UniversitArea Numero 6 Novembre-dicembre 2008

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NIVERSIT A REA I GIORNI DELLA PROTESTA Come la stampa universitaria ha raccontato l’Onda pagina 2 e 3 L’ONDA FIORENTINA L’occupazione di Novoli raccontata dagli studenti del Polo pagina 4 e 5 GIORNALISTI CONTRO LE MAFIE Intervista a Ciro Pellegrino, redattore de Il Napoli pagina 10 ANNO II - NUMERO 6 - Novembre/Dicembre 2008 - FIRENZE Autorizzazione del Tribunale di Firenze n. 5589 del 04/07/2007 Direttore Gaetano Cervone www.unistudi.eu Realizzato con il contributo della Birra Peroni

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SULL’ONDA DELLA PROTESTA * LA PROTESTA CONTRO LA RIFORMA GELMINI ATTRAVERSA L’ITALIADa Milano a Catania, il movimento studentesco che si è opposto alla legge n. 133 ha fatto parlare di sé: sintomo di un disagio contingente o rinascita di un movimento trasversale, destinato a durare nel tempo? Uno sguardo alla protesta con gli occhi di chi l’ha seguita dal vivo: Milano, Pavia, Roma, Napoli, Catania. * L’ONDA ESISTE?Che la riforma Gelmini abbia creato un sistema di proteste a catena in tutta Italia è un dato di fatto. Ma si è davvero costituito un movimento capace di rievocare, seppur con le debite differenze, quello che attraversò l’Italia nel 1968? * L’ONDA FIORENTINAScoppia la protesta anche a Firenze, gli studenti toscani si mobilitano contro la riforma Gelmini e la città gigliata diventa, per un giorno, capitale del neonato movimento di contestazione. Ma quella fiorentina è “un’onda anomala”, che ha caratteristiche diverse dalle altre città, prima fra tutte l’apertura alla cittadinanza. * I CONTRARI ALL’OCCUPAZIONELa “contro-Onda fiorentina” è un movimento molto eterogeneo: all’interno tutti non condivide la forma di protesta adottata, ma differiscono per essere pro,contro o scettici nei confronti dei tagli previsti nella 133. * VIAGGIO NELLA MAGGIORANZA SILENZIOSANon tutti gli studenti sono stati coinvolti nelle occupazioni. La “maggioranza silenziosa”preferisce il libro alla piazza, ed è molto scettica sulla buona riuscita della protesta. * LA RISPOSTA DELLE ISTITUZIONICome hanno reagito gli organi istituzionali alla protesta indetta dagli studenti? Nell’Ateneo fiorentino i professori di Scienze Politiche hanno trovato, a loro modo, la possibilità di proporre analisi e formulare proposte attraverso gruppi di studio, aperti anche agli studenti * UNA STRUMENTALIZZAZIONE INCONSAPEVOLE?La trasversalità della protesta – unità alla spontaneità del movimento – potrebbe anche involontariamente favorire logiche tese al mantenimento dello status quo: questa la tesi paventata dal prof. Luciano Bozzo. * COSA HA LASCIATO L’ONDAResta da capire se il movimento studentesco porterà avanti la protesta, con quali attori e attraverso quali forme; e presto si conoscerà anche il giudizio degli studenti, chiamati alle urne per il rinnovo delle rappresentanze negli organi di governo In “Università e Studenti” :- NON TI SOTTOVALUTAREParte la campagna di sensibilizzazione per la valutazione della didattica- IL PRIMO REALITY SHOW DI FACEBOOK È TARGATO FIRENZEIntervista a Janet Pitarresi, giovane ideatrice del progettoNella sezione “La mia città“:- IL TAXI DELLE MERAVIGLIECaterina, “Milano 25”: “Morirei ogni giorno per quello che sto facendo” -“I CLOWN SONO PARTE INTEGRANTE DELLA CURA”Intervista alla psicologa Simona Caprilli, servizio di terapia del dolore del MayerNella sezione "in Italia" :GIORNALISTI SCOMODIIntervista a Ciro Pellegrino, redattore politico de Il NapoliNella sezione “Nel Mondo” :I PARCHI DELLA PACE: UN PROGETTO CHE UNISCEAncora una volta l’ambiente tocca tutti i grandi temi dello sviluppo e della pace.Nella rubrica “In Società” il racconto del Festival dei Popoli, mentre in “Zeta come Cultura” spicca l’intervista a Graziano Staino. Intanto prosegue l’attività quotidiana d’informazione sul sito www.unistudi.euPER INFORMAZIONI:[email protected]@email.itwww.unistudi.eu

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NIVERSITAREA

I GIORNI DELLA PROTESTA Come la stampa universitaria ha raccontato l’Onda pagina 2 e 3L’ONDA FIORENTINA L’occupazione di Novoli raccontata dagli studenti del Polo pagina 4 e 5GIORNALISTI CONTRO LE MAFIE Intervista a Ciro Pellegrino, redattore de Il Napoli pagina 10

ANNO II - NUMERO 6 - Novembre/Dicembre 2008 - FIRENZEAutorizzazione del Tribunale di Firenze n. 5589 del 04/07/2007

Direttore Gaetano Cervonewww.unistudi.eu

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NOVEMBRE/DICEMBRE 2008

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L’UNIVERSITAREA

La Milano della protestaELISA CIANI

“Il tutto è cominciato con i collettivi studenteschi che, grazie alle loro manife-stazioni, hanno catturato l’attenzione della carta stampata, dell’opinione pub-blica e, quindi, anche dei telegiornali”. Così parla delle proteste studentesche milanesi Michele Capaccioli, fondatore di Wemustact.org, un progetto web con la regola del giornalismo d’informazione e d’inchiesta. “Le proteste di Mi-lano sono state simili a quelle avvenute nel resto d’Italia” continua Capaccioli “Hanno, spesso e volentieri, bloccato il traffico, la circolazione, ma sono state comunque molto partecipate”. Il problema a suo dire è stata l’infiltrazione della politica nelle iniziali proteste dei collettivi contro i tagli e la riforma della scuola. “La lista universitaria per cui sono stato eletto e dalla quale mi sono dimesso il 3 ottobre da rappresentante universitario al Consiglio di facoltà di Scienze Politiche, ha continuato a cavalcare la protesta dei collettivi, discu-tendo su questo punto palesemente in mailing list” e confessa “Io ho provato a fare una critica costruttiva e per giunta mi è stato impedito di spedire le e-mail”. Capaccioli mette sotto accusa la maggior parte delle liste universitarie

e in riferimento al lavo-ro di alcune di queste per la redazione di un documento da presen-tare al Presidente della Repubblica Napolitano, con toni duri ribadisce: “Purtroppo, finché ci saranno delle liste di rappresentanza che ca-valcano l’onda per fini politici e di prestigio,

che isolano chi la pensa diversamente, garantendo “Libertà, laicità e demo-crazia” solamente agli aderenti ad un filone politico determinato sarà quasi impossibile che tutti gli studenti decidano di partecipare a questi lavori”. Poi prosegue: “ Tutti o quasi sanno che, oramai, la stragrande maggioranza delle liste di rappresentanza universitaria sono dei partiti politici”. Arrivano, infi-ne, la precisazioni “Parlo solamente di Milano, parlo solamente della realtà in cui ho vissuto. Non posso esprimermi al riguardo di altre entità”.

Pavia: chi non occupa non preoccupaPAOLA BARILE

“A Pavia la protesta è sempre stata controllata, e non è ancora sfociata in una vera e propria occupazione degli edifici universitari. Gli spazi di assemblea e riunione sono sempre stati richiesti e ottenuti per vie ufficiali”. Questa la nota più caratteristica della protesta pavese, come ci racconta Alice Gioia, vicedi-rettore di Inchiostro, giornale degli studenti dell’Università di Pavia (http://inchiostro.unipv.it/). “Pavia è stata fra gli ultimi atenei a mobilitarsi contro la legge 133. Il primo grande segnale si è avuto con l’Assemblea del 20 ot-tobre, che ha visto riunirsi quasi 2000 persone nel cortile del Rettorato […] Significativo l’intervento del Rettore, che è sceso tra i ragazzi a leggere il documento prodotto al termine della seduta, nel quale l’Università si schie-rava contro la 133”. La protesta a Pavia ha seguito l’iter di molte città ita-liane: “lezioni in piazza, organizzazione di gruppi di studio che hanno ana-lizzato la ‘riforma’ e hanno presentato dei progetti autonomi, insediamento di uno spazio autogestito di informazione e dibattito in un’aula dell’Univer-sità”. Inchiostro ha seguito l’andamento della protesta anche sul web: “il rapporto con gli esponenti della protesta è stato particolarmente efficace. Insieme a loro abbiamo realizzato diverse puntate di approfondimento e

dibattito su Radio Campus, la webradio dell’Ateneo”. Tuttavia, “la parte-cipazione studentesca si è notevolmente ridotta con il passare del tempo”. Si può, dunque, parlare di “onda anomala” per descri-vere il movimento di pro-testa studentesco? “‘Onda Anomala’ è un’etichetta che i giornalisti hanno dato a un movimento che, al suo interno, è decisamente va-riegato e complesso. A mio parere non esiste una con-sapevolezza e un’unità come poteva essere nel 1968”. E se anche “esistono le premesse per una rottura culturale […] ‘qui è tutto bloccato’, come ci ha detto profeticamente Sergio Rizzo in un’intervista di sei mesi fa”, conclude Alice Gioia.

Uniroma Tv racconta lo sviluppo dell’Onda nei tre atenei della capitale

ELENA GUIDIERI

Uniroma Tv (www.uniroma.tv), la Web tv de La Sapienza, di Tor Vergata e di Roma Tre, racconta la nascita e lo sviluppo della protesta nella capitale. Paolo Conti parla di un movimento che nasce “in differita: fa la sua comparsa a La Sapienza, dove ci sono i primi gruppi di ragazzi che cominciano a orga-nizzare assemblee, gruppi di discussione, ed altre forme di protesta pacifica e non ostruzionistica”. Con il passare del tempo e grazie all’informazione e alla divulgazione di idee, l’Onda investe Tor Vergata e in parte Roma Tre, “dove comunque la protesta era e rimane tutt’ora meno forte”. Inizia poi la famosa diatriba sui metodi di protesta: chi sostiene la necessità di essere costruttivi, chi l’ostruzionismo, chi l’occupazione, chi le lezioni di piazza. Le divisioni non si limitano al modo di mettere in atto la protesta; emerge un forte contra-sto ogni qual volta si tenta di dare un volto politico al movimento studentesco. “Allo stesso punto di molte assemblee, dove ci si confrontava con la reale eterogeneità dell’università, che è tutt’altro che divisa in gruppetti e capi-popolo, si creava lo stesso blackout, che mandava in tilt per qualche minuto gli studenti: si politicizzava la protesta a seconda del credo”.Paolo Conti sostiene che l’eterogeneità della realtà romana ha reso più pro-blematico rispetto ad altre città la formazione del movimento; “ l’Onda ano-mala romana ha avuto una prova più difficile rispetto ad altri contesti dove gli atenei non sono tre, e il fascismo è una cultura molto meno radicata. Roma è grande, e sentirsi tutti insieme, parte di qualcosa come un movimento, seppur studentesco, è sempre molto difficile”.Sarebbe così la mancanza di una direzione univoca ad indebolire la protesta. “Il problema non è la mancanza di una testa, ma la presenza di troppe teste, che tirano il corpo ora da un lato, ora dall’altro, senza fargli capire la reale metà del cammino”

Viaggio attraverso

LA PROTESTA CONTRO LA RIFORMA GELMINI ATTRAVERSA L’ITALIA Da Milano a Catania, il movimento studentesco che si è opposto alla legge n. 133 ha fatto parlare di sé: sintomo di un disagio contingente o rinascita di un movimento trasversale, destinato a durare nel tempo? Uno sguardo alla protesta con gli occhi di chi l’ha seguita dal vivo.

VISTI DA VICINO

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L’UNIVERSITAREA NOVEMBRE/DICEMBRE 2008

3www.unistudi.eu

l’Italia della protesta

LE TAPPE DELLA PROTESTA I momenti cruciali attraverso cui il mondo della scuola e dell’uni-versità ha protestato contro la riforma Gelmini, approvata in Se-nato il 29 ottobre.

L’ONDA ESISTE? Che la riforma Gelmini abbia creato un sistema di proteste a catena in tutta Italia è un dato di fatto. Ma si è dav-vero costituito un movimento capace di rievocare, seppur con le debite differenze, quello che attraversò l’Italia nel 1968?

VISTI DA VICINO

Il contributo partenopeo alla protesta studentesca

CLAUDIA BARONCELLI

“Una protesta civile e variopinta”, ecco come la rivista Ateneapoli riassume in un titolo l’essenza e lo spirito della rivolta studentesca a Napoli. Da ben 24 anni, il quindicinale napoletano tratta temi legati ai quattro atenei partenopei e in quest’occasione non si è risparmiato di offrire ai suoi lettori una cronaca

degli eventi, dedicando uno Speciale di ben 13 pagine al movimento dell’On-da nei 5 atenei cittadini. Nel riassumere le tappe più significative della protesta studentesca di Napoli, Paolo Iannotti, direttore di Ateneapoli, menziona una “memorabile assemblea del rettorato dell’Università Federico II”, il 29 otto-bre, alla quale sembrano aver partecipato oltre 4.000 studenti e docenti e una manifestazione a Piazza del Plebiscito, che ha visto la presenza di ben 20.000 partecipanti, tra cui tutte la Facoltà dell’Università Federico II, de l’Orienta-le, della Parthenope, della Seconda Università di Napoli e gli studenti medi. “Se dovessimo indicare con una foto o un simbolo il mo-vimento dell’Onda, sceglierei le lavagne con i professori che effettuano lezioni per strada” così Iannotti coglie il momento simbolo della protesta napoletana. Nonostante, la complessità del sistema universitario (5 Università, 35 Facoltà, 150.000 studenti 3.000 professori e ricercatori), il coordinamento c’è stato e, assieme ad una serie di iniziati-ve proposte su molte zone della città, è riuscito ad ottenere visibilità sia sui quotidiani cittadini che in Tv. Ateneapoli ha raccontato la protesta studentesca nella città, proponen-do “una cronaca degli eventi, esaltando i contenuti e le

novità rispetto al passato, riportando tutte le posizioni in campo” con “servizi speciali sul giornale, ampi spazi sul sito di Ateneapoli (www.ateneapoli.it), interviste ed inchieste”. Alla domanda sull’esistenza o meno di un movimento studentesco, che possa dirsi effettivamente erede di quello del ’68, Iannotti risponde che questo è “un movimento che ha le potenzialità per una rottura culturale rispetto al passato”

L’onda alle pendici dell’EtnaIURI CORNACCHINI

A Catania la storia del nuovo movimento studentesco passa prevalentemente attorno a tre date : 17, 30 ottobre e 14 novembre. Ce lo spiega Step1, periodi-co on line edito dalla facoltà di Lingue e letterature straniere di Catania, che ha seguito l’evoluzione del movimento studentesco nella città etnea. Olivia Calà e Carmen Valisano raccontano che “la protesta è iniziata ufficialmente il 17 ottobre, quando un gruppo di studenti, precari e professori si è unito al corteo organizzato dai Cobas ed ha ‘assediato’ il palazzo del Rettorato”. Due giorni dopo avviene la prima occupazione, quella dell’aula magna della facoltà di Scienze Politiche, gesto che fa da prologo alle assemblee permanenti. “Le assemblee sono continuate per tutto il mese, così come le lezioni in piazza. Il momento più importante di tutta la protesta è senza dubbio rappresentato dal corte del 30 Ottobre, che ha raccolto quasi 40mila persone”. In seguito a tale corteo avviene un’assemblea d’Ateneo in cui i rappresentanti del movimento fanno il punto sull’ “onda catanese”. L’occupazione del Rettorato inizia il 14 novembre, al termine del corteo che in concomitanza con Roma attraversa le strade di Catania. Tale occasione è stata vista da un lato come un punto d’inizio, uno slancio vitale per il movimento, mentre dall’altro come un ten-tativo utopico di emulare il ’68, in un periodo dove non ci sono i presupposti. “Si rischia di falsare tutto ciò che è stato...L’occupazione del Rettorato, per esempio, era un po’ una parodia, una messa in scena di quelle del passato”. Parole di Stefania Mazzone, docente di Storia del pensiero politico a Catania, parole amare che sottolineano il problema più grosso del movimento studente-sco, quello di trovare una propria identità collettiva e comunicarla all’esterno. Quando il movimento e la moltitudine non fanno uscire valori universali, le cose si fermano a un decreto… e ad un certo punto si fermano e basta.

l’UniversitAreatestata d’informazione universitaria

Direttore ResponsabileGaetano Cervone

VicedirettoreMatteo Brighenti

GraficaChiara Loi

EditoreUniversità degli Studenti

Redazione: Via de’Serragli,10 – 50124 – Firenze

Collaboratori: Paola Barile, Claudia Baroncelli, Francesco Brandiferri,

Elisa Ciani, Iuri Cornacchini, Jessica Camargo Molano, Francesco Cutro, Damon (Andrea Gentile), Ilaria De Sio, Alessandro Etzi, Serena Fois, Maria Consiglia Grieco, Elena Guidieri, Francesca Pardo, Giovanna Piazza, Francesca Puliti,

Marta Scocco, Jonata Tellarini, Tommaso Tombelli

Stampa: NUOVA GRAFICA FIORENTINA Via Ambrogio Traversari, 76 – 50120 – Firenze

Questo periodico è stato realizzato con il contributo della Birra Peroni

L’UniversitArea on line:www.unistudi.eu

[email protected]

Autorizzazione del Tribunale di Firenze n° 5589 del 4/07/2007

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NOVEMBRE/DICEMBRE 2008

4 www.unistudi.eu

L’UNIVERSITAREA

Cronistoria del D5 e dintorniDall’occupazione alle manifestazioni, dai seminari alle lezioni in piazza: identikit di un movimento

VISTI DA VICINOL’ONDA FIORENTINA: Scoppia la protesta anche a Firenze, gli studenti toscani si mobilitano con-tro la riforma Gelmini e la città gigliata diventa, per un giorno, capitale del neonato movimento di contestazione. Ma quella fiorentina è “un’onda anomala”, che ha caratteristiche diverse dalle altre città, prima fra tutte l’apertura alla cittadinanza.

Una nuova vita per l’UniversitArea OnlineParte l’informazione quotidiana ed è boom di accessi al sito

JESSICA CAMARGO MOLANOMARTA SCOCCO

Un lenzuolo aggrovigliato, lacera-to dagli strappi del tempo, con una scritta che inizia ormai a scolorire. È questo ciò che resta dello striscione che annunciava la nascita di un movi-mento racchiuso in parole oggi illeg-gibili: “Contro la legge 133 edificio D5 occupato…ed è solo l’inizio!”. Un simbolo sotto il quale hanno pre-so vita le speranze di studenti, ricer-catori e precari, per la prima volta insieme nell’assemblea generale del 14 ottobre al Polo delle Scienze So-ciali di Novoli. Un incontro che ha visto la partecipazione di così tante persone, da rendere necessario l’uti-lizzo di due “Aula Magna” collegate in videoconferenza, ma soprattutto di una forte mediazione per placare le rumorose polemiche nate tra idee che finalmente si sono scontrate faccia a faccia. Nient’altro che un preavviso di quello che sarebbe accaduto il giorno seguente. Il pomeriggio del 15 otto-bre, mentre il Consiglio di Facoltà di Scienze Politiche bocciava il blocco della didattica proposto dal neonato movimento di protesta, un piccolo corteo di studenti, insoddisfatto dal responso, occupava il D5. E così, tra entusiasmo, indecisione e qualche colpo di mano, “l’Onda” ha travolto anche Novoli in un work in progress che dalle aule, fra alti e bassi, si è

aperto anche alle piazze: ad “istruire” per le vie cittadine numerosi docenti “non ordinari”, tra i quali non pochi “stra–ordinari”, come l’astrofisica Margherita Hack e l’artista Sabina Guzzanti. Filo conduttore il “No alla 133”, declinato anche tra i banchi del D5 con gruppi studio e seminari, che hanno raggiunto il culmine tra il 10 e l’11 novembre con la maratona delle 33 ore di lezione no stop. La grande voglia di farsi sentire ha portato i tanti giovani anche a sfilare in modo pacifico e creativo per tutta Firenze. Il 21 ottobre, circa 50mila studenti partiti da piazza San Marco hanno raggiunto piazza Santissima Annun-ziata. Del tutto imprevisto, invece, il corteo spontaneo esploso il 29 otto-bre dopo l’approvazione della legge 133 in cui centinaia di studenti hanno invaso le strade paralizzando per di-verse ore il traffico cittadino. E anco-ra, il giorno seguente, in concomitan-za con l’appuntamento nazionale di Roma, a Firenze sono stati occupati i binari della stazione Campo Marte. “La mobilitazione ha dettato l’agen-da politica di quest’ultimo periodo –ha commentato Alessio Branciamo-re (Sinistra Universitaria) – andava, però, maturata con più tempo, ora ci saremmo trovati con una protesta viva e partecipata a ridosso dell’ap-provazione della finanziaria”.

E in tutto ciò dove erano le istituzio-

ni? “E’ un movimento pacifico, molto preoccupato per i destini della scuola pubblica” ha di-chiarato, durante la sua a visita del 25 ottobre al plesso occupato, il presi-dente della Regione Claudio Martini. A dare un’occhiata, senza però var-care la soglia del D5, c’è stato anche il presidente della Provincia Matteo Renzi. Il 4 novembre, inoltre, il con-siglio comunale ha ospitato in seduta straordinaria i rappresentati degli stu-denti, attivi in un dibattito diretto con l’amministrazione. Un dialogo con la politica, ma anche e soprattutto con la cittadinanza: “Il movimento fioren-tino - ha sottolineato Alessandro Bez-zi (collettivo ZTL) - ha visto nascere fitte reti di coordinamento tra genito-ri, insegnanti, studenti medi, comitati cittadini e la realtà dei lavoratori, in quanto la protesta non riguarda solo il mondo universitario, ma coinvolge tutta la società”. L’Onda è stata an-che l’occasione per fare un tuffo nel passato: come Firenze capitale ha ce-duto il passo a Roma, oggi la storia si ripete per i primi incontri nazionali del movimento. Gli studenti di tutt’Italia, infat-ti, si sono dati appuntamento a Firenze per discu-tere la creazione di un unico coor-

dinamento tricolore e La Sapienza – curiosamente assente all’evento – ha poi ospitato, il 15 e 16 novembre, il secondo incontro che chiamava in causa gli studenti di tutta la peniso-la. Un confronto che ha portato non poco scompiglio e delusione nell’As-semblea di Novoli, consapevole più di prima dei propri punti deboli, in primis i contenuti, e poco soddisfat-ta dalle conclusioni della trasferta. Dopo esser ritornati al D5, è stata infatti necessaria una settimana di continui rimandi e discussioni per decidere di cambiare gli strumenti della protesta disoccupando in Via delle Pandette. “Non ci aspettavamo di rimanere così tanto nel D5” è il commento di Leonardo Colli (Collet-tivo Politico Scienze Politiche), che ha poi aggiunto “per la prima volta tutte le tre differenti realtà di Studenti di Sinistra, Collettivo Politico e Sini-stra Universitaria sono confluite in un’unica assemblea”.

GIOVANNA PIAZZA

Il sito www.unistudi.eu nasce nel 2007 come contenitore multimediale degli articoli pub-blicati in cartaceo e delle relative integrazio-ni. A ottobre 2008 cambia grafica, rinnova la redazione, assume una veste autonoma. L’in-formazione, divisa nelle sezioni Università e Studenti, La mia Città, In Italia, Nel Mondo, In Società, Zeta Come Cultura e Gli Specia-li, diventa quotidiana, focalizzandosi su no-tizie e interviste che riguardano l’Università e i suoi studenti. Il successo del nuovo sito è testimoniato dall’aumento vertiginoso degli accessi giornalieri, dalla nascita di una community di lettori affezionati, dalla visibilità acquisita sui principali

Social Network (Facebook, Flickr, You Tube, My Space) e dalle riprese di notizie su diverse

testate locali. Ponendosi l’obiettivo di rendere un buon servizio di informazione quotidiana ad una platea studentesca il più vasta possibile, mira a ingrandire la community formata da chi, dicendo la propria, vuole contribuire a qualità e completezza dell’informazione.

Il successo del nuovo sito è testi-moniato dall’aumento vertigino-

so degli accessi giornalieri

15 ottobre - Gli studenti occupano il D5

21 ottobre - Manifestazione regionale

25 ottobre – Il presidente della Regione Claudio Martini

in visita al D5

29 ottobre – Corteo spontaneo e blocco del traffico

30 ottobre – Corteo cittadino ed occupazione dei binari

della stazione di Campo Marte

5 novembre – Protesta dei ricercatori che si improvvi-

sano lavavetri

7 novembre – Blocco del traffico

8 novembre - Assemblea nazionale a Firenze

10 e 11 Novembre – Maratona di 33 ore di lezione

14 novembre - Manifestazione nazionale a Roma

15 e 16 Novembre - Assemblea nazionale presso la

Sapienza

Striscione esposto dagli studenti dopo l’occupazione dell’edificio D5

Piazza della Signoria gremita per la lezioni di Sabina Guzzanti

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L’UNIVERSITAREA NOVEMBRE/DICEMBRE 2008

5www.unistudi.eu

VISTI DA VICINOI CONTRARI ALL’OCCUPAZIONE: La “contro-Onda fiorentina” è un movimento molto eterogeneo: all’interno tutti non condivide la forma di protesta adottata, ma differiscono per essere pro,contro o scettici nei confronti dei tagli previsti nella 133.

VIAGGIO NELLA MAGGIORANZA SILENZIOSANon tutti gli studenti sono stati coinvolti nelle occupazioni. La “maggioranza silenziosa”preferisce il libro alla piazza, ed è molto scettica sulla buona riuscita della protesta.

Il variegato mondo dei contrari all’occupazioneScongiurare il blocco della didattica, raccogliere firme e sensibilizzare gli studenti

FRANCESCO BRANDIFERRIFRANCESCO CUTRO

“Siamo l’unica decisa forza contro l’occupazio-ne”. Partiamo da questa dichiarazione di France-sco Cappelli – consigliere di Facoltà di Scienze Politiche per Studenti per le Libertà (SpL) – per raccontare l’altra faccia dell’Onda: una faccia in cui SpL ha svolto un ruolo da protagonista. Alle “Idi di ottobre”, la decisione ventilata diventa realtà: il D5 di via delle Pandette viene occupato. SpL inizia la sua battaglia. Armati di gazebo e buo-na volontà, campeggiano di fronte all’edificio de-gli occupanti. Inevitabili momenti di tensioni: “un confronto con toni un po’ accesi”, lo definiscono. Cosa fare praticamente per contrastarli? La solu-zione è semplice e concreta: una raccolta firme da estendere a tutte le facoltà dell’Ateneo, con l’obiet-tivo di “scongiurare la sospensione della didattica e garantire, a chi fosse interessato, di continuare a seguire le lezioni”.Un compito arduo portato avanti quotidianamente. E gli altri contrari all’occupazione? Dove sono? Lista Aperta (LA), più impegnata a dare risposte su domande esistenziali come l’origine dell’universi-tà, sembra aver adottato una strategia differente: “pur condividendo i motivi che hanno portato a questa protesta, continuiamo a non ritenere ade-guate le modalità” è questo il commento di Da-vide Cristoferi, senatore accademico. Tattica poco incisiva visto il loro peso elettorale. Diversamente, Azione Universitaria (AU) fa la sua comparsa tra le palazzine del polo di Novoli solo dopo la pri-ma settimana di mobilitazione: “Non siamo qui per difendere il Governo ma siamo esclusivamente dalla parte degli studenti” risponde così Daniele Grazi, responsabile per Giurisprudenza. Certo, una posizione vaga, a tratti indefinita; come quella di Studenti Democritici (SD): “SD sta proseguendo la sua protesta parallelamente all’occupazione sensibilizzando costantemente l’attenzione degli studenti”. Di concreto, però, si è visto ben poco.In uno scenario come questo gli alleati per SpL scarseggiano. Sembra mancare una linea comune che sicuramente avrebbe dato più forza alla con-tro-Onda. I giorni passano e la protesta continua. “Quella che sta protraendosi è una situazione buf-fa” rileva Niccolò Macallè, responsabile d’Ateneo per SpL: “la maggioranza degli studenti vuol con-tinuare a fare lezione”. E intanto la raccolta firme va avanti raggiungendo quota 1000. Parallelamente anche LA esce dal torpore ed opta per una raccolta firme per “contrastare i disa-gi causati alla didattica con spostamenti di aule spesso inadeguati”. Tante adesioni, ma rispecchia-no realmente quella maggioranza silenziosa di cui si sentono portavoce?Marginale e a tratti assente la protesta dei ragazzi di AU nonostante la presenza a Firenze del pre-

sidente nazionale Donzelli, che preferisce la realtà mediatica a quella del territorio. L’occupa-zione va avanti. L’efficacia delle loro azioni va via via scemando, anche se SpL non si dà per vin-ta: lo sgombero del D5 rimane la priorità. Portando all’attenzione della Preside Alacevich le ade-sioni autenticate, l’epilogo sem-bra vicino.È questo in sintesi il variegato mondo della “contro-Onda fio-rentina” fatto di tante buone intenzioni, proposte serie ma poche azioni consistenti. Se le occupa-zioni vanno avanti, il “merito” è principalmen-te – anche se indirettamente – loro. Non sarebbe

stato meglio creare un coordinamento, una linea di azione comune contro le occupazioni, tralascian-do per una volta le posizioni politiche delle singole rappresentanze?

“La libertà finisce dove inizia quella degli al-tri”. Si potrebbe sintetizzare in questo modo la posizione di quella “maggioranza silenziosa” di studenti che con occhio critico ha vissuto questo mese di occupazione. Il D5 rappresenta solo un luogo di passaggio: tutti ormai sono coscienti dei vari “dirottamenti” di aule e le portinerie, quoti-dianamente affollate di ragazzi in cerca della pro-pria lezione, ne sono la testimonianza.

Si parlava di libertà; libertà di continuare a stu-diare, di seguire regolarmente le lezioni – assicu-rate sì, anche se con qualche disagio – insomma, libertà di vivere la vita universitaria senza troppi scossoni. In un mondo pervaso dall’individuali-smo in cui risulta facile parlare per “etichette”, gli studenti non in prima linea potrebbero, senza sforzo, essere inseriti nella categoria degli indif-ferenti.

Eppure, anch’essi hanno le loro buone ragioni: “posso capire le proteste delle prime settimane ma, come dice un noto proverbio, perseverare è diabolico – è questo il commento di Marianto-nietta, studentessa di Economia – se i tagli sono

stati inseriti in una finanziaria, allora un picco-lo sforzo si può anche fare. Certo, questo tipo di protesta lascia davvero il tempo che trova”.

Pierluigi, studente del polo scientifico di Sesto, spiega: “so che è importante farci sentire ma non sono d’accordo con questa protesta. Non dobbia-mo ribellarci sacrificando l’attività didattica. La contestazione ci vuole, ma continuando a studia-re seriamente. Altrimenti è un’ulteriore perdita di tempo e lavoro che non produce nessun risultato. Le istituzioni potranno ascoltarci solo se ci com-portiamo seriamente”.

Episodio isolato, ma di notevole rilievo, quello accaduto nei primi giorni di mobilitazione. Gli studenti del corso di Finanza Aziendale del prof. Roggi si sono ritrovati a fare lezione in un’aula piccola; la situazione, poco agevole, è degenera-ta. Tra urla e spintoni, davanti l’edificio occupato, si cercava di “riconquistare l’aula perduta”: “Tut-to questo è assurdo – commenta una studentessa del corso – io non sono né di destra né di sinistra; so solo che è un mio diritto poter usufruire di un servizio per il quale ho pagato le tasse”.

Una realtà universitaria fatta di tante sfaccettatu-re. È solo scarso interesse oppure anche questa, in un certo senso, è una presa di posizione in cui ci si rende conto che continuare a protestare in questo modo non sempre porta a grandi risulta-ti? Sicuramente il non aver saputo coinvolgere le “maggioranza silenziosa” è una delle cause prin-cipali del declino che l’occupazione sta vivendo in questi ultimi giorni. Si poteva fare di più?

F.B. - F.C.

“Vogliamo continuare a studiare senza problemi” I perché dei non interessati alla protesta.

Testimonianze dei contrari all’occupazione.

Il Gazebo di Studenti per le Libertà durante l’occupazione

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L’UNIVERSITAREA

SERENA FOIS

Oltre ai gruppi di studio organizzati da Assemblea di Novoli – volti ad analizzare i vari aspetti e le possibili conseguenze della 133 con l’obietti-vo, poi, di formulare proposte per una “contro-riforma” del sistema univer-sitario, anche i docenti si sono inter-rogati su come “proseguire nell’ana-lisi della situazione universitaria, avvalendosi delle competenze disci-plinari presenti” e dunque “formula-re eventuali proposte che dall’analisi dovessero scaturire”. La decisione di aprire i gruppi studio – in principio limitati ai soli docenti - aveva l’in-tento di “dare visibilità sul sito della Facoltà alle analisi e alle eventuali proposte dei Gruppi di lavoro, al fine di contribuire alla conoscenza del mondo universitario e dei suoi pro-blemi, ancorare la discussione in atto nel paese alla conoscenza, dare voce agli attori dell’Università”. Gli stu-denti, però, non hanno preso troppo in considerazione tali “gruppi isti-tuzionali” e la loro adesione è stata poco rilevante. Sul sito della “Cesare

Alfieri” sono consultabili la compo-sizione e le eventuali relazioni dei diversi “gruppi istituzionali”:

Interventi del governo in materia di università: gruppo di lavoro com-posto dai professori Rossella Bardaz-zi, Giancarlo Mori, Maria Grazia Pazienza, Chiara Rapallini. Queste le conclusioni alla fine del loro elabo-rato: “L’insieme di questi interven-ti di natura finanziaria, fatto salvo l’art.16 della L.133, non riguarda in maniera specifica le Università ma si inserisce in un quadro di conteni-mento della spesa pubblica di portata

più ampia e quindi non ha i connotati di una riforma mirata ad affrontare i problemi del sistema universitario nazionale”.L’istruzione universitaria in chia-ve comparata: risorse e risultati: gruppo di lavoro composto dai pro-

fessori Valeria Fargion, Roberto Ricciuti, che si sono posti come obiettivo “quello di mettere in evidenza le risorse ed i risulta-ti dell’istruzione universitaria italiana rispetto a quella di al-tri paesi”.Offerta formativa, carichi di-dattici e attività extracurricula-ri della Facoltà di Scienze Poli-tiche: gruppo di lavoro composto dai professori Angela Perulli, Andrea Lippi, Sandro Landucci, Brunella Casalini.La trasformazione delle Uni-versità in fondazioni di diritto privato: gruppo di lavoro composto dai professori Cecilia Corsi, Laura Leonardi, Andrea Lippi, Maria Paola Monaco, Anna Pettini, Laura Sabati, Andrea Ventura, che a fine relazione rilevano : “La trasformazione delle Università in fondazioni va verificata sul campo, ma presenta molte ana-logie con altri settori dove si sono manifestate dinamiche analoghe: lo spostamento di un problema, le cau-se, che hanno condotto gli atenei a ridursi così, non vengono affrontate

dal testo legislativo, il quale lo dila-ziona al futuro mediante il traghetto dei contesti locali e della fusione tra le élite che vi sono presenti. Serve, in buona sostanza, una svolta contenu-tistica che affronti per davvero i nodi irrisolti dell’Università, che non af-fronti la trasformazione di questa solo come un problema di cassa dello Stato e ne delinei una funzione pub-blica come forma di investimento del governo centrale, invece che di dele-ga ai governi locali e alle generazio-ni future”.

I rischi della riforma: l’analisi dei docentiAlla ‘Cesare Alfieri’ anche gruppi di studio ‘istituzionali’

VISTI DA VICINOLA RISPOSTA DELLE ISTITUZIONI Come hanno reagito gli organi istituzionali alla protesta indetta dagli studenti? Nell’Ateneo fioren-tino i professori di Scienze Politiche hanno trovato, a loro modo, la possibilità di proporre analisi e formulare proposte attraverso gruppi di studio, aperti anche agli studenti.

GAETANO D’ARIENZO

E’ lunedì, al Polo di Novoli. C’è la quarta lezione della no-stop denomi-nata “33ore”. E’ Lorenzo De Sio a presiedere quella che sarà la lezione (delle 33 in programma) di maggior successo. Il titolo è “Elezioni politi-che 2006: ma non c’erano stati bro-gli?”Il docente di Metodologia della ricer-ca politica, precario, così esordisce: “In questi giorni ho riflettuto molto sul perché dare finanziamenti a me, ricercatore nel campo sociale... Perchè proprio io, che non sal-vo vite col mio lavoro!?”, si do-manda De Sio. “Beh la risposta la troverete in questa lezione” chiosa così la sua introduzione.Lorenzo De Sio non è un ricerca-tore qualunque, bensì il fondato-re di un blog: Titolo (“dica133”) e soprattutto sottotitolo (“contro

l’affondamento dell’Università”) la dicono lunga sugli intenti del sito.“Il blog è il manifesto della nostra ri-volta” – commenta – “E’ una rivolta mediatica, fatta da persone compe-tenti”. In rivolta, infatti, ci sono an-che loro: i ricercatori. Unitisi sotto la bandiera dell’appello anti-tagli, detta categoria ha trovato nel blog di De Sio il megafono della propria protesta. Perché è la comuni-cazione il primo ostacolo da abbatte-re: “Abbiamo avvertito l’ esistenza di un problema di comunicazione dei

media più diffusi” - confessa De Sio - “Internet in tal senso ci ha dato vi-sibilità, immediatezza e diffusione”.Aprendo la pagina del blog (www.di-ca133.wordpress.com) non è difficile capire come l’appello fatto attraverso queste pagine sia stato raccolto da migliaia di persone, in Italia e non solo. “Dica 133”, infatti, si presenta bene: Un prato d’erba verde sullo sfondo (“metafora della crescita del movimento!”); tanti commenti ed un elenco sbalorditivo di città, da Gi-nevra a Berkley, da Barcellona alla

London School, passando per Parigi. Limitarsi, però, ad essere un conteni-tore di malcontenti potrebbe risultare fine a se stesso. Che futuro spetta al movimento “dica133”? “Analizze-remo il decreto 180; dicono che au-menti il turnover dal 20 al 50%, ma lo fa non in base alla qualità della ricerca, bensì sulla base dei bilanci” lamenta il ricercatore fiorentino.Un passo indietro e siamo nuova-mente a quell’insolito lunedì. Sono le 13 e la lezione di De Sio sui brogli politici sta per terminare.

Slide di power point alla mano e riflessioni accurate in mente, De Sio non può deludere il suo pubblico che aveva lasciato in sospeso durante l’intera ora di spiegazioni. A cosa servono i fondi alla ricerca politica? “Tol-gono dall’ incertezza dei brogli un governo e salvano una de-mocrazia!”.

Gli studenti hanno snobbato i gruppi di lavoro dei docenti

“Dica 133”: il blog dei RicercatoriIl fondatore, De Sio: “Internet ci ha dato visibilità, immediatezza e diffusione”

Gli studenti non hanno preso troppo in considerazione i “gruppi istituzionali” e la loro adesione è stata poco rilevante

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L’UNIVERSITAREA NOVEMBRE/DICEMBRE 2008

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“Quale movimento?”: la lettura del prof. BozzoL’Onda e la difesa dello status quo

GAETANO CERVONE

Gli uomini si fermano e pensa-no solo quando la catena del fare si interrompe: sulla scorta dell’idea sviluppata da A. San-tambrogio, l’attuale momen-to di stasi della mobilitazione studentesca sarebbe la naturale conseguenza di un’Onda che, dopo aver cavalcato per più di un mese il panorama mediatico, s’interroga su stessa e sul suo futuro. Le proteste, le manife-stazioni, le occupazioni svilup-patesi in tutte le città italiane – per quanto diverse in risposta a specifiche esigenze di territo-rio – hanno trovato nella spon-taneità e nella trasversalità un comune filo conduttore: “Che siamo dinnanzi ad un movimen-to nel senso classico del termi-ne, proveniente dal basso, dagli studenti, nato più o meno spon-taneamente in risposta a misure paventate e in parte realizzate dal Governo è un dato di fatto” – commenta Luciano Bozzo, docente di Relazioni Interna-zionali presso la Cesare Alfieri, che però rilancia – “Tuttavia non posso accontentarmi di questa constatazione ed infatti mi chiedo se parte della prote-sta non sia legata ad una logica politica, come del resto è inevi-tabile e persino giusto che sia: sta di fatto che non appena un Governo di centro-destra adotta misure in materia universitaria scatta l’azione del movimento, viceversa, se misure nella so-stanza analoghe sono adottate dal centro-sinistra le aule uni-versitarie e le piazze rimango-no assai più silenti . Quando il Governo Prodi, solo per fare un esempio, ha dirottato parte dei fondi destinati alla ricerca a favore dei ‘camionisti’ che bloccavano l’Italia non ho visto grandi manifestazioni di piazza, ma soprat-tutto ricordo che scarsa o nulla fu l’attenzione pub-blica quando Or-

tensio Zecchino e Luigi Berlin-guer avviarono quella riforma del 3+2 che tanto male avreb-be fatto al mondo accademico con il proliferare di sedi uni-versitarie distaccate e di corsi di studio a misura dei docenti, seguito a quello degli Atenei”. Proprio l’aver saputo coinvol-gere parte del corpo docente, facendo così passare l’idea di un mondo accademico unito e compatto in difesa delle sue ‘cattive sorti’, dai più è conside-rata la caratteristica di forza del movimento, così come l’aspetto di cesura con le proteste passa-te: “Come docenti ci troviamo in una situazione per molti versi paradossale che ci vede prote-

stare contro… noi stessi! Visto che troppi degli effetti perversi della riforma del 3+2 sono stati causati da una parte del corpo docente” – rileva il prof. Bozzo, che aggiunge – “In un contesto del genere, stante la situazio-ne generale del Paese avviato verso la recessione, aggravato dalla presenza di una bella fetta di professori universitari e Ret-tori italiani implicati in vicende di corruzione e malcostume, tra cui l’ormai celebre‘parentopo-li’, il mondo accademico ha il dovere di chiedersi cosa ha fatto e può fare per l’Italia, se effet-tivamente meriti più attenzioni e con quale credibilità reclami oggi più fondi”. Quello descrit-to è dunque un mondo accade-mico che – vedendosi minac-ciato nei suoi interessi – cerca

di utilizzare qualsiasi difesa per attenuare il colpo, compresi gli studenti: “Mi duole constatare che, a fianco dello studente che scende in piazza per protestare contro il nepotismo e il malco-stume, ci sono docenti che han-no tratto e continuano a trarre massimo beneficio dall’attuale stato delle cose, persino dal proprio stato di parentela, cosa ormai nota all’opinione pubbli-ca e che ci dele-gittima” – affer-ma il prof. Bozzo, che dunque pare avvertire il rischio di un mobilita-zione studentesca incappata in for-

me di strumentalizzazione, ma-gari anche inconsapevolmente – “Penso che molti studenti vedano solo un aspetto della realtà accademica attuale, non abbiano sufficienti informazioni su come è stata attuata “a de-stra e a sinistra” la riforma del 3+2 e non sappiano che alcuni tra quei docenti che sostengo-no con maggiore entusiasmo la mobilitazione sono i primi be-neficiari del sistema presente, dunque non mi stupisce affatto che lo vogliano conservare im-mutato ”. Quella che emerge è dunque una generale situazione del mondo accademico, pros-sima all’esasperazione, ma che può esprimersi anche con forme ed idee del tutto contrastanti: “Senta, me lo lasci dire: che siano benedetti i tagli, reali o

minacciati” – con-clude il prof. Bozzo – “perché almeno ci costringono a metterci dinnanzi alle nostre respon-sabilità, togliendoci l’alibi delle incom-petenze del Ministro di turno, almeno spero ”.

VISTI DA VICINOUNA STRUMENTALIZZAZIONE INCONSAPEVOLE? La trasversalità della protesta – unità alla spontaneità del movimento – potrebbe anche involontariamente favorire logiche tese al mantenimento dello status quo: questa la tesi paventata dal prof. Bozzo

COSA HA LASCIATO L’ONDA Resta da capire se il movimento studentesco porterà avanti la protesta e attraverso quali forme; e presto gli studenti saranno chiamati alle urne per il rinnovo delle proprie rappresentanze negli organi di governo

Il riflusso dell’OndaGAETANO CERVONE

Un movimento spontaneo, trasversale ed aparti-tico, che ha dato prova di saper dialogare con le istituzioni, senza prestarsi a strumentalizzazioni, lanciando così anche un segnale ai futuri candidati Sindaco: è stato davvero tutto questo l’Onda che ha attraversato Firenze in questi due mesi? Pur non riuscendo nel suo fine ispiratore, ovvero l’aboli-zione della 133, o in quello di istituzionalizzare il movimento incanalando la protesta verso altre for-me, l’Onda ha comunque lasciato il segno nella re-altà accademica fiorentina, contribuendo a compli-care il panorama politico studentesco. Nonostante le apparenze, l’Onda si è mostrata estremamente frammentata: due mesi di proteste più o meno con-giunte, parallele, simmetriche non hanno sortito alcun effetto unitario, nonostante fosse la scelta più ovvia, semplice, giusta. Studenti di Sinistra ha continuato ad issare propri striscioni e bandiere ostentando, così, indifferenza dinanzi alle richie-ste di una protesta slegata da qualsiasi interesse di lista che proveniva da Assemblea di Novoli, dove – assieme ai Collettivi del Polo – confluiva invece Sinistra Universitaria, riuscendo – a tratti – a dare un’impronta moderata ad alcune pretese di chia-ra matrice Collettivi. Silenzio assordante, invece, quello che ha cullato Lista Aperta (seconda lista d’Ateneo più votata), una gravissima assenza che ha fatto così spazio – di contro – alla costante at-tività di Studenti per le Libertà, auto-proclamatisi garanti di quei diritti degli studenti che quotidiana-mente l’occupazione del D5 avrebbe leso, nonché tutori della legge e delle Istituzioni, delle quali – vedi il Pinocchio presentato in Consiglio di Facol-tà – si faceva poi beffe. La ferma condanna al gesto espressa dai Circoli del buon Governo, e l’assenza di un coordinamento con Azione Universitaria – la cui attività sul territorio era inversamente propor-zionale all’assidua visibilità mediatica del Presi-dente nazionale Giovanni Donzelli – mostravano, così, anche uno schieramento anti-occupazione (di centro-destra) tutt’altro che compatto. A poche settimane dalle elezioni studentesche que-sto è quanto ci ha consegnato il riflusso dell’Onda, restando in attesa di conoscere gli sviluppi di una protesta che in molti – fiduciosi – descrivono anco-ra viva e condivisa. Ai posteri l’ardua sentenza.

L’editoriale

Prof. Luciano Bozzo

“Come docenti ci troviamo in una situa-zione per molti versi paradossale che ci

vede protestare contro… noi stessi!”

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L’UNIVERSITAREAUNIVERSITA’ E STUDENTI

Parte il progetto “Non ti sottovalutare”Al via la campagna di sensibilizzazione per la valutazione della didattica

MARIA CONSIGLIA GRIECO

“Non ti sottovalutare”: questo il titolo della campagna di sensibiliz-zazione per la valutazione della di-dattica messa in atto dall’Università di Firenze per il nuovo anno accade-mico, oramai alle porte. Realizzata dall’Ufficio di Supporto al Nucleo di Valutazione della Didattica – in col-laborazione con Valdidat – l’iniziati-va è volta a valorizzare lo strumento e i risultati della rilevazione, tenuto conto dell’importanza che riveste, in termini di trasparenza e qualità, come ha sottolineato il prof. Alessandro Viviani – delegato del Rettore per la Qualità e la Valutazione – nella presentazione al lavoro “Le opinioni degli studenti frequentanti”: “Spesso questo processo di valutazione è stato considerato un “noise” burocratico; si tratta invece di un importante stru-mento di monitoraggio la cui utilità, nel contesto del riordino sistematico dell’offerta formativa, appare strate-gica”. Una campagna di sensibilizza-zione volta non solo ad evidenziare il valore di un questionario corretta-mente compilato, ma anche a pubbli-cizzare il più possibile i risultati dei

monitoraggi che riguardano i corsi di tutte le facoltà, giudizi che sono sud-divisi per anno accademico, facoltà, corsi di laurea e consultabili al link “Valutazione della didattica” presen-te in diverse sezioni del sito web di Ateneo, inclusa la sezione Studenti. Lo scorso anno accademico il tasso di copertura tra gli insegnamenti moni-torati e quelli programmati è stato ab-bastanza soddisfacente (66,48%) con un aumento significativo anche in ter-mini di schede raccolte: ben 105947, rispetto alle 97579 dell’a.a. 2006/07 e alle 94221 dell’a.a. 2005/06, a con-ferma – dunque – di un trend positivo che l’Università intende ulteriormen-te migliorare, puntando a raggiungere valori prossimi a quanto richiesto dal MIUR, ovvero il totale monitoraggio dei corsi previsti dalla programma-zione. I risultati relativi ai tassi di copertura – in riferimento all’anno accademico 2007/2008 – mostrano le Facoltà di Farmacia (77,78%) e Scienze della Formazione (72,37%) tra le più virtuose, mentre delle cri-ticità sono state rilevate nelle Facoltà di Medicina e Chirurgia (40,48%) e Scienze Matematiche, Fisiche e Na-turali (50,79%). Tuttavia, nel caso di

Medicina, le percentuali sono pres-soché allineate con quelle di altri Atenei italiani, come, ad esempio Pa-dova, dove infatti la percentuale non supera il 41% a fronte di un tasso di copertura di Ateneo che nel 2006/07 ha raggiunto quota 73,2%. Un compito difficile, dunque, quello del totale monitoraggio degli inse-gnamenti previsti, reso ancor più ar-duo dalla presenza di sedi distaccate e corsi mutuati; nessun Ateneo italiano – al momento – è riuscito ad ottem-perare a questa richiesta, ma l’Università di Firenze si sta adoperando per riuscirci nel più b r e v e

tempo possibile: la campagna di sen-sibilizzazione è chiara espressione di questa volontà, alla quale farà da sostegno l’attivazione del progetto servizio civile “Vali di più” – pre-disposto ed attuato per iniziativa dell’Ufficio di supporto al Nucleo, che vedrà i sei volontari impegnati in tutte le fase della procedura, dal rilevamento all’elaborazione, dalla diffusione all’utilizzo dei risultati.

Il Primo Reality Show di Facebook è targato FirenzeIntervista a Janet Pitarresi, giovane ideatrice del progetto

FRANCESCA PARDOGIOVANNA PIAZZA

La nuova frontiera del web si chia-ma Facebook. E’ un social network come tanti, ma la sua struttura si presta all’immediata diffusione di idee, come quella di Janet Pitarresi, studentessa 23enne di Giurispru-denza a Firenze, ideatrice del pri-mo reality show online in Italia (http://www.facebook.com/group.php?gid=40152702149&ref=ts). Il regolamento prevede la partecipazio-ne di 20 concorrenti selezionati tra chi ha inviato presentazioni che rap-presentino “un po’ tutte le persona-lità esistenti all’interno della società contemporanea”. Quale sarà il profi-lo dei concorrenti? “Persone comu-ni, che hanno voglia di condividere il proprio pensiero e di confrontarsi con gli altri”. Il gioco inizierà nei primi mesi del 2009 e avrà durata di 2 mesi circa, al termine dei quali ver-rà eletto un vincitore. La giuria, ogni

settimana, proporrà un tema socio-culturale, sul quale i concorrenti do-vranno produrre un video o un artico-lo, che sarà oggetto di valutazione da parte degli iscritti al gruppo, oggi più di 2000, che dovranno anche decide-re progressivamente chi eliminare. Tra loro, un ruolo importante avran-no gli opinio-nisti, non tan-to per il loro voto – che avrà il me-desimo peso degli altri – ma per l’au-torevolezza dei commenti sui video o gli articoli che riterranno più interessanti. Queste “fi-gure particolari, al di là dell’essere famosi o meno, per il lavoro svolto e per l’esperienza acquisita negli anni, sono portate a confrontarsi

continuamente con gli altri e proprio per questo motivo possono esprime-re valutazioni più incisive sulle idee altrui”. Spiccano nomi famosi come Jocelyn Hattab, registra e conduttore televisivo, Alessandro Zaccuri, gior-nalista, o Danilo Fumiento, inviato de La Vita in diretta. Janet ci spiega

che, prima di lanciare il pro-getto, aveva già scambiato qual-che messaggio su Facebook con qualcuno di loro: “non ho avuto parti-colari difficoltà nel reclutare gli opinioni-sti, d’altronde questa sorta di reality online è

un esperimento aperto a tutti”. Un esperimento che incuriosisce e coin-volge in qualità di opinionisti anche l’Assessore regionale alle professioni

della Toscana, Agostino Fragai, che dichiara: “Le idee creative meritano di essere incoraggiate, e questa lo è sicuramente” e il Senatore Achille Totaro, per il quale “un reality on-line è sicuramente un interessante mezzo di comunicazione, di diffusio-ne immediata di idee e di pensieri e una pronta occasione di dibattito, vero confronto democratico”. Chie-diamo a Janet quali siano le sue at-tese: “mi auguro di riuscire a creare uno strumento che dia la possibilità di un arricchimento personale attra-verso il confronto con gli altri su temi di carattere sociale e culturale. Non mi aspettavo di certo che avrebbe avuto tutta questa risonanza, adesso è diventata una scommessa con me stessa”. Il premio finale per il vinci-tore? “Per ora è un segreto”. L’Uni-versitArea Online parteciperà come pubblico votante e offrirà un collega-mento diretto al reality corredandolo con commenti della Redazione e con il diario settimanale di Janet.

Janet Pitarresi

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L’UNIVERSITAREA NOVEMBRE/DICEMBRE 2008

MATTEO BRIGHENTI

Qual è la realtà della clownterapia al Meyer?“Ogni giorno ci sono due clown. Il loro obiettivo è quello di interagire con i bambini e di creare delle situa-zioni divertenti per supportarli nel doloroso momento di ospedale. Han-no dei turni e a rotazione si muovo-no nei reparti. Se poi c’è bisogno, su chiamata accorrono per supportare un bambino per una richiesta speci-fica”.

Studi medici confer-mano che ridere dimi-nuisce la percezione del dolore. Guarisce più una risata di un analgesico?“No, di più no. Dicia-mo che gli effetti far-macologici e quelli non farmacologici si combi-nano e si potenziano a vicenda”.

Come sono visti i ‘camici colorati’ dai ‘camici bianchi’?

“I clown sono visti come parte integrante della cura. I loro interventi accompagnano le nor-mali attività ospedaliere. Quindi sono visti assolu-tamente bene, anzi sono molto richiesti, perché sono un aiuto per il per-sonale sanitario”.

Perché l’intervento di un medico clown riesca

è necessario guadagnarsi la fiducia del bambino. Come ci riescono?

“I clown fanno un lavoro persona-lizzato sul bambino. Noi osserviamo che il clown punta l’attenzione sulla parte sana del bambino, non quella malata, ospedalizzata. Il clown cali-bra il suo intervento su quello che il bambino desidera fare e se il bambi-no non ha voglia di giocare il clown cambia stanza”.

La chiamano ‘terapia del sorriso’, ma si tratta di una vera e propria ‘terapia’?“Questa è un’ottima domanda. No, non è terapia del sorriso, come noi non facciamo musicoterapia o pet therapy. E’ un’attività rivolta al be-nessere del bambino, però non ha uno scopo terapeutico”.

MATTEO BRIGHENTI

Una promessa è un debito d’amore.“Per me – dice Ca-terina – non è una questione di lavoro. Io celebro Stefano, il mio compagno, morto a 39 anni per un cancro ai pol-moni. Lui ha voluto lascia-re a me la sua vita, la sua licenza di tassista, ed io lo rendo partecipe ogni giorno di quello che mi ha donato”. “Tu sarai Milano 25’’ le ave-va detto prima che il cancro se lo portasse via. Un’eredità divenuta per Caterina il sen-so della vita.

‘Milano 25’. Più che un taxi, una favola adibita al tra-sporto pubblico. La Firenze disegnata sulla carrozzeria è un’esplosione di colori, sotto gli occhi attenti dei fanali, racchiusi in un paio di picco-le ciglia. I sedili verde pisel-lo, giallo, arancione, fucsia, accolgono caramelle, lecca lecca e una chitarrina classi-ca. Al posto del pistillo, i fiori hanno una faccia che sorride. Sbocciano dappertutto: dai finestrini, dalle portiere, dal volante. Due schermi piatti, incastonati dietro i poggiate-sta, stamattina rimandano le immagini di ‘Trilli’, il film d’animazione dedicato alla fatina di Peter Pan. Dal lu-notto occhieggiano peluche

di tutti i tipi, ognuno con un nome ap-peso al collo. “Alcuni – racconta Caterina alla guida di ‘Milano 25’ - hanno i nomi dei bambini che si sono ‘trasformati’. At-traverso i pupazzi mi resta un

pezzettino di loro. Dietro la tua testa, invece, c’è Bachi, me l’ha regalato il babbo di Barbara”. Barbara è la bam-bina che ci aspetta al nuovo Meyer. Primo piano. Reparto oncoematologia.

L’attività benefica di ‘Milano 25’ legata ai bambini nasce da una corsa con Barbara e Paolo Bacciotti, fondatori della ‘Fondazione Tomma-sino Bacciotti’, dedicata al piccolo Tommaso, per lo studio e la cura dei tumori cerebrali infantili. “Li ho in-

contrati per caso – afferma Caterina – Ho chiesto cosa potevo fare per aiutarli e loro mi hanno risposto che un taxi per accompagnare

i bambini malati di cancro non c’era”. Iniziano così le corse gratuite per il Meyer. ‘Milano 25’ oggi è anche una Onlus, creata per inseguire il sogno più grande: aiutare ogni bambino malato a tro-vare, attraverso il dolore, il proprio talento. Di oncologo, perché no. “Io penso – osser-va Caterina - che un bambino sopravvissuto al cancro, se si mette a studiare Oncologia può diventare un oncologo davvero motivato, perché i bambini se li vedono morire i vicini di letto, non è vero che

non se ne accorgono, fanno finta, ma se ne accorgono. Io dico sempre ai miei bambini che è importante che vadano all’Università e che la vivano come una possibilità di cam-biare le cose. Senza strumen-ti non puoi cambiare le cose e allora le vivi con gli schemi di altri. Dobbiamo smettere di comprare gli schemi che altri hanno fatto, vite che poi non ci renderanno felici”. Caterina all’Università non c’è mai neanche entrata, per paura, e non vuole che i suoi bambini facciano lo stesso errore. Non vuole che abbia-no paura anche loro. Un po’ Alice, un po’ Mary Poppins, un po’ Mago di Oz, Caterina ha costruito il suo ‘personaggio’ fino a diventare un clown medi-co ‘viaggiante’, una tassista alla Patch Adams e di Patch Adams, quando l’inventore della clownterapia l’anno scorso è venuto a Firenze. Un ‘personaggio’, però, che non l’abbandona mai, nem-meno quando, sola, a casa, si spoglia del cappello in fiore tutto l’anno, del man-tello che cambia colore a seconda di come lo guardi,

delle collane e dei bracciali che suonano mentre cammi-na. “Non sono più quello io – commenta Caterina - Una vita ‘normale’ accanto a una persona non ce l’ho più, ma se cominciassi a pensare a quello che non ho più, non potrei vedere quello che ho: una vita straordinaria. Mo-rirei ogni giorno per quello che sto facendo. Io su questo taxi ho creato una nuova vita e perché questo è successo non te lo so dire, mi è venuto più facile che ricostruire una vita normale. Se fosse più giusta vivere una vita ‘nor-male’ non lo so. Quello che so è che vado avanti su quel-lo che posso fare”.

La vita dipende da dove si mettono i piedi. Forse è per questo che i tappetini di ‘Mi-lano 25’ sono una scacchiera. Spazio su uno stesso qua-drato, però, non ce n’è: sul-la strada guidata da ‘Milano 25’ il bianco è bianco perché c’è il nero e il sorriso esiste perché esiste il cancro. Chi si siede alle spalle di Cateri-na arriva così molto più che a destinazione: nella somma degli opposti ricostruisce se stesso.

Per inviare lettere o suggerimenti: [email protected] Per approfondire: www.milano25.com, www.tommasino.org, www.meyer.it

LA MIA CITTA’a cura di Matteo Brighenti

LA MIA CITTA’

“I clown sono parte integrante della cura”Intervista alla psicologa Simona Caprilli, Servizio di terapia del dolore del Meyer

Il taxi delle meraviglieCaterina, ‘Milano 25’: “Morirei ogni giorno per quello che sto facendo”

Il nuovo Meyer

Caterina e ‘Milano 25’

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10 www.unistudi.eu

L’UNIVERSITAREANOVEMBRE/DICEMBRE 2008

IN ITALIAa cura di Paola Barile

Per inviare lettere o suggerimenti: [email protected] Per approfondire: http://www.giornalisticamente.net/bloghttp://www.articolo21.infohttp://odg.it

IN ITALIA

Giornalisti scomodiIntervista a Ciro Pellegrino, redattore politico de Il Napoli

PAOLA BARILE

Quello dei giornalisti minacciati dalla criminalità organizzata o costretti a veder limitata la propria libertà di espressione, è un fenomeno che l’Italia sperimenta da molto tempo e del quale tuttavia non si parla ancora a sufficienza. Le ragioni paio-no essere molte, in primis il fatto che una parte del Paese sembra ancora non riconoscere come pro-pri i problemi che attanagliano il Sud Italia. Per avere una testimonianza diretta di cosa significa oggi fare giornalismo al Sud abbiamo contattato

Ciro Pellegrino, redattore politico del quotidiano il Napoli, stesore e promotore di una “carta deon-tologica anti- camorra per giornalisti”.

Cosa pensa della città e della politica di Napo-li?Bisognerebbe partire almeno dagli anni Ottanta per spiegare attraverso il progressivo degrado della città, il ruolo di una classe politica la cui colpa principale è stata, secondo me, quella di non essere mai riuscita a trasmettere il concetto dello Stato di diritto. Napoli è cartina di tor-nasole della politica italiana e seppur faticoso e per certi versi pericoloso, è sempre entusia-smante lavorarci. Come diceva un mio vecchio capo cronista: sei fortunato, c’è sempre notizia, a Napoli.

C’è una differenza tra lo svolgere la profes-sione del giornalista al Nord o al Sud Italia?Sì, c’è, ed è una differenza di cui faremmo vo-lentieri a meno. Se il fenomeno del giornalismo “appiattito” verso la politica non è soltanto tipi-co del Mezzogiorno, è verissimo che questo fattore al Sud si interseca con altri tipi di influenze, quali quelle che possono essere della micro e macro cri-minalità: è noto ed è dimostrabile che nei giornali, più i piccoli che i grandi, sono frequentissimi i casi di intimidazioni dirette e indirette. Cosa comporta è presto detto: giornalisti cauti fino a diventare in-nocui, terrorizzati alla sola idea di “dispiacere”.

Molti giornalisti sono stati minacciati dalla criminalità organizzata e vivono sotto scorta. Cosa si prova a non poter svolgere serenamente il proprio lavoro?Secondo me il giornalista non dev’essere sereno di natura. Dev’essere inquieto, un’antenna pian-

tata su un territorio e capace di percepirne ogni minimo sussulto. Rifletto su cosa possa significare vivere sotto scorta quando vedo alcuni dei nostri colleghi, e penso a Rosaria Capacchione, a Lirio Abbate, costretti a tirarsi dietro gli agenti anche quando vanno a prendere un caffè. Non è vita si-curamente, ma è ancor meno “vita” cedere il frutto dell’impegno di un’esistenza intera - quella vo-glia di vedere, capire e spiegare - all’inaccettabile idea che la violenza alla fine prevalga sempre.

Avverte, o ha avvertito parlando con i suoi col-leghi, il disinteresse dello Stato e dell’opinione pubblica verso la vostra attività?No, non c’è disinteresse. Ma chiariamoci: cosa si-gnifica interesse nei confronti del lavoro giornali-stico, specie quello per così dire, di “frontiera”, di “strada”? Quel che può sembrare dall’esterno per certi versi affascinante, ovvero il cronista che sfida la camorra ed è costretto a finire sotto scorta per me è la più brutta delle immagini: quella di un Pa-ese dove la libertà di espressione in certi frangenti è seriamente compromessa.

Perché ha ritenuto necessario presentare una carta deontologica anti- camorra per i giorna-listi? È una cosa cui tengo molto. L’ho chiamata “mode-sta proposta” proprio per far capire che si tratta di un documento “open”, ovvero aperto al contributo di tutti. La carta deontologica è stata presentata a novembre a Casal di Principe, nell’ambito di un incontro promosso da Ordine dei Giornalisti e Fe-derazione Nazionale della Stampa. Si propone di fissare dei paletti, dei punti-chiave nella scrittura, ad uso soprattutto di coloro che si stanno avvicinan-do adesso al giornalismo. L’ho scritta, postata sul mio blog giornalisticamente.net, spedita a qualche amico e il giorno dopo Roberto Natale, presidente

della Fnsi [Federazione Nazionale Stampa Italia-na, NdR] ed Enzo Iacopino, segretario dell’Odg [Ordine dei giornalisti, NdR], mi hanno chiesto di portare il mio “suggerimento” all’incontro caser-tano. Detto, fatto. Ora lavoreremo insieme affin-ché si giunga ad un testo condiviso.

Cosa pensa del fenomeno dell’ “auto- censura”, praticato da alcuni giornalisti? Le faccio un esempio personale. Recentemente un politico italiano mi ha citato civilmente, chie-dendomi un tot di euro perché secondo lui, in un articolo lo avevo preso in giro, parlando di alcune spese “strane” all’interno dell’organo amministra-tivo che lui aveva e ha il compito di amministra-re. Ora sono in attesa che il tribunale si pronunci, ma come dovrò trattare in questo lasso di tempo la vicenda? Dovrò mettere, come si dice a Napoli

“carne a cuocere” innescando nuove polemiche oppure anche in presenza di fatti notiziabili do-vrò star zitto per quieto vivere?

Alberto Spampinato ha proposto la creazio-ne di un Osservatorio sui giornalisti minac-ciati dalla malavita organizzata. Che utilità potrà avere? Ho sentito Alberto Spampinato nei mesi scorsi, ho avuto la fortuna di conoscerlo a Caserta, è una persona straordinaria e piene di idee, sono sicuro che il costituendo Osservatorio che na-scerà in seno a sindacato e Ordine professiona-le, sarà uno strumento utilissimo soprattutto per il monitoraggio delle realtà che in tutt’Italia, non solo al Sud, preoccupano.

Cosa pensa di Roberto Saviano?Lo apprezzo tantissimo per la testimonianza che attraverso “Gomorra” ma anche attraverso la sua aperta sfida ai clan del Casertano l’ha portato a sa-crificarsi, finendo sotto scorta. D’altra parte sarò sincero, non posso non avere dubbi su quello che viene chiamato giornalismo ma secondo me è for-tissima suggestione letteraria, ma di giornalismo ha poco e nulla: in “Gomorra” non ci sono fonti citate ed è una cosa che per me è inaccettabile, se si vuol parlare di giornalismo. La letteratura è ov-viamente un’altra cosa e in quel senso il libro di Saviano è la straordinaria testimonianza che noi tutti conosciamo.

“Penso a Rosaria Capacchione, a Lirio Abbate, costretti a tirarsi dietro gli agenti anche quando

vanno a prendere un caffè”

“E’ noto ed è dimostrabile che nei giornali sono frequentissimi i casi di intimidazioni dirette e indirette”

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L’UNIVERSITAREA NOVEMBRE/DICEMBRE 2008

NEL MONDOa cura di Francesca Pardo

Per inviare lettere o suggerimenti: [email protected] Per approfondire: www.iucn.org, www.balkanspeacepark.orgwww.sanparks.org, www.peaceparks.orgwww.parks.it, www.upeace.org

NEL MONDO

I Parchi della Pace: un progetto che unisceAncora una volta l’ambiente tocca tutti i grandi temi dello sviluppo e della pace

FRANCESCA PARDO

Pace non è solo l’antitesi di guerra. Tra i tanti utilizzi del termine vi è altresì quello teso a indicare la pace con se stessi, un’emozione che può scaturire anche solo dalla gioia espe-rita ammirando la bellezza della na-tura, ad esempio quella di un parco. Magari questo stesso parco potreb-be denominarsi Parco della Pace. In molti potrebbero pensare a un sogno o ad un progetto immaginario. Questi parchi, invece, esistono e non sono neanche una realtà così recente.Si sa che una buona gestione della na-tura è inevitabilmente connessa alla lotta alla povertà, alla sicurezza ali-mentare, alla risoluzione dei conflitti per l’uso delle risorse e a molto altro. Ma cosa sono i Parchi della Pace?L’International Union for the Con-servation of Nature and Natural Resources (IUCN) li definisce aree protette transfrontaliere ufficialmen-te preposte alla protezione e al man-tenimento delle diversità biologiche, delle risorse naturali e culturali e alla promozione della pace e della cooperazione. Sono insomma aree che si estendono attraverso i confi-ni di due o più stati, all’interno del-le quali confini politici e fisici sono aboliti, pur mantenendo intorno al parco i confini fisici per evitare il passaggio di persone non autorizzate tra uno stato e l’altro; testimoniano la volontà di cooperazione fra gli stati interessati. Questi Parchi non van-no intesi come unicamente legati al mondo dell’ambientalismo, ma sono una realtà importante da tener pre-

sente anche per la ge-stione e prevenzione dei conflitti, in quanto coinvolgono comuni-tà, operatori, enti di gestione, enti locali e governi nazionali.Molti i parchi di que-sto tipo. Nel 2001 l’IUCN individuò più di 600 aree protette in 113 paesi, già attive o potenzialmente inse-ribili in progetti di parchi transfron-talieri per la pace. Il primo, creato al confine tra Svezia e Norvegia, a Morokulien, in un momento in cui le relazioni tra le due nazioni erano dif-ficili, risale al 1914. Sono, invece, 76 gli anni trascorsi dall’istituzione del Waterton-Glacier – nato dall’unione del Waterton Lakes National Park canadese e del Glacier National Park statunitense – e dell’International Pe-ace Garden, tra gli Stati del Nord Da-kota e di Manitoba. Questi sono i pri-mi parchi, e forse anche gli unici, che hanno come scopo prioritario quello di fungere da simbolo d’amicizia e pace fra le due nazioni confinanti (in entrambi i casi tra Canada e Stati Uniti). Infatti, l’incoraggiamento al turismo, allo sviluppo economico e la pacificazione tra nazioni confinanti sono solitamente conseguenze, non le ragioni principali per la creazione dei Parchi, che consistono invece nel-la preservazione delle tradizionali vie di migrazione animale e nella garan-zia di cibo e acqua sufficiente per la crescita della popolazione.Quest’ultimo è lo scopo principa-

le per-s e g u i t o nell’isti-t u z i o n e dei parchi africani. Qui il WWF, in-sieme al suo fon-datore, il pr incipe Bernhard d’Olanda ( 1 9 1 1 -

2004), e al suo presi-dente, Anton Rupert (1916-2006), imprendi-tore miliardario e con-servazionista, costituì nel 1997 la Fondazione per i parchi della pace, attivamente supportata da Nelson Mandela – primo Presidente del Sudafrica dopo la fine dell’apartheid e Pre-mio Nobel per la Pace

nel 1993. Il primo Parco dell’Africa, il Kgalagadi Transfrontier Park, nac-que nel 2000 dall’unione del Gem-sbok National Park (Botswana) con il Kalahari Gemsbok National Park (Sudafrica). Dal 2000 a oggi molti altri parchi sono stati istituiti ma il più conosciuto è sicuramente il Gre-at Limpopo Transfrontier Park, nato nel 2004, il quale, con i suoi 35 mila kmq, unisce i par-chi di ben tre Stati: il Kruger National Park (Sudafrica) – uno dei più antichi parchi del mondo, fondato nel 1896 – il Go-narezhou National Park (Zimbabwe) e la provincia di Gaza (Mozambi-co). Il nome viene dal celebre fiume Limpopo, che per secoli è stato considerato una fron-tiera naturale tra l’Africa australe e quella centrale. Si tratta di un Parco che costituisce indubbiamente un sofisticato esempio di salvaguardia della natura: 2 mila leoni, 10 mila elefanti, 40 mila zebre, 505 specie di uccelli, 116 specie di rettili, 2 mila fa-miglie di piante e molto altro ancora.A differenza dell’Africa, dove i Par-chi della Pace sono molto diffusi, l’America centrale può vantare solo un Parco di questo tipo: il Parco In-ternazionale La Amistad, creato nel 1988 fra la Costa Rica e Panamá. Ancora in corso i negoziati per creare un Parco della Pace tra Stati Uniti e Messico, unendo il Big Bend Natio-nal Park con le aree protette messi-

cane di Maderas del Carmen e Cañon de Santa Elena. Ma non è il solo progetto che attualmente si discute. Tra i tanti, basti ricordare gli sforzi affinché si giunga ad un Parco della Pace che abbracci lo Stretto di Bering tra Stati Uniti e Russia e la campagna per creare un Parco nel ghiacciaio del Siachen, protagonista della guerra territoriale tra India e Pakistan che va avanti dal 1984.Alcuni studiosi ritengono la caratte-ristica della transnazionalità un po’ riduttiva, preferendo estendere il concetto anche a quelle aree protette che si trovano in territori fortemente colpiti dalla guerra civile, come ad esempio l’area di Laj Chimel in Gua-temala che Rigoberta Menchú Tum – pacifista guatemalteca Premio Nobel per la Pace nel 1992 – ha proposto come riserva ecologica per la pace e centro di riconciliazione. Infine, nel

concetto si può includere anche la so-lidarietà espressa tra parchi di diversi paesi non confinanti, come alcuni ge-mellaggi italiani con parchi stranieri situati in zone di conflitto, o progetti di cooperazione come quello del Par-co Nazionale delle Cinque Terre che appoggia cooperative di donne isra-eliane e palestinesi vendendo i loro prodotti.Insomma, ancora una volta, in que-sto caso attraverso l’esperienza dei Parchi della Pace, l’ambiente tocca questioni che colpiscono in modo trasversale tutti i grandi temi dello sviluppo e della pace, una pace que-sta volta colta nel suo significato so-ciologico come contrario e assenza di guerra.

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L’UNIVERSITAREANOVEMBRE/DICEMBRE 2008

TOMMASO TOMBELLI

In questo spazio avete letto di Pupi Avati che incontra aspiranti attori, del Festival del Diritto di Piacenza, di Milena Gabanelli che dice “non mollate”.Noi non molliamo e siamo andati al Festival dei Popoli, a Firenze. Questa rassegna è per molti versi speciale. E’ nata nel 1959 sulle rive dell’Arno e

proietta documentari, non film. Fin qui niente di strano, penserete: sba-gliate.Sbagliereste se pensaste ai documen-tari come ad un film dove non accade niente, dove non muore nessuno e l’eroe non vince mai. Accade sempre qualcosa, ma manca allo spettatore l’immediata percezione, quella cine-matografica, della sensazione “cotto e mangiato, digerito e poi dimenti-cato”. Potremmo dire che ti scoppia dentro una bomba che però non fa rumore, senza apparenti conseguenze né improvvisi effetti collaterali. Ma non è così: la consapevolezza e la coscienza sono beccate con le mani nella marmellata. Perché, da quel momento in poi, la visione non è più la stessa, le storie che non conoscevi esistono e – tu – da oggi sei un po’ i loro occhi, il fratello un tempo di-stante, pigro e distratto.Qua si muore per davvero, quando parte un colpo di pistola ed un uomo cade: non si rialzerà. Si è respirato in sala l’odore delle macerie di “Mou-jarad Raiha”; quei corpi sepolti non hanno mai avuto ordini impartiti da un regista, ma solo da madri che ora scavano, scavano ed esistono per quello.In “Tijuana” abbiamo assistito alla paura di libertà, quando la frontiera diventa un nemico con il quale convi-vere, perché non si può superare.Il cinema ha messo la sua mano mi-gliore, ma in modo imparziale, di-

staccato; l’ha messa giusto, talvolta, nel colore, nelle forme: ha portato il documentario dal sarto lasciandolo libero di sce-gliere cosa in-dossare.Il digitale è il futuro del ci-nema, il dna in comune di lin-guaggi diversi. Il Festival non si è limitato a parlare il fran-cese dei fran-cesi, ma anche il francese dei marocch in i , il francese dei tunisini, e soprattutto il francese dei tedeschi, il francese de-gli italiani, il francese dei messicani: ed è come se una gomma cancellasse la parola “francese”. Anche questo ha permes-so la direzione artistica di Luciano Barisone, con un innato rispetto per il suono colorato delle immagini.

Molti degli artisti in concorso erano giovani, emozionati portatori – come Magi – di un dono privato da lasciare

sotto il grande schermo, per tutti.Il documentario non è un prodotto freddo, che ha il solo compito di te-stimoniare la vita che accade, ma ha la matura coscienza di interpretarla, di far nevicare in piena estate, poe-

sia sulle giacche degli spettatori im-mersi nella visione. “La favola del pennello”, cortometraggio del regista

svedese Andreas Kassel, interpre-tato da un dolce Tonino Guerra, dischiude que-sto pensiero. Le parole del poeta romagnolo rac-contano, testi-moniano, foto-grafano dei versi di poesia scritti dal paesaggio, dai ricordi: vita vissuta. La realtà è stata compresa, afferrata, inter-rogata, ospitata in questo spazio privato; qua si è sciolta, aperta, confessata, sen-

za applausi forzati, né ringraziamenti troppo speciali. Il Festival dei Popoli è tornato dalla foresta con un messag-gio: c’è un rivo d’acqua limpida che sgorga là nel bosco, non facciamolo prosciugare.

IN SOCIETA’a cura di Tommaso Tombelli

Riflessioni di fine serata al bar dell’OdeonDue parole con Laura, spettatrice casuale della rassegna

Per inviare lettere o suggerimenti: [email protected]

Per approfondire: www.unistudi.eu/cinematoma, www.festivaldeipopoli.org

IN SOCIETA’

Private emozioni condivise al Festival dei PopoliIl documentario esiste: da oggi possiamo esprimerci

“Il digitale è il futuro del cinema, il dna in comune di linguaggi

diversi”

TOMMASO TOMBELLI

Come ti è sembrato il Festival?Non avevo mai visto documentari così; non pensavo che potessero essere dei piccoli film. È stata una bella sor-presa, anche se non ti nascondo che non ero abituata a stare in una sala cinematografica per soli venti minuti, lasciando che fossero le immagini a costruire una sto-ria.

Quindi immagino la difficoltà a seguire alcune proiezio-ni…Alcuni sono state davvero incomprensibili, soprattutto per la scelta di omettere l’audio e raccontare, solo at-traverso le immagini, determinate realtà che almeno io personalmente conosco davvero poco. Mi sono trovata spaesata, ma ho resistito e – alla fine – ne è valsa sicu-ramente la pena.

Il documentario è una denuncia. Come ti poni nei con-fronti di certe tematiche trattate?È vero, il documentario è denuncia, ed alcune proiezioni erano interamente incentrate su questo. Quando torni a casa, magari ripensi a quello che hai visto, ma purtroppo non fai fatica a dormire. Comunque, esserci è stato im-portante. Mi ha colpito molto “Distancias”, un cortome-traggio che racconta il viaggio di poveri clandestini dal profondo sud del mondo verso il confine, anche solo per accarezzarlo giusto un attimo. Ma ci sono state proiezio-ni come “La favola del pennello”, una bella testimonian-za che all’apparenza non sembra un documentario di de-nuncia ma solo un dolce racconto. Poi invece ti accorgi che anche quello è un modo di denunciare.

La denuncia della propria nostalgia.

La locandina del festival

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L’UNIVERSITAREA NOVEMBRE/DICEMBRE 2008

ZETA come CULTURAa cura di Matteo Brighenti e Tommaso Tombelli

ZETA COME CULTURA

PAROLE in LIBERTA’ “Il tema si perde, come in un bicchier d’acqua”

Graziano Staino, Firenze e gli “sguardi di Ofelia”

JONATA TELLARINI

Il tuo lavoro predilige il formato sintetico, l’espressionismo visuale, l’immediatezza del-la scoperta visiva. Quali i meriti e quali i li-miti di questa scelta?“I pregi della scelta sono da ricercarsi nella possibilità di derivare dalle immagini una inten-sità che il lungometraggio per sua natura non consente. La stessa potenza delle immagini è in grado di sostituirsi all’elemento narrativo che ho sempre preferito escludere dai miei lavori. Intendo il cortometraggio come un concentrato di sensazioni poetiche, come una esperienza ar-tistica che consenta di lavorare maggiormente sulla fotografia, sulla sorpresa, portando anche all’estremo il lato sperimentale”.Tu produci materiale di nicchia che richiede pazienza intellettuale e disponibilità d’ani-mo. Quali sono i circuiti commerciali in cui i tuoi lavori si inseriscono? Quali gli effettivi sbocchi di visibilità?“Le strade che il prodotto segue sono diverse a seconda che si tratti di cortometraggi o di vide-oclip. I primi, nonostante diano grande soddisfa-zione al momento realizzativo, hanno pochissime possibilità di distribuzione commerciale nonché poche possibilità d’essere visti se non attraverso i Festival, totalmente dipendenti da finanziamenti europei e dagli sbocchi ben limitati. Per quanto riguarda il video musicale molto dipende dall’ar-tista col quale lo hai realizzato e dal suo poten-ziale commerciale. Non trovo che il discorso sulla complessità del mio materiale, quale limite ad una sua gran diffusione, valga particolarmente per i videoclip. Credo che anzi un video musicale debba avere degli elementi ulteriori rispetto alla musica che supporta, a differenza di quello che succede

con le gran-di produ-zioni, nel-le quali avviene il contrar io . A l l ’ e s t e ro tanto più un video appa-

re particolare tanto più sono le sue possibilità di successo. In Italia avviene l’inverso se pensi che i video di Cesare Cremonini su “Youtube” vengo-no visualizzati dal quintuplo delle persone che si soffermano sui video degli Afterhours. Nemmeno fosse un figo”.Quest’anno ti sei legato agli Afterhours. Gli ef-fetti sono stati sorprendenti; i chiaroscuri ros-

seggianti, le ombre dense di liquido, i volti dei membri della band degradati dal buio. Credo che le tue immagini, compenetrando la materia sonora, abbiano reso la loro musica decisamen-te più spettrale e torbida. Era il tuo intento?“Sicuramente alcune atmosfere noir del disco (“I milanesi ammazzano il sabato”, NdR) hanno influito sul carattere cupo e visionario dei video da me realizzati. Dipendendo le decisioni circa i contenuti dei video non solo da me, ma anche da Manuel (Agnelli, leader degli Af-terhours, NdR) il risultato è da con-siderarsi come l’incontro delle nostre idee. Sicuramente i video precedenti mai erano stati all’altezza degli Af-terhours, soprattutto quando c’era ancora Mescal di mezzo. Loro cerca-vano immagini visionarie e d’impatto ed hanno pensato a me”.Trovo assai significativo quanto da te dichiarato relativamente al docu-mentario “Lo sguardo di Ofelia”: “Il tema si perde come in un bicchier d’acqua, quasi trascurato, come scomodo pretesto per par-

lare d’altro”.“L’idea era quella di fare un documentario sulla figura di “Ofelia”, in occasione del “Festival di Ofelia” da me diretto, composto da una serie di interviste sul personaggio, dalle quali si potesse evincere la tendenziale ignoranza degli intervista-ti sull’argomento, abbinate alle immagini dell’af-fogamento di una ragazza rappresentante “Ofe-

lia”. Il video ha ricevuto un’unica recensione in occasione della presentazione al “Torino Filmfestival”, la quale sottolineava sì la bontà della trovata, ma anche il fatto che il tema si fosse disperso durante la proiezione…”.Vorrei sapere qual è il tuo rapporto artistico con la città di Firenze. Perché questa città com-prime il proprio vitalismo in eventi sporadici e disorganici, incapaci di produrre opinione e cultura contemporanea?“Credo che per un artista il grande vantaggio di lavorare a Firenze sia rappresentato dalla quasi totale mancanza di eventi ed iniziative di natura culturale. Ciò permette alle poche atti-vità organizzate di non disperdersi tra le altre, a differenza di città come Roma o Milano, e di non perdere la potenziale attrattiva. D’altra parte, però, il lato frustrante è costituito dal-la mancanza di un giro di persone capace di creare un movimento od una realtà culturale effettiva. E’ una città questa in cui i finanzia-

menti per le attività culturali contemporanee sono miseri, in compenso girano sempre le solite per-sone in maniera ereditaria e bottegaia. Una città, inoltre, incapace di sfruttare il potenziale dell’af-fluenza turistica in maniera intelligente, avendo come unico interesse quello di derubare il turista senza creare alcuna occasione di scambio cultu-rale. D’altra parte anche gli stessi fiorentini non contribuiscono minimamente alla buona riuscita dei pochi eventi realizzati. Si può creare benissi-

mo la situazione per cui un gruppo che va a suo-nare a Napoli raccoglie tremila persone, mentre a Firenze ne raccoglie tre-cento; i fiorentini di base sono un po’ gelosi e un po’ stronzi, in aggiunta se la tirano un po’ tutti, a partire dalle istituzioni e da chi gli eventi culturale li dovrebbe promuovere e

ciò non aiuta, dato che ormai non se la tirano più nemmeno le star”.

Per approfondire:

http://www.fuoriorbita.com/

http://www.afterhours.it/it/

Un ritratto di Graziano Staino

Graziano Staino, video maker e produtto-re d’arte visuale, vive e lavora a Firenze. Attivo dalla fine degli anni Novanta come regista di cortometraggi oscuri e visiona-ri, dopo importanti collaborazioni, nel 2005 fonda la casa di produzione audio-video Fuoriorbita.com. Dal 2008 si lega al gruppo rock Afterhours, per il quale rea-lizza alcuni video musicali.

Gli Afterhours

Ofelia secondo Staino

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14 www.unistudi.eu

L’UNIVERSITAREANOVEMBRE/DICEMBRE 2008

Per inviare lettere o suggerimenti: [email protected]

ZETA COME CULTURA

Tra le Righe

Il Lapidario

Per approfondire:

www.philippebesson.com,

www.guanda.it

Cinematoma

Wall-ePerché ogni cuore arrugginito batta sempre più forte

RitiJONATA TELLARINI

Si chiude il cerchio, con l’arrivo dell’ultima donna.I visi sono temprati e metallici, rico-perti da un sottile strato di membra corrugato.

Siedono su di un prato secco, costel-lato d’erba pungente e di insetti.Una di loro recita una preghiera an-tica, nella lingua madre che le educò in queste terre.Le altre ripetono in coro i moniti, i giuramenti, i pentimenti.Al limitare del bosco una allodola partecipa inconsapevole al rito.Si spandono aeree le voci, ospiti del-la natura.

Si fissano attonite le donne.Una luna acerba taglia il lugubre spazio ove siedono.Non si conoscono.

“Tutti i gruppi umani producono cul-tura e tutte le culture, quindi, devono essere rispettate perché sono siste-mi di valori. In un mondo dinamico come quello di oggi, le culture sono diverse e vengono in contatto. Qui

sorge il problema: come dovranno regolarsi? Non dovranno dar luogo a una guerra fratricida, ma a un dia-logo interculturale in cui non ci sia prevaricazione.”

Franco Ferrarotti, sociologo, in una intervista rilasciata a Bianca Maria Simeoni http://www.artescrittura.it/biancamariasimeoni/interviste_6.htm

Il ritorno dell’amore mozzatoMATTEO BRIGHENTI

Un’estate grigia, che sembra inver-no. Le Ardenne mute, che conoscono solo il lavorio dello scherno contro chi fugge e continua a fuggire anche quando non ha più vie di scampo. “In fondo, non ha mai fatto altro che fug-gire dall’infanzia, dalla pioggia, che perdersi in contrade remote, sotto soli opprimenti, in una polvere vorticante. E però chi gli ha messo voglia di ri-manere? L’hanno messo alla porta a forza di biasimarlo, di sminuirlo, di intristirlo, di immiserirlo” confida al suo paziente confessore Isabelle Rim-baud sabato 25 luglio. Un giorno die-tro ad un altro giorno passato a tenere

il conto dei battiti di un cuore che gocciola inchiostro sulla carta. Fino dentro a quell’ultimo sabato 10 novembre ricoperto di terra, senza sole né pace. Philippe Besson ne I giorni fragili di Arthur Rimbaud (pp. 167, Guanda, euro 13,50) dà voce “in presa diretta” agli occhi di Isabelle, squadernando il diario da lei scritto (sofferto) durante gli ultimi sei mesi di vita (di agonia) di suo fratello Arthur. Un diario im-maginato (o meglio: colmato, perché alcune frasi sono state realmente scritti o dette dai due fratelli), solcato da parole nascoste, strappate al silenzio imposto dalla madre, che provano a dire l’amore. L’amore im-possibile, inconfessabile di Arthur, perché “ci sono uomini cui occorre un’intera vita per diventare ciò che sono: io appartengo a costoro”. L’amore indicibile, intatto, di Isabelle perché “le donne senza uomini sanno darsi un contegno”. L’amore avvizzito, ricacciato dentro, della madre dei fratelli Rimbaud che “crede siano state le parole a portare Arthur alla rovina”. L’amore a lutto di Sidonie Albinier, unica presen-za circostante, con un destino e due occhi che comprendono e non im-portunano. Besson fa intonare alle parole di Isabelle una partitura che è il canto senza melodia dei gesti dell’animo infranto, in un rimando di domande cui la carta non può rispondere. Un libro. Disperato, duro, umano, ma pur sempre un libro. Cosa resta quando finisce? Quando lo lasci con le pagine e le parole chiuse una sull’altra? Rimane lo splen-dore innocente dell’amore di una sorella verso il fratello incomprensi-bile e bello. Scrive Isabelle lunedì 28 settembre: “So che questi giorni mi logorano, mi distruggono, mi annientano e che ciò che mi aspetta, d’ora in poi, è soltanto un’esistenza di sciancata, di convalescente inguaribile”. Perché non esiste medicina che sconfigga l’amore. E se non mi sono spiegato: a me questo libro è piaciuto.

TOMMASO TOMBELLI

Non so bene cosa dire. Forse so come dirlo, e quindi proverò a farlo piano piano, modellando quell’impasto di sensazioni che mi ha accompagnato per tutta la visione del film.L’uomo sulla terra non c’è più, e for-se non l’ha mai abitata veramente. Un “robottino” è rimasto a ripulire il piane-ta con le sue mani, lavorando come un forsennato tutto il giorno, “cingolando” a zigzag ovunque. È un robottino intel-ligentemente umano, che vive in uno sgabuzzino di metallo, dove raccoglie tutto quello che hanno lasciato gli uma-ni. Anche una piantina: la speranza.Il piccolo robot si muove tra grattacieli fatti di cubi di latta compressa, ed ogni suo passo è attuito dalla polvere che puntualmente, ogni giorno, un tornado v io l en t e -mente alza.L’ in terno della casa del piccolo Wall-E è addobbato con lucine natal iz ie , un archivio di ricordi umani sul-la sinistra, in fondo un televisore ed un VHS: il vecchio film regala scene d’incontri, di danza e di amore...E proprio tutte le sere, il piccolo Wall-E si metteva davanti al televisore, inseri-va la cassetta e sognava; un giorno, si posò dal cielo sulla terra una grande astronave, e dalla sua pancia uscì un

altro robottino – ma questo super-tecnologico e superpotente – bianco, lucido, quasi profumato. E come per magia, in quell’istante, Wall-E provò qualcosa di diverso, forse per l’odore dell’uomo. Perché il robottino super-tecnologico era stato mandato alla ricerca di vita da un’altra nave, dalla nave madre, quella piena di umani, che ormai da tempo immemore avevano lasciato il pianeta alla volta del nien-te, lassù nello spazio. Appena vide la piantina verde, eseguendo gli ordini, la sfera bianca la catturò e tornò da dove era venuta. Wall-E non si sarebbe mai perdonato se l’avesse fatta andar via e allora decise di seguirla attaccato ad un’ala della navicella…Gli umani sono là, ciccioni, drogati dal Grande Computer, guidati da un capitano-fantoccio, che crede di avere

il coman-do della nave, men-tre sono le macchine a decide-re. Wall-E insegnerà alla sfera bianca a r e s i s t e r e agli ordini, aiuterà gli umani a

tornare sulla terra…Quella volta, su una terra tutta da ri-costruire, Wall-E tese la manina mec-canica alla sfera bianca, che l’avrebbe accudita per sempre…L’essere umano non ha più importanza, ma ce l’ha l’amore. Che è anche cosa umana.

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L’UNIVERSITAREA NOVEMBRE/DICEMBRE 2008

RECENSIONI TENDENZE VISIONI

COOLtura Impronte Sonore

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Memento Novoli

Canzoni da spiaggia deturpataJONATA TELLARINI

Il disincantato umorismo autoironico di un disoccupato abbinato a fascinazioni pasoliniane. Voce lacerata dall’effetto serra che modella poesie di catrame, assuefazioni metropolitane ed esigenze indotte. “Andiamo a vedere i colori delle ciminiere dall’alto dei nostri eli-cotteri immaginari”. Pare forse questo l’unico approccio possibile al cantautorato di oggi. Cantautorato martoriato e cartavetrato. Un mon-do diverso non è possibile. “Canzoni da spiaggia deturpata” (Tempe-sta Record 2008), il primo lavoro di “Le luci della centrale elettrica” (geniale nome artistico di Vasco Brondi), prodotto dall’accorto Gior-gio Canali (P.G.R.), narra di materiali scadenti, di malfunzionamenti terminali, di inquinamento sociale ed ambientale. Le composizioni, pretesto ben strutturato per accogliere sentimenti prosciugati, si pre-sentano scarnificate e grezze, adornate di elettriche armonie, suonate con impeto disperato e contagioso. Sporadici ed ossessivi ritornelli bruciati si inerpicano tra rovi di ritmiche martellanti e melodiche, spesso sfocianti in esiti deflagratori; rumorismo provinciale da rivolta personale. La canzone socio-politica vestita di devianze suburbane, bagnata da pozzanghere da bere, eppur post-modernamente roman-

tica; “Faremo dei rave sull’enterpri-se, farò rifare l’asfalto per quando tornerai”. La protesta filtrata da altre vicende meno essenziali e più intime. Ritrovarsi assieme sulla riva di un mare non balneabile, a cantare di un amore biodegradabile.

The WitcherDAMON

Un classico personaggio grigio quello del protagonista di “The Witcher”, Geralt Di Rivia, figlio di un mondo dove il bianco e il nero creano sottili sfumature di moralità. Leggendari guerrieri caccia-mo-stri, i “Witcher” nascono dalla penna del polacco Andrzej Sapkow-ski, autore della serie di racconti di “The Witcher”, mai tradotti in italiano. Il contesto d’ambientazione fantasy è un medioevo molto cupo, in perenne lotta tra umano e non-umano, tra luce e ombra. È facile trovarsi in pericolo quando si fa largo uso di arti oscure come la magia e l’alchimia e per di pi se si è un mercenario mutante senza memoria. All’inizio del gioco, infatti, la mente di Geralt è depurata dai ricordi per motivi non meglio precisati. Procedendo nel gioco Geralt “ricorderà” i suoi talenti solo ricostruendo la propria identità, imparando ad ogni “bivio morale” che si frapporrà tra lui e i suoi ricordi a distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. Ferisce più la memoria o la spada? Quello che si può dire è che la dialettica spesso può portare a conseguenze inaspettate rispetto a quelle affilate dal freddo e tagliente acciaio (o argento) di una spada. In conclu-sione, “The Witcher” si presenta come un titolo atipico nel genere “giochi di ruolo”, capace di mantenere un’atmosfera “cartacea”, an-che per chi non è amante del genere fantasy (io per primo, in verità) e di offrire varietà di scenari e situazioni, scongiurando la noia e la dispersività, sempre in agguato in titoli come questo.

Per approfondire: www.uggaustralia.com, www.ohmyshoes.itwww.myspace.com/lelucidellacentraleelettrica, lelucidellacentraleelettrica.blogspot.com

SERENA FOIS

In Australia esistono da sempre, negli States sono di moda da almeno quattro anni, e finalmente anche in Italia hanno preso piede. Vi sarà capitato di notarli, fino all’anno scorso li avevano solo le straniere ma adesso li hanno veramente tutti. Le vetrine impazzano di questi sti-valetti “da pecoraio” (come definiti da molti) di tutti i colori e di tre modelli differenti: alla caviglia, al polpaccio e sotto il ginocchio. Sono stivali in mon-tone, che i surfisti australiani usano per

scaldarsi velocemente

nelle giornate fredde. Sono buffi, simpatici ma cosa

decisamente im-portante sono CALDISSIMI! Invece di fare le fashion a tutti i costi, in giro con le ballerine in pieno inverno e tornare a casa con la febbre, per una vol-ta che la moda ci aiuta… usiamola, ed infiliamo i nostri jeans in questi soffici stivaletti. Perché ve lo posso assicura-re, sembra di camminare su una nuvola da quanto sono morbidi! Dicono che le ragazze in Australia li indossino anche

d’estate per andare in spiag-gia… scelta alquanto obbiet-tabile, ma irrilevante da noi che sta arrivando il freddo. “Ugg”, originariamente, na-sce come abbreviazione di “ugly”, in inglese “brutto”, ma ormai anche quello è di-ventato motivo di forza: un nome dal suono simpatico.

La casa produttrice ha pen-sato bene di sfruttare al me-glio il momento proponendo addirittura le infradito Ugg: delle normali ciabattine rico-perte di pelliccia! Per fortuna da noi non sono ancora arri-vate, e spero non arriveranno mai: la moda, a volte, può

davvero dare i numeri.

Dall’Australia gli stivali dei surfistiGli Ugg Boots ora spopolano ma non tutti approvano

GIULIO CALAMANDREI

Page 16: UniversitArea Numero 6 Novembre-dicembre 2008

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