URBANISTICA SPONTANEA

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URBANISTICA SPONTANEA Dal padiglione USA ai casi italiani Venezia, novembre 2012 Il padiglione statunitense all’ultima Biennale di architettura di Venezia ha esposto un lavoro del gruppo Spontaneous Interventions, che si occupa di raccogliere e catalogare esperienze di progettazione urbana di tipo, appunto, spontaneo. Il fenomeno, che molti identificano anche come urbanistica tattica, o urbanistica “do it yourself” o ancora città “help yourself”, è oggi in crescita specialmente nelle città americane, e ha radici che vanno ricercate a partire dagli anni ‘50. La scelta di dedicare il padiglione al tema è molto significativa, specialmente rispetto al titolo della manifestazione “Common Ground”. ABSTRACT ABSTRACT Image source: Mobile Dumpster Pools, New York. Photo Antonia Wagner, courtesy Macro Sea, tratto da http://www.spontaneousinterventions.org/ Linda Comerlati

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Dal padiglione USA ai casi italiani

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URBANISTICA SPONTANEADal padiglione USA ai casi italiani

Venezia, novembre 2012

Il padiglione statunitense all’ultima Biennale di architettura di Venezia ha esposto un lavoro del gruppo Spontaneous Interventions, che si occupa di raccogliere e catalogare esperienze di progettazione urbana di tipo, appunto, spontaneo. Il fenomeno, che molti identificano anche come urbanistica tattica, o urbanistica “do it yourself” o ancora città “help yourself”, è oggi in crescita specialmente nelle città americane, e ha radici che vanno ricercate a partire dagli anni ‘50. La scelta di dedicare il padiglione al tema è molto significativa, specialmente rispetto al titolo della manifestazione “Common Ground”.

ABSTRACTABSTRACT

Image source: Mobile Dumpster Pools, New York. Photo Antonia Wagner, courtesy Macro Sea, tratto da http://www.spontaneousinterventions.org/

Linda Comerlati

Il padiglione statunitense all’ultima Biennale di architettura di Venezia ha esposto un lavoro del gruppo Spontaneous Interventions, che si occupa di raccogliere e catalogare esperienze di progettazione urbana di tipo, appunto, spontaneo. Il fenomeno, che molti identificano anche come urbanistica tattica, o urbanistica “do it yourself” o ancora città “help yourself”, è oggi in crescita specialmente nelle città americane, e ha radici che vanno ricercate a partire dagli anni ‘50. La scelta di dedicare il padiglione al tema è molto significativa, specialmente rispetto al titolo della manifestazione “Common Ground”.L’allestimento del padiglione era costituito da diverse parti integrate fra loro, sia all’interno che all’aperto. Il cortile antistante l’ingresso era una sorta di piazza comune, una pedana di legno con uno spazio quadrato ribassato e riempito di cuscini cubici che i visitatori potevano riposizionare a loro piacimento per sedersi, conversare, giocare, fare una discussione collettiva, ecc. Davanti alla porta d’ingresso una proiezione video a muro riportava le interviste fatte ad alcuni dei partecipanti alla mostra riguardo le loro idee sulla città ideale. Lo spazio interno era composto da due linguaggi: al soffitto un catalogo di esperienze concrete di interventi urbani spontanei americani, esposti con un ingegnoso sistema di carrucole e tiranti, che permetteva l’interazione tra visitatore e opera; a terra una linea del tempo che mostrava l’evoluzione della città moderna letta in parallelo con l’evoluzione della tecnologia, a partire dal 7.500 A.C., anno di fondazione della prima città al mondo, ad oggi. L’esposizione era accompagnata da una copia del mensile americano “Architect”, dedicato alla Biennale di Venezia, che veniva fornito gratuitamente ai visitatori, e da un sito internet http://www.spontaneousinterventions.org/, con tutti i contenuti della mostra.Il racconto presentato si rifà alla storia recente

delle città americane, che stanno vivendo un “movimento di cambiamento democratico”, come si legge sul sito. In realtà le città di qualsiasi epoca si sono sviluppate grazie al contributo continuo dei propri cittadini attraverso l’autocostruzione di edifici, l’organizzazione di attività, la partecipazione diretta alla politica locale. L’idea della città formale, risultato di una pianificazione su carta da parte di amministratori, urbanisti e architetti, è piuttosto recente e risale più o meno alla seconda metà dell’800, con lo sviluppo dell’industria di massa, l’esplosione demografica e la necessità di controllo della situazione igienica e infrastrutturale attraverso regolamenti edilizi sempre più stringenti. La crescita esponenziale della città moderna ha estraniato i cittadini dal loro ruolo di costruttori della città trasformandoli in utenti passivi. Ma parallelamente a quest’urbanistica top-down, cresce di continuo il numero di attività spontanee, promosse e attuate direttamente da piccoli gruppi di persone per il miglioramento dell’ambiente locale di specifiche comunità. Questo risveglio è espressione dell’insofferenza verso i tempi lunghi dell’autorità pubblica e del desiderio di riappropriarsi del proprio ambiente urbano. D’altra parte la città è fatta dalle persone che ci vivono, l’attivismo urbano è la condizione naturale del benessere di una città. Se guardiamo alla particolare situazione americana, come sostiene Graham Shane, insegnante di pianificazione urbana alla Columbia University, nel dna americano è fortemente radicata l’abitudine al cambiamento, all’attività della comunità, all’azione veloce. A partire dagli anni ’50 si assiste ad un susseguirsi continuo di fenomeni “pop-up”. Inizialmente con il boom economico sono state costruite intere parti di città dal nulla, appunto “pop-up”, per far fronte all’urgente necessità di residenze; lo sviluppo drammatico della cultura consumistica ha portato a Woodstock e al ’68, a sua volta un fenomeno pop ma di segno inverso, che ha visto

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migliaia di perso indirizzarsi verso uno stile di vita nomade, vissuto lungo le strade e i marciapiedi delle metropoli. Ancora negli anni ’60 sono gli artisti pop, primo fra tutti Andy Warhol, a trasferirsi nei vecchi edifici industriali delle downtown e stabilirvi il proprio circolo artistico. Ancora, nel corso degli anni ’70 e ’80 un nuovo fenomeno di cambiamento: gli enormi parcheggi una volta destinati a drive in cinema diventano giganteschi mercatini delle pulci. Arriviamo ai giorni nostri, in cui questo genere di attivismo urbano ha molta più risonanza perché, attraverso Internet, è condiviso con la più grande comunità al mondo, quella globale! Ecco che fenomeni come Occupy possono amplificare enormemente la loro portata.Vale la pena riportare la lettura, fornita dagli organizzatori della mostra, dei problemi principali delle città a cui le attività spontanee rispondono: 1) decadenza urbana, disinvestimento, infrastrutture in rovina; 2) luoghi banali o pericolosi creati dalla pianificazione autocentrica; 3) lotti abbandonati, conseguenza delle “shrinking cities”; 4) vuoti urbani causati dalla speculazione edilizia 5) mancanza di accesso ai servizi pubblici; 6) carenza di trasporto pubblico; 7)inquinamento; 8) esclusione sociale; 9) privatizzazione di spazi pubblici; 10) surplus di spazi inutilizzati causati da un cattivo sviluppo urbano. Naturalmente questa lista è pensata con riferimento alle grandi metropoli americane, ma possiamo bene adattarla ai casi europei, con piccole aggiunte. È interessante il fatto che molti di questi interventi spontanei siano visti come una sorta di “europeizzazione” delle città americane: il boom recente della “cultura dei caffè”, dei mercati di quartiere, dei venditori di strada, dei festival locali va in questa direzione, dimenticando spesso che le città americane hanno un’altra struttura rispetto a quelle europee, essendo pensate principalmente per il traffico automobilistico,

piuttosto che pedonale. D’altra parte però la cultura della comunità, della partecipazione, del volontariato è molto più radicata nella popolazione americana rispetto alla nostra, ed è forse proprio per questo che l’urbanistica spontanea sta avendo un tale successo oltreoceano. Per quanto riguarda la situazione italiana, vediamo come ci sia un fermento in questo senso. Da un lato un piccolo elenco di attività di urbanistica spontanea è già attivo: si possono citare Impossibile Living di Milano, Endogenesi di Salerno, Associazione Agile di Verona. Dall’altro vediamo il fenomeno in rapidissima crescita del coworking e dei fablab, che, se visto come occupazione di spazi collettivi, spesso ex fabbriche in disuso, e coinvolgimento attivo della comunità locale attraverso workshop e attività, ben rientra nel fenomeno dell’urbanistica spontanea.Chiudo con un’osservazione di Toni L. Griffin sul ruolo degli architetti e urbanisti nella città di oggi “I progettisti fisici hanno l’abilità di creare prodotti e sviluppare processi capaci di ospitare differenze culturali e utenti e usi multipli e mutevoli.” (tratto dalla rivista “Architect” di agosto 2012). Il progetto delle città inizia dalle persone e il fenomeno crescente dell’urbanistica spontanea aiuta a ricordarlo.

Sitografia

• http://www.spontaneousinterventions.org/ • http://www.impossibleliving.com/• http://endogenesiproject.wordpress.com/ • http://associazioneagile.wordpress.com/

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