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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI VENEZIA CA’ FOSCARI FACOLTA’ DI ECONOMIA CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN AMMINISTRAZIONE E CONTROLLO TESI DI LAUREA L’ETICA DI IMPRESA TRA TEORIA E PRASSI Relatore: Ch.mo Prof. Danilo Bano Laureanda: Raffaella Zottarel Matricola: 798770 ANNO ACCADEMICO 2004/2005

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI VENEZIA CA’ FOSCARI

FACOLTA’ DI ECONOMIA CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN AMMINISTRAZIONE E CONTROLLO

TESI DI LAUREA

L’ETICA DI IMPRESA TRA TEORIA E PRASSI

Relatore: Ch.mo Prof. Danilo Bano

Laureanda: Raffaella Zottarel Matricola: 798770

ANNO ACCADEMICO 2004/2005

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Ai miei genitori e ad Alessandro

Due cose mi riempiono di meraviglia: il cielo stellato sopra di me e il valore morale dentro di me

(Kant)

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INDICE

Introduzione VI

SEZIONE PRIMA: LA TEORIA

Capitolo 1. Etica economica 1 1.1. Concetto di etica 1 1.2. Gestione dell’impresa 3 1.3. Etica filosofica ed etica teologica 5 1.4. Etica laica 6 1.5. I tre assi dimensionali dell’etica 7 1.6. Evoluzione rapporto etica-economia 9 1.7. Le tre soluzioni proposte da Vittorio Coda 12 1.7.1. Il primato del sociale sull’economica 12 1.7.2. La subordinazione del sociale alle leggi dell’economia di mercato 13 1.7.3. Le logiche di contemperamento 14 1.7.4. Quale soluzione adottare? 15 1.8. Un trevigiano promotore dell’etica economica: Giuseppe Toniolo 16 1.9. Etica degli affari 17 1.9.1. Ma l’etica degli affari, paga? 19 Capitolo 2. Responsabilità sociale d’impresa 20 2.1. L’origine del termine responsabilità 20 2.2. Le tre eredità del concetto di responsabilità 22 2.2.1. L’eredità greco-romana 22 2.2.2. L’eredità ebraico-cristiana 22 2.2.3. L’eredità moderna 22 2.3. La responsabilità nella cultura contemporanea 23 2.4. Comportamenti socialmente responsabili 24 2.5. Alcune reazioni sul tema della responsabilità etica e sociale delle imprese 25 2.6. L’irresponsabilità sociale 29 2.7. Corporate social responsability (CSR) 30 2.7.1. L’evoluzione del concetto di CSR 30 2.7.2. Le tappe principali dello sviluppo 32 2.7.3. CSR in Europa 37 2.7.3.1. Le indicazioni del Libro Verde 40 2.7.3.2. La risoluzione del 2002 del Parlamento Europeo 41 2.7.3.3. Il libro bianco del 2002 42

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2.7.4. CSR in Italia 44 2.7.4.1. Il progetto CSR-SC del Ministero del Welfare 44 2.7.4.2. Sostenitori e contestatori del progetto 46 2.7.5. CSR a Treviso 49 2.7.5.1. Proetica 48 Capitolo 3. L’accountability dell’impresa 51 3.1. Il termine accountability 51 3.2. Il bilancio d’esercizio e il bilancio sociale: documenti di «diretta accountability» 52

3.3. Cenni al codice etico 55 3.4. Rischi nella redazione dei documenti di accountability 57 Capitolo 4. Approfondimento di alcuni concetti teorici 59 4.1. Valori aziendali 59 4.1.1. I valori imprenditoriali e la dottrina 60 4.1.2. L’individuazione dei valori imprenditoriali 61 4.1.3. Quali sono i valori alla base del successo imprenditoriale? 63 4.1.4. Rapporto tra responsabilità sociale e obiettivi dell’impresa 64 4.1.4.1. La teoria riduttiva 65 4.1.4.2. La teoria estensiva 66 4.1.5. I valori imprenditoriali primari e quelli strumentali 66 4.1.6. La cultura aziendale 68 4.2. La fiducia e la reputazione 68 4.2.1. La fiducia 69 4.2.2. La reputazione 71 4.3. I destinatari della responsabilità 72 4.3.1. L’impresa può avere responsabilità morale? 73 4.4. Gli obiettivi delle imprese etiche 75 4.4.1. Obiettivi alternativi o addizionali rispetto alla massimizzazione del profitto? 76

4.5. La teoria degli stakeholder 77 4.5.1. Tipologie di stakeholder 79 4.5.2. Lo stakeholder risorse umane 80 4.6. Comitato Etico d’impresa ed Ethics Officer 82 4.6.1. Composizione e funzioni del Comitato Etico 82 4.7. Le motivazioni che spingono alla redazione del bilancio sociale 83 4.7.1. La rendicontazione «per moda» o di «avanguardia» 83 4.7.2. La rendicontazione «per esigenze e spinte esterne» 84 4.7.3. La rendicontazione «per presa di coscienza» 85 4.8. Bilancio sociale: effetto moda o no? 85 4.9. Perché redigere il bilancio sociale? 86

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4.10. Le ripercussioni organizzative provocate dall’adozione di una condotta socialmente responsabile 86

SEZIONE SECONDA: LA PRASSI

Capitolo 1. I risultati dell’indagine 89 1.1. Gli obiettivi e le caratteristiche dell’indagine 89 1.2. Somministrazione del questionari 91 1.3. Le risposte 92 1.4. Alcuni problemi di natura metodologica 92 1.5. Il profilo delle imprese 93 1.6. Analisi dati del primo gruppo 95 1.6.1. Etica economica 96 1.6.2. Impegno sociale 102 1.6.3. Concetto generale di Responsabilità sociale d’impresa 108 1.6.4. Bilancio sociale 119 1.7. Analisi dati del secondo gruppo 122 1.7.1. Etica economica 122 1.7.2. Impegno sociale 124 1.7.3. Concetto generale di responsabilità sociale d’impresa 125 1.7.4. Bilancio sociale 128 Capitolo 2. Un esempio di relazione sociale 130 2.1 Le parti del bilancio sociale 130 2.2. La relazione sociale di Tecnogamma SPA 132 Capitolo 3. Casi aziendali 146 Conclusione 151 Appendice 163 Bibliografia 172 Ringraziamenti 179

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INTRODUZIONE Oggi più che mai l’impresa, per operare nell’attuale contesto competitivo, deve

essere consapevole del proprio ruolo sociale. Il fare impresa è infatti un elemento che

viene valutato non solo ai fini della produzione di beni, servizi e reddito, ma anche in

termini sociali: occupazione, relazioni, tutela ambientale e valorizzazione del capitale

umano. Il valore creato dall’impresa, in altre parole, non ha più come unici

riferimenti i detentori del capitale di rischio – gli azionisti – ma tutta la comunità e

tutti i soggetti coinvolti dall’attività dell’impresa, sia direttamente che indirettamente.

La responsabilità sociale dell’impresa (RSI) si misura quindi verso tutti gli

stakeholders influenti: dipendenti, collaboratori, clienti, fornitori, azionisti e

comunità locale. Per questo non può essere solamente uno strumento di immagine o

di comunicazione; deve coincidere con la mission aziendale ed essere coerente con

tutti i comportamenti operativi dell’impresa stessa.

Il nuovo spazio e ruolo assunti dalla responsabilità sociale è quindi un segnale

importante per superare una visione dell’impresa come strumento antagonista e di

sfruttamento. Per le organizzazioni l’approccio alla responsabilità sociale significa

infatti lavorare sulla credibilità e sulla reputazione nei rapporti con gli stakeholders e

tutta la collettività. Se le parole d’ordine per rafforzare la reputazione aziendale sono

quindi trasparenza, onestà e integrità, per costruire rapporti trasparenti, simmetrici e

basati sulla fiducia, è necessario qualcosa in più: l’etica.

Etica e profitto non sono antitetici. Una sintesi è indispensabile per avere relazioni

positive e durature con tutta la comunità e per rendere credibile, anche nel tempo, lo

stesso progetto imprenditoriale.

L’elaborato «Etica d’impresa tra teoria e prassi» vuole essere spunto di riflessione

sull’etica economica, partendo dall’etica di impresa fino ad arrivare alla politica della

«Responsabilità Sociale di Impresa».

L’idea iniziale era di condurre una mappatura delle aziende presenti nella provincia

di Treviso analizzando, mediante un questionario, il grado di conoscenza del nuovo

paradigma aziendale ed indagare, in particolare, sulle motivazioni che impediscono

la sua introduzione. In parte, tali obiettivi sono stati raggiunti, però purtroppo, in

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corso d’opera, a causa della scarsità delle risposte che sono state ottenute, il lavoro è

stato reimpostato, arrivando al seguente risultato finale.

Il titolo sintetizza la struttura dell’elaborato che è suddiviso in due sezioni principali,

la prima dedicata ai concetti teorici di base mentre la seconda sviluppa l’indagine

campionaria ed il lavoro svolto durante lo stage.

Il lavoro può essere rappresentato da un insieme di cerchi concentrici, dove gli anelli

esteriori sono dedicati ai concetti teorici generali, poi, via via che ci si dirige verso il

nucleo, l’analisi sì fa più particolare, cioè si cerca di capire in quale modo gli

argomenti vengono messi in pratica nella realtà.

L’obiettivo iniziale prevedeva che il lavoro non dovesse caratterizzarsi come una

elaborazione di concetti, bensì di confrontare la teoria e la prassi, così da capire come

sono percepiti gli argomenti dalle aziende, evitando che rimanessero semplici

astrazioni. La RSI, essendo un concetto che si sta sviluppando negli ultimi anni,

necessita di essere studiata con un occhio attendo sulle imprese, le quali hanno

bisogno di informazioni dettagliate ma soprattutto di una «spinta» per intraprendere

tale politica.

Il filo conduttore di tutta la ricerca è stato il questionario, somministrato ad un

campione, «non rappresentativo» di aziende della provincia di Treviso, in base al

quale sono stati sviluppati i concetti teorici.

La sezione teorica si suddivide a sua volta in due parti, la prima rispetta l’ordine

delle unità del questionario, dedicando ad ognuna un capitolo ad eccezione

dell’«impegno sociale», le altre unità invece, nominate «etica economica»,

«responsabilità sociale d’impresa» e «accountability d’impresa», sono state

approfondite accuratamente, cercando di fornire una panoramica sull’evoluzione

degli argomenti. Nell’ultimo capitolo di questa sezione invece, il focus sì è spostato

su argomenti particolari, che a volte facevano riferimento a singole parole presenti

nelle domande del questionario (ad esempio «i valori aziendali»).

L’obiettivo non era di approfondire dettagliatamente tutti gli argomenti, bensì di

concentrarsi su alcuni concetti specifici, in modo tale da dare una impostazione

diversa alla tesi affinché non risulti una semplice illustrazione degli argomenti

generali.

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La seconda sezione dell’elaborato, come accennato in precedenza, riguarda la prassi,

analizzata non solo mediante l’indagine campionaria ma anche grazie al lavoro

svolto durante lo stage, ai quali ho dedicato i rispettivi capitoli. Grazie a questa

esperienza ho potuto inoltrarmi personalmente nel vivo degli argomenti, redigendo

parte della relazione sociale dell’azienda ospitante.

Infine le ultime pagine presentano alcuni casi aziendali, a dimostrazione che gli

argomenti studiati in precedenza non sono solo «aria fritta»,come sostengono alcune

persone inesperte, ma occasione di crescita e di successo per l’azienda.

Auguro a tutti coloro che si accingono a leggere il seguente lavoro di trovare

un’occasione di riflessione su concetti che a volte esulano dalla dimensione

economica.

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SEZIONE PRIMA: LA TEORIA

CAPITOLO 1

ETICA ECONOMICA

1.1. Concetto di etica Con il termine etica si indica, di solito, lo studio «riflessivo delle convenzioni e delle

ragioni» che le persone hanno o possono assumere per dare un valore alla propria

vita e alla vita che si condivide con altre persone. Come disciplina filosofica, l’etica,

in altre parole, studia la condotta dell’uomo, i criteri in base ai quali si valutano i

comportamenti e le scelte (in greco, ethikè deriva da ethos, che significa appunto

comportamento, costume). I greci infatti, volevano sottolineare con questo termine la

dimora dello spirito dell’uomo e fin da allora ogni azione umana veniva sottoposta al

giudizio di ciò che è bene e ciò che è male per l’uomo. L’etica, quindi, è la parte

della filosofia che ha per oggetto la determinazione della condotta umana e la ricerca

dei mezzi atti a concretizzarla.

Il termine, introdotto nel linguaggio filosofico da Aristotele1, è usato in genere come

sinonimo di morale2. Proprio il filosofo greco, nella sua opera «Etica Nicomachèa»3,

afferma che l’attività dell’uomo ha come proprio fine il bene, inteso come bene

ultimo o Sommo bene.4

1 Filosofo greco (Stagira, Macedonia, 384 – Calcide, Eubea, 322 a.C.). 2 In realtà etica e morale esprimono due concetti distinti. La morale non è altro che l’insieme di norme che regolano la vita dell’uomo, a prescindere da qualsiasi giudizio positivo o negativo. L’etica, invece, definisce le regole ed esprime i giudizi su ciò che è buono o cattivo, lecito o illecito e ne fornisce la giustificazione. – COMOLLI G.M., Etica e Terzo settore. Dare un cuore alla società, Ancona, Milano, 1998. Per comprendere l’etica in rapporto con l’economia torna utile la distinzione hegeliana tra moralità ed eticità: la moralità indica l’aspetto soggettivo della condotta, per esempio l’intenzione del soggetto, la sua disposizione interiore; l’eticità indica invece l’insieme dei valori morali effettivamente realizzati e condivisi in una determinata epoca storica. Per Hegel, forme dell’eticità sono le istituzioni come la famiglia, la società civile, lo stato. (Hegel, Filosofia del diritto). 3 Opera contenente la formulazione più articolata e completa della dottrina morale di Aristotele, edita da Nicomaco, figlio del filosofo. 4 Aristotele, a proposito del bene umano afferma: «esso è desiderabile anche quando riguarda una sola persona, ma è più bello e più divino se riguarda un popolo e le città» – ARISTOTELE, Etica Nicomachea, Rusconi, Milano, 1979

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«Il Sommo bene è la felicità, ed essendo questa perseguita da tutti gli uomini, non in

modo isolato ma dall’intera società, la determinazione del suo concetto è compito

della scienza politica, che costituisce il vertice dell’etica stessa»5.

Applicata al campo economico, l’etica si pone domande sulla giustizia politica e

sociale, sul problema della distribuzione delle risorse, sulla definizione del welfare e

così via.

Quando si applica poi l’etica all’impresa, concepita come istituto, sorgono difficoltà

particolari proprio nel circoscrivere in modo esatto ed univoco la sfera di indagine.

In una prima accezione l’etica riguarda il modo in cui le persone si comportano

all’interno del mondo degli affari, ossia di un mondo che presuppone sempre un

contesto di istituzioni e di regole già esistenti nella società, cui gli «uomini d’affari»

si devono adeguare: «altrimenti non ci sarebbe nessuna differenza tra questi e una

banda di delinquenti»6. O ancora, se non fosse così, si correbbe il rischio che costoro

creino un’etica di casta, un’etica della imprenditoria, sottraendo l’impresa a vincoli e

a valori sociali, orientandosi verso il mero perseguimento di una efficiente

combinazione di risorse. L’impresa ha una propria intrinseca eticità, fondata sul

compito di dover perseguire le sue specifiche finalità.

Nell’ambito di questa concezione si apre la necessità di andare oltre l’orizzonte

dell’«etica degli affari», connessa all’«insieme di norme, di comportamenti

interiorizzati e di coerenze che la comunità degli affari deve possedere e praticare»7.

«Andar oltre i singoli affari significa inquadrarli nell’ambito dell’impresa, intesa non

come «macchina per affari», ma appunto come «istituto» destinato a perdurare nel

tempo, ecco che occorre far risaltare il significato di etica d’impresa, riferita al come

sono svolte in impresa le attività e le decisioni che sottostanno al suo operare»8.

Emerge così dall’agire finalizzato ad una economicità di lungo termine come la

caratteristica della eticità stia proprio nel perdurare dell’impresa, nella sua «durata» –

esplicata nella riduzione dei costi, nell’incremento delle quote di mercato,

5 Etica ed Economia, La Stampa, Torino, 1990 6 MASSARENTI A., L’etica moderna si nutre di storia, in Il Sole-24 Ore, 8 luglio 1989 (intervista all’inglese Bernard Williams) 7 Si veda l’intervento al convegno “Nuove frontiere dell’etica contemporanea”, di LOMBARDI G., Il profitto è anche morale, in Il Sole-24 Ore, 13 maggio 1989 8 REINA M., Ruolo imprenditoriale e scelte etiche, in “Aggiornamenti sociali”, a. XXXIX, n. 1 gennaio 1988, pp. 5-22

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nell’ottimizzazione dei processi produttivi e così di seguito: si tratta di un agire che

in ultima analisi è di per sè stesso etico.

L’anima etica dell’impresa dipende quindi da chi esercita la funzione

imprenditoriale, da chi deve annoverare fra i propri obiettivi una redditività di lungo

periodo, che si esprima con l’innovare, con il produrre a costi competitivi, con il

contribuire alla soluzione del problema dell’occupazione e alla salvaguardia

dell’ambiente nella sua integrità ecologica. In sostanza il compito di creare nuove

ricchezze si deve saldare con altre finalità connesse al valore della persona e delle

relazioni sociali.

Anche chi per proprie scelte morali non si riferisce ad un orizzonte di valori

trascendenti è, in questa prospettiva, tenuto ad agire secondo canoni etici: occorre

rendere vivi i valori d’impresa nella vita quotidiana, nel fare impresa giorno per

giorno, in modo che l’impresa si trasformi in una effettiva comunità di persone in

grado di partecipare al progetto imprenditoriale e di arricchirlo, ai vari livelli della

loro attività e nelle diverse aree funzionali.

Il compito dell’imprenditore è quello di diventare portatore, quindi, anche di un

compito etico: quello di vivere gli autentici valori d’impresa con gli altri attori chiave

e con tutti i collaboratori.

1.2. Gestione dell’impresa Nel quadro concettuale tratteggiato, si possono delineare due posizioni opposte circa

le modalità etiche ed economiche di gestire l’impresa nel suo interno e nei rapporti

con l’ambiente di riferimento.

Da una parte, una posizione che riflette quel rigore etico di tipo quasi «classico-

neoclassico», che focalizza in modo esclusivo le finalità d’impresa nel profitto e

nell’efficienza, come valori prioritari, al di sotto dei quali devono essere subordinati

tutti gli altri valori dell’impresa stessa. Dall’altra parte, una posizione ispirata invece

ad una visione dell’uomo relazionato alla società, fondata quindi su valori di

carattere sociale o su valori di tipo umanistico.

Sul primo fronte, la motivazione portata da imprenditori e manager che enfatizzano il

profitto e l’efficienza è connessa al fatto che la funzione imprenditoriale deve avere

come elemento propulsivo la totale libertà di agire. In sostanza, nessun limite

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preventivo deve essere imposto alla libertà del soggetto imprenditoriale, nessun

limite, neppure fatto da principi etici come quello della solidarietà sociale. Quello

che conta è che ci siano le possibilità concrete di reagire da parte della società in cui

l’impresa opera. L’assunto fondamentale è che l’efficienza si misura sempre ed

esclusivamente in termini di profitto. Intraprendere significa rischiare nella

prospettiva di un profitto: rischio e profitto sono due fattori ineliminabili

dell’impresa. Essi costituiscono i due estremi di una catena lungo la quale c’è

occupazione e produzione, ricerca e innovazione e così via. Ma fra questi estremi c’è

l’adempimento del vero «ruolo sociale» dell’imprenditore, le cui regole morali sono

bensì «la chiarezza nel dire e nel fare», «il rispetto della parola data», ma soprattutto

«il rispetto per la concorrenza», ragione per cui l’impresa esiste. Il bene comune

viene veramente favorito se ogni impresa persegue il proprio tornaconto nell’arena

concorrenziale.

La seconda posizione, di carattere umanistico e sociale, non mette in discussione il

profitto come finalità principale dell’impresa, perché «un’economia senza profitto è

un’economia senza sviluppo». In questa ottica si esplicita invece il significato di

«profitto» per l’impresa e per gli attori sociali. In ogni caso, il profitto, misura di

efficienza, non è il principio assoluto e unico dei comportamenti dell’imprenditore,

che è comunque tenuto ad operare in un’ottica di lungo periodo.

Il valore della libertà delle scelte personali, il valore della piena esplicazione della

risorsa «imprenditorialità» e dei suoi fattori (il rischio, la creatività, l’efficienza e

così via), il valore dell’impegno a superarsi e ad avanzare sono tutti valori che si

devono tradurre nella produzione sinergica di risultati reddituali, competitivi e

sociali.

In entrambe le posizioni delineate si persegue lo scopo di creare nuova ricchezza per

l’intera collettività: nel primo caso indirettamente, nel secondo caso direttamente in

quanto nell’attività dell’impresa si tengono presenti anche gli interessi immediati

degli altri attori ed interlocutori sociali.

Le due posizioni assumono un valore emblematico: da una parte si possono

sottolineare quelle motivazioni che spingono le persone ad intraprendere le diverse

attività economiche; dall’altra, si possono evidenziare i diversi gradi di responsabilità

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morale derivante dalla propria condotta, sia sul piano strettamente individuale, sia su

quello dei rapporti con la collettività.

La responsabilità morale è ricollegabile ai singoli individui, e presuppone una

coscienza morale più o meno evoluta in base al livello di cultura acquisito e al grado

di consapevolezza dei valori posseduto.

E’ necessario che gli imprenditori riflettano attentamente su questo aspetto etico

della vita personale e dei propri collaboratori, ai vari livelli e nelle varie aree

funzionali, ben consapevoli che la loro impresa non può vivere senza una «coscienza

morale». Si devono così creare le condizioni per una diffusione e una crescita della

mentalità imprenditoriale all’interno e all’esterno dell’impresa. In tal modo finisce

per sfumare la demarcazione tra imprenditore ispirato a principi e valori vicini alla

morale cristiana e imprenditore estraneo, laddove entrambi sono intesi come portatori

di una forza innovativa e propulsiva dello sviluppo economico e sociale.

Questa dimensione etica ha la propria ragion d’essere nel compito di produrre

ricchezza non soltanto per le generazioni presenti o per un limitato gruppo sociale,

ma per quelle che seguono e per i gruppi sociali che ancora non fruiscono dei

benefici del progresso economico.

Allora, discutere di etica e di impresa significa entrare nel cuore del problema della

crescita economica e sociale, vincere il peso di antichi pregiudizi, per i quali si è

ancora abituati a contrapporre gli interessi della collettività con quelli dell’impresa.

Imboccare la strada di una nuova visione di questa realtà può senz’altro favorire la

nascita e la crescita di nuove forze imprenditoriali.

1.3. Etica filosofica ed etica teologica Il Cardinal Maria Martini presente al seminario interdisciplinare tenutosi a Lecco nel

giugno 1989 ha voluto distinguere l’etica filosofica dall’etica teologica.

La prima si dedica all’analisi e alla ricerca del fondamento filosofico delle realtà

morali, la seconda invece deriva le norme dell’agire morale dalla parola di Dio

testimoniata dalla Chiesa.

Entrambe non si contrappongono ma neppure si identificano.

L’etica teologica è etica cristiana perché ha la propria fonte nella Rivelazione di Dio

in Gesù Cristo. Allora, noi spesso ci chiediamo: «Questa etica è estranea alle forme

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di promozione dello sviluppo economico?». Ci vengono in aiuto passi evangelici

come quello di Matteo: «Nessuno può servire a due padroni; o odierà l’uno e amerà

l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e mammona»

(Mt 6, 19-20) o ancora «Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi per quello

che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la

vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del

cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro

celeste li nutre» (Mt 6, 25-26).

Non è facile allora, concordare l’attività economica – che richiede sviluppo,

preveggenza, moltiplicazioni di beni – con massime di questo tipo che sembrano

essere destinate a poche eletti. Chi esercita un’attività di tipo economico, finanziario,

imprenditoriale, e tende al successo economico, all’accrescimento, alla

moltiplicazione, di fronte a tali affermazioni evangeliche si sente colpevolizzato.

Per l’etica filosofica non c’è antagonismo o contraddizione tra successo economico e

moralità. La morale sembra intesa semplicemente come uno dei molteplici fattori che

empiricamente e in varia misura influiscono sul successo dell’impresa economica e

viene definita come il consenso circa i valori non propriamente economici quali la

fedeltà alla parola data, la sincerità, la riservatezza, la solidarietà verso i

collaboratori, il soddisfare i debiti e così via. E la morale, intesa in questo modo,

svolge come dice il Cardinal Maria Martini una funzione lubrificante, riducendo gli

attriti nei rapporti di lavoro e rendendo più agevole e più spedito il processo di

produzione, e una funzione di carburante, fornendo motivazioni particolarmente forti

e assicurando quel coinvolgimento soggettivo che è condizione necessaria alla buona

qualità della produzione.

Se dunque esiste certamente un rapporto tra il successo economico e l’agire etico,

dobbiamo però aggiungere subito che è inaccettabile quel modo di intendere la

morale come mezzo di successo.

1.4. Etica laica Secondo Toni Negri9 gli elementi costitutivi di un’etica laica sono cinque:

9 NEGRI T., Il lavoro di Giobbe, Manifestolibri, Roma, 2002

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1. il principio di responsabilità;

2. la scelta della cooperazione;

3. il metodo della progettualità;

4. la condivisione di valori collettivi;

5. la ricerca di senso come dinamica di un processo indefinito.

Simon Blackburn10 non è del tutto d’accordo. L’etica, sostiene, è priva di fondamenti

o di ragioni con la R maiuscola, come quelle postulate da Kant. L’etica non deve

porre richieste eccessive alla nostra condotta.

Che cosa sia l’etica prova a dirlo in poche parole un altro studioso: «L’etica è

l’ordine che gli uomini cercano di darsi per poter vivere insieme».

Milton Friedman, economista fondatore della celebre Scuola di Chicago e autore nel

1962 del celebre Capitalism and Freedom11, afferma in un suo intervento sul New

York Times Magazine del 1970: «Vi è una sola responsabilità sociale dell’impresa:

aumentare i profitti». Soltanto dopo 40 anni, nel febbraio 2002, al World Ecomic

Forum di New York, trentasei presidenti, amministratori delegati e alti dirigenti di

multinazionali operanti nei settori dell’industria, del consumo e della finanza, hanno

potuto firmare un documento intitolato «La sfida della leadership per amministratori

delegati e consiglieri di amministrazione», con il quale i firmatari si impegnano a

porre al centro della loro attività non più la crescita del profitto, ma «l’attenzione al

sociale e alla minimizzazione di ogni impatto negativo sulla popolazione e

sull’ambiente». Il documento si chiude con l’affermazione: «I leader di ogni paese,

settore e livello devono lavorare insieme per lo sviluppo sostenibile e assicurare che i

benefici della globalizzazione si distribuiscano equamente».

1.5. I tre assi dimensionali dell’etica Se si vuole essere più precisi, si immagini di tracciare uno spazio tridimensionale

entro 3 assi cartesiani, le cui dimensioni siano rappresentate da: integrità, lealtà,

onestà. Si può definire «etica» un’azione che si trova in un qualunque asse positivo

rispetto a queste tre dimensioni.

10 BLACKBURN S., Essere buoni, Pratiche, Milano, 2003 11 FRIEDMAN M., Capitalism and Freedom, The University of Chicago Press, Chicago London, 1970

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Si definiscono meglio i tre assi:

integrità rispetto ai propri principi: l’azione deve rispettare i propri principi

personali, qualunque essi siano.

lealtà rispetto all’organizzazione: la decisione di agire in un certo modo deve

trovare un compromesso che rispetti, non solo il dovere verso sè stessi, ma

anche il patto che ognuno si è impegnato a mantenere nei confronti

dell’organizzazione di cui fa parte (azienda, etc.)

onestà rispetto alla società: una terza dimensione, che contribuisce a

complicare ulteriormente la presa di decisione, riguarda il rispetto delle

regole e degli interessi della più generale società.

Ogni assunzione di responsabilità deve tenere conto dell’impatto della decisione di

ciascuna delle tre dimensioni etiche.

Questa strada però non ci aiuta a definire chiaramente ed una volta per tutte cosa è

etico e cosa non lo è. Il manager si trova spesso di fronte a dilemmi in cui la

quadratura del cerchio è difficile se non impossibile. La quasi totalità delle scelte

concrete non trovano risposta in regole prestabilite, la decisione va presa caso per

caso. Soluzioni generali, in quanto tali non ci servono. In sintesi non esiste una

decisione «giusta» esiste comunque una decisione presa responsabilmente.

Si può allora chiarire che non ci sono leggi, regole o procedure che possono indicarci

come essere responsabili o avere comportamenti responsabili. Per questo motivo alle

aziende non serve un decalogo bensì un codice di comportamento che parta, non

dalle risposte, bensì dalle domande da porsi prima di prendere una decisione e

scegliere l’azione più adatta da farsi, coscienti comunque che tale decisone sarà una

formula di compromesso tra tutte le variabili considerate e darà vita al miglior

comportamento possibile.

Secondo Da Re12 parlare di etica significa fare riferimento ad un insieme di principi,

di valori, di finalità, di norme volti ad illuminare e a guidare – in termini di «buono»

e di «giusto» – la vita degli uomini. Con ciò si suppone che l’uomo sia responsabile

delle proprie scelte e dei propri comportamenti: di fronte a sè stesso, in relazione agli

altri nell’ambito delle organizzazioni di cui fa parte, con riferimento al mondo.

12 DA RE A., Etica e politica, in Berti E. – Campanini G. (a cura di), Dizionario delle idee politiche, Ave, Roma,1993

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Il vero problema che rimane da capire è se esiste davvero una pluralità di

motivazioni o se l’egoismo soltanto dirige gli esseri umani.

1.6. Evoluzione rapporto etica-economia Il dibattito sulla natura della scienza economica e sui suoi rapporti con la morale

affonda le proprie radici nella cultura illuministica del‘700; più precisamente risale

agli albori della rivoluzione industriale, periodo in cui lo stesso Adam Smith,

interprete del nuovo modo di produrre e autore dell’opera Ricerche sulla natura e le

cause della ricchezza delle nazioni (1776), aveva già fatto oggetto di propria

riflessione i «giudizi di valore o giudizi etici» che devono presiedere all’agire umano

nelle diverse situazioni, in un’opera, meno conosciuta, Teoria dei sentimenti morali,

pubblicata parecchi anni prima (1759).

Il pensiero di Smith, quindi, può essere considerato emblematico riguardo alla

polivalenza dei rapporti fra etica ed economia, sia per la sua esigenza di fondare

l’economia come sapere autonomo nei confronti dell’etica, sia per la sua

preoccupazione di non violare o modificare l’ordine etico esistente in un momento di

discontinuità storica.

L’oggetto della sua riflessione parte dalla distinzione da un lato dell’ homo

oeconomicus, caratterizzato da un modello di comportamento ispirato all’auto-

interesse; dall’altra l’uomo etico, l’uomo prudente, animato da un sentimento che lo

sospinge a varcare la soglia del proprio isolamento per incontrarsi con gli altri

uomini.

Successivamente, in piena rivoluzione industriale13, il rapporto tra etica ed economia

è andato via via divergendo.

È proprio con la rivoluzione industriale che l’economia subisce una radicale

trasformazione; il continuo cambiamento tecnologico genera accrescimenti di

produttività ed il lavoro umano, associato alla macchina, aumenta sempre più le sue

prestazioni. Si afferma, così, l’economia di mercato e questa, fiera della sua 13 Gradualmente, la tradizionale attività artigianale viene sostituita da una forma di organizzazione

produttiva che fa nascere centri industriali e commerciali. In questi anni si assiste ad un'emancipazione intellettuale, attraverso la rivoluzione scientifica e i movimenti culturali quali l'Umanesimo e il Rinascimento. E' in questo contesto che l'economia inizia ad assumere un carattere autonomo dall'etica. – SCREPANTI E. - ZAMAGNI S., Profilo di storia del pensiero economico, Nis, Roma,1992

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autonomia e dei risultati prodotti, rivendica e pratica la più totale libertà

preoccupandosi soprattutto di capire meglio e di gestire i propri meccanismi.

In tale contesto, l’etica viene messa da parte, quasi ignorata, perché «le persone

possono praticare privatamente tutte le virtù che vogliono, ma se vogliono aver

successo nell’economia devono piegarsi alle sue leggi, entrare nel gioco dei suoi

meccanismi obbligatori»14.

Le prime preoccupazioni etiche sull’economia di mercato, e nei confronti

dell’affermarsi delle economie collettiviste, nascono per risolvere gli eccessi del

liberalismo selvaggio della prima e le disfunzioni strutturali delle seconde. In

particolare «si va alla ricerca dell’equità, solidarietà, protezione e promozione dei

deboli, sforzandosi di trovare un sistema economico il cui funzionamento sia

produttivo del bene comune».15

Nonostante tali sforzi, l’etica resta esterna all’economia in quanto è solo grazie

all’intervento del potere politico ed amministrativo che si possono compensare le

mancanze etiche e sociali del «mercato». L’espressione «economia sociale di

mercato»16 traduce bene questa prospettiva.

Il trionfo della visione etica dell’economia avviene con l’elaborazione del «pensiero

scolastico».17

Espressione di questa visione è la definizione del concetto di giusto prezzo derivante

dell’applicazione del principio di giustizia commutativa e dalla necessità di impedire

illeciti arricchimenti a danno dei più deboli.

Se vogliamo schematizzare i concetti, si può dire che l’economia moderna, fin dalla

sua nascita, è contrassegnata da una duplice anima: «una etica, comprendente l’intera

gamma delle motivazioni umane all’azione; l’altra ingegneristica, basata sul calcolo

razionale, sulla massimizzazione dell’interesse personale e sulla coerenza interna

dell’ordinamento delle scelte»18. Ciò ha comportato il rischio di una divaricazione fra

14 FALISE M. - REGNIER J., Économie et foi, Centurion, Paris, 1993. Trad.it. Economia e fede, Queriniana, Brescia, 1994 15 WEBER M., L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Sansoni, Firenze, 1965 16 CORNO F., Etica e impresa, scelte economiche e crescita dell’uomo, Cedam, Padova, 1992 17 TONDINI G., I rapporti tra etica ed economia. Le ragioni di una visione unitaria, in G. Gaburro, R. Molesti, G. Zalin (a cura di), Economia Stato, Società, Ipem Edizioni, Pisa 1990, pp. 507-536 18 CORNO F. (a cura di), Etica e impresa – scelte economiche e crescita dell’uomo, Cedam, Padova, 1989

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economia, intenta a darsi uno statuto scientifico ed etica, forte di un sapere ritenuto

universale e perciò esso stesso normativo.

Il pensiero etico, d’altro canto, ha generato l’abitudine a considerare la bontà delle

azioni umane indipendentemente dai risultati concreti ed ha conservato nel tempo la

sua pretesa di sapere astratto, valido per ogni circostanza storica e sociale, in grado di

insegnare in che modo le persone dovrebbero riflettere sui fatti fondamentali della

propria vita.

L’analisi economica, al contrario, con la sua caratteristica di sapere empiricamente

fondato, ha insistito sulla valutazione dei risultati effettivamente conseguiti,

enfatizzando in ambito aziendale gli aspetti connessi all’efficienza e alla

massimizzazione dei profitti. Da qui la concezione che l’economia possa e debba

essere una scienza neutrale nei confronti dei giudizi etici, perché essa si occupa solo

dei mezzi scarsi e suscettibili di impiego alternativo.

Sul fronte opposto, si è fatto notare che una scienza economica «disinteressata non è

mai esistita e non potrà mai esistere per ragioni logiche». I giudizi etici, infatti, si

insinuano in ogni processo analitico al momento della scelta del problema da

esaminare, nella scelta delle ipotesi, nella definizione degli stessi concetti analitici,

nella formulazione degli indici di misurazione e riflettono necessariamente la visione

dell’uomo e della società.

Inoltre, l’idea che la scienza economica debba essere al servizio del benessere umano

porta a concludere che essa è subordinata all’etica: non può assimilarsi alle scienze

fisiche e naturali, non tanto perché diverso è il metodo, quanto perché diverso è

l’oggetto.

L’elemento etico è connesso all’economia proprio perché è intrinseco al suo oggetto:

vale a dire, il comportamento dell’uomo libero e responsabile.

Con riferimento al pensiero di J. Maritain19, nell’ordine gerarchico che si può

stabilire tra valori morali e valori economici, si potrebbe parlare di fini infravalenti,

nel senso che gli obiettivi economici perseguiti nelle varie attività non sono da

considerarsi obiettivi indifferenti fra le possibili scelte morali, ma nel senso che sono

fini di per sé stessi, degni di essere perseguiti, in quanto per la loro natura sono

subordinati agli interessi della persona umana e alla civile convivenza sociale.

19MARITAIN J., Nove lezioni sulla legge naturale, Jaka Book, Milano, 1985

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Il mito dell’economia pura sembra di conseguenza destinato a tramontare.

1.7. Le tre soluzioni proposte da Vittorio Coda La vita di un’impresa è costituita da fatti e comportamenti posti in essere dal

management, dai lavoratori dipendenti, dagli azionisti di controllo, che sono

suscettibili di valutazione etica. Tuttavia, quando si entra in questioni complesse –

protezione dell’ambiente, tagli occupazionali, comportamenti da tenere in settori in

cui è diffusa la pratica della corruzione e così via – il giudizio morale diventa

difficile, perché ci si trova innanzi più esigenze che sono fra loro contrastanti.

Inoltre, ciò che rende problematico il giudizio morale dinanzi a questioni complesse

è il contrasto fra ragioni dell’etica e ragioni dell’economia.

Come uscire da questa contrapposizione?

Lo studioso Vittorio Coda al convegno precedentemente citato, a cui aveva parlato

anche il Cardinal Maria Martini, ha proposto tre soluzioni:

Il primato del sociale sull’economico

La subordinazione del sociale alle leggi dell’economia di mercato

Le logiche di contemperamento

1.7.1. Il primato del sociale sull’economico La dottrina del primato sociale sull’economico trascura la grande rilevanza sociale

che ha il ruolo economico dell’impresa. La competitività e la redditività non sono

fatti privati che interessano soltanto l’imprenditore o la proprietà azionaria; riguarda

bensì anche i lavoratori e le loro famiglie e la collettività tutta, il cui tenore di vita è

fortemente dipendente dalla competitività del sistema produttivo.

Inoltre, la dottrina in parola, svalutando le finalità di carattere economico, induce

nelle imprese che la fanno propria un clima di rilassatezza organizzativa in cui viene

meno ogni tensione all’economicità e alla efficienza.

Soggiacente alla dottrina del primato sociale, in fondo, sta l’idea che l’impresa ha

come missione fondamentale quella di salvaguardare l’occupazione, creare nuovi

posti di lavoro, promuovere lo sviluppo economico di regioni depresse e così via.

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Tali obiettivi tuttavia, prevedono in realtà missioni aziendali inaccettabili, perché

nessuna impresa può soddisfare domande sociali come quelle appena descritte, se

non nella misura in cui è capace di porsi al servizio economico di dati bisogni di

clienti o utenti. Ci possono essere casi specifici di aziende, come ad esempio le

banche che operano raccogliendo e impiegando risparmio prevalentemente in certe

regioni o in un certo paese, il cui elemento centrale della missione aziendale è quello

di promuovere lo sviluppo delle realtà locali o nazionali. Pertanto, al di fuori di casi

come questi, l’elemento sociale non rappresenta il fine principale dell’impresa, ma

deve coniugarsi con l’economico soddisfacimento di certi bisogni dei clienti.

Non è nemmeno accettabile come missione aziendale quella di «fare profitti». Infatti,

è vero che l’impresa gioca un ruolo fondamentale economico, consistente nella

produzione di beni e servizi aventi un «valore» maggiore di quello dei fattori

produttivi in essi incorporati, ma la produzione di un profitto è la conseguenza delle

capacità dell’impresa di servire i clienti valorizzando e sviluppando le risorse e le

competenze di cui dispone.

Le conseguenze di un comportamento aziendale che lascia in secondo piano le

esigenze del cliente sono l’emarginazione progressiva dell’impresa dal mercato, se

opera in un contesto competitivo e il progressivo deterioramento del «sistema del

prodotto» offerto al cliente, se essa opera in un regime poco o per nulla

concorrenziale. 1.7.2. La subordinazione del sociale alle leggi dell’economia di mercato Sul versante opposto si colloca l’impostazione che ha come fondamento le ferree

leggi dell’economia di mercato. Secondo tale dottrina, che mantiene la

contrapposizione tra fini sociali e fini economici, sono i primi a dover essere

subordinati e sacrificati ai secondi, perché così impongono le leggi dell’economia.

Il perseguimento del profitto deve avvenire nel rispetto delle regole del gioco definite

dall’ordinamento giuridico vigente e da eventuali codici di etica degli affari.

Tuttavia, le leggi dell’economia di mercato non annullano ogni discrezionalità nella

condotta delle imprese. Anzi, il management dispone di margini di discrezionalità da

utilizzare in funzione di obiettivi di profitto che si caratterizzano non solo per la

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dimensione quantitativa, ma anche e più ancora per la qualità, dipendente dai modi in

cui il profitto è prodotto e dagli scopi per cui esso è prodotto.

Le norme giuridiche non possono e non devono condizionare le decisioni

dell’impresa e per quanto possono venire osservate, non assicurano una eticità di

comportamento. E il rischio di tale eventualità è tanto maggiore quanto più

management e gruppi di controllo sono convinti che le conseguenze sociali del loro

agire non li riguardano, dovendosi di esse darsi carico solo in altre sedi e non anche

nell’ambito delle loro imprese.

Per quanto riguarda poi le norme di comportamento etico, queste dovrebbero

stimolare comportamenti orientati soprattutto ad assicurare la vitalità e lo sviluppo

duraturo dell’impresa e non invece dettati da aspirazioni ed ambizioni perseguite a

scapito della prosperità aziendale. Ma codici di etica degli affari così concepiti non

hanno nulla a che vedere con la concezione dell’impresa a cui fa riferimento questa

impostazione.

1.7.3. Le logiche di contemperamento Le impostazioni finora considerate, in particolare la prima, riconosce il profitto in

antitesi con il progresso umano e sociale e non come mezzo essenziale, mentre la

seconda ammette che qualsiasi tipo di profitto è fattore di sviluppo integrale

dell’uomo e della società.

Tra queste due logiche estreme che non sempre portano ad una soluzione per

districarsi nelle situazioni complesse, ritroviamo una intermedia che cerca di

coniugare valori di tipo umanistico con quelli di tipo economico.

Si presenta però il problema che anche questa soluzione presenta gli stessi limiti

delle due precedenti impostazioni, restando ancorate ad una concezione di antitesi tra

esigenze etico-sociali ed esigenze competitivo-reddituali delle quali, proprio perché

conflittuali, si renderebbe necessario una soluzione di compromesso. Il profitto non

viene più svalutato e neppure assolutizzato. Però non si opera il passaggio decisivo

verso il riconoscimento che c’è modo e modo di concepire e di perseguire il fine di

profitto. Cioè, non si riconosce che c’è un profitto che nasce dal rispetto e dalla

valorizzazione delle risorse tutte (umane, finanziarie, ambientali), dalla capacità di

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servire, dalla capacità di servire economicamente bisogni che non contraddicono le

esigenze di incivilimento. E c’è invece un profitto prodotto da imprese che sfruttano

il cliente (traendo vantaggio dalla sua ignoranza, da situazioni di monopolio, accordi

di cartello e così via), non rispettano l’ambiente, reprimono le potenzialità di gran

parte di coloro che prestano la loro opera nell’azienda, consumano il patrimonio

tecnologico e commerciale accumulato in passato. Insomma, non pongono le basi di

competitività e di consenso occorrenti per uno sviluppo duraturo dell’azienda.

1.7.4. Quale soluzione adottare? L’obiettivo a cui si vuole giungere è quello di cercare di rompere decisamente con le

concezioni conflittuali e di antitesi tra esigenze di progresso umano ed esigenze

economiche e di elaborare invece una «idea di sviluppo», nella quale prosperità

dell’impresa, benessere dei lavoratori e soddisfacimento delle altre istanze etico-

sociali siano la stessa cosa. E proprio questa idea di sviluppo diventa la bussola che

orienta il gruppo di controllo, il management e gli altri attori con cui viene condivisa.

Essa, in sostanza, rappresenta la sintesi di tutte le funzioni aziendali orientate al

progresso; progresso del settore o dei settori in cui opera l’azienda o infine progresso

della propria funzionalità economica duratura, basata sull’accumulazione del capitale

tangibile e intangibile.

La funzione imprenditoriale consiste nel coniugare le attese di valorizzazione e di

ricompensa delle risorse di cui l’impresa fruisce con i bisogni del mercato al cui

servizio essa si pone.

Un’idea di sviluppo segna un cammino di avanzamento dell’impresa lungo tutte le

dimensioni del suo complesso ruolo sociale: le risorse vengono mobilitate e

valorizzate per soddisfare economicamente i bisogni del cliente e per produrre e

accumulare ricchezza (tangibile e intangibile); ai bisogni del cliente ci si applica per

valorizzare e sviluppare le risorse di cui si dispone e per produrre e accumulare

ricchezza; la produzione e l’accumulazione di ricchezza vengono perseguite per

servire sempre meglio i bisogni del mercato e per soddisfare sempre meglio le attese

di valorizzazione e di ricompensa delle risorse, mantenendo così l’impresa su un

sentiero di sviluppo.

15

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Ciò porta a sostenere che tutti i nodi problematici, in cui le esigenze etico-sociali

appaiono in conflitto con quelle economiche, a poco a poco si allentano fino a

sciogliersi. L’idea di sviluppo dell’impresa è per sua natura un cammino in progresso

in cui i sacrifici presenti sono destinati ad essere largamente ricompensati in futuro:

se si comprimono gli utili a breve, lo si fa per aumentare la competitività, investire in

quote di mercato, migliorare il rapporto con le realtà locali e così via. 1.8. Un trevigiano promotore dell’etica-economica: Giuseppe Toniolo Giuseppe Toniolo nato a Treviso il 7 marzo 1845 e morto a Pisa il 7 ottobre 1918 è

forse il maggiore esponente del pensiero sociale cattolico tra ‘800 e ‘900.

In primo luogo, lo studioso critica i contenuti ideologici che si affermano nella

seconda metà dell’Ottocento. Egli si scontra sia con il modello liberista, portatore a

suo dire solo di individualismo, sia con il modello Maxista, portatore solo di

materialismo, perché entrambi hanno espulso dalla storia l’uomo, con la sua volontà

ed i suoi fini.

Secondo Toniolo, il soggetto e l’oggetto della scienza economica non possono essere

i fenomeni, i fatti, ma l’uomo. Quest’ultimo è la vera forza motrice sia delle leggi

economiche che del processo produttivo. Introducendo il primato e la centralità

dell’uomo in campo economico, Toniolo chiarisce il ruolo assolutamente strumentale

e subordinato dei beni economici, del capitale, del mercato, dell’utile. Il principio

etico del primato dell’essere sull’avere esprime il concetto che i beni sono mezzi e

non fini, e che l’economia è regolata da leggi economiche in cui l’elemento etico è

un fattore intrinseco e non esogeno. Pertanto, sottolinea la differenza tra scienza

economica in cui l’etica è intrinseca ed attività economica intesa come semplice uso

dei mezzi per conseguire i fini.

L’etica, la morale è quella cultura che definisce il concetto di bene comune, concetto

storico e concreto. Come l’etica è intrinseca all’economia così i fini sono intrinseci ai

mezzi, anche se la storicizzazione del bene comune non significa affatto

storicizzazione dell’etica economica. Toniolo, quindi, affianca al principio di «utile»

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il principio di «buono» che deriva dalla legge morale radicata nella coscienza del

dovere.20

1.9. Etica degli affari La nascita dell’etica degli affari può essere legata a due eventi: la pubblicazione nel

1971 dell’opera di John Rawls a Theory of Justice e la prima conferenza di etica

degli affari – novembre 1974 – svoltasi all’Università del Kansas sul tema «Ethics,

Free Enterprise and Public Policy».

E’ al 1988 che risale l’introduzione della prima tavola rotonda sull’etica degli affari

nel programma del Congresso mondiale di filosofia. Sempre nel 1988 appare un

saggio di W. Evan ed E. Freeman, dal titolo A Stakeholder theory of Modern

Corporation: Kantian Capitalism, in cui sostiene che la dottrina secondo la quale i

manager sarebbero responsabili esclusivamente verso gli azionisti dovrebbe essere

sostituita da una teoria più generale secondo cui essi hanno un «rapporto fiduciario»

verso un’ampia serie di stakeholders dell’impresa. Il fondamento morale della teoria

risiede nel principio kantiano del rispetto delle persone per il quale esse

(stakeholders) devono essere trattate come fini in sé e non come mezzi per qualche

fine.

Una delle difficoltà maggiori che si presentano ancora oggi nelle business schools

statunitensi è la scarsa integrazione tra il lavoro dei filosofi morali, da una parte, e

quello degli economisti ed esperti di management dall’altra, con la conseguenza che

pochi filosofi hanno nozioni sufficienti di business e pochi economisti ed esperti di

management sono preparati adeguatamente in etica per insegnare e scrivere con

competenza di questioni etiche nella vita professionale e pubblica.

Le due riviste sul tema più importanti e diffuse nel mondo sono Journal of Business

Ethics, di approccio più empirico, e Business Ethics Quarterly, di approfondimento

più teorico.

In Italia invece, l’etica degli affari prende avvio alla fine degli anni Settanta, per

iniziativa di alcuni studiosi ruotanti attorno ai seminari della Fondazione Feltrinelli di

Milano e proseguito, dalla metà degli anni Ottanta, attraverso le attività scientifiche 20GABURRO G., (a cura di), Etica ed economia Pensatori cattolici del XX secolo, Edizioni Dehoniane, Roma, 1993

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del Centro studi Politeia di Milano. Una delle opere più mature dell’impegno nella

ricerca teorica nella seconda metà degli anni Ottanta è da attribuire al filosofo

Lorenzo Sacconi.21 La sua tesi centrale è che la funzione propria del codice etico è di

legittimare l’autonomia di impresa ai diversi stakeholders interni ed esterni

all’organizzazione annunciando pubblicamente che essa è consapevole dei suoi

obblighi di cittadinanza, che ha sviluppato politiche e pratiche aziendali coerenti con

questi obblighi e che è in grado di attuarle attraverso appropriate strutture

organizzative e sanzioni.

Il CELE (Centre for Ethics Law & Economics) opera dal 1997 presso il Libero

istituto universitario Carlo Cattaneo di Castellanza. In collaborazione con un gruppo

di imprese, associazioni professionali, società di consulenza e organizzazioni non

profit sta lavorando a un progetto, il Progetto Q-RES, per la definizione di uno

standard della qualità e della responsabilità etico-sociale delle imprese. La missione

del Progetto Q-RES è promuovere una visione dell’organizzazione basata sul

contratto sociale con gli stakeholders attraverso la definizione di uno standard

certificabile della responsabilità etico-sociale delle organizzazioni, che ne tuteli la

reputazione e l’affidabilità. Il modello Q-RES intende la responsabilità sociale di

impresa come un modello di governance allaragata dell’impresa, in base alla quale

chi governa ha responsabilità che si estendono dall’osservanza dei doveri fiduciari

nei riguardi della proprietà ad analoghi doveri fiduciari nei riguardi di tutti gli

stakeholders. Il Progetto Q-RES si propone di rendere attivi e funzionanti quelli che

sono proposti come i sei strumenti cardine della responsabilità sociale: carta dei

valori, commissione valori e regole, bilancio sociale, visione etica condivisa, codice

etico, sistemi di formazione etica.

Rimane aperto il problema di chi educa i formatori, non esistendo in Italia una

tradizione consolidata nell’insegnamento dell’etica in generale e a maggior ragione

di quella applicata e l’altro, della necessità di definire e affrontare il problema

dell’etica del formatore sia che operi all’interno di un’organizzazione for profit sia

non profit.

21 SACCONI L., L’etica degli affari. Mercati, imprese e individui nella prospettiva di un’etica razionale, Il saggiatore, Milano, 1991

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1.9.1. Ma l’etica negli affari, paga?

L’Institute of Business Ethics (IBE) di Londra é un’organizzazione che dal 1986 si

batte per diffondere i principi dell’etica nelle imprese. I suoi ricercatori hanno portato

a termine un’indagine con la quale si dimostrerebbe che le imprese con un codice

etico applicato da almeno cinque anni registrano performance migliori di quelle prive

di un codice di responsabilità sociale. Per anni studiosi e docenti si erano arrovellati

nella ricerca di una metodologia di indagine che consentisse di dare risposta al

quesito «Ma l’etica negli affari, paga? E quanto?». Il problema irrisolto era quello

dell’individuazione di una serie di riscontri oggettivi sugli effetti dei comportamenti

eticamente corretti delle imprese.

Oggi, i ricercatori dell’IBE, diretti dal professore Simon Webley, sembrerebbero

essere venuti positivamente a capo del quesito. Individuati tre indicatori di

performance (MVA o valore aggiunto di mercato, EVA o valore economico

aggiunto, Roce o ritorno del capitale investito), i ricercatori hanno osservato il loro

andamento dal 1997 a oggi su due campioni di aziende quotate alla Borsa di Londra.

Risultato, il gruppo di imprese con un codice etico applicato da almeno cinque anni

registrava performance migliori di quelle prive di un codice di corporate social

responsibility. E la misura del distacco non è marginale: le società più virtuose da un

punto di vista etico hanno generato un rapporto utili/fatturato superiore del 18 per

cento al gruppo di imprese che invece ne sono prive.

Ma avverte Webley: «Attenzione che possedere un codice etico non significa

automaticamente migliorare la performance: questo è soltanto uno degli indicatori

che segnalano se un’azienda è ben gestita. Altrimenti non si spiegherebbe come mai

Enron, che possedeva e sbandierava ai quattro venti il suo codice etico,

sistematicamente tradito dai suoi amministratori, sia poi incorsa in uno dei più

disastrosi crack nella storia delle imprese».

Ma a conferma della stretta e positiva relazione tra risultati economici d’impresa e

codici etici adottati dalla stessa, l’istituto inglese di studi sull’etica segnala il fatto

che 19 delle 24 società presenti stabilmente negli ultimi cinque anni nella classifica

delle imprese più apprezzate in Gran Bretagna, redatta dalla rivista Management

Today, possiedono un codice etico.

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CAPITOLO 2

RESPONSABILITA’ SOCIALE D’IMPRESA

2.1. L’origine del termine responsabilità

La parola responsabilità contiene dentro di sé la parola risposta: può essere definito

responsabile colui che si concentra sulle risposte da dare ed è in grado di darle anche

con una certa rapidità. In realtà, andando oltre le semantica, il tema è complesso da

metabolizzare in quanto racchiude un equivoco di fondo: la responsabilità non si dà,

perché abbia un qualche effetto, essa deve essere innanzitutto assunta.

A fronte di questa necessità il mondo, e quindi le aziende, sono pieni di individui che

non amano assumersi responsabilità: questo atteggiamento è proprio della

conduzione umana. Prendersi la responsabilità risulterà più spontaneo quando la

meta è chiara e quando si ha la sensazione di avere gli strumenti per potersi arrivare.

L’umana sensazione di essere impotenti di fronte al proprio destino rischia di creare

una cultura dell’alibi, anch’essa profondamente radicata nelle nostre aziende anche

nei ruoli manageriali.

Siamo culturalmente portati a chiederci «di chi è la colpa» ed ad una tale domanda la

risposta, naturalmente, è quasi sempre «non mia». Questo concetto errato di

responsabilità è dentro di noi e nei nostri collaboratori.

L’effetto di questo approccio sarà che: dato che non è colpa mia, non posso fare

niente, ma non facendo niente non ottengo altro che rimanere nella situazione in cui

mi trovo.

In una situazione di «dolore» però possiamo porci un’altra domanda «chi ha il

problema?». In questo caso la risposta sarà «io» e ciò innescherà la ricerca di una

soluzione. Porsi questa domanda risulta spontaneo solo nei casi di effettiva

sopravvivenza, nei quali non c’è il tempo di andare a ricercare il responsabile ma non

solo il tempo di trovare una soluzione.

Essere responsabili significa chiedersi poche volte «di chi è la colpa» , e molte altre

«cosa posso fare adesso io».

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Il termine «responsabilità» ha le sue radici nel latino respondeo a sua volta

proveniente da spondeo. In altri termini significa «portarsi garante in giustizia, dare

la propria cauzionale personale per qualcuno». Lo stesso tema si trova nel verbo

greco spendo, che significa «offro una libagione agli déi, cosa che avviene, ad

esempio prima di cominciare un’impresa rischiosa nel tentativo di garantirsi la

salvezza». Successivamente, con l’evoluzione della lingua greca, il verbo non

significherà più «chiamo gli déi come garanti di un’impresa», ma «prendersi

reciprocamente a garanti», «impegnarsi l’uno di fronte all’altro», nel momento in cui

si stipula un patto. Il senso sociale del concetto si sviluppa dal senso religioso.

Il termine respondeo esprime la reciprocità di questo impegno: la sponsio è

l’impegno di uno, la responsio è l’impegno dell’altro, la garanzia della sicurezza

reciproca. Da questa garanzia scambiata nasce il senso del respondere latino.

Rispondere, responsum si dice degli interpreti degli dèi che, in cambio dell’offerta,

danno la sicurezza: la risposta dell’oracolo. Lo stesso significato si ritrova nella

lingua tedesca. Il dovere di rispondere designa anche progressivamente una capacità,

un requisito positivo: uomo responsabile significa anche uomo degno di fiducia,

onesto, rispettabile.

Il contesto in cui la problematica emerge è una situazione di «incertezza» dovuta alla

presenza di un rischio; tale rischio può essere costituito anche e solo dal fattore

tempo, ossia dal fatto che l’azione, che i soggetti decidono di intraprendere, giungerà

a compimento in un futuro in cui, al di là delle volontà soggettive, anche le

condizioni oggettive possono mutare. A questa incertezza si cerca di rispondere con

un atto solenne, spesso con il richiamo alla sfera del sacro, in ogni caso sempre

attraverso un impegno. Di conseguenza, questo atto soggettivo di impegno elimina o

per lo meno neutralizza l’incertezza. In tale situazione, qualcuno si offre come

garante, assumendo su di sé il rischio morale o materiale dell’agire.

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2.2 Le tre eredità del concetto di responsabilità22

Come il concetto di etica economica, anche il termine «responsabilità» deriva da

origini diverse, in particolare si citano:

o l’eredità greco-romana

o l’eredità ebraico-cristiana

o l’eredità moderna

2.2.1. L’eredità greco-romana

La prima eredità che la responsabilità porta con sé è quella dell’antica virtù civica: la

responsabilità pubblica è in primo luogo il vivere facendosi carico di ciò che è

«generale», anzi identificandosi con esso tanto da vedere nell’orizzonte della città il

senso stesso della propria esistenza storica. Tale propensione al tutto, questa passione

per la partecipazione si accompagna al rifiuto dell’orizzonte del «particolare»

considerato come qualcosa di negativo.

2.2.2. L’eredità ebraico-cristiana Questa eredità nasce dall’idea di dover rendere conto delle proprie azioni agli altri.

La responsabilità ha qui il senso di una risposta dovuta. L’uomo prima delle proprie

azioni è responsabile dell’essere. E’ l’essere stesso la fonte dell’obbligazione.

La responsabilità non comincia con una mia decisione, con la mia libertà, ma

piuttosto esige la decisione e suscita la libertà.

2.2.3. L’eredità moderna Infine la terza eredità si ricava dalla tradizione giuridica della responsabilità in

campo civile e penale ossia di quello sforzo di individuare definite modalità di

attribuzione di una colpa e di obbligazione alla riparazione di un danno, fissando

precisi ambiti e tempi entro cui la responsabilità personale può essere individuata. 22 DORIGATTI M., RUSCONI G., La responsabilità sociale d’impresa, Franco Angeli, Milano, 2004

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Sul piano del dibattito pubblico il moderno Stato costituzionale cerca di introdurre il

senso di un agire responsabile attraverso il meccanismo della «rappresentanza» che

rende l’esercizio di un potere politico dipendente da un mandato ricevuto dai

cittadini e quindi l’agire politico obbligato a render conto non solo a Dio, ma anche

agli uomini. L’articolo 2 della Dichiarazione dei diritti della Virginia (12 giugno

1776) cita che: «Tutto il potere è nel popolo e in conseguenza emana da esso; i

magistrati sono suoi mandatari, suoi servitori e sono responsabili in ogni tempo verso

di esso». Inoltre, il moderno Stato costituzionale definisce in modo evidente chi ha

da rendersi responsabile, in quale arco di tempo ciò debba accadere, di fronte a quali

istanze, con quali procedure di conferma o di rifiuto.

2.3. La responsabilità nella cultura contemporanea «Essere responsabili significa tenere conto delle conseguenze delle proprie azioni ed

essere disposti a pagare il conto delle proprie azioni», così Max Weber riassume il

concetto di responsabilità. Ma – dobbiamo chiederci – è sufficiente definire la

responsabilità come responsabilità delle conseguenze o non è troppo generico e

vago? Che cosa significa «conseguenze prevedibili» in un’età in cui l’agire umano

può avere come conseguenza umana l’automanipolazione della propria specie? Sono

questi gli interrogativi che ha posto alla riflessione contemporanea Hans Jonas nel

suo Il principio responsabilità. L’agire responsabile non nasce da un atto nobile

dell’uomo che si sottopone al giudizio sulle conseguenze delle proprie azioni, ma

nasce invece dal dover essere dell’essere stesso. «In primo luogo viene il «dover

essere» dell’oggetto, in secondo luogo il «dover fare» del soggetto chiamato ad

averne cura. Questo tipo di responsabilità e di senso della responsabilità, non la

«vuota» responsabilità formale di ogni agente per la sua azione noi intendiamo

quando oggi parliamo della necessità di un’etica della responsabilità nei confronti del

futuro.»23

E il primo dovere è quello di non mettere in pericolo le condizioni della

sopravvivenza dell’umanità sulla terra.

23 JONAS H., Il principio di responsabilità: un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino, 1993

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Infine il concetto di responsabilità non può essere un concetto paternalistico, cioè un

prendersi cura degli altri, un sostituirsi agli altri che sottragga gli altri al compito

delle loro decisioni e alla loro stessa responsabilità. E’ anche vero che nelle

situazioni concrete le relazioni umane sono spesso asimmetriche e la responsabilità

non ha subito la struttura della relazione reciproca: il caso ad esempio del dirigente,

però l’altro si deve sentire in uguale dovere di agire responsabile.

2.4. Comportamenti socialmente responsabili Un comportamento responsabile deve assumere il carattere dell’internazionalità. Con

ciò si intende sottolineare che la globalizzazione è sia estensione dei prodotti sia

estensione dei problemi a livello mondiale. Non è sufficiente quindi sostenere che la

propria attività è «etica» se poi si affida ad altri (lavoratori per conto, fornitori di

semilavorati, prodotti finiti o servizi) l’onere di comportamenti difformi e non

responsabili socialmente. Per questo, la maggiore difficoltà per le aziende che

vogliono adottare la Responsabilità Sociale di Impresa (RSI) consiste nel qualificare

e tenere sotto controllo i propri fornitori, i quali devono impegnarsi a rispettare gli

stessi requisiti sociali fatti propri dall’azienda. Quest’ultima deve dimostrare di porre

attenzione a tutte le parti interessate alle proprie attività, i cosiddetti «stakeholder»:

questi sono interni all’azienda (azionisti, dipendenti, manager) o esterni ad essa

(fornitori, clienti, consumatori, istituzioni pubbliche, ambiente, opinione pubblica).

Di conseguenza, l’azienda deve anche impegnarsi a rispettare tutte le leggi ed i

regolamenti vigenti in materia nel proprio paese, ove questi siano più ristrettivi del

«codice etico» adottato.

Inoltre, va evidenziato che la logica della «responsabilità sociale» può significare

rinunciare agli obiettivi di breve periodo, per considerare come criteri di scelta

rilevante – a preventivo – e variabili da misurare e valutare – a consuntivo -:

1) la qualità della salute fisica e psichica dei lavoratori e la sicurezza sul lavoro;

2) la predisposizione di programmi di formazione e di educazione del personale,

soprattutto in previsione di fasi di sospensione dal lavoro o di riconversione

professionale o aziendale;

3) la prevenzione del degrado ambientale o il suo recupero;

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4) la promozione e il sostegno di attività che favoriscono la coesione sociale e la

qualità della vita (tramite attività artistiche, culturali, sociali, sportive, di

integrazione degli immigrati, etc.);

5) l’erogazione di servizi che migliorano la qualità del lavoro (come asili nido

per le madri lavoratrici, sussidi allo studio per la promozione sociale dei figli

indipendenti, programmi di inserimento lavorativo per portatori di disabilità,

aree attrezzate e servizi per ridurre lo stress, etc.)

Il capitalismo del terzo millennio zoppicherebbe ed infine crollerebbe al suolo

camminando sulla sola gamba della concorrenza. La stabilità del suo cammino

esige congiuntamente concorrenza e collaborazione.

2.5. Alcune reazioni sul tema della responsabilità etica e sociale delle imprese

o la questione della responsabilità sociale dell’impresa è risolta da tempo. Essa

ha per missione quella di produrre ricchezza, di essere efficiente, di

conseguire profitto. Così facendo genera benessere per l’intera società. «Il

vero dovere sociale dell’impresa è ottenere i più elevati profitti (ovviamente

in un mercato aperto, corretto e competitivo) producendo così ricchezza e

lavoro per tutti nel modo più efficiente possibile…Vi è una sola

responsabilità sociale dell’impresa: aumentare i suoi profitti»24;

o «di fronte alla gravità dei problemi economici, di fronte all’asprezza della

competizione internazionale che brucia margini e possibilità di azione,

parlare di etica e di responsabilità dell’impresa è, tutto sommato, una inutile

perdita di tempo, al limite può rivelarsi fuorviante;

o l’etica, la responsabilità e magari la cultura sono un lusso per le imprese che

hanno i mezzi per permettersele. Rappresentano un qualcosa su cui pensare

dopo aver risolto problemi più importanti e urgenti. Avendo tempo e risorse

possono costituire utili ingredienti per una politica di immagine aziendale, di

relazioni esterne;

o il ruolo del sociale non viene negato o trascurato. Esso deve però essere

iscritto nella categoria dei vincoli, stabiliti dalle pubbliche regolamentazioni o

assunti autonomamente dall’impresa nella formulazione delle proprie 24 FRIEDMAN M., Capitalism and Freedom, Chicago University Press, Chicago, 1962

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strategie economiche. A date condizioni il vincolo può anche tramutarsi in

opportunità fornendo l’occasione per progettare e realizzare nuovi business

(in campo ecologico ad esempio);

o non potevo agire diversamente se volevo restare sul mercato… Se anche

avessi agito correttamente nulla sarebbe cambiato… La responsabilità è

dell’impresa in quanto tale e non dell’imprenditore o del manager… Bastano

le leggi, non c’è bisogno dell’etica»25.

L’elenco potrebbe ulteriormente continuare. Tutte le reazioni hanno in comune

una eccessiva semplificazione della realtà, con la creazione talvolta di comodo

alibi.

Le riflessioni prima esaminate ci confermano che dell’etica non si può fare a

meno se si vuole dare una risposta ai problemi e alle trasformazioni che abbiamo

di fronte.

La responsabilità sociale si concretizza in politiche ed interventi mirati,

traguardati su determinate problematiche sociali avvertite come rilevanti. Ad

esempio, l’impresa può destinare una percentuale del suo fatturato alla lotta

contro alcune malattie oppure alla salvaguardia del patrimonio storico

ambientale, etc. Come pure l’impresa può astenersi da comportamenti ritenuti

pregiudizievoli alla luce di determinati valori etici (per una banca non finanziare

imprese che producono armi). L’impresa, allora, assume volontariamente una

obbligazione sociale nei confronti della collettività di cui si sente compartecipe.

Ai consueti investimenti necessari per raggiungere i suoi obiettivi di sviluppo

economico e produttivo l’impresa affianca un volume maggiore o minore di

«investimenti socialmente responsabili» (questi negli Stati Uniti hanno raggiunto

il 10% degli investimenti complessivi).

La valutazione che il mercato dà di un impresa dipende anche dalle performance

sociali dell’impresa stessa. Non si può competere con successo senza

legittimazione sociale. Il ragionamento tradizionale secondo cui il perseguimento

di politiche socialmente responsabili comporta dei costi addizionali per l’impresa

viene di fatto capovolto. E’ la non legittimazione sociale ad essere onerosa.

L’incoerenza tra concreti comportamenti di impresa e valori ritenuti rilevanti per

25 MAFFETTONE S., L’impresa motore dello sviluppo, Sipi, Roma, 1994

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la collettività (rispetto dei diritti umani, rispetto dell’ambiente, etc.) viene

sanzionata dal mercato in termini di minori vendite, perdita di immagine e di

attratività (si vedano i casi Nike, Reebok, Nestlè).

Il professore Zamagni26 sostiene che ai capitalisti del XXI secolo non basta

essere bravi negli affari; devono sentirsi accettati dalla società civile. All’impresa

viene oggi chiesto ciò che un tempo sarebbe stato considerato impossibile:

«giustificarsi!»

Sono cambiate le esigenze delle imprese, si è passati alla domanda di maggiore

trasparenza e affidabilità delle informazioni per poter valutare il grado di

soddisfazione delle aspettative dei diversi stakeholder; alla diffusione e utilizzo

da parte dei consumatori di guide al consumo responsabile; alla necessità di

rispettare determinati criteri etici per poter accedere ad altre istituzioni finanziarie

(si veda anche la crescita dei fondi etici); alla moltiplicazione degli strumenti di

responsabilità sociale quali il codice etico, il bilancio sociale, ecc.

L’impresa «economicamente eccellente» deve essere anche «socialmente

capace» ovvero in grado di «assumere come obiettivo di azione e come pratica

quotidiana il perseguimento congiunto del valore economico e del valore

sociale».

Butera27 dà la seguente definizione di impresa socialmente capace: «E’

quell’impresa che, indipendentemente dall’assetto giuridico formale o

istituzionale, produce ricchezza, benessere e socialità, contribuisce a generare

contesti istituzionali, economici e sociali idonei allo sviluppo, assicurare

remunerazione a tutti gli stakeholder, inclusi ovviamente gli shareholders»

L’assunzione di responsabilità sociale da parte dell’impresa non è un qualcosa di

automatico, richiede comportamenti consapevoli e strategicamente orientati. A

tale riguardo Frederick28 individua quattro atteggiamenti graduali di intensità:

o atteggiamento passivo. Ai mutamenti ambientali, alle mutate esigenze di

socialità l’impresa risponde resistendo il più possibile, chiudendosi a

riccio;

26 ZAMAGNI S., Della responsabilità sociale dell’impresa, Bologna, 2002 27 BUTERA F., L’impresa eccellente socialmente capace, in Impresa e stato, n.58, 2003 28 FREDERICK W.C, Business and Society, McGraw-hill, New York, 1988

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o atteggiamento reattivo. L’impresa risponde a posteriori, adeguandosi

quando le pressioni dell’ambiente diventano particolarmente forti ed

incidenti (ieri si poteva inquinare, oggi meno. Occorre adattarsi);

o atteggiamento proattivo. L’impresa cerca di anticipare il cambiamento,

magari ricorrendo anche a politiche di immagine e manipolatorie;

o atteggiamento interattivo. L’impresa promuove un rapporto dialogico con

l’ambiente e con gli altri protagonisti sociali ed istituzionali nell’ambito

di una responsabilità condivisa. In questa ottica l’impegno sociale

dell’oggi, che potrebbe anche voler dire minore profitto immediato, crea

le condizioni per il benessere futuro, aumentando la capacità di sviluppo

dell’impresa nel consenso, nella trasparenza e nell’affidabilità.

Quando il manager percepisce la valenza etica del suo agire professionale? Ci

sono al riguardo due momenti specifici:

o Quando prende decisioni e prendere decisioni significa scegliere tra

più alternative possibili, non tutte indifferenti in termini di etica e di

responsabilità;

o Quando comunica agli altri ed attua le decisioni prese, scegliendo i

mezzi più opportuni, ma non tutti i mezzi sono neutrali dal punto di

vista che ci interessa.

Il problema etico sorge quando è impossibile soddisfare un interesse, un’esigenza

senza sacrificarne altre: il bene dell’azienda, il rispetto dell’individuo, del lavoratore,

del consumatore. Di fronte a queste questioni non esistono ricettari o manuali di

pronto intervento. La responsabilità ultima è sempre dell’uomo che deve fare i conti

con la propria coscienza.

Nell’affrontare e risolvere i problemi, il comportamento dell’imprenditore può essere

ascritto a due differenti concezioni etiche: una concezione consequenzialistica o

teleologica, da un lato, una concezione deontologica dall’altro. Secondo la prima

concezione le scelte sono giudicate esclusivamente in base alle conseguenze che

producono, per cui una conseguenza buona rende giusta la scelta che l’ha prodotta. In

base alla seconda concezione una scelta è valutata non in rapporto ai risultati, ma

bensì in funzione di certi principi e di certe regole che si pongono come antecedenti

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logici della decisione stessa. Concretamente, la distinzione tra queste due concezioni

non è assoluta: in pratica ci troviamo di fronte a situazioni miste.

Quasi mezzo secolo fa, F. Perroux29 così si esprimeva: «L’evoluzione del capitalismo

non avverrà spontaneamente, ma sarà opera di economisti e di imprenditori che

abbiano compreso che l’economia deve essere a servizio dell’uomo: non di pochi

privilegiati, ma di tutti gli uomini». 2.6. L’irresponsabilità sociale La sanzione di irresponsabilità sociale viene attribuita se il gruppo dirigente non

definisce e non rende visibili e condivisi missione, obiettivi, programmi e progetti,

mezzi e risorse necessari alla realizzazione. E’ questo, nella connotazione di

un’impresa che si voglia socialmente responsabile, un insieme di prerogative e

requisiti che si direbbero ovvi – ma non per questo così scontati.

In secondo luogo, un’impresa dimostra di essere socialmente irresponsabile nel caso

di una manifesta incapacità di creare al suo interno relazioni sociali, clima

collaborativi, partecipazione e coinvolgimento favorevoli a un efficiente

funzionamento delle attività necessarie a raggiungere i propri fini.

Un altro punto a sfavore può scattare là dove manchi o sia carente la tutela dei diritti

sindacali e il rispetto delle norme contrattuali nei confronti di tutti gli addetti e i

dipendenti, sia quelli attivi nella sede principale sia quelli dislocati nelle sedi

eventualmente operanti in qualsiasi area e paese del pianeta.

Un’impresa può connotarsi come socialmente irresponsabile laddove il gruppo

dirigente, o una sua parte significativa, adotti, appropriandosi di risorse e

sottraendole così ai legittimi destinatari, pratiche scorrette e gravemente lesive degli

interessi dei propri dipendenti e azionisti.

Un’impresa si segnala per comportamenti socialmente irresponsabile verso la platea

degli interlocutori a essa esterni, quando, per esempio, al fine di risparmiare risorse

finanziarie proprie non mette in atto tutti i comportamenti necessari a salvaguardare

l’integrità dell’ambiente in cui opera, ambiente inteso sia in termini fisici e naturali

sia umani e sociali.

29 PERROUX F., Il capitalismo moderno, Garzanti, Milano, 1960

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2.7. Corporate social responsability (CSR) La «Responsabilità Sociale delle Imprese» – CSR Corporate Social Responsabilità –

viene definita dal Libro Verde30 come «l’integrazione, su base volontaria, da parte

delle imprese delle preoccupazioni sociali ed ecologiche nelle loro operazioni

commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate (stakeholder)».

Essere socialmente responsabili significa andare oltre il semplice rispetto della

normativa vigente, investendo di più nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti

con gli stakeholder. Ciò si traduce nell’adozione, a livello economico e culturale, di

una politica aziendale che sappia conciliare gli obiettivi economici con gli obiettivi

sociali e ambientali.

La CSR, pur essendo un argomento dibattuto in Europa da oltre un decennio, ha

assunto valenza politica solo negli ultimi anni. In occasione del Summit di Lisbona

del 2000, infatti, l’Unione Europea ha inserito il tema tra i suoi obiettivi strategici.

La Commissione Europea, con il Libro Verde del 2001 e con una Comunicazione del

2002, ha proposto alcune linee guida e ha invitato gli Stati Membri a farsi promotori

della diffusione di questa cultura nei rispettivi Paesi. L’obiettivo è rendere l’Europa

più competitiva, socialmente coesa, capace di una strategia di sviluppo sostenibile.

2.7.1. L’evoluzione del concetto di CRS

Gli studi sulla responsabilità sociale delle aziende nascono molto prima degli studi di

etica aziendale e, anche se il concetto si può far risalire a diversi secoli addietro, la

maggior parte della letteratura è stata prodotta nel ventesimo secolo – in particolare

negli ultimi 50 anni – negli Stati Uniti. Il concetto di responsabilità sociale delle

imprese in senso moderno nasce negli anni ’20, quando si comincia a parlare della

necessità per i dirigenti di azienda di operare nell’interesse non solo degli azionisti,

ma anche di altri interlocutori sociali. Tale corrente di pensiero, tuttavia, rimane per

lungo tempo marginale nel pensiero economico a causa prima della depressione degli

anni ’30 e poi del conflitto mondiale degli anni ’40, che imponevano altre priorità.

30 COMMISSIONE DELLE COMUNITA’ EUROPEE, Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese – Libro Verde, 2001

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Anche se i primi scritti si possono far risalire a studiosi degli anni ’40, quali Barnard,

Clark e Kreps, è solo negli anni ’50, dunque, che l’argomento viene discusso

ampiamente dalla letteratura accademica e manageriale.

Il “padre” della corporate social responsabilità è lo studioso Bowen, il quale parte dal

principio che le imprese di maggiori dimensioni sono centri vitali di potere, le loro

decisioni e le loro azioni investono e condizionano la vita della società da molti punti

di vista. L’autore dà una prima definizione di responsabilità sociale: «It refers to the

obligations of businessman to pursue those policies, to make those decisions, or to

follow those lines of action which are desirable in terms of the objectives and values

of our society».

Il dibattito scientifico, in questa prima fase si concentra, dunque, sulla social

responsabilità dei «businessmen». L’idea di responsabilità sociale ha suscitato un

ampio dibattito, sia sulla stessa esistenza sia sull’ampiezza dei contenuti.

Molti autori, infatti, pensavano che tale obbligo fosse spesso limitato da

considerazioni di tipo economico-finanziario e di profitto – famose le posizioni di

Friedman – o discutevano l’efficacia di una regolamentazione sociale imposta dallo

Stato. Nonostante i numerosi attacchi, tuttavia, l’idea di responsabilità sociale

continuava a diffondersi, non solo tra gli studiosi di economia e la pubblica opinione,

ma anche tra i dirigenti d’azienda.

Negli anni ’60 si afferma definitivamente la locuzione «corporate social

responsability» (CSR) e si assiste ad una crescita notevole di contributi in materia,

tra i quali ricordiamo quelli di Davis e Frederick.

Si delinea perciò progressivamente una responsabilità dell’impresa che va oltre le

obbligazioni economiche e legali, anche se i contenuti concreti non sono ancora ben

definiti.

Solo verso la fine del decennio Walton31 arriva a precisare che la responsabilità

sociale implica un certo grado di volontarietà dell’azione, come opposta alla

coercizione, nonché l’accettazione di costi per i quali potrebbe non essere possibile

definire e misurare nessun diretto ritorno economico.

Con lo sviluppo di tale concetto iniziano ad emergere anche le critiche al filone di

pensiero sulla corporate social responsability.

31 WALTON C.C., Corporate social responsibilities, Belmont, Wadsworth

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Innanzitutto la vaghezza delle definizioni: le imprese si devono semplicemente

uniformare alle richieste della società o devono anticiparne i bisogni futuri? Quanto

deve incidere sul sociale un’impresa per poter essere considerata socialmente

responsabile? Come è possibile definire e misurare standard di responsabilità

sociale? Sono alcune delle questioni sollevate, alle quali però la dottrina non riesce a

dare una risposta univoca. In secondo luogo, l’esistenza di un trade-off tra i vari tipi

di costi e ricavi sociali ed economici: si acquisisce cioè la consapevolezza che il

miglioramento delle condizioni economiche e sociali di un’impresa può comportare

il peggioramento di un’altra. Infine, l’obiezione di determinare solo operazioni di

facciata senza incidere sulla ridefinizione del sistema di obiettivi dell’impresa.

2.7.2. Le tappe principali dello sviluppo 1) Anni ’70: quattro filoni di studio

Durante gli anni ’70 l’analisi dottrinale approfondisce principalmente quattro filoni

di studio.

Il primo, cerca di individuare quali caratteristiche debbano possedere i

comportamenti dell’impresa per poter essere qualificati come socialmente

responsabili. Ritorna l’elemento del volontarismo e Davis32 con una sua locuzione

definisce che «la CSR comincia dove finisce la legge: un azienda non può essere

considerata socialmente responsabile se si attiene solo al minimo previsto dalla

normativa».

Carroll33 invece, riconosce il perseguimento di obiettivi sia economici che sociali.

L’autore infatti, sostiene che l’impresa ha in primo luogo responsabilità economiche

di creazione del valore (a partire dalla generazione del profitto per gli azionisti e

dall’offerta efficiente di beni e servizi per il mercato). Le altre due componenti della

responsabilità vanno oltre quanto strettamente richiesto dal sistema giuridico. Una è

la responsabilità etica, legata alla conformità ai valori e alle norme sociali e

all’obbligo dell’impresa di agire con equità, giustizia, imparzialità; l’altra invece è la

responsabilità discrezionale che implica investimenti puramente discrezionali a 32 DAVIS K., The case for and against 33 CARROLL A.B., A tree-dimensional model of corporate social performance, in Academy of Management Review, n.4, 1979

32

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favore della comunità, senza che vi sia una precisa aspettativa in questo senso. Tali

responsabilità discrezionali sono lasciate alla scelta individuale dei manager e, pur se

non imposta né da considerazioni economiche, né giuridiche, né da principi di

business ethics sono considerate sempre più strategiche. In seguito, Carroll34 chiarirà

che i quattro tipi di responsabilità (economic, legal, ethical and voluntary) vanno

intesi in senso gerarchico di importanza elaborando la nota piramide delle

responsabilità sociali dell’impresa, ribadendo che la prima responsabilità

dell’impresa è di tipo economico. In quest’ottica, l’orientamento sociale di

un’impresa dipende dall’importanza che viene data alle tre componenti non

economiche della responsabilità rispetto alla componente economica.

Il secondo filone approfondisce il peso del contesto socio-culturale di riferimento,

evidentemente anche in risposta ai movimenti sociali che, tra la fine degli anni ’60 e

gli inizi dei ’70, si battevano per il rispetto dell’ambiente, la sicurezza sul lavoro, la

tutela dei consumatori e dei lavoratori.

Il terzo filone analizza le motivazioni che portano l’impresa ad agire in maniera

socialmente responsabile.

Il quarto filone interiorizza nell’impresa l’attenzione per il sociale, cercando di far

proprie nelle politiche aziendali le istanze sociali. Molti autori iniziano a parlare di

«corporate social responsiveness», traducibile come rispondenza, sensibilità verso la

società. La responsabilità sociale, quindi, come evidenzia Steiner35, deve diventare

una filosofia che guida il decision making manageriale, anche se le imprese sono e

rimangono istituzioni essenzialmente aziendali.

Frederick36, il maggiore teorico di tale filone di studi, parla del superamento di tale

concetto di corporate social responsibility preponderante fino agli anni ’60 (a cui egli

sinteticamente si riferisce come CSR1) e identifica l’affermarsi di un nuovo

movimento del pensiero: la corporate social responsiveness, - CSR2 – che

presuppone l’accettazione da parte dell’impresa degli obblighi sociali che derivano

dalla sua attività.

Alla CSR2 va, quindi, riconosciuto il merito di aver stimolato gli studi sugli

strumenti manageriali e sugli adeguamenti dei processi interni all’azienda. 34 CARROLL A.B., The pyramid of corporate social responsibility, in Business Horizons, n. 34, june-august, 1991 35 STEINER G.A., Business and society, Random House, New York, 1971 36 FREDERICK W.C., From CSR to CSR, in Business & Society, vol. 33, issue 2, 1994

33

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2) Anni ’80: tre filoni principali

Gli anni ’80 sono caratterizzati da tre filoni dottrinali principali: la nascita della

stakeholder theory, l’affermarsi degli studi di business ethics e del concetto di

corporate social performance.

La prima individua verso chi in concreto le imprese devono essere responsabili.

Il concetto di «stakeholder» è stato teorizzato per la prima volta dallo Stanford

Research Institute nel 1963 per indicare tutti coloro che hanno un interesse

nell’attività dell’azienda. In realtà il termine era già stato utilizzato più di 30 anni

prima quando, durante la Grande Depressione, la General Electric identificò quattro

maggiori gruppi di «stakeholder»: gli azionisti, i dipendenti, i clienti e la comunità in

generale. In seguito, nel 1947 il presidente della Johnson & Johnson identificò gli

«strictly business stakeholder» in clienti, dipendenti, manager e azionisti e su questa

base venne sviluppato il famoso «Credo» dell’azienda.

Freeman37 identifica gli stakeholder nelle persone che abbiano diritti, interessi o

rivendicazioni verso un’azienda o che, comunque, ne possano influenzare la

performance attuale e futura, dando la seguente definizione: «those groups who can

affect or are affected by the achievement of an organization’s purpose» e li distingue

in primari e secondari, a seconda che il loro apporto sia o meno indispensabile alla

sopravvivenza dell’impresa, enfattizando come i gruppi di pressione, e in particolare

i gruppi primari, se tolgono il loro appoggio all’impresa, possano impedirle di

raggiungere i propri obiettivi o addirittura decretarne la fine.

Tra la fine degli anni ’70 e la metà degli anni ’80 inizia anche un’approfondita

indagine etica sui fini dell’impresa, sulle norme che orientano la sua condotta, sui

principi alla base delle sue scelte.

Frederick38 parla dell’affermarsi di una CSR3, cioè della «corporate social

rectitude», riconoscendo il bisogno di riempire il vuoto normativo delle due

precedenti impostazioni con un’analisi dei valori etici posti alla base di tutti i

comportamenti sociali delle imprese. La terza fase della corporate social

37 FREEMAN E.R., Strategic management. A stakeholder approach, Pitman, Boston, 1984 38 FREDERICK W.C., Toward CSR3: why ethical analysis in indispensable and unavoidable in corporate affairs, in California Management Review, n.28, 1986

34

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responsability – la CSR339- chiarifica e incorpora la dimensione morale implicita

nella CSR1 e la dimensione manageriale della CSR2. Va comunque sottolineato

come, nella letteratura, i concetti di CSR1, CSR2 e CSR3 siano distinguibili tra loro

solo astrattamente.

In seguito, si afferma grazie principalmente a Carroll40 il concetto di «corporate

social performance» (CSP).

Un primo approccio alla CSP focalizza l’attenzione sul comportamento-risultato, in

particolare sul «fair process», attraverso cui si cerca di coniugare gli interessi e i

desideri dei vari stakeholder con le esigenze dell’azienda, analizzando appunto il

processo e i metodi con cui sono identificati gli obiettivi e sono risolti i dilemmi etici

nelle situazioni concrete. In questo senso la responsabilità sociale si configura, come

un processo41 - più che come un risultato da ottenere una volta per tutte – che deve

essere inglobato nel decision making dell’impresa. Ciò presuppone evidentemente un

mutamento dell’impostazione dal quale viene visto il problema, ed in particolare, il

passaggio da un’iterpretazione outcome-oriented, che vede la CSR in funzione delle

conseguenze attese delle azioni (come ad esempio la riduzione dell’inquinamento

ambientale) ad un’interpretazione process-oriented in cui il focus è sulla struttura e il

processo di decision making che le attività di management e di governo sociale

comportano.

La corporate social performance allora deriva dall’interazione di tre elementi: la

definizione dei principi che motivano alla responsabilità, il processo che determina i

comportamenti dell’impresa e i risultati prodotti dall’azione sociale.

Un secondo approccio vede la CSP in termini di risultati, e cerca appunto di misurare

tali risultati. Questa impostazione è da preferire dalla prima, in quanto, non mescola

input e output ma divide i risultati della CSP dal processo che li ha determinati e

pone le basi per poter misurare e comparare tali risultati.

Parallelamente nel corso degli anni ’80, proseguono gli studi sulla definizione di

corporate social responsibility.

39 EPSTEIN E.M., The corporate social policy process: beyond business ethics, corporate social responsibility and corporate social responsiveness, in California Management Review, n.1 40 CARROLL A.B., A tree-dimensional model of corporate social performance, Academy of Management Review, n.4, 1979 41 JONES T.M., Corporate social responsibility revisited redefined, in California Management Review , Spring, 1980

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Con Drucker42, invece, si ha un fondamentale passo in avanti: l’autore infatti espone

l’idea che la responsabilità sociale e la profittabilità del business siano compatibili, e

soprattutto l’idea che le imprese dovrebbero convertire la propria CSR in

opportunità.

3) Anni ’90: tre filoni di studio

Il primo filone nasce dalla consapevolezza che i comportamenti socialmente

responsabili assumono una rilevanza strategica, dal momento che possono

contribuire in maniera significativa a consolidare la legittimazione dell’azienda. Si

diffondono anche nel nostro paese una serie di studi focalizzati appunto sulle

strategie sociali.

Si arriva così ad elaborare il concetto di sostenibilità. Per sostenibilità si intende un

approccio finalizzato alla creazione di valore nel lungo periodo, non solo per gli

azionisti, ma anche per gli altri stakeholder. In particolare la sostenibilità poggia sul

bilanciamento di tre dimensioni fondamentali (la «Triple Bottom Line»): la

dimensione economica, la dimensione sociale e la dimensione ambientale, di cui si

cerca di mantenere una massimizzazione congiunta. In altre parole, un’impresa per

essere considerata sostenibile deve essere finanziariamente solida, minimizzare i

propri impatti ambientali negativi ed agire in conformità con le aspettative della

società. L’obiettivo ultimo è raggiungere a livello globale uno sviluppo economico

sostenibile, assicurando una migliore qualità della vita ad ogni individuo, sia oggi

che per le generazioni future.

IL secondo filone deriva da un approfondimento degli studi in materia di

misurazione della performance sociale e sfocia nel tema del social audit.

L’auditing sociale può essere definito come un processo di sistematica e periodica

misurazione e valutazione delle performance sociali di un’azienda. Si tratta quindi di

monitorare l’impresa in modo da controllare le attività aventi un impatto sociale,

verificare l’adeguatezza delle risorse destinate e delle procedure di gestione sociale,

valutare il grado di aderenza tra risultati ottenuti e obiettivi programmati. Eventuale

fase finale dell’audit sociale è la verifica della correttezza metodologica dell’intero 42 DRUCKER P., The new meaning of corporate social responsibility, in California Management Review, n.26, 1984

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processo da parte di un soggetto indipendente, fondamentale per incrementare la

credibilità dell’azienda.

Il terzo filone comprende numerosi contributi volti ad approfondire, da un lato, le

determinanti che spingono le imprese alla comunicazione sociale e, dall’altro, le

tecniche e le metodologie più efficaci per la rendicontazione socio-ambientale, vista

sia come fondamentale punto di raccordo tra l’azione ed i risultati, sia come mezzo

per valorizzare le sinergie tra le strategie sociali e la performance economico-

finanziaria dell’impresa. E’ in questo contesto che si inseriscono, anche nel nostro

paese, gli studi in tema di bilancio sociale, bilancio ambientale, bilancio di

sostenibilità e le elaborazioni di rating e standard internazionali finalizzati alla

certificazione e alla comparabilità della CSP delle imprese.

4)Previsioni per il futuro

Frederick parla della necessità di fondare una CSR4: una nuova costruzione teorico-

normativa, capace di fondere in un tutto unico i diversi contributi in materia, che

accetti il superamento della visione in cui l’impresa è il centro attorno a cui ruotano

tutte le altre istituzioni. Più concretamente Carroll43 si aspetta che venga

approfondito il trend verso una «strategic philanthropy», vista come filosofia guida

per conciliare obiettivi di natura sociale ed economica ed auspica, al contempo, che

nelle scelte concrete e non solo nella teoria il mondo del business abbracci sempre

più il modello del «moral management», caratterizzato dalla capacità di «thinking

and acting ethically»44.

2.7.3. CSR in Europa

Nel 2000, il Summit di Lisbona sottolinea l’obiettivo di un’Europa in cui

«l’economia della conoscenza deve divenire la più competitiva e dinamica del

mondo, capace di una crescita economica sostenibile accompagnata da un

43 CARROLL A.B., Ethical challenges for business in the new millennium: corporate social responsibility and models of management morality, Business Ethics Quarterly, vol.10, issue 1, 2000 44 CARROLL A.B., Models of management morality for the new millennium, Business Ethics Quarterly, vol. 11, issue 2, 2001

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miglioramento qualitativo e quantitativo dell’occupazione e da una maggiore

coesione sociale».

In seguito a questo Summit, la Commissione delle Comunità europee (2001) decide

di redigere un Libro verde dal titolo Promuovere un quadro europeo per la

responsabilità sociale delle imprese, affermando che, «al di là delle esigenze

regolamentari e convenzionali cui devono comunque conformarsi», le imprese

dovrebbero sforzarsi «di elevare le norme collegate allo sviluppo sociale, alla tutela

dell’ambiente e al rispetto dei diritti fondamentali, adottando un sistema di governo

aperto, in grado di conciliare gli interessi delle varie parti interessate nell’ambito di

un approccio globale della qualità e dello sviluppo sostenibile».

E’ quindi da tale data che può ufficialmente farsi risalire l’avvio di una serie di

importanti iniziative, supportate dalle stesse istituzioni, volte alla predisposizione di

nuovi strumenti di rendicontazione sociale.

Il Libro verde, com’è nella tradizione della Commissione europea, si presenta con

indicazioni in più direzioni, dato che non ha un valore vincolante e la stesura serve

per chiedere pareri agli attori europei più importanti (Stati, associazioni di datori di

lavoro, sindacati, ONG) che hanno avuto tempo fio al 31 dicembre 2001 per far

pervenire i loro pareri. Nel Libro verde è scritto che la responsabilità sociale delle

imprese è un obiettivo importante da perseguire a due livelli: a) a un livello

normativo per le imprese sulla tutela e sulla sicurezza di chi lavora, per la protezione

di chi consuma, sull’ambiente ecc.; b) a un livello di adesione volontaria delle

imprese a principi che tutelano chi lavora, l’ambiente e il territorio.

Il primo livello (quello normativo) non viene escluso, ma il Libro verde sottolinea

che «la creazione di norme internazionali applicabili a qualunque cultura o

qualunque paese è estremamente complessa», per cui implicitamente si suggerisce di

leggere l’insieme delle indicazioni sulla responsabilità sociale dell’impresa come

formulazione di criteri utilizzabili per un’adesione «volontaria» da parte delle

imprese.

Nel 2002, secondo una indagine condotta da Confindustria in collaborazione con

l’università «Bocconi» di Milano, l’84% delle 91 aziende intervistate si è dichiarata

già attiva nell’ambito della «Responsabilità Sociale dell’Impresa», soprattutto per

ragioni di immagine aziendale (90%), di relazioni con la comunità locale (76%) e di

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motivazioni etiche dei vertici aziendali (56%). Le aziende sembrano dunque aver

avviato un processo rivolto alla soddisfazione delle nuove esigenze «etiche» della

società.

Un comportamento socialmente responsabile garantisce, infatti, all’impresa un

doppio dividendo, economico e sociale, poiché se esternamente è forte l’impatto

sull’immagine aziendale, internamente la crescente attenzione al benessere e alla

sicurezza del lavoratore migliora l’efficienza produttiva, riduce i rischi d’infortuni,

aumenta il senso di appartenenza ad un «gruppo» e crea il «pensare positivo», con

risvolti sull’umore, sulla salute e sulla psiche.

Un’altra ricerca riportata nel Gazzettino del 26 maggio 200545 dichiarava che la

grande maggioranza delle imprese italiane con almeno 100 addetti (il 94,6%)

dichiara di aver adottato iniziative di responsabilità sociale in almeno uno dei campi

previsti. Solo lo 0,5% ha adottato iniziative i tutti i campi, mentre il 5,4% non ha

preso alcuna iniziativa. Il trattamento selettivo dei rifiuti è il più frequente (88,5%);

quella meno diffusa, invece, è la vendita di beni o di servizi prodotti a un prezzo che

comprenda una quota destinabile a fini sociali (7,1%). Le decisioni circa una

maggiore tutela dell’ambiente sono state prese dal 87,3% delle aziende; le scelte

intese a favorire il benessere dei lavoratori dal 74,2% delle imprese.

Secondo invece un’indagine condotta da ISVI (Istituto sui valori d’impresa) in

collaborazione con Doxa, «il 76% delle imprese dai 51 ai 250 addetti ha messo in

campo iniziative di trattamento e smaltimento dei rifiuti, riciclabilità, riduzione

dell’energia e dei consumi d’acqua. La percentuale è sicuramente elevata, ma, alla

domanda sulle motivazioni di tali scelte il 52% risponde che la ragione è

l’adeguamento alla legge, il 33% vi ravvisa un miglioramento in termini di

efficienza, il 31% dichiara di aver ottenuto da tali pratiche un miglioramento dei

risultati economici. Per la maggioranza i comportamenti socialmente responsabili

sembrano quindi essere generati dal rispetto di un vincolo. Vi è comunque una

minoranza significativa che si riconosce in un’esperienza di opportunità nuova. Va

però rilevato che, a dichiarare di chiedere ai fornitori una prova della correttezza

45 Il 95% delle aziende con almeno 100 lavoratori ha adottato iniziative di responsabilità sociale, in Il Gazzettino, 26 maggio 2005, pag. 2

39

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sociale ai processi produttivi, è soltanto il 17% egli intervistati – dato che non suona

del tutto positivo».46

2.7.3.1. Le indicazioni del Libro Verde

Il Libro Verde distingue una dimensione interna da una dimensione esterna.

La dimensione interna prevede quattro tipi di azioni che l’impresa può intraprendere.

1. Gestione delle risorse umane: un’impresa «socialmente responsabile»

dovrebbe realizzare iniziative di istruzione e formazione lungo tutto l’arco

della vita; un migliore equilibrio tra lavoro, famiglia e tempo libero; una

maggiore valorizzazione delle risorse umane; l’applicazione del principio di

uguaglianza per le retribuzioni e le prospettive di carriera delle donne.

2. Salute e sicurezza sul lavoro: il Libro verde sottolinea l’impegno per la tutela

della salute e la sicurezza sul lavoro considerati dalla normativa ISO 9000.

3. Adattamento alle trasformazioni: in situazioni di grande cambiamento

tecnologico un’impresa socialmente responsabile deve cercare di «garantire

la partecipazione e il coinvolgimento delle persone interessate attraverso una

procedura aperta di informazione e consultazione».

4. Gestione degli effetti sull’ambiente e delle risorse naturali: l’obiettivo è

quello della «riduzione del consumo delle risorse o delle emissioni inquinanti

e dei rifiuti per arrivare a una diminuzione delle ripercussioni sull’ambiente».

C’è poi una dimensione esterna che l’impresa può seguire definendo interventi a

favore di quanto segue:

1. Comunità locali: il rapporto con le comunità locali deve esprimersi non solo

«fornendo posti di lavoro, salari, entrate fiscali», ma intervenendo a favore

della «buona salute, stabilità e prosperità delle comunità», valorizzando le

risorse ambientali e culturali di quel dato territorio.

2. Partnership commerciali, fornitori e consumatori: è favorita la costituzione

di consorzi tra fornitori e tra strutture di consumo e la creazione di nuove

imprese da parte del proprio personale tecnico.

46 MARCHESINI G.C., L’impresa etica e le sue sfide, Egea, Milano, 2003

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3. Diritti dell’uomo: si sottolinea che la responsabilità sociale dell’impresa non

è solo nei confronti della comunità in cui si trova ma anche verso le

popolazioni con cui l’impresa entra in contatto per la vendita dei propri

prodotti o servizi.

4. Preoccupazioni ambientali a livello planetario: le imprese dovrebbero

sempre di più considerarsi «attori ambientali a livello planetario».

2.7.3.2. La risoluzione del 2002 del Parlamento europeo Mentre la Commissione europea analizza i pareri che arrivano al Libro verde, il

Parlamento europeo vota nel maggio 2002 una risoluzione per orientare, e

successivamente regolare, l’azione delle società multinazionali: un vero e proprio

colpo di scena in cui si definisce una strategia alternativa al pensiero neoliberista.

In questa risoluzione il Parlamento europeo riafferma l’importanza di un’adesione

volontaria delle imprese a principi di responsabilità sociale, ma la integra con un

approccio normativo: invita la Commissione a istituire l’obbligo per tutte le

multinazionali di presentare un rapporto sociale e ambientale, chiedendo che i dati

forniti siano verificati da enti indipendenti e poi raccolti e pubblicati dagli Stati

membri. Il parlamento chiede inoltre che i fondi pensione privati e pubblici si dotino

di criteri etici e che la commissione istituisca un marchio sociale europeo per

certificare i prodotti per i quali sono stati rispettati i diritti umani e sindacali,

costituendo anche un forum europeo sulla responsabilità sociale delle imprese per

dare la possibilità a tutti gli stakeholder (come le associazioni di consumatori, i

sindacati) di conoscere le politiche estere delle imprese. E’ inoltre proposto alla

Commissione di creare una lista nera delle imprese colpevoli di corruzione e di

creare programmi europei che colpiscano gli abusi delle imprese europee nei paesi in

via di sviluppo.

Si tratta quindi di una risoluzione innovativa. Anticipa di due anni la proposta di

norme fatta dalla Commissione per la promozione e tutela dei diritti umani delle

Nazioni Unite che persegue gli stessi obiettivi e che è in attesa di una risoluzione

operativa.

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2.7.3.3. Il libro bianco del 2002 Dopo l’analisi dei pareri al Libro verde arrivati entro il 2001, la Commissione prende

tempo per le sue decisioni ed è solo nel luglio del 2002 che la Commissione delle

Comunità europee (2002) redige una Comunicazione relativa alla responsabilità

sociale delle imprese: un contributo delle imprese allo sviluppo sostenibile che si

configura come Libro bianco.

Nonostante la Comunicazione arrivi due mesi dopo la risoluzione del Parlamento

europeo prima ricordata, non vi è traccia di un possibile approccio normativo. Dopo

il colpo di scena del maggio 2002 si rientra in piena ottica neoliberista.

Il Libro bianco sulla responsabilità sociale dell’impresa inizia con il ricordare che al

sito indicato dalla Commissione europea sono pervenuti 250 pareri al Libro verde, la

metà dei quali provenienti da associazioni di imprese e gli atri da sindacati e

organizzazioni della società civile.

La sintesi delle due posizioni (quelle delle imprese schierate sul pensiero neoliberista

e quella dei sindacati e delle organizzazioni della società civile orientate verso

strategie alternative) è corretta; ma proprio per questo colpisce ancora di più che il

Libro bianco ignora del tutto la risoluzione del parlamento europeo del maggio 2002

(più vicina alle posizioni dei sindacati e delle organizzazioni della società civile) e

scelga con decisione solo il punto di vista delle imprese. Viene infatti escluso

l’approccio normativo, per cui non si prevedono né certificazioni obbligatorie né

monitoraggi come quelli previsti dalle proposte oggi in discussione alla

Commissione per la promozione e tutela dei diritti umani dell’ONU.

L’unica strategia accolta è quella della persuasione: far capire alle imprese che

scegliere una linea di maggiore responsabilità sociale può essere nel medio-lungo

periodo più conveniente.

Lo strumento ideato per portare avanti come Commissione europea questa opera di

diffusione del concetto di responsabilità sociale dell’impresa è il Multi-Stakeholder

Forum on Corporate Social Responsability. Il Forum è istituito il 16 ottobre 2002 e

ne fanno parte 40 rappresentanti della Commissione europea, del mondo degli affari,

dei sindacati, dei gruppi di consumatori. Il Forum si è mosso in queste direzioni.

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a) promuovere argomenti economici a favore della responsabilità sociale

dell’impresa avendo come riferimento soprattutto le piccole e medie

imprese;

b) promuovere criteri unificati di valutazione esterna e comparata delle

attività delle imprese socialmente responsabili;

c) gestire il Forum europeo multilaterale sulla responsabilità sociale

delle imprese attraverso tavole rotonde e analisi di caso;

d) assicurarsi che le politiche dell’Unione europea siano favorevoli alle

imprese socialmente responsabili.

Questo Forum «multilaterale» è organizzato in quattro Tavole rotonde:

1) Conoscenza: individuazione (e successiva diffusione) degli

argomenti economici più convincenti a favore dell’impresa

socialmente responsabile.

2) Piccole e medie imprese: individuazione delle strategie per

orientare le piccole e medie imprese verso la responsabilità

sociale.

3) Sviluppo: individuazione delle strategie di lotta alla povertà;

lotta all’AIDS; promozione delle norme fondamentali del

lavoro; commercio equo e solidale; governance e dialogo

sociale nei paesi in via di sviluppo; trasparenza finanziaria.

4) Trasparenza e convergenza: riflessione e individuazione

degli strumenti migliori per diffondere l’impresa socialmente

responsabile per promuovere la diffusione e la trasparenza

delle relazioni (il cosiddetto reporting) sulle attività sociali

delle imprese

Si tratta di un forum che ha soprattutto l’obiettivo di convincere le imprese che

«questioni come i diritti umani, rapporti con le comunità, ambiente, salute e

sicurezza sono difficili da gestire, da ignorare e molto difficili se li si affronta nel

modo sbagliato».

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2.7.4. CSR in Italia In Italia le iniziative in cui si parla di «Responsabilità Sociale dell’Impresa» si sono

mosse nelle due direzioni già documentate a livello internazionale: una direzione

tutta all’interno del pensiero neoliberista; una direzione che prefigura alternative a

tale pensiero.

La prima direzione è stata seguita dal progetto in tema di responsabilità sociale

dell’impresa promosso dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.

L’adesione ai principi del neoliberismo del governo Berlusconi è stata formalizzata

nel libro scritto da Giulio Tremonti con prefazione dello stesso Silvio Berlusconi in

campagna elettorale. In questo libro viene presentato il Manifesto delle quattro i

(impresa, inglese, internet e informatica) e, sotto questa etichetta, il governo

Berlusconi ha portato avanti più iniziative nella direzione neoliberista: strategie di

privatizzazione nella scuola, nell’università, nel sistema sanitario e previdenziale;

riduzione delle tasse a favore delle fasce medio-alte della popolazione, ecc.

Le varianti italiane più evidenti, rispetto al pensiero neoliberista statunitense, sono

state influenzate dai problemi di proprietà e dai processi di cui il presidente del

Consiglio è protagonista oppure dalla presenza dei suoi alleati nel governo.

All’interno di questa impostazione governativa, il progetto CSR-SC sulla

responsabilità sociale dell’impresa si presenta del tutto coerente con il pensiero

neoliberista e con le sue varianti italiane.

In Italia è stata seguita anche una seconda direzione di iniziative che hanno invece

scelto come scenario quello rappresentato dalle alternative al pensiero neoliberista.

2.7.4.1. Il progetto CSR-SC del ministero del Welfare

Il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, il cui nome viene sintetizzato in

«ministero del Welfare» mostra nel suo sito47 le tappe percorse dalle proprie

iniziative in tema di «Responsabilità Sociale dell’Impresa».

Il punto di partenza è la dichiarazione di adesione del governo italiano al Libro verde

(e successiva articolazione operativa) e al progetto CSR Europe (dove, si ricorda,

47 www.welfare.gov.it

44

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l’acronimo CSR sta per Corporate Social Responsability, cioè responsabilità sociale

dell’impresa). In seguito a questa adesione viene definita una collaborazione del

ministero del Lavoro e delle Politiche sociali con l’Università Bocconi e l’Università

Lateranense che ha prodotto la ricerca curata da Lanza, Calcaterra e Perrini (2002),

presentata nel convegno promosso dal ministero del Welfare tenutosi a Milano il 13

dicembre 2002 all’Università Bocconi sul tema L’impegno sociale delle imprese per

un nuovo welfare.

In questo convegno il ministro Roberto Maroni presenta il progetto del ministero del

Welfare (2002) Proposte per uno standard CSR-SC (dove l’acronimo SC sta per

Social Commitment, coinvolgimento sociale). In queste Proposte la responsabilità

sociale dell’impresa viene definita, seguendo le indicazioni del Libro verde e si

esclude quindi ogni possibile percorso normativo come quello delineato dalla

risoluzione del maggio 2002 del Parlamento europeo.

Le sigle che definiscono il progetto governativo (CSR e SC) indicano due livelli: un

primo livello in cui l’obiettivo è quello di convincere le imprese ad aderire

volontariamente alle regole del CSR; un secondo livello (del SC) in cui il governo si

impegna a dare incentivi alle imprese che più si impegneranno nella responsabilità

sociale dell’impresa. Questi incentivi sono di natura fiscale, attraverso la

defiscalizzazione delle elargizioni in campo sociale, e di carattere finanziario,

attraverso la diffusione di fondi di pensione etici. I fondi di pensione etici sono legati

alla riforma previdenziale del governo italiano che porterà alla legge 29 luglio 2004,

n. 221 (fortemente avversata dai sindacati e dalle ONG), che prevede una riduzione

delle pensioni di anzianità e una diversa gestione dei fondi accumulati per le

liquidazioni (il cosiddetto TFR, trattamento di fine rapporto) a favore di fondi

pensione. Sono questi fondi pensione che potrebbero permettere, come indicato nei

documenti ufficiali del ministero, la creazione di «fondi di pensioni etici»

privilegiando le imprese che si comportano secondo standard di «responsabilità

sociale».

Dopo il convegno di Milano il passo successivo è stata la partecipazione del

ministero del Welfare alla Terza Conferenza europea sulla CSR, tenutasi a Venezia il

14 novembre 2003. La conferenza è aperta da Anna Diamantopoulou, responsabile

della Commissione europea Lavoro e Affari sociali, e il suo messaggio è ancora più

45

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arretrato rispetto alle posizioni italiane: pur accettando lo slogan dell’adesione

volontaria delle imprese ai principi della CSR («le imprese esistono per fare profitti

ma la responsabilità sociale paga»), vede negativamente la presenza di marchi

certificati in cambio di incentivi fiscali o di agevolazione al credito perché l’Europa

può correre il rischio di «nuove barriere» commerciali all’interno del mercato

europeo.

In questo convegno il ministero del Welfare (2003) presenta i primi risultati del

progetto CSR-SC, fornendo una valutazione comparata degli standard a cui le

imprese possono oggi volontariamente aderire e proponendo uno strumento

volontario (il Social Statement) per guidare le imprese in questo percorso di

responsabilità sociale.

Dopo la conferenza di Venezia vengono siglati dal governo italiano accordi con

associazioni industriali e anche una dichiarazione congiunta Italia-Regno Unito per

diffondere la responsabilità sociale dell’impresa nelle due nazioni. Possono essere

ricordate alcune tappe significative: nel marzo del 2004 viene aperto a Milano il

primo sportello CSR-SC; nel maggio del 2004 si tiene a Roma il primo Forum

italiano Multi-stakeholder sulla falsariga di quello europeo (quindi con la

partecipazione al Forum delle associazioni di datori di lavoro istituzioni, sindacati e

componenti della società civile); nel 2004 esce un documento di Unioncamere (2004)

che presenta i risultati di una ricerca sui modelli di responsabilità sociale nelle

imprese italiane, da cui risulta che nelle classi di imprese più piccole la conoscenza

delle iniziative che parlano di responsabilità sociale dell’impresa è intorno al 10% e

che il numero delle imprese consapevoli è ancora limitato; nel 2005 viene istituito il

premio nazionale per la responsabilità sociale delle imprese Città di Rovigo.

2.7.4.2. Sostenitori e contestatori del progetto Il progetto del Welfare italiano ha avuto sia adesioni che contestazioni. Le adesioni

sono venute dalle associazioni industriali, mentre le contestazioni sono venute dalle

ONG, dai sindacati e dal movimento cooperativo aderente alla Lega delle

cooperative.

46

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Per quanto riguarda le adesioni al progetto, nel sito del ministero sono riportati i

protocolli di intesa con Assolombarda, Confapi e Unioncamere, le maggiori

associazioni industriali (adesioni facili da prevedere visto il carattere di volontarietà

del progetto e il limitato numero di vincoli considerato).

Le contestazioni più dettagliate al progetto provengono dall’iniziativa Meno

beneficenza più diritti, campagna alla quale hanno aderito 14 associazioni; ARCI,

Amnesty International, Azione aiuto, Legaambiente, Coordinamento lombardo nord-

sud, CTM (Cooperativa Terzo Mondo) altro mercato, Libera, Cittadinanza attiva,

Banca Etica, Unimondo, Roba dell’altro mondo, Save the Children, TransFair, Mani

Tese.

Queste associazioni hanno sottoscritto, il 14 novembre 2003, un comunicato stampa

dal titolo La proposta del governo italiano sulla responsabilità sociale delle imprese:

un’altra occasione persa. I punti criticati della proposta di governo sono i seguenti.

a) La proposta considera come esclusivo quadro di riferimento il Libro verde,

trascurando volutamente le prese di posizione del Parlamento europeo e le

Norme dell’ONU sulla responsabilità sociale dell’impresa nei confronti dei

diritti umani.

b) La proposta «limita il concetto di responsabilità sociale dell’impresa ai

ristretti confini nazionali, escludendo centinaia di milioni di persone e intere

grandi comunità che lavorano per imprese italiane ed europee e che spesso

subiscono gravi abusi dei loro diritti, in favore di una visione miope

utilitaristica, in cui la beneficenza viene confusa con la responsabilità e dove

la sola convenienza economica sembra essere la molla che dovrebbe spingere

le imprese ad assumere comportamenti meno discutibili».

c) Le 14 associazioni sottolineano che non sono mai state consultate dal governo

nella stesura della proposta.

d) La certificazione viene affidata a un CSR Forum di cui non è specificata la

composizione, anche se nel protocollo d’intesa del governo con Unioncamere

sono indicate le Camere di Commercio per l’attività di supporto e

monitoraggio delle imprese, per cui sembrerebbe evidente la scelta del

governo italiano a non utilizzare strutture di monitoraggio e certificazione

indipendenti.

47

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e) Le ONG sono menzionate nella proposta governativa solo per collaborazioni

marginali.

f) I Social Performance Indicators contenuti nella proposta del governo arrivano

dopo una lunga serie di parametri indicati dal Parlamento europeo, dall’ONU

o da strutture private (SA 8000, AA1000, GRI) per cui nel comunicato

firmato dalle 14 associazioni è scritto che «aggiungere parametri a parametri

non farà altro che accrescere la confusione di imprese e consumatori in un

panorama già fortemente inquinato da interpretazioni volontaristiche e di

comodo»

g) Nella sua proposta il governo parla del ruolo di non meglio identificati

«soggetti autorizzati a gestire i progetti nel sociale» di cui non si conoscono

le attribuzioni e i reali poteri, e ambiguo è anche il riferimento a convertire

fondi pensione in fondi etici perché non è indicato chi deciderà quali fondi

sono veramente etici.

h) Nel menzionare il commercio equo e solidale, queste iniziative sono associate

nella proposta del governo solo a criteri di «qualità, impatto ambientale e

sicurezza nei prodotti», non considerando l’importanza dell’aiuto che viene

dato all’imprenditorialità presente in nazioni meno industrializzate.

Per tutti questi motivi le 14 associazioni concludono il comunicato esprimendo

«la forte insoddisfazione per una occasione che l’Italia ha perso per dare un

contributo allo sviluppo in senso migliorativo della discussione in corso sul tema

della responsabilità sociale delle imprese nel nostro paese, in Europa, nel

mondo».

2.7.5. CSR a Treviso

Il Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali ed Unioncamere nazionale hanno

siglato il 27 novembre 2003 il Protocollo di Intesa che prevede la costituzione

presso le Camere di Commercio aderenti al progetto di Sportelli fisici o virtuali

specificatamente dedicati alla «Responsabilità Sociale delle Imprese». La Camera

di Commercio ha aderito a tale progetto ed ha attivato lo sportello CSR-SC.

I servizi offerti dalla Camera di Commercio sono:

48

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Servizio di informazione alle imprese sulla CSR in senso ampio per

tutti gli ambiti della responsabilità sociale d’impresa (dal bilancio

sociale, alle norme SA 8000, AA 1000, Certificazione ambientale,

ecc.);

Servizio di supporto delle stesse nell’attività di autovalutazione

(compilazione del Social Statement – set di 20 indicatori specifici);

Servizi di informazione su eventuali agevolazioni, iniziative,

finanziamenti che premiano la CSR;

Servizio di diffusione delle best practices locali già esistenti, attività

seminariali e di aggiornamento formativo, percorsi guidati.

2.7.5.1. Proetica Unindustria Treviso per sostenere imprenditori e uomini d’azienda che vogliono

rinnovare sè stessi e rivalorizzare le proprie aziende ha promosso la costituzione di

un’associazione senza alcun scopo di lucro, che persegue quale propria finalità,

quella di attuare iniziative rivolte ad incentivare ed ampliare la conoscenza e la

diffusione della responsabilità sociale delle imprese.

L’associazione promuove, a favore di quelle imprese ed enti pubblici o privati che

intendono sviluppare appositi percorsi di gestione responsabile nelle dimensioni

economica, sociale ed ambientale, la conoscenza nelle best practices vigenti e future,

anche allo scopo di ottenere forme di attestazione attendibili quanto a corretta

corrispondenza fra i valori e i comportamenti dichiarati e quelli effettivamente

perseguiti.

L’attività dell’Associazione è altresì rivolta nei confronti di quanti operano in ogni

ambito sociale e, più in particolare, in quello economico, affinché acquisiscano e

siano in grado di trasmettere il senso dell’importanza di un «etico agire economico».

L’iniziativa è stata accolta e condivisa dall’Ordine dei Dottori Commercialisti di

Treviso, e dall’Albo dei Ragionieri e Periti Commerciali della Provincia, coi quali è

stata fondata Proetica.

Il Comitato etico di Proetica è composto da personalità del mondo della cultura e

dell’impresa che posseggono comprovate qualità professionali e morali.

49

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Il Comitato verifica che quanto affermato dalle aziende affiancate dall’Associazione

nel loro percorso di valorizzazione delle responsabilità sociali, risulti oggettivamente

riscontrabile e risponda ai principi di redazione delle best practices adottate.

50

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CAPITOLO 3

L’ACCOUNTABILITY DELL’IMPRESA 3.1. Il termine accountability L’informazione che l’azienda deve dare ai terzi fa riferimento ai seguenti campi:

1) la situazione economico-finanziaria-patrimoniale in funzione dell’equilibrio

sul mercato (attraverso il bilancio d’esercizio);

2) l’impatto complessivo sulla società civile in tutti i suoi aspetti (mediante il

bilancio sociale);

3) le regole e le procedure che l’azienda si dà per operare eticamente (grazie al

codice etico).

I primi due documenti hanno una specifica finalità di «resa del conto»; i codici etici

invece la attuano in modo indiretto.

Il termine inglese «accountability» letteralmente si riferisce alla «resa del conto»,

dando l’idea di una «rendicontabilità», cioè di un dovere di spiegare cosa si è fatto

per adempiere ad una responsabilità, ad un compito.

La trasparenza informativa può spesso migliorare la posizione competitiva di lungo

periodo dell’azienda mentre la disobbedienza ad esso può comportare gravissimi

rischi non solo per chi pone in atto comportamenti non coerenti, ma anche per

l’intero sistema economico.

L’accountability investe tutte le operazioni dell’azienda, anche se è nata

specificatamente con riferimento alle informazioni economico-finanziarie e

patrimoniali consuntive.

La legittimazione dell’impresa sul piano economico comporta pertanto la presenza di

un accountability economico-finanziaria che va attuata anche quando non conviene

all’azienda per motivi di immagine, essendo essa funzionale al buon andamento del

sistema economico in termini di produzione di ricchezza e di benessere. Si può dire

di essere in presenza di un dovere morale e non solo di un’opportunità legata ad

esigenze strategiche aziendali di immagine, anche se assai spesso una buona

51

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accountability economico-finanziaria può giovare anche in termini di pubbliche

relazioni e di gradimento sui mercati. 48

E’ quindi nell’interesse di lungo periodo dell’impresa e/o del sistema economico di

mercato nel suo complesso attuare un’attendibile acconutability sui suoi risultati

periodici della gestione. Anche la rendicontazione tradizionale d’impresa comincia a

percepire la necessità di fare riferimento non solo agli interessi informativi degli

azionisti, ma ad una vasta gamma di interlocutori che intrattengono con l’azienda

rapporti economico-finanziari.

L’evoluzione della normativa internazionale, comunitaria e italiana punta sempre più

sull’affermazione che creditori, dipendenti, pubblica amministrazione detengono tutti

un interesse legittimo ad avere a disposizione un «quadro fedele» della situazione

economico, finanziaria e patrimoniale dell’azienda.

Il passo successivo è stato di considerare anche gli interlocutori che non hanno un

rapporto di scambio economico-finanziario con l’impresa, ponendo l’attenzione sia

sui risultati generali delle strategie e politiche aziendali, sia sui diritti (per gli

interlocutori) e i doveri (per l’azienda) di accountability.

Tale evoluzione implica necessariamente l’allargamento dell’accountability, sia per

quanto riguarda i titolari di essa, sia per quanto riguarda il tipo di informazione:

nasce il bilancio sociale come strumento di «misura»dell’azione dell’impresa verso

tutti gli stakeholder legittimamente interessati, strumento che può anche servire come

verifica del grado di rispetto dei codici etici.

3.2. Il bilancio d’esercizio e il bilancio sociale: documenti «di diretta accountability» La presentazione di due diversi documenti non può essere evitata, perché una loro

unificazione in un unico bilancio sarebbe quanto mai fuorviante per le seguenti

ragioni:

o un eccessivo allargamento degli ambiti informativi dei bilanci d’esercizio

nuoce alla chiarezza del messaggio rivolto agli interlocutori;

48 RUSCONI G., L’accountability globale dell’impresa, in La responsabilità sociale dell’impresa (a cura di) Dorigatti M. e Rusconi G., Franco Angeli, Milano, 2004

52

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o mescolare dati raccolti sulla base dei principi contabili del bilancio

d’esercizio (legati all’andamento economico-finanziario-patrimoniale dal

punto di vista dell’azienda) con quanto riportato in ragione all’interesse

dei vari stakeholder comporta grande confusione, che impedisce di

conoscere adeguatamente sia l’andamento sul mercato (obiettivo

dell’acconutability del bilancio d’esercizio), sia le conseguenze sociali più

generali dell’azione dell’impresa.49

I due documenti non sono però né contrapposti (quasi che il bilancio sociale sia una

sorta di «contabilità alternativa»), né totalmente separati, ma sono paralleli nella loro

autonomia, presentando anche sinergie. E’auspicabile quindi allegare il bilancio

sociale alla relazione sulla gestione, che è un documento non legato alle strette

logiche valutative e di presentazione dei componenti essenziali del bilancio

d’esercizio. E’ possibile individuare delle precise relazioni fra bilancio d’esercizio e

bilancio sociale. Questi documenti vanno redatti per offrire agli stakeholder

un’accountability trasparente (corretta, veritiera e chiara), neutrale (non dipendente

da interessi di particolare stakeholder) ed inclusiva (che non escluda stakeholder

interessati).

Il principio di coerenza è tipico del bilancio sociale, il quale contiene spesso

affermazioni di principio legate all’identità dell’impresa; occorre che venga «fornita

una descrizione esplicita della conformità delle politiche e delle scelte del

management ai valori dichiarati»50.

La principale sinergia tra i due documenti è costituita dalla fondamentalità del

bilancio d’esercizio ai fini della redazione dei bilanci sociali, non solo per i dati ed

informazioni ricavabili da esso, ma anche perché costituisce per le imprese una guida

base per il loro comportamento. L’esperienza accumulata nella redazione del bilancio

d’esercizio può inoltre essere utile anche per la predisposizione dei bilanci sociali.

Anche il bilancio sociale può però essere utile alla redazione del bilancio d’esercizio;

si consideri, ad esempio, che il calcolo di conseguenze negative prodotte

sull’ambiente può comportare l’accantonamento a fondi rischi per sanzioni.

49 RUSCONI G., op. cit. 50 GRUPPO DI STUDIO PER IL BILANCIO SOCIALE (GBS), I principi di redazione del bilancio sociale, Adnkronos Comunicazione S.p.A, Roma, 2001

53

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Confronto fra bilancio d’esercizio, bilancio sociale e codici etici51

Bilancio d’esercizio Bilancio sociale Codici etici

Analogie

Rivolto agli stakeholder interessati. Esigenza di accountability: trasparente, neutrale, completa e relativamente inclusiva. Redatto dall’azienda. Controllo esterno. Indipendente. Guida al comportamento.

Rivolto agli stakeholder interessati. Esigenza di accountability: trasparente, neutrale, completa e pienamente inclusiva. Redatto dall’azienda. Controllo esterno. Indipendente. Guida al comportamento.

Rivolto agli stakeholder interessati. Esigenza di accountability: trasparente, neutrale, completa e pienamente inclusiva (salvo divergenze etiche di fondo). Redatto dall’azienda. Controllo esterno. Indipendente. Guida al comportamento.

Sinergie

Fornisce dati e informazioni utili per gli altri due documenti, in particolare per il bilancio sociale. E’elemento unificante lo studio dell’azienda, in particolare per l’impresa e per il suo andamento sul mercato. Prepara il know how e l’esperienza storico-professionale utile per il bilancio sociale.

Costituisce un supporto al bilancio d’esercizio per le previsioni di valutazione. E’utilizzabile per il “rating etico-sociale”dell’impresa. Valuta la coerenza dei codici etici.

Indicano il quadro generale di riferimento etico dell’azienda, definendone l’identità Contribuiscono alle valutazioni etiche del bilancio sociale.

Differenze

Si rivolge istituzionalmente a tutti gli stakeholder che hanno un interesse economico-

Riguarda tutti gli interlocutori che hanno un qualche interesse legato all’operare dell’azienda. Calcola

Si riferiscono solo al comportamento etico di chi opera nell’azienda. Non possono

51 RUSCONI G., op. cit.

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finanziario nell’azienda. Contiene solo dati di natura contabile. Segue le norme della legislazione civile ed i principi contabili professionali.

anche valori economici “esterni” rispetto al meccanismo di mercato. Fa riferimento ad una molteplicità di metodologie di raccolta, presentazione ed elaborazione di dati ed informazioni. Per il momento non è legato ad una normativa legale, ma a scelte volontarie.

contenere valutazioni di tipo quantitativo. Si collegano ad un più ampio sistema di regolamentazione interna aziendale. Sono collegabili a normative sulla responsabilità aziendale.

3.3. Cenni al Codice Etico Affinché risultino efficaci la creazione di un comitato per l’etica nel consiglio di

amministrazione e l’attivazione di programmi di formazione o altre iniziative simili,

deve esistere un punto di riferimento unitario che sia sintesi ed espressione

dell’impegno dell’azienda e che consenta il raggiungimento di standard di moralità

elevati. Tale funzione è svolta dal codice etico.

I codici etici fanno parte del sistema informativo di accountability aziendale ma lo

attuano in modo «indiretto», poiché sono soprattutto una guida al comportamento

etico da parte dell’azienda.

Tale funzione getionale non esclude però forti legami con l’accountability, in quanto:

o l’inserimento dei codici etici nei bilanci sociali contribuisce molto alla

definizione dell’identità dell’impresa considerata;

o i dati e le informazioni consuntive contenute nel bilancio sociale possono

servire a mettere in risalto la coerenza nell’applicazione concreta dei principi

e delle pratiche proclamati nei codici.52

Il codice etico costituisce una dichiarazione con la quale si stabiliscono i principi

aziendali, le regole di condotta, le pratiche e la cultura aziendale con riguardo alla

52 RUSCONI G., op. cit.

55

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responsabilità nei confronti dei dipendenti, degli azionisti, dei consumatori,

dell’ambiente e di ogni altro aspetto della società esterna dell’impresa. Si tratta

quindi di un documento che raccoglie organicamente norme di comportamento sia

per i manager, sia per i dipendenti oltre a dare un orientamento sugli atti da evitare e

quelli da compiere per l’espletamento dei diversi compiti.

Il codice si configura come uno strumento fondamentale per la istituzionalizzazione

dell’etica nell’impresa. Esso deve contenere:

1) l’enunciazione dei valori su cui si fonda la cultura d’impresa;

2) la dichiarazione di responsabilità verso ciascuna categoria di stakeholder;

3) la specificazione delle politiche aziendali in materia di etica d’impresa in

forma più o meno dettagliata;

4) l’indicazione delle prescrizioni alle quali i manager devono attenersi per

l’attuazione delle politiche etiche dell’impresa.

La dichiarazione dei valori deve derivare da un graduale ed analitico processo di

interiorizzazione e divulgazione dei valori in azienda. Ecco perché la divulgazione di

una serie di mutamenti organizzativi e gestionali che favoriscano l’introduzione, lo

sviluppo e la diffusione di un nuovo sistema di valori–obiettivo. Tra questi la

creazione di programmi di formazione a favore di quanti lavorano in azienda, il

rafforzamento dei meccanismi di comunicazione interna, la messa in opera di

adeguate procedure di controllo, la creazione di veri e propri organi di auditing etico.

Il codice etico è espressione della volontà globale dell’azienda nei confronti di una

maggiore moralità della propria condotta. La maggior parte dei codici etici dedica

una rilevante sezione sull’impegno dell’azienda sul fronte della tutela del

consumatore/utente. Questo, altro non è che un effetto del diverso grado di sviluppo

dei sistemi capitalistici. Tanto più una società è avanzata sotto il profilo economico,

tanto più le sue imprese si troveranno a fronteggiare le pressioni dei consumatori e la

sfida dell’etica. I codici etici non potranno che riflettere tale situazione presentando

l’impegno dell’impresa, almeno formale, a salvaguardare l’interesse e la dignità

dell’acquirente in ogni aspetto delle politiche di marketing.

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«Le istanze dei principali codici etici possono essere raccolte in cinque aree:

sviluppo e gestione del prodotto, promozioni, distribuzione, prezzo, ricerca e

marketing».53

3.4. Rischi nella redazione dei documenti di accountability Uno dei rischi della redazione del bilancio sociale è la diffusione di una buona

«immagine sociale» e non la comunicazione trasparente e completa.

Tre sono le ragioni54 che rendono più rischioso il bilancio sociale da questo punto di

vista:

o la volontarietà del documento e la libera scelta del modello da applicare;

o l’estrema multidimensionalità di dati e informazioni;

o l’assenza di principi generalmente accettati.

Si ha in particolare il rischio del cosiddetto «managerial capture», cioè la possibilità

che questo documento venga strumentalizzato da parte di chi gestisce l’azienda e dei

suoi consulenti.

Come risolvere allora il problema della confusione tra informazione per fini di

accountability e puro documento di immagine?

Oltre che nella morale personale di chi redige i documenti, la soluzione va cercata

prima di tutto nella predisposizione di una revisione esterna (auditing) indipendente,

competente e responsabile.

Oggi si è solo all’inizio del cammino verso un adeguato auditing del bilancio sociale,

ma è chiaro che un’attenta regolamentazione pubblica sui requisiti personali

professionali e sulle responsabilità dei revisori sociali ed etici è fondamentale,

unitamente alla consultazione e partecipazione attiva delle organizzazioni sociali

durante l’attività di elaborazioni dei principi.

Un rischio comune ai documenti di accountability è costituito dal «peso politico» dei

vari stakeholder; questa combinazione di «poteri forti» e «poteri deboli» potrebbe

forzare la violazione sia del principio di neutralità che di quello di inclusione. Anche

in questo caso importante difesa dell’accountability è un auditing indipendente,

53 MARZIANTONIO R., TAGLIENTE F., Il bilancio sociale della gestione d’impresa responsabile, Maggioli, Rimini, 2003 54 RUSCONI G., op. cit.

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competente e responsabile, ma in più occorre una «profonda consapevolezza etica

che tutte le persone umane devono essere considerate uguali nel rispetto dei loro

diritti».

Infine bisogna dire che la nascita dei processi di accountability è avvenuta soprattutto

nei contesti nordamericano e nordeuropeo. Occorre prestare attenzione a due rischi

opposti:

o l’applicazione automatica a tutte le realtà mondiali dei modelli elaborati in

ambito nordamericano e/o nordeuropeo;

o il rischio che la paura dell’«imperialismo etico» venga strumentalizzata in

nome di un «relativismo etico» che difenda ingiustizie e/o interessi

particolari.

Per il bilancio d’esercizio esistono principi internazionali sui quali vi è un certo

consenso, anche perché la presentazione dei risultati economico-finanziario-

patrimoniali fa riferimento a grandezze quantitativo-monetarie.

Il bilancio sociale comprende invece valori ricavati dal bilancio d’esercizio,

analisi costi-benefici, indicatori di tendenza, dati fisici, risultati di questionari ed

interviste etc., sui quali è più facile il peso di visioni soggettive e legate alle

diverse tradizioni.

Rimedio al dilemma appena presentato può essere costituito dalla combinazione

di un adeguato auditing.

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CAPITOLO 4

APPROFONDIMENTO DI ALCUNI CONCETTI

Lo scopo di questo capitolo è di approfondire alcuni concetti particolari emersi nel

questionario utilizzato per l’indagine. Nella sezione dedicata all’indagine

campionaria verranno inseriti richiami che permettono di collegare entrambe le

sezioni, così da facilitare il confronto.

4.1 Valori aziendali Secondo lo studioso Vittorio Coda, «i valori d’impresa sono all’origine del successo

o insuccesso dell’impresa e mai come oggi i valori etici hanno assunto

un’importanza critica. I valori, in genere, sono idee (o convinzioni, orientamenti,

norme, modelli di comportamento) che determinati individui o gruppi privilegiano

come le più idonee ad orientare i comportamenti verso il soddisfacimento di bisogni

fondamentali dell’uomo»55. In particolare possiamo dire che per «valori

imprenditoriali» intendiamo i valori che orientano atteggiamenti e comportamenti di

dati soggetti – operanti all’interno o all’esterno di un’impresa – nei riguardi della

stessa in relazione al ruolo loro proprio. Tutti coloro che sono in qualche modo

coinvolti nella vita delle imprese o come attori o come interlocutori esterni, sono

guidati nelle loro scelte e azioni da certe idee variamente radicate nella loro

esperienza, nelle tradizioni entrate a far parte del loro patrimonio culturale, nella

storia e nella cultura d’impresa. L’esplicitazione di queste idee è importante per

capire quali sono le logiche che sottostanno alla gestione aziendale.

Tra i valori imprenditoriali che hanno un profondo influsso sulla vita delle imprese,

particolare rilievo assumono quelli professati dagli attori-chiave, con i quali

intendiamo coloro che di fatto esercitano la leadership strategica e operativa

dell’impresa.

55 CODA V.,Valori imprenditoriali e successo dell’impresa, in Finanza, Marketing e Produzione n.2,

giugno, 1985, 23:56

59

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Ebbene, i valori vissuti dagli attori-chiave via via succedutisi alla guida dell’impresa,

sono sempre in misura rilevantissima costitutivi di ciò che l’impresa di fatto è e dei

suoi problemi di fondo.

4.1.1. I valori imprenditoriali e la dottrina Numerosi sono gli scritti che in qualche modo si occupano della tematica dei valori

imprenditoriali. I più significativi sono forse riconducibili a uno dei seguenti filoni di

studio: il filone istituzionalistica-aziendale, quello dell’etica d’impresa (Business

Ethics), quello della strategia sociale (Social Strategy), quello dell’innovazione

imprenditoriale e quello delle imprese eccellenti.

Si analizza solo la Business Ethics tralasciando le altre dottrine.

Trattasi di un filone di studi molto sviluppato negli Stati Uniti, dove l’insegnamento

della Business Ethics è diffuso nelle scuole di management per sensibilizzare i

dirigenti (o i futuri dirigenti) alla dimensione morale delle decisioni, con particolare

riguardo alle scelte più problematiche, in cui non è chiaro cosa sia bene e cosa sia

male.

I valori perenni che tali studi propongono sono la vita e il benessere di ogni singolo

uomo, l’onestà, la lealtà e la giustizia. L’applicazione di questi principi etici generali

nella vita concreta delle imprese non di rado si presenta incerta, soprattutto perché i

soggetti chiamati a decidere hanno dei doveri morali nei confronti di una pluralità di

persone e collettività dalle attese differenziate e spesso in conflitto tra di loro.

Gli studi di Business Ethics, pur essendo coltivati nell’ambito delle business school,

non riguardano solo il management, dato che chiunque lavora in azienda può trovarsi

di fronte a scelte in cui fatica a capire cosa è giusto fare. Del resto uno dei capitoli

fondamentali concerne proprio i doveri dei dipendenti verso l’impresa e questo

evidentemente non interessa solo il management. Ma anche gli altri classici capitoli

(dei doveri dell’impresa verso i suoi dipendenti e dei doveri dell’impresa verso i

terzi) non sono affatto estranei alla formazione della coscienza morale di chi lavora

in azienda anche se non occupa una posizione manageriale.

60

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Il filone di studi in parola è importante per capire quanto è complessa la dimensione

etica nella vita delle imprese e come le valutazioni etiche influenzano i valori

d’impresa.

«I valori etici di base – di onestà, lealtà, giustizia, rispetto per la vita umana di ogni

singolo uomo o gruppo di uomini – che esso si sforza di calare nella realtà delle

imprese, sono dei metavalori aziendali, la cui interiorizzazione è in un certo senso

una precondizione per l’affermarsi di valori d’impresa funzionali al successo

duraturo della stessa»56. I casi di dissesti aziendali, all’origine dei quali tanto spesso

si riscontano macroscopiche disonestà di dirigenti o di esponenti del gruppo di

controllo, ci sembra confermino questo assunto. Infatti, dimostrano come, in assenza

di una rettitudine di fondo in chi guida l’impresa, l’apprendimento e la diffusione di

valori capaci di assicurarne il benessere nel lungo periodo inevitabilmente si

inceppano.

L’apprendimento di tali valori per altro non è regolato solo da valutazioni etiche, ma

anche da giudizi di fattibilità (tecnica, commerciale, finanziaria) di convenienza

economica e da validità sul piano strategico, nonché da tutto un insieme di fattori

psicologici, organizzativi e sociali che possono grandemente ostacolarne o facilitarne

lo svolgimento.

4.1.2. L’individuazione dei valori imprenditoriali Come accennato in precedenza la Business Ethics si occupa di metavalori, che si

distinguono dai valori d’impresa. I primi si sostanziano nei valori di onestà e

giustizia e rappresentano «delle precondizioni dell’apprendimento di valori

d’impresa rispondenti alle esigenze di funzionalità duratura della stessa. Altre

fondamentali precondizioni riguardano gli aspetti cognitivo-razionali ed emotivo-

psicologici dell’apprendimento. Ci limitiamo qui a menzionarne alcune: la fiducia,

essenziale perché in un clima di sereno ottimismo e anche di coraggio si possono

sviluppare lucide analisi e ricercare soluzioni creative, l’umiltà e l’apertura al

nuovo».57

56Valori imprenditoriali e successo aziendale, Giuffrè Editore, Milano, 1986 57 Valori imprenditoriali e successo dell’impresa, op. cit.

61

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I valori d’impresa invece si rifanno al filone istituzionalista-aziendale e a quello di

strategia sociale. In altri termini, la domanda «che cos’è stata l’impresa per i suoi

attori-chiave?» conduce direttamente al nocciolo di ogni problematica esistenziale

dell’impresa e al riconoscimento dei suoi valori, a condizione però di cercarvi

risposta non in discussioni filosofiche, ma nella storia dell’azienda e, precisamente

nelle scelte e nei fatti rivelatori della mentalità, della cultura e dei valori

concretamente professati.

Le imprese a cultura debole e frammentata, indotta da valori imprenditoriali non

condivisi hanno inevitabilmente una identità opaca, i cui riflessi negativi sulla

immagine non sono certo neutralizzabili mediante campagne pubblicitarie

manipolative, per quanto esse siano ben studiate. Per contro, le imprese con una

cultura coesiva, fatta di valori condivisi, hanno una spiccata identità cui corrisponde

una immagine capace di attrarre selettivamente le risorse, le collaborazioni e i

consensi loro necessari. Insomma, valori e cultura d’impresa, da un lato, e immagine

aziendale, dall’altro, sono variabili strettamente collegate.

Trattatasi di una politica di immagine rivolta non già ad accreditare una identità non

corrispondente al vero, ma a colmare il divario rispetto alla identità desiderabile e,

quindi, a costruire una immagine autentica di ciò che l’impresa vuole e cerca di

essere. E l’identità ricercata non può che essere quella di un’impresa che si pone al

servizio dei suoi clienti, che sa dare un significato al lavoro dei suoi dipendenti, che

assolve nel migliore dei modi il suo ruolo economico.

Emerge allora, che il successo dell’impresa dipende dalle tre funzioni redditività,

competitività e socialità legate congiuntamente, in cui ad esempio, tensione alla

economicità, orientamento al servizio del cliente e attenzione per i lavoratori si

coniugano non tanto bilanciandosi quanto piuttosto rafforzandosi vicendevolmente.

Emerge, ancora, una concezione del finalismo d’impresa in cui né il reddito, né i

necessari traguardi competitivi e neppure il soddisfacimento delle attese di

determinati partecipanti assurgono a fine ultimo ed esclusivo dell’impresa, tutti

essendo mezzo necessario o via obbligata verso una piena realizzazione della sua

ragione d’essere. Nessuno di essi è un autentico «valore imprenditoriale» in assenza

degli altri: non il reddito se ottenuto ad esempio grazie a livelli retributivi

estremamente bassi o in condizioni di svolgimento del lavoro lesive della salute

62

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fisica e psichica dei lavoratori o con pregiudizio per la competitività futura

dell’impresa, non la creazione di posti di lavoro se ottenuta sacrificando il ruolo

economico dell’impresa.

L’obiezione che potrebbe emergere è che gli «investimenti sociali» attuati

dall’azienda potrebbero comportare minor utili e la disponibilità di minori risorse

finanziarie per l’effettuazione di investimenti direttamente produttivi. Tale obiezione,

è valida, limitatamente al breve periodo, dato che la reciproca funzionalità di

progresso reddituale, competitivo e sociale non si realizza istantaneamente, ma si

dispiega nel tempo e, di solito, in un tempo non breve. I conflitti di breve possono e

devono superarsi in una concezione del finalismo della impresa di ampio respiro, in

cui i sacrifici presenti sono compiuti in vista di benefici futuri e solo

temporaneamente si rinuncia ad avanzare lungo date dimensioni di progresso per

consentire il raggiungimento di obiettivi prioritari. Diversamente, se si accetta una

sistematica supremazia di una dimensione del successo imprenditoriale sulle altre, è

inevitabile il prodursi di una scissione tra progresso economico, sociale e

competitivo, destinata a sfociare prima o poi in una crisi profonda.

4.1.3. Quali sono i valori alla base del successo imprenditoriale?

I valori in oggetto sono quelli che danno contenuti concreti alla specifica ed autentica

vocazione imprenditoriale dell’impresa. Qualsiasi impresa è chiamata a servire

economicamente determinati bisogni di dati clienti in un contesto che oggi è

altamente concorrenziale e sviluppando certe risorse di cui dispone e può disporre,

primo fra tutte quelle umane.

Di conseguenza deriva che i valori-cardine del successo imprenditoriale hanno

inevitabilmente a che fare con categorie come il «servizio al cliente» («l’ascolto delle

sue necessità», «il rispetto e la valorizzazione delle persone»), «l’economicità della

gestione», l’«innovatività».

Se l’impresa si orientasse a servire determinati bisogni della clientela per i quali non

fosse adatta, sarebbe soccombente nel confronto competitivo e quindi non potrebbe

assolvere il ruolo economico suo proprio. E’ importante che tali valori siano integrati

63

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in una visione imprenditoriale vincente. E questa, a ben vedere, è il vero valore di

impresa.

Anche l’economicità della gestione, che pur esprime la capacità dell’impresa di

assolvere la sua irrinunciabile funzione produttrice di ricchezza, non è un autentico

valore imprenditoriale se viene perseguita in una logica di sfruttamento del cliente e

del personale, anziché in una logica di servizio al cliente e di valorizzazione delle

risorse personali. Ma questo diverso modo di concepire il ruolo economico

dell’impresa sottende una logica di innovazione imprenditoriale, la quale si esplicita

nella continua ricerca di opportunità atte a valorizzare e sviluppare le competenze

disponibili e nel continuo sviluppo di risorse e conoscenze atte a mantenere una

superiore capacità di servire economicamente il cliente.

4.1.4. Rapporto tra responsabilità sociale e obiettivi dell’impresa

L’attenzione verso il sociale sta assumendo assieme alla dimensione competitiva ed a

quella reddituale una posizione chiave per l’azienda. Tuttavia, pur essendo quasi

unanimemente riconosciuta la necessità, da parte dell’impresa, di prestare attenzione

alle istanze provenienti dal contesto socio-ambientale, non esiste una convergenza di

opinioni intorno all’estensione ed al confine di tali «carichi sociali», intorno cioè al

significato da attribuire al termine responsabilità o ruolo sociale dell’impresa.

Accanto, infatti, alle posizioni di chi non ravvisa alcuna responsabilità sociale da

parte dell’impresa, vi sono le opinioni di coloro i quali ritengono che l’impresa debba

farsi carico di contribuire positivamente ed attivamente al benessere della collettività

in cui opera.

Secondo la prima impostazione, il perseguimento di obiettivi di tipo economico

rappresenta il fondamento di una soddisfacente «performance» aziendale e permette

la realizzazione di obiettivi diversi funzionalmente, in modo cioè successivo e

conseguente. Il successo economico sarebbe, quindi, la variabile indipendente dalla

quale scaturiscono subordinatamente le «prestazioni sociali» dell’impresa.

L’ipotesi invece che qui si vuole affermare è che, pur mantenendo come base

indispensabile ed insostituibile la logica economica, affianca a quest’ultima

un’attenzione verso il sociale. In altre parole, l’impresa dovrebbe dedicare altrettanto

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interesse, rispetto a quello economico, alla dimensione sociale, la quale essa stessa

concorre al raggiungimento di dimensioni economiche soddisfacenti. Non più,

quindi, una posizione subordinata e funzionale della componente sociale, ma,

piuttosto un allineamento di quest’ultima tra gli obiettivi e le finalità dell’azienda.

A tale proposito, il Fazzi58 distingue gli «obiettivi» dalle «finalità», attribuendo alle

prime una rilevanza di natura interna, alle seconde di natura esterna. Gli obiettivi

rappresentano, secondo l’autore, strumenti logico-organizzativi, verso i quali

orientare l’attività dell’organismo-impresa. Le finalità, invece, vengono distinte dagli

obiettivi poiché non si rivolgono all’interno del sistema aziendale, ma rappresentano

le mete a cui deve tendere l’attività di impresa nella realizzazione di quella «missione

sociale» ad essa attribuita dalla collettività. Vengono quindi considerate finalità la

promozione del livello occupazionale delle conoscenze tecnologiche e del benessere

locale, etc.

I critici a una tale impostazione (quali Friedman e Drucker) sostengono invece che la

funzione primaria dell’impresa non può essere ricondotta a considerazioni di natura

sociale e che, di conseguenza, le decisioni imprenditoriali devono essere ispirate dai

principi di economicità ed efficienza e limitate esclusivamente da vincoli di natura

giuridica.

Attribuire una responsabilità sociale all’impresa vuol dire riconoscerle un maggiore

potere e, quindi, una maggiore influenza che potrebbe configurarsi in termini

autoritari.

4.1.4.1. La teoria riduttiva

Secondo tale teoria, l’impresa ha una sola responsabilità sociale: quella verso il

proprio benessere. L’obiettivo che caratterizza l’attività dell’impresa deve essere

necessariamente ispirato a criteri economici.

La logica interpretativa adottata è quindi esclusivamente quella massimizzante, che

viene utilizzata per orientare il comportamento dell’impresa. Alla base di tale logica

massimizzante risiede il criterio utilitaristico, secondo il quale il principio-guida di

ogni azione è quello della massimizzazione dell’utilità per l’attore.

58 FAZZI R., Il governo d’impresa, vol. I, Giuffrè, Milano, 1982, pag. 87

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4.1.4.2. La teoria estensiva

La concezione di tipo estensivo affianca alle finalità economiche anche quelle

sociali. In questa prospettiva, gli obiettivi economici non sono più di tipo

massimizzante, ma soddisfacente, e vanno resi compatibili con il perseguimento di

finalità di natura socio-politica. La chiave interpretativa della posizione «estensiva» è

quella di concepire l’impresa come microsistema, inserito nel più ampio sistema

sociale.

L’adozione di tale chiave di lettura comporta, allora, un approccio diverso da parte

dell’impresa verso l’insieme delle «parti in causa» che interagiscono con essa.

Gli «interlocutori dell’azienda», o stakeholders non dovranno più essere considerati

come vincoli, ma piuttosto come opportunità per lo sviluppo e, addirittura, per

l’esistenza dell’azienda stessa.

Il punto nodale di questo orientamento è, quindi, la comprensione e l’approfondita

conoscenza delle parti in causa e la consapevolezza che queste ultime tenderanno

sempre di più ad esercitare pressioni politiche e sociali sull’impresa, in grado di

influire in modo determinante sul suo rendiconto economico.

Secondo tale impostazione, e differentemente dalla visione precedente, le «regole del

gioco» non sono, quindi, imposte dall’esterno, non vengono interpretate dall’azienda

come vincolo, ma risultano da un confronto e da uno scambio iterativo con il proprio

ambiente.

4.1.5. I valori imprenditoriali primari e quelli strumentali

I valori che ciascun individuo ha in sé influiscono sugli obiettivi che egli si pone, su

ciò che vuole perseguire, sulle scelte che compie per raggiungere detti obiettivi, sulle

azioni che attua nel concretare le scelte.

I valori individuali come tali, rimangono nella sfera interiore dell’individuo e

possono costituire oggetto di svariate discipline (morale, psicologia, sociologia,

ecc.); gli stessi valori, trasfusi in obiettivi, scelte e comportamenti che si realizzano

all’interno e/o per mezzo di un’azienda, entrano nella sfera economico-aziendale. I

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valori di tutti gli individui che, a diversi livelli, operano nell’azienda hanno una

indubbia influenza sulla vita e sul successo della stessa.

«Tali valori, idee radicate su ciò che l’azienda è, su ciò a cui serve, sulla sua ragion

d’essere, determinano, infatti, la maniera di porsi nei confronti di essa da parte di

ciascuno, il rapporto dei singoli individui con l’azienda.»59

Con l’espressione valori imprenditoriali non si intende quindi fare riferimento a

qualità, innate e/o acquisite, a doti di carattere o di cultura, di preparazione

professionale e di esperienza, che predispongono l’uomo imprenditore a svolgere con

successo la sua funzione. Ci si riferisce, invece, «ai valori imprenditoriali intesi come

mete da raggiungere per l’imprenditore, come filosofia di fondo, alla luce della quale

egli interpreta, sia in senso passivo e cioè intende, sia in senso attivo, attua, la propria

funzione imprenditoriale.»60

I valori imprenditoriali intesi in tal senso costituiscono, quindi, i pilastri che

sostengono, per ciascun imprenditore, la propria ragione d’essere e, per conseguenza,

i moventi della propria attività ed, in ultima analisi, la giustificazione che egli dà a sé

stesso, della propria funzione, del proprio ruolo e della maniera di attuare entrambi

nel concreto della gestione.

I valori dell’imprenditore, il suo rapporto con l’azienda, gli scopi e le attese che da

essa si prospetta, possono esser estremamente vari, influenzati da fattori personali (il

tipo ed il livello di formazione morale umana e professionale, la maniera di

interpretare la realtà, lo stato sociale, ecc.) e da fattori ambientali (le caratteristiche e

le dimensioni dell’impresa, le vicende della sua storia, il mercato, l’ambiente

generale, ecc.).

All’interno di detti valori è possibile creare una distinzione fra valori imprenditoriali

che potrebbero definirsi primari, o di fondo, che sono quelli che ineriscono alla

ragione d’essere dell’azienda, del ruolo e della funzione imprenditoriale; e valori

imprenditoriali di tipo strumentale, o secondari, i quali, discendendo direttamente dai

primi, ne coniugano i contenuti con la realtà più direttamente gestionale.

Questi ultimi che costituiscono pur sempre obiettivi da raggiungere, mete da

perseguire, hanno tuttavia una più stretta attinenza con la realtà operativa aziendale e

possono identificarsi come modelli o strumenti di attuazione dei primi. 59 ZAPPA G., Le produzioni nell’economia delle imprese, Tomo 1°, Cap 1°, Giuffrè, Milano, 1956 60 Valori imprenditoriali e successo dell’impresa, op. cit.

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4.1.6. La cultura aziendale

Con l’espressione «cultura aziendale» si intende fare riferimento ad un sistema di

ipotesi condivise dai membri dell’organizzazione, frutto dello sforzo degli stessi

nell’interpretare e superare problemi di integrazione interna ed esterna, le quali,

manifestandosi di volta in volta vincenti – cioè utili a rendere più efficace l’operare

dei membri stessi–si stratificano col passare del tempo e vengono trasmesse ai nuovi

membri dell’organizzazione come modo corretto di interpretare la realtà.

Affinché, le ipotesi o i valori possano entrare a far parte della cosiddetta «cultura

aziendale» è innanzitutto necessario che siano condivisi, che, cioè, su di essi si crei

un forte grado di aggregazione da parte dei membri dell’organizzazione; è, poi,

necessario che siano vincenti, che, cioè, si manifestino corretti ogni qualvolta,

consciamente o inconsciamente, vengano utilizzati nella soluzione di un problema.61

4.2. La fiducia e la reputazione

«Qualsiasi transazione commerciale contiene in sé un elemento fiduciario,

certamente qualsiasi transazione che implica durata nel tempo. Si può sostenere che

una spiegazione del sottosviluppo economico consiste nella mancanza di fiducia

reciproca»62. «La società si disintegrerebbe in assenza di fiducia tra gli uomini. Sono

pochissimi i rapporti che si fondono totalmente su ciò che uno sa in modo

verificabile dell’altro, pochissimi durerebbero oltre un certo tempo se la fiducia non

fosse così forte e talora anche più forte di verifiche logiche e anche oculari»63.

I due autori mettono in risalto l’importanza della fiducia nei rapporti economici,

rilevanza immediata anche per la «Responsabilità Sociale d’Impresa».

Benché l’impresa possa sviluppare comportamenti socialmente responsabili in modo

autonomo e unilaterale, appare evidente che la CSR può essere incoraggiata dal

grado di fiducia che caratterizza i rapporti con i principali stakeholder. In un clima di

sfiducia gli sforzi sinceri e trasparenti, che l’impresa può adottare per illustrare i

61 Valori imprenditoriali e successo dell’impresa, op. cit. 62 ARROW K.J., The Limits of Organization, Norton & Company, New York, 1974 63 RIMMEL G., Philosophie des Geldes, Berlin, 1990 (trad. it., Filosofia del denaro, Utet, Torino, 1984)

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comportamenti socialmente responsabili, possono essere fraintesi e interpretati come

una pura operazione di immagine o un tentativo di manipolare a proprio favore il

dialogo con gli stakeholder. D’altra parte l’impresa può essere indotta ad adottare

comportamenti socialmente responsabili, perché spinta dall’opinione pubblica o per

emulazione di pratiche orami consolidate in un territorio o in un settore, grazie alla

sensibilità delle parti sociali.

Non esiste una definizione condivisa del termine fiducia, che spesso viene usato in

modo evocativo come sinonimo di lealtà, consenso, cooperazione, solidarietà e

legittimazione.

4.2.1. La fiducia Con la trasformazione delle attività da industriali a commerciali, il bilancio

d’esercizio ha cominciato ad accusare le prime difficoltà nel rappresentare

correttamente la realtà sottostante ai fatti gestionali. Nasce l’esigenza i contabilizzare

un elemento nuovo e tutto qualitativo: la fiducia.

Fino a poco tempo fa, l’impresa otteneva «fiducia» attraverso i suoi risultati

economici. L’ultima riga (the «bottom line», nella terminologia anglosassone) del

conto economico (scalare) contabilizzava indirettamente anche la fiducia, senza la

quale non si poteva operare sul mercato.

Oggi questo non è più sufficiente. Si parla sempre più spesso di un triplice approccio:

la «triple bottom line». Secondo tale orientamento la misurazione dei risultati deve

avvenire non solo sulla base di criteri economici, ma anche di quelli ambientali e

sociali.

Nel passaggio da una a tre righe finali di un ipotetico conto economico, si

cristallizzano tutti i limiti oggettivi della rendicontazione tradizionale. Essa già

stentava a cogliere esaurientemente tutti gli aspetti di natura economica, ma è ancora

meno adeguata al fine di soddisfare la nuova domanda di rendicontazione sociale e

ambientale.

La complessità principale nasce dal fatto che la «fiducia» non solo è un elemento

intangibile dell’attivo patrimoniale ma è, a sua volta, una sommatoria di elementi

intangibili. E’ un cocktail fatto di valori, di atteggiamenti, di rispetto delle regole, di

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governance, di onestà, di etica. In sintesi, la fiducia è il consenso dell’opinione

pubblica e, cioè, del complesso degli stakeholder.64

Inoltre, il bilancio segna un ulteriore punto di crisi con lo sviluppo delle aziende

know-how, cioè società caratterizzate da una forte presenza di professional, la cui

alta intensità di conoscenze caratterizza la gestione aziendale.

La conoscenza accumulata (cosiddetta knowldge) quando si realizza all’interno

dell’azienda non viene contabilizzata. Si trascura perciò un elemento fondamentale:

il personale che è il vero patrimonio (di conoscenze) di questa tipologie di imprese.

La formazione, il grado di specializzazione, i comportamenti, la creatività,

l’attaccamento all’azienda, il senso di appartenenza sfuggono alla metrica del

bilancio e sono contabilizzati in conto economico come un qualsiasi acquisto di

materiale da consumo. Sono forse questi elementi assimilabili in qualche maniera

alla cancelleria o alle lampadine?

I professional come dice Da Empoli65, sono «soggetti nomadi» cioè si spostano da

un’azienda ad un’altra. E’ evidente che in questo processo un’azienda perde una

parte del suo valore e un’altra se ne avvantaggia ma, in assenza di un adeguato

sistema contabile questo è un processo destinato a rimanere oscuro agli imprenditori.

Si impone così un nuovo modello: ottenere e gestire il consenso sia all’esterno

dell’azienda, ottenendo la fiducia degli stakeholder, sia all’interno, componenti che

però non vengono rilevati dal bilancio.

L’esigenza che si pone è quella di legare la realtà interna a quella esterna all’impresa,

alimentando una stabile relazione con i portatori di interessi (stakeholder

relationship). E’ questo il campo d’azione della rendicontazione sociale di cui il

bilancio sociale è solo uno degli strumenti. Esso pur non risolvendo tutti i problemi,

può contribuire alla soddisfazione di parte della domanda di comunicazione non

soddisfatta dal bilancio tradizionale.

64 HINNA L., (a cura di), Il bilancio sociale – Scenari, settori e valenze Modelli di rendicontazione sociale Gestione responsabile e sviluppo sostenibile Esperienze europee e casi italiani, Il Sole 24 Ore, Milano, 2000 65 DA EMPOLI G., La guerra del talento, meritocrazie e mobilità nella nuova economia, Marsilio, 2000

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4.2.2. La reputazione Le imprese che attivano uno stakeholder reporting lo fanno con lo scopo di creare

valore, sia interno che esterno, per tutti gli stakeholder chiave. La creazione di

valore, infatti, è lo scopo principale del management.

Se è vero che elementi come la fiducia e la reputazione sono attività intangibili

dell’impresa e non solo per le banche e le assicurazioni ma per tutte le imprese,

adottare un sistema di rendicontazione sociale significa introdurre un sistema per il

«management della reputazione». Quest’ultimo è elemento di cui tutte le imprese

hanno bisogno: da un lato, chi ha una reputazione forte deve difenderla e rafforzarla;

dall’altro, chi ha una reputazione debole deve ricostruirla o crearla, magari a causa di

eventi che l’hanno deteriorata.

La gestione di un processo di rendicontazione sociale crea, in questo modo, valore

sull’esterno per l’impresa nella misura in cui crea relazioni più forti tra gli

stakeholder e accresce la reputazione, grazie alla responsabilità sociale che viene a

essa riconosciuta. Ciò offre al suo management un vantaggio competitivo da sfruttare

e da gestire. Si arriva ad affermare che lo stakehoder reporting può essere visto come

una sorta di “polizza assicurativa” che protegge la reputazione dell’impresa. Essa,

infatti, anche se non si contabilizza, è una risorsa intangibile di grande valore:

miglioramenti e peggioramenti della stessa possono avere effetti finanziati fin troppo

tangibili.

L’idea di leggere lo stakeholder come un soggetto che possa creare valore per

l’impresa è un concetto per certi versi nuovo: è la traduzione del «valore del

consenso»66. Lo stakeholder reporting crea valore interno poiché non è solo un

«sistema di rilevazione» ma è anche una filosofia di gestione basata sul dialogo e sui

«valori». Il fine è quello di creare e gestire una efficace rete di relazioni tra gli

stakeholder, riguardante sia la performance dell’impresa sia l’amministrazione delle

risorse sociali, etiche, intellettuali e ambientali.

La missione, la visione e i valori dell’impresa formano le fondamenta dello

stakeholder reporting, ma, a loro volta, sono anche prodotti del processo. Infatti lo

stakeholder reporting permette al management di verificare che la missione, la

66 HINNA L., (a cura di), op. cit.

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visione e i valori aziendali collimino con le aspettative, la domanda e i valori degli

stakeholder chiave.

4.3. I destinatari della responsabilità Parlare genericamente dell’entità impresa e conferire a questa delle responsabilità

sembra non avere molto senso: l’impresa esiste in quanto costituita dagli individui

che ne fanno parte. L’impresa è un soggetto artificiale, invisibile, intangibile,

esistente in relazione ad esigenze di natura giuridica ed operante solo in funzione

dell’elemento umano in essa presente. Si ritiene corretto, quindi, riferire la

responsabilità agli attori chiave dell’impresa, agli esponenti cioè del gruppo di

controllo e del vertice aziendale, in altre parole, all’organo imprenditoriale.

I sostenitori di questa teoria si rifanno alla tradizionale concezione della

responsabilità dell’individuo, mentre i critici sostengono posizioni differenti. Essi,

infatti affermano che quando un gruppo organizzato, come una società per azioni,

agisce congiuntamente, possono definire l’atto dell’impresa come atto del gruppo, e

di conseguenza deve essere ritenuto responsabile il gruppo e non gli individui che lo

compongono.

I sostenitori della visione tradizionale, tuttavia, replicano che sebbene talvolta si

attribuiscono gli atti ai gruppi, questo fatto linguistico e giuridico non cambia la

realtà morale che sta dietro a tutti gli atti delle imprese: sono stati degli individui a

compiere le particolari azioni che hanno determinato l’atto dell’impresa. Poiché gli

individui sono moralmente responsabili delle conseguenze note e intenzionali delle

loro libere azioni, ogni individuo che consapevolmente e liberamente unisce le sue

azioni a quelle di altri con l’intenzione di compiere un certo atto dell’impresa, è

moralmente responsabile di tale atto.

Abbastanza spesso, tuttavia, non possiamo dire che i dipendenti di una grande

azienda abbiano «consapevolmente e liberamente unito le loro azioni» per compiere

un atto dell’impresa o per perseguire un obiettivo dell’impresa.67

67 VELASQUEZ M. G, Etica economica, Libreria Editrice Cafoscarina, Venezia, 1993

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E’ ovvio, quindi, che una persona inserita nella struttura burocratica di una grande

organizzazione non è necessariamente responsabile per ogni atto dell’impresa che

contribuisce a realizzare.

4.3.1. L’impresa può avere responsabilità morale?

La risposta a questa domanda passa attraverso la considerazione dell’esistenza di una

eventuale separazione tra la proprietà ed il controllo dell’impresa, che molto spesso

si riflette in termini dimensionali. Infatti, per le aziende di piccole e medie

dimensioni, solitamente la proprietà ed il controllo sono concentrati addirittura in

un’unica persona: il titolare dell’impresa è anche colui che determina le scelte

strategiche e gestionali: pertanto, in questo caso, non si può parlare di impresa come

«soggetto socialmente responsabile», in quanto il comportamento dell’impresa è

etico se lo sono le decisioni assunte dal proprietario, l’eticità dell’impresa coincide

con l’eticità di chi la governa.

Diversa è invece la situazione per le organizzazioni imprenditoriali di grandi

dimensioni, o, in generale, per le organizzazioni in cui si riscontra una separazione

tra proprietà e controllo. In seguito mostreremo le diverse impostazioni dottrinali a

tale riguardo.

Molte volte l’azienda viene accusata di essere responsabile dell’inquinamento

dell’ambiente circostante oppure dei danni alla salute di quanti lavorano.

Formalmente si fa in tal modo riferimento alla personalità giuridica dell’impresa; dal

punto di vista sostanziale però gli argomenti sollevati fanno riferimento alla

responsabilità morale di qualche agente per un danno inferto, un diritto violato etc.

Indipendentemente da come la responsabilità giuridica dell’impresa si trasferisce su

particolari agenti individuali è importante sapere se sia possibile ascrivere

responsabilità morale all’impresa in quanto tale oppure se la responsabilità morale

debba essere in ogni caso fatta risalire a particolari soggetti individuali. Le risposte

variano secondo le teorie dell’organizzazione.

Il filosofo americano Peter French ha sostenuto che la moderna società per azioni

(corporation) può essere a tutti gli effetti considerata come una persona morale. A tal

fine egli non considera l’organizzazione come un aggregato di individui che operano

73

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a vario titolo al suo interno. La natura di persona morale dell’impresa discende

invece dal concetto di responsabilità morale, secondo il quale un soggetto è

moralmente responsabile di un evento se è possibile chiedergli di rendere conto

dell’evento. Ciò è possibile se:

o «il soggetto in questione ha causato l’evento con una sua azione;

o l’azione era intenzionale.»68

Data questa nozione di responsabilità morale, l’idea di French è che un evento possa

essere descritto non solo come qualcosa che è stato fatto intenzionalmente dagli

individui di un certo gruppo, ma anche come qualcosa che è stato fatto

intenzionalmente dall’organizzazione in quanto tale, cioè come un’azione

intenzionale dell’organizzazione. In generale French sostiene che è del tutto

giustificato considerare gli scopi e le politiche fondamentali di un’organizzazione

come indipendenti e a sé stanti rispetto alle intenzioni e agli scopi degli individui che

operano nell’organizzazione, che sono proprietari o che agiscono in suo nome.

Una tesi opposta a quella sostenuta da French è stata proposta da John Ladd, secondo

il quale non è possibile riscontrare una responsabilità morale di un’organizzazione

burocratica, e quindi non ci sono diritti e doveri morali di un’impresa. I dipendenti di

un’impresa, e gli altri soggetti che hanno rapporti con essa, non hanno doveri o

obblighi morali verso l’impresa, poiché essa non ha personalità morale.

Sulla base della teoria delle organizzazioni formali, le decisioni organizzative

possono essere attribuite all’organizzazione stessa, e i funzionari, che entrano nel

processo decisionale organizzativo, agiscono impersonalmente a nome dell’impresa

quale soggetto decisionale autonomo. Egli sottolinea che le decisioni sociali sono

decisioni fatte da un funzionario a nome di un soggetto o entità differenti da lui. Il

funzionario nell’organizzazione agisce impersonalmente, non per i propri scopi ma in

nome degli scopi dell’organizzazione in quanto tale. A ciò si aggiunge la struttura

gerarchica delle organizzazioni, in base alla quale ogni funzionario agisce in accordo

col principio di autorità, che gli impone di assumere come premessa della sua

decisione non i suoi scopi o fini personali ma il fine organizzativo.

Infine, l’idea di razionalità, che è tipica delle organizzazioni formali, è quella

strumentale, della scelta dei mezzi più appropriati dato il fine organizzativo. Così un 68 SACCONI L., Etica degli affari – Individui, imprese e mercati nella prospettiva di un’etica razionale, Il Saggiatore, Milano, 1991

74

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funzionario non deve compiere scelte di valore morale, ma solo scegliere i mezzi

tecnicamente più appropriati per realizzare quel fine. Da tutto ciò Ladd deduce che

«le decisioni sono soggette a due standard interamente differenti e talora

incompatibili. Le decisioni sociali sono soggette allo standard dell’efficienza

razionale (utilità), mentre le azioni degli individui sono soggette agli standard della

moralità ordinaria»69.

Una terza teoria di Kenneth Goodpaster sostiene invece la tesi della responsabilità

morale dell’impresa sulla base della negazione della diversità tra il processo

deliberativo dell’individuo e del processo deliberativo di un’organizzazione. I due

processi sarebbero invece fondamentalmente analoghi. La nozione di responsabilità

rilevante al fine del percorso è quella che si applica alle decisioni. Essere

responsabile in questo caso significa decidere in modo responsabile, ovvero

esercitando la necessaria cura e riflessione su tutti gli aspetti di una decisione data.

Ciò va distinto dalla nozione giuridica di responsabilità, per la quale qualcuno deve

rispondere delle sue azioni di fronte all’autorità giudiziaria.

4.4. Gli obiettivi delle imprese etiche

La definizione tradizionale dello scopo dell’impresa, propria della microeconomia

classica, è che l’impresa tende alla massimizzazione del profitto. Il riferimento è qui

allora alla teoria economica elementare dell’impresa – quella che chiunque può

trovare nei libri di testo di microeconomia come teoria dell’offerta. Ciò che lo

studioso osserva sono gli input e gli output della produzione e la teoria serve a

stabilire le appropriate relazioni funzionali tra i due elementi sotto l’ipotesi che

l’impresa, intesa come un tutto, agisca come massimizzatrice del profitto. Tale

ipotesi in realtà non è a sua volta che il risultato dell’assunzione che l’impresa sia

efficiente nello stabilire la relazione tra input e output: ovverosia, che dato un certo

livello di output, venduto sul mercato, l’impresa è quella funzione di produzione che

alloca le risorse e i fattori produttivi al suo interno in modo da minimizzare i costi di

produzione e rendere massima la differenza tra costi totali e ricavi totali.

Che dire della sua giustificazione morale? «La definizione economica elementare è

anche una definizione morale dello scopo dell’impresa a condizione che l’economia 69 SACCONI L., op. cit.

75

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in generale sia un’economia perfettamente concorrenziale».70 Un’economia

perfettamente concorrenziale raggiunge uno stato di equilibrio, che a sua volta

soddisfa un requisito di efficienza sociale paretiana, se tutte le imprese che

producono i beni sono individualmente razionali, ovvero massimizzano il profitto e

tutte le famiglie, che consumano i beni, massimizzano le loro soddisfazioni. In

questo caso la definizione classica dello scopo dell’impresa ha una giustificazione

teleologica in termini di etica utilitaristica. Questa giustificazione però, non è più

sufficiente di fronte alle imperfezioni della concorrenza nelle economie reali. Se

infatti i mercati non sono perfettamente concorrenziali, non c’è motivo di assumere

in generale che imprese massimizzatici del profitto convergano ad una situazione di

equilibrio nelle quali le risorse siano allocate efficientemente in senso paretiano.

4.4.1. Obiettivi alternativi o addizionali rispetto alla massimizzazione del profitto?

La «Responsabilità Sociale dell’Impresa» è stato un concetto importante per i

tentativi di attribuire alle imprese scopi alternativi o addizionali rispetto alla

esclusiva massimizzazione del profitto. Con responsabilità sociale dell’impresa

intendiamo l’idea che l’impresa abbia obblighi sociali, che trascendono le funzioni

economiche di allocare risorse produttive scarse, produrre ed offrire beni e servizi,

assicurare un soddisfacente livello di profitti per gli azionisti e gli investitori di

capitali.

In generale, tuttavia, si sottolinea la costante separazione tra la riflessione sulla

responsabilità sociale e quella di etica degli affari: l’una rivolta agli obblighi sociali

dell’impresa al di fuori del merito specifico della sua attività economica, l’altra tesa a

definire le basi morali dell’attività e delle operazioni più proprie delle organizzazioni

produttive.

Cambia la concezione di gestione dell’azienda cioè che sia in grado di rispondere e

anticipare le sfide provenienti dall’esterno (e dall’interno). Ciò pone in luce il

concetto di gestione strategica dell’impresa e di strategia come capacità di anticipare

e rispondere alle maggiori pretese che dalla società vengono avanzate nei confronti

delle imprese. Dai fini, l’enfasi viene spostata ai mezzi.

70 SACCONI L., op. cit.

76

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A partire dagli anni ’70, il concetto di «responsabilità sociale» viene sempre più

sostituito con quello di «rispondenza sociale» dell’impresa. Con il passaggio alla

rispondenza sociale il problema non è più la definizione dello scopo o del

proponimento dell’impresa, bensì il fatto che, comunque tale scopo venga definito, il

suo perseguimento deve tener conto del contesto entro il quale una varietà di soggetti

interni ed esterni all’impresa avanzano pretese, per ottenere benefici o per non subire

danni, almeno potenzialmente conflittuali con lo scopo della massimizzazione dei

profitti.

4.5. La teoria degli stakeholder

La gestione strategica (strategic management) è uno dei contributi più significativi al

tentativo di definire moralmente lo scopo dell’impresa. Esso si basa su una revisione

critica della nozione di gestione strategica e di rispondenza sociale; e riconosce che

analisi etica e definizione della strategia di impresa sono strettamente interconnesse.

Data la sua origine all’interno delle cosiddette «scienze manageriali», la teoria parte

da alcune «scoperte» empiriche. Secondo Freeman e Gilbert, la prima «scoperta» è

che l’impresa è attorniata da una molteplicità di soggetti, i cui interessi sono

influenzati dalle operazioni dell’impresa e le cui decisioni influiscono a loro volta sul

processo decisionale e sulla definizione dei suoi obiettivi. Concetto base di questa

nuova teoria è perciò quello di stakeholder, cioè gruppi di soggetti i cui interessi e le

cui pretese sono «posta in gioco» nella gestione dell’impresa. Tale nozione di

reciproca dipendenza tra l’impresa e i suoi stakeholder è espresso nel seguente

principio:

Principio di interdipendenza: il successo dell’impresa dipende dalle azioni degli

individui o gruppi di individui (stakeholder) i cui interessi sono in gioco nella

gestione dell’impresa.

Il concetto di stakeholder è una generalizzazione di quello di possessori di quote di

capitale (stokholder). Gli azionisti hanno in gioco nell’impresa i loro capitali

investiti. L’idea è che, così come gli azionisti avanzano pretese, basate su interessi in

gioco così altri soggetti, che beneficiano o sono danneggiati dall’impresa, avanzano

pretese e richiedono il rispetto dei loro diritti da parte della gestione dell’impresa.

77

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Per identificare più precisamente li stakeholder dell’impresa è tuttavia necessario

dare una definizione più stretta del concetto: si intendono stakeholder in senso stretto

quegli individui o quei gruppi di individui i quali siano essenziali alla sopravvivenza

e al successo dell’impresa e che in aggiunta, come nel caso della definizione larga

data in precedenza, abbiano interessi essenzialmente influenzanti o «posti in gioco»

dalla gestione dell’impresa. In particolare, restando alla definizione stretta, sono

stakeholder i proprietari dell’impresa, che hanno in gioco il loro investimento

finanziario e che si aspettano una remunerazione dei loro investimenti. Sono

stakeholder i dipendenti, che hanno in gioco il loro lavoro e le basi della loro

sussistenza, che sviluppano abilità di lavoro specificamente adattate all’impresa, per

le quali non esiste una domanda di mercato perfettamente elastica, e che si aspettano

perciò, oltre al salario, sicurezza del lavoro e altri servizi informali connessi con

l’ambiente di lavoro. Sono stakeholder i fornitori dell’impresa, la cui offerta di

materie prime è vitale per l’impresa, mentre l’impresa è vitale in quanto compratrice

delle offerte dei fornitori. Sono stakeholder i consumatori, il cui benessere è

coinvolto dalla quantità e dalla qualità dei beni e servizi offerti dall’impresa e che in

cambio offrono all’impresa le condizioni della sua sopravvivenza, sotto forma di

ricavo.

La seconda «scoperta» della scienza manageriale, dalla quale sorge il nuovo

approccio alla strategia d’impresa, sempre secondo Freeman e Gilbert, è che le

organizzazioni sono costituite da esseri umani la cui azione è retta da valori. Perciò

una profonda comprensione dei valori umani è indispensabile alla definizione della

strategia d’impresa.

Un secondo principio che può essere proposto suggerisce di trattare la relazione tra

strategia e valori in sintonia con la relazione tra valori individuali e azioni degli

individui.

Principio della rilevanza dei valori: le azioni degli individui e dell’impresa

dipendono dai valori degli individui e dell’impresa.71

Questo principio serve in realtà semplicemente a collocare la teoria del

comportamento dell’impresa nel contesto di una teoria dell’azione intenzionale,

fondata sull’idea che il soggetto agisca sulla base di valutazioni.

71 SACCONI L., op. cit.

78

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Data la centralità dell’idea di agire intenzionale, basato su valori, secondo Freeman e

Gilbert la nozione di strategia d’impresa deve infatti essere formulata in analogia con

la nozione di proponimento individuale. Il proponimento è personale, così la strategia

si basa sul proponimento di una o più persone. Il proponimento guida l’azione, così

anche la strategia.

4.5.1. Tipologie di stakeholder

Gli stakeholder sono coloro che hanno una qualche «posta di scommessa»

(«letteralmente stake») nell’azienda, in particolare, sono soggetti (o gruppi di

soggetti) che a vario titolo «interloquiscono» con le aziende, le amministrazioni e le

organizzazioni di vario genere, sia nelle vesti di individui esterni ad esse

(clienti/utenti, fornitori, consulenti, finanziatori, associazioni di categoria, sindacati,

mass-media, organizzazioni politiche, gruppi di pressione, enti pubblici e privati

vari), che in quelle di «interni» (dipendenti, soci, amministratori).

«Vi sono infatti sia internal che external stakeholder; così come ve ne sono sia

market (o financial) che no-market (not financial), in relazione alla circostanza che i

portatori d’interessi intrattengano o meno rapporti economico-finanziari con

l’impresa. All’interno dei market stakeholders si distinguono da una parte quelli in

posizione c.d. fixed claimant (a remunerazione fissa e massimo prestabilito, quali

fornitori, dipendenti di vaio livello, creditori) con interessi qualificabili come risk-

averse (cioè avversi all’investimento nel capitale di rischio); dall’altra vi sono quelli

c.d. residual claimant, con aspettative dal tetto non limitabile a priori poiché

includenti margini di compenso variabili e imponderabili (soci, amministratori

remunerati in proporzione dei risultati conseguiti, fisco) ma di essi non si occupa la

responsabilità sociale d’impresa».72 «Con questo termine si intendono individui o

categorie che hanno un interesse rilevante in gioco nella conduzione dell’impresa o

che possono influire in modo significativo su di essa».73

All’origine lo «stakeholder approacch» è strettamente legato alle tematiche della

gestione strategica delle aziende, spingendole ad allargare gli interlocutori da 72 TORO P., Governance etica e controllo Assetti societari, codici di autodisciplina e audit interno, Cedam, Padova, 2000 73 FREEMAN R.E. and McVEA J., A stakeholder approach to Strategic management, working paper n. 01-02 Darden Graduate School of Business Administration, 2002

79

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considerare. Ci si rende conto che, per migliorare in termini di competitività e di

redditività di lungo periodo, un’impresa non deve solo riferirsi agli interessi degli

azionisti, gli «stockholder» ma deve considerare anche altri interlocutori che essa

«coinvolge» e la cui eventuale reazione negativa potrebbe portare anche a mettere in

crisi gli equilibri aziendali.

4.5.2. Lo stakeholder risorse umane

Il rapporto tra gestione delle risorse umane e responsabilità sociale va letto da due

punti di vista:

1. «la responsabilità sociale si traduce nel considerare le persone uno

stakeholder dell’organizzazione e quindi mettere in atto azioni volte a

migliorare il rapporto con esse;

2. la responsabilità sociale verso gli stakeholder si traduce nei concreti

comportamenti dell’organizzazione. Questi medesimi comportamenti sono il

frutto non solo della discrezionalità individuale, ma anche dei meccanismi di

gestione delle risorse umane e di organizzazione del lavoro adottati».74

Il personale viene considerato dalle aziende uno degli stakeholder più importanti

poiché da esso dipende la capacità dell’impresa di agire. Il rapporto che si viene a

creare tra l’organizzazione e la persona è oggetto di una negoziazione complessa

dalla quale origina una pattuizione che accanto al contratto formale prevede la

creazione di un contratto psicologico. «Il contratto psicologico è l’insieme di

aspettative implicite e non formalizzate che le parti si sono scambiate al momento

della creazione del rapporto»75. Dal rispetto nel tempo del contratto psicologico

dipende la soddisfazione del lavoratore e quindi la sua intenzione di permanere nella

relazione.

Una gestione delle risorse umane improntata alla responsabilità sociale deve porsi

una serie di interrogativi:

o quale rapporto si viene a creare con il personale interno all’impresa?

74 SACCONI L., (a cura di), Guida critica alla Responsabilità sociale e al governo d’impresa, Bancaria Editrice, Roma, 2005 75 SACCONI L., (a cura di), op. cit.

80

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o quali sono gli elementi di valorizzazione del rapporto di lavoro per il singolo

lavoratore?

o come viene temperata la asimmetria naturale tra impresa e lavoratore?

La responsabilità sociale della gestione delle risorse umane richiede un’analisi del

bilanciamento tra entrata e uscita del personale sia dal punto di vista qualitativo sia

dal punto di vista quantitativo. Da quest’ultimo punto di vista, le politiche di gestione

delle risorse umane devono governare eticamente l’ambiguità del rapporto tra

esigenze di performance economica e necessità di garantire condizioni economiche

adeguate al mantenimento dei livelli di qualità di vita quando non migliorandoli. Dal

punto di vista qualitativo, la gestione delle risorse umane deve considerare il rapporto

tra l’utilizzo di competenze costruite dalla società tramite le diverse istituzioni a ciò

preposte (in primo luogo scuola, università, formazione professionale, ma anche la

famiglia, ecc.) e capacità di alimentare la formazione di competenze attraverso il

percorso interno all’organizzazione.

La responsabilità sociale della gestione delle risorse umane è chiamata in causa a

diversi livelli. In primo luogo, esiste una responsabilità diretta (soprattutto in fase di

selezione o di progressione di carriera) nella comunicazione delle aspettative e delle

promesse sulla cui base si forma l’accordo da parte del lavoratore. In secondo luogo,

la gestione delle risorse umane definisce le caratteristiche del contratto psicologico e

deve rendere coerenti le diverse regole interne con la natura del rapporto proposto.

Una gestione delle risorse umane responsabile deve attrezzarsi per poter cogliere le

individualità e, pur non potendo piegare il suo funzionamento alle esigenze dei

singoli, comunque considerare le aspettative delle persone.

Pertanto, concludendo, le dimensioni dell’azione di gestione delle risorse umane più

direttamente coinvolte sono:

o i sistemi di gestione delle risorse umane: reclutamento e selezione, carriera e

mobilità, relazioni interne e relazioni industriali, formazione e sviluppo;

o gli oggetti di azione: contratto psicologico, competenze, motivazione.

La verifica della diffusione di una gestione delle risorse umane orientata alla

responsabilità sociale può aprirsi a due strade:

a) la rendicontazione: in questo caso, la responsabilità sociale viene misurata ex

post attraverso indicatori che integrano l’insieme di informazioni del bilancio

81

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sociale dell’impresa. Questa alternativa ha numerosi pregi, ad esempio dà

estrema visibilità e pubblicità alle azioni dell’impresa, consente azioni di

comparazione tra imprese, ecc. Vi sono però alcuni limiti, ad esempio limita

il riscontro a «cose fatte» a consuntivo;

b) l’audit: in questo caso, la responsabilità sociale viene sorvegliata nel processo

di gestione delle risorse umane consentendo di superare i principali limiti

dell’approccio di pura rendicontazione.

4.6. Comitato etico d’impresa ed Ethics Officer

Il Comitato etico d’impresa e l’Ethics Officer svolgono funzioni complementari in un

sistema di gestione orientato alla responsabilità sociale d’impresa. «Da un lato essi

svolgono un ruolo di supporto all’attuazione di valori e principi etici adottati

dall’impresa; dall’altro l’Ethics Officer in prima battuta, e il comitato etico in ultima

istanza, esercitano funzioni di controllo sulla conformità di processi aziendali,

procedure organizzative e comportamenti individuali rispetto ai principi etici e

norme di condotta adottate attraverso il Codice Etico».76

4.6.1. Composizione e funzioni del Comitato Etico

Il Comitato etico è un organismo aziendale che può essere composto sia da

rappresentanti interni dell’impresa, che ne conoscono la storia, i valori e la cultura

organizzativa e hanno inoltre un’esperienza diretta dei rapporti con gli stakeholder

dal punto di vista delle diverse funzioni aziendali nelle quali essi operano, sia da

membri esterni, generalmente scelti tra esperti in etica degli affari, rappresentanti di

interessi dei diversi gruppi di stakeholder e personalità della società civile

particolarmente autorevoli. Le principali funzioni del Comitato etico sono77:

o definire le iniziative atte a diffondere la conoscenza e la comprensione del

codice etico e chiarire mediante pareri consultivi il significato e

l’applicazione di quest’ultimo;

76 SACCONI L., (a cura di), op. cit. 77 WWW.QRES.IT Dalle Linee Guida Q-Res, p.36, CELE (2001)

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o coordinare e supervisionare l’elaborazione delle politiche aziendali che

attuano le indicazioni del codice etico;

o seguire la revisione periodica del codice etico e dei meccanismi di attuazione;

o esprimere pareri in merito a segnalazioni ricevute dall’Ethics Officer o

direttamente dai collaboratori e dagli altri stakeholder in materia di presunte

violazioni del codice etico e tutelare costoro contro eventuali ritorsioni cui

possono andare incontro per aver segnalato comportamenti non corretti;

o impostare e approvare il piano di comunicazione e formazione etica;

o coordinare, ricevere e valutare il rapporto interno di ethical auditing e il

bilancio o rapporto sociale.

Il comitato etico ha quindi funzioni consultive e propositive, ma anche deliberative,

esprimendo pareri vincolanti in merito a questioni etiche particolarmente rilevanti

per le scelte strategiche o per lo sviluppo di nuove politiche aziendali, o in

riferimento a comportamenti individuali all’interno dell’organizzazione. Queste

funzioni fanno del comitato etico, che riporta direttamente al Consiglio di

Amministrazione, un importante elemento in aggiunta agli altri comitati interni che

costituiscono le strutture di corporate governance dell’impresa.

4.7. Le motivazioni che spingono alla redazione del bilancio sociale

E’ possibile distinguere tre fondamentali momenti/motivazioni della rendicontazione

sociale:

1)

2)

3)

la rendicontazione «per moda» o di «avanguardia»;

la rendicontazione «per esigenze e spinte esterne»;

la rendicontazione «per presa di coscienza».

4.7.1. La rendicontazione «per moda» o di «avanguardia»

La rendicontazione «per moda» o di «avanguardia» si collega al comportamento di

quelle imprese che, pur non subendo pressioni particolari e senza aver ancora

maturato una forte convinzione sul tema, decidono di produrre un bilancio sociale

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vuoi perché vogliono essere le prime in un settore o in un’area geografica, vuoi

perché si comportano per emulazione.

«Questo comportamento normalmente è negativo e non paga: si produce

rendicontazione sociale per qualche anno, poi si smette in quanto, finito l’effetto

«annuncio», non si trovano altre motivazioni per continuare. E’ un fenomeno più

frequente di quanto si pensi, anche in aziende di grandi dimensioni».78

4.7.2. La rendicontazione “per esigenze e spinte esterne”

La seconda motivazione è quella nella quale le aziende iniziano un processo di

rendicontazione sulla spinta di qualche esigenza reale: un processo di

privatizzazione, il recupero di immagine a seguito di fatti ed episodi di cronaca, la

preparazione a una quotazione in borsa, etc.

Le aziende a rischio ambientale sono state tra le prime a sentire l’esigenza di

rendicontare la loro «responsabilità d’impresa» rispetto ai grandi temi della «salute

della terra».

Anche per le aziende multinazionali la rendicontazione sociale si pone come

un’esigenza. Esse, infatti, si trovano spesso a operare in contesti caratterizzati da

condizioni di lavoro non comparabili con quelle ritenute accettabili nei paesi più

sviluppati. Poiché il rischio di immagine è alto, attraverso la rendicontazione sociale

si può garantire agli stakeholder il rispetto degli stessi «standard sociali» accettati nei

paesi più evoluti.

La rendicontazione sociale può derivare anche dalla necessità per l’impresa di

ricostruire la propria immagine, deterioratasi in seguito a fatti di cronaca spiacevoli,

chiusure di stabilimenti, etc.

«In questi casi dopo la «solita» indagine di mercato si tenta la «solita» operazione di

marketing della riconquistata responsabilità sociale».79

78 HINNA L., (a cura di), op. cit. 79 Hinna L., (a cura di), op. cit

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4.7.3. La rendicontazione per presa di coscienza

Il terzo momento è stato definito come quello della rendicontazione «per presa di

coscienza». In questo caso il management dell’impresa interiorizza la necessità di

cambiare e migliorare il rapporto dell’impresa con il proprio contesto economico. Le

leve del cambiamento sono molteplici ma includono, fra l’altro, anche il confronto

con una particolare categoria di soggetti: le organizzazioni non profit.

La cosa che vale la pena evidenziare è che intorno a questi elementi si crea un

«effetto vortice» che alimenta il processo di diffusione e miglioramento della

rendicontazione sociale. «Si realizza, infatti, una sorta di «cross selling» dell’idea:

alcuni soggetti hanno una piena consapevolezza dell’utilità della rendicontazione

sociale; ne deriva un processo di imitazione per «moda»; la moda diventa

un’esigenza; l’esigenza crea consapevolezza; la consapevolezza spinge verso

posizioni di avanguardia; queste ricreano, a un livello superiore, ancora un

atteggiamento di moda e così via. E’ un circolo virtuoso che consente alle imprese

diversi «punti di accesso», tutti utili ai fini dell’instaurazione di un processo di

rendicontazione sociale80».

4.8. Bilancio sociale: effetto moda o no? Perché il bilancio sociale sta diventando così importante? I benefici derivanti da

questa nuova pratica bastano a giustificare l’attenzione o si tratta di un’altra moda?

Molte delle società che lo hanno adottato trovano che il bilancio sociale costituisca

un’occasione unica per la divulgazione della «Responsabilità Sociale dell’Impresa»,

all’interno e all’esterno. Si tratta non solo del comunicare, ma del creare una cultura

d’impresa, coinvolgendo i dipendenti e facendoli parte della missione e dei valori

d’impresa, e di come essi siano parte integrante della creazione di valore per

l’impresa e per la società in cui essa opera. Innanzi tutto, si tratta di un potente

strumento di gestione interna. Il reporting è anche visto come un investimento che

aiuta a definire le competenze e a promuovere le sinergie all’interno dell’impresa

stessa.

80 Hinna L., (a cura di), op. cit.

85

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Oltre a ciò, le società si stanno sempre più rendendo conto che devono valutare il

loro impatto finale sul consumatore e sugli stakehoder.

4.9. Perché fare il bilancio sociale? Nella primavera 2002, CSR Europe ha condotto una serie di interviste e workshop

con alcune delle imprese membre per chiarire i benefici «attesi e inaspettati» delle

pratiche di reporting. Alla domanda «Perché fare il bilancio sociale?» alcune società

hanno evidenziato che il reporting:

o è una sorta di «business card» della responsabilità sociale, un modo di

comunicare i risultati ottenuti dalla società nel campo della CSR e di

dimostrare riconoscimento per il lavoro svolto dal personale. Dimostrare

responsabilità aiuta anche a creare una cultura comune all’interno di

un’azienda globale;

o è un benchmark importante, specialmente quando i concorrenti fanno

reporting, poiché stimola l’innovazione e motiva all’eccellenza;

o è uno strumento fondamentale per attirare e trattenere il capitale umano

dell’impresa in un contesto in cui la «guerra dei talenti» è sempre più sentita;

o è un modo per gestire la propria reputazione, per allineare il marchio ai valori

d’impresa, e ancora più fondamentale, avvicinare il marchio ai valori del

cliente, differenziando il marchio e creando un vantaggio competitivo di alto

valore strategico;

o migliora la coesione e collaborazione interna, e aumenta la consapevolezza

delle tematiche CSR fra il personale e altre ancora…81. 4.10. Le ripercussioni organizzative provocate dall’adozione di una condotta

socialmente responsabile Adottare una condotta socialmente responsabile produce ripercussioni

sull’organizzazione imprenditoriale? Certamente sì, anche se la profondità dei

cambiamenti indotti dipende dal modo in cui tale concetto viene interpretato ed

81 Hinna L., (a cura di), op. cit

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implementato. In particolare, le modifiche sostanziali si leggono nel sistema di

governance, nei sistemi di controllo, nello stesso orientamento strategico.

La prima ripercussione riguarda l’allargamento del sistema stesso, poiché di fatto

viene esteso a nuovi soggetti – gli stakeholder- il «potere di controllo sull’impresa».

L’impresa, infatti, acquisisce la consapevolezza che la misura del proprio successo

non risiede più solo nel profitto generato, ma si sostanzia anche nella soddisfazione

delle aspettative degli altri interlocutori, che si esprimono generalmente sul piano

sociale ed ambientale.

Di conseguenza, l’azienda ha la necessità di cambiare il sistema di governance, che

coinvolge non solo i soggetti che partecipano alle attività amministrative e produttive

dell’impresa, ma si allarga anche ad altri interlocutori, solitamente esclusi dai

processi decisionali. «Accade così, che si estende e si intensifica la trama di

relazioni che l’impresa è chiamata ad istituire e governare, con la conseguenza di

dover agire sulle proprie strutture decisionali, rendendole maggiormente flessibili e

decentrate, proprio per riuscire a far fronte alla più elevata complessità ed al

dinamismo del contesto in cui si trova ad operare».82

L’impresa allora, per poter attuare in modo realmente efficace questo modello di

governance, strumentale ad una condotta socialmente responsabile, deve promuovere

una politica di trasparenza con i propri interlocutori, in entrambe le direzioni, ovvero

sviluppando una struttura atta, da un lato, a sostenere ed incoraggiare relazioni con

l’esterno, dall’altro, a recepire adeguatamente le sollecitazioni e le pulsioni che

provengono dalla società.

Non è facile per l’azienda attuare questo nuovo sistema, perché comporta che

periodicamente deve dimostrare di aver tenuto in considerazione le esigenze

espresse, le indicazioni fornite dagli stakeholder, non essendo sufficiente perciò una

semplice apertura dell’impresa verso l’esterno. E’ proprio questo il principale scoglio

da superare per rendere il nuovo sistema di governance propedeutico ad una gestione

socialmente responsabile.

Il problema, si sviluppa dunque su due piani: da un lato, l’impresa deve adottare una

condotta socialmente responsabile, dall’altro, deve rendere conto ai propri

82 SALVIONI D.M. (a cura di), Corporate governance e sistemi di controllo della gestione aziendale, Franco Angeli, Milano, 2004

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interlocutori dei risultati ottenuti, dimostrando che i principi etici si sono

effettivamente tradotti in comportamenti.

Il primo aspetto conduce ad una riflessione sui sistemi di controllo, individuando

quindi una stretta relazione tra questi ed una condotta socialmente responsabile da

parte dell’impresa. Il primo passo nella riprogettazione del sistema di controllo in

ottica di RSI consiste nel cercare di cogliere le nuove criticità da governare, ed in

questo senso è indispensabile procedere alla definizione della mappa degli

stakeholder, al fine di individuarne aspettative ed esigenze, che dovranno essere

tradotte in variabili critiche. Adottare una condotta di RSI comporta dunque un

ampliamento del sistema di controllo, che si dilata per includere nuovi parametri-

obiettivo, volti a supportare il governo degli impatti ambientali e sociali generati

dall’attività dell’impresa.

Un’altra conseguenza rilevante si ripercuote sul sistema informativo, che dovrà

essere ridisegnato integrando nella griglia di informazioni i nuovi elementi rivolti

agli aspetti socio-ambientali, mantenendo comunque una struttura agile, flessibile ed

aperta.

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SEZIONE SECONDA: LA PRASSI

CAPITOLO 1

I RISULTATI DELL’INDAGINE

Questa sezione intende presentare i risultati della ricerca realizzata in collaborazione

con il Dottor Tagliente, responsabile scientifico dell’associazione Proetica di Treviso

(si veda sez 1. cap 2-2.7.5.1.). In un primo tempo il lavoro è stato svolto con l’ausilio

della Camera di Commercio di Treviso, la quale ha elaborato un questionario sullo

stesso tema della «Responsabilità Sociale d’impresa».

Per evitare che casualmente le aziende compilassero due questionari simili, uno della

Camera di Commercio e quello in oggetto, si è pensato di formulare domande più

generiche rispetto ai quesiti presentati dall’ente, che si rifacevano in prevalenza al

progetto CSR (Corporate social responsability) promosso dal Ministero del Lavoro e

delle Politiche sociali.

Il questionario utilizzato (allegato in appendice) è stato redatto su modello di quello

inviato dalla Camera di Commercio. Ecco il motivo per cui nell’intestazione sono

presenti alcuni simboli, quali quello della Camera di Commercio, di Proetica, della

Regione Veneto, etc.

L’idea iniziale prevedeva che i dati elaborati venissero comunicati alla Camera di

Commercio e alla Comunità Montana del Grappa titolare del progetto PS Diapason,

al fine di svolgere comparazioni e realizzare una banca dati integrata. Probabilmente

però, l’idea dovrà essere archiviata poiché purtroppo il campione analizzato non è

rappresentativo della Provincia di Treviso per i motivi che in seguito si andranno a

descrivere. 1.1. Gli obiettivi e le caratteristiche dell’indagine

L’obiettivo dell’intero elaborato è l’analisi del grado di conoscenza delle aziende sul

concetto di «Responsabilità Sociale d’Impresa», politica che si sta sviluppando negli

ultimi anni. Essere socialmente responsabili significa andare oltre il semplice rispetto

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della normativa vigente, investendo di più nel capitale umano, nell’ambiente e nei

rapporti con i portatori di interesse. Ciò si traduce nell’adozione, a livello economico

e culturale, di una politica aziendale che sappia conciliare gli obiettivi economici con

gli obiettivi sociali e ambientali.

Nonostante questa importanza vi è una conoscenza ancora limitata rispetto a

questioni chiave quali l’esistenza di best practices. Con questa ricerca si è inteso

avviare un processo di rilevazione il più possibile accurato e si spera ripetuto su base

pluri-annuale.

La raccolta dei dati è avvenuta mediante l’elaborazione di un questionario composto

da cinquantuno domande a «risposta chiusa» (No, Sì o risposta multipla) e a

«risposta aperta». Il test è stato suddiviso in quattro macroclassi, in particolare «Etica

economica», «Impegno sociale», «Concetto generale di responsabilità sociale

d’impresa», ed infine «Bilancio sociale» in modo da facilitare l’individuazione

dell’ambito di competenza delle singole domande.

La scelta di non predisporre quesiti solo a «risposta chiusa» è stata dettata dalla

volontà di analizzare le singole domande soggettive delle imprese. Tale metodologia

però, comporta delle conseguenze rilevanti quali: una minore facilità di

compilazione, non consente di ottenere dati tra loro omogenei e comparabili, richiede

l’interpretazione soggettiva delle risposte ottenute.

Il criterio non è stato spiegato agli imprenditori, però dalle risposte ottenute si può

dedurre che si è presentato uno degli ostacoli per la compilazione, in quanto una

risposta aperta richiede maggiore riflessione e tempo rispetto ad una risposta chiusa,

oltre al numero consistente delle domande.

Alcune specificazioni sullo strumento utilizzato:

o il questionario non fa riferimento ad un arco temporale particolare (tranne le

prime due domande relative all’impegno sociale riferite all’anno 2004 e

2005). Ogni risposta deve essere coerente con la realtà aziendale esistente al

momento della compilazione;

o per ogni domanda deve essere data una ed una sola risposta;

o non è possibile modificare il contenuto del questionario ed eventuali

osservazioni possono essere poste in calce al documento (è stata predisposta

una domanda di commento relativa al questionario stesso);

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o il questionario è seguito da un glossario al fine di risolvere eventuali dubbi o

incomprensioni di alcuni termini utilizzati.

Occorre anche precisare che questo ambito di ricerca, per sua natura, risente

notevolmente della soggettività di colui che sta svolgendo il questionario, della sua

capacità di percepire la realtà che lo circonda e di interpretarla in modo adeguato.

Egli, infatti, non ha la possibilità di consultare alcun dato numerico per rispondere in

modo oggettivo.

1.2. Somministrazione del questionario

Sono state valutate più ipotesi per la somministrazione del questionario. L’idea

iniziale era di recarsi personalmente presso le aziende ma tale proposta risultava

difficile per la consistenza di tempo da dedicare. Con il Dott. Tagliente si è pensato

di distribuire manualmente il questionario ai titolari o ai rappresentanti delle aziende

che avrebbero partecipato ai due incontri promossi da Unindustria sul tema della

«Responsabilità Sociale d’Impresa». Purtroppo la partecipazione è stata scarsa,

perciò si è optato per un’altra soluzione così da ricevere più risposte possibili. I

questionari sono stati distribuiti alle aziende che si conoscevano e alle banche, le

quali hanno svolto il ruolo di intermediari.

Una cinquantina di questionari sono stati distribuiti al convegno del quattro maggio

organizzato da Unindustria in collaborazione con la Camera di Commercio intitolato

«Le imprese responsabili sono più competitive».

Pertanto, il questionario è stato somministrato a duecento aziende della provincia di

Treviso, di cui circa cinquantacinque distribuiti a convegni o riunioni mentre i

rimanenti mediante le soluzioni appena descritte.

Alle aziende, che non hanno ricevuto il questionario, è stato inviato mediante fax o e-

mail, accompagnato da una lettera intestata all’Ufficio Amministrazione nella quale

si spiegava il contenuto della tesi e l’ambito della ricerca in corso. La scelta di

indicare il destinatario è stata valutata per favorire la comparazione dei dati, ma alla

fine il criterio non è stato rispettato.

Le aziende che non avevano risposto sono state contattate telefonicamente. Il

riscontro comunque, non è stato positivo, cioè anche dopo vari richiami le

organizzazioni non hanno aderito.

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Purtroppo il limite di una somministrazione, eseguita senza criteri particolari,

comporta che il campione analizzato non sia rappresentativo della Provincia di

Treviso, quindi si descriveranno le aziende che hanno risposto (statistica descrittiva e

non inferenza statistica).

Non è stato possibile seguire determinati criteri (che nella fase iniziale di

preparazione erano stati valutati, quali la scelta di aziende che rappresentassero le

dimensioni aziendali o i settori presenti in provincia) a causa della scarsità di risposte

ricevute, di conseguenza si è dovuto allargare il campo d’indagine. Il questionario è

stato distribuito ad aziende di qualsiasi dimensione operanti nel settore industriale

escludendo il settore primario e terziario (consulenze, banche…).

1.3. Le risposte

Hanno risposto al questionario trentadue aziende (6,25%). La maggior parte dei

rifiuti è legata probabilmente al numero consistente delle domande (che poteva

scoraggiare la compilazione!), ma soprattutto alla mancanza di sensibilità, perché al

contrario le aziende che hanno risposto si sono complimentate per l’iniziativa

chiedendo di inviare loro copia della tesi.

Un dato sorprendente da rilevare è che le risposte sono state ottenute

prevalentemente dalle aziende che hanno partecipato ai convegni (ben la metà hanno

risposto) mentre delle altre aziende non coinvolte alle iniziative di Unindustria solo

sei su circa centocinquanta hanno risposto.

Come si vedrà in seguito, l’analisi dei due gruppi è separata in modo da evidenziare

eventuali differenze o analogie.

1.4. Alcuni problemi di natura metodologica

L’analisi nella sua semplicità non è stata progettata in modo da:

o consentire confronti con altri studi italiani (ad esempio ISTAT);

o avere una visione il più possibile completa delle caratteristiche economiche

delle singole imprese; non sono stati utilizzati dati di bilancio provenienti da

database pubblici.

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1.5 Il profilo delle imprese

Le imprese che hanno risposto positivamente all’indagine e hanno inviato via posta

direttamente a casa il questionario compilato sono dunque trentadue ed operano in

settori molto differenti tra loro.

L’eterogeneità del campione ha portato a preferire un’analisi che sottolinei l’identità

e l’unicità di ogni realtà aziendale.

Di seguito verrà tracciato un profilo delle imprese coinvolte in questo lavoro.

DENOMINAZIONE SETTORE SEDE PRINCIPALE N.DIP. FATTUR.

(in migliaia)

1 A&D WEA SRL nn Castelfranco Veneto nn nn

2 ANONIMO nn Provincia 134 20.000

3 APICE SRL

comunicazione d'impresa e marketing-

servizi

Treviso 1 100.000

4 BANDIERA IMPIANTI SRL meccanico Treviso 5 350

5 BATTISTELLA SPA legno-mobilio Pieve di Soligo nn 25.000

6 BISOL SPA metalmeccanic Pieve di Soligo circa 350

>20.000 <40.000

7 BONAVENTURA nn nn nn nn

8 BOTTARI MARIO SRL

vendita, riparazione,

certificazione a norme ISO strumenti pesatura

San Vendemiano 7 720.000

9 CALLESELLA SRL legno-mobilio Cison di Valmarino 65 6.500

10 CIVIDAC SPA metalmeccanic San Biagio di Callalta 70 6.000

11 COMPAGNIA

ITALIANA D'INTIMO SPA

tessile/abbigliamento Quinto nn 28.000

12 EDILVI SPA costruzioni edili Villorba nn 6.000

13 FORMA SRL formazione-

organizzazione-management

Treviso nn 300.000

14 GAVA CAV. imballaggi in Godega di nn 3.500

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GIUSEPPE & C SAS

legno Sant'urbano

15 GGP ITALY SPA

equipaggiamenti motorizzati

per il giardinaggio

Castelfranco Veneto nn 500.000

16 GRANZOTTO SRL legno-mobilio S. Lucia di Piave 15 2.000

17 INIPRESS SPA stampaggio

materie plastiche

Motta di Livenza nn 14.600

18 JESSE SPA arredamento Gaiarine nn 35.000

19 LATTERIA MONTELLO SPA alimentare Giavera 210 61.200

20 MATTIUZZO SRL servizi alle aziende

Nervesa della Battaglia 185 nn

21 MCM SRL

impianti di depurazione e

aspirazione industriale

Breda di Piave 20 1.750

22 MEDIAFACTOR creditito/finanz Castelfranco V.to nn nn 23 MOSOLE SPA materiali edili Breda di Piave nn 75.000

24 PERMASTEELISA SPA

rivestimenti esterni Vittorio Veneto nn nn

25 PRAGMATA SRL nn Montebelluna nn nn 26 RONCHI SRL metalmeccanic Mareno di Piave 4 600 27 SIKA SRL metalmeccanic Silea 0 150 28 SILTRACKS SRL commercio Silea 0 nn

29 TECNOGAMMA SPA alta tecnologia Badoere 43 5.225

30 TROCELLEN ITALIA SPA

gomma plastica Volpago 245 45.000

31 VENDRAME

AUTOTRASPORTI SRL

trasporti Silea 13 2.000

32 TOGNANA ALDO (ex titolare)

Come si può notare, non tutte le aziende hanno fornito i dati necessari per capire la

tipologia delle stesse. In particolare, forse a causa della sua struttura, la domanda

riguardante il numero di dipendenti molte volte non è stato compilata; tuttavia esso

varia da uno a trecentocinquanta circa, considerando anche le sedi secondarie (solo

sette aziende hanno sedi dislocate, di cui quattro in Italia e tre all’estero).

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L’età media dei dipendenti per tredici aziende è compresa tra trentacinque e

quarantacinque anni mentre per sei aziende varia tra venticinque e trentacinque. Le

altre non hanno risposto.

Da notare l’ubicazione delle aziende: la zona maggiormente interessata si trova a

nord della provincia di Treviso. Sarebbe interessante capire le motivazioni ma ciò

esula da questo lavoro. L’unica ipotesi a cui si può giungere è che tali zone abbiano

ricevuto maggiori finanziamenti da dedicare agli investimenti.

La ragione sociale delle aziende analizzate è prevalentemente SPA e SRL, cioè

società di capitali.

Solo dieci aziende hanno una mission specifica.

La maggior parte è dotata di sistemi di gestione, soprattutto gestione della qualità,

ambientale, della sicurezza e protezione delle informazioni, però solo quindici sono

certificate.

1.6. Analisi dati del primo gruppo L’analisi che segue riguarda il gruppo di aziende (ventisei) interessate alle iniziative

di Unindustria, le rimanenti sei verranno trattate successivamente.

L’elaborazione dei dati, suddivisa in quattro parti, segue la struttura del questionario.

Per facilitare il confronto tra la sezione teorica e l’indagine campionaria si

troveranno nel corso della lettura alcuni richiami di concetti teorici contrassegnati dal

numero del paragrafo.

1.6.1 Etica economica Figura 1 – Ha mai sentito parlare di etica economica?

La tematica «etica economica»

è nota tra le aziende

analizzate; solamente il 7%

non ha mai sentito parlare di

tale concetto.

(cap.1-1.1,1.9)

95

Sì93%

No7%

SìNo

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Oltre ad esserne a conoscenza, le imprese sono anche consapevoli che l’argomento

non è estraneo alla vita aziendale; alla seconda domanda nessuno ha risposto che la

«morale deve essere lasciata ai filosofi, ai filantropi e politici, risparmiando i

manager, o al massimo tenendola buona per qualche stucchevole report annuale,

comunque alla larga dalle loro strategie operative» (89% hanno risposto di essere

d’accordo, mentre l’11% hanno risposto “In parte”).

Figura – 2 E’ d’accordo su questa frase: «lasciamo la morale ai filosofi, ai filantropi e ai politici, ma risparmiamo i manager, o al massimo teniamola buona per qualche stucchevole report annuale, comunque alla larga dalle nostre strategie operative?»

No89%

In parte11%

Sì0% Sì

NoIn parte

Se chiediamo agli imprenditori quali sono i veri obiettivi aziendali rispondono con le

seguenti affermazioni (tre non hanno risposto):

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Tabella 1 - Obiettivi imprenditoriali

Lo scopo di questa domanda

è capire se effettivamente le

aziende considerano come

obiettivo principale il

conseguimento dell’utile.

Ciò è stato dimostrato,

poiché quasi la metà ha

risposto che l’obiettivo

principale è il profitto o il

successo economico e la

creazione di ricchezza. È

interessante notare però, che

il raggiungimento di tali

scopi non è fine a sé stesso bensì ne traggono vantaggio anche altri, quali ad esempio

dipendenti o comunità di riferimento.

La domanda è stata integrata da una seconda parte con la quale veniva chiesto se

oltre agli obiettivi principali imprenditoriali possono coesistere fini «alternativi» e

con tale termine si intendeva fini «etici». (cap.4-4.4)

Purtroppo nove aziende non hanno risposto, forse a causa della particolarità della

domanda. Le altre affermano che tali obiettivi possono esistere, cioè integrano gli

obiettivi economici, ma non li sostituiscono. In particolare, i fini etici sono

focalizzati sulla persona umana (investimenti sulle risorse umane, rispetto della

persona, fini personali). Da non dimenticare, la solidarietà, la beneficenza e da

ultimo, ma non meno importante, la «Responsabilità Sociale d’Impresa».

Alla domanda successiva con la quale si chiedeva se gli «obiettivi alternativi» sono il

frutto di un certo tipo di formazione culturale, hanno risposto anche aziende che nella

domanda precedente non si erano espresse.

Tabella 2 - Formazione culturale

Famiglia, ambiente frequentato 6

Formazione scolastica 3

Profitto, successo economico 7

Creare ricchezza per sé stesso e di riflesso ad

altri 5

Realizzare le proprie idee, i propri sogni 2

Raggiungimento obiettivi strategici prefissati 2

Investimenti 1

Far star bene i propri lavoratori 1

Immagine positiva dell'azienda, soddisfare la

clientela 1

Proporre un prodotto “per il mercato” 1

Funzionamento dell'azienda 1

Non risponde 3

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Società 2

Valori religiosi 2

Formazione culturale non specificata 2

Cultura, cultura interdisciplinare 2

Formazione organizzativo-gestionale 1

Formazione economica ed al senso civico 1

Buon vivere 1

Quotidianità aziendale, contatto con persone 1

Concetti di moda 1

Sensibilità personale 1

No formazione, dipende dal senso di responsabilità 1

No formazione, bensì rispetto del prossimo 1

Non risponde 7

Gli imprenditori d’accordo sull’esistenza di fini «alternativi» dichiarano che la

formazione ma soprattutto la famiglia e l’ambiente frequentato sono stati

determinanti (sei risposte). Da non sottovalutare la scuola, la società di riferimento e

i valori religiosi. Secondo altri la cultura posseduta orienta verso tale direzione

valoriale, mentre due imprenditori sostengono che non è necessaria una formazione

specifica bensì dipende dal senso di responsabilità dell’uomo, dal rispetto verso il

prossimo, dal buon vivere o addirittura è solo un concetto di moda.

Continuando l’analisi dei principi etici e dei comportamenti che gli imprenditori

dovrebbero tenere per rispettarli, la maggioranza ha scelto tra le tre possibilità,

«onestà con sé stesso e con gli altri» (ventitré), segue il «rispetto delle leggi dello

Stato» (diciannove) ed infine ottenere «successo in base alle proprie capacità»

(dodici).

Gli imprenditori (sette) invece, che non attribuiscono il comportamento a nessuna di

queste possibilità, indicano altri possibili atteggiamenti più specifici. In particolare:

agire ponendosi sempre dalla parte del suo «interlocutore»;

divenire opinion leader rispetto ad argomenti socialmente

responsabili;

favorire lo sviluppo della responsabilità nei confronti delle risorse;

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rispettare l’ambiente;

pensare all'azienda non come una cosa propria;

far sì che la propria impresa svolga anche un ruolo sociale e di

sviluppo della dignità umana;

visione di sistemi estesi e la consapevolezza che «bene altrui» non

è l'opposto di «bene proprio», ma anzi potrebbe esserne l'elemento

determinante;

la gestione delle conoscenze può essere vista in modo positivo

come capacità di net-working ed in questa accezione essere

considerata una vera e propria capacità dell'imprenditore.

Orientamento all’etica, allora, potrebbe essere visto come orientamento alla qualità,

un tipo di qualità però particolare, cioè non sul prodotto o sul processo ma sui valori

ispiratori della gestione; la domanda successiva richiedeva di esprimere quali sono

questi valori. E’ emerso quanto segue:

Tabella 3 - Valori ispiratori della gestione

Rispetto del prossimo, della dignità dell'uomo, tutela delle fasce più deboli 11

Correttezza, onestà, giustizia, fiducia 8

Tutela ambientale e delle risorse 5

Comportamento rispettoso verso gli stakeholder 3

Trasparenza 2

Dedizione al lavoro 2

Condivisione successi professionali ed economici 1

Collocazione di lavoro 1

Competenze di gestione e di progettazione 1

Valori della persona e dell'uomo 1

Buona educazione 1

Valori del «Capitalismo naturale» 1

Moralità 1

Non è possibile definirli 1

Non definiti, ogni azienda ha i propri! 1

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Al momento della formulazione, sì è riflettuto se le aziende avessero veramente

risposto di essere ispirati da alcuni valori. Il riscontro è stato positivo, solamente

quattro non hanno risposto mentre un imprenditore dichiara che non è possibile

definire tali valori..

Gli imprenditori ritengono come valore fondante il «rispetto» della persona intesa

non solo in senso stretto ma anche allargando la visione al prossimo, alle fasce meno

abbienti. (cap.4-4.1)

CARTA VALORI DI UN’AZIENDA ESAMINATA

Il rispetto per la persona e per la sua professionalità;

L’affiatamento fra tutti i componenti il gruppo dei collaboratori;

Il rispetto di tutti i punti di vista e l’accettazione delle diversità come

elemento di ricchezza;

La motivazione al lavoro perseguita non solo attraverso la retribuzione;

La dignità comportamentale e l’autoeducazione alla temperanza;

La lealtà e la trasparenza nei confronti di tutti e in tutte le situazioni;

L’innovazione non solo tecnologica, ma anche gestionale e relazionale;

La legalità nella più ampia accezione del termine;

L’assunzione piena delle responsabilità individuali e di gruppo;

Lavorare senza ansie e paure;

Riprendendo il tema della responsabilità sociale, in due risposte vengono menzionati

gli stakeholder, quali portatori di interesse da tutelare quanto le altre persone non

coinvolte.

La correttezza nei comportamenti, l’onestà, la giustizia, la fiducia sono altri valori a

cui fare riferimento per un buon funzionamento dell’azienda. Oltre alle risorse

umane, particolare rilevanza riveste l’ambiente. Tra i valori troviamo la tutela

dell’ambiente e delle risorse in genere non solo umane. Solamente due hanno

evidenziato il principio della trasparenza, che si riprenderà in seguito con un’altra

domanda.

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Le risposte del quesito successivo evidenziano che i valori prima scoperti

rappresentano linee guida da seguire, ma non sono sempre chiaramente definiti dalle

aziende intervistate (cinque hanno risposto No, dieci Sì e undici In parte); ciò

significa che il codice etico è uno strumento ancora in fase di espansione.

Il personale non conosce (otto) o conosce in parte (dodici) il codice etico adottato

dalla propria azienda e tra queste solo la metà è disposta almeno nel lungo periodo a

realizzare attività rivolte a definirlo o attività di formazione delle risorse umane

sull’importanza dello stesso, dichiarando che il processo deve cominciare dai ruoli di

comando e/o direzione e può avvenire grazie all’ausilio di istruttori esterni.

Maggiormente interessate sono le aziende che si dedicano alla formazione delle

risorse umane.

I mezzi mediante i quali il codice etico viene comunicato sono appunto

comunicazioni informali e riunioni interne e non materiale pubblicitario. Un’azienda,

in controtendenza rispetto alle altre, ha dichiarato che il codice etico è «cultura

aziendale» che si trasmette giorno per giorno anche con iniziative specifiche e pertanto

non può essere trasmesso con alcun mezzo mentre secondo un’altra si impara facendo

(«learning by doing»). (Cap 3-3.3.)

La parte relativa all’etica economica si conclude con la domanda che approfondiva la

correlazione tra il rispetto delle leggi economiche e il rispetto della dignità umana. La

maggioranza ha risposto positivamente (6 non hanno risposto), sottollineando però un

grado di incertezza nelle risposte. Si riporta quanto scritto da alcuni imprenditori:

o «per le leggi economiche classiche direi di sì (leggi basate su scelte di lungo

periodo); su alcune leggi che regolamentano il mercato finanziario moderno,

le leggi del mercato capitalistico (scelte spesso improntate solo sull'efficienza

e non sull'efficacia, quindi scelte di breve periodo) direi che difficilmente si

conciliano con il rispetto della dignità umana»;

o «sì, anche se ad oggi il rispetto delle leggi economiche non sempre risponde

al rispetto della dignità umana»;

o «sì, anche se a volte solo formalmente, in quanto non è corretto disconoscere

leggi economiche ritenute sbagliate. Si può solo premere perchè vengano

modificate; è tale rispetto che impone di riconoscere il limite dei propri diritti e

101

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che nei confronti di altre persone può esprimersi nel rispetto della dignità

umana».

Coloro che hanno risposto negativamente sostengono che il mercato non è in grado di

conciliare la dimensione economica con la dignità umana perchè indipendenti.

1.6.2 Impegno sociale

L’obiettivo di studio di questa sezione è approffondire in quale relazione si pongono

impegno sociale e responsabilità sociale d’impresa, poiché, ad esempio, un’azienda

impegnata in ambito sociale mediante il contributo di finanziamenti può non adottare

la politica della responsabilità sociale.

Figura 3 – Nel 2004 la Sua azienda ha investito in iniziative di carattere sociale, cioè a sostegno della cultura, dell’ambiente e della solidarietà o in altri ambiti?

Il 74% (venti) delle aziende

intervistate nel 2004 ha

investito in iniziative di

carattere sociale, cioè a

sostegno della cultura,

dell’ambiente e della

solidarietà o in altri ambiti

simili di cui 11 quest’anno

hanno previsto di predisporre un budget da destinare al finanziamento di iniziative di

carettere sociale.

Figura 4 – Per quest’anno avete già previsto un budget da destinare al finanziamento di iniziative di carattere sociale?

102

Sì74%

No26%

SìNo

Sì41%

No52%

Non risponde

7%SìNoNon risponde

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Di seguito troviamo le modalità d’intervento adottate dalle aziende per finanziare le

iniziative di carattere sociale (sono possibili più risposte).

Tabella 4 - Modalità d'intervento (Sono possibili più risposte)

Contributo ec. diretto per la realizzazione del progetto 18

Acquisto/donazione di prodotti, materiali, strutture e strumenti 10

Realizzazione del progetto attraverso propri prodotti e servizi 6

Contributo ec. diretto per la realizzazione dell'attività e degli strumenti di

diffusione e comunicazione 5

Erogazione ec. a fine anno in sostituzione degli omaggi aziendali 4

Raccolta fondi attraverso il coinvolgimento delle risorse interne 3

Contributo creativo nell'ideazione del progetto di impegno sociale 2

Altro: 1) In sostituzione degli omaggi aziendali abbiamo fatto una scelta che

evidenzia il nostro credere che il lavoro debba sviluppare la dignità

umana;

2) Contributi economici personali a progetti sviluppati da altri

2

Contributo per le campagne pubblicitarie e di informazione dell'ente

beneficiario 1

Non risponde 4

…e quali sono stati i principali criteri utilizzati nella scelta delle iniziative di

finanziamento (sono possibili più risposte):

Tabella 5 - Criteri adottati nella scelta delle iniziative di finanziamento (Sono possibili più risposte)

Validità e reale contributo sociale delle iniziative 14

Serietà/affidabilità dell'Associazione/Ente proponente 13

Legame con il territorio/ambito locale 13

Rispondenza alla mission aziendale 3

Ritorno in termini di immagine esterna 3

Validità del piano di comunicazione dell'iniziativa 2

Collegamento dell'iniziativa con le strategie commerciali 2

103

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Ritorno in termini di comunicazione interna 2

Notorietà/immagine dell'Associazione/Ente proponente 1

Rispondenza ad una linea di gruppo (se multinazionale) 0

Altro 0

Non risponde 4

Dalle risposte emerge che gli imprenditori non sono interessati alle iniziative per

ottenere un ritorno in termini di immagine esterna o di comunicazione interna o perché

l’iniziativa è legata alle strategie commerciali, bensì si preoccupano della validità e del

reale contributo sociale delle stesse. Un peso rilevante va attribuito alla serietà o

affidabilità dell’Associazione o Ente proponente e al legame delle attività con il

territorio o ambito locale, rispondendo così alle esigenze di uno degli stakeholder

considerati dalla «Responsabilità Sociale d’Impresa».

Per capire se effettivamente le aziende finanziano determinate iniziative sociali, poiché

sensibili a certi valori, è stata formulata la domanda successiva e cioè: «Secondo lei, le

aziende che finanziano queste attività sono sensibili a determinati valori, o

l’erogazione di finanziamenti a volte viene fatta solo per accontentare l’associazione

richiedente?». Le risposte pur se a domanda aperta sono risultate abbastanza simili,

concentrandosi su tre opzioni: sette aziende hanno risposto «Entrambi», sette per

«Sensibilità» e cinque «Per accontentare il richiedente».

Tabella 6 – Sensibilità o no?

Entrambi 7

Sensibilità 7

Per accontentare il richiedente 5

Attratti dall'immagine di ritorno 2

Non c'è una sola spinta negli ambienti ad eticità implicita 1

Non interessa il fine, ci deve essere un ritorno 1

Per superficialità 1

Non lo so 1

Non risponde alla domanda 5

104

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La domanda potrebbe sembrare paradossale in quanto anche le aziende che

contribuiscono solo per soddisfare l’associazione richiedente, operano perché guidati

da determinati principi, ma non sempre è così; molte volte si fa beneficenza a causa

dell’insistenza del richiedente o per incapacità di rifiutare. Di fatto, un’azienda ha

risposto che «un percorso di consapevolizzazione e di attenzione da anche frutti dal

punto di vista del posizionamento del brand solo se è un processo «reale» sentito e

pianificato. Questa è la differenza tra la beneficenza e l’investimento sulla propria

crescita etica, che altro non è che crescita nel suo senso più completo».

Quasi la metà delle aziende non ha saputo esplicitare quali siano i valori in cui credono

i soggetti mentre la metà dei rimanenti ha risposto il valore della «solidarietà». A

seguire gli altri valori:

Tabella 7 – Valori a cui credono le aziende

Contributo sociale a sostegno dei più deboli 2

Attenzione ai lavoratori 1

Trasparenza nei rapporti 1

Onestà sulla «proposta» 1

Tutela ambientale 1

Cultura 1

Giustizia 1

Sport 1

Il sociale e la responsabilità come incremento del bene comune 1

Reputazione della propria azienda 1

Onestà nell'impegno di lavoro 1

Rispetto per il prossimo/costruire un mondo migliore 1

Attaccamento per il territorio, sensibilità vso un problema sociale dell’imprendit. 1

Alla domanda «La Sua azienda riceve troppe richieste di finanziamenti da parte di

associazioni esterne?», quindici hanno risposto «Sì» e undici «No».

Spesso le aziende investono in queste attività di carattere sociale per ottenere un

ritorno d’immagine e a tal fine svolgono un ruolo fondamentale i mezzi di

comunicazione, quali TV e giornali.

105

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Gli imprenditori però, valutano la copertura dei mezzi di informazione relativa alle

misure promosse dalle aziende nel sociale, «Insufficente-scarsa» (quindici),

«Sufficiente» (dieci).

Figura 5 – Personalmente, come valuta la copertura stampa e TV relativa alle misure promosse dalle aziende nel sociale?

0 2 4 6 8 10 12 14 16

Insuff.

Suff.

Buona

N.P

Otto aziende hanno risposto di non essere interessate ad ottenere una maggiore

visibilità, mentre le rimanenti hanno scelto tra quelli di seguito elencati, uno o più

interventi efficaci in termini di ritorno d’immagine (hanno risposto anche coloro che

nella domanda precedente avevano dichiarato di non ritenere importante il ritorno in

termini di immagine).

Tabella 8 - Interventi più efficaci in termini di ritorno d'immagine per l'azienda (Sono possibili più risposte)

Intervenire sul territorio/ambito locale 10

Finanziare strutture e servizi di carattere sociale 10

Sponsorizzare eventi culturali e/o sportivi a scopo di raccolta di fondi 9

Non interessa avere maggior visibilità 8

Realizzare iniziative a favore dei dipendenti 7

Finanziare borse di studio per la ricerca scientifica 6

Finanziare direttamente associazioni non profit 6

Sostenere azioni umanitarie in favore dei bambini 5

Finanziare interventi rivolti alla difesa ed al recupero ambientale 5

Realizzare campagne pubblicitarie a contenuto sociale 5

Restaurare un monumento 4

106

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Contribuire alla raccolta fondi per la lotta contro gravi malattie 2

Altro 1

Non risponde 1

Infine, l’ultima domanda chiedeva di valutare il livello di importanza dei requisiti

fondamentali di un progetto e cioè:

o …della rilevanza sociale dell’intervento;

Figura 6 – Livello di importanza della rilevanza sociale dell’intervento

04

19

40

5

10

15

20

Bassa Media Elevata N.P

Il primo requisito è anche il primo in termini di valutazione d’importanza, poiché da

ben diciannove aziende è stata attribuito il giudizio «elevato».

o …del ritorno d’immagine su stampa e TV per l’azienda sponsor;

Figura 7 – Livello di importanza del ritorno d’immagine su stampa e TV per l’azienda sponsor

89

7

3

0

2

4

6

8

10

Bassa Media Elevata N.P

L’interpretazione del secondo requisito è più complicata perché le risposte si sono

distribuite quasi equamente sulle tre possibilità non concentrandosi su una risposta

come in precedenza.

o …dell’utilizzo del progetto per coinvolgere il personale dell’azienda;

107

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Figura 8 – Livello di importanza dell’utilizzo del progetto per coinvolgere il personale dell’azienda

0

13 12

2

0

5

10

15

Bassa Media Elevata N.P

Da ultimo, il progetto viene anche valutato dalle aziende come strumento per

coinvolgere il personale aziendale, aspetto messo in risalto dal terzo requisito.

1.6.3. Concetto generale di «Responsabilità Sociale d’Impresa»

La terza sezione è quella più importante di tutto l’elaborato sia per il numero

consistente delle domande sia per l’argomento trattato, che è il fulcro dell’indagine: la

«Responsabilità sociale d’impresa». (Cap.2-2.1,2.4,2.5)

Si è cercato di formulare domande abbastanza generali per testare il grado di

conoscenza della tematica, che si sta sviluppando negli ultimi anni; ecco il motivo per

cui la sezione è stata intitolata «Concetto generale di Responsabilità sociale

d’impresa».

Di conseguenza, si è tralasciato di approfondire il progetto CSR (Corporate social

responsability) promosso dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, indagine

portata avanti in questi mesi dalla Camera di Commercio di Treviso. (Cap.2-2.7.)

Al termine dell’elaborazione delle risposte, l’obiettivo sarebbe quello di promuovere

con iniziative specifiche la «Responsabilità Sociale d’Impresa» tra le aziende che sono

interessate ma che finora non hanno ricevuto informazioni o ne hanno ricevute poche.

Il concetto di «Responsabilità Sociale d’Impresa» è conosciuto tra le aziende

analizzate, anche se, è necessario far notare, che le ventisette aziende studiate a

differenza delle sei che vedremo in seguito, sono tutte state invitate a partecipare ad

iniziative sul tema promosso da Unindustria (non tutte hanno aderito!).

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Figura 9 – Ha mai sentito parlare di Responsabilità sociale d’impresa?

L’85% ha già sentito parlare

di Responsabilità sociale

d’impresa, il 4% «Mai»

mentre l’11% «In parte».

Coloro che non conoscono

Nesuno ha risposto di aver ricevuto le informazioni ma di non essere interessato e

n esse i principi che stanno alla

fiducia delle diverse categorie di stakeholder;

lgimento nella vita

ilità a contribuire al benessere della comunità.

Si legge spesso nei giornali o si sente dire da chi non possiede conoscenze

con

fondire maggiormente l’analisi si è voluto predisporre una domanda in cui le

complessivamente esaurienti:

l’argomento hanno

dichiarato di non aver mai

ricevuto informazioni o se sì, le informazioni apprese sono imprecise e vaghe.

questo è un dato consolante!. Tuttavia il problema rimane sempre la mancanza di

tempo e di personale da dedicare a politiche che per un’azienda sembrerebbero

secondarie, perché non si conoscono i vantaggi diretti.

Anche se le aziende non adottano RSI, il 74% ritrova i

85%

11% 4%1)Sì2)No3)In parte

base di tale politica, in particolare:

• la reputazione;

• il consenso e la

• il valore della conoscenza e la capacità di innovare;

• la valorizzazione delle risorse umane e il loro coinvo

aziendale;

• la disponib

approfondite sull’argomento, che la «Responsabilità Sociale d’Impresa» è un

argomento di moda, il «leitmotiv» per le aziende in questo periodo o adirittura viene

pubblicizzata come un’operazione di facciata. Il 92% degli imprenditori intervistati

invece, va controcorrente non considerando la RSI come precedentemente definita.

Nessuno ha risposto che questi concetti sono troppo astratti, perciò non compatibili

la realtà.

Per appro

aziende esprimessero brevemente una definizione di RSI, in modo tale da correggere

eventuali risposte sbagliate. Di seguito sono elencate le varie risposte, tutte

109

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«E’ il comportamento etico e morale che un’impresa dovrebbe tenere»;

«L’attenzione da parte dell’impresa alle ripercussioni sociali, morali,

condivisibili. Attenzione

utori, un'attenzione al rispetto

che ci lavorano, verso

ortamento non

le

e sua evidenza»;

ircondano, di

sere

utori»;

ambientali delle proprie scelte economiche»;

«Progettare business attraverso equità, rispetto, valorizzando il talento

delle risorse umane per dei vantaggi

all’ambiente non solo come parte attiva nel rispetto ambientale, ma anche

come esempio comunicabile al territorio»;

«La responsabilità sociale d'impresa è un impegno che le aziende si

assumono nei confronti dei propri interloc

dell'ambiente e della qualità delle relazioni con i portatori di interesse»;

«E’ la responsabilità nei confronti delle risorse, che accresce le

competenze e valorizza i prodotti accrescendo le possibilità»;

«Sono tutte quelle azioni volte a favorire una reale positiva integrazione

dell’azienda sul territorio (ambiente e persone)»;

«Fare il proprio dovere in azienda nell’interesse di tutti»;

«E' la responsabilità di un'azienda verso le persone

il territorio, verso il tessuto sociale, ecc. Il suo comp

dovrebbe essere mai lesivo ma costruttivo verso quanto sopraccitato»;

«Valori della persona e dell'uomo al centro di ogni scelta: la persona

come cliente, come fornitore, come dipendente, come socio etc.; se

scelte sono guidate dalla consapevolezza che al centro di ogni cosa c'è la

persona ogni tipo di scelta anche in campo economico ed aziendale non

potrà che essere una scelta basata su principi etici»;

«Agire nel sociale anche se si tratta di aziende produttive»;

«Consapevolezza del ruolo sociale svolto dall'azienda

«Si tratta di essere consapevoli delle varie situazioni che ci c

fare qualcosa per migliorarle (se non risolverle), e non es

esclusivamente concentrati sul successo economico dell’azienda»;

«L'impresa è una realtà sociale ed ha dei diritti e dei doveri nei confronti del

contesto in cui opera»;

«Si tratta di assicurare che l'azienda operi in armonia con l'etica e il sentire

comune dei suoi interloc

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«Capire che interagiamo con gli altri e che dobbiamo pagare un dividendo

sociale, non solo economico»;

«Rispetto del principio del bene comune, creatività, sviluppo sostenibile,

rispetto dell'ambiente e valorizzazione delle risorse umane»;

altrui»;

Alla do

sociale rap al pari degli obiettivi

enda: «la responsabilità

rappresenta per la

considerato un

,

le aziende sono interessate o addirittura pronte ad adottare il progetto. Le

ono possibili più risposte)

«Creare benessere per sé, per i collaboratori, per la società. Far crescere

lo spessore etico degli attori di cui prima»;

«Diritto per l’azienda o datore di lavoro di realizzare un proprio sogno =

dovere realizzare (nei limiti possibili) sogni

manda: «Quanto la seguente frase descrive la Sua azienda: la responsabilità

presenta per la nostra azienda un obiettivo aziendale

di mercato», il 22% ha risposto «Molto», il 48% «Abbastanza» mentre della

rimanenza, il 7% ha risposto «Per niente» e il 19% «Poco».

Figura 10 – Quanto la seguente frase descrive la Sua azi

sociale

di mercato.

Come è stato accennato all’inizio di questa sezione

0 5 10 15

N.P.AbbastanzaMoltoPer nientePoco

nostra azienda un obiettivo aziendale al pari degli obiettivi di mercato?» Si può constatare allora che RSI

on viene n

obiettivo estraneo alla gestione

aziendale,

bensì si integra con gli obiettivi

l’obiettivo del questionario era di

indagare se

risposte sono state molto incoraggianti, poiché più della metà sono interessate al tema e

cinque pronte ad iniziare. Solo una è scettica mentre un’altra è consapevole

dell’importanza ma non interessata.

Le fonti di informazione sono così distribuite:

Tabella 9 – Fonti di informazione (s

111

Mass-media 10

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Work-shop 9

Consulenti aziendali esterni 8

Studi personali 8

Altro 9

Altro» sono state indicate:

Conoscenti, clienti

Tesi universitaria

Associazioni di categoria

Riviste settore no profit

Internet

Unindistria

La maggioranza degli imprenditori ha dichiarato la non esistenza di settori o

tipologie di aziende rispetto ad altre in cui RSI deve essere adottata, (aziende quotate

in borsa, anche se Parmalat redigeva il bilancio sociale, multiutility, banche, industrie

tessili...in realtà un po’ tutti i settori), perché gli obiettivi sono gli stessi ma

soprattutto «RSI deve essere un qualche cosa che permea l’intera struttura

aziendale».

Secondo l’opinione di quattro imprenditori invece, le aziende soggette ad elevato

inquinamento ambientale e ad elevato impatto sociale dovrebbero porre particolare

attenzione all’argomento.

Inoltre, dalle risposte emerge che le caratteristiche territoriali del Nord-est, quali

concentrazione di aziende medio-piccole, non ostacolano l’introduzione di RSI nelle

aziende. I problemi da risolvere rimangono la capacità di permeare nella cultura

imprenditoriale chiusa e poco flessibile e la crisi economica del periodo. Pertanto,

«nulla di ciò che dipende dal comportamento degli uomini è impossibile. Nella

cultura imprenditoriale del nord-est è difficile perché presuppone la capacità di

«ascoltare» e il coraggio di cambiare». Ci attendiamo allora, un’evoluzione culturale

futura e nel frattempo diciamo che «per l'etica e la morale non ci sono spazi, confini,

culture, lingue».

Gli imprenditori inoltre, non sono spaventati dall’idea che l’adozione di una condotta

socialmente responsabile produca ripercussioni sull’organizzazione aziendale, perché

Nella categoria «

112

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gli effetti di eventuali cambiamenti sono solamente positivi (Cap.4-4.10.). Di seguito

alcuni effetti derivanti dall’introduzione:

o «migliora i rapporti ed implica maggiore impegno nell’area risorse umane;

o incrementa tutto»;

o «aumenta la collaborazione»;

o «dovrebbe per lo meno far capire ai dipendenti ed ai collaboratori che gli

lare tipo di azienda, al servizio della comunità

o d esterne all'azienda»;

Essere responsabili significa svolgere le mansioni affidate con impegno ma soprattutto

saper gestire le conseguenze delle proprie azioni, perché l’uomo è dotato di una

rima di tutto una manifestazione sociale, una

azionisti credono in un partico

e che non vedono la propria azienda come un semplice «strumento per far

soldi»;

«effetti soprattutto sul clima aziendale e sulla motivazione delle persone,

interne e

o «maggiore rispetto per l’azienda».

coscienza che lo guida. Lo scopo della domanda successiva è di chiedere agli

imprenditori se un’impresa può avere una coscienza o se la responsabilità viene

attribuita agli individui e non può essere estesa agli «individui astratti». Con sorpresa,

le risposte si sono concentrate in una, quale: «L’impresa è composta da individui e

pertanto anch’essa può avere una coscienza». (Cap 4-4.3.)

Da notare l’uso del verbo «potere» e non del verbo «dovere» («l’impresa deve avere

una coscienza»: risposta di tre aziende).

Secondo me invece, e sono d’accordo con due imprenditori, un'impresa non esiste in

sé stessa se non sul piano giuridico; è p

comunità che di per sé stessa rappresenta (ma non è) la coscienza delle persone che

la compongono. Ci sono attività la cui responsabilità deve essere attribuita

esclusivamente ai singoli, altre decisioni invece che se prese in comune competono

all’impresa stessa. E’ facile «scaricare la responsabilità all’azienda» per non

incorrere in sanzioni ma questo non è il comportamento corretto per un uomo

responsabile. Quali potrebbero essere allora, i meccanismi da adottare per

responsabilizzare gli individui?.

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Lo strumento monetario non è considerato tra i più utili (due aziende hanno risposto

«incentivi ai dirigenti», nove «sistemi di controllo interno» mentre ben diciotto

hanno risposto «altro»). Interessanti le risposte emerse:

«condivisione di obiettivi, problemi, risultati»;

«condivisione attraverso la consapevolizzazione»;

«la comunicazione interna»;

«azioni di stimolo al di fuori degli incentivi»;

«premi per la qualità»;

«sensibilizzare»;

«pianificazione dei ruoli»;

«comunicazione e formazione»;

«formazione e quindi sensibilizzazione ai problemi»;

«cultura ed informazione»;

«far conoscere le problematiche e motivare le persone con l'esempio»;

«sistemi di controllo “di clan”»;

«promozione cultura azienda»;

«è insita nel modo di pensare»;

«magari ce ne fossero di meccanismi. La responsabilità delle persone è

un qualche cosa di troppo personale ed intrinseco al percorso di vita di

ognuno di noi, dall'ambito familiare a quello ambientale in cui si sviluppa la

coscienza di ognuno; pertanto, più che meccanismi, secondo me in azienda

al proposito rivestirebbe una importanza cruciale la funzione del personale,

specialmente in fase di introduzione di nuovi dipendenti».

La maggioranza delle aziende non adotterebbe incentivi monetari, preferisce

«investire» nella condivisione di obiettivi, nella cultura, nella formazione, nella

comunicazione, nella pianificazione dei ruoli, ma soprattutto nella motivazione,

elemento indispensabile per il raggiungimento degli obiettivi.

Essere responsabili significa ancora, operare nel rispetto degli altri interlocutori, in

primis le risorse umane senza dimenticare le generazioni future. Pertanto, dovendo

tenere in considerazione tale aspetto, l’impatto umano delle operazioni aziendali

deve essere rilevante o elevato ed è ciò che hanno risposto gli imprenditori alla

domanda «Quale è l’impatto umano delle proprie operazioni aziendali?».

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Come riscontrato in precedenza, il valore principale in cui credono le aziende è il

«rispetto» verso le persone in quanto tali e non come nuovi «strumenti»

dell’organizzazione. Tale principio è un aspetto centrale del concetto di

Responsabilità morale dell’azienda; a tal proposito è stata formulata «ad hoc» una

domanda che facesse riflettere sull’importanza delle risorse umane e su come

vengono considerate in azienda. Di seguito le risposte:

Tabella 10 – Come vengono valutate le persone in azienda? Persone 8

Collaboratori impegnati a perseguire un obiettivo comune 7

Elemento fondamentale/fattore produttivo 5

Come ruoli e competenze 1

Fonte di idee e contributi nella gestione complessiva 1

Partners 1

Lavoratori 1

Non risponde 5

Le risposte date dagli imprenditori sono state soddisfacenti; solo un’azienda ha

dichiarato che le risorse umane sono qualificate come semplici lavoratori. I rimanenti

invece, rispettano l’identità personale di ogni lavoratore («uomini e donne prima che

collaboratori») considerandoli nella maggior parte dei casi collaboratori impegnati a

perseguire un obiettivo comune e a partecipare in modo attivo alle attività aziendali

con proposte di iniziative. In poche parole sono «fonti di idee e contributi nella

gestione complessa».

«L'azienda è delle persone che ci lavorano ed i risultati dell'azienda sono il

contributo di ogni singola persona; il valore aggiunto di un'azienda moderna è la

sommatoria del valore aggiunto dato da ogni persona al proprio processo produttivo

di competenza», risponde un imprenditore. Inoltre devono sentirsi “parte attiva di

un’organizzazione. Ogni tassello di un’organizzazione è importante e deve essere

responsabilizzato e coinvolto quantomeno per ciò che gli compete».

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Le risorse umane perciò, rappresentano il primo fattore produttivo e non uno

strumento per l’azienda e diventano esse stesse l’azienda per l’impatto verso

l’esterno di ciascuna attività.

Lavorare secondo uno spirito di squadra significa anche condividere valori, principi,

nel nostro caso le azioni di responsabilità messe in atto dall’azienda ed è ciò che è

emerso dall’indagine con la domanda «Il personale interno quanto condivide le

azioni di responsabilità sociale dell’impresa messe in atto dall’azienda?» (più

dell’80% partecipa «Molto» o «Abbastanza» alle azioni di responsabilità).(Cap.4-

4.5)

Figura 11 – Secondo Lei, il personale interno quanto condivide le azioni di responsabilità sociale dell’impresa messe in atto dall’azienda?

Altri due pilastri della «Responsabilità Sociale d’Impresa», ma che dovrebbero

essere sempre linee guida per l’azienda, sono la trasparenza e la correttezza. Adottare

un comportamento trasparente significa eliminare asimmetrie informative con

l’esterno dichiarando il «vero» e ciò per un’azienda può risultare difficile e

ostacolante, ma in realtà non dovrebbe essere così!. Il 70% delle aziende intervistate,

infatti, afferma di non ritenere «trasparenza e correttezza» due limiti, paura che può

riguardare «chi gioca sporco». «Nascondere non serve a nulla prima o poi tutto si

viene a sapere, tanto vale essere trasparenti» risponde un’azienda. Un’altra è

dispiaciuta perché anche il mercato dovrebbe incentivare tali valori invece non fa la

sua parte.

7%

63%

19%11% Poco-per niente

AbbastanzaMoltoNon risponde

Bisogna dire comunque che tali presupposti sono indispensabili per il vivere

quotidiano, non solo nel lavoro ma anche nella vita privata.

Fino ad ora si è parlato del concetto di RSI capendo che le aziende sono interessate

ma non hanno ancora intrapreso il percorso che porta all’adozione. Molti possono

116

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risultare gli impedimenti, a mio avviso superabili, se si capisce dalle aziende quali

sono le soluzioni da adottare affinchè esse siano incentivate ad introdurre la politica

di RSI. A tal fine, è stata elaborata una domanda, la più importante del questionario,

ricevendo le seguenti risposte (sei non hanno risposto):

«premi al perseguimento di obiettivi»;

«benefici anche economici»;

«presentare chiaramente con dati tangibili il vantaggio. Che c’è ma non è

percepito»;

«iniziative culturali per diffondere l’importanza della RSI»;

«collocare le risorse e porsi correttamente gli obiettivi»;

«si dovrebbe far capire il «ritorno» vero che ciascuna azienda avrebbe»;

«spiegare bene l’utilità per aumentare la fiducia anche dei clienti»;

«maggiori sensibilità degli Enti Pubblici verso una miglior qualità della

vita»;

«nella sostanza nessuna; per la facciata molte; sono scelte che la

proprietà o il management fa se lo sente dentro»;

«avere più disponibilità di tempo»;

«formare la società e gli imprenditori in particolare»;

«a mio avviso si tratta di un’evoluzione culturale. Come accellerare

questo processo non lo so»;

«solo culturali. Lungi da politiche di incentivazione economica.

Eventuali tasse sulla scarsa efficienza delle aziende sul tema sociale ed

ambientale»;

«benefici fiscali»;

«la scelta etica non è oggetto di incentivazione»;

«sicuramente con agevolazioni fiscali»;

«maggior consapevolezza dei vantaggi della sua applicazione e far capire

bene in cosa consiste in termini di investimenti economici»;

«la formazione»;

«diffusione attraverso i mass media del valore e conseguente

sensibilizzazione dell’acquirente finale alle tematiche»;

117

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«non dovrevvero esserci problemi fino a quando si ha a che fare con

aziende/persone dotate di una certa etica»;

«cambiare i vecchi responsabili!».

Riassumendo, gli imprenditori che non considerano RSI come un’evoluzione

culturale da non icentivare, propongono:

1) Benefici economici, benefici fiscali, premi al conseguimento degli obiettivi;

2) Evidenziare i vantaggi, il ritorno economico derivante dall’applicazione;

3) Iniziative culturali, formazione, diffusione dell’importanza RSI.

La prima soluzione viene condivisa da dodici imprenditori mentre otto hanno

risposto negativamente alla domanda che chiedeva: «Se alla Sua azienda venissero

erogati incentivi monetari, fiscali, agevolazioni sarebbe disposto ad iniziare questo

progetto?», perché ritenuta una soluzione paradossale con il contenuto etico

dell’operazione. Il denaro può essere utile se c’è cultura e conoscenza e non essere

utilizzato come «arma» per un processo duraturo e credibile. Gli incentivi producono

il rischio di esperienze limitate e non strutturali.

Con l’evolversi della RSI stanno nascendo anche figure professionali individuali di

impronta americana quali l’Ethics Officer o collettive come il Comitato Etico, con il

compito di introdurre la politica nelle aziende o di controllare l’operato delle stesse.

Probabilmente la domanda («Secondo Lei, sarebbe necessaria la funzione svolta da

un organismo terzo indipendente di certificazione della qualità morale di un’azienda

o risulterebbe un onere aggiuntivo?») è stata posta in termini non appropriati, perché

si chiedeva se l’azienda reputa necessaria la funzione svolta da un organismo di

certificazione della «qualità morale», intendendo però con essa il comportamento

etico, altrimenti risulterebbe difficile trovare un misuratore di morale. La

certificazione delle qualità morali di un'azienda semmai possono essere in qualche

maniera manifestate da come l'azienda si è mossa e si è comportata nella comunità in

cui vive ed in che modo la comunità vive e protegge l'azienda

Secondo la maggioranza delle aziende intervistate la funzione svolta da un

organismo terzo indipendente non risulterebbe necessaria, bensì un onere aggiuntivo

per l’azienda. Sono invece favorevoli a definire linee guida per identificare alcuni

requisiti fondamentali o se si danno criteri chiari e obiettivi determinati passa in

secondo piano il ruolo dell’organismo; potrebbe aiutare a ridurre i danni di alcune

118

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aziende, ma i maggiori risultati si raggiungono solo con la vera motivazione e non

con l’obbligo di legge. (Cap.4-4.6)

Da ultimo è stato analizzato il rapporto dell’azienda con uno degli stakeholder, la

Comunità locale, la cui relazione è basata sulla fiducia. Le piccole e medie imprese,

per continuare a prosperare, devono infatti crearsi una buona reputazione (corporate

reputation) investendo molto su questo fattore. La reputazione, pertanto, assume un

peso rilevante, come dimostrato dalle risposte (quattordici risposte massimo/elevato).

«Non credo, comunque, che una azienda debba impegnarsi nel sociale solo per avere

una buona immagine nel contesto in cui opera; sarebbe un’operazione di facciata.

Certo meglio così che niente, ma il concetto è un altro e molto più profondo». «Se

l’azienda è corretta la buona reputazione si crea da sola».

1.6.4. Bilancio sociale L’ultima sezione è dedicata allo strumento principale di accountability: il bilancio

sociale. (Cap.3-3.1-3.2-3.4-4.8-4.9)

Figura 12 – La Sua azienda redige annualmente il bilancio sociale?

Fino ad ora il bilancio sociale

non viene redatto da nessuna

azienda intervistata; solo

l’azienda presso cui ho svolto

lo stage ha completato, in

parte, uno dei documenti in

tema di RSI, cioè la relazione

sociale, di cui la sezione relativa allo stakeholder «fornitori» redatta da me.

Prevedendo che le risposte sarebbero state negative si è voluto capire quali sono le

motivazioni principali che ostacolano la redazione, mediante una domanda a risposta

multipla:

4%

96%

SìNo

119

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Tabella 11 - Motivazioni principali che spingono alla redazione (sono possibili più risposte) Non saprebbe come redigerlo perché non ha avuto informazioni adeguate 8

Non è a conoscenza di cosa si tratta 8

E' un onore aggiuntivo 5

E' solo uno strumento di immagine e di moda 3

Mancanza personale specializzato 3

Non è disposto a rendere conto delle sue decisioni ad altri collaboratori

oltre che agli azionisti ed ai finanziatori 0

Stiamo valutando la fattibilità 1

Non risponde 1

Il problema principale rimane sempre la mancanza di informazioni adeguate,

pertanto è necessario iniziare una campagna di promozione e diffusione del tema o

accentuare quella già iniziata ed infine dedicare risorse alla formazione di personale

specializzato. Tre aziende invece lo ritengono un onore aggiuntivo o uno strumento

di moda, perciò sono meno sensibili all’argomento.

Il bilancio d’esercizio non comunica e non rappresenta correttamente i fattori

intangibili della gestione, fattori che sempre più spesso decretano il successo

dell’impresa; esso viene allora integrato con il bilancio sociale. La domanda

successiva elenca i motivi principali che possono spingere alla redazione del

documento: (Cap 4-4.7)

1) redazione «per moda»; (4.7.1.)

2) redazione «per esigenze e spinte esterne» (recupero di immagine a seguito di

fatti ed episodi di cronaca, preparazione alla quotazione in borsa, ecc.);

(4.7.2.)

3) redazione «per presa di coscienza».(4.7.3.)

Le aziende che hanno risposto (nove non hanno risposto), sei sono d’accordo su tutte

le motivazioni senza scegliere una delle tre mentre sette hanno optato per la terza

motivazione. Solo una è risultata concorde con la mia opinione: redigere un bilancio

per moda o per lenire gli effetti di episodi di cronaca è un controsenso rispetto al

concetto di Responsabilita' sociale e morale.

120

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La seconda parte della domanda chiedeva di aggiungere eventuali altre ragioni oltre a

quelle prima esaminate. Cinque aziende hanno dato le seguenti risposte:

o «lo spirito di emulazione dato da aziende concorrenti che lo redigono e la

volontà politica nei casi di aziende a partecipazione pubblica»;

o «sensibilizzare maggiormente il personale»;

o «dimostrerebbe la serietà dell’impresa»;

o «formalizzare le azioni sociali dell’impresa al fine di aggiungere peso al suo

valore»;

o «redazione per norme di legge».

Una rendicontazione di carattere strettamente economico-contabile comunica una

serie di valori che possono essere percepiti solo dai portatori di interesse economici,

tagliando fuori tutti gli altri stakeholder (risorse umane, clienti, fornitori,comunità

sociale, etc.). E’ stato chiesto agli imprenditori se il bilancio sociale riesce a colmare

questa lacuna. Purtroppo le aziende intervistate non lo redigono, pertanto una buona

parte non ha risposto, mentre nove hanno risposto «In parte», due hanno risposto

«Sì» e due «No».

L’indagine si conclude con l’ultima domanda a risposta multipla, con la quale si

chiedeva di indicare quali delle definizioni presentate descrive meglio il bilancio

sociale o l’idea che gli imprenditori hanno del documento.

Tabella 12 – Definizioni di bilancio sociale (sono possibili più risposte) Aumenta la capacità dell’impresa di attrarre e mantenere personale qualificato e

motivato 13

E’ un documento da affiancare al bilancio d’esercizio per una maggiore trasparenza

sul modo di operare dell’azienda 13

Crea un ambiente di lavoro migliore, più sicuro e motivante 12

Contribuire a rafforzare il brand value 10

Può rappresentare un qualificato elemento di differenziazione tale da rafforzare il

marketing competitivo 8

Contribuisce ad aumentare il valore per gli azionisti nei mercati in cui sono applicati

rating di tipo etico 8

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Garantire una forte coesione con gli stakeholder 7

Migliora l’efficienza della gestione aziendale 5

Facilita l’accesso al credito (Basilea 2) 4

Incrementa i rapporto di partnership e di conseguenza può determinare l’incremento

del fatturato 3

Riduce il rischio d’impresa 2

Permette di usufruire, laddove previsti di vantaggi fiscali, contributivi e

semplificazioni amministrative 2

Protegge da azioni di boicottaggio 0

Non sa/non risponde 5

1.7. Analisi dati del secondo gruppo 1.7.1. Etica economica

A differenza delle aziende analizzate in precedenza, quattro aziende su sei del

secondo gruppo non hanno mai sentito parlare di etica economica. Questo è un

segnale evidente che la maggioranza di esse non è informata, pertanto l’argomento è

ancora nella fase iniziale del processo di evoluzione, necessitando di iniziative di

sensibilizzazione.

Solo un imprenditore non è d’accordo nel considerare la morale in azienda, cioè di

rispettarla quando devono essere prese decisioni strategiche.

L’obiettivo principale delle aziende rimane sempre il conseguimento del profitto o la

creazione di successo per l’azienda, intesa come gruppo di persone. Solamente due

aziende hanno dichiarato l’esistenza di fini etici complementari e non alternativi a

quelli economici. Le altre aziende o non hanno risposto o non sono d’accordo sulla

presenza di fini «alternativi».

Fini complementari dunque che derivano da una formazione non intesa solo in senso

stretto come formazione scolastica, bensì trasmessi dalla famiglia o dalla società.

Alla domanda con la quale si chiedeva quali comportamenti dovrebbe tenere un

imprenditore per rispettare i principi etici, le risposte si sono distribuite su tutte e tre

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le alternative (rispettare leggi dello stato, onestà con sé stesso e con gli altri, ottenere

successo sulla base di meriti reali).

I valori ai quali si ispirano le aziende per la gestione aziendale sono di seguito

indicati:

Tabella 13 – Valori ispiratori della gestione L’indipendenza, ma soprattutto lo stimolo di misurare le proprie capacità di

leader. Nel contesto economico, imporre con il prodotto la volontà e la certezza

di fare e produrre bene;

1

Pieno rispetto e piena fiducia tra i collaboratori che operano nella stessa

impresa; 1

Ambiente di lavoro sano e rispettoso delle persone-attenzione particolare sugli

aspetti relativi alla sicurezza e alle normative previste dalla legge; Motivazione

del personale attraverso la crescita professionale dei dipendenti;

1

Onestà; 2

Professionalità; 1

Trasparenza, correttezza, dignità; 1

Tali valori non si discostano di molto da quelli previsti dalle altre aziende, infatti,

emerge chiaramente il valore della trasparenza, correttezza, onestà ed infine, ma non

meno importante il rispetto verso i propri collaboratori o stakeholder esterni.

Hanno inoltre dichiarato che tali valori sono stati chiaramente definiti all’interno

dell’azienda e sono presenti nel codice etico così da farli conoscere al personale.

Sono perplessa che questo gruppo di aziende adotti veramente un codice etico e lo

abbiano anche formulato, probabilmente invece, si rifanno ai valori impliciti in cui

crede il titolare, comunicati mediante riunioni interne o comunicazioni informali.

Alla domanda successiva infatti, hanno risposto che non sono disposti a realizzare

attività rivolte a definire il codice etico o attività di formazione alle risorse umane

sull’importanza dello stesso.

Infine l’ultima domanda della sezione «etica economica» riguardava il rapporto tra il

rispetto delle leggi economiche e il rispetto della dignità umana. Dalle risposte si

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nota un certo grado di incertezza, tuttavia sembra poter esistere una correlazione

positiva tra le due componenti.

1.7.2. Impegno sociale

Due terzi delle aziende (la stessa percentuale dell’altro gruppo) ha investito in

inizative di carattere sociale, cioè a sostegno della cultura, della solidarietà e

dell’ambiente, ma una sola ha già previsto un budget per l’anno successivo da

destinare ad iniziative di carattere sociale. Le modalità d’intervento adottate dalle

aziende sono prevalentemente due: contributo economico diretto per la realizzazione

del progetto e acquisto/donazione di prodotti, materiali, strutture e strumenti (come il

gruppo precedente). Inoltre le aziende scelgono le iniziative di finanziamento in base

alla serietà e all’affidabilità dell’associazione/ente proponente o a seconda del

legame con il territorio o ambito locale, lo stesso criterio adottato anche dall’altro

gruppo. Purtroppo a volte l’erogazione di finanziamenti avviene perché sollecitati

dall’insistenza dell’associazione o ente richiedente, però credo, come ho già

affermato in precedenza che tale motivazione è implicitamente accompagnata dalla

sensibilità a determinati valori altrimenti si negherebbe subito la proposta.

Con la domanda successica si chiedeva di esplicitare questi valori. E’ emerso quanto

segue:

«i valori della salute dell’uomo, vedi Avis o centro per la ricerca del

cancro»;

«solidarietà sociale e rispetto delle persone»;

«ricerca, sviluppo del territorio (immagine aziendale), sensibilità

verso enti bebefici»;

«valori religiosi»;

Le aziende dichiarano di ricevere troppe richieste di finanziamenti da parte di

associazioni esterne, di conseguenza alcune volte rinunciano all’aiuto.

Secondo le aziende di questo gruppo, intervenire in ambito sociale vuol dire anche

investire in termini di ritorno d’immagine per l’azienda (nessuno ha risposto che non

interessa ottenere maggiore visibilità). A tale riguardo, gli interventi principali più

efficaci, scelti dalle aziende per il raggiungimento dello scopo sono:

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intervenire sul territorio/ambito locale;

finanziare strutture e servizi di carattere sociale;

realizzare iniziative a favore dei dipendenti.

La stampa dovrebbe svolgere un ruolo fondamentale di divulgazione di notizie ed

eventi che vedono coinvolte le aziende nel sociale, invece il giudizio delle aziende a

tale proposito è negativo poiché considerano la copertura dei mezzi di

telecomunicazione insufficiente o scarsa.

Concludendo questa sezione, bisogna dire che il requisito fondamentale di un buon

progetto sociale rimane la rilevanza sociale dell’intervento (valutata come

importanza elevata), seguono il ritorno d’immagine su stampa e tv per l’azienda

sponsor ed infine l’utilizzo del progetto per coinvolgere il personale aziendale.

1.7.3. Concetto generale di responsabilità sociale d’impresa

Le aziende di questo gruppo rappresentano a mio avviso, se pur in minima parte, la

maggioranza delle aziende insediate sul territorio a differenza di quelle del primo

gruppo che sono già coinvolte in iniziative riguardanti il tema e quindi maggiormente

informate.

Dalle risposte si denota che il grado di conoscenza è limitato poiché le aziende o non

sanno che cosa sia la responsabilità d’impresa o la conoscono in parte. Le aziende

detengono informazioni abbastanza vaghe, definendo la RSI in questo modo (riporto

quanto scritto dagli imprenditori):

«far crescere l’azienda nel rispetto delle regole generali comunitarie

(ambiente, sicurezza..)»;

«essere consapevoli di far parte di un mondo che serve a tutti; essere

«ingordi» porta a una chiusura mentale, l’azienda prima o poi ne

risentirà».

La soluzione allora sarebbe quella di iniziare o accentuare campagne di

sensibilizzazione, in modo tale da fornire informazioni il più possibile precise o

eliminare eventuali incertezze. Non rimane altro che continuare a sperare in un

processo graduale di espansione! Nel frattempo le aziende, anche se non adottano la

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politica della RSI, continueranno a sviluppare i valori fondanti che la costituiscono

quali:

la reputazione;

il consenso e la fiducia delle diverse categorie di stakeholder;

il valore della conoscenza e la capacità di innovare;

la valorizzazione delle risorse umane e il loro coinvolgimento nella vita

aziendale;

la disponibilità a contribuire al benessere della comunità.

Un dato consolante è che le aziende non considerano RSI un’operazione di facciata,

anche se due terzi di esse ritengono che tali concetti «in parte» sono così astratti da

risultare incompatibili con la realtà.

Si diceva in precedenza di aspettare l’evolversi graduale del fenomeno perché per il

momento le aziende non mettono sullo stesso piano gli obiettivi di mercato e la RSI;

inoltre sono ancora molto scettiche. Solo un’azienda è consapevole dell’importanza

ma non è interessata.

Le fonti da cui hanno ricevuto informazioni sono prevalentemente: mass-media;

work-shop, consulenti aziendali esterni.

Per quanto riguarda la domanda sulla coscienza, non ci sono novità rispetto al gruppo

precedente; tutti hanno risposto, anche se con espressioni diverse, che l’impresa è un

gruppo di persone e come tale è responsabile. Tuttavia, per cercare di

responsabilizzare gli individui, le aziende propongono oltre ai sitemi di controllo, di

acccentuare la motivazione, le direttive ed infine attribuire mansioni che richiedono

attenzione impegno e responsabilità.

Uno dei pilastri della RSI è il rispetto degli stakeholder in particolare delle risorse

umane, che non vengono considerate semplici strumenti aziendali, bensì membri

della squadra, collaboratori, compartecipanti; un’azienda ha specificato che possono

essere considerate parte integrante «solo se sono degne di ricevere fiducia e

responsabilità».

Lavorare bene significa anche dare all’esterno una buona immagine dell’azienda, in

sostanza crearsi una buona reputazione, che vuol dire serietà, efficienza,

professionalità; valore con un peso notevole per l’azienda considerando che la

migliore pubblicità per l’organizzazione è il «passaparola» tra i clienti. La metà delle

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aziende è d’accordo sul fatto che non ci sono settori più o meno indicati

all’introduzione di RSI, altri invece, evidenziano le aziende che hanno un impatto

sull’ambiente come pure il settore bancario/finanziario, maggiormente indicate allo

sviluppo di questo tema. Inoltre, il contesto imprenditoriale del Nor-Est viene

considerato adeguato alla pari di altre realtà imprenditoriali, per l’introduzione della

politica RSI anche se si dovrà aspettare. Attualmente, un ostacolo indicato dagli

imprenditori è la crisi economica contingente.

Secondo gli imprenditori, l’adozione della RSI, produce ripercussioni

sull’organizzazione aziendale, ma solo positive. Maggiormente interessate sono le

persone che si sentirebbero più motivate in quanto parte di un’azienda che si

inserisce sul territorio in modo attivo.

Purtroppo le aziende sostengono che il personale interno condivide «poco» o

«abbastanza» le azioni di RSI messe in atto dall’azienda, probabilmente perché non è

sufficentemente motivato o poco coinvolto nell’organizzazione.

La trasparenza e la correttezza non sono percepiti dalle aziende come due limiti,

bensì le basi di partenza per una buona organizzazione o ancora più precisamente due

filtri mediante i quali è possibile gestire in modo più accurato l’organizzazione.

Come le aziende del primo gruppo, anche quelle si stanno ora analizzando valutano

la funzione svolta da un organismo terzo di certificazione di qualità morale non

necessaria perché è un onere che si somma agli altri costi!.

Le strutture aziendali permetterebbero, a mio avviso, di poter iniziare con questa

politica; infatti di solito gli interventi a favore dei collaboratori e della comunità non

sono realizzati su base personale e per vie non strutturate, creando così la possibilità

di una rilevazione oggettiva.

La sezione riguardante la responsabilità sociale d’impresa si conclude cercando di

capire dalle aziende stesse quali possono essere le soluzioni che lo Stato o altri enti

preposti dovrebbero adottare affinchè le aziende siano incentivate all’introduzione.

Oltre a coloro che non sanno dare una risposta, i rimanenti propongono le seguenti

soluzioni:

o «una buona ed efficace operatività dello «stato» porta ad un comportamento

omogeneo da parte di tutti i suoi cittadini. Dall’alto bisogna incentivare non

con soldi, ma semplicemente con delle regole ben precise da ambo le parti»;

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o «campagna informativa»;

o «sgravi fiscali»;

o «chi ha la cultura–se adeguatamente incentivato da sgravi fiscali…»

Come si può notare, una delle soluzioni segnalate è lo sgravio fiscale, anche se non

tutti sono d’accordo, perché sostengono che l’iniziativa dovrebbe essere presa

indipendentemente dagli incentivi monetari o da altre agevolazioni.

1.7.4. Bilancio sociale

Alla domanda con la quale si chiedeva se le aziende redigono il bilancio sociale,

sono rimasta molto sorpresa ma nello stesso tempo perplessa dal fatto che due

aziende hanno risposto positivamente. Credo che tali risposte incoerenti con altre,

siano dovute ad una interpretazione non corretta della domanda, confondendo il

bilancio sociale con il bilancio d’esercizio.

Tra le motivazioni principali di non redazione emerge la mancanza di informazioni

precise sul documento stesso e su come redigerlo. Inoltre, non essendo ancora

valutata correttamente a mio avviso tale politica, gli imprenditori sostengono che il

bilancio sociale rappresenta un onore aggiuntivo. Detto ciò non si vuole negare

l’esistenza del costo, però credo non sia la motivazione principale ostacolante la

redazione. Interessante la risposta di un imprenditore, il quale afferma che non è

necessario redigere il bilancio sociale poiché, «la coscienza del titolare è il

documento». Condivido pienamente l’affermazione, però mi sembra anche limitata

perché elimina una delle funzioni del documento, cioè quella di informare gli

stakeholder sulle iniziative intraprese. E’ necesario pertanto, che le due componenti,

coscienza e bilancio sociale siano complementari, affichè l’azienda metta in pratica

veramente la RSI.

Gli imprenditori sono d’accordo sulle motivazioni principali che spingono le aziende

alla redazione quali «redazione per moda», «per esigenze e spinte esterne» ed infine

«per presa di coscienza» aggiungendo anche «per autovalutazione» e per

«copertura».

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Sono comunque scettici sul fatto esso possa colmare le lacune del bilancio

d’esercizio, in particolare l’incapacità di comunicare i dati sufficenti per informare

tutti gli stakeholder e non solo quelli economici.

Si può concludere allora, che gli imprenditori hanno una conoscenza superflua di tale

documento, indicando tra le affermazioni che rappresentano meglio la loro idea di

bilancio sociale, le seguenti:

Tabella 13 – Definizioni di bilancio sociale (Sono possibili più risposte)

Può rappresentare un qualificato elemento di differenziazione tale da

rafforzare il marketing competitivo 3

E’ un documento da affiancare al bilancio d’esercizio per una maggiore

trasparenza sul modo di operare dell’azienda 3

Crea un ambiente di lavoro più sicuro e motivante 3

Contribuisce a rafforzare il brand value, attraverso lo sviluppo di un rapporto

stabile e duraturo con i consumatori/clienti, basato sulla fiducia e la fedeltà

alla marca

1

Aumenta la capacità dell’impresa di attrarre e mantenere personale qualificato

e motivato 1

Riduce il rischio d’impresa 1

Migliora l’efficienza della gestione aziendale 1

Le prime due risposte sono ai primi posti anche per l’altro gruppo di aziende, perciò

cerchiamo di adoperarci affinchè tali affermazioni non rimangano solo idee, ma si

trasformino in realtà.

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CAPITOLO 2

UN ESEMPIO DI RELAZIONE SOCIALE

Questo capitolo si propone di dedicare particolare attenzione alla struttura del

bilancio sociale, in particolar modo soffermandosi sulla terza parte che lo compone

definita «relazione sociale». Essa viene studiata sia dal punto di vista teorico che

pratico, dove nell’ultima parte del capitolo viene esposto il lavoro svolto durante lo

stage presso l’azienda Tecnogamma SPA, riguardante la redazione di una parte

specifica della relazione sociale dedicata allo stakeholder «fornitori».

2.1. Le parti del bilancio sociale In Italia, nel 1998 è stato costituito un Gruppo di studio per la statuizione dei principi

di redazione del bilancio sociale (GBS), che contiene indicazioni di minima rispetto

alla elaborazione del documento. Il modello prevede che il bilancio sociale sia

costituito da tre sezioni obbligatorie:

o identità aziendale: che consiste nell’esplicitazione dei valori, della missione e

nella descrizione dell’assetto organizzativo attraverso il quale opera

l’azienda;

o produzione e distribuzione del valore aggiunto: che rappresenta il principale

elemento di relazione con il bilancio civilistico, poiché è una riclassificazione

dei dati in esso contenuti che mette in evidenza come il risultato d’esercizio si

traduca in maggior valore per alcune categorie di stakeholder;

o relazione sociale: in cui sono analizzati i rapporti dell’impresa con i diversi

stakehoder di riferimento, esposti i risultati ottenuti in relazione agli impegni

e ai programmi e, infine, indicati gli effetti sui singoli stakeholder che la

gestione sociale ha prodotto.

Il legame trasversale tra le tre distinte sezioni è costituito dagli stakeholder. Il

bilancio sociale si propone, infatti, l’obiettivo di fornire agli stakeholder un quadro

complessivo delle performance dell’azienda, aprendo un processo interattivo di

comunicazione sociale, ai fini di ampliare e migliorare le loro conoscenze e le loro

possibilità di valutazione e di scelta.

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L’analisi si sofferma solo sulla relazione sociale, tralasciando le altre due parti.

La relazione sociale è dedicata alla descrizione dei risultati connessi all’attività

aziendale che vengono visti sotto tre dimensioni:

1. ciò che l’azienda si proponeva di conseguire;

2. ciò che ha realizzato;

3. ciò che i destinatari dei risultati ritengono di avere ottenuto.83

In essa si descrivono e riconfrontano i risultati previsti con quelli ottenuti e quelli

percepiti dai destinatari; e attraverso questo confronto si mette in evidenza la

coerenza del comportamento aziendale.

La relazione prevede una serie ordinata di informazioni che, aggiunte a quelle

contenute nelle prime due parti del bilancio, consentono al lettore di formarsi un

giudizio.

Essa, si può dividere in due parti: una generale e una particolare.

Nella prima vengono sinteticamente descritti gli obiettivi che l’azienda si proponeva

di raggiungere, le norme di comportamento che scaturiscono dall’identità aziendale,

gli stakeholder ai quali il bilancio sociale è indirizzato e quali sono quelli che

assumono rilievo prevalente. Sempre nella prima sezione vanno chiariti i criteri

seguiti per la raccolta delle informazioni, quantitative e qualitative, che non derivano

dalla contabilità.

Nella seconda sezione vengono presi in considerazioni i singoli gruppi di stakeholder

e per ciascuno di essi si prevede un contenuto minimo comune di informazioni. Per

ogni gruppo l’azienda deve descrivere le politiche che ha seguito e le deve collegare

ai risultati che voleva raggiungere, ai valori ai quali dice di essersi ispirata, alla sua

missione e alle sue strategie. Questa descrizione deve essere fatta in modo da

consentire al lettore di maturare un giudizio sulla coerenza fra valori e obiettivi

perseguiti, e fra questi ultimi e i risultati ottenuti. Nella descrizione devono essere

riportati anche gli eventuali effetti negativi connessi all’attività, se e in quanto

possibile identificarli e misurarli.

83 HINNA L., (a cura di), Il bilancio sociale – Scenari, settori e valenze Modelli di rendicontazione sociale Gestione responsabile e sviluppo sostenibile Esperienze europee e casi italiani, Il Sole 24 Ore, Milano, 2000

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Ancora, per ogni gruppo di stakeholder deve essere comunicato il processo di

rilevazione delle informazioni riguardanti le aspettative dagli stessi avvertite ed il

grado di soddisfazione da essi manifestato.

Altre informazioni, che variano da gruppo a gruppo, sono raccomandate e servono a

completare il quadro. Nella relazione vanno anche riportate le eventuali

comparazioni effettuate con dati desunti da fonti ufficiali e pubbliche, solo se sono

adatte a fare migliorare il giudizio di chi legge il bilancio. Vanno anche indicati

eventuali obiettivi di miglioramento che l’azienda si prefigge di realizzare in futuro.

Di particolare interesse appaiono anche la valutazione, i commenti e i giudizi della

stessa azienda sui risultati raggiunti e sulle opinioni che gli stakeholder hanno

espresso.

Lo standard dettato dal GBS indica una serie di principi e postulati che devono essere

osservati nella fase di redazione del bilancio sociale, quali: trasparenza,

identificazione, utilità, responsabilità, coerenza, inclusione, neutralità, comparabilità,

significatività e rilevanza, verificabilità dell’informazione, attendibilità e fedele

rappresentazione ecc.

Il rispetto dei principi di redazione del bilancio sociale, l’attendibilità dei dati

riportati nel documento, l’osservanza delle procedure e la coerenza dei risultati

ottenuti rispetto ai valori e alla missione dichiarata sono oggetto di verifica da parte

di un soggetto terzo indipendente, nell’ottica del miglioramento continuo.

2.2. La relazione sociale di Tecnogamma SPA

Prima di illustrare la sezione di relazione sociale riguardante lo stakeholder

«fornitori», redatta durante lo stage presso l’azienda Tecnogamma è necessario

introdurre brevemente l’organizzazione.

L’azienda nasce nel 1982 per iniziativa di Ettore Casagrande, morto recentemente, ed

Egidia Zanini, iniziando ad operare nello sviluppo di sistemi di automazione asserviti

a macchine ed impianti industriali. Fin dall’inizio emerge la vocazione dell’azienda a

focalizzare la propria produzione su settori particolarmente innovativi e ad

accrescere costantemente il proprio livello tecnologico.

132

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Il core business dell’azienda è lo sviluppo di tecnologie optoelettroniche di visione

artificiale senza contatto per il controllo dimensionale. Questo tipo di tecnologia è

potenzialmente utilizzabile su svariati settori, tra questi Tecnogamma sceglie alcuni

specifici settori industriali in cui la precisione del controllo dimensionale è

complessa e strategica, tale da apportare rilevanti benefici economici all’utilizzatore.

Così si sintetizza l’approccio al mercato:

o una offerta di alta tecnologia, alimentata da strette collaborazioni, anche

internazionali, con il mondo della ricerca scientifica e dell’università;

o un rapporto di stretta collaborazione e fiducia con i livelli di vertice

dell’azienda cliente;

o uni sviluppo del progetto attuato attraverso una partnership con il cliente

piuttosto che mediante una tradizionale relazione tra committente ed

esecutore.

Tecnogamma oggi è presente nei settori ferroviario, dell’acciaio, della cantieristica

navale e in un quarto settore denominato per comodità «diversificato», nel quale

rientrano tutte quelle imprese che per specifiche esigenze di misura si servono delle

competenze di Tecnogamma; la tecnologia impiegata, ovvero sistemi optoelettronici

non a contatto per la misura, la diagnosi e il monitoraggio di parametri geometrici,

costituisce il fattore unificante la sua offerta.

L’organizzazione è in continua espansione negli ultimi anni, raggiungendo nel 2004

un fatturato di 5.225.068 EU con un organico di 43 dipendenti (dati rilevati al

31/12/2004).

Oltre ad essere particolarmente innovativa nel suo settore, l’azienda è

all’avanguardia anche in tema di RSI, infatti, è una delle poche aziende del

trevigiano che ha iniziato a redigere la relazione sociale ed a implementare tale

progetto.

Ettore Casagrande, ex presidente di Tecnogamma, intervenuto ad un seminario

organizzato da Unindustria, spiega il bilancio sociale con «la necessità di misurare,

pianificare e comunicare all’esterno quegli elementi dell’agire di Tecnogamma non

esprimibili attraverso il bilancio contabile». Continua: «Quest’ultimo è una

rappresentazione importante ma molto parziale della nostra azienda; non rende conto

infatti della spinta all’innovazione, delle relazioni con il mondo dell’università e

133

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della ricerca scientifica, della capacità di fare cultura e formazione, della solidarietà,

del clima aziendale e del nostro «capitale umano», delle percezioni che istituzioni,

territorio, clienti, fornitori e partner hanno di Tecnogamma. Tutti elementi, questi,

che rappresentano la nostra capacità di stare sul mercato oggi, ma soprattutto

domani. Vanno quindi tenuti bene in considerazione tanto quanto i margini

economici di produzione, perché la loro misurazione – effettuata secondo standard

riconosciuti e condivisi – dà all’imprenditore ed ai terzi una fotografia più completa

dell’azienda, fornendo una sorta di bilancio della qualità delle relazioni che l’azienda

mantiene con tutti i suoi interlocutori, gli ormai noti stakeholders».

E alla domanda «Cosa si aspetta dallo sviluppo di questo processo di responsabilità

sociale?» ha risposto: «Per me e per la mia squadra mi aspetto che questo processo

aiuti ciascuno ad acquisire maggiore consapevolezza sul senso profondo del proprio

agire nel lavoro. Nei confronti dell’esterno ci aspettiamo di riuscire ad attivare uno

strumento di comunicazione che aiuti noi ed i nostri interlocutori a rispondere meglio

alle reciproche esigenze».

134

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FORNITORI: PARTNER DI TECNOGAMMA

1.1. Caratteristiche e analisi dello stakeholder

I fornitori rappresentano un elemento importante per la valutazione del processo

produttivo, in quanto la qualità della fornitura può condizionare l’esito della

produzione.

Tecnogamma considera la maggior parte dei fornitori partner fondamentali

instaurando con essi una relazione basata sulla fiducia, correttezza, competenza e

trasparenza.

A tale proposito, l’azienda si propone di adottare un comportamento che sia il più

possibile trasparente così da fornire informazioni attendibili soprattutto per quanto

riguarda eventuali dilazioni di pagamento, che vengono comunicate al fornitore per

tempo.

La maggioranza dei fornitori sia di lavorazioni esterne che di prodotti sono coinvolti

nei processi esistenti in azienda. Si può dire che tra azienda e fornitore si instaura un

rapporto di co-making, ad esempio il fornitore fornisce proposte per lo sviluppo dei

progetti come pure mira a sviluppare tecniche nuove per riuscire a soddisfare le

esigenze di Tecnogamma, diventando quindi tale rapporto occasione di crescita.

Quest’ultimo, che nasce da subito e si può rafforzare nel tempo, si instaura

indipendentemente dalla dimensione aziendale del fornitore anche se bisogna dire

che è più facile gestire rapporti con fornitori di dimensioni non rilevanti.

Il fornitore non viene fidelizzato mediante tecniche particolari, soluzione di solito

adottata con i clienti, bensì come già accennato, si cerca di coinvolgere la controparte

al fine di ottenere una relazione ottimale, politica che comunque indirettamente si

può definire di fidelizzazione. Un caso particolare è il rapporto che Tecnogamma ha

instaurato con una multinazionale fornitrice, per la quale un responsabile

dell’azienda farà da testimonial ad un convegno per promuovere un sistema di

acquisto on-line sviluppato dalla stessa e implementato da Tecnogamma.

I criteri principali in base ai quali vengono scelti i fornitori e in un secondo momento

valutata la prestazione sono i seguenti:

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− rispetto di condizioni o garanzie corrette di qualità nell’esercizio

operativo;

− rapidità nella consegna;

− appartenenza territoriale (vengono privilegiati fornitori locali);

− aderenza ai comportamenti contrattuali e generali;

− flessibilità;

− tempestività;

Gli indicatori «puntualità nella consegna», «flessibilità» e «tempestività» sono

misurati mediante indici numerici con una scala da 1 (insufficiente) a 4 (ottimo),

argomento che verrà trattato più avanti al punto 1.7.1.

Ai fini della valutazione del fornitore non vengono considerati solo aspetti

economici, bensì viene esaminato anche il rapporto personale con l’agente, che se

non è positivo (l’azienda non ha fiducia sulla competenza dello stesso), può causare

la cessione della fornitura.

Un altro fattore non sottovalutato da Tecnogamma è la durata del rapporto di

fornitura, cioè l’azienda dovrebbe riuscire ad ottenere una relazione continuativa con

i fornitori così da trarne i vantaggi derivanti dalla continuità, che si possono così

enucleare:

− consegne di favore

− anticipi di prodotti

− maggiore attenzione del fornitore sulla fornitura rispetto ad altri

committenti

− sconti/dilazioni di pagamento

− agevolazioni sul prezzo

− richiesta al fornitore di modifiche senza costi aggiuntivi

− supporto da parte del fornitore sulla scelta del prodotto

Gli svantaggi invece derivanti da una relazione non ottimale si possono così

elencare:

− assenza della certezza nelle consegne

− vincoli di ordine

− riduzione nei controlli qualitativi

− minori agevolazioni

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I rapporti con il fornitore vengono gestiti mediante mail, telefono, fax, oppure

l’agente incontra personalmente il responsabile acquisti presso l’azienda.

I principali problemi riscontrati inerenti la fornitura sono:

− mancanza di disponibilità della merce al momento dell’acquisto

− ritardi di consegna

− qualità dei prodotti non conforme a quanto richiesto

Tali inconvenienti vengono gestiti a voce contattando direttamente il fornitore

(telefonata), che dovrà fornire spiegazioni a riguardo e cercare di trovare una

soluzione, che non sempre è possibile definire.

Tecnogamma adotta la seguente procedura standard per la gestione degli acquisti:

1) progettista tecnico sceglie il prodotto da acquistare e compila modulo RDA

(richiesta di acquisto)

2) invia modulo RDA al responsabile ufficio acquisti, che lo registra su file

3) responsabile ufficio acquisti contatta fornitore

4) fornitore invia offerta contenente prezzo, disponibilità, tempo di consegna e

altre condizioni

5) responsabile ufficio acquisti valuta offerta e se concorde, evade ordine

mediante fax o mail

Tecnogamma al fine di tutelarsi nei confronti dei fornitori richiede loro la conferma

dell’ordine soprattutto per quanto riguarda le condizioni contrattuali quali prezzo,

quantità, tempi di consegna; ciò significa che la conferma diventa «garanzia» del

rapporto instaurato.

1.2 Composizione Per quanto riguarda l’esercizio 2004, i fornitori sono stati classificati secondo le

seguenti macro categorie:

Tipologie di fornitura Italia Estero N. aziende %

Beni materiali 113 20 133 71

Lavorazioni conto terzi 13 1 14 8

Consulenze 13 4 17 9

137

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Trasporti 12 2 14 8

Utenze 8 0 8 4

Totale 159 27 186 100

Nell’anno considerato sono stati movimentati fornitori per un totale di 186 di cui 159

italiani e 27 esteri.

0 20 40 60 80 100 120

N.AZIENDE

BENI MATERIALI

LAVORAZIONI CONTO TERZI

CONSULENZE

TRASPORTI

UTENZE

CATEGORIE FORNITORI

CATEGORIE FORNITORI ITALIA/ESTERO

ESTEROITALIA

Il 71% dei fornitori appartiene alla categoria «beni materiali» includendo in essa tutti

i fornitori coinvolti nel processo produttivo vero e proprio, cioè la realizzazione di

sistemi a tecnologia laser; in particolare forniscono componenti elettronici, ottici,

ecc., come più avanti elencato. Gli altri settori in termini di percentuale non sono

particolarmente rilevanti, ma sono comunque di importanza notevole perché

forniscono tutto ciò che è di supporto all’attività aziendale (ad esempio tra le utenze

ricordiamo compagnie telefoniche, ENEL, ecc., tra le consulenze gli avvocati, gli

studi commercialistici, ecc.).

Tecnogamma inoltre esternalizza anche alcune attività quali lavorazioni meccaniche,

realizzazione di cablaggi elettrici, quadri elettrici,ecc.

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0

20

40

60

80

100

120

N.AZIENDE

ITALIA ESTERO

TIPOLOGIE DI FORNITURA ITALIA/ESTERO

BENI MATERIALI

LAVORAZIONI CONTOTERZI

CONSULENZE

TRASPORTI

UTENZE

I fornitori sono ubicati prevalentemente in Italia come vedremo in modo più

dettagliato in seguito, mentre per quanto riguarda i fornitori esteri, che sono un totale

di 27, 9 appartengono agli stati intracee (UK, Germania, Francia) mentre i rimanenti

agli stati extracee (Cina, Usa, Giappone).

In particolare il settore beni materiali è stato a sua volta suddiviso in:

Meccanica: componentistica varia (staffe,

viti…)

Elettronica: componentistica varia

(resistenze, memorie ram, diodi laser,

sensori…)

Elettrica: cavi, alimentatori, quadri,

trasformatori

Informatica: software, componenti per pc

Ottica: obiettivi ottici, filtri ottici, lenti

1.3 Ricaduta sul territorio

Settori Nord Centro Sud Totale

Beni materiali 104 8 1 113

Categorie N. aziende %

Meccanica 41 37

Elettronica 38 34

Elettrica 6 5

Informatica 11 10

Ottica 13 12

Cancelleria 3 3

Totale 113 100

139

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Lavorazioni conto terzi 13 0 0 13

Consulenze 11 2 0 13

Trasporti 12 0 0 12

Utenze 4 4 0 8

Totale 144 14 1 159

% 90 9 1 100

Il grafico evidenzia la concentrazione dei fornitori al Nord d’Italia, mentre solo il

10% sono presenti al Sud e al Centro a dimostrazione del concetto che Tecnogamma

preferisce instaurare legami con fornitori locali. Le regioni settentrionali

maggiormente interessate sono il Veneto con 85 aziende su 144 e la Lombardia con

45 aziende sul totale. Le rimanenti regioni quali Piemonte, Liguria, Friuli Venezia

Giulia, Emilia Romagna e Trentino rappresentano il 14 % circa.

Più dettagliatamente il 71% delle aziende situate in Veneto sono ubicate in provincia

di Treviso, il 14% in provincia di Padova, il 7% in provincia di Vicenza e Venezia ed

infine l’1% in provincia di Verona.

1.4 Fatturato

Nell’anno di riferimento il fatturato complessivo per gli acquisti e i servizi ammonta

a Euro 1.335.624 suddiviso nelle seguenti tipologie di fornitura:

Tipologie di fornitura Fatturato

Beni materiali 713.569

Lavorazioni conto terzi 397.051

Consulenze 96.238

Trasporti 43.175

Utenze 85.591

Totale 1.335.624

140

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0100.000200.000300.000400.000500.000600.000700.000800.000

Beni m

ater

iali

Lavo

razio

ni c/ter

ziCo

nsulen

zeTr

aspo

rti

Uten

ze

FATTURATO

fatturato in migliaia di EU

I primi 10 fornitori in termini di fatturato, di cui viene indicato il settore e non il

nome, rappresentano quasi il 50% della spesa totale.

E’ da notare che sebbene i fornitori di lavorazioni conto terzi sono in numero limitato

rispetto ai fornitori di produzione, li ritroviamo comunque ai primi posti; ciò

significa che l’importo delle singole forniture è consistente.

Al contrario invece, il fatturato del primo fornitore in assoluto, fornitore lombardo di

elettronica, deriva dalla somma di molti ordini (51) i cui singoli importi non sono

rilevanti.

Di seguito il grafico con «i primi 10 fornitori»: (non vengono indicati i nomi delle

aziende per rispettare la legge della privacy)

020.00040.00060.00080.000

100.000120.000140.000

ELETTRONIC

A

LAVOR. C

/3

LAVOR. C

/3

LAVOR. C

/3

ELETTRONIC

A

UTENZE

ELETTRONIC

A

ELETTRONIC

A

CONSULENZE

LAVOR. C

/3

TIPOLOGIA DEI PRIMI 10 FORNITORI

FATTURATO

141

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1.5 Condizioni negoziali

L’azienda non svolge un’analisi dettagliata sul rapporto qualità, prezzo, tempi di

consegna come pure il prezzo deriva da decisioni negoziate con il fornitore.

1.5.1 Dilazioni di pagamento

La

maggioranza

delle aziende

vengono

pagate a 30

giorni (le

consulenze di

solito 30

giorni) o 60

giorni mentre i pagamenti esteri vengono effettuati prevalentemente subito mediante

carte di credito o bonifico.

DILAZIONI DI PAGAMENTO

305 1

82

1 1

57

4 50

20406080

100

IMMEDIATO

15 G

G20

GG

30 G

G45

GG

30/60

GG

60 G

G

60/90

GG

90 G

G

MODALITA' DI PAGAMENTO

N. D

I AZI

END

E

N. DI AZIENDE

1.5.2 Tempi medi di consegna

Dall’analisi effettuata emerge che il

tempo medio di consegna dei fornitori

è di 16 giorni (16,1).

Settore Giorni di consegna

Elettronica 19,3

Informatica 17,4

Meccanica 10,7

Quadri elettrici 5,6

Ottica 33

Cancelleria 1

Senza nome 9,3

Media 16,1

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Come si può notare le categorie considerate sono diverse da quelle fino ad ora

utilizzate; in particolare la categoria elettrica è stata inclusa in quella elettronica

poiché poco rilevante mentre è stata aggiunta la categoria quadri elettrici, fornitura

molto consistente per l’anno in corso.

La categoria «senza nome» invece fa riferimento agli ordini per i quali non è stato

possibile definire il settore di appartenenza. Da ciò emerge che un problema

riscontrato è la difficoltà nella suddivisione degli ordini secondo il settore di

appartenenza.

Ai fini dell’analisi non sono stati considerati tutti gli ordini effettuati nell’anno 2004,

bensì sono stati presi a riferimento circa il 70% dei dati. I criteri adottati per la

selezione sono i seguenti:

− ritardi ammissibili degli ordini fino a 160 giorni

− forniture anticipate fino a max 19 giorni

− ordini senza data di arrivo o con errori nella digitazione dei mesi (ad

esempio il mese dell’ordine è gennaio e invece si scrive maggio, oppure

l’anno di riferimento è 2004 mentre nei primi giorni dell’anno si continua

a scrivere 2003)non sono stati considerati anche se disponibili.

1.6 Contenzioso e litigiosità

Attualmente non ci sono situazioni di contenzioso in essere con i fornitori. In diversi

anni di attività, Tecnogamma solo rarissime volte si è trovata di fronte a contenziosi

che si sono sempre risolti in maniera benevola, con accordi tra le parti, in linea con la

politica aziendale.

1.7 Sistemi di qualità, controllo e certificazione

1.7.1 Studio sulla qualità della prestazione dei fornitori

Tecnogamma nell’ambito del progetto di certificazione della qualità ha intrapreso un

lavoro di analisi dei fornitori dal punto di vista della qualità della prestazione.

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In particolare sono stati analizzati i fornitori classificati come “abituali” ossia che

rispondono ai seguenti requisiti:

− quantità ordini superiore a 2;

− forniture effettuate con continuità dal 2002;

e pertanto possono essere considerati fornitori abituali.

Lo scopo dell’attività è di definire gli obiettivi, i mezzi, i modi e le responsabilità per

garantire un servizio di approvvigionamenti efficiente. Tale servizio riguarda:

− la scelta (qualifica) e la valutazione dei fornitori;

− i criteri di accettazione e di verifica dei prodotti;

− la gestione degli ordini di acquisto.

La qualifica è il riconoscimento ufficiale e formale da parte di Tecnogamma, che il

fornitore è organizzato e strutturato tale da garantire la fornitura di prodotti e servizi

conformi ai requisiti contrattuali e di Qualità richiesti.

I fornitori sono qualificati attraverso una valutazione preventiva e una valutazione

consuntiva in primari (dai quali ci si approvvigiona frequentemente), secondari

(fornitori di riserva) e da eliminare (da eliminare definitivamente).

La valutazione consuntiva rileva il grado di soddisfazione dell’azienda per i servizi

ed i prodotti forniti in base ai seguenti parametri:

− qualità dell’oggetto della fornitura;

− condizioni di fornitura (imballo e trasporto);

− qualità del servizio (puntualità, flessibilità, capacità di far fronte a

variazioni di programma, tempestività nella soluzione di eventuali

problemi).

Il primo parametro è oggettivato mediante l’analisi dei risultati delle Non

Conformità, il secondo è caratterizzato dalla confezione in quanto la qualità e

l’affidabilità di questa implicano la garanzia del mantenimento della qualità del

prodotto contenuto durante il trasporto e la movimentazione dei prodotti. Inoltre si

devono considerare la conformità alle specifiche di imballo. Infine la qualità del

servizio è composto da tre fattori:

1) puntualità nelle consegne: corrispondenza fra data richiesta e data effettiva di

consegna;

2) flessibilità: capacità di accogliere le richieste del cliente;

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3) tempestività: tempestività nel risolvere i problemi.

La valutazione di ognuno di questi parametri viene effettuata assegnando un

punteggio da 1 a 4. La valutazione finale consiste nella media pesata di tali

parametri.

Dall’analisi effettuata emerge che i fornitori soddisfano pienamente i requisiti, infatti

in media sono stati rilevati i seguenti punteggi (il max è 4):

− confezione: 3,9

− puntualità nelle consegne: 3,6

− flessibilità: 3,7

− tempestività: 3,6

Inoltre per confermare la validità dei fornitori è emerso che il 90% di essi effettua

forniture conformi alle richieste.

Infine è da notare che il numero delle consegne per quasi il 70% di essi è compreso

da tra 1 e 10 in un anno.

1.8 Impegni per il futuro

Per il futuro non sono stati presi impegni o accordi particolari; solamente alcuni

fornitori sono stati avvisati che nel breve periodo incrementeranno gli ordini,

pertanto è stato richiesto loro di organizzarsi al meglio per poter gestire la

situazione.Inoltre per far fronte allo sviluppo futuro dell’azienda è stata investita

un’ingente somma di denaro per l’acquisto di un sistema di pianificazione integrata

delle risorse denominato ERP.

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CAPITOLO 3

CASI AZIENDALI

Il terzo capitolo presenta due aziende che hanno intrapreso la politica della Rsi,

evidenziando quali sono state le azioni concrete, le motivazioni, i vantaggi derivanti

dall’introduzione del progetto. Con questo capitolo si vuole sostenere che la RSI non

deve rimanere un miraggio aziendale, perché non si conoscono i vantaggi concreti,

bensì deve essere compresa tra gli obiettivi principali aziendali.

Entrambe le organizzazioni di seguito analizzate erano presenti al convegno

promosso da Un industria intitolato «Le aziende responsabili sono più competitive»,

tenutosi a Ponzano Veneto il 5 maggio 2005. BOX MARCHE SPA Profilo aziendale

Azienda di Ancona, produce articoli cartotecnici (scatole, astucci, imballi) per settori

alimentare cosmetico, farmaceutico, casalinghi e piccoli elettrodomestici, etc. Ha un

fatturato di 10 milioni di Euro e un organico di 54 dipendenti. I suoi principali

stakeholder sono: personale, fornitori, finanziatori, azionisti, clienti, pubblica

amministrazione, comunità, territorio, ambiente.

Ha adottato le seguenti pratiche di CSR:

o rendicontazione sociale (bilancio sociale su standard GBS, CSR-SC, Q-RES);

o certificazione per la gestione della Sicurezza e Salute dei lavoratori (OHSAS

18001);

o certificazione responsabilità sociale (SA 8000);

o report ambientali interni;

o formazione del capitale intellettuale;

o informazione e coinvolgimento del personale;

o educazione al riciclaggio della carta;

o open house aziendali per clienti e fornitori;

o incontri periodici con finanziatori ed azionisti;

o filantropia;

146

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Quali sono le motivazioni che hanno condotto Box Marche SPA ad una scelta

strategica orientata alla Responsabilità Sociale d’Impresa?

Le azioni di CSR sono volute dal vertice aziendale in quanto riconosciute come

valore sia per l’azienda sia per uno sviluppo economico responsabile e sostenibile.

Le azioni concrete intraprese da Box Marche SPA per una gestione socialmente

responsabile:

Box Marche, in coerenza ai principi etici con cui ha scelto di operare, adotta un

sistema di gestione responsabile che ha effetti positivi sul piano economico ma anche

sociale, etico ed ambientale. Le azioni di responsabilità economica e sociale finora

intraprese dall’azienda sono state indirizzate ai seguenti stakeholder:

1. Dipendenti: coinvolgimento del personale alla mission e alla vision aziendale;

formazione del personale su tematiche ambientali e di responsabilità sociale,

crescita intellettuale mediante erogazione di corsi; sviluppo della

partecipazione agli obiettivi aziendali mediante costante informazione sui

risultati raggiunti dall’azienda (lettera aziendale di fine anno); collaborazioni

e riconoscimenti ai dipendenti (premi, borse di studio per figli, studenti, gite

aziendali, ecc.); sistema di incentivazione economica per tutto il personale a

raggiungimento risultati (SKILL PASSPORT); monitoraggio e cura del clima

aziendale (filosofia del sorriso, grafico del piacere, indagini sulla

soddisfazione dei dipendenti); adeguamento alle norme SA 8000;

adeguamento alle norme sulla sicurezza negli ambienti di lavoro.

2. Clienti-Fornitori-Finanziatori: organizzazione di incontri e canali di dialogo

per rendere massima la partecipazione con tali stakeholder in modo da

soddisfare le reciproche aspettative nel modo più vantaggioso possibile.

3. Azionisti: costante informazione sulla gestione aziendale oltre quella prevista

per legge (presentazione del budget, dei piani triennali, del bilancio

semestrale, ecc.) mediante canali di comunicazione formali (assemblee) e

informali.

4. Ambiente: azioni di educazione ambientale come incontri con scuole ed

istituti, creazione di prodotti ecologici per lo sviluppo della raccolta

differenziata dei rifiuti (premio Ecobox).

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5. Comunità e territorio: le azioni verso la comunità locale e la valorizzazione

del territorio rappresentano una inclinazione naturale dell’azienda. Corinaldo

(il paese dove è ubicata l’azienda) e la sua gente vengono riconosciuti da

Boxmarche come ricchezza “aziendale” intangibile.

Quali sono stati i vantaggi

Il sistema di gestione responsabile raggiunto da Box Marche ha permesso un più

elevato livello di qualità del prodotto e del processo di produzione. I numerosi

investimenti verso pratiche di CSR e l’introduzione del sistema di incentivazione

«SKILL PASSPORT» hanno portato interessanti risultati in termini di produttività.

Ulteriori vantaggi sono stati ottenuti in termini di clima aziendale e livelli di

soddisfazione personale. L’azienda ha consolidato la propria reputazione e

competitività nel mercato.

A quali persone hanno comunicato il loro successo e come l’hanno fatto:

Boxmarche comunica i risultati raggiunti ai propri stakeholder mediante:

o sito internet dove è possibile trovare iniziative ed ulteriori informazioni;

o il periodico bimestrale Next idee & packaging, luogo di dialogo e cultura;

o questionari allegati al bilancio sociale per monitorare i suggerimenti e la

soddisfazione degli stakeholder;

o strumenti di comunicazione interna per il personale;

o organizzazione di incontri con categorie di stakeholder (banche, azionisti,

fornitori, clienti);

o organizzazione di forum aperti al pubblico;

o convegni ed eventi di convivialità;

o il bilancio sociale 2003 è stato presentato nel corso di un convegno cui hanno

partecipato relatori esterni ed esperti sul tema della responsabilità sociale.

SABAF SPA

Profilo aziendale

Azienda bresciana, produce componenti per le cucine a gas. La società, quotata in

borsa dal 1998 e nel segmento STAR dal 2001, ha un fatturato di 120 milioni di Euro

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e un organico di 500 collaboratori. Anche nel 2004 Sabaf ha confermato una robusta

crescita organica (fatturato +10%) e ottimi livelli di redditività. Fondata dalla

famiglia Saleri, tuttora azionista di maggioranza, è giunta alla seconda generazione

ed è gestita da un team di manager esterni alla proprietà, guidato da Angelo

Bettinzoli, in Sabaf da 35 anni.

Che cosa è la Responsabilità Sociale di Impresa per Sabaf e quali sono le

motivazioni che hanno condotto ad una scelta strategica ad essa orientata.

In Sabaf la coscienza della responsabilità verso il mondo esterno si è manifestata nel

percorso di crescita, culturale e dimensionale, degli ultimi anni. Ne sono l’esempio la

scelta del modello manageriale che ha conferito un’ampia delega e responsabilità a

manager esterni alla proprietà, la decisione di quotarsi in Borsa, e di conseguenza, la

chiara esplicitazione degli obiettivi aziendali e la piena e convinta adesione a principi

di trasparenza nella gestione. Al di sopra di tutto ciò, comunque, rimane come valore

originario e quindi come criterio fondamentale di ogni scelta la «Persona»: da questo

deriva una visione imprenditoriale incentrata sulla piena valorizzazione del

patrimonio umano, il fattore di successo più profondo. Un orientamento strategico

consapevole delle dimensioni sociale ed ambientale del business ha portato Sabaf a

coniugare le scelte e i risultati economici con i valori etici, mediante il superamento

del capitalismo familiare, a favore di una logica manageriale orientata non solo alla

creazione di valore, ma anche al rispetto dei valori. L’impegno dell’Alta direzione è

stato formalizzato assegnando al Consiglio di Amministrazione specifiche

competenze nella definizione delle politiche di Responsabilità Sociale di Sabaf.

Inoltre, tra le prime società in Italia, Sabaf fa nominato un membro indipendente del

Consiglio di Amministrazione con esperienze professionali in materia di

responsabilità sociale. L’azienda ha così accettato la sfida della costruzione di una

sostenibilità duratura nel tempo come l’unica capace di generare benefici per la

collettività.

Le azioni concrete intraprese dalla Sabaf per una gestione socialmente responsabile:

L’obiettivo del percorso di gestione socialmente responsabile in essere è esplicitato

nella Carta Valori: ricomporre i principi della gestione economica con l’etica fondata

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sulla Centralità della Persona, nella convinzione che le scelte socialmente corrette

siano anche le scelte economicamente vincenti. Tale obiettivo è vissuto in Sabaf

come la condizione indispensabile per la crescita sostenibile dell’impresa nel lungo

periodo. Per tramutare in scelte di intervento ed attività gestionali i valori ed i

principi dello sviluppo sostenibile, l’azienda ha applicato un Processo di Gestione

Responsabile per lo Sviluppo Sostenibile – ProGress – che, attraverso una

,metodologia unificata, armonizza gli approcci gestionali esistenti in un unico

processo di gestione responsabile orientato all’applicazione di percorsi di eccellenza.

o condivisione dei valori, della missione e dei principi di sostenibilità

economica, sociale ed ambientale;

o adozione di un processo do formazione-intervento, in grado di implementare

le azioni di miglioramento attraverso progetti interfunzionali, che

coinvolgono i dipendenti;

o elaborazione di un sistema di controllo interno, capace di monitorare sia il

raggiungimento degli obiettivi predefiniti, sia gli eventuali rischi etici, nonché

di verificare l’attuazione degli impegni verso gli stakeholder;

o definizione di key-indicator, capaci di monitorare le prestazioni economiche,

sociali e ambientali;

o adozione di un sistema di rendicontazione chiaro e completo, per informare

efficacemente gli stakeholder;

o definizione di un sistema de rilevazione, per condividere e definire insieme

agli stakeholdr il percorso di miglioramento da attuare.

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CONCLUSIONE Nelle sezioni precedenti dell’elaborato è stata analizzata l’etica d’impresa tenendo

separati i concetti teorici dall’indagine campionaria. Uno degli obiettivi su cui si è

basata la tesi è il confronto delle due sezioni, la prima teorica e l’altra pratica,

studiando eventuali differenze o analogie.

L’etica d’impresa, in particolare l’etica, che ha per oggetto la condotta dell’uomo e i

criteri in base ai quali si valutano i comportamenti e le scelte, è un concetto che si sta

sviluppando negli ultimi anni, di cui la maggioranza delle aziende è a conoscenza.

Esse, infatti, ritengono importante considerare la morale, sinonimo di etica, come

principio guida della vita aziendale, in controtendenza con le teorie «classiche-

neoclassiche». L’etica d’impresa sviluppa il modo in cui le persone si comportano

all’interno del mondo degli affari dando rilevanza notevole «al come» sono svolte le

attività. Ecco allora che l’obiettivo si sposta dal semplice conseguimento del profitto

ad un obiettivo più specifico, che considera il processo mediante il quale si raggiunge

il risultato finale.

Valutare l’etica in azienda non significa mettere il profitto in secondo piano,

altrimenti non avrebbe senso l’esistenza dell’azienda stessa; però esso non rimane il

principio assoluto e unico su cui si basano i comportamenti dell’imprenditore. In

realtà, le aziende considerano il conseguimento dell’utile come l’obiettivo principale

ma ad esso associano altri scopi, che possiamo definire etici. In questo modo la loro

visione si orienta in un futuro verso la politica della «Responsabilità Sociale

d’Impresa»(RSI).

In generale, tuttavia, si sottolinea la costante separazione tra la riflessione sulla

responsabilità sociale e quella di etica degli affari: l’una rivolta agli obblighi sociali

dell’impresa al di fuori della sua attività economica, l’altra tesa a definire le basi

morali dell’attività e delle operazioni più proprie delle organizzazioni produttive.

I fini etici sono indirizzati soprattutto alle risorse umane presenti in azienda e si

esplicano principalmente nel rispetto della persona o in investimenti specifici per lo

stakeholder stesso. Inoltre, particolare rilevanza viene data alla solidarietà come fine

sociale.

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Adottare comportamenti etici non significa solo in senso stretto rispettare le leggi

dello stato o essere onesti con sé stessi e con gli altri, ma anche avere cura delle

generazioni future ponendo attenzione all’impatto delle proprie operazioni aziendali

(concezione teleologica), promuovendo il «bene comune», concetto su cui si basa la

RSI.

Ogni imprenditore può essere ispirato da valori diversi che non necessariamente

devono essere religiosi e che possono dipendere dalla propria formazione e cultura.

Si potrà parlare di presa di coscienza interiore degli argomenti quando verrà a

sfumare la demarcazione tra imprenditore ispirato a principi e valori vicini alla

morale cristiana e imprenditore estraneo.

E’ necessario che gli imprenditori riflettano attentamente su questo aspetto etico

della loro vita personale e dei propri collaboratori, ai vari livelli e nelle varie aree

funzionali, nella consapevolezza che la loro impresa non può vivere senza una

«coscienza morale»; responsabilità morale che, secondo gli imprenditori intervistati

viene attribuita all’impresa e non alle singole persone, poiché essa è costituita da

individui.

Il problema che rimane in sospeso, è la difficoltà nel valutare cosa sia etico e cosa

non lo sia, cioè non esiste una decisione «giusta» ma esiste comunque una decisione

presa responsabilmente; inoltre non si ha la certezza che siano presenti davvero una

pluralità di motivazioni o se sia l’egoismo soltanto che dirige gli esseri umani.

L’imprenditore non ha a disposizione un decalogo sul quale basarsi, può comunque

definire una carta di valori da condividere con gli altri collaboratori. A tale proposito

è emerso chiaramente dall’indagine che i valori ispiratori della gestione sono: il

rispetto del prossimo e della dignità umana, la correttezza, l’onestà, la giustizia, la

fiducia ed infine la tutela ambientale e delle risorse. Quest’ultimi orientano gli

atteggiamenti e i comportamenti dei soggetti operanti all’interno e all’esterno

dell’impresa e si possono ricondurre al filone della Business Ethics sviluppatosi negli

Stati Uniti.

L’applicazione di tali principi etici generali nella vita concreta delle imprese spesso

si presenta incerta, soprattutto perché i soggetti chiamati a decidere hanno dei doveri

morali nei confronti di una pluralità di persone, dalle attese differenziate e spesso in

conflitto tra di loro. Come sostengono alcuni studiosi l’interiorizzazione di tali valori,

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nella realtà aziendale, rappresenta una precondizione per l’affermarsi di valori

d’impresa funzionali al successo duraturo dell’impresa.

Il dubbio che emerge in continuazione analizzando le aziende è che integrare

obiettivi economici e obiettivi etici o, se si scende nel particolare, investire

nell’ambito del sociale, potrebbe comportare minori utili e la disponibilità di minori

risorse finanziarie per l’effettuazione di investimenti direttamente produttivi. Tale

obiezione è valida limitatamente al breve periodo, perché il progresso reddituale,

competitivo e sociale non si realizza istantaneamente, ma si dispiega nel tempo e, di

solito, in un tempo non breve.

Si è voluto sostenere, a differenza di altre impostazioni teoriche, che l’impresa pur

mantenendo come base insostituibile ed indispensabile la logica economica, affianca

a quest’ultima un’attenzione verso il sociale adottando quindi una teoria estensiva e

non riduttiva, secondo la quale l’obiettivo che caratterizza l’attività dell’impresa deve

essere necessariamente ispirato a criteri economici. A tale proposito, l’analisi è stata

concentrata sull’«impegno sociale» delle aziende, evidenziando che la maggioranza

investe in iniziative di carattere sociale, cioè a sostegno della cultura, dell’ambiente e

della solidarietà e in altri ambiti simili. In particolare, le aziende finanziano le

iniziative di carattere sociale contribuendo direttamente alla realizzazione di un

progetto, acquistando o donando prodotti, materiali o strumenti. Le motivazioni che

spingono le stesse ad intraprendere determinate attività sono quasi sempre interiori,

cioè derivano dai valori in cui credono, che poche volte sono chiaramente definiti e

di conseguenza non noti al personale aziendale. Tra le aziende intervistate però, è

stato constatato un certo grado di incertezza nel definire quali siano questi valori che

si affiancano alla solidarietà, rilevando invece che gli interventi sono efficaci per

ottenere un ritorno in termini di immagine economica. Ecco allora che gli

investimenti sociali, da distinguere con la beneficenza, comportano sicuramente dei

vantaggi quali ad esempio, l’utilizzo del progetto per coinvolgere il personale

aziendale oltre al riscontro positivo appena citato.

Un aspetto da sottolineare è che l’impegno non deve essere confuso con la RSI,

intendendo per impegno la base di partenza per intraprendere la politica. Le imprese

intervistate anche se non hanno dichiarato di aver adottato la RSI, sono comunque

sensibili agli stakeholder a cui essa fa riferimento, ad esempio il personale o la

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comunità territoriale. Molte volte le aziende negano o si creano dei preconcetti sulla

RSI solo perché pensano che adottare il progetto significhi certificarsi SA 8000

(Standard Accountability), invece involontariamente stanno già attuando iniziative

inerenti al tema (si veda attività anti-inquinamento). Predisporre il codice etico,

redigere il bilancio sociale, certificarsi, ecc., sono tutti strumenti per adottare la RSI

ma non l’oggetto.

Ritornando ad uno degli obiettivi della tesi, cioè valutare il grado di conoscenza del

tema della RSI nelle aziende trevigiane, è stato rilevato che parte del campione si

discosta dalle statistiche nazionali. A queste aziende è stato somministrato il

questionario durante conferenze sulla RSI promosse da Unindustria, di conseguenza

conoscevano la tematica. Le altre aziende del campione invece, del tutto estranee alle

iniziative, che rappresentano la maggioranza delle aziende presenti nel territorio, non

ne avevano mai sentito parlare. I dati si possono confrontare con la ricerca svolta da

Unioncamere, nell’ambito del Progetto CSR (Corporate Social Responsability) del

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, dalla quale risulta statisticamente che,

nella fascia di aziende con 1-19 addetti, solo il 10-15% delle stesse ha conoscenza

delle tematiche relative alla RSI. Secondo il Censimento Intermedio

dell’Unindustria, le imprese fino a 19 addetti rappresentano oltre il 90% delle

Imprese italiane.

In particolare questa tipologia di imprese, rappresentando la configurazione delle

aziende presenti nel Nord-Est, è stata oggetto della mia ricerca. I primi ostacoli

affrontati all’inizio dell’indagine sono state le reazioni al questionario: la RSI è solo

«aria fritta»; un modo per far cessare l’attività se l’azienda si dedicasse solo al

sociale (concetti che anni fa erano sostenuti anche da studiosi quali ad esempio M.

Friedman); è una inutile perdita di tempo; «attività lussuose» solo per le aziende che

hanno i mezzi per permettersele, ecc. Frederick W.C84. definirebbe tale

comportamento un «atteggiamento passivo», secondo il quale le imprese rispondono

ai mutamenti ambientali resistendo il più possibile, chiudendosi «a riccio». Se ne

deduce che le conoscenze sono limitate o ancora peggio manca la sensibilità

aziendale (dato confermato dal numero di risposte ricevute).

84FREDERICK W.C, Business and Society, McGraw-hill, New York, 1988

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La scarsità delle risposte ottenute è uno dei motivi che attribuisce al campione di

aziende analizzato il carattere della non rappresentatività della provincia di Treviso.

Le aziende più disponibili, che secondo Frederick invece hanno un atteggiamento

interattivo, sono state aziende dotate di una struttura aziendale non necessariamente

di grandi dimensioni, dove ogni responsabile ha il sua mansione e può permettersi di

gestire il tempo e i compiti in modo autonomo; di conseguenza, avrebbero la

possibilità di dedicare risorse e persone ad attività che per l’azienda sono secondarie

ma che sicuramente portano al successo e allo sviluppo.

Le aziende anche se non adottano la RSI ritrovano comunque in esse i principi che

stanno alla base di tale politica: la reputazione, il consenso, la fiducia delle diverse

categorie di stakeholder, il valore della conoscenza e la capacità di innovare, la

valorizzazione delle risorse umane e il coinvolgimento nella vita aziendale ed infine

la disponibilità a contribuire al benessere della comunità.

Essere responsabili non significa condurre attività eroiche bensì «tenere conto delle

conseguenze delle proprie azioni ed essere disposti a pagare il conto delle proprie

azioni» come diceva Max Weber. Il primo dovere aziendale è proprio quello di non

mettere in pericolo le condizioni della sopravvivenza dell’umanità sulla terra,

assumendosi volontariamente una obbligazione sociale nei confronti della

collettività.

Uno dei caratteri fondamentali della RSI è la volontarietà delle iniziative come

previsto nel libro verde della Commissione Europea del luglio 2001, che definisce

RSI «l’integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni

sociali e ambientali nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti

interessate».

Le aziende intervistate, alla domanda che chiedeva di esprimere il concetto di RSI,

non hanno evidenziato il requisito della volontarietà, ma hanno dato definizioni

molto esaurienti, sottolineando l’attenzione verso il sociale e le problematiche

ambientali.

La volontarietà comporta che il risultato finale, cioè l’adozione delle politiche, derivi

da un processo graduale di maturazione e di interiorizzazione dei concetti, prendendo

le decisioni con convinzione e non per costrizione.

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Tale affermazione viene dimostrata anche dagli imprenditori, i quali sono disposti ad

introdurre la RSI in azienda indipendentemente da contributi, incentivi fiscali, o

agevolazioni erogate dallo stato o da altri enti preposti, ritenute soluzioni paradossali

con il contenuto etico dell’operazione. Il denaro, infatti, può essere utile se c’è

cultura e conoscenza, mentre perde la sua efficacia se viene inteso come strumento

per ottenere un processo duraturo e credibile.

Gli imprenditori sono prima di tutto interessati ai vantaggi economici che ricavano e

solo in un secondo momento riflettono sull’importanza della RSI. A lavoro ultimato,

supportata dagli studi in materia e da consulenze professionali, mi ritrovo a

condividere l’opinione dello studioso Hinna85 secondo il quale la RSI comporta:

o favorire atteggiamenti cooperativi da parte dei collaboratori;

o migliorare la qualità delle relazioni con le organizzazioni sindacali;

o migliorare la capacità dell’impresa di attrarre le risorse umane migliori;

o aumentare la fiducia dei consumatori nei confronti dei prodotti dell’impresa

stessa;

o migliorare la capacità di attrarre nuovi investitori;

o aumentare l’affidabilità dell’impresa agli occhi dei fornitori;

o migliorare le relazioni dell’impresa con la comunità circostante;

o promuovere lo sviluppo della cultura d’impresa e aumentare l’accettabilità

dell’impresa da parte dei rappresentanti di paesi in via di sviluppo;

o migliorare la reputazione dell’impresa;

o contribuire al benessere generale, promovendo lo sviluppo sostenibile.

Tutte queste ragioni costituiscono una «giustificazione economica» del concetto di

«Responsabilità Sociale di impresa», nel senso che esse forniscono una spiegazione

in termini di scelta razionale dei vantaggi connessi all’adozione di comportamenti

improntati sul rispetto di un nucleo di valori.

Il ragionamento tradizionale secondo cui il perseguimento di politiche socialmente

responsabili comporta solo dei costi addizionali, viene di fatto capovolto. Certo per

l’impresa significa investire denaro, tempo e risorse che, molto spesso, non sono

competenti e per tale motivo devono essere formate. Dall’analisi si rileva che uno dei

motivi principali ostacolanti ad esempio la redazione del bilancio sociale è proprio la

85 HINNA L., (a cura di), op. cit.

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mancanza di personale specializzato o la mancanza di personale che possa dedicarsi

alla rendicontazione. Nelle poche aziende intervistate che redigono il documento, il

compito viene affidato al personale amministrativo o a stagisti, a dimostrazione

dell’importanza esigua che assume l’argomento; inoltre in azienda non è presente il

comitato etico, il quale avrebbe il compito di controllare l’operato della stessa. Le

aziende non ritengono necessaria la funzione svolta da un organismo terzo di

certificazione della «qualità morale» perché considerato un onere aggiuntivo.

L’incoerenza tra comportamenti di impresa e valori ritenuti rilevanti per la

collettività (rispetto dei diritti umani, rispetto dell’ambiente) viene sanzionata dal

mercato in termini di minori vendite, perdita di immagine e di attrattività.

L’impresa del nuovo millennio deve rispondere ad esigenze diverse rispetto a quelle

tradizionalmente richieste, in particolare, maggiore attenzione viene riservata agli

stakeholder. Si è passati alla domanda di maggiore trasparenza e affidabilità delle

informazioni per poter valutare il grado di soddisfazione delle aspettative dei diversi

portatori di interesse. All’impresa viene oggi chiesto ciò che un tempo sarebbe stato

considerato impossibile, cioè giustificarsi sulle operazioni aziendali. Di conseguenza,

la trasparenza non deve essere considerata un limite per lo svolgimento delle attività,

bensì deve rappresentare una delle condizioni da attuare affinché l’azienda cambi

modo di operare. Trasparenza è infatti, sinonimo di correttezza con cui avviene la

comunicazione interna ed esterna dell’azienda.

Mediante il bilancio sociale, l’azienda potrebbe risolvere in parte il problema

dell’asimmetria informativa, rappresentando il documento la «fotografia»

dell’impresa. Dall’indagine, però, è emerso che una percentuale insignificante redige

il bilancio sociale. In attesa di progressi futuri, all’impresa rimane il dovere di

dichiarare il «vero» senza il riscontro di una rilevazione oggettiva.

Oltre alla trasparenza, ci sono altri due principi alla base dell’etica aziendale:

1. l’equità, cioè la coerenza con cui l’impresa stessa valorizza le competenze e

le risorse che ha a disposizione. Ad esempio, può essere indicato un livello di

equilibrio per la programmazione di investimenti con il fine di ridurre i costi,

aumentare qualità e migliorare le condizioni lavorative;

2. la reciprocità che esprime, da un lato l’esigenza di vedere tutti i dipendenti

sempre più coinvolti nelle scelte aziendali e favorire in questo modo il senso

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di appartenenza e identificazione; dall’altro il bisogno di coinvolgere

ulteriormente gli acquirenti nella progettazione dei propri prodotti, in modo

da diventare parte attiva di relazioni più strutturate.

Quest’ultimo punto è particolarmente importante perché mette in risalto lo

stakeholder, al quale vengono rivolte maggiori attenzioni rispetto agli altri (fornitori,

clienti, comunità di riferimento, stato) e cioè le risorse umane. Queste ultime devono

sentirsi sempre di più parte integrante dell’azienda e non semplici strumenti da

utilizzare per i processi aziendali; di conseguenza l’azienda deve favorire la

collaborazione e la motivazione, in modo tale da creare un clima favorevole. Il

personale, partecipando alle azioni di responsabilità messe in atto, instaura un

rapporto di fiducia con l’organizzazione, interessata non solo ai fini economici ma

anche al benessere della collettività.

Pertanto, adottare comportamenti socialmente responsabili significa ottenere sia

vantaggi concreti in termini economici sia risultati che non si possono misurare.

In un clima di sfiducia, gli sforzi sinceri e trasparenti, che l’impresa può adottare per

illustrare i comportamenti socialmente responsabili, possono essere fraintesi e

interpretati come una pura operazione di immagine o un tentativo di manipolare a

proprio favore il dialogo con gli stakeholder.

Molto spesso la RSI viene definita come «un’operazione di facciata», cioè

un’operazione per dare ai terzi un’immagine dell’azienda che non è quella reale. Le

aziende intervistate non sono d’accordo su questa idea, probabilmente perché hanno

ricevuto informazioni adeguate e corrette.

Anche la reputazione (corporate reputation) è un’altra risorsa intangibile che riveste

importanza notevole, rappresentando una delle forze che incoraggiano l’azienda a

continuare e a migliorare. L’azienda cerca di creare un legame fiduciario oltre che

con le risorse umane anche con la comunità di riferimento, la quale è un ottimo

strumento per diffondere all’esterno l’immagine aziendale. Ma allora, come l’azienda

può guadagnarsi la fiducia? Dedicandosi al sociale, rifacendosi ai concetti esaminati

e indicati nel Libro Verde.

Un aspetto caratterizzante la RSI, che finora è stato solo accennato, riguarda la

necessità per l’azienda di fare riferimento non solo agli interessi informativi degli

azionisti, ma ad una vasta gamma di interlocutori che intrattengono con l’azienda

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non solo rapporti economici finanziari. Tale evoluzione implica necessariamente

l’allargamento dell’accountability, dal punto vista delle informazioni da fornire:

nasce il bilancio sociale come strumento di «misura» dell’azione dell’impresa verso

tutti gli stakeholder legittimamente interessati, strumento che può anche servire come

verifica del grado di rispetto dei codici etici.

Per evitare di disperdersi in molti concetti, questi ultimi argomenti sono stati poco

approfonditi, tuttavia una sezione del questionario riguarda l’«accountability», in

particolare il bilancio sociale. Se fino ad ora si è sostenuto che la RSI non viene

ancora adottata dalle aziende trevigiane, pur essendone a conoscenza, il bilancio

sociale invece, oltre a non essere redatto, è anche poco noto.

Le aziende intervistate, infatti, hanno risposto di non aver ricevuto informazioni

adeguate o addirittura non sanno di cosa si tratti; inoltre continuano a sostenere che il

bilancio sociale rappresenta un onere aggiuntivo e pertanto inutile, convinzione che

impedisce di aprire gli orizzonti alla RSI. Per tale motivo, il questionario si

proponeva di far riflettere gli imprenditori sull’importanza dello stesso e sulle

motivazioni che dovrebbero indurli alla redazione. Di solito, si sente dire dalle

persone inesperte che, come la RSI è un argomento di moda o il «leit motiv» delle

aziende, così il bilancio sociale viene redatto per lo stesso motivo o per «esigenze e

spinte esterne», intendendo con quest’ultime ad esempio la necessità per l’impresa di

ricostruire la propria immagine deterioratasi in seguito a fatti di cronaca spiacevoli.

Fino a quando le aziende non saranno spinte da una motivazione interiore, fondata

sulla consapevolezza, la redazione risulta inutile e in controtendenza con il concetto

di RSI.

Le ragioni che sottostanno alla preparazione del bilancio sono molteplici, in primis,

come lo definisce lo studioso Hinna, esso rappresenta la «business card della

responsabilità sociale, un modo di comunicare i risultati ottenuti dalla società nel

campo della CSR» e un documento da affiancare al bilancio d’esercizio per una

maggiore trasparenza sul modo di operare dell’azienda.

Un consiglio che mi permetterei di dare alle imprese è di iniziare gradualmente

magari con la relazione sociale, tralasciando le altre parti quali l’«identità aziendale»

e la «produzione e distribuzione del valore aggiunto», così da alleggerire il lavoro e

in seguito integrare le sezioni rimanenti.

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Dal bilancio sociale si ricavano informazioni qualitative che apparentemente

potrebbero sembrare insignificanti, invece permettono di dare all’esterno una

fotografia dettagliata dell’azienda. Si fa riferimento, ad esempio, per quanto riguarda

lo stakeholder risorse umane, alle informazioni concernenti la composizione del

personale, il turn-over, il tipo di formazione, ecc.

Anche il codice etico, guida al comportamento etico da parte dell’azienda, non è

molto diffuso tra le aziende interessate. Piuttosto, vengono create «carte valori»,

documenti più semplici, nei quali si definiscono appunto i valori in cui crede

l’azienda, da seguire per una corretta gestione.

La dichiarazione dei valori deve derivare da un graduale ed analitico processo di

interiorizzazione e divulgazione dei valori in azienda che, molto spesso invece, non

sono condivisi dal personale interno.

L’elaborato ha voluto fornire una panoramica dell’etica d’impresa non solo dal punto

di vista teorico, ma anche approfondendo i concetti attraverso le informazioni

ricevute dall’indagine e dal lavoro svolto durante lo stage. Gli obiettivi prefissi nella

fase iniziale sono stati raggiunti affrontando diverse difficoltà, specialmente per

quanto riguarda il questionario. A conclusione del lavoro posso ritenermi soddisfatta

dell’esperienza perché, oltre ad aver conosciuto molte persone del mondo del lavoro,

mi ha dato la possibilità di concretizzare quanto si studia nei testi scolastici.

Purtroppo le aziende non sono state sempre sensibili e disponibili, ma credo

comunque che anche per loro il questionario sia stato motivo di riflessione su

concetti molto spesso lasciati erroneamente in secondo piano.

La responsabilità sociale è un «chiodo» sul quale continuare a battere, fino a quando

le aziende non avranno capito l’importanza. Non credo siano sufficienti gli incentivi

monetari o le agevolazioni, bensì evidenziare i vantaggi economici derivanti

dall’applicazione e promuovere iniziative culturali e di formazione.

Per quanto riguarda i vantaggi in termini quantitativi il tema rimane ancora aperto e

può essere spunto per un ulteriore approfondimento.

Intanto è necessario continuare a lavorare per creare una solida base di conoscenza

sulla quale investire.

Probabilmente la fase attuale di crisi economica non è il periodo più adatto, come

evidenziato anche dagli imprenditori, per intraprendere questa strada; ciò nonostante

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sono dell’opinione che l’azienda, per continuare a ottenere profitto, debba elevare la

qualità delle proprie prestazioni in modo tale da differenziarsi dalla concorrenza.

Investire nella RSI significa appunto dare solidità al marchio, elemento fondamentale

per il successo economico.

Riassumendo, i sei punti chiave per il futuro dell’impresa etica sono86:

1. Trasparenza e completezza nell’informazione. Soltanto in virtù di una

costante attività di reporting con appositi indicatori in puntuali bilanci sociali

e ambientali l’impresa è costretta a riflettere sulle procedure e quantificare in

termini operativi cosa intende per – e come lo pratica – sviluppo sostenibile.

2. Capacità dimostrata di misura delle politiche di sviluppo sostenibile. La

maggior parte dei manager sono giudicati sulla base di criteri

prevalentemente finanziari: ritorno sui capitali investiti, valore aggiunto per

gli azionisti. Sviluppo sostenibile e responsabilità sociale saranno realmente

integrati nella gestione quotidiana delle imprese soltanto quando registri,

documenti contabili e bilanci, classici strumenti di conoscenza e controllo dei

manager, comprenderanno, oltre il dato economico-finanziario, anche quello

sociale e ambientale.

3. La questione decisiva delle piccole e medie imprese. Esse costituiscono il 95

per cento del totale ed è solo in virtù di un loro concreto coinvolgimento che

sarà possibile vincere la battaglia per lo sviluppo sostenibile. Un primo passo

necessario deve essere fatto al proposito dalle multinazionali e dalle grandi

imprese, che devono esigere dai propri fornitori, affinché la politica dello

sviluppo sostenibile si diffonda effettivamente nel mondo delle imprese, di

essere in regola con certificati sociali e ambientali (ISO 14000 e Sa 8000).

4. Condividere i costi. Bisogna applicare senza remore il principio “chi inquina

paga”. Tale responsabilità appartiene innanzitutto ai governanti, ma riguarda

anche le imprese che non possono opporsi sistematicamente a qualsiasi forma

di tassazione e comprendere e condividere il principio secondo il quale “è

necessario attribuire alle tasse un valore non di penalità ma di investimento

collettivo”.

86 CHAVEAU A., ROSE’ J., L’entreprise responsable, Editions d’Organisation, Parigi, 2003

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5. Priorità all’informazione e formazione del consumatore. Esempi e pratiche

sono in questo caso, e per fortuna, numerosi e crescenti. Occorre che le

industrie li moltiplichino.

6. Dare ai nuovi manager una formazione e strumenti in assenza dei quali

responsabilità sociale e sviluppo sostenibile non diventeranno mai pratiche

concrete. I corsi di Business ethics e di Corporate social responsabilità

devono diventare, per la formazione dei futuri manager, laboratori diffusi.

Quando parliamo di RSI e di etica negli affari, parliamo di futuro, di modelli di

sviluppo sostenibili: e per alcuni, siamo alle soglie di un nuovo rinascimento, per

altri è l’ultima occasione prima della catastrofe. Certo è che dobbiamo riflettere su

decenni di «industrializzazione selvaggia» e cominciare a lavorare per un futuro

diverso. Su tale convinzione si è basato tutto il mio lavoro…

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APPENDICE

PROETICA

QUESTIONARIO

LA RESPONSABILITA’ SOCIALE DELLE IMPRESE

AGE MANAGEMENT Equal geografico fase I, Cod. 062

Con il presente Questionario intendo analizzare il grado di conoscenza delle aziende sul concetto di Responsabilità sociale d’impresa, politica che si sta sviluppando negli utimi anni. Essere socialemente responsabili significa andare oltre il semplice rispetto della normativa vigente, investendo di più nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con i portatori di interesse. Ciò si traduce nell’adozione, a livello economico e culturale, di una poltica aziendale che sappia conciliare gli obiettivi economici con gli obiettivi sociali e ambienatali.

1. – ETICA ECONOMICA 11.. –– EETTIICCAA EECCOONNOOMMIICCAA

1. Ha mai sentito parlare di etica economica? Sì No

2. E’ d’accordo su questa frase: “lasciamo la morale ai filosofi, ai filantropi e politici, ma risparmiamo i manager, o al massimo teniamola buona per qualche stucchevole report annuale, comunque alla larga dalle nostre strategie operative”

Sì No In parte

3. Quali sono i veri obiettivi per un imprenditore? Ci possono essere fini “alternativi” dell’attività imprenditoriale? ___________________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________________ ___ 4. Secondo lei tali obiettivi “alternativi”, sono il frutto di un certo tipo di formazione culturale? Se sì, quale? _______________________________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________________________________

5. Quali comportamenti dovrebbe tenere un imprenditore per rispettare i principi etici?

rispettare leggi dello stato

onestà con sé stesso e

con gli altri

ottenere successo in base alle proprie capacità (no “spintarelle”, conoscenze…)

altri (specificare) -________________________________________________

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6. Orientamento all’etica potrebbe essere visto come orientamento alla qualità, un tipo di qualità particolare che non è sul prodotto o sul processo, ma sui valori ispiratori della gestione. Quali sono questi valori? ______________________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________

7. Nella Sua azienda questi ultimi sono stati chiaramente definiti?

Sì No In parte

8. Il personale aziendale conosce qual’è il codice etico della Sua azienda? Sì No In parte

9. Se no, pensate di realizzare attività rivolte a definire il codice etico della Sua azienda o attività di formazione delle risorse umane sull’importanza dello stesso? _______________________________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________________________________

10) Se invece è conosciuto, con quali mezzi lo comunicate?

materiale pubblicitario riunioni interne

comunicazioni informali altro (specificare)_________________________________

11) Secondo Lei esiste correlazione tra il rispetto delle leggi economiche e il rispetto della dignità umana?

_______________________________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________________________________

2. - IMPEGNO SOCIALE 1) Nel 2004 la Sua azienda ha investito in iniziative di carattere sociale, cioè a sostegno della cultura, dell’ambiente e della solidarietà o in altri ambiti simili? Sì No

2) Per quest’anno avete già previsto un budget da destinare al finanziamento di iniziative di carattere sociale? Sì No

3) Quali sono state le modalità d’intervento che la Sua azienda ha adottato per finanziare le iniziative di carattere sociale? (sono possibili più risposte) contributo economico diretto per la realizzazione del progetto raccolta fondi attraverso il coinvolgimento delle risorse

interne

contributo economico diretto per la realizzazione dell’attività e degli strumenti di diffusione e comunicazione

contributo per le campagne pubblicitarie e di informazione dell’ente beneficiario

realizzazione del progetto attraverso propri prodotti e servizi

acquisto/donazione di prodotti, materiali, strutture e strumenti

contributo creativo nell’ideazione del progetto di impegno sociale

erogazione economica a fine anno in sostituzione degli omaggi aziendali

altro (specificare) _____________________________________________________________________________________________

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4) Quali sono i principali criteri adottati dalla Sua azienda nella scelta delle iniziative di finanziamento? (sono possibili più risposte) serietà/affidabilità dell’Associazione/Ente proponente rispondenza alla mission aziendale

validità e reale contributo sociale delle iniziative ritorno in termini di immagine esterna

legame con il territorio/ambito locale collegamento dell’iniziativa con le strategie commerciali

notorietà/immagine dell’Associazione/Ente proponente ritorno in termini di comunicazione interna

validità del piano di comunicazione dell’iniziativa rispondenza ad una linea di gruppo (se multinazionale

altro (specificare) _____________________________________________________________________________________________ 5) Secondo Lei, le aziende che finanziano queste attività sono sensibili a determinati valori, o l’erogazione di finanziamenti a volte viene fatta solo per accontentare l’associazione/ente richiedente? ________________________________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________ 6) Se, secondo Lei sono sensibili ad alcuni valori, li potrebbe definire? ________________________________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________ 7) La Sua azienda riceve troppe richieste di finanziamenti da parte di associazioni esterne? Sì No

8) Personalmente, come valuta la copertura stampa e TV relativa alle misure promosse dalle aziende nel sociale?

Insufficente-scarsa sufficiente buona

9) Qual’ è secondo la Sua azienda l’intervento più efficace in termini di ritorno d’immagine per l’azienda? (sono possibili più risposte) sponsorizzare eventi culturali e/o sportivi a scopo di raccolta di fondi finanziare direttamente associazioni non profit

finanziare strutture e servizi di carattere sociale realizzare campagne pubblicitarie a contenuto sociale

sostenere azioni umanitarie in favore dei bambini

intervenire sul territorio/ambito locale

finanziare interventi rivolti alla difesa ed al recupero ambientale restaurare un monumento

contribuire alla raccolta fondi per la lotta contro gravi malattie realizzare iniziative a favore dei dipendenti

finanziare borse di studio per la ricerca scientifica non interessa avere maggior visibilità

altro (specificare) _________________________________________________________________________________________________________ 10) Dovendo valutare i requisiti fondamentali di un buon progetto sociale, qual’è il livello d’importanza… …della rilevanza sociale dell’intervento bassa media elevata

….ritorno d’immagine su stampa e tv per l’azienda sponsor

bassa media elevata

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….utilizzo del progetto per coinvolgere il personale dell’azienda

bassa media elevata

3. – CONCET O GENERALE DI RESPONSABIILIITAA’ SSOCIALE D’IMPRESA (RSI)

33.. –– CCOONNCCEETTTTTOO GGEENNEERRAALLEE DDII RREESSPPOONNSSAABBILLITTA’’ SOOCCIIAALLEE DD’’IIMMPPRREESSAA ((RRSSII))

1) Ha mai sentito parlare di Responsabilità sociale d’impresa? Sì No In parte

2) Se no, per quali motivi non è a conoscenza:

non ha mai ricevuto informazioni

informazioni ricevute sono imprecise, vaghe

ha ricevuto informazioni ma non le interessa

3) Se non le interessa, per quali motivi? (sono possibili più risposte)

la considera solamente un costo

mancanza di personale da dedicare

limitata esperienza nei confronti del pubblico

sono concetti applicabili solo alle grandi aziende

mancanza di risorse monetarie ridotta rilevanza dei problemi ecologici connessi

a problemi specifici

mancanza di tempo da dedicare vantaggi non sono

noti elevata burocrazia

4) Anche se non adotta questa politica, i seguenti valori si ritrovano nella Sua azienda?

• la reputazione • il consenso e la fiducia delle diverse categorie di stakeholder (portatori di interesse) • il valore della conoscenza e la capacità di innovare • la valorizzazione delle risorse umane e il loro coinvolgimento nella vita aziendale

• la disponibilità a contribuire al benessere della comunità

Sì No In parte

5) Considera RSI solo un’operazione di facciata? Sì No

6) Secondo Lei questi concetti sono troppo astratti, perciò non compatibili con la realtà? Sì No In

parte

7) Se invece è a conoscenza, saprebbe scrivere in poche parole di cosa si tratta? _______________________________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________________________________ 8) Quanto la seguente frase descrive la Sua azienda: “la responsabilità sociale rappresenta per la nostra azienda un obiettivo aziendale al pari degli obiettivi di mercato”

Poco Per niente Molto Abbastanza

9) Nei confronti di questo tema è:

scettico consapevole dell’importanza ma non interessato Interessato pronto ad

iniziare

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10) Da quali fonti ha ricevuto informazioni?

mass-media consulenti aziendali esterni altro (specificare)_________________________________

work-shop studi personali

11) Un’impresa può avere una coscienza, o la responsabilità viene attribuita agli individui e non può essere estesa agli “individui astratti”, che sono le aziende? ______________________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________

12) Quali potrebbero essere i meccanismi adottati da un’azienda per responsabilizzare gli individui?

incentivi ai dirigenti sistemi di controlli interni altro (specificare)_____________________________________

13) Qual è l’impatto umano delle proprie operazioni aziendali? ______________________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________________________________

14) Il rispetto verso le persone in quanto tali e non come nuovi strumenti dell’organizzazione è un aspetto centrale del concetto di responsabilità morale dell’azienda. Come vengono considerate le persone in azienda? _______________________________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________ 15) Le piccole e medie imprese risentono in modo particolare della fiducia della comunità locale. La necessità di crearsi una buona reputazione è quindi molto sentita. Che peso attribuisce a questo valore? _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________

16) Ci sono settori più indicati o tipologie di aziende rispetto ad altre in cui RSI deve essere adottata? _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________

17) Questi concetti si possono realmente applicare nel nostro contesto imprenditoriale del nord-est? _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ 18) Secondo Lei, adottare una condotta socialmente responsabile produce ripercussioni sull’organizzazione aziendale? _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ 19) Secondo Lei, il personale interno quanto condivide le azioni di responsabilità sociale dell’impresa messe in atto dall’azienda?

poco - per niente abbastanza molto

20) Trasparenza e correttezza sono considerati due pilastri della responsabilità sociale d’impresa; secondo lei invece si possono ritenere due limiti? __________________________________________________________________________________________________________ __________________________________________________________________________________________________________

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___________________________________________________________________________________________________________ 21) Secondo Lei, sarebbe necessaria la funzione svolta da un organismo terzo indipendente di certificazione della qualità morale di un’azienda o risulterebbe un onore aggiuntivo? ___________________________________________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________________________________________

22) Di solito i vostri interventi a favore dei collaboratori e della comunità sono realizzati su base personale e per vie non strutturate, non trovando così la possibilità di una rilevazione oggettiva?

Sì No In parte

23) Quali potrebbero essere le soluzioni da adottare affinché le aziende siano incentivate ad introdurre la politica della RSI nelle loro aziende? ___________________________________________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________________________________________ 24) Se alla Sua azienda venissero erogati incentivi monetari, fiscali, agevolazioni sarebbe disposto ad iniziare questo progetto? ___________________________________________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________________________________________

4.- BILANCIO SOCIALE 1) La Sua azienda redige annualmente tale documento? Sì NO

2) Se no, quali sono le motivazioni principali?

è solo uno strumento d’immagine e di moda mancanza personale specializzato

non è disposto a rendere conto delle sue decisioni aziendali ad altri collaboratori oltre che agli azionisti e ai finanziatori

è un onore aggiuntivo

non saprebbe come redigerlo perché non ha avuto informazioni adeguate non è a conoscenza di cosa si tratta

3) Se sì, a chi è affidato il compito:

personale interno all’azienda sia da personale interno che da consulenti esterni

società dI consulenza esterne altro (specificare)__________________________________________

4) Il bilancio d’esercizio non comunica e non rappresenta correttamente i fattori intangibili della gestione. Fattori che, però, sempre più spesso decretano il successo dell’impresa. Esso viene allora integrato con il bilancio sociale. Queste potrebbero essere le motivazioni della redazione di un bilancio sociale: redazione “per moda” redazione “per esigenze e spinte esterne” (recupero di immagine a seguito di fatti ed episodi di cronaca, preparazione alla (quotazione in borsa…) redazione “per presa di coscienza” E’ d’accordo su tali motivazioni? Ne aggiungerebbe altre? ___________________________________________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________________________________________

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5) Una rendicontazione di carattere strettamente economico-contabile comunica una serie di valori che possono essere percepiti solo dai portatori di interessi economici, tagliando fuori tutti gli altri “portatori di interessi” (clienti, fornitori, comunità sociale, ecc). Secondo lei, se avete già redatto il bilancio sociale o sapete di cosa si tratta, esso riesce a colmare questa lacuna?

Sì No In parte

NOTE SUL QUESTIONARIO: troppe domande domande difficili termini usati difficili non ci sono obiezioni altro (specificare)-___________________________________

Per l’Azienda

Timbro e firma

nota sulla privacy per le garanzie di cui al DLGS 196/03

Si è informati che i dati previsti dal presente questionario sono raccolti a puro scopo statistico e verranno usati per definire il problema della Responsabilità Sociale delle Imprese, rilevare in modo obiettivo e documentato le azioni intraprese, accrescere il grado di consapevolezza delle imprese sulle tematiche sociali, ambientali e di sostenibilità (Social Statement), agire in coerenza con le linee operative del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con le garanzie di cui al DLGS 196/03 B. Il responsabile del trattamento e della elaborazione è la laureanda Zottarel Raffaella .

Timbro e Firma

Grazie della collaborazione

6) Quale di queste definizioni descrive meglio il bilancio sociale per la Sua azienda o la sua idea? (sono possibili più risposte)

Garantisce una forte coesione con gli stakeholder Migliora l’efficienza della gestione aziendale

Contribuisce a rafforzare il”brand value” (valore della marca) attraverso lo sviluppo di un rapporto stabile e duraturo con i consumatori/clienti, basato sulla fiducia e la fedeltà alla marca

Protegge da azioni di boicottaggio

Crea un ambiente di lavoro migliore, più sicuro e motivante Facilita l’accesso al credito (Basilea 2)

Aumenta la capacità dell’impresa di attrarre e mantenere personale qualificato e motivato Permette di usufruire laddove previsti, di vantaggi

fiscali, contributi e semplificazioni amministrative

Riduce il rischio d’impresa Contribuisce ad aumentare il valore per gli azionisti nei mercati in cui sono applicati rating di tipo etico

Può rappresentare un qualificato elemento di differenziazione tale da rafforzare il marketing competitivo

Incrementa i rapporti di partnership e di conseguenza può determinare l’incremento del fatturato

è un documento da affiancare al bilancio d’esercizio per una maggiore trasparenza sul modo di operare dell’azienda

non sa/non risponde

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GLOSSARIO E SPIEGAZIONE DEI TERMINI UTILIZZATI NEL QUESTIONARIO

Bilancio Sociale (o di sostenibilità)

documento annuale che dà visibilità alle attività di pianificazione, gestione e rendicontazione dell’impresa secondo gli assi economico, ambientale e sociale

Codice Etico (o di autoregolamentazione) dichiarazione ufficiale dei valori e delle prassi commerciali di un’impresa e/o dei suoi fornitori

Mission / Missione

Ragion d’essere dell’impresa, il cui valore consiste nell’essere elemento centrale del sistema valoriale e culturale dell’impresa. Individua gli obiettivi di fondo e gli scopi preminenti che l’impresa, attraverso la sua attività, tenta di perseguire, coniugando spesso la dimensioni economica e sociale ed identificando per l’impresa stessa obiettivi e ruolo di promozione e accrescimento del benessere collettivo, della qualità della vita (inclusa la qualità ambientale), della coesione sociale.

Responsabilità

delle Imprese (CSR)

La Responsabilità Sociale d’Impresa – come definita dalla UE – si occupa di coordinare e incentivare le preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate, in conformità con le leggi vigenti e il rispetto per le persone, le comunità e l’ambiente

Portatore di interesse (Stakeholder)

Persona o gruppo di persone che hanno un interesse nelle prestazioni o nel successo di una organizzazione, ad esempio: clienti, proprietari/azionisti/soci, dipendenti, fornitori, concorrenti, banche, sindacati, collettività, amministrazione pubblica locale e centrale.

LA SCHEDA ANAGRAFICA DELL’IMPRESA

NOME TIPO (SRL, SPA, COOPERATIVE) |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_| |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_| PARTITA IVA |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_||_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_| SETTORE |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_||_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|__|_|_|_|_|_| FATTURATO (in migliaia di euro) |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_| SEDE PRINCIPALE VIA |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|CAP|_|_||_|_||_|COMUNE ||_|_||_|_||_|_|_|_||_|_||_|_||_|_||_| SEDI SECONDARIE E ALTRI SITI PRODUTTIVI (anche eventuali localizzazioni fuori dal territorio nazionale) COMUNE |_|_|_|_|_|_||_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_| PROVINCIA O STATO ESTERO |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_ |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_| N. DI DIPENDENTI SITO/SEDE PRINCIPALE |_|_|_|_|_|_|_|_| ETA’ MEDIA ANNI <25 ; 25-35 ; 35-45 ; 45-55 ; >55 ALTRI SITI/SEDI |_|_|_|_|_|_|_|_| ETA’ MEDIA ANNI <25 ; 25-35 ; 35-45 ; 45-55 ; >55 LA SOCIETÀ HA UNA MISSION ESPLICITA? SÌ |_| NO |_| LA SOCIETÀ È DOTATA DI SISTEMI DI: GESTIONE QUALITÀ SÌ |_| NO |_| CERTIFICATO SÌ |_| GESTIONE AMBIENTALE SÌ |_| NO |_| CERTIFICATO SÌ |_|

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GESTIONE DELLA SICUREZZA SÌ |_| NO |_| CERTIFICATO SÌ |_| GESTIONE SOCIALE SÌ |_| NO |_| CERTIFICATO SÌ |_| PROTEZIONE DI INFORMAZIONI SÌ |_| NO |_| CERTIFICATO SÌ |_| ALTRO (SPECIFICARE) |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_| |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_| |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_| CONTATTO SIG. |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|__|_| TELEFONO 1 |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_| TELEFONO 2 |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_| FAX |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_| E-MAIL |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_| SITO WEB |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_| MANSIONE |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|

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ALTRO MATERIALE

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organizzato da Unindustria tenutosi a Ponzano Veneto il 4 maggio 2005

o Materiale fornito al convegno organizzato da Unindustria tenutosi a Treviso il

21 aprile 2005;

o Materiale fornito al convegno UCID tenutosi a Venezia il 15 novembre 2003;

o Bilanci sociali: Granarolo, Camst, Unipol Assicurazioni, Banca di Credito;

Cooperativo, Unicredit Banca, Solco (Cooperativa), Solidas (Associazione

per lo sviluppo dell'imprenditoria nel sociale), Sony , Noicom, Credito

trevigiano,Banca Etica.

o Ricerca di mercato (2004) L’impegno sociale delle aziende in Italia condotta

da SWG;

o Primo rapporto 2003 UCID (Unione cristiana imprenditori dirigenti),

Imprenditori Veneti per il bene comune

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www.bilanciosociale.it

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www.isvi.org (istituto per i valori d’impresa)

www.sodalitas.it (associazione per lo sviluppo dell’imprenditoria nel sociale)

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RINGRAZIAMENTI

A conclusione del lavoro sono in dovere di ringraziare tutte le persone che mi hanno

sostenuto in questi anni di studio ed in particolare nell’ultimo periodo e tutti coloro

che hanno collaborato alla realizzazione della tesi.

Tra i primi un grazie «speciale» va a mia mamma, a mio papà e a mio fratello, a cui

ho dedicato la tesi, che sono sempre stati punto di riferimento e motore di spinta

durante il percorso universitario ma anche «ancòra di salvataggio» nei momenti di

difficoltà. Grazie Alessandro, per i preziosi consigli e le idee che in ogni momento

hai saputo darmi ma soprattutto per l’incoraggiamento sempre puntuale.

Un ringraziamento particolare merita il mio relatore, Prof. Bano Danilo, per tutti i

suggerimenti, le idee, le conoscenze che mi ha trasmesso e di cui ho fatto tesoro.

Grazie, per avermi infuso serenità e tranquillità ogni volta che ci incontravamo e per

avermi sostenuto fino alla fine.

Un grazie doveroso anche al Dott. Tagliente con il quale abbiamo collaborato,

nonché promotore dell’idea della ricerca campionaria. Grazie, per il tempo che mi ha

dedicato e per tutte le persone che mi ha permesso di contattare, tra cui voglio

ricordare il Dott. Biasi, la Dott.ssa Vitulano e la Sig. Olivieri della Camera di

Commercio di Treviso. Grazie, anche ai suoi collaboratori di studio e a tutti i

dipendenti di Unindustria dei quali ho avuto bisogno.

Grazie anche al Prof. Filippi nonché responsabile di Unindustria per tutti i

suggerimenti.

Grazie agli insegnanti dell’università di Ca’ Foscari (prof. dipartimento di

matematica e statistica) ai quali ho chiesto consigli per l’elaborazione dei dati del

questionario ma anche ai professori di altre università, quali il prof. Zamagni per

avermi risposto alle mail chiedendogli informazioni sulla «Responsabilità Sociale

d’Impresa».

Non ho parole per ringraziare tutte le aziende, i cui nomi sono presenti nella sezione

dedicata all’indagine, che hanno risposto al questionario, permettendomi di portare

avanti l’idea iniziale. Grazie per la sensibilità che avete dimostrato nei miei confronti

ma soprattutto verso la tematica dell’etica d’impresa, incoraggiandomi così a sperare

in un futuro diverso.

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Tra tutte le aziende, Tecnogamma Spa e in rappresentanza di essa il Dott. Marton,

merita un ringraziamento particolare per avermi dato la possibilità di svolgere lo

stage inerente alla mia tesi. Grazie per le conoscenze che ho potuto acquisire e per

avermi concesso di inserire il lavoro svolto durante lo stage nell’elaborato. Mi sento

in dovere di incoraggiare Luciano e tutta l’azienda, specialmente dopo quanto è

successo e auguro loro un prospero futuro.

Grazie a tutte le persone quali bancari e conoscenti che hanno contribuito alla

somministrazione del questionario.

Grazie anche ai collaboratori della biblioteca del dipartimento di economia, in

particolare Carlo e alla sua collega, per l’ottimo sevizio di consulenza che svolgono

agli studenti.

Grazie alla mia amica Prof. Stefania per il tempo prezioso che mi hai dedicato.

Infine, voglio ricordare tutte le persone che mi sono state vicine in questi anni, quali

parenti, amici, compagni di università e conoscenti.

Grazie a tutti i parenti, soprattutto coloro che hanno già finito la carriera universitaria

per i consigli da «vecchi saggi».

Grazie a tutti i miei amici, amici della Gifra, compaesani. Alcuni meritano un

ringraziamento particolare.

Grazie Sara per il tuo incoraggiamento costante durante il percorso, per i momenti di

allegria trascorsi assieme e per il cammino che continuiamo a condividere…

Grazie Piera per aver condiviso le fatiche scolastiche e per avermi incitata come dici

tu, allo stesso modo di un corridore in salita!

Grazie Sabina, per avermi allietato i viaggi in treno con le nostre chiacchierate.

Grazie Marco per tutti i consigli tecnici universitari e gli aiuti nella preparazione di

alcuni esami, per avermi spronato in alcuni momenti e per aver condiviso in simpatia

questi ultimi due anni di università.

Grazie a Silvia e a tutti i compagni dell’università per l’esperienza bellissima che

abbiamo vissuto assieme. Peccato sia finita!

Grazie a tutti coloro che purtroppo ho dimenticato di ricordare…il traguardo l’ho

raggiunto anche per merito vostro…GRAZIE!

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