale invece, più facilmente, sono state introdotte differenti tecniche di erogazione delle pressioni d’onda che sembrano consen-tire una migliore frammentazione dei calcoli ed un minor danno dei tessuti circostanti il calcolo. La recente immis-sione sul mercato di litotritori a fuoco variabile ha alimen-tato la speranza che modificando il fuoco in relazione alle dimensioni del calcolo ed alla sua posizione sia possibile migliorare le prestazioni in termini di frammentazione del calcolo, avvicinando i successi dei litotritori di nuova gene-razione a quelli realizzati con il Dornier HM3 primo litotri-tore in commercio ed ancora considerato il gold standard. .Non esistono però ancora chiare evidenze in supporto di tale aspettativa e solo il trattamento controllato di larghe coorti di pazienti potrà eventualmente confermare tale teoria. Lo sviluppo del litotritore extracorporeo nel futuro

prossimo proseguirà la tendenza manifestatasi recente-mente verso apparecchiature sempre più flessibili in cui il litotritore sarà solo una parte di un sistema multifunzionale ad alta tecnologia comprendente, oltre al generatore, un sistema di puntamento radiologico abbinato ad un lettino radio urologico ad alta performance ed un sistema ecogra-fico non dedicati alla sola litotrissia . Questi sistemi saranno utilizzabili per la diagnostica ed una serie di interventi radio urologici ed endoscopici. L’interesse però per una litotrissia sempre più efficace e con minori danni tessutali è ampiamente condivisa e condurrà alla produ-zione di una nuova generazione di generatori più complessi, ma-gari con più sorgenti abbinate e sincronizzate in modo da ot-timizzare la frammentazione e ridurre ulteriormente la possibi-lità di danno.

L’urolitiasi rappresenta una malattia fre-quente nei paesi industrializzati, con un’in-cidenza del 10-15%; anche se talora può rimanere asintomatica, le potenziali conse-guenze possono danneggiare la salute. La manifestazione clinica più frequente è la colica renale, il cui rischio nella popolazio-ne generale è del 8-10%. L’alta percentuale di recidiva della malattia dopo un primo episodio, che può arrivare al 50% a 5 anni, rende la calcolosi un vero e proprio pro-blema di salute pubblica. Alle porte della stagione estiva, occorre ricordare come la disidratazione rappresenti uno dei mag-giori fattori di rischio: la scarsa assunzione di liquidi porta infatti ad una sovrasatura-zione dei soluti urinari, e pertanto ad una maggiore rischio di formazione dei calcoli. Un’ ulteriore precisazione va fatta riguardo la dieta, in quanto la presenza di calcolosi a composizione calcica porta talora ad errati comportamenti alimentari: esempio tipico è la drastica eliminazione dei latticini dalla dieta. Questo atteggiamento può costituire un grosso rischio, in quanto può indurre un potenziale maggior assorbimento intesti-nale di ossalati. In campo di trattamento medico, i tradizio-nali antispastici non trovano impiego nel-

la colica renale, perchè non agendo sulla muscolatura liscia dell’uretere, non hanno alcun razionale; i farmaci d’elezione sono gli anti-infiammatori non steroidei (FANS). E’ inoltre indispensabile, in corso di colica renale, ridurre l’assunzione di liquidi. La cal-colosi uratica può risolversi completamen-te mediante una terapia medica appropria-ta ( alcalinizzazione delle urine). Per gli altri calcoli, soprattutto se localizzati in uretere e di dimensione inferiore ai 6 mm, va sem-pre tentata una terapia espulsiva. In questo caso sono molto utili i farmaci alfa litici ed i calcio antagonisti, in quanto molteplici studi sembrano comprovarne l’efficacia nell’indurre il rilasciamento della musco-latura liscia ureterale. Per quanto riguarda la vera e propria terapia medica dell’uroli-tiasi, il trattamento con citrato di potassio e magnesio rappresenta un cardine nella prevenzione della calcolosi ossalo-calcica. Presso l’Università di Modena e Reggio Emi-lia, abbiamo recentemente descritto l’utiliz-zo del Phyllantus niruri, un estratto da una pianta già utizzata nella medicina popolare brasiliana e da alcune regioni dell’Italia me-ridionali e conosciuta con l’appellativo di “erba spaccapietra”. Nella nostra esperienza tale estratto migliora i risultati del tratta-

mento con le onde d’urto di calcoli renali di ossalato di calcio. Le novità non si fanno attendere anche in campo di “active stone removal” cioè di trattamento attivo della calcolosi, completamente basato su meto-diche minimamente invasive. In campo di Litotrissia extracorporea, i litotritori di ulti-ma generazione possiedono il vantaggio di effettuare trattamenti senza anestesia, in regime di Day Hospital, con bassa necessità di analgesia e scarsa morbidità. Negli ulti-mi anni sono poi comparsi nuovi prototipi che, pur mantenendo le stesse caratteristi-che di sicurezza dei generatori dell’ultima generazione, consentono una maggiore frammentazione del calcolo. Ne è un esem-pio l’ultimo litotritore della Dornier, il Doli EMSE F-XXP, in dotazione presso il nostro Stone Center, che possiede una capacità di disintegrazione paragonabile, se non su-periore, a quella del modello considerato il gold standard, cioè il Dornier HM3. Anche l’endourologia non manca di importanti novità. La litotrissia percutanea, che consi-ste nella frammentazione di calcoli renali all’interno delle cavità escretrici tramite un millimetrico accesso dal fianco, porta ad ottimi risultati a patto che l’operatore abbia una buona esperienza con la meto-

dica. Personalmente eseguo questo tipo di interventi dal 1984, con un casistica di oltre 1000 procedure. Accanto a questa, l’acces-so retrogrado (per via transuretrale) alle vie escretrici consente il trattamento di calcoli ureterali: l’ureteroscopia rigida ed il più re-cente avvento di strumenti flessibili, attra-verso fonti di energia come il laser, consen-te la frammentazione intracorporea di cal-coli situati a livello ureterale e renale. Alla luce di tutte queste innovazioni in campo diagnostico, farmacologico ma soprattutto tecnologico, appare chiaro come la gestio-ne della calcolosi urinaria, seppur percepita dal paziente come “minimamente invasi-va”, richieda una pianificazione più ampia e complessa, in termini di strumentario e training. Per questi motivi il trattamento della malattia litiasi-ca dovrebbe essere riservato a Centri uro-logici di riferimento e di eccellenza.

Litrotrissia Extracorporea: il futuro

La calcolosi urinaria: novità in tema di prevenzione e trattamento

Dott. Gianpaolo ZanettiProf. Francesco RoccoFondazione Ospedale Maggiore, Mangiagallie Regina ElenaIRCCS Milano

Prof. Giampaolo BianchiDirettore Clinica Urologica,Azienda Ospedaliero-UniversitariaPoliclinico di Modena

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Cos’è la Sindrome del Dolore Cronico Pelvico?Il modo migliore per presentare la Sindrome del Dolore Cronico Pelvico – Chronic Pelvic Pain Syndrome (CPPS), è lasciare che siano i pazienti a descriverne i sintomi. Chiara, 26 anni:“Soffro di cistite da anni, anche se le uri-nocolture risultano sempre negative. Dopo un rapporto sessuale, spesso mi viene la cistite”. Barbara, 41 anni: “Ho sempre lo stimolo ad urinare, e starei sempre in bagno. Finito di urinare sto un po’ meglio, ma dopo pochi minuti riparte il mio tormento. Quando trat-tengo la pipì, sento male alla vescica. Anche il mio inte-stino non funziona bene: ho il colon irritabile, mi sento la pancia gonfia, e faccio fatica ad andare di corpo”. Tale molteplicità di sintomi è rispecchiata nella definizio-ne di CPPS (acronimo internazionale): “ Dolore pelvico episodico, persistente o ricorrente, associato a sintomi e disfunzioni del basso tratto urinario, genitali e sessuali, intestinali e ano-rettali, senza alcuna evidenza di infezio-ni, né di altre patologie organiche”. Un dolore pelvico, di origine non neoplastica, viene definito “cronico” qualora perduri da almeno sei mesi, con andamento costante o intermittente. Non deve sorprendere, tuttavia, che pos-sa essere definito “cronico” anche a breve distanza dalla sua insorgenza, purché siano già presenti caratteristiche di “neural-axial central sensitization”, una disfunzione del sistema nervoso periferico e centrale che determina una lettura corticale amplificata e distorta degli stimoli provenienti dall’area pelvica. Ciò si verifica quando una “comune” infiammazione pelvica, si trasforma in “infiam-mazione neurogenica”, con attivazione di fibre nervose pelviche normalmente “silenti” (fibre C). Responsabile di tale trasformazione, è il “mastocita”, una cellula immuni-taria, presente in tutti gli organi pelvici, che possiamo im-maginare come un’autocisterna che trasporti numerosi contenitori (vescicole) ripieni di diversi mediatori chi-mici. In condizioni normali, il mastocita, attraverso una liberazione controllata di mediatori, ricopre il ruolo di “promotore/controllore” dell’infiammazione, un’azione di difesa utile all’organismo. Ripetuti episodi infiamma-tori nell’area pelvica (Es. cistiti ricorrenti, endometriosi) possono causare “sovrastimolazione” dei mastociti, con moltiplicazione del loro numero, ed abnorme liberazio-ne di mediatori chimici nei tessuti. Il mastocita, persa la sua funzione di difesa, si trasforma in una “santabarbara in fiamme”, in grado di sferrare un vero e proprio attacco di “guerra chimica” nell’area pelvica.

La CPPS può colpire sia gli uomini che le donne? Con che frequenza?E’ probabile che la reale prevalenza della CPPS sia lar-gamente sottostimata, in quanto diagnosticata sotto altro nome. Ci sono due esempi molto significativi. Nella donna succede assai spesso che la persistenza di alcuni sintomi urinari porti a fare diagnosi di “cistite cronica”, pur in presenza di urinocolture negative. Il più delle vol-te, queste “pseudo-cistiti” sono “branche” della CPPS che vanno sotto il nome di “Sindrome Dolorosa Vescicale” (Bladder Pain Syndrome – BPS), e di “Cistite Interstiziale” (Interstitial Cystitis – IC), con una prevalenza nella popo-lazione femminile adulta che potrebbe arrivare addirit-tura al 20%. Similmente, è stato dimostrato che nel 95% dei casi diagnosticati come “prostatite cronica”, non vi è alcuna evidenza di infezioni. La diagnosi andrebbe, pertanto, trasformata in “ Sindrome Dolorosa Prostatica” ( Chronic Prostate Pain Syndrome - CP/CPPS Cat III a/b), con una prevalenza del 10% nella popolazione maschile adulta.

Come si arriva alla diagnosi di “Sindrome del Dolore Cronico Pelvico”?Si è soliti dire che alla diagnosi di CPPS si arriva per esclu-sione. Questa affermazione è vera, ma non rappresenta tutta la verità. In presenza di dolore pelvico, associato a disfunzioni urinarie, sessuali, ano-rettali, contrattura dolorosa dei muscoli pelvici, è certamente necessario escludere alcune possibili patologie (infezioni/infiam-mazioni, endometriosi, neoplasie, calcoli), ma è anche vero che è possibile riconoscere fin da subito la “fisio-nomia” della CPPS. Potrebbe sembrare banale dirlo, ma per fare diagnosi di CPPS è necessario sapere che esiste, pensarci, ed ascoltare attentamente i pazienti.Coloro che soffrono di CPPS sono, generalmente, mol-to provati, talvolta disperati. La loro vita quotidiana si è lentamente riempita di rinunce e di auto-limitazioni. Per queste persone, da sempre “orfane di diagnosi”, ricevere una diagnosi costituisce già un elemento positivo.

Come si cura la CPPS?Nel trattamento della CPPS si possono utilizzare vari approcci, spesso in combinazione tra loro, oppure in se-quenza. Riveste grande interesse, in quanto potenziale trattamento causale, l’impiego di PEA (Palmitoiletanola-mide), una sostanza endogena, già presente nell’organi-

smo, con funzione regolatrice dell’attività dei mastociti.Vari farmaci sono impiegati per realizzare una neuromo-dulazione farmacologica che agisca sulla “neural-axial central sensitization”: antidepressivi triciclici (Amitriptili-na), anti-epilettici (Gabapentin/Pregabalin), ed alfa-litici. Le tecniche di Neuromodulazione Sacrale sono basate, invece, sulla possibilità di stimolare direttamente i nervi pelvici. Varie anche le sostanze che possono essere in-trodotte direttamente nella vescica, con lo scopo di au-mentarne i meccanismi di difesa naturali: Ac. Jaluronico, DMSO. Per la contrattura dolorosa dei muscoli pelvici esistono specifiche tecniche di riabilitazione. Un sup-porto di psicoterapia può essere molto utile. In assenza di reali infezioni, documentate dalle colture, è sconsi-gliabile assumere prolungati cicli di antibiotici, spesso inutili e potenzialmente dannosi.

Si può fare prevenzione per la CPPS? Obiettivo della prevenzione primaria è quello di poter identificare quei soggetti sani che sono a rischio di svi-luppare la CPPS, e ridurre la loro esposizione ai fattori etiologici specifici. A questo proposito, rivolgerei l’at-tenzione a quelle patologie benigne, come l’endome-triosi pelvica e le cistiti batteriche ricorrenti, che assai spesso si trovano nella storia pregressa di pazienti con CPPS. Fare prevenzione secondaria della CPPS significa diagnosticare la malattia in un fase precoce, aumentan-do così le possibilità di una più rapida guarigione. La battaglia da combattere è quella volta ad abbattere il “muro dei sette anni”, che sono quelli che trascorrono, media-mente, dall’inizio dei sintomi, al momento in cui viene fatta la diagnosi di CPPS.

L’urologia pediatrica è una disciplina molto recente, che anticipa molti problemi urologici dell’età adulta, potendone talora prevenire le problematiche. La ma-teria è stata solo recentemente riconosciuta anche in Europa – come in Nordamerica – quale formazione uro-logica specifica, con centri europei di insegnamento, di cui oggi unico in Italia è l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Ci sono patologie quali la Calcolosi urinaria, con evidente familiarità, che possono esordire in età pedia-trica e in cui, se è adottata una adeguata prevenzione come l’idratazione e i controlli periodici, le complicanze dell’adulto possono essere minimizzate. Al contrario, patologie delle vie urinarie trascurate o non riconosciu-te, possono condurre nell’adulto a sintomi fastidiosi o addirittura a danno funzionale del rene interessato. Un esempio frequente è la dilatazione delle vie urinarie su-periori (idronefrosi o megauretere), che 30-40 anni po-tevano essere causa asportazione del rene in età adulta. L’avvento dell’ecografia, anche prenatale, consente di conoscere la condizione e di seguirne l’evoluzione nel bambino ed adolescenziale. Oggi sappiamo che la mag-gior parte di queste condizioni sono innocue, in quan-to a risoluzione spontanea, ma in taluni casi si possono verificare infezioni o dolore, e un intervento correttivo previene ulteriori sintomi o potenziale danno renale nell’adulto. Il ‘Reflusso Vescico Ureterale’ è stato nel pas-sato considerato causa principale di inufficienza renale cronica nell’adulto: tale condizione è molto rara, e lega-ta a fattori genetici per cui la funzione renale è già al-

terata dalla nascita. Molto frequente è invece il reflusso vescico-ureterale con reni sostanzialmente normali, che non è da solo causa di problemi renali, ma può aggra-vare le infezioni urinarie e localizzarle nel rene. Questa forma di reflusso, oggi facilmente diagnosticata per la diffusione dell’ecografia e delle maggiori conoscenze, si corregge facilmente con la semplice iniezione in vescica di un medicamento, per via endoscopica.L’infertilità è in generale aumento nel mondo industria-lizzato, con deterioramento del seme. La responsabilità è molto probabilmente nell’inquinamento, per estroge-ni, anticrittogrammici, ftalti, e altre sostanze potenziali “disruptors”degli androgeni, cioè degli elementi della fertilità. Il Varicocele, cioè la dilatazione delle vene di de-flusso del sangue dai testicoli per difetto delle valvole venose stesse, è considerato causa frequente di infertili-tà maschile “secondaria”, interessando il 15% dei maschi adolescenti o adulti, anche se solo un quinto di essi avrà l’infertilità. L’intervento nell’adulto già divenuto infertile non sembra far recuperare, quindi la prevenzione con-siste nel riconoscere già in età adolescenziale le condi-zioni che conducono alla irreversibilità. Le linee guida internazionali indicano la correzione nei gradi elevati di varicocele e quando il testicolo controlaterale ha un mi-nore sviluppo, considerando questi i segni premonitori di infertilità. Le varie tecniche offrono oggi ottimi risul-tati con minima percentuale di recidiva, circa il 2%, ed hanno eliminato le complicanze locali. Altre anomalie dei genitali, quali l’Ipospadia, che consiste in una ano-

malia dell’uretra maschile e della cute del prepuzio, non sono implicate nella infertilità, ma devono essere corret-te per revenire possibili problematiche di ordine psico-sessuale; l’età ottimale è a 6-12 mesi, prima cioè della scoperta della identità di genere e della acquisizione del controllo della vescica. L’1% dei maschi ha una mancata o incompleta discesa del testicolo, e anche tale condi-zione va trattata precocemente, a 6-12 mesi. Un’altra condizione, da differenziare bene con la mancata di-scesa, è il testicolo mobile o “retrattile”: la forma bilaterale è fisiologica ed innocua; quel-la monolaterale che perduri dopo i 5-6 anni, può predi-sporre a torsione del funicolo spermatico testicolare, con danno anche grave, condizio-ne non infrequente, essendo stata calcolate in circa 4000 episodi l’anno in Italia.

Sindrome del dolore cronico pelvico

Prevenzione e cura in urologia pediatricae dell’adolescente

Dott. Daniele GrassiSpecialista in UrologiaCentro di Urologia Funzionale,Urologia Femminile e Chirurgia Ricostruttiva PelvicaHesperia Hospital,Modena

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Dott. Fabio FerroDirettore UOC AndrologiaOspedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma

Dott. Mario De gennaroDirettore UOC UrodinamicaOspedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma