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Università di Pisa Facoltà di Medicina e Chirurgia Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia Tesi di Laurea Valutazione perfusionale della patologia focale epatica: esperienza preliminare con TC a 64 file di detettori Relatore: Chiar.mo Prof. Carlo Bartolozzi Candidata: Elisa Sighieri Anno Accademico 2008-2009

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Università di PisaFacoltà di Medicina e Chirurgia

Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea

Valutazione perfusionale della patologia focale epatica:

esperienza preliminare con TC a 64 file di detettori

Relatore:Chiar.mo Prof. Carlo Bartolozzi

Candidata: Elisa Sighieri

Anno Accademico 2008-2009

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INDICE

Riassunto Analitico..........................................................................3

Introduzione ....................................................................................5

Scopo della tesi ..............................................................................43

Materiali e metodi...........................................................................44

Risultati...........................................................................................52

Discussione.....................................................................................55

Tabelle …........................................................................................61

Bibliografia ….................................................................................64

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RIASSUNTO ANALITICO

SCOPO DELLA TESI

Lo scopo della tesi è quello di valutare la realizzabilità di un protocollo TC 64 S

per la valutazione perfusionale quantitativa di lesioni focali epatiche.

MATERIALI E METODI

13 pazienti (8 maschi, 4 femmine, età media 68 anni) con un totale di 20

epatocarcinomi sono stati sottoposti a studio perfusionale con TC a 64 canali

mediante un'acquisizione dinamica dedicata sulla sede della lesione, individuata

precedentemente mediante una scansione TC spirale preliminare nel contesto di

uno studio standard di stadiazione loco-regionale. L'acquisizione perfusionale

iniziava 10 secondi dopo l'iniezione del mezzo di contrasto (40 mL di

iodixanolo 320mgI/mL alla velocità di flusso di 5mL/s). Le immagini TC di

perfusione sono state esportate su una workstation (Advantage Windows 4.4,

General Electric, Milwaukee, WI); mediante il plug-in CT Perfusion 3 sono

state tracciate regioni di interesse all'interno della lesione (HCC) e nel

parenchima epatico sano (P) e sono stati calcolati i seguenti parametri di

perfusione: volume ematico (BV), flusso ematico (BF), tempo medio di transito

(MTT), frazione arteriosa epatica (HAF) e prodotto permeabilità-superficie

(PS).3

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RISULTATI

BF è aumentato in maniera statisticamente significativa in HCC rispetto a P

(780.6 ± 204.2 vs 148.9 ± 79.7 mL/min/100g; p<0.0001); allo stesso modo BV

è significativamente più elevato in HCC rispetto a P (74.7 ± 46.5 vs 10.1 ± 5.7

mL/100g; p<0.0001), mentre MTT è significativamente ridotto in HCC rispetto

a P (4.29 ± 1.59 vs 7.83 ± 4.49 s; p=0.0074); HAF è significativamente

aumentato in HCC rispetto a P (0.618 ± 0.165 vs 0.217 ± 0.108; p=0.0002) ed

anche PS è significativamente più alto in HCC rispetto a P (37.98 ± 21.74 vs

17.23 ± 17.45 mL/min/100g; p=0.0143).

Tutti i datasets sono privi di significativi artefatti da movimento e il tempo

complessivo impiegato per il calcolo dei parametri perfusionali è stato inferiore

a 10 minuti per tutti i pazienti.

CONCLUSIONI

La valutazione quantitativa dei parametri di perfusione tissutale (BV, BF, MTT,

HAF e PS) con TC a 64 canali permette di distinguere l’HCC dal parenchima

epatico circostante.

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INTRODUZIONE

Epidemiologia e fattori di rischio

L'epatocarcinoma (HCC) è la patologia maligna epatica più frequente, da sola

infatti rappresenta l'80-90% dei casi .

Nel corso degli ultimi anni la sua incidenza è aumentata raggiungendo su scala

mondiale per frequenza e mortalità rispettivamente il quinto e terzo posto.

Nello specifico l'HCC ha un'incidenza di 500.000-1.000.000 casi per anno al

mondo (Gomaa et al. 2008) ma vi è una considerevole differenza tra zone

geografiche: in particolar modo nel Sud-Est Asiatico si stimano più di

20/100.000 casi mentre in Occidente il range varia da un minimo di 5-

11/100.000 a un massimo di 20/100.000 casi.

Il fattore di rischio più importante per lo sviluppo dell'epatocarcinoma è la

cirrosi sia su base virale che su base non infettiva (congenita, tossica,

autoimmune, etc).

La disomogenea distribuzione di incidenza della patologia è da attribuire a sua

volta alla presenza in zone diverse di molteplici fattori di rischio (Leong et al.

2005; Liu et al. 2007): infatti in occidente l'HCC è causato principalmente da

abuso di alcool ed epatite HCV correlata; in Asia invece il fattore di rischio

principale è l'infezione da HBV, contratta per trasmissione verticale al momento

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del parto (Michielsen et al. 2005), con una conseguente diminuzione dell'età di

insorgenza (Kiyosawa et al. 1990).

MODELLI PATOGENETICI

Carcinogenesi

Molti studi epidemiologici hanno dimostrato che l'epatocarcinoma insorge a

seguito di infezione virale cronica HBV o HCV.

La trasformazione maligna è un processo multistep in cui l'agente infettivo

agisce con meccanismi diretti ed indiretti diversi, a seconda della propria natura,

portando alla formazione di un clone neoplastico attraverso alterazioni

genetiche (Geller et al. 2002).

L'epatite da virus B, Hepadnavirus a ds DNA, offre un quadro di iniziale fibrosi

del parenchima seguita da franca cirrosi con accumulo a livello cellulare di

molteplici alterazioni genetiche.

Data la sua particolare natura, l'HBV agisce in modo diretto integrando il

proprio genoma nel DNA epatocitario spesso a carico di geni implicati nella

regolazione del ciclo cellulare, determinando quindi instabilità genomica

cellulare ovvero presenza di aberrazioni cromosomiche quali delezioni,

mutazioni e traslocazioni.6

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Allo stesso tempo in modo indiretto determina una continua necrosi epatocitaria

con conseguenti cicli ripetuti di proliferazione cellulare tali da determinare

ulteriori alterazioni genetiche critiche da sommare alle precedenti (Tan et al.

2008; Orito et al. 2001; Ding et al. 2001).

Per quanto riguarda il virus C la sua azione è sovrapponibile a quella del virus B

così come per quanto concerne le epatopatie croniche di altra natura (Fattovich

et al. 1997; Hu et al. 1999).

Ultimamente si è osservato un continuo aumento dell'infezione da HBV e HCV

in concomitanza con l'infezione da HIV: l'associazione comporta una più rapida

progressione verso la cirrosi e di conseguenza verso il carcinoma (Garcia-

Samaniego et al. 2001).

Dalla cirrosi all'epatocarcinoma

Il fegato cirrotico è caratterizzato da un totale e completo sovvertimento

dell'architettura del parenchima epatico rappresentato da necrosi, aree di

degenerazione grassa, fibrosi e noduli sia rigenerativi che displastici e

neoplastici.

Nonostante le molteplici classificazioni sull'organizzazione nodulare del

parenchima epatico in corso di cirrosi, ancora oggi non si è raggiunta una

classificazione di riferimento.

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Allo stato dell'arte, la classificazione utilizzata è quella della letteratura

orientale che suddivide i noduli in rigenerativi, displastici e neoplastici; molti

però sono ancora i dubbi nei riguardi dell'entità del nodulo displastico, inteso

come forma intermedia tra nodulo rigenerativo (risposta allo stimolo cronico

infettivo) e nodulo neoplastico.

Difatti è proprio nei riguardi dei noduli displastici che la letteratura risulta

essere più complessa: autori giapponesi classificano i noduli displasici in noduli

a basso grado (LHDL) e ad alto grado (HGDL) di malignità, riprendendo la

classificazione WHO che rispettivamente li suddivide in iperplasia adenomatosa

tipica ed iperplasia adenomatosa atipica (Hamilton et al. 2000).

Il concetto di “early HCC” come HCC iniziale (<2 cm, privo di capsula)

dall'aspetto vagamente nodulare rispetto all'HCC iniziale dal tipico aspetto

nodulare (<2 cm, capsulato) divide ulteriormente le opinioni degli autori che,

sul versante orientale, lo considerano appunto forma iniziale di epatocarcinoma

(Hytiroglou et al. 2007) mentre, autori americani ed europei, lo raggruppano tra

le lesioni HGDL (francamente maligne) insorte su noduli displastici (Kojiro et

al. 2004).

La caratterizzazione delle lesioni epatiche dal punto di vista anatomopatologico

è l'unica in grado di discernere tra le varie forme di HCC:

• il nodulo rigenerativo è alla base delle alterazioni del fegato cirrotico, si

presenta come nodulo capsulato di modeste dimensioni (4 mm) che ha tendenza

alla confluenza dando origine a macronoduli rigenerativi (40 mm) (Choi et al. 8

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1998). Da un punto di vista microscopico è caratterizzato da normali cellule

epatocitarie che mantengono intatte le loro funzioni, sono presenti gli spazi

portali, il sistema dei dotti biliari è conservato (Choi et al. 2004; Choi et al.

1998) e sono rappresentate nel suo contesto anche le cellule del sistema

reticolo-endoteliale (cellule di Kupffer). La formazione di tali noduli nel fegato

cirrotico fibroso determina però l'alterazione dell'architettura lobulare, questo a

causa della compressione del nodulo sul parenchima circostante ed il continuo

stimolo proliferativo dato dalla noxa patogena. La vascolarizzazione del nodulo

infine ricalca quella del parenchima sano, ovvero la quota dell'irrorazione

portale è nettamente superiore (75%) a quella dell'arteria epatica (Yamaguchi et

al. 1998);

• Il nodulo displasico mostra dimensioni maggiori di quello rigenerativo

comprese tra 8 mm e 20 mm. Da un punto di vista anatomopatologico viene

suddiviso in due gruppi ad alto (HGDL) e basso (LGDL) grado di malignità in

base alle atipie cellulari presenti nel suo contesto (International Working Party

1995). È opinione comune che i noduli displastici di basso grado di malignità

non siano da considerare forme preneoplastiche. Tali noduli sono privi di

capsula, mostrano bassa atipia cellulare, la loro vascolarizzazione è

prevalentemente di origine portale anche se la quota proveniente dall'arteria

epatica rispetto ai noduli rigenerativi risulta aumentata (Theise et al. 1995).

I noduli di alto grado di malignità, al contrario, sono ritenuti vere e proprie

forme preneoplastiche. Microscopicamente sono caratterizzati da cellule di 9

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ridotte dimensioni con atipie cellulari maggiori (Lee et al. 2003): ridotto

rapporto nucleo-citoplasma, aumento dimensioni nucleari, nucleoli evidenti,

incrementata mitosi, aumento della densità cellulare, degenerazione grassa

(Takayama et al. 2008; Takayama et al. 1990). L'elemento peculiare delle forme

diplastiche di alto grado è l'aumento della vascolarizzazione arteriosa dovuto

alla presenza delle cosidette “unpaired arteries” ovvero arteriole non

accompagnate da dotto biliare e ramo portale con conseguente perdita della

struttura del lobulo epatico (Kojiro et al. 2006; Kondo et al. 1994; Park et al.

2007). La distinzione tra noduli displastici di alto grado e “early” HCC si basa

sul riscontro, in quest'ultimo, di invasione vascolare e settale da parte delle

cellule neoplastiche nodulari (Nakashima et al. 1995; Kojiro et al. 1999);

• L'early HCC si presenta come una lesione di dimensioni inferiori ai 2 cm,

poco demarcata rispetto al parenchima circostante, dalla forma vagamente

nodulare. A livello microscopico le cellule neoplastiche possono presentarsi

secondo un pattern trabecolare o ghiandolare; le cellule presentano dimensioni

ridotte, spiccata eosinofilia, aumento del rapporto nucleo-citoplasma, aumentato

diametro nucleare, nucleoli evidenti, incremento della mitosi; inoltre possono

coesistere zone di degenerazione grassa nel contesto del nodulo. Per quanto

concerne la vascolarizzazione si assiste sempre più ad un'aumentata quota di

“unpaired arteries” (Sakamoto et al. 1991), rispetto ai noduli displastici ad alto

grado di malignità, che contribuiscono all'aumento della vascolarizzazione di

origine arteriosa rispetto a quella di origine portale; tale alterazione della 10

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vascolarizzazione però non risulta ancora essere visibile con le normali indagini

diagnostiche, per questo motivo a tale livello risulta difficoltosa la diagnosi

differenziale con l'HGDL. Nel 95% dei casi infatti l'HCC vagamente nodulare si

presenta isodenso in fase arteriosa nello studio TC contrastografico (Sakamoto

et al. 1991). Al contrario l'HCC decisamente nodulare (5%) allo studio

dinamico dell'imaging si presenta iperdenso in fase arteriosa, possedendo una

più spiccata vascolarizzazione arteriosa;

• L'HCC in fase iniziale si presenta nel 60% dei casi come moderatamente

differenziato, mentre nel 20% ben differenziato e nel restante 20% scarsamente

differenziato. L'HCC in fase avanzata è caratterizzato da peculiari caratteristiche

morfologiche: ha forma nodulare, capsula periferica che lo separa dal

parenchima circostante e nel suo contesto setti, necrosi ed emorragie. La

classificazione di Eggel prevedeva la suddivisione dell'HCC avanzato in una

forma nodulare, solida ed infiltrante (Eggel et al. 1901), ma negli ultimi anni,

data l'aumentata quota di HCC passibili di terapia chirurgica radicale, la vecchia

classificazione è divenuta inadeguata. Ad oggi la classificazione vigente è

quella del Liver Study Group of Japan che ha suddiviso la neoplasia avanzata in

neolasia nodulare semplice, nodulare semplice con crescita extranodale e tipo

multinodulare confluente (Liver Cancer Study Group of Japan 2000). Da un

punto di vista microscopico l'HCC avanzato può essere suddiviso in tipo ben

differenziato, moderatamente differenziato, scarsamente differenziato e

indifferenziato o anaplastico. Nelle forme moderatamente e ben differenziate le 11

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cellule sono riconoscibili come derivanti da epatociti e si dispongono secondo

pattern trabecolari, acinari o pseudoghiandolari. Nelle forme scarsamente

differenziate e anaplastiche le cellule assumono aspetti pleomorfi da cellule

giganti plurinucleate a cellule di piccole dimensioni totalmente indifferenziate;

tali sottotipi di HCC sono difficili da riconoscere in quanto solitamente

presentano pattern solido o midollare (Desmonson et al. 1954).

Indipendentemente dal grado di differenziazione l'aspetto comune e più

importante che contraddistingue l'HCC avanzato rispetto a quello iniziale è la

vascolarizzazione: l'angiogenesi diviene preponderante, la capillarizzazione

raggiunge il limite massimo, si documenta quindi incremento dei vasi arteriosi e

degli shunt artero-venosi, che allo studio perfusionale TC determinano

iperdensità in fase arteriosa, e precoce wash-out in fase di dismissione

(Nakamura et al. 2007).

Sorveglianza

La sorveglianza clinico-strumentale nei confronti dell'HCC ha un duplice scopo:

quello di ridurre considerevolmente la mortalità della patologia e, allo stesso

tempo, diagnosticare precocemente la malattia in modo da garantirne la

guarigione definitiva con l'utilizzo della migliore strategia terapeutica.

L'HCC presenta tutte quelle caratteristiche che giustificano l'impiego di un

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programma di sorveglianza e di screening nei pazienti con malattie epatiche

croniche.

Lo screening comporta l'esecuzione di un test diagnostico specifico per la

malattia in questione, che consenta una precoce diagnosi in modo da aumentare

la sopravvivenza (Zhang et al. 2004), mentre la sorveglianza consiste

nell'effettuare tale test in modo ripetuto nel tempo.

Nello specifico dell'HCC le linee guida indicano come programma di

sorveglianza il dosaggio di ɑ-fetoproteina (AFP) e l'esecuzione di una ecografia

mirata al parenchima epatico ogni 6-12 mesi. L'intervallo di tempo preso in

considerazione è strettamente correlato ai dati ottenuti con gli studi sulla

crescita tumorale: considerato che un HCC per essere clinicamente evidente e

quindi di dimensioni superiori ai 2 cm impiega tra i 4 e i 12 mesi, l'esecuzione

ogni 6 mesi risulta adeguata a garantire una diagnosi precoce (Llovet et al.

2003).

ɑ -fetoproteina

L'ɑ-fetoproteina rappresenta il marcatore più utilizzato nello screening

dell'epatocarcinoma (Sherman et al. 2001), anche se molti autori, ad oggi,

ritengono che il suo dosaggio sia superfluo se non inserito in un ampio contesto

clinico, più precisameente associato ad una indagine diagnostica (Oka et al.

1994).

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Il dosaggio viene utilizzato per la diagnosi di HCC, per lo screening, come

indice di risposta alla terapia e di recidiva di malattia. Attualmente non esiste un

preciso range di valori per cui si possa considerare che il paziente sia o meno

affetto da epatocarcinoma, questo perchè i valori risultano diversi in gruppi di

pazienti con cirrosi HBV correlata e gruppi con cirrosi HCV correlata e ancor

più importante, la specificità non va di pari passo con la sensibilità del test (Oka

et al. 1994), poichè un aumento del marcatore si verifica anche per altre

patologie epatiche aspecifiche quali epatite virale e esacerbazione di patologia

cronica, accompagnate però in questi ultimi due casi da un concomitante

aumento delle transaminasi. In uno studio condotto su pazienti HBV positivi

infatti, con livelli di ɑ-fetoproteina elevati durante esame di screening, il 41% di

essi presentavano una esacerbazione della patologia epatica o modificazione

della replicazione virale (Lok et al. 1989).

Nonostante tutto però, l'AFP in caso di HCC aumenta in maniera maggiore

rispetto al “range” dei valori in assenza di tale patologia, ma ad oggi non è stato

ancora indicato nelle linee guida un “cut-off” dei valori di tale parametro. Il

dosaggio del marcatore rimane un test diagnostico solo nel caso in cui in un

paziente cirrotico in presenza di nodulo epatico si eleva al di sopra di 200ngr/ml

(Torzilli et al. 1999). In tal caso comunque le linee guida prevedono

l'esecuzione di un test diagnostico a confermare la diagnosi di malattia.

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Ecografia epatica

L'ecografia epatica come screening per HCC risulta avere ottima sensibilità e

specificità sia in pazienti cirrotici sia in portatori sani di HbsAg o Ag HCV.

Rispettivamente con una sensibilità del 71% e 78%, e specificità del 98% con

valore predditivo positivo del 14% e del 73% (Sherman et al. 1995).

La scadenza temporale con cui il test viene effettuato (ogni 6 mesi) è basata

sulle evidenze dei dati inerenti alla cinetica tumorale (tempo medio di

raddoppiamento, tempo di evidenza clinica del tumore) come precedentemente

detto (Llovet et al. 2003; Sheu et al. 1985).

Le attuali linee guida quindi propongono per la diagnosi di HCC ecografia e

dosaggio dell’AFP ogni 6-12 mesi (Bruix et al. 2005).

Attraverso tale tecnica è possibile individuare alcuni aspetti tipici

dell'epatocarcinoma: la presenza della capsula e sua caratterizzazione,

l'invasione neoplastica della vena porta, delle vene epatiche o della vena cava

superiore da trombi neoplastici, attraverso Color Doppler (la presenza di flusso

indica un trombo neoplastico) e la presenza di shunt artero-venosi.

In presenza di un nodulo epatico indagato con l'ecografia, i passi successivi

dipendono strettamente dalla dimensione di questo secondo un preciso

algoritmo:

− i noduli di dimensione inferiore al cm vengono seguiti ogni 3-6 mesi almeno

per 2 anni consecutivi, se non si documenta un aumento della dimensione la

sorveglianza di tali lesioni si svilupperà come da linee guida ogni 6-12 mesi, 15

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questo poiché, nonostante l’ipervascolarizzazione in fase arteriosa documentata

alla TC o alla RM, presentano una bassa percentuale di viraggio nella forma

neoplastica (Nakashima et al. 1987);

−Al contrario i noduli di 1-2 cm devono essere indagati almeno con due

tecniche di imaging scelte tra US, TC e RM: se la lesione presenta il tipico

pattern contrastografico si fa diagnosi di HCC, altrimenti se le indagini non

sono dirimenti ovvero il pattern contrastografico risulta essere diverso dal

reperto tipico di HCC la lesione verrà ulteriormente indagata tramite biopsia.

Qualora la biopsia sia negativa, la sorveglianza della lesione prevede un range

temporale ristretto rispetto a quello consigliato nelle linee guida (2-3 mesi).

− Infine per porre diagnosi nei confronti di noduli superiori ai 2 cm, se

caratterizzati da un comportamento contrastografico tipico, sarà sufficiente

ricorrere ad un solo studio di imaging; qualora invece l’enhancement risultasse

dubbio o atipico si dovrà procedere a tecniche invasive come la biopsia.

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DIAGNOSI

Clinica

L’epatocarcinoma dal punto di vista clinico dà segno di sè in fase avanzata,

questo perché i sintomi precoci sono aspecifici e vengono attribuiti

all’epatopatia di base che ne maschera la presenza. Il paziente lamenta astenia

profusa, malessere generale, calo ponderale intenso, dolenzia e senso di peso

all’ipocondrio sinistro, talvolta tumefazione palpabile. I reperti obbiettivi sono

anch’essi aspecifici e da considerare sovrapponibili all’epatopatia di base, anche

se in aree endemiche ed in presenza di epatomegalia e dolore possono portare al

sospetto della patologia. In occidente l’HCC viene diagnosticato in fase precoce

grazie ai programmi di sorveglianza nella popolazione a rischio, utilizzando

come indagini principali tecniche di imaging quali US, TC, RM dopo

acquisizione dinamica con metodo di contrasto.

Diagnosi strumentale

Qualsiasi sia la metodica di imaging (US, TC, RM) utilizzata per porre diagnosi

di HCC è sufficiente che sia presente il caratteristico pattern contrastografico:

enhancement in fase arteriosa e wash-out del mezzo di contrasto in fase porto-

venosa e/o tardiva (criteri EASL).

L'epatocarcinoma infatti per il particolare tipo di vascolarizzazione è l'unica

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patologia che consente di fare diagnosi di certezza dopo la sola acquisizione di

immagini con l'utilizzo del mezzo di contrasto: infatti nella lesione si ha un tale

fenomeno di neoangiogenesi da rendere la quota di sangue arterioso nettamente

superiore all'apporto ematico di origine portale, diversamente dalla situazione

fisiologica, per cui tale peculiarità risulta sufficiente a porre diagnosi di certezza

(Bartolozzi C et al, 2007; Lencioni R et al, 2005).

La diffusione delle tecniche di imaging e il loro continuo miglioramento in

ambito di sensibilità, specificità e risoluzione spaziale ha reso possibile la

diagnosi sempre più precoce della patologia senza ricorrere a metodiche

invasive.

Tra l'ecografia con mezzo di contrasto, la RM con mezzi di contrasto epato-

specifici e la TC multidetettore, quest'ultima è senz'altro l'indagine principale

nella diagnosi di HCC, ciò si spiega per la possibilità con questa metodica di

garantire un'alta risoluzione spaziale delle immagini in un tempo di acquisizione

sempre più breve, il miglioramento della detezione e la caratterizzazione

specifica delle lesioni focali epatiche (Weg et al. 1998). Oggigiorno, allo stato

dell'arte, la TC viene quindi considerata la miglior metodica di studio della

popolazione a rischio per HCC in grado di diagnosticare la patologia,

determinarne la stadiazione loco-regionale, seguire il follow-up dopo

trattamento e valutare lo staging a distanza di malattia in caso di recidive. Lo

studio TC viene condotto con scansioni pre e post contrastografiche a seconda

del tipo di protocollo utilizzato (Oto et al. 2005).18

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In particolar modo, riguardo all'epatocarcinoma, l'avvento di TC spirali

multidetettore (a partire dalla TC 4 S nel 1998, seguita dalla TC 16 S nel 2001)

ha permesso una valutazione ancora più completa: le acquisizioni delle

immagini vengono ottimizzate in base al tempo di circolo del paziente e, grazie

all'introduzione di nuove tecniche di valutazione del circolo, quali ad esempio la

tecnica del picco di enhancement aortico, le acquisizioni divengono sempre più

precise ed esaurienti (Foley et al. 1995).

Il continuo sviluppo della TC ha permesso di passare da un'analisi prettamente

qualitativa della lesione focale epatica ad un'analisi quantitativa della patologia

che, non solo diagnostica il tumore, ma ha la capacità di porre con alta

specificità e sensibilità in diagnosi differenziale HCC e noduli displastici di

basso e alto grado di malignità, e HCC e lesioni epatiche focali neoplastiche e

non (metastasi, adenomi, iperplasia focale).

In modo particolare con l'avvento della TC 64 S si sono potute ottenere

acquisizioni sempre più inerenti alla finalità dell'esame, apportando

miglioramenti significativi alla tecnica, nei riguardi dei parametri fisici e

meccanici strettamente inerenti al macchinario.

Con apparecchiature TC multistrato (in particolare, con le recenti

apparecchiature a 16 e 64 strati ed oltre), il radiologo può ottenere dati con

risoluzione spaziale isotropica nelle tre dimensioni, che consentono la

ricostruzione delle immagini su piani arbitrari in modalità bi- e tridimensionale,

con indubbi vantaggi in termini diagnostici. Inoltre, la maggiore velocità di 19

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acquisizione delle macchine TCMS con 16-64 strati rispetto a scanner di

generazioni precedenti consente, oltre ad un’ottimizzazione della

somministrazione di mdc, l’esecuzione di acquisizioni multifasiche più “pure”,

il che contribuisce a migliorare la qualità sia diagnostica che iconografica delle

immagini ottenute.

Ai fini dello studio del parenchima epatico sono acquisite almeno tre fasi post-

contrastografiche, corrispondenti alla fase contrastografica arteriosa

parenchimale, porto-venosa e tardiva. L'acquisizione trifasica è stata ormai

standardizzata da numerosi studi mirati (Silverman et al. 1995): fondamentale

nell'imaging dell'HCC è l'acquisizione in fase arteriosa tardiva che deve

mostrare una iperintensità rispetto al parenchima circostante, ad indicare che la

vascolarizzazione del tumore è prettamente derivante dall'arteria epatica anzichè

dalla vena porta come di consueto (Lim et al. 2000; Oliver et al. 1996). Questa è

spesso preceduta da una fase arteriosa precoce, acquisita in corrispondenza del

picco di enhancement aortico (Laghi et al. 2003); ugualmente fondamentale per

porre diagnosi di HCC è il precoce e aumentato wash-out della lesione nella

fase portale e di equilibrio, dovuto alla presenza di shunt artero-venosi che

riducono nettamente il tempo di transito del sangue all'interno della lesione. La

fase tardiva infine è utile per aumentare la sensibilità dell'individuazione del

wash-out di mdc e può consentire di identificare la pseudocapsula perilesionale

(Iannaccone et al. 2005). Per quanto concerne la fase arteriosa precoce, questa

viene acquisita non tanto per un documentato aumento nella detezione di HCC o 20

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riduzione dei falsi positivi, quanto per ottenere un mapping vascolare completo

utile per una stadiazione preoperatoria (Laghi et al. 2003). Oltretutto, sempre in

fase arteriosa tardiva, si ha la possibilità di verificare la presenza di trombosi

neoplastica data da vivace enhancement in ambito dei vasi portali prossimi alla

lesione (Baron 1994) ed è possibile valutare in maniera ottimale le dimensioni

della neoplasia (Oliver et al. 1996).

E’ possibile utilizzare tempi di ritardo fissi calcolati sulla media statistica della

popolazione oppure, in maniera molto più precisa, è possibile effettuare

acquisizioni con ritardi di scansione dipendenti dal tempo di circolo del singolo

paziente. Quest’ultimo processo si realizza, una volta iniettato il bolo di

contrasto, posizionando una ROI su un vaso di riferimento (come l'aorta

toracica discendente o l’aorta addominale sovrarenale) e programmando l’inizio

delle varie acquisizioni contrastografiche a ritardi dipendenti dal tempo di arrivo

del mdc all’interno del vaso di riferimento, rilevabile visivamente o mediante

misura automatica della densità intravascolare ad intervalli temporali ravvicinati

su una sezione fissa predefinita con modalità a bassissima dose radiante (tecnica

fluoroscopica). Il protocollo di acquisizione da noi impiegato è descritto in

dettaglio nella parte sperimentale.

Il pattern contrastografico dell'HCC tipico dunque è caratterizzato da intenso

enhancement contrastografico in fase arteriosa tardiva (che riflette la

neoangiogenesi dell’HCC attraverso circoli provenienti dall’arteria epatica) e

successiva ipodensità in fase portale e di equilibrio rispetto al parenchima 21

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circostante (che trova un corrispettivo fisiopatologico nella scarsa o assente

vascolarizzazione portale dell’HCC rispetto al parenchima circostante e nella

presenza al suo interno di shunt artero-venosi, che contribuiscono a drenare

precocemente il mdc pervenuto alla lesione in fase arteriosa).

In assenza di enhancement in fase arteriosa e di un definito wash-out nelle fasi

successive possiamo riscontrare la presenza di un alone iperdenso (corona) in

fase tardiva da considerarsi comunque diagnostico (esso riflette negli HCC

moderatamente differenziati il drenaggio venoso principale non più a carico

delle venule epatiche ma delle venule portali a livello della capsula) , presente

in circa il 20% delle neoplasie (Ronzoni et al. 2007; Ueda K et al. 1998).

Detto questo, un HCC ben differenziato risulterà in fase portale isodenso o

ipodenso rispetto al parenchima circostante dato che la vascolarizzazione

portale sarà ridotta al suo interno ma non del tutto assente (Hwang et al. 1997).

E’ possibile anche riscontrare HCC non ipervascolari nella fase arteriosa (HCC

ipovascolari) e riconoscibili come ipodensi nelle fasi successive, soprattutto se

scarsamente differenziati e di grandi dimensioni, in rapporto alla presenza di

necrosi intralesionale che interessa anche l’endotelio.

Per quanto concerne i noduli displastici, su di essi non esistono degli specifici

patterns di riconoscimento allo studio-TC per porre diagnosi di certezza. Le

modificazioni del circolo si riscontrano in fase portale e tardiva, poichè le

arterie sono poco rappresentate in questa fase di malattia in entrambi i

sottogruppi nodulari (HGDN e LGDN), comunque si dimostra un wash-out del 22

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nodulo rispetto al parenchima sano circostante dovuto a decremento dell'apporto

venoso. Pertanto la diagnosi di nodulo displastico si pone nel caso in cui si

apprezza un nodulo generalmente inferiore a 1-2 cm (oppure maggiore di 2cm

in casi sporadici) ipodenso durante l'intero studio di fase oppure nodularità

rotondeggiante visibile in fase tardiva e di bassa densità (Lim et al. 2004).

L'early HCC solo nel 5% dei casi mostra pattern tipico contrastografico; la

situazione più comune è data da isodensità in fase arteriosa e portale con

ipodensità in fase tardiva.

Al contrario l'HCC decisamente nodulare nel 96% dei casi mostra iperdensità in

fase arteriosa (Takayasu et al. 2004).

Esistono quindi differenze seppur minime tra le varie forme preneoplastiche e

francamente neoplastiche di HCC sulla base delle quali potrebbe aver senso

sviluppare un protocollo standard di diagnosi differenziale con l'utilizzo di un

imaging dinamico che le quantifichi, per esempio con TC 64 S.

Nonostante questo però, la sensibilità della TC è maggiore per le lesioni HCC

piuttosto che per quelle displastiche e dipende anche dalle dimensioni del

tumore, importante variabile non modificabile ai fini dell'acquisizione (secondo

i criteri EASL infatti per le lesioni focali inferiori al centimetro è necessario il

solo follow up, per lesioni focali tra 1 e 2 cm è sufficiente per la diagnosi di

HCC la concordanza di 2 tecniche di imaging a scelta tra ecografia con mezzo

di contrasto, TC e RM che evidenzino un comportamento dinamico tipico, nel

caso infine di noduli di dimensioni superiori ai 2 cm è considerata diagnostica la 23

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concordanza di 2 tecniche imaging con pattern contrastografico tipico, oppure in

alternativa una sola tecnica di imaging associata a valori di AFP superiori ai 200

ng/L).

Alcuni studi dimostrano la significativa differenza in sensibilità della TC nei

riguardi dell'HCC ( 68-75%) e della displasia ( 39-60%) ( Taouli et al. 2006 ).

Stadiazione

La stadiazione TNM ( Fleming 2001), che tiene in considerazione dimensione,

interessamento linfonodale e metastasi a distanza, è insufficiente nei riguardi

dell'HCC ai fini stadiativi, nonostante essa sia di riferimento per tutte le

neoplasie solide, questo perchè non tiene di conto dell'epatopatia di base

presente nella maggior parte dei casi di HCC (tabella 1).

Molte altre classificazioni sono disponibili nei riguardi della patologia cirrotica,

in primis la classificazione di Child-Pugh (tabella 2) che si basa principalmente

su riscontri clinici e dati di laboratorio (Pugh et al. 1973), ma negli ultimi anni

ne sono state formulate di nuove come ad esempio la classificazione di Okuda

(tabella 3) che analizza sia le dimensioni tumorali (riallacciandosi al sistema

TNM) sia la funzione epatica attraverso diversi parametri: presenza di ascite,

dosaggio albumina e bilirubina plasmatiche (Okuda et al. 1995).

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Nonostante questo, molti studi sono giunti alla conclusione che le classificazioni

riguardo la patologia epatica non sono attendibili nello stadiare

l'epatocarcinoma sia in fase precoce che tardiva (Chung et al. 2008).

A questo proposito, un gruppo di esperti internazionali ha formulato la

stadiazione BLCL (Barcelona Clinic Liver Cancer) dopo numerosi studi a

coorte tra loro indipendenti (Llovet et al. 1999). Si tratta di una stadiazione

(tabella 4) che combina diversi parametri: fattori tumorali quali dimensioni e

nodularità, funzionalità epatica, performance status del paziente e modalità di

trattamento. Un sistema che suddivide l'HCC in precoce, intermedio, avanzato e

terminale e indica per ciascuno la migliore opzione e scelta terapeutica. Il

gruppo ben selezionato in stadio “early” (stadio A) può beneficiare così di

resezione epatica, trapianto e terapie locali con sopravvivenza a 5 anni che

oscilla tra il 50% e il 75% (Bruix et al. 2001).

Prognosi e Storia naturale

In base alla nuova tendenza di diagnosi precoce, attraverso l'utilizzo di nuove

tecnologie di imaging contrastografiche e al miglioramento ottimale

dell'approccio terapeutico, la sopravvivenza a breve, medio e lungo termine è

andata aumentando, così come evidenzia uno studio degli USA condotto su

individui affetti da HCC dal 1975 al 2005 (Altekruse et al. 2009).

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La malattia ha importanti fattori di prognosi quali, caratteristiche del tumore,

condizioni del paziente e funzionalità epatica, che la suddividono, in base

all'approccio terapeutico, in malattia resecabile, malattia non resecabile,

malattia non resecabile e non operabile, e malattia avanzata e recidivante.

Allo stato dell'arte, l'intervento curativo è considerato l'intervento chirurgico ma

solo una quota esigua di pazienti (10-25%), a causa della scarsa funzionalità

epatica residua, può esservi sottoposto, e nonostante l'atteggiamento radicale, la

percentuale di recidiva locale risulta molto elevata (85% a 5 anni).

L'HCC in stadio precoce comprende pazienti con buona funzionalità epatica

(Child-Pug A-B), singolo nodulo tumorale inferiore ai 3 cm (Stadio A1-A3) o

pazienti con noduli multipli in numero minore od uguale a 3, ciascuno con

diametro inferiore a 3 cm (Stadio A4) (Bruix et al. 2001).

Le opzioni terapeutiche comprendono dagli interventi chirurgici di resezione

epatica e di trapianto ortotopico del fegato, ai trattamenti percutanei

termoablazione a radiofrequenza o alcolizzazione percutanea.

I tassi di risposta sono eterogenei e comprendono valori tra il 90 e il 100% nel

caso di “very early stage” (nodulo unico inferiore ai 2 cm) e del 50% nei

pazienti con HCC superiore ai 5 cm (Livraghi et al. 1995), questo perchè è nota

e documentata la correlazione tra dimensione tumorale ed invasività

microvascolare e disseminazione neoplastica (Bruix et al. 2001).

La classe intermedio-avanzata include pazienti con performance status inferiore

e dimensioni tumorali maggiori, con presenza di invasione vascolare e 26

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disseminazione intraepatica (Stadio B e C).

La sopravvivenza dei pazienti asintomatici e con pattern non invasivo (80%,

65% e 50%) risulta aumentata rispetto a quella del gruppo di pazienti

sintomatici e con pattern invasivo (29%, 16% e 8%) rispettivamente a 1, 2 e 3

anni (Livraghi et al. 1995).

Le terapie riservate a questi pazienti sono essenzialmente le terapie locali, prima

fra tutte la chemioembolizzazione, non di per sé curativa, con lo scopo di

aumentare la sopravvivenza (Bruix et al. 2001) ed in determinati pazienti evitare

la progressione di malattia, in attesa del trapianto ortotopico di fegato, unico

presidio curativo e radicale.

L'HCC in stadio terminale (Stadio D) include pazienti con performance status

superiore a 2 oppure pazienti della classe C di Child-Pug. Le opzioni

terapeutiche risultano essere palliative e, nonostante la documentata

chemioresistenza dell'epatocarcinoma, i pazienti vengono trattati in

polichemioterapia (schema PAF: cisplatino, doxorubicina e 5-fluoruracile) o

monochemioterapia se non sono in grado di tollerarla; ultimamente sono stati

utilizzati farmaci della target therapy contro la neoangiogenesi, quali Sorafenib,

che hanno mostrato un aumento della sopravvivenza.

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Opzioni terapeutiche

Oggigiorno le opzioni terapeutiche da adottare nel paziente con HCC si basano

sulle linee guida EASL e sulla stadiazione BLCL (Bruix et al. 2001).

In base a tali linee guida l'HCC iniziale può beneficiare di strategie terapeutiche

curative: resezione epatica, trapianto ortotopico di fegato, ablazione percutanea

a radiofrequenza o alcolizzazione. Nell'HCC intermedio-avanzato si può

ricorrere a trattamenti quali chemioembolizzazione e agenti chemioterapici

nuovi allo scopo di migliorare la prognosi, mentre nel caso di malattia terminale

le terapie adottate saranno prettamente a carattere palliativo.

Resezione

La resezione epatica è l'opzione terapeutica da prendere in considerazione nei

pazienti con singolo nodulo tumorale con funzionalità epatica conservata,

altrimenti non candidabili (Bruix et al. 2002), ovvero pazienti di classe A di

Child-Pugh privi di sintomatologia e in assenza di segni clinico-laboratoristici

collegati all'epatopatia di base (Bruix et al. 2001). Purtroppo, vista la

percentuale di sopravvivenza a 5 anni elevata dal 50% al 70% (Fleming 2001;

Okuda et al. 1985), il numero di pazienti che ne può beneficiare rappresenta una

quota esigua della popolazione affetta da HCC, solamente il 5-10% dei casi.

Nonostante il carattere di radicalità dell'intervento la complicanza maggiore

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post-resezione è la recidiva tumorale, che ricompare per disseminazione del

tumore primitivo, soprattutto in quelle forme che presentano invasione

microvascolare, scarsa differenziazione e presenza di lesioni satelliti (Minagawa

et al. 2003).

Trapianto ortotopico del fegato

Il trapianto ortotopico del fegato sarebbe la terapia più adatta nei pazienti con

cirrosi ed HCC in quanto curativa sia del tumore sia della patologia di base che

lo ha originato.

La sua applicazione non può essere possibile a largo spettro per il numero

esiguo di donatori, per cui si è tentato, attraverso numerosi studi, di individuare

criteri di selezione dei pazienti, in modo che, coloro che siano sottoposti

all'intervento ne ricavino un reale beneficio in termini di sopravvivenza.

Inoltre, la selezione dei pazienti deve essere il più possibile accurata nei

confronti di quei pazienti ad alto rischio di progressione della malattia nel

periodo di attesa, per evitarne l'uscita dalla lista (drop-out).

Allo stato dell'arte, il riferimento su cui si basano i principi di selezione dei

candidati al trapianto, è rappresentato dai “Criteri di Milano”: secondo i quali, i

pazienti candidabili, sarebbero quei pazienti con unico nodulo inferiore ai 5 cm

oppure con un massimo di 3 noduli, ciascuno con dimensione massima inferiore

ai 3 cm.

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La sopravvivenza a 5 anni dal trapianto di fegato nei pazienti con tali

caratteristiche risulta da studi randomizzati pari al 70% con una recidiva minore

del 15%.

Nonostante la validità dei criteri suddetti, alcuni autori negli ultimi anni hanno

dibattuto con l'intento di ampliare le categorie dei pazienti per trapianto di

fegato: neoplasia unica inferiore ai 7 cm, 3 noduli ciascuno dei quali inferiori ai

5 cm, 5 noduli con dimensioni massime inferiori ai 3 cm e pazienti con

regressione tumorale dopo trattamento loco-regionale.

Trattamenti percutanei

Le tecniche ablative percutanee comprendono l'alcolizzazione percutanea (PEI)

e l'ablazione a radiofrequenza (RF); sono opzioni terapeutiche utilizzate nei

pazienti in stadio precoce di malattia e rappresentano una valida alternativa alle

altri opzioni terapeutiche in termini di sopravvivenza.

La PEI consiste in una iniezione intratumorale di etanolo eseguita sotto guida

ecografica, che comporta necrosi coagulativa a seguito di degenerazione

proteica, disidratazione cellulare ed ischemia cellulare causata dalla trombosi

dei piccoli vasi perilesionali.

Tale tecnica risulta facilmente eseguibile, ben tollerata, con scarse reazioni

avverse, efficacia antitumorale elevata, sopratutto nei confronti dei piccoli

tumori capsulati. La sopravvivenza a 5 anni in neoplasie con diametro massimo

inferiore a 5 cm è tra il 47%-79%, ma la complicanza più temibile è la recidiva 30

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locale, correlata in modo proporzionale alle dimensioni del tumore e alla

struttura istologica della neoplasia (grading elevato, satellitosi, setti

intralesionali).

La termoablazione percutanea a RF risulta il gold standard nell'ambito della

categoria dei trattamenti percutanei, essa consiste nel danno tissutale indotto

attraverso il passaggio di energia elettromagnetica che determina riscaldamento

del tessuto e conseguente necrosi coagulativa. La RF in un minor numero di

sedute permette di ottenere, rispetto alla PEI, un'ablazione completa della

neoplasia, indipendentemente dalle caratteristiche istologiche tumorali e

addirittura raggiunge tassi di risposta superiori; in particolar modo si dimostra

efficace nei confronti delle patologie superiori ai 3 cm e nelle recidive loco-

regionali dovute a satellitosi.

Embolizzazione e chemioembolizzazione intraarteriose

La chemioembolizzazione (Transcatheter hepatic Artery ChemoEmbolization-

TACE) e l'embolizzazione (Transcatheter hepatic Artery Embolization -TAE)

attraverso l'arteria epatica sono strategie terapeutiche a carattere non curativo

riservate ai pazienti con HCC intermedio-avanzato. Entrambe le tecniche sono

in grado di ottenere una risposta oggettiva tumorale del 16-60%, che si traduce

in un aumento di sopravvivenza del 10-50%.

La TACE consiste nell'introdurre, tramite catetere arterioso posizionato in

arteria epatica, una miscela di farmaci antiblastici (solitamente cisplatino e 31

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adriamicina) mescolati ad un agente oleoso (solitamente Lipiodol®), a cui segue

un’embolizzazione selettiva dei vasi arteriosi afferenti alla neoplasia

(solitamente Spongostan®) in modo da garantire l'azione duratura locale dei

farmaci. In tal modo si attua una selezione del nodulo tumorale con conseguente

risparmio del parenchima sano, da una parte sfruttando il principio che la

vascolarizzazione arteriosa epatica sia più rappresentata nel tessuto neoplastico,

dall'altra riducendo gli effetti collaterali locali e sistemici.

L'embolizzazione ha un duplice ruolo: aumenta ulteriormente l'azione dei

farmaci rallentandone il wash-out ed induce ischemia nel tessuto neoplastico

che favorisce a sua volta la necrosi cellulare e incrementa l'effetto citotossico

del chemioterapico.

I risultati del trattamento TACE a 1 e 2 anni di sopravvivenza del 82% e 63%

mettono in evidenza la maggior efficacia rispetto ai trattamenti standard (63% e

27%) e alla sola TAE (75% e 50%).

La tecnica inoltre, dopo ampliamento dei “criteri di Milano”, viene utilizzata nel

trattamento terapeutico dei pazienti in attesa di trapianto, per tenere sotto

controllo la crescita e la progressione tumorale, con un risultato della riduzione

del “drop-out” dal 30% al 15%, ottenendo al contempo un down-staging della

malattia.

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Evoluzione tecnologica della TC

La comparsa della TC quale metodica di imaging radiologico risale al 1971 a

Londra presso i laboratori della EMI Limited ad opera dell'ingegnere inglese

Godfrey N. Hounsfield e del fisico sudafricano Allen M. Cormack.

L'immagine TC viene costruita attraverso l'attenuazione di un fascio collimato a

raggi X generato da un tubo radiogeno rotante attorno al paziente, il quale è

disteso su un lettino che si sposta in senso longitudinale durante l'acquisizione:

in questo modo le immagini risultano parallele tra loro ed ognuna di esse

rappresenta l'attenuazione del fascio a raggi X da parte dei tessuti contenuti in

ciascuna sessione corporea irradiata, proporzionale al numero atomico (Z).

L'intensità dei raggi X che hanno attraversato i tessuti viene registrata da un

array di rilevatori (detettori) in posizione opposta rispetto al tubo radiogeno ed

accoppiati a convertitori analogico-digitali; quindi, per ogni sezione irradiata, il

segnale digitalizzato relativo a diversi angoli di rotazione del complesso array-

detettori viene integrato generando un'immagine in cui le differenze di

attenuazione sono rappresentate dal contrasto fra le unità che compongono le

immagini.

Data la digitalizzazione, le immagini sono costituite da un numero finito di

elementi discreti (voxel), rappresentati geometricamente da parallelepipedi la

cui base dipende dalla matrice di acquisizione e la cui altezza corrisponde allo

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spessore dello strato. Nel procedere alla ricostruzione delle immagini, ogni

voxel ha un determinato valore di densità elettronica normalizzato rispetto

all'acqua, espresso in unità Hounsfield. L'immagine TC quindi è

monoparametrica poichè si basa sul solo parametro della densità elettronica dei

tessuti in esame: a tale proposito un voxel con maggiore densità sarà

rappresentato, nel pixel che gli corrisponde, con una tonalità di grigio più chiara

rispetto al voxel con minor densità.

Lo scanner TC è costituito da più componenti: tavolo porta-paziente, gantry

(struttura contenente tubo radiogeno e collimatore del fascio, da una parte, e in

sede opposta i detettori), elettronica di acquisizione dati, computer, console di

comando e infine altre workstations per l'elaborazione delle immagini (post-

processing), un'unità a disco per la conservazione permanente delle immagini in

supporto fisso ed il sistema PACS (Picture Archiving and Communication

System) per la visualizzazione remota delle immagini e la loro memorizzazione

sul server.

La tomografia computerizzata convenzionale di terza generazione denominata

“stop and shoot”, dato il movimento del lettino porta-paziente solo

nell'intervallo di tempo tra due acquisizioni di immagini successive, è

caratterizzata da apparecchi che utilizzano un fascio a raggi X a ventaglio, un

gantry costituito da 500-1000 detettori contrapposti al tubo radiogeno, una

velocità di rotazione a 360° continua attorno al paziente di 2-4 secondi, durante

il quale il fascio emette alcune centinaia di impulsi di raggi X; le acquisizioni 34

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vengono fatte a rotazioni in senso alternato in modo da ricondurre in posizione

di partenza il sistema tubo-detettori, i cavi di alimentazione del tubo radiogeno e

i cavi del trasferimento del segnale.

A partire dagli anni '80 i tomografi utilizzati sono dotati di movimento di

rotazione continua, grazie alla tecnologia “slip ring”, in quanto si sostituiscono i

vincolanti cavi elettrici di alimentazione con contatti elettrici striscianti, per cui

la rotazione del sistema tubo-detettori collocato su anello interno del gantry

ruota in senso unidirezionale in modo continuo contemporaneamente allo

slittamento del lettino porta-paziente: questo determina una riduzione

significativa del tempo di acquisizione dei dati. A questo punto però i piani di

scansione risultano disposti su una traiettoria elicoidale, il che rende necessaria

l'applicazione di un algoritmo di interpolazione per la ricostruzione delle

immagini assiali, tra loro parallele, a partire dal volume continuo dei profili di

attenuazione registrati (acquisizione volumetrica).

Nelle TC spirali dunque la risoluzione spaziale lungo l'asse longitudinale z non

dipende soltanto dal fascio radiante, ma anche dal pitch, definito come p= vt/s,

dove v sta per velocità di avanzamento del lettino porta-paziente, t per il tempo

di rotazione del complesso tubo-detettori ed s per la collimazione del fascio.

La risoluzione spaziale longitudinale, peraltro, diminuisce all'aumento dei valori

di pitch dato che si ha un allargamento dello spessore dello strato, nonostante si

sia guadagnato in maggior velocità di acquisizione e minor irradiazione del

paziente. È possibile, comunque, ottenere immagini parzialmente sovrapposte 35

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senza bisogno di aumentare la dose di raggi X, il che contribuisce a ridurre gli

artefatti da movimento, e da volume parziale e migliora la qualità delle

ricostruzioni.

Gli apparecchi spirali monodetettore, ormai superati dai moderni apparecchi

multidetettore descritti in seguito, compiono un'intera rotazione del complesso

tubo-detettori in 0.7-1 secondi e consentono un'acquisizione massima di 50-60

secondi di durata totale, rendendo possibile in un' unica apnea la scansione di

ampi volumi corporei.

Le limitazioni di tali apparecchi sono dovute da un lato, alla massima velocità di

rotazione del complesso tubo-detettori (limitata dalle elevate forze centrifughe

che si sviluppano a velocità di rotazione via via maggiori) e, dall'altro, al limite

di massima emissione del tubo radiogeno di ordine fisico. Ciò comporta un

rapporto segnale/rumore non ottimale per acquisizioni multifasiche o di ampi

volumi con collimazione sottile o, viceversa, costringe a lavorare con spessori di

strato effettivi elevati e, non di rado, inadeguati al problema clinico-diagnostico.

Con l'introduzione negli anni novanta delle TCMS, TC multidetettori o

multistrato, tali limiti sono stati superati: i raggi X attenuati vengono rilevati da

filiere multiple di detettori, che inviano il loro segnale ad una serie di

convertitori analogico-digitali (da 4 a 64 ed oltre). In base a numero, dimensioni

e configurazione dei detettori è possibile ottenere un'acquisizione di immagini

con risoluzione spaziale submillimetrica oltre ad un tempo di scansione assai

ridotto e spessori di strato differenti con collimazioni del fascio radiante più 36

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ampie rispetto alla TC monodetettore.

Attraverso queste nuove apparecchiature, per la capacità di mediare il segnale

proveniente dai diversi detettori, per la modifica della dimensione del gantry in

modo da permettere una maggior velocità di rotazione inferiore ai 500

millisecondi e ancora per la maggior capacità termica e di corrente dei tubi

radiogeni, non si è ridotto solo il tempo di acquisizione dei dati, ma anche la

quantità del mezzo di contrasto endovenoso necessario per un buon

enhancement, preservando un ottimale rapporto rumore/segnale.

Le nuove TCMS dimostrano di avere anche un più alto potenziale di

accuratezza diagnostica nella valutazione di piccole lesioni con enhancement

non significativamente diverso dai tessuti sani, e quindi una miglior valutazione

nella stadiazione della patologia, questo perchè si è migliorata la risoluzione

spaziale longitudinale al punto tale da consentire un'acquisizione volumetrica

isotropica (le dimensioni del voxel trasversali sono confrontabili con lo spessore

sull'asse longitudinale), che migliora notevolmente la qualità delle ricostruzioni

multiplanari e volumetriche. Tali caratteristiche risultano particolarmente

importanti nello studio dei pazienti oncologici, anche per quanto riguarda la

patologia focale epatica.

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TC di perfusione delle lesioni epatiche focali

La TCMS facilita la valutazione funzionale degli organi interessati da neoplasia,

soprattutto per quanto riguarda la perfusione, correlandone i parametri con i dati

morfologici risultanti dall'esame TC convenzionale. I dati non confermano

solamente la presenza/assenza di una qualche e aspecifica alterazione qualitativa

della vascolarizzazione, ma con tale tecnica dinamica si ha la possibilità di

quantificare i valori di ciascun parametro della perfusione tissutale. Lo studio

TC di perfusione, attraverso l'utilizzo di mdc endovenoso iodato per calcolare la

microcircolazione tissutale (Miles et al. 1999), risale all'incirca a 30 anni fa,

dapprima svolto per determinare la perfusione cerebrale in pazienti con ictus

ischemico acuto (Axel et al. 1980), in seguito e sopratutto di recente rapportata

alla valutazione del microcircolo in numerose neoplasie come l'epatocarcinoma

(Sahani et al. 2007; Zhu et al. 2009), i carcinomi del pancreas (Park et al.

2009; Kandel et al. 2009), del polmone (Li Yat al. 2008), del retto (Bellomi et

al. 2007) e del distretto testa-collo (Bisdas et al. 2007, 2008; Zima et al. 2007;

Rumboldt et al. 2005; Ghandi et al. 2003 ).

Fin dalla comparsa della tecnologia MDCT, alcuni autori si sono occupati del

possibile impiego di quest’ultima per lo studio della perfusione tissutale sia in

ambito generale (Oto et al. 2005; Pandharipande et al. 2005) che in modo

38

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specifico (Miles et al. 2003; Koop et al. 2001; Ippolito et al. 2008; Sahani et al.

2007; Chen et al. 2004).

Per quanto riguarda l' HCC, molti autori hanno studiato qualitativamente la

vascolarizzazione epatica e le sue alterazioni a carico dei noduli neoplastici, sia

precoci che in stadio avanzato, in assenza o presenza di epatopatia cirrotica di

base: il quadro che se ne traccia è caratterizzato dalla continua e sempre più

specifica valutazione delle alterazioni del microcircolo sulla base

dell'aggressività biologica dell'HCC in studio. In un primo momento i parametri

studiati con la TC consistevano nel quantificare l'apporto di sangue proveniente

dall’arteria epatica e dalla vena porta con l'accurata visualizzazione del pattern

contrastografico in fase arteriosa e porto-venosa. In particolare, Materne et al

(Materne et al. 2000) indicano che la MDCT è una metodica valida per valutare

la vascolarizzazione del fegato e di eventuali focalità parenchimali; la TC 4 S

risulta avere impatto positivo nello studio delle varie fasi di enhancement (Koop

et al. 2001), fino alla generazione di TC 64 S che consente, attraverso la miglior

risoluzione spaziale e il minor tempo di acquisizione, uno studio altamente

dettagliato dal punto di vista anatomico nonché diagnostico (Laghi et al. 2006).

Una potenziale importantissima applicazione dello studio perfusionale consiste

nel fatto che alterazioni dei parametri perfusionali possono riflettere variazioni

precoci della differenziazione biologica delle lesioni focali

nell’epatocarcinogenesi. Allo stesso modo, i parametri perfusionali assoluti

calcolati sull’HCC non risentono della presenza o meno di cirrosi, di estensione 39

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a livello portale, dei parametri sierologici valutati in clinica, in modo tale che la

perfusione risulta un'entità autonoma unicamente correlata con l'aggressività

biologica del tumore (Sahani et al. 2007). Considerazioni di più ampio respiro,

tralasciando la determinazione dei valori perfusionali, hanno sancito che la

MDCT ha la capacità tale di determinare alterazioni perfusionali epatiche da

poter garantire uno studio molto accurato dal punto di vista anatomico, in base a

staging, grading, e sopratutto in linea con la fisiopatologia tumorale riuscendo a

discernere forme iniziali da quelle avanzate; tutto questo grazie alle

caratteristiche tecniche alla base dell'acquisizione (Oto et al. 2005;

Pandharipande et al. 2005). In linea con le modificazioni del microcircolo

vascolare, Sahani et al. hanno rilevato una riduzione significativa di MTT

nell'epatocarcinoma (Sahani et al. 2007), presente anche nelle altre patologie

neoplastiche come ad esempio il carcinoma del pancreas, da correlarsi allo

sviluppo di circoli neoangiogenetici a bassa resistenza con aumentato flusso

ematico e alterata permeabilità endoteliale.

L'attenzione nelle applicazioni oncologiche agli studi TC di perfusione si è

ulteriormente sviluppata con l'avvento della disponibilità di TCMS con un

elevato numero di file di detettori (TC 64 S e oltre), grazie alla maggiore

copertura anatomica e migliorando la risoluzione spaziale longitudinale rispetto

alle precedenti generazioni di scanner TC (Miles et al. 2003; Kambadakone et

al. 2009).

In particolare, per quanto concerne l' epatocarcinoma, lo studio perfusionale ha 40

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dato risultati interessanti con l'utilizzo di TC a 4 strati (Koop et al. 2001) e a 16

strati (Sahani et al. 2007, Ippolito et al. 2008); tuttavia, non si hanno a tutt’oggi

in letteratura esperienze sistematiche sull’impiego di apparecchiature TCMS

con più di 16 file di detettori per lo studio perfusionale del fegato. È prevedibile,

peraltro, che dall’utilizzo di apparecchiature TCMS di ultima generazione si

possano trarre importanti vantaggi, quali un aumento del volume corporeo

esaminato durante l’acquisizione ed una minore sensibilità dell’acquisizione ad

artefatti da movimento.

Definizione e razionale della cinetica del bolo di contrasto

Lo studio di perfusione si basa sulla registrazione continua della attenuazione

dei raggi X da parte di un piccolo bolo di mezzo di contrasto (mdc) nella

regione di interesse (ROI). L'acquisizione dinamica dura per un tempo

necessario a coprire la fase di primo passaggio (first pass) del mdc all'interno

del letto vascolare (Miles et al. 1999; Lee et al. 2002; Lee et al. 2003).

I principi teorici dell'esame vennero definiti per la prima volta nel 1980 da Axel

( Axel et al. 1980) nella valutazione della perfusione cerebrale in pazienti con

ictus ischemico acuto. L'acquisizione dei dati veniva condotta in maniera

continua su un determinato livello anatomico dopo la somministrazione di un

bolo endovenoso di mdc, in modo da ottenere curve attenuazione-tempo a

41

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livello del tessuto cerebrale in esame. Da allora il principio di un’acquisizione

dinamica continua su una regione fissa è rimasto immodificato, ma la tecnica

perfusionale ha potuto godere degli enormi vantaggi delle nuove tecnologie TC,

soprattutto per quanto riguarda tempo di acquisizione, copertura volumetrica

sull'asse longitudinale e risoluzione spaziale sull’asse longitudinale. Il principio

classico alla base dello studio dinamico perfusionale è il modello

unicompartimentale: lo spazio vascolare della regione presa in esame viene

considerato come compartimento singolo dotato di un'entrata e di un'uscita,

rispettivamente arterie afferenti e vene efferenti che drenano l'intera quantità di

sangue proveniente dall'ingresso arterioso. Questo modello emodinamico è

applicabile nel momento in cui si assuma che la dispersione del mdc a livello

interstiziale sia trascurabile durante il first pass (Lee et al. 2002; Lee et al.

2003); se la dispersione interstiziale di mdc durante il first pass non è

trascurabile (come nel microcircolo neoplastico), si deve assumere che tale

principio si realizzi in un sistema bicompartimentale ovvero, che tiene conto del

fatto che la quota di sangue dall'entrata arteriosa viene trasferita in parte

all'uscita venosa e in parte al compartimento interstiziale. Affinchè tale modello

possa fornire risultati adeguati è necessario comprendere nell'acquisizione delle

immagini, oltre al first pass, almeno la porzione iniziale della fase interstiziale,

prolungando l’acquisizione oltre la durata del primo passaggio per poter

calcolare la permeabilità vascolare (Lee et al. 2002; Lee et al. 2003), come

spiegato più in dettaglio nella parte sperimentale.42

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SCOPO DELLA TESI

Lo scopo della tesi è valutare la realizzabilità di un protocollo TC 64 S per la

valutazione perfusionale quantitativa di lesioni focali epatiche.

43

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MATERIALI E METODI

Selezione dei pazienti

Lo studio sperimentale si è basato su 13 pazienti con diagnosi di HCC sottoposti

a valutazione del parenchima epatico con TC a 64 S, per un totale di 20 HCC.

Tutti i pazienti hanno fornito il loro consenso informato a partecipare allo

studio.

Protocollo MDCT

Tutti gli esami TC sono stati eseguiti su uno scanner TCMS a 64 canali

(LightSpeed VCT, GE Medical Systems, Milwuakee, WI). Prima di ogni

acquisizione perfusionale, tutti i pazienti sono stati sottoposti, durante la stessa

seduta di imaging, ad un esame TC preliminare per lo studio del parenchima

epatico in toto e per localizzare l'area da indagare con la successiva acquisizione

TC perfusionale.

L’acquisizione TC spirale standard era estesa all’intero addome superiore in

modo da comprendere il parenchima epatico e consisteva in un’acquisizione

spirale pre-contrastografica (configurazione dei detettori 64x0.625mm,

collimazione di detettore 2.5mm, intervallo di ricostruzione 2.5mm, pitch

44

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0.984:1, tensione anodica 120kV, modulazione di corrente angolare e lungo

l'asse z, intervallo di corrente 50-600mA, indice di rumore 17, tempo di

rotazione 600ms), seguita da un’acquisizione spirale multifasica post-

contrastografica costituita da:

1. una fase arteriosa vascolare (o angiografica), ottenuta in corrispondenza

del picco di enhancement arterioso in aorta addominale, finalizzata allo studio

della vascolarizzazione arteriosa epatica (configurazione dei detettori

64x0.625mm, collimazione di detettore 0.625mm, intervallo di ricostruzione

0.625mm, tensione anodica 100-120kV, corrente 50-700mA, tempo rotazione

600ms, pitch 0.984:1, indice di rumore 27). La tensione anodica di 100kV è

stata impiegata in pazienti di piccolo/medio volume corporeo in quanto

consente, rispetto alla tensione standard di 120kV, una riduzione della dose

radiante di circa il 35% ed un aumento della risoluzione di contrasto del 25%,

che contribuisce a migliorare la qualità diagnostica delle immagini angio-TC e,

in particolare, la visualizzazione di rami arteriosi di piccolo calibro (Nakayama

2005; Sahani et al. 2007);

2. una fase arteriosa parenchimale (arteriosa tardiva o di early portal inflow),

ottenuta 10 secondi dopo il termine della fase precedente (collimazione di

detettore 1.25mm, intervallo di ricostruzione 1mm, tensione anodica 120kV,

indice di rumore 21, restanti parametri identici alla fase precedente);

3. una fase porto-venosa (o parenchimale), ottenuta 25 secondi dopo il

termine della fase precedente, con parametri di scansione identici; 45

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4. una fase tardiva (o interstiziale, o all’equilibrio), ottenuta 100 secondi dopo

il termine della fase precedente, con parametri di scansione identici.

Tutte le fasi post-contrastografiche sono state acquisite con collimazione di

detettore sottile per garantire un’elevata qualità delle ricostruzioni bi- e

tridimensionali, particolarmente utili per l’analisi dell’anatomia vascolare

arteriosa e venosa (in particolare, in previsione di un’eventuale trapianto e/o di

trattamenti interventistici trans-arteriosi, o nel caso di trombosi portale),

mantenendo figure di rumore elevate per minimizzare la dose radiante

somministrata. Tutte le immagini delle fasi post-contrastografiche sono state

successivamente retroricostruite con spessore di strato di 2.5mm ed intervallo di

ricostruzione di 2.5mm per ridurre sia il numero delle immagini assiali da

immagazzinare su supporto fisico (pellicola o CD) che il rumore delle immagini

native a strato sottile ed inviate su PACS ( Baffoni L. et al, 2004).

È stato somministrato attraverso una vena antecubitale un volume di 1.7 mL/kg

di iodixanolo con concentrazione iodica di 320 mgI/mL (Visipaque 320, GE

Healthcare, Oslo, Norvegia; volume massimo 130mL) con velocità di flusso di

4-5 mL/s, seguito da un flush di 40 mL di soluzione fisiologica alla stessa

velocità di iniezione per ottimizzare l'efficienza del bolo di mdc.

Previa analisi preliminare delle immagini ottenute (durante il quale il paziente

rimaneva sopra il tavolo TC), veniva condotto l'esame perfusionale in modalità

cine (rotazione continua del complesso tubo-detettori a tavolo fermo) con

copertura lungo l'asse longitudinale di 4 cm, comprendente la lesione di 46

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interesse.

I parametri di scansione erano i seguenti: configurazione dei detettori

64x0.625mm, spessore di ricostruzione 2.5mm, tensione anodica 80kV,

modulazione di corrente angolare e lungo l' asse z, intervallo di corrente 20-

400mA, indice di rumore 20, tempo di rotazione 1 secondo, risoluzione

temporale effettiva di 500 msec ottenuta mediante interpolazione temporale a

180°. Le immagini venivano ricostruite con kernel a bassa frequenza (Soft) per

ridurne il rumore.

L'acquisizione TC perfusionale iniziava dopo 10 secondi dall'iniezione di un

secondo bolo di contrasto (40 mL di iodixanolo 320 mgI/mL ad una velocità di

iniezione di 5 mL/s) e durava 50 secondi, in modo da coprire l'intera durata del

first pass del mdc e la porzione iniziale della fase di ricircolo del mdc per la

misura di PS. Prima dell’acquisizione il paziente veniva istruito ad effettuare

respiri ampi e lenti e veniva avvertito della lunghezza dell’acquisizione

perfusionale e dell’eventuale sensazione di calore e/o di rapido flusso venoso

nel braccio, al fine di aumentarne la collaborazione e di ridurre eventuali

artefatti da movimento.

Post-processing dei dati perfusionali

Le immagini DICOM della serie TC perfusionale venivano inviate mediante

rete locale dallo scanner TC ad una workstation (Advantage Windows 4.4, 47

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General Electric, Milwaukee, WI) e mediante il plug-in CT perfusion 3

venivano tracciate manualmente due ROI (Region Of Interest), la prima

all'interno dell' HCC e la seconda su un’area di parenchima circostante non

comprendente vasi macroscopicamente visibili (figura 1). La ROI sull’HCC

veniva posizionata sulla sezione della neoplasia con la maggiore estensione di

tessuto neoplastico, al fine di massimizzare la quantità di informazione acquisita

per le misure dei parametri perfusionali in ogni paziente. Inoltre, per

campionare la funzione di ingresso arterioso (Arterial Input Function, AIF,

figura 2) e portale sono state posizionate due ROI circolari rispettivamente al

centro del lume dell’aorta addominale e della vena porta o di un ramo portale

afferente al territorio contenente la lesione di interesse. Il corretto

posizionamento di tutte le ROI è stato verificato visualizzando la sezione

selezionata su tutti i frame temporali del dataset perfusionale, con lo scopo di

garantire che tutte le ROI si trovassero all'interno del distretto di interesse anche

in caso di movimento del paziente. I contorni delle ROI vengono disegnati ad

una distanza di almeno 1mm dai margini della neoplasia per evitare effetti di

volume parziale che potrebbero alterare la misura quantitativa dei parametri di

perfusione.

48

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Figura 1: HCC lobo epatico destro, posizionamento di due ROI nel tessuto patologico (verde) e nel parenchima sano (viola).

Figura 2: Curva dell'AIF che esprime la variazione di densità (in HU) in funzione del tempo all'interno della ROI in arteria.

49

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Utilizzando un modello bicompartimentale con doppia funzione di ingresso

(arteriosa e portale), sono stati calcolati i seguenti parametri:

• Blood Volume (BV), ovvero il volume dello spazio vascolare del tessuto in

esame in cui si distribuisce il mdc durante la sua fase di passaggio

intravascolare;

• Blood Flow (BF), ovvero il volume ematico che transita dagli ingressi

arterioso e portale attraverso lo spazio intravascolare tissutale nell’unità di

tempo;

• Mean Transit Time (MTT), ovvero il tempo medio necessario affinché il mdc

transiti dall’ingresso artero-portale all’uscita venosa attraverso il microcircolo

tissutale;

•Hepatic Arterial Fraction (HAF), ovvero la quota ematica proveniente

dall'arteria epatica;

•Permeability-Surface Product (PS), proporzionale alla frazione di mdc che

diffonde dallo spazio intravascolare a quello interstiziale durante il first pass

come conseguenza dell’aumentata permeabilità endoteliale del microcircolo

neoangiogenetico neoplastico (Lee et al. 2002; Lee et al. 2003).

Dato che esiste una relazione lineare fra concentrazione tissutale locale di mdc

ed attenuazione dei fotoni X, è possibile calcolare MTT mediante

deconvoluzione delle curve di enhancement artero-portale e tissutale in funzione

del tempo. BV viene calcolato come il rapporto fra l’area sotto la curva di

enhancement tissutale e l’area sotto la curva di enhancement artero-portale, 50

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mentre BF viene calcolato come il rapporto fra BV e MTT (teorema del volume

centrale) ( Lee et al. 2002, Lee et al. 2003). PS viene, infine, stimato mediante il

calcolo della frazione di estrazione E=1-e-PS/BF, che esprime la quota di mdc che

diffonde dallo spazio intravascolare a quello interstiziale per effetto della

permeabilità vascolare. Infine, per ciascuno dei quattro parametri perfusionali il

plug-in costruisce una mappa perfusionale colorimetrica della sezione in esame

( figura 3).

Analisi statistica

I valori di BF, BV, HAF, MTT e PS sono stati confrontati mediante il test di

Mann-Whitney a due code. L’analisi statistica è stata condotta utilizzando il

programma MedCalc™ (versione 11.0.0; http://www.medcalc.be). I valori dei

parametri di perfusione sono stati espressi come media ± deviazione standard.

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RISULTATI

PARAMETRI HCC PBF 780.6 ±204.2 148.9 ± 79.7(p<0.0001)BV 74.7 ± 46.5 10.1 ± 5.7 (p<0.0001)

MTT 4.29 ± 1.59 7.83 ± 4.49 (p=0.0074)HAF 0.618 ± 0.165 0.217 ± 0.108 (p=0.0002)PS 37.98 ± 21.74 17.23 ± 17.45 (p=0.0143)

I valori dei parametri di perfusione (BF, BV, MTT, HAF, PS) a carico della

lesione HCC e del parenchima epatico sano (P ). I valori tra parentesi indicano

la significatività statistica del confronto tra HCC e P.

BF è aumentato in maniera statisticamente significativa in HCC rispetto a P

(780.6 ± 204.2 vs 148.9 ± 79.7 mL/min/100g; p<0.0001); allo stesso modo BV

è significativamente più elevato in HCC rispetto a P (74.7 ± 46.5 vs 10.1 ± 5.7

mL/100g; p<0.0001), mentre MTT è significativamente ridotto in HCC rispetto

a P (4.29 ± 1.59 vs 7.83 ± 4.49 s; p=0.0074); HAF significativamente aumentato

in HCC rispetto a P (0.618 ± 0.165 vs 0.217 ± 0.108; p=0.0002) ed anche PS è

significativamente più alto in HCC rispetto a P (37.98 ± 21.74 vs 17.23 ± 17.45

mL/min/100g; p=0.0143).

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Tutti i datasets sono privi di significativi artefatti da movimento e il tempo

complessivo impiegato per il calcolo dei parametri perfusionali è stato inferiore

a 10 minuti per tutti i pazienti.

Figura 3: HCC lobo destro, posizionamento delle ROI nella porzione vitale della neoplasia e nel tessuto sano . Le mappe di BF (a),, BV (b), HAF (c), MTT (d) e PS (e) mostrano un incremento di BF, BV, HAF e PS ed una riduzione di MTT nella neoplasia rispetto al tessuto sano.

Figura 3a

53

BF

HCC 495Ref 70

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Figura 3b

Figura 3b

Figura 3c

54

BV

HCC 55Ref 7

HCC 8.3Ref 10.6

HAF

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Figura 3d

Figura 3e

55

MTT

HCC 0.74Ref 0.29

PS

HCC 42.9Ref 13.5

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DISCUSSIONE

Il ruolo dell'analisi TC di perfusione non è ancora stato chiarito in merito alla

valutazione della patologia focale epatica, infatti pochi sono stati gli studi che

hanno esaminato il suo potenziale contributo nella valutazione dell'HCC e delle

altre lesioni epatiche focali, in particolare non risultano pubblicazioni

concernenti lo studio perfusionale quantitativo della patologia focale epatica con

TC a 64 canali. Indubbiamente il progresso tecnologico che ha interessato la

tomografia computerizzata consente una migliore risoluzione spaziale lungo

l'asse longitudinale, una maggiore velocità di acquisizione ed un utilizzo più

efficiente del bolo di mdc ev (il che contribuisce ad ottimizzare il contrasto

dell’immagine nelle varie fasi, ottenendo fasi contrastografiche più pure rispetto

a quanto consentito da scanner TC più lenti), con indubbi vantaggi in termini di

accuratezza diagnostica.

La TC perfusionale aggiunge ai vantaggi sopradescritti la peculiarità di poter

ottenere informazioni quantitative sul microcircolo del parenchima, rilevandone

eventuali alterazioni sia focali che diffuse. In particolare, l’analisi perfusionale

potrebbe fornire informazioni utili per chiarire la natura di lesioni focali con

comportamento contrastografico non dirimente all’imaging convenzionale

(come, per esempio, nella progressione da nodulo rigenerativo/displasico fino

ad HCC “early”). L’impiego di un’apparecchiatura TCMD allo stato dell'arte

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rappresenta, in tal senso, un presupposto importante per superare i problemi

tecnici legati all’esecuzione di studi TC perfusionali con macchine di

precedente generazione, fra i quali si annoverano, in primo luogo, la scarsa

copertura anatomica lungo l’asse longitudinale e la spesso insoddisfacente

risoluzione spaziale, che limitavano pesantemente l’accuratezza delle misure

quantitative dei parametri perfusionali a causa di una grande sensibilità ad

artefatti da movimento e la possibilità di includere più lesioni (o, perlomeno,

singole lesioni nella loro interezza).

In tal senso, il fatto che tutti i dati acquisiti nella nostra esperienza fossero privi

di artefatti di movimento, che i valori ottenuti risultassero statisticamente diversi

rispetto al parenchima sano e che multipli HCC potessero essere compresi nello

spessore di acquisizione, sembra confermare i vantaggi legati all’impiego di un

apparecchio TC 64 S. A questo si aggiunge la consapevolezza di aver effettuato

lo studio perfusionale su pazienti in cui la diagnosi di HCC era stata posta con

l’acquisizione TC multifasica preliminare, valutando i risultati dello studio TC

perfusionale su una patologia con diagnosi nota a priori, in cui la fisiopatologia

del microcircolo è ben conosciuta ed è già stata correlata con dati TC di

perfusione ottenuti su apparecchi TC di generazioni precedenti.

In particolare, BF, BV, HAF e PS sono risultati significativamente aumentati

nell'HCC rispetto al parenchima circostante, come già rilevato da altri autori con

utilizzo di TC a 16 strati o meno (Koop et al. 2001; Miles et al. 2003; Sahani et

al. 2007; Ippolito et al. 2008).57

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Tali valori riflettono la presenza di fenomeni di neoangiogenesi con l’aumento

della vascolarizzazione arteriosa a carico della neoplasia, sia in termini di

aumentato flusso ematico (BF), sia in termini di aumentato volume ematico

(BV) come conseguenza del reclutamento di neovasi disposti in parallelo fra

loro.

Molto indicativa è anche la riduzione significativa dell'MTT rispetto al

parenchima epatico circostante per la formazione di shunt artero-venosi e la

drastica riduzione delle resistenze vascolari intralesionali, cui concorre

l’incrementata pressione di perfusione rivelata dall’aumento di BF.

Infine, l’incremento di PS nell’HCC rispetto al parenchima epatico circostante

implica un’anomala architettura del neoendotelio tumorale, ampiamente

fenestrato, privo di tonaca media e contenente foci di necrosi, che fa sì che una

parte del mdc proveniente dall’ingresso artero-portale venga disperso

nell’interstizio già durante il first pass del mdc, ossia nella fase di

biodistribuzione intravascolare di quest’ultimo.

La TC 64 strati risulta ad oggi la migliore tecnica strumentale nell'elaborazione

dello studio funzionale epatico: si ha riduzione dei tempi e conseguentemente

riduzione degli artefatti di movimento, ampia collimazione del fascio radiante

per uno studio volumetrico più esteso e maggior margine di sicurezza, riduzione

della dose a collimazioni di detettore sottili rispetto a scanner TCMD di

generazioni precedenti.

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Una domanda che potrebbe sorgere spontanea è perché non sia stata impiegata

per lo studio della perfusione epatica la RM anziché la TC; infatti, la RM

possiede i ben noti vantaggi dell’assenza di somministrazione di radiazioni

ionizzanti e di mdc iodato potenzialmente nefrotossico, oltre ad una copertura

anatomica ben più ampia dei 4cm consentiti dalla TC 64 S grazie all’utilizzo di

bobine dedicate. Tuttavia, la RM non è in grado, almeno allo stato attuale della

tecnologia, di garantire una quantificazione accurata della perfusione tissutale

(e, in particolare, epatica), in quanto, a differenza di quanto accade in TC con il

mdc iodato (la cui attenuazione fotonica varia linearmente con la sua

concentrazione), l’intensità di segnale in RM non varia linearmente con la

concentrazione del mezzo di contrasto paramagnetico, ma subisce un calo

paradosso per concentrazioni elevate dovuto ad effetto T2. Inoltre, il segnale

RM dipende da variabili di acquisizione intrinseche come l’intensità del campo

magnetico statico e dei gradienti, il tipo di bobine utilizzate e di sequenza di

impulsi, così la determinazione dei parametri risulta difficoltosa, scarsamente

riproducibile e poco precisa.

D’altra parte, il protocollo di studio perfusionale impiegato in questa tesi

consente di somministrare una dose radiante relativamente contenuta grazie

all’impiego di una bassa tensione anodica (80 kV rispetto ai 120 kV

normalmente utilizzati) e di tecniche di modulazione angolare e longitudinale

della corrente del tubo (Wintermark et al. 2000; Kalender et al. 2008). Il rumore

conseguente alla riduzione della dose radiante viene compensato sia dalla 59

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ricostruzione delle immagini con un filtro a bassa frequenza, sia dall’altissima

risoluzione di contrasto dovuta alla maggiore attenuazione dei fotoni X per

prevalente effetto fotoelettrico a 80kV (Kalva et al 2006) e all’elevata velocità

di iniezione del mezzo di contrasto. Fra l’altro, le immagini TC di perfusione,

possone essere acquisite con rapporto segnale/rumore relativamente basso in

quanto non sono destinate ad una diagnosi morfologica, bensì ad un’analisi

funzionale effettuata da un algoritmo software dedicato; inoltre, la dose radiante

fornita al paziente con l’acquisizione TC perfusionale si somma a quella erogata

con lo studio TC tri- o quadrifasico convenzionale del fegato, per cui il suo peso

in termini percentuali è esiguo.

È auspicabile che un ulteriore progresso della tecnica di perfusione TC sia

possibile con la diffusione di apparecchi con più di 64 canali, dotati di

copertura anatomica ancora più ampia (Kalender et al. 2008; Funabashi et al.

2005), in grado di effettuare studi perfusionali di interi organi.

Ulteriori prospettive di impiego della TC perfusionale nell’ambito della

patologia epatica potranno verosimilmente comprendere il controllo precoce

della risposta alla terapia con farmaci antineoplastici (e, in particolare, anti-

neoangiogenetici: Zhu et al. 2008; Ivy et al. 2009), in cui lo studio TC di

perfusione può fornire risultati importanti sia a fini prognostici che per

pianificare il corretto iter terapeutico.

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TABELLE

Tabella 1: Stadiazione TNM

Stadio Tumore (T) Linfonodi (N) Metastasi (M)I T1 N0 M0II T2 N0 M0

IIIA T3 N0 M0IIIB T4 N0 M0IIIC Qualsiasi T N1 M0IV Qualsiasi T Qualsiasi N M1

Parametro T

T1 Singola lesione senza invasione vascolareT2 Singola lesione con invasione vascolare, o noduli multipli,

tutti <5 cmT3 Noduli multipli >5 cm o con interessamento tumorale della

maggiorparte della vena porta o delle vene epaticheT4 Lesione singola o multipla con invasione diretta degli organi

adiacenti oltre che della cistifellea, o con perforazione delperitoneo viscerale

Parametro N

N0 Assenza di metastasi regionali ai linfonodiN1 Metastasi regionali ai linfonodi

Parametro M

M0 Assenza di metastasi a distanzaM1 Metastasi a distanza

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Tabella 2: Classificazione di Child-Pugh

Punteggio 1 2 3Bilirubina (mg%) < 1.5 1.5-2.3 > 2.3

Attività protrombinica >70% 70%-40% <40%Albumina (g%) >3.5 2.8-3.5 <2.8

Ascite assente trattabile Non trattabileEncefalopatia (grado) 0 1-2 3-4

Stadio Punteggio

A 5 - 6B 7 - 9C >10

Tabella 3: Stadiazione di Okuda

Estensione del tumore >50% del fegatoAscite +/ -

Albumina <3 g/dlBilirubina >3 mg/dl

Grado Caratteristiche

I Assenza di fattoriII Presenza di 1 o 2 fattoriIII Presenza di 3 o 4 fattori

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Tabella 4: Stadiazione BLCL

Stadio Caratteristiche tumore Parametri epaticiA (HCC iniziale)

A1 PST 0 Nodulo unico Assenza di ipertensioneportale, livelli ematici

di bilirubina nellanorma

A2 PST 0 Nodulo unico Ipertensione portale,livelli ematici di

bilirubina nella normaA3 PST 0 Nodulo unico Ipertensione portale,

livelli ematici dibilirubina alterati

A4 PST 0 3 noduli, minori di 3cm

Child-Pugh A-B

B (HCC intermedio)PST 0

Multinodulare (estesi) Child-Pugh A-B

C (HCC avanzato) PST 1-2

Invasione vascolare edestensione extraepatica

Child-Pugh A-B

D (HCC terminale) PST 3-4

Altro Child-Pugh C

PST: Performance Status Test

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