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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA
FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA
Scuola di Specializzazione In Malattie dell’Apparato Respiratorio
Tesi di Specializzazione
Incremento della sopravvivenza in pazienti
affetti da ipertensione polmonare
tromboembolica inoperabile
Candidato Relatore
Dott.ssa Roberta Pancani Prof. Carlo Marini
Anno Accademico 2009-2010
2
INDICE
RIASSUNTO…………………………………………………………………..3
INTRODUZIONE……………………………………………………………..5
SCOPO DELLA TESI………………………………………………………..59
MATERIALI E METODI……………………………………………………61
RISULTATI…………...…………………………………….………………...65
DISCUSSIONE……………………………………..………………………....80
CONCLUSIONI……………………………………..………………………...88
BIBLIOGRAFIA………………………………………………..……………..89
3
INCREMENTO DELLA SOPRAVVIVENZA IN PAZIENTI AFFETTI DA
IPERTENSIONE POLMONARE TROMBOEMBOLICA INOPERABILE
RIASSUNTO
Pazienti affetti da ipertensione polmonare tromboembolica inoperabili
(Inop-CTEPH) trattati con le terapie convenzionali hanno una scarsa
sopravvivenza (1). Abbiamo comparato la sopravvivenza a tre anni dei pazienti
trattati con terapia convenzionale e quelli trattati con terapia convenzionale
associati ad una combinazione di nuovi farmaci vasodilatatori polmonari.
Abbiamo inoltre valutato il loro decorso clinico. Sono stati valutati, dal 1991 al
2009, 34 pazienti Inop-CTEPH consecutivi tramite cateterismo cardiaco destro
(RHC) e scintigrafia polmonare da perfusione (PLS): 7 pazienti sono stati
sottoposti a trattamento chirurgico mentre i restanti 27 casi non sono risultati
suscettibili all’intervento di tromboendoarteriectomia (TEA). Di questi 27
pazienti, i 12 valutati dal 1991 al 2003 sono stati trattati con le sole terapie
convenzionali di supporto (Gruppo 1), mentre i 15 pazienti valutati dal 2004 al
2009 (Gruppo 2) sono stati trattati con terapie convenzionali in combinazione a
farmaci di nuova generazione. Nella valutazione emodinamica basale non
emergevano differenze significative tra i due gruppi in studio. Basandoci sul
decorso clinico dei pazienti, sono stati intrapresi i nuovi farmaci vasodilatatori e
la supplementazione di ossigeno nei pazienti del Gruppo 2. Di questi, 7 pazienti
con decorso clinico peggiore sono stati sottoposti a rivalutazione emodinamica
4
tramite RHC durante terapia e 4 di essi anche a PLS di controllo. Coloro che non
hanno ripetuto il RHC avevano basalmente valori più bassi di pressione arteriosa
media in arteria polmonare e di livelli di proormone del peptide natriuretico
cerebrale (NT-proBNP), oltre che una maggiore saturazione venosa mista (SvO2)
e una migliore tolleranza allo sforzo (p = 0.022, 0.015, 0.044 e 0.003
rispettivamente). Durante terapia, i pazienti che avevano ripetuto il RHC si
caratterizzavano per una ridotta resistenza vascolare polmonare (p = 0.012), un
incremento del valore di eccesso basi (p = 0.002) e una significativa
redistribuzione del flusso ematico polmonare evidenziabile alla PLS. Dopo un
follow-up di 3 anni la sopravvivenza del Gruppo 2 era 86% contro il 31% di
quella dei pazienti del Gruppo 1 (p = 0.031). Nei pazienti Inop-CTEPH il
decorso clinico potrebbe aiutare a scegliere farmaci ed ossigeno-terapia al fine di
migliorare i parametri emodinamici, lo scambio gassoso respiratorio e la
sopravvivenza a lungo termine.
5
INTRODUZIONE
Il termine “ipertensione polmonare” (PH) raccoglie un insieme di condizioni
patologiche accomunate da un aumento della pressione polmonare media
superiore ai 25 mmHg misurata tramite cateterismo cardiaco destro (RHC) (2).
I fattori determinanti un incremento delle resistenze vascolari polmonari e la
conseguente disfunzione ventricolare destra sono numerosi e tale variabilità ha
sempre determinato problemi nella costituzione di una classificazione
unitariamente approvata. Negli ultimi anni, tuttavia, nuove acquisizioni hanno
reso possibile una migliore comprensione degli aspetti fisiopatologici della
malattia e hanno consentito di abbandonare la grossolana classificazione in
ipertensione polmonare primitiva e secondaria (2).
La prima classificazione sistematica dell’ipertensione polmonare è stata la
cosiddetta “CLASSIFICAZIONE DI EVIAN” (3) (1998) che suddivideva:
Ipertensione arteriosa polmonare primitiva
Ipertensione venosa polmonare (secondaria a patologia del cuore sinistro
o a patologia compressiva/ostruttiva a carico delle vene polmonari)
Ipertensione polmonare associata a patologie dell’apparato
respiratorio e/o ipossiemia
Ipertensione polmonare tromboembolica
6
Ipertensione polmonare dovuta a condizioni che coinvolgono
direttamente i vasi sanguigni polmonari
In seguito questa classificazione è stata modificata e aggiornata (4), prendendo in
considerazione importanti elementi emersi dalla ricerca clinica quali
l’individuazione di alcuni meccanismi genetici alla base della forma primitiva
(mutazione del BMPR2 sul cromosoma 2q33 e 2q31) (5), fattori di rischio per lo
sviluppo dell’ipertensione polmonare (anfetamine, L-triptofano, fenfluramina…)
(4, 5) e patologie associate (HIV, collagenopatie, ipertensione portale,
emoglobinopatie…) (4, 5).
A seguito di tali acquisizioni fu adottata nel 2003 una nuova classificazione, la
“CLASSIFICAZIONE DI VENEZIA” (4), rivista e modificata
successivamente, la cui ultima stesura è quella di Dana Point del 2008 (6),
riportata nelle più recenti linee guida ESC/ERS del 2009 (2). Tale classificazione
identifica 5 classi di ipertensione polmonare:
1. Ipertensione arteriosa polmonare (PAH):
1.1 Idiopatica
1.2 Ereditabile
1.2.1 BMPR2 (bone morphogenetic protein receptor, type 2)
1.2.2 ALK1 (activin receptor-like kinase 1 gene), endoglina (con o in
assenza di teleangectasia emorragica ereditaria)
7
1.2.3 Sconosciuta
1.3 Indotta da farmaci e tossine
1.4 Associata a (APAH, ipertensione arteriosa polmonare associata
a):
1.4.1 Malattie del tessuto connettivo
1.4.2 Infezione da HIV (virus dell’immunodeficienza umana)
1.4.3 Ipertensione portale
1.4.4 Malattie cardiache congenite
1.4.5 Schistosomiasi
1.4.6 Anemia emolitica cronica
1.5 Ipertensione polmonare persistente del neonato
1’ Malattia polmonare veno-occlusiva e/o emangiomatosi capillare
polmonare
2. Ipertensione polmonare dovuta a malattie del cuore sinistro
2.1 Disfunzione sistolica
2.2 Disfunzione diastolica
2.3 Valvulopatie
3. Ipertensione polmonare dovuta a pneumopatie e/o ipossiemia:
8
3.1 Broncopneumopatia cronica ostruttiva
3.2 Interstiziopatia polmonare
3.3 Altre pneumopatie associate a pattern disventilatori restrittivi o
ostruttivi
3.4 Disturbi respiratori nel sonno
3.5 Disturbi da ipoventilazione alveolare
3.6 Esposizione cronica ad alte altitudini
3.7 Anomalie dello sviluppo
4. Ipertensione polmonare trombo-embolica:
5. Ipertensione polmonare con meccanismi non chiari e/o meccanismi
multifattoriali
5.1 Disordini ematologici: disordini mieloproliferativi, splenectomia
5.2 Disordini sistemici: sarcoidosi, istiocitosi polmonari a cellule di
Langerhans, linfangioleiomiomatosi, neurofibromatosi, vasculiti
5.3 Disordini metabolici: gliconesi, malattia di Gaucher, tireopatie
5.4 Altri: ostruzione tumorale, fibrosi mediastinica, insufficienza renale
cronica in dialisi
9
L’applicazione di quest’ultima classificazione nella pratica non solo ha
consentito di uniformare il lavoro svolto dai vari centri di trattamento della
malattia, ma ha palesemente evidenziato il fatto che, da un punto di vista clinico,
il quadro sintomatologico ed obiettivo dell’ipertensione polmonare può essere
estremamente variabile, in virtù di tutte le condizioni associate che possono
presentarsi. Pertanto sarà necessario un inquadramento clinico complesso che
prenda in considerazione tre differenti livelli di interesse:
Riconoscimento della condizione di PH, che può essere la causa
determinante il quadro clinico del paziente oppure può porsi come
complicanza di un’altra patologia nota (collagenopatia, malattia valvolare
o miocardiopatica…)
Valutazione della gravità della malattia
Valutazione dell’intero contesto clinico alla ricerca di eventuali fattori di
rischio o malattie associate, al fine di caratterizzare nel miglior modo
possibile la condizione emodinamica e le possibili conseguenze che da
essa possono derivare (7).
10
Eziopatogenesi:
L’estrema eterogeneità della presentazione clinica dell’ipertensione polmonare e
la possibile associazione di questa con numerose altre patologie hanno portato a
supporre l’esistenza di vari processi bio-patologici alla base della malattia.
Sono stati ipotizzati vari meccanismi:
L’inibizione dei canali dello ione potassio (K+) voltaggio-dipendenti
indurrebbe vasocostrizione in seguito alla contrazione delle cellule
muscolari lisce dell’arteria polmonare;
uno squilibrio tra sostanze vasodilatatrici e vasocostrittrici determinerebbe
un’alterata modulazione del tono vascolare polmonare;
condizioni di trombosi all’interno del letto vascolare polmonare
porterebbero ad un aumento delle resistenze vascolari polmonari (8).
Le diverse anomalie sono verosimilmente influenzate dall’assetto genetico del
paziente e dall’esposizione a fattori di rischio che scatenano tali processi (8),
delineando un meccanismo eziopatogenetico multifattoriale. I principali fattori di
rischio correlati allo sviluppo dell’ipertensione arteriosa polmonare comprendono
malattie vascolari del collagene, anoressizzanti, shunt sistemico-
polmonari, l’infezione da HIV e l’ipertensione portale (8). Oltre a questi, è di
primaria importanza come fattore di rischio la familiarità: nella maggioranza dei
casi (circa 95%) la malattia appare sporadica, mentre solo il 6% dei casi sembra
11
appartenere alla forma familiare (9). Tuttavia, l’incidenza della forma familiare
sembra fortemente sottostimata, sia per il fenotipo comune delle due forme e la
penetranza incompleta, sia per la mancata diagnosi in parenti probabilmente
affetti, ma deceduti, o per i quali non esiste documentazione clinica.
In tale contesto è stato localizzato il locus del gene legato all’ipertensione
polmonare primitiva familiare sul cromosoma 2q 31- q32 (10, 11).
Successivi studi genetici e molecolari hanno individuato il BMPR2 sul
cromosoma 2q33, ossia il gene Bone Morphogenetic Protein Receptor tipo 2, che
è risultato mutato in circa il 60% delle forme familiari, ma anche nel 26% delle
forme sporadiche (12). Tale gene-malattia codifica per un recettore di membrana
con attività serina/treonin kinasica coinvolto nella via molecolare di traduzione
del segnale Bone Morphogenetic Protein/Trasforming Growth Factor β (13), che
è di fondamentale importanza per il controllo della proliferazione cellulare e per i
processi di differenziamento e di sviluppo cellulare. E’ stato dimostrato, tramite
studi di espressione genica, che, in condizioni fisiologiche, il gene è
prevalentemente espresso a livello endoteliale e minimamente espresso a livello
leiomuscolare (14).
Finora sono state identificate ben 54 mutazioni di varia tipologia (soprattutto
non-senso, ma anche “frame-shift” o con slittamento del modulo di lettura e
dissenso) distribuite lungo il gene (15); tuttavia, numerose osservazioni lasciano
aperta la strada della ricerca genetica. Infatti, a tutt’oggi, non è ancora stato
12
spiegato il fenomeno dell’anticipazione genetica, tipico delle forme familiari
conosciute, che, verosimilmente, dovrebbe essere legato all’espansione di una
tripletta nucleotidica non ancora identificata (16); inoltre, la prevalenza delle
mutazioni a carico di BMPR2 lascia supporre l’esistenza di altri importanti
geni-malattia, in quanto un’alterazione a tale livello non è presente nella totalità
delle forme familiari.
Studi di comparazione genica tra tessuto polmonare di pazienti sani e pazienti
affetti da ipertensione arteriosa polmonare, sia familiare, sia sporadica, hanno
rivelato differenze significative nell’espressione di oltre 300 geni codificanti per
proteine ribosomiali, mitocondriali, citoscheletriche, proteine formanti canali
ionici, con funzioni modulanti la trascrizione e il controllo del ciclo cellulare
(17).
Grazie a tali studi ed in base ad altre osservazioni effettuate su modelli
prevalentemente murini, sono stati identificati numerosi geni potenzialmente
coinvolti nella patogenesi della malattia:
E-ossido nitrico sintetasi endoteliale (eNOS): è un importante modulatore
della risposta vascolare polmonare all’ipossia cronica in modelli murini
(18).
Prostaciclina 2 (PGI2) e Prostaciclina sintetasi (PGIS): il rapporto
PGI2 / trombossano in pazienti con ipertensione arteriosa polmonare è
13
sbilanciato a favore del trombossano e ciò fa supporre che bassi livelli di
PGI2 possano favorire lo sviluppo delle lesioni vascolari (19).
BMP: sono peptidi con funzione inibitoria sulla crescita cellulare (20) e
sembra che inibiscano anche la proliferazione delle cellule muscolari lisce
vascolari (21) e promuovano la differenziazione dei miociti (22).
Metalloproteinasi della matrice (MMPx): le metalloproteinasi hanno un
effetto stimolante sulla produzione di cofattori mitogeni che causano un
incremento della matrice extracellulare.
Fattore di Crescita Vasculo-Endoteliale (VEGF): è insorta ipertensione
arteriosa polmonare in modelli murini sottoposti alla somministrazione
dell’inibitore della VEGF-2 (iniziale morte cellulare a livello endoteliale
seguita da occlusione luminale per proliferazione delle cellule endoteliali
stesse) (23).
Serotonina (5-HT) e Trasportatore della Serotonina (5-HTT): la serotonina
ha effetti vasoattivi e mitogeni/comitogeni sulle cellule muscolari lisce
vascolari; inoltre, sostanze anoressizzanti quali la fenfluramina, che ha
azione antagonista verso 5-HT e 5-HTT, sono associate ad aumentato
rischio di sviluppo di ipertensione polmonare (24).
14
Anatomia Patologica
L’ipertensione arteriosa polmonare è caratterizzata da un punto di vista
istopatologico da proliferazione endoteliale e leiomuscolare e dal rimodellamento
del sistema vascolare polmonare (25). Tali alterazioni determinano, sul versante
fisiopatologico, un incremento delle resistenze vascolari e, conseguentemente,
dei valori pressori a livello del letto vascolare polmonare fino allo scompenso
cardiaco destro. Questa condizione di estrema gravità corrisponde sul piano
morfologico alla comparsa di lesioni “plessiformi”, proliferazioni capillari
“glomeruliformi”, determinate per lo più da una crescita irregolare all’interno del
lume da parte delle cellule endoteliali (26). Lo studio dell’anatomia patologica
dell’ipertensione polmonare ha consentito di ipotizzare differenze nei
meccanismi molecolari coinvolti nel determinare il formarsi delle lesioni
plessiformi nelle forme primitive rispetto alle forme secondarie. Le proliferazioni
glomeruliformi, infatti, sembrano formarsi nelle forme primitive per espansione
monoclonale delle cellule endoteliali o delle cellule muscolari lisce (27),
suggerendo l’esistenza di processi simili a quelli coinvolti nelle fasi precoci
dell’oncogenesi; d’altra parte, nelle forme secondarie, le lesioni sono a carattere
policlonale e probabilmente determinate da stimoli tipo “shear stress” associato
all’iperafflusso polmonare o a processi infiammatori/infettivi sottostanti.
15
Inquadramento diagnostico
Il riconoscimento dell’ipertensione arteriosa polmonare può avvenire a seguito
della comparsa di sintomatologia sospetta, per screening di pazienti a rischio o
per rilievo casuale (Figura 1) (28).
16
Figura 1. Algoritmo che illustra la strategia diagnostica per l’ipertensione
arteriosa polmonare.
Sintomi riferiti dai pazienti
Mutazione genetica associata a PAH o parente di primo grado con PAH
Sclerodermia
Cardiopatie congenite e shunt sinistro-destro
Ipertensione portale in valutazione con trapianto di fegato
Rilevati durante visita medica
Esame fisico Rx torace 2P Elettrocardiogramma Ecocardiogramma
SOSPETTO DI IPERTENSIONE POLMONARE
Valutazione
dei sintomi
“Screening”
di pazienti a rischio
Reperti
occasionali
INDAGINO CLINICO-STRUMENTALI
17
La sintomatologia che più frequentemente suggerisce la presenza di ipertensione
polmonare è composta da dispnea da sforzo e dall’affaticabilità per sforzi
precedentemente tollerati; meno frequentemente essa è costituita da angina
pectoris da sforzo, sincope, edemi periferici, distensione addominale (7).
Accertamenti volti all’identificazione di un quadro di ipertensione arteriosa
polmonare non vengono effettuati solo in base ad indicazioni cliniche, infatti, lo
“screening” in pazienti che presentano condizioni predisponenti risulta
fondamentale per poter diagnosticare precocemente la malattia nei soggetti a
rischio.
I fattori associati ad alto rischio di ipertensione polmonare sono:
• Familiari di pazienti affetti da ipertensione arteriosa polmonare
• Pazienti sclerodermici e/o affetti da collagenopatie
• Pazienti affetti da cardiopatie congenite con shunt sistemico-polmonare
• Pazienti con ipertensione portale
• Pazienti affetti da broncopneumopatia cronica ostruttiva oppure
ipossiemici
• Pazienti affetti da infezione cronica da HIV
• Pazienti che hanno assunto farmaci e tossine quali aminorex, fenfluramina,
dexfenfluramina, oli tossici, anfetamine, L-triptofano… (8)
18
Infine, il rilievo occasionale di reperti suggestivi di ipertensione polmonare è
poco frequente, ma non trascurabile.
L’iter diagnostico si fonda inizialmente su:
a. Esame fisico
L’obiettività dell’ipertensione arteriosa polmonare è spesso sfuggente e,
pertanto, è necessaria una notevole meticolosità nel rilevare i vari segni,
nonché esperienza per interpretarli e disporli correttamente all’interno
dell’iter diagnostico. I sintomi correlati all’ipertensione arteriosa
polmonare non sono specifici ed includono dispnea, affaticabilità, angina,
sincope e distensione addominale (9). E’ presente una sintomatologia a
riposo solo nei casi molto avanzati (2). Come per i sintomi, non sono
individuabili segni specifici di ipertensione polmonare, tuttavia,
l’esperienza clinica ha insegnato che, quando sono presenti particolari
reperti, la probabilità di riscontrare un quadro di ipertensione arteriosa
polmonare è aumentata.
Uno degli esempi più importanti è l’accentuazione della componente
polmonare del secondo tono cardiaco (P2), presente in oltre il 90% dei
pazienti, segno dell’aumentata energia di chiusura della valvola polmonare
dovuta all’aumentata pressione polmonare (9). Inoltre, sono associati
positivamente ad un incremento della pressione arteriosa polmonare: un
precoce click sistolico da eiezione per l’improvvisa interruzione
19
dell’apertura della valvola tricuspidale polmonare, un soffio mesosistolico
da eiezione determinato dal flusso turbolento attraverso la valvola
polmonare, un itto palpabile sulla linea parasternale sinistra dato dalla
dilatazione e dalla ipertrofia del ventricolo destro. In circa il 40% dei
pazienti è riscontrabile un ritmo di galoppo con tono presistolico (S4) ed è
visibile un’onda “a” venosa giugulare prominente, entrambi segni di un
aumento della pressione di riempimento del ventricolo di destra (9).
L’esame obiettivo può essere utile anche per suggerire un possibile
inquadramento eziologico dell’affezione: per esempio il riscontro di una
cute con elasticità ridotta può far propendere l’indagine diagnostica verso
una collagenopatia sottostante, così come la presenza di cianosi può
indicare l’esistenza di un shunt cardiaco. Allo stesso modo, il riscontro di
discromie cutanee a livello degli arti inferiori associate ad edema
indirizzano verso la presenza di un’insufficienza venosa e di una malattia
tromboembolica cronica. Infine, la presenza, all’esame obiettivo del
torace, di segni quali una riduzione del rumore respiratorio, associato a
rumori respiratori aggiunti e ad un’espirazione prolungata, possono
suggerire l’esistenza di una patologia broncopolmonare cronica.
L’approccio clinico risulta, pertanto, di notevole importanza in quanto può
fornire elementi accessori che possono rafforzare il sospetto di PAH,
oppure possono emergere segni che insinuano il dubbio di un’altra
20
patologia e che, quindi, possono contribuire a far sospettare diagnosi
alternative a quella ipotizzata in partenza.
Nell’iter diagnostico, a seguito di scrupolosi anamnesi ed esame obiettivo,
seguiranno esami di routine quali la radiografia del torace in 2 proiezioni,
l’elettrocardiogramma ed altre numerose indagini strumentali, necessarie
per un ulteriore inquadramento, come riportato nell’algoritmo diagnostico
proposto dalle Linee Guida ESC/ERS 2009 (Figura 2), (2).
21
Figura 2. Algoritmo diagnostico tratto dalle Linee Guida 2009 ESC/ERS (2)
22
Figura 2.
ALK-1 = activin-receptor-like kinase; ANA = anticorpi anti-nucleo; BMPR2 = bone
morphogenetic protein receptor 2; CHD = malattia cardiaca congenita; CMR =
risonanza magnetica cardiaca; CTD = malattia del tessuto connettivo; Group = gruppo
clinico; HHT = teleangectasia emorragica ereditaria; HIV = virus
dell’immunodeficienza umana; HRCT = tomografia computerizzata ad alta risoluzione;
LFT = test di funzione epatica; mPAP = pressione media in arteria polmonare; PAH =
ipertensione arteriosa polmonare; PCH = emangiomatosi capillare polmonare; PFT =
test di funzionalità respiratoria; PH = ipertensione polmonare; PVOD = malattia
veno-occlusiva polmonare; PWP = pressione capillare a catetere incuneato; RHC =
cateterismo cardiaco destro; TEE = ecocardiografia trans-esofagea; TTE =
ecocardiografia trans-toracica: US = ecografia; V/Q scan = scintigrafia
ventilo-perfusoria.
b. Elettrocardiogramma
L’utilizzazione della metodica dell’elettrocardiogramma nella valutazione
del paziente con sospetto diagnostico di ipertensione arteriosa polmonare
può fornire dati utili e indicativi, sebbene non specifici (28). E’, infatti,
possibile rilevare un ingrandimento del ventricolo destro nell’87% dei
pazienti affetti da ipertensione arteriosa polmonare e una deviazione
assiale destra nel 79% di essi (9). Generalmente la dilatazione atriale
destra si esprime tramite un’elevata onda P, ossia superiore ai 2,5 mm,
nella DII, DIII, e aVF e con una rotazione superiore ai 75° della stessa sul
piano frontale.
23
Altri reperti elettrocardiografici suggestivi di PH sono un’onda S profonda
in V5 e V6, un’onda R elevata in V1 con rapporto R/S maggiore di 1, un
quadro qR in V1, un complesso rSR’ in V1, una depressione e
un’inversione del tratto ST-T sulle precordiali di destra. Tuttavia, è
necessario tenere in considerazione il fatto che in letteratura esistono vari
casi documentati di pazienti con diagnosi di PH, ma con ECG normale,
nonostante la severità della patologia stessa (29). L’assenza di tali reperti
non esclude infatti la presenza di anormalità emodinamiche.
Pertanto, i segni di derivazione elettrocardiografica non possono far altro
che fornire altri dati suggestivi di PH da inserire correttamente nella
valutazione di un percorso diagnostico che porterà alla fine a confermare il
sospetto di PH o a negarne l’esistenza.
c. Radiografia del torace
La radiografia del torace è anormale nel 90% dei pazienti affetti da
ipertensione arteriosa polmonare al momento della diagnosi (2). In
particolare è generalmente caratterizzata da alterazioni quali la prominenza
del secondo arco di sinistra, corrispondente al tronco comune dell’arteria
polmonare, l’aumento della densità e del volume dei rami ilari dell’arteria
polmonare, associato ad un aspetto oligoemico della trama parenchimale
periferica (“pruning”) e un ingrandimento dell’atrio e del ventricolo di
24
destra. Tuttavia, l’assenza del “pruning” non dovrebbe essere interpretata
come esclusione di PH (28).
Analogamente a quanto accade per l’esame fisico, la radiografia del torace
può mostrare non solo elementi propri della condizione di ipertensione
polmonare, bensì segni di patologie che sono alla base di essa o che le
sono associate. Pertanto, potremmo identificare segni di iperinsufflazione
polmonare tipici delle broncopneumopatie croniche ostruttive, anomalie
scheletriche toraciche quali la cifoscoliosi, ingrandimento delle sezioni
sinistre cardiache come segno di un interessamento cardiocircolatorio (30)
ed altri possibili reperti.
d. Prove di funzionalità respiratoria (PFT) ed emogasanalisi arteriosa
(EGA)
L’analisi della funzionalità respiratoria tramite PFT ed EGA rappresenta
uno step fondamentale nella valutazione iniziale di tutti i pazienti con
PAH, essenzialmente per escludere o definire la presenza di eventuali
patologie delle vie aeree associate.
In circa il 20% di pazienti con PAH e trombo-embolica è riscontrabile una
sindrome restrittiva definita come una riduzione dei volumi polmonari a
partire da valori inferiori all’80% di quello predetto (9, 31). Inoltre, è
frequentemente associata una riduzione di entità lieve-moderata della
capacità di diffusione per il monossido di carbonio (DLCO) (32). Una
25
diminuzione della DLCO isolata, ossia non associata ad alterazioni
restrittive od ostruttive, è spesso osservata in pazienti con scleroderma
limitato (33, 34); quando in questi pazienti la DLCO è seriamente
compromessa (< 55% del predetto), ci si attende che ben il 35% di essi
possa sviluppare, entro cinque anni, un quadro di PAH (35).
E’ dimostrata anche una correlazione inversa della capacità di diffusione
del monossido di carbonio con la misurazione invasiva della pressione
sistolica arteriosa polmonare in pazienti con sclerodermia diffusa (33).
Oltre alle alterazioni della funzionalità respiratoria, nei pazienti affetti da
PAH associata a sclerodermia o con ipertensione tromboembolica
(CTEPH), esiste pressoché sempre un variabile grado di ipossiemia che
rende ragione di un elevato gradiente alveolo-capillare di ossigeno.
Inoltre, in tutte le forme di PH, è presente una desaturazione arteriosa che,
sul piano clinico, si manifesta in maniera più evidente durante lo sforzo e
che è riconducibile essenzialmente all’incapacità da parte del ventricolo
destro di aumentare la portata cardiaca e, quindi, all’ulteriore
desaturazione di ossigeno nel sangue venoso misto (28).
L’emogasanalisi arteriosa è, perciò, importante per determinare lo stato di
ossigenazione del paziente con PH, anche se a riposo può non essere
apprezzabile una desaturazione significativa. In tal caso assume ancora
maggiore importanza l’esecuzione del “six minutes walking test”
26
(6MWT), test semplice e facilmente riproducibile, che consente di valutare
il grado di dispnea, la saturazione, la frequenza cardiaca, la pressione
arteriosa sistemica prima, durante e dopo lo sforzo e quindi di effettuare un
minuzioso monitoraggio della tolleranza a sforzi fisici.
e. Ecocardiogramma
L’ecocardiogramma transtoracico fornisce numerose variabili che
correlano con l’emodinamica cardiaca destra, inclusa la pressione in arteria
polmonare sistolica stimata (PAPs) e dovrebbe essere eseguito in tutti i
casi di sospetta ipertensione polmonare. Inoltre, può fornire dati aggiuntivi
alla funzione sisto-diastolica cardiaca e all’eventuale presenza di
valvulopatie. Questa metodica è in grado di fornire una stima dei regimi
pressori presenti in arteria polmonare, tuttavia è da considerare che il
rilievo di un aumento significativo della pressione arteriosa polmonare può
essere reso problematico da alcuni aspetti tecnici, primo tra i quali l’ampia
variabilità che si osserva nella capacità di analizzare il jet di rigurgito
tricuspidale, requisito essenziale per la misura della PAPs. Si è, infatti,
osservato che il jet da rigurgito è analizzabile in percentuali variabili dal
39% (36) all’86% (37), che la presenza di broncopneumopatia cronica
ostruttiva può ridurre drasticamente la percentuale di casi in cui la PAPs
risulti ottenibile (38) e che la differenza tra stima ecocardiografica e
misura invasiva della pressione arteriosa polmonare può essere
27
significativa, con differenze medie tra 3 e 38 mmHg (28). Pertanto, non è
stato possibile identificare un valore cut-off di PAPs, con conseguenti
limiti nell’utilizzazione dell’ecocardiogramma nelle categorie di pazienti a
rischio per ipertensione arteriosa polmonare, ma ancora asintomatici (2).
Altri indici ecocardiografici, oltre alla PAPs, devono essere considerati:
questi includono un’incrementata velocità di rigurgito valvolare polmonare
e un ridotto tempo di accelerazione dell’eiezione del ventricolo destro;
inoltre possono essere evidenziate dimensioni delle camere cardiache
destre aumentate, anormale morfologia e funzione del setto
interventricolare, ispessimento della parete del ventricolo destro e
dilatazione dell’arteria polmonare (2). Le recenti linee guida ESC/ERS
forniscono criteri arbitrari per cercare di definire la possibilità di
ipertensione polmonare (2); tuttavia continua ad essere necessaria ed
indispensabile una misura emodinamica diretta tramite cateterismo
cardiaco destro per eseguire una corretta diagnosi.
f. Scintigrafia polmonare da perfusione (PLS) e ventilazione
La scintigrafia polmonare da perfusione si è dimostrata essere dotata di
una buona accuratezza nella diagnosi o, viceversa, nell’esclusione
dell’embolia polmonare acuta, anche senza l’esecuzione aggiuntiva di una
scintigrafia polmonare da ventilazione (39, 121).
28
E’ opportuno eseguire la scintigrafia polmonare da perfusione in tutti i
pazienti con sospetto di PH, poiché tale condizione può complicare una
malattia tromboembolica cronica (4), soprattutto alla luce del fatto che
frequentemente una condizione di trombo-embolia polmonare cronica si
manifesta in modo paucisintomatico, potendo mimare quindi una PAH
(28).
L’evento embolico acuto si caratterizza, da un punto di vista scintigrafico,
per la presenza di difetti cuneiformi della perfusione polmonare,
corrispondenti a segmenti polmonari con flusso ematico diminuito oppure
assente a seguito di un’occlusione vascolare parziale o totale, associati a
segmenti con iperafflusso all’interno dei quali si manifesta un quadro di
perfusione forzata. La persistenza di questi reperti nei controlli
scintigrafici successivi a quello indicativo di episodio embolico acuto
indica la cronicità della condizione.
Il quadro scintigrafico appena descritto è presente in pazienti con CTEPH
(31), mentre in pazienti con PAH o APAH il quadro scintigrafico
perfusorio è sostanzialmente nella norma.
g. Tomografia computerizzata ad alta risoluzione, con mezzo di
contrasto ed angiografia polmonare
L’esecuzione di un esame TC torace all’interno del percorso diagnostico
che delinea la presenza di ipertensione polmonare è fondamentale per un
29
accurato studio del parenchima polmonare al fine di escludere patologie
pneumologiche rilevanti. Inoltre, risulta di enorme utilità qualora vi sia il
sospetto clinico di malattia veno-occlusiva polmonare, in quanto tale
condizione è accompagnata da caratteristiche alterazioni di edema
interstiziale con diffuse aree di “ground-glass” a disposizione centrale e
con ispessimento dei setti interlobulari; ulteriori reperti possono includere
linfoadenopatia e versamento pleurico (39). Lo studio con mezzo di
contrasto iodato permette l’evidenza e la valutazione dell’eventuale
suscettibilità chirurgica nel caso di CTEPH. In tali casi l’esame TC può
evidenziare ostruzioni vascolari polmonari complete o parziali,
reticolazioni vascolari e irregolarità intimali (è possibile effettuare anche
un’angiografia polmonare digitale). In molti centri è tuttora utilizzata
l’angiografia polmonare tradizionale per identificare i pazienti suscettibili
di endoarteriectomia polmonare (TEA) e che possano avere benefici da
tale intervento (40). Infine l’angiografia polmonare può essere utile per
valutare eventuali vasculiti o malformazioni artero-venose polmonari.
h. Risonanza magnetica cardiaca
La risonanza magnetica cardiaca migliora la valutazione morfologico-
funzionale del ventricolo destro e rappresenta un’indagine non invasiva del
flusso ematico, fornendo una misura indiretta della portata cardiaca, della
distensibilità dell’arteria polmonare e della massa ventricolare destra. Tali
30
misurazioni possono essere utili soprattutto nel follow-up per individuare
modifiche emodinamiche significative, quali marcatori del progressivo
scompenso cardiaco destro, e nella definizione prognostica, poiché è
dimostrato che una ridotta portata cardiaca, un incremento volumetrico a
fine diastole del ventricolo destro e riduzione volumetrica del ventricolo
sinistro al momento della diagnosi siano associati a una prognosi infausta
(41).
i. Sierologia per malattie connettivali, HIV, epatite, emocoagulopatie
Nell’inquadramento di una PAH è sempre bene procedere ad una
valutazione sierologica che vada alla ricerca di eventuali patologie
associate. In primo luogo sarà essenziale investigare l’eventuale presenza
di una patologia di interesse reumatologico, poiché la prevalenza di PAH,
per esempio, nella sclerodermia oscilla tra 4.9% (42) e 38% (43).
Tra le patologie connettivali la forma limitata della sclerodermia appare la
malattia più frequentemente associata a PAH e, poiché tale quadro non si
manifesta tipicamente con reperti radiologici toracici indicativi, è
indispensabile un’attenta valutazione dei pazienti con sospetta PAH alla
ricerca di segni di sclerodermia.
Sono inoltre da ricercarsi gli anticorpi U3-RNP che risultano
frequentemente positivi qualora l’PAH sia associata con lo scleroderma
diffuso (44), mentre, nel caso di un’associazione della PAH con uno
31
scleroderma limitato, si riscontrerà più facilmente la positività degli
anticorpi anti-centromero (47), anticorpi anti-nucleo (compresi U3-RNP),
B23, Th/To, U1-RNP (46, 47), associati a una riduzione della DLCO alle
prove di funzionalità respiratoria (33, 34).
La presenza di anticorpi anticardiolipina è stata associata a pazienti con
PAH e lupus eritematoso sistemico (LES) (48, 49), tuttavia il LES e anche
l’artrite reumatoide sono patologie che meno frequentemente si associano
a PAH (50, 51); la PAH, invece, si associa a forme connettivali miste in
maniera moderata e ne rappresenta nel 38% dei casi la causa del decesso
(52).
Inoltre, pazienti con infezione da HIV manifestano nello 0,5% dei casi una
PAH associata (53), pertanto appare appropriato eseguire i test specifici
quando si è di fronte a PAH da causa sconosciuta (28). E’ utile, inoltre,
l’indagine di eventuali malattie epatiche visto che il 2% di questi pazienti
può mostrare un quadro di PH (54), associandolo a un’ecografia
addominale volta alla ricerca di cirrosi epatica e/o ipertensione portale.
Anche condizioni ematologiche quali l’anemia falciforme (55) e patologie
tiroidee sono considerate fattori di rischio per la PAH anche se non è
ancora stato del tutto chiarito se la tiroide risulti causalmente correlata alla
PAH o meno (28). Quindi sembra opportuno verificare la presenza di
32
eventuali reperti anomali nell’esame ematocitometrico e nell’assetto
ormonale tiroideo.
j. Cateterismo cardiaco destro e test di vasoreattività polmonare (VDT)
L’esecuzione di un cateterismo cardiaco destro risulta fondamentale nella
diagnostica di una sospetta PAH in quanto esso ha una triplice funzione:
Consente di confermare il sospetto diagnostico
Fornisce un’adeguata e diretta valutazione del quadro
emodinamico del paziente, consentendo di determinare la
severità della malattia
Rende possibile l’esecuzione del test di vasoreattività del circolo
polmonare.
Generalmente per una completa indagine emodinamica si valutano i
seguenti parametri: frequenza cardiaca, pressione atriale destra, pressione
sistolica e tele-diastolica ventricolare destra, pressione arteriosa polmonare
sistolica, diastolica e media, pressione capillare a catetere incuneato,
portata cardiaca (mediante termodiluizione o metodo di Fick), pressione
arteriosa sistemica sistolica, diastolica e media, resistenze vascolari
polmonari e sistemiche, analisi dei gas di sangue arterioso e venoso misto
prelevati in contemporanea, curva ossimetrica con campionamenti di
33
sangue in cava superiore, atrio destro, cava inferiore, ventricolo destro,
arteria polmonare (tronco comune, ramo sinistro e ramo destro).
La diagnosi di ipertensione polmonare si determina in corso di RHC sul
reperto di valori di pressione media polmonare superiori ai 25 mmHg a
riposo (2). Al tempo stesso, risulta particolarmente importante misurare la
pressione capillare a catetere incuneato in quanto valori che superino i 15
mmHg indicano che la PH origina da condizioni patologiche relative al
cuore sinistro (polmone cardiaco) e distinguono queste da patologie
primariamente polmonari (cuore polmonare). Questa suddivisione
possiede un notevole significato pratico e consente una semplice
individuazione della disciplina di competenza: qualora la patologia iniziale
sia di ambito cardiaco, infatti, il caso sarà di primaria competenza del
cardiologo, mentre quando la sede primitiva risiede a livello polmonare la
competenza primaria spetterà allo pneumologo (56). La prima condizione
comprenderà, pertanto, tutte le forme di PH post-capillari; la seconda
evenienza le forme di PH pre-capillari.
Si definiscono pre-capillari le forme di PH in assenza di alterazioni
primitive delle sezioni sinistre del cuore. Appartengono a questa categoria
l’ipertensione arteriosa polmonare idiopatica, quella associata a malattie
connettivali, all’uso di farmaci anoressizzanti o alla malattia
trombo-embolica cronica e tali forme sono quelle alla base dello sviluppo
34
della maggior parte dei casi di cuore polmonare (56). Si definiscono,
invece, post-capillari tutte le forme di PH in presenza di aumento della
pressione venosa polmonare e ne sono esempio la PH da malattie croniche
del cuore sinistro quali vizi valvolari mitralici o aortici, cardiopatia
ischemica oppure ipertensiva, miocardiopatie e la malattia veno-occlusiva
polmonare (56). E’ importante puntualizzare che queste due classi di
patologie di interesse cardio-polmonare, pur dimostrando diversità
cliniche, presentano, secondo studi eziopatogenetici, importanti
meccanismi patogenetici comuni (56).
Oltre alle misurazioni già menzionate le quali devono essere eseguite
durante il cateterismo destro, l’esecuzione del test di vasoreattività
polmonare, che è bene effettuare in strutture di provata esperienza in tale
pratica per minimizzarne i rischi (57), risulta essenziale sia nella diagnosi
sia nella gestione terapeutica dei pazienti con PH (58).
I vasodilatatori che più frequentemente vengono utilizzati sono l’ossido
nitrico per via inalatoria, la prostaciclina endovenosa o l’adenosina
endovenosa. A seguito dell’utilizzo di uno di questi è possibile definire
positiva una risposta acuta caratterizzata dalla riduzione della pressione
arteriosa polmonare media superiore o uguale a 10 mmHg purché si
raggiunga un valore assoluto inferiore o uguale ai 40 mmHg, in assenza di
riduzione della portata cardiaca (9, 59). Generalmente non più del 15% dei
35
pazienti affetti da PAH idiopatica mostra tale risposta acuta (59, 60), che
giustifica un approccio terapeutico basato sull’utilizzo di calcio-antagonisti
(CCB) nel lungo periodo; tale trattamento si è dimostrato eccellente,
sebbene nella sola metà dei pazienti cosiddetti “responders” (60).
L’utilità del VDT e del trattamento nel lungo periodo con
calcio-antagonisti non si è dimostrato altrettanto buono nei pazienti affetti
da altre forme di PH, come quella associata a connettivopatie (61), tuttavia
comunemente si ritiene utile eseguire VDT anche in tali pazienti, con
l’intento di selezionare in modo adeguato quei casi che potrebbero
mostrare una risposta positiva alla terapia con calcio-antagonisti nel lungo
periodo.
k. Test accessori
Ulteriori indagini possono essere affiancate a quelle appena illustrate
qualora si reputi necessaria l’aggiunta di elementi aggiuntivi utili alla
definizione diagnostica del quadro di PH. Ciò si verifica soprattutto in
relazione all’ipotesi dell’esistenza di particolari condizioni patologiche che
si associano a quella di PH. Per esempio, se si ipotizza la possibilità di uno
shunt cardiaco, l’esecuzione di un ecocardiogramma trans-esofageo può
renderlo manifesto con chiarezza. E’ possibile richiedere uno studio della
coagulazione tramite la valutazione del tempo di emorragia, dei fattori
della coagulazione quali l’VIII, VII, II, V, XII (di Von Willebrand), delle
36
proteine C ed S al fine di definire una diatesi coagulativa oppure
un’angiografia polmonare per confermare la presenza di malattia
trombo-embolica cronica o per valutare la possibilità di un’eventuale
intervento di TEA.
La volontà di eseguire accertamenti ulteriori può essere anche dettata dalla
necessità di definire in maniera più precisa la prognosi del paziente: ciò
può essere fatto aggiungendo agli esami svolti anche i dati di alcuni
parametri quali il dosaggio dell’uricemia e del peptide natriuretico
cerebrale (BNP) che correlano con le alterazioni emodinamiche e con la
mortalità del paziente (62, 63).
Terapia medica della ipertensione arteriosa polmonare
Terapia di supporto convenzionale
L’ipertensione arteriosa polmonare in passato era caratterizzata da opzioni
terapeutiche limitate e complesse (64), mentre da alcuni anni si è verificato un
significativo cambiamento nato dall’apporto offerto da recenti studi clinici
controllati e randomizzati. Generalmente vengono attuati trattamenti ritenuti utili
quali la somministrazione di anticoagulanti orali, diuretici, digitale, ossigeno,
anche se la loro efficacia non è stata ancora del tutto comprovata da studi
randomizzati, ma è indicata da una buona evidenza clinica (2) (Tabella 1).
37
Tabella 1. Raccomandazioni per la terapia di supporto convenzionale (2)
Classe a Livello b
Il trattamento diuretico è indicato nei pazienti affetti da
PAH con segni di scompenso cardiaco destro e ritenzione
di liquidi
I C
L’ossigeno-terapia a lungo termine è indicate nei pazienti
affetti da PAH qualora la pressione arteriosa di ossigeno
sia costantemente al di sotto di 60 mmHg
I C
La terapia anticoagulante orale dovrebbe essere
considerata nei pazienti affetti da PAH idiopatica,
ereditabile e dovuta all’uso di anoressizzanti
IIa
C
La terapia anticoagulante orale dovrebbe essere
considerata nei pazienti affetti da APAH
IIa
C
La digossina dovrebbe essere considerata nei pazienti
affetti da PAH che sviluppino tachiaritmie atriali al fine di
rallentare la frequenza cardiaca
IIa
C
a Classe di raccomandazione. b Livello di evidenza
Terapia farmacologica specifica
Algoritmi terapeutici unanimemente riconosciuti esistono per pazienti in classe
funzionale NYHA III e IV, poiché tali pazienti formano la maggior parte delle
popolazioni incluse in studi controllati e randomizzati; per i pazienti in classe
funzionale migliore sono disponibili pochi dati e la strategia terapeutica ottimale
e la strategia terapeutica ottimale deve ancora essere definita e sostenuta da studi
specifici (65).
38
L’algoritmo terapeutico proposto dalle linee guida ESC/ERS (2) è riportato in
Figura 3 ed è riferito a pazienti in classe NYHA II, III e IV affetti da
ipertensione arteriosa polmonare del Gruppo 1 della classificazione di Dana
Point (2, 6) e l’estensione di esso a pazienti affetti da altre forme di PH dovrebbe
essere effettuata con estrema cautela, in quanto i risultati in tali forme non sono
stati scientificamente verificati (65); inoltre tali farmaci non sono utilizzabili
nelle forme di PH secondarie a patologie del cuore sinistro.
Tuttavia, esistono dati in letteratura sull’uso della prostaciclina per uso inalatorio
(66) e degli antagonisti recettoriali della endotelina per os (67) nella CTEPH.
Infine, da più parti (68) si è trasferita la necessità dell’utilizzo di questi farmaci
nelle forme di PH ipossiemiche (CHPAH) in pazienti BPCO con valori pressori
in arteria polmonare ben al di sopra di quelli che usualmente si osservano nella
BPCO.
A seguito della diagnosi certa di ipertensione polmonare si procede ad un
trattamento inizialmente basato sull’adozione di misure di carattere generale e di
farmaci quali anticoagulanti orali, diuretici in caso di ritenzione idrica,
ossigenoterapia in caso di ipossiemia e digitale se c’è la condizione di scompenso
cardiaco destro refrattario e/o aritmie atriali tachicardiche (65).
39
Figura 3. Algoritmo terapeutico (2)
Figura 3. Algoritmo terapeutico per pazienti affetti da PAH (solo per pazienti
appartenenti al Gruppo 1) (2)
* Per mantenere la pressione arteriosa di ossigeno > 60 mmHg.
† Sotto revisione da parte della Comunità Europea
§ IIa-C per WHO-FC II.
40
APAH = ipertensione arteriosa polmonare associata; BAS = settostomia atriale;
CCB = calcio-antagonisti; ERA = antagonisti recettoriali dell’endotelina; IPAH = ipertensione
arteriosa polmonare idiopatica; PDE5 I = inibitori della fosfodiesterasi IV; WHO-FC = Classe
funzionale della World Health Organization.
L’esecuzione del test di vasoreattività consente poi di selezionare i pazienti che
potrebbero beneficiare di una terapia con calcio-antagonisti ad alte dosi (65).
I pazienti non “responders”, se appartenenti alla classe NYHA I devono
proseguire la terapia di base ed essere seguiti tramite stretto follow-up medico, se
appartenenti alla classe NYHA II, III e IV devono essere candidati al trattamento
con terapia farmacologica specifica, come mostrato in Figura 3 (2, 65). La scelta
del primo farmaco non è rigidamente determinata da caratteri particolari, anche
perché non esistono ancora dati rigorosi di rapporto beneficio/rischio che
attestino la superiorità di un farmaco sugli altri (65). Per tali motivazioni è
opportuno decidere di adottare un farmaco anziché un altro in base a vari fattori
tra cui la via di somministrazione preferita, gli effetti indesiderati e le eventuali
controindicazioni presenti, la preferenza del paziente, l’esperienza raccolta dal
singolo centro di cura (65). Oltre a questo, è bene puntualizzare che la terapia di
combinazione può essere considerata nei pazienti che non rispondono in modo
ottimale o in cui le condizioni cliniche nel corso del primo trattamento non
rispondano ai target consigliati anche dalle recenti Linee Guida ESC/ERS 2009
(2) (Figura 4), sebbene i dati a riguardo di questa strategia terapeutica siano
limitati e basati su studi non standardizzati (65). Secondo i parametri riportati
41
nella Figura 4 i pazienti possono essere suddivisi come “stabili e soddisfacenti”,
“stabili ma non soddisfacenti” e “instabili e in deterioramento” (2).
Figura 4. Parametri di definita importanza nel determinare la gravità di
malattia, la stabilità e la prognosi nei pazienti affetti da PAH (2)
a: Dipendente dall’età
b: TAPSE e il versamento pericardico sono stati scelti perchè possono essere misurati nella
maggior parte dei pazienti.
BNP = peptide natriuretico cerebrale; CI = indice cardiaco; 6MWT = test del cammino dei 6
minuti; RAP = pressione atriale destra; TAPSE = escursione sistolica del piano anulare
tricuspidale; WHO-FC = Classe funzionale della World Health Organization
Si definiscono “stabili e soddisfacenti” i pazienti che abbiano la maggior parte
dei reperti elencati nella colonna “better prognosis” (Figura 4). In particolare
essi sono caratterizzati dall’assenza di segni clinici di scompenso cardiaco destro,
42
dalla stabilità della classe funzionale in classe I o II in assenza di episodi
sincopali, un percorso eseguito al test del cammino dei 6 minuti superiore a 500
metri (teorico dipendente dal paziente a), un picco di consumo di ossigeno
maggiore di 15 mL/min/kg, valori di BNP nella norma o ai limiti di essa, assenza
di versamento pericardico, TAPSE > 2,0 cm, pressione atriale media inferiore
agli 8 mmHg e indice cardiaco conservato (> 2,5 l/min/mq) (2). Si classificano
come “stabili ma non soddisfacenti” quei pazienti che, sebbene stabili,
possiedono caratteristiche non considerate desiderabili da parte del medico e del
paziente stesso e soddisfano soltanto alcuni parametri elencati nella colonna
“better prognosis” (Figura 4). Questi pazienti richiedono una rivalutazione
clinico-strumentale da parte del medico che dovrebbe considerare un trattamento
farmacologico specifico aggiuntivo (2). Infine si definiscono “instabili e in
deterioramento” quei pazienti che hanno la maggior parte dei parametri elencati
nella colonna “worse prognosis” (Figura 4). Anche in questi pazienti sarà
opportuna una rivalutazione completa al fine di ottimizzare la terapia in atto (2).
Oltre alla terapia farmacologica specifica, approcci quali la settostomia atriale o
il trapianto di polmone sono opzioni terapeutiche di carattere chirurgico indicate
nei pazienti con PH che si mostrano in deterioramento clinico nonostante una
terapia medica massimale: si raccomanda di eseguire tali metodiche in centri di
comprovata esperienza e qualora non vi siano altre possibilità terapeutiche da
poter adottare (65).
43
Misure generali.
Provvedimenti di carattere generale, benché non determinino una modificazione
sostanziale del decorso della PAH, consentono di limitare l’impatto dannoso che
alcuni fattori esogeni possono avere in tali pazienti. Il livello di attività fisica
raccomandata dovrebbe essere tale da non determinare l’insorgenza di
sintomatologia, pur consentendo il mantenimento di un tono muscolare adeguato,
l’esercizio dovrebbe essere evitato soprattutto dopo i pasti oppure in condizioni
climatiche poco favorevoli come in caso di temperature estreme (65). E’
opportuno anche evitare gradi, seppur lievi, di ipossia ipobarica come quelli che
si verificano ad altitudini comprese tra i 1500 e i 2000 metri. Per tale
motivazione durante l’utilizzo di aerei di linea che sono pressurizzati a
un’altitudine equivalente, compresa tra 1600 e 2000 metri, viene consigliata la
somministrazione di ossigeno (65).
Le vaccinazioni anti-influenzale e anti-pneumococcica sembrano essere un buon
presidio per diminuire l’incidenza dei contagi e la virulenza di eventuali infezioni
sintomatiche (69). La gravidanza e il parto sono condizioni che in pazienti con
PH sono associate ad un’aumentata incidenza di deterioramento clinico e di
decesso (69) e, pertanto, nelle donne in età fertile è vivamente consigliata un
appropriato metodo anticoncezionale. Inoltre, per evidenti motivi, i pazienti con
PH sono particolarmente sensibili alla presenza di stati anemici che possono
ulteriormente aggravare l’apporto, già compromesso, di ossigeno ai tessuti;
perciò qualsiasi calo significativo dei livelli di emoglobina ematica deve essere
44
prontamente trattato (65). Infine molti pazienti sono affetti da disturbi di ansia
e/o dell’umore di vario grado per i quali è consigliato un adeguato supporto,
anche di tipo specialistico qualora le condizioni lo necessitino (65).
Terapia di supporto convenzionale
Terapia anticoagulante orale
L’evidenza di effetti benefici determinati dall’uso degli anticoagulanti orali è
stata dimostrata tramite studi monocentrici in pazienti con ipertensione arteriosa
polmonare idiopatica o associata all’assunzione di farmaci anoressizzanti
(70 - 72). Tuttavia, il trattamento anticoagulante può essere esteso anche alle
altre forme di ipertensione polmonare qualora siano presenti fattori di rischio per
tromboembolismo venoso, lesioni trombotiche a livello del microcircolo o delle
arterie polmonari (25, 73, 74) oppure una nota predisposizione trombofilica
(75, 76). In tali casi è comunque sempre ragionevole valutare attentamente
l’introduzione di tale presidio, pesando adeguatamente i rischi ed i benefici ad
esso connessi.
Generalmente il target di international normalized ratio (INR) nei pazienti con
PAH viene mantenuto tra 2,0 e 3,0 nei centri europei, mentre nella maggior parte
dei centri nord-americani il range di riferimento è tra 1,5 e 2,5 (65).
45
Diuretici
L’utilizzo della terapia diuretica nel paziente con PH non è stato definito da studi
clinici controllati specifici, tuttavia, l’uso dei diuretici si è dimostrato essenziale
nel determinare effetti clinici e sintomatici positivi (65). Ciò è da ricondursi al
fatto che i pazienti con PH vanno incontro ad uno scompenso cardiaco destro che
determina, a monte, l’incremento della pressione venosa centrale, la congestione
degli organi addominali, la comparsa di edemi periferici e, talvolta, di ascite (65).
Pertanto, appare ragionevole introdurre una terapia a base di diuretici nel
paziente con PH, correlandola essenzialmente alla condizione cardiocircolatoria
del singolo paziente ed alla sua tendenza alla ritenzione idrica.
Ossigeno
La maggioranza dei pazienti affetti da PH, ad eccezione delle forme associate a
cardiopatie congenite, è caratterizzata da una lieve ipossiemia arteriosa a riposo
(65). Il meccanismo fisiopatologico che sta alla base di essa è la ridotta
saturazione del sangue venoso misto, dovuto alla diminuita portata cardiaca e, in
misura minore, all’alterazione degli scambi alveolo-capillari. Sebbene in questi
pazienti venga spesso adottata l’ossigeno-terapia, non esistono, attualmente, dati
sicuri confermati da studi controllati sugli effetti a lungo termine di tale
trattamento; tuttavia, è norma comune mantenere la saturazione arteriosa
costantemente al di sopra del 90% (65). Si evidenzia il fatto che, secondo le più
46
recenti Linee Guida ESC/ERS (2), il livello considerato per la erogazione di O2 è
pari ad una PaO2 di 60 mmHg (Tabella 1). Tale valore non viene corretto per
l’iperventilazione (PaO2 standard), ma è la misura diretta della pressione arteriosa
di ossigeno, che può essere ottenuta a fronte di una frequenza respiratoria
elevata. Non è, infatti, menzionato il valore della PaCO2, che invece è un segnale
sensibile di alterata ventilazione ed ha una chiara influenza sulla sopravvivenza
in questi pazienti di norma ipocapnici (76).
Digitale
L’utilizzo della digitale, così come avviene per i diuretici, sembra fondarsi sul
razionale di rompere i meccanismi che portano il paziente con PH verso un
progressivo scompenso cardiaco destro, pertanto, l’utilizzo di questo farmaco,
sebbene non adottato ed accettato da tutti gli autori, può essere introdotto nello
schema terapeutico a discrezione del medico, secondo la sua esperienza in merito
(65).
Terapia farmacologica specifica
Calcio-antagonisti.
Le attuali conoscenze nel trattamento dei pazienti con PAH indicano che la
terapia a base di vasodilatatori tradizionali, quali sono i calcio-antagonisti,
determina effetti favorevoli solo in una minoranza dei pazienti, ossia in quei
47
pazienti definiti vasoreattivi o “responders” ad inalazione di ossido nitrico (65).
E’ bene ricordare che si considerano “responders” i soggetti in cui si assiste,
dopo inalazione di ossido nitrico, ad una riduzione di almeno 10 mmHg della
pressione arteriosa polmonare media con un valore assoluto di questa al di sotto
dei 40 mmHg in assenza di riduzione della portata cardiaca (9, 59). Soltanto il
10-15% dei pazienti risulta “responder” al test acuto di vasoreattività (59, 60) e,
di questi, solo la metà ottiene una risposta clinica ed emodinamica favorevole
tramite trattamento a lungo termine con calcio-antagonisti ad alte dosi (60).
In tali pazienti gli effetti clinici e prognostici positivi forniti dalla terapia con
calcio-antagonisti ad alte dosi sono stati documentati attraverso studi clinici,
sebbene questi non fossero controllati né randomizzati (58, 70, 78, 79).
Tale limitazione è dovuta al fatto che, in questi studi, il gruppo di controllo era
fornito da pazienti non “responders” al test di vasoreattività che potrebbero
avere, di per sé, una prognosi più sfavorevole rispetto ai “responders” (79).
I calcio-antagonisti che maggiormente vengono utilizzati sono la nifedipina e il
diltiazem. La scelta tra i due può essere guidata dalla valutazione della frequenza
cardiaca di base del paziente stesso: una relativa bradicardia favorisce l’utilizzo
della nifedipina, mentre la relativa tachicardia favorisce l’utilizzo del diltiazem
(65). I dosaggi che hanno documentato efficacia nel trattamento della PAH sono
abbastanza alti e oscillano nei seguenti range:
120 – 240 mg/die per la nifedipina
240 – 720 mg/die per il diltiazem (70)
48
E’ opportuno iniziare il trattamento a dosaggi ridotti (30 mg per la nifedipina e
60 mg per il diltiazem) da aumentare progressivamente fino alle alti dosi
necessarie ai fini terapeutici (65). L’incremento del dosaggio deve avvenire con
estrema cautela nelle settimane successive all’introduzione della terapia con
calcio-antagonisti, relazionando la posologia con le evidenze cliniche e il
monitoraggio della pressione arteriosa sistemica.
Prostaciclina sintetica ed analoghi della prostaciclina
La prostaciclina è una sostanza che è stata lungamente studiata viste le sue doti di
potente vasodilatatore in tutti i distretti vascolari considerati negli studi, di
antiaggregante piastrinico, citoprotezione ed attività antiproliferativa (80). Sono
state riscontrate varie alterazioni nelle vie metaboliche della prostaciclina nei
pazienti affetti da PAH e, sebbene non sia ancora chiaro se queste abbiano un
ruolo causale nella malattia o ne siano una conseguenza, esse rappresentano un
razionale importante per definire l’utilizzo terapeutico della prostaciclina stessa
(65, 81). La produzione di analoghi della prostaciclina con proprietà
farmacocinetiche diverse ed effetti farmacodinamici simili ha sempre più favorito
l’utilizzo di tali sostanze nel trattamento dei pazienti con PAH. Le prime
esperienze in questo ambito sono state fatte con l’epoprostenolo. Esso possiede
un’emivita plasmatica di soli 3 - 5 minuti poiché viene rapidamente convertito a
prodotti di degradazione stabili; ciò spiega bene la necessità di una
49
somministrazione endovenosa continua tramite l’utilizzo di apposite pompe di
infusione portatili attraverso un catetere tunnelizzato permanente (65). La dose
iniziale è variabile tra 2 - 4 ng/kg/min e l’entità degli aumenti successivi è
stabilita in base alla comparsa degli effetti collaterali, puntando a raggiungere
nelle prime 2 - 4 settimane di terapia la dose di 10 - 15 ng/kg/min (65).
Successivamente saranno necessari incrementi del dosaggio del farmaco per
ottimizzare l’efficacia e mantenere i risultati ottenuti (possibile tachifilassi) (65).
Il dosaggio ottimale definitivo è, nella maggior parte dei casi, compreso tra 20 e
40 ng/kg/min, anche se esiste un’enorme variabilità tra i vari centri che lo
utilizzano come terapia (65).
Nonostante la comprovata efficacia di tale trattamento, sia da un punto di vista
sintomatologico che funzionale, sia nel definire la prognosi “quoad vitam” del
paziente, il trattamento con epoprostenolo è caratterizzato da un vasto corredo di
effetti collaterali e possibili complicanze che possono sconsigliarne l’uso o
possono far preferire un’altra linea terapeutica. I principali effetti collaterali si
manifestano frequentemente e comprendono flushing, dolore parotideo, diarrea,
cefalea, dolore alla schiena e alle estremità degli arti, crampi addominali, nausea
e, raramente, ipotensione (65). Inoltre, una temibile complicanza è l’infezione a
livello del catetere che può manifestarsi come una piccola reazione presso il
punto di uscita del catetere stesso, ma può giungere fino ad una cellulite (65).
Infine, sebbene rara evenienza, è da prendere in considerazione la possibilità di
uno pneumotorace o di un emotorace durante il posizionamento del catetere.
50
Qualora gli effetti collaterali o le complicanze facciano propendere il medico
verso la scelta di un’altra opzione terapeutica, è bene puntualizzare che
l’improvvisa interruzione della somministrazione di epoprostenolo deve essere
assolutamente evitata poiché può essere causa di un brusco aggravamento dei
valori pressori presso il distretto polmonare con peggioramento acuto dei sintomi
ad esso collegati, fino al decesso (65).
Per far fronte alle complicanze legate alla somministrazione endovenosa del
farmaco, è stato sviluppato un altro analogo della prostaciclina, il treprostinil,
dotato di una stabilità chimica tale da poter essere mantenuto in soluzione
fisiologica a temperatura ambiente. Tale caratteristica ne ha reso possibile
l’utilizzo sia per via endovenosa, sia per via sottocutanea. Quest’ultima modalità
di somministrazione ha permesso di evitare i rischi legati alla presenza di un
catetere venoso a permanenza e si è dimostrato molto più comodo e maneggevole
per il paziente stesso. L’effetto collaterale che più frequentemente è stato
individuato è stato il dolore nel sito di infusione che talvolta è di entità tale da
determinare l’interruzione del trattamento (65).
Tra gli analoghi della prostaciclina ha un ruolo importante anche l’iloprost,
sostanza disponibile per somministrazione endovenosa e inalatoria. L’opzione di
una somministrazione inalatoria rappresenta un’attraente prospettiva in quanto,
almeno in linea teorica, assicura una selettività maggiore di quella fornita da una
somministrazione endovenosa, sottocutanea oppure orale (65).
51
Dopo una singola inalazione di iloprost è stata documentata una riduzione fino al
20% della pressione arteriosa polmonare media, con tale effetto persistente per
45-60 minuti (82). Per tale motivo è necessario eseguire frequenti inalazioni, da
sei a dodici al giorno, per poter garantire un effetto persistente nel trattamento a
lungo termine. Ad eccezione di questo inconveniente, l’iloprost è generalmente
ben tollerato dai pazienti e può, al limite, determinare lievi effetti collaterali quali
tosse, flushing e cefalea (65).
Inibitori della fosfodiesterasi 5
Il sildenafil è un potente inibitore selettivo della cGMP fosfodiesterasi (PDE)
tipo 5, attivo per via orale. Esso esercita le proprie azioni biologiche attraverso
l’incremento dei livelli intracellulari di cGMP (83). Tale aumento induce effetti
vasodilatatori e antiproliferativi a livello delle cellule muscolari lisce vascolari
(84). La PDE-5 è selettivamente espressa a livello della circolazione polmonare
(85, 86) e appare iperespressa nei pazienti con PAH (87, 88). Il sildenafil,
somministrato a dose compresa tra 25 e 75 mg, sembrerebbe determinare un
miglioramento sia dell’emodinamica cardiopolmonare, sia della capacità
funzionale (65).
Un altro inibitore selettivo delle fosfodiesterasi 5, recentemente approvato per il
trattamento dei pazienti affetti da PAH, è il tadalafil, attivo per via orale.
52
Tadalafil è un inibitore potente e selettivo della fosfodiesterasi di tipo 5 (PDE5),
l’enzima responsabile per la degradazione della guanosin monofosfato ciclica
(cGMP); esso agisce in maniera analoga a quella del sildenafil. La dose
raccomandata è 40 mg (2 x 20 mg) assunta una volta al giorno E’ stata dimostrata
l’efficacia nell’ipertensione arteriosa polmonare idiopatica e nell’ipertensione
arteriosa polmonare associata a malattia vascolare del collagene tramite uno
studio randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, su 405 pazienti
con ipertensione arteriosa polmonare (89).
Antagonisti recettoriali dell’endotelina-1
L’endotelina-1 (ET-1) è un polipeptide prodotto essenzialmente dalle cellule
endoteliali vascolari che ha un forte effetto vasocostrittore e stimolante la
proliferazione delle cellule muscolari lisce vascolari (90). L’azione biologica
dell’endotelina è mediata da due sottotipi recettoriali, ETA e ETB, con i primi che
sono presenti sulle cellule muscolari lisce, mentre gli ETB sono espressi sia sulle
cellule endoteliali che sulle cellule muscolari lisce (65). La loro attivazione
determina l’effetto di vasocostrizione e mitogeno dell’ET-1 (65). Sebbene non
sia precisato se gli alti livelli plasmatici di ET-1 siano una causa oppure una
conseguenza dell’ipertensione polmonare, vari studi sull’espressione tissutale
dell’ET-1 lasciano presupporre che l’endotelina svolga un ruolo di primaria
importanza nella patogenesi della PAH (90). Attualmente la modalità più
efficiente per antagonizzare il sistema dell’endotelina è fornita dall’utilizzo degli
53
antagonisti recettoriali dell’ET-1, in grado di bloccare i recettori ETA e ETB
oppure i recettori ETA soltanto.
Bosentan è un antagonista recettoriale dei recettori ETA e ETB attivo per via orale
ed è stata la prima molecola appartenente a questa classe di farmaci ad essere
stata sintetizzata (91). I suoi effetti sono stati analizzati tramite due studi clinici
controllati che hanno evidenziato un miglioramento della capacità funzionale,
della classe funzionale, del profilo emodinamico, ecocardiografico e Doppler,
oltre ad un rallentamento del tempo di deterioramento clinico (92 - 94). Da essi è
risultato simile l’effetto del farmaco rispetto al trattamento con placebo sia nei
pazienti con PAH idiopatica sia in pazienti con PAH associata a sclerodermia;
tuttavia, mentre nei pazienti affetti dalla forma idiopatica la distanza percorsa
rispetto alla valutazione basale tramite “six minutes walk test” è stata migliorata
dall’uso del bosentan (+ 46 metri nel gruppo bosentan e – 5 metri nel gruppo
placebo), nei pazienti sclerodermici il risultato è stato soltanto una prevenzione
del deterioramento della capacità funzionale (+ 3 metri nel gruppo bosentan e
– 40 metri nel gruppo placebo) (65).
Tra gli effetti indesiderati più importanti del trattamento con bosentan si colloca
l’epatotossicità che è risultata essere dose-dipendente e generalmente reversibile
dopo riduzione o interruzione del trattamento (95). Considerato questo dato si
consiglia il monitoraggio degli enzimi di funzionalità epatica a cadenza mensile
per i pazienti in trattamento con bosentan (95). Considerato il potenziale danno
54
epatico che può risultare dalla somministrazione del bosentan è indicata la
valutazione degli enzimi di funzionalità epatica prima dell’inizio della terapia
(95), che risulterà controindicata qualora esista un danno funzionale epatico o
anche solo un’elevazione 3 volte maggiore dell’estremo superiore del range di
normalità dei livelli di transaminasi. E’ da considerare anche il fatto che l’utilizzo
del bosentan è associato ad una modesta diminuzione dei livelli emoglobinici
plasmatici dose-correlata, priva di carattere progressivo, e di entità accettabile
(circa 0,9 g/dl) che si stabilizza dopo circa 4 - 12 settimane di trattamento. Oltre
l’anemia altri possibili effetti sono cefalea, flushing, ipotensione arteriosa
sistemica, aritmie cardiache, rash cutanei, astenia (95).
Diversi studi hanno dimostrato che l’efficacia del bosentan nel tempo è
persistente, anche se i pazienti in cura con tale terapia, in una discreta percentuale
di casi, hanno la tendenza a richiedere ulteriori forme di trattamento come
ospedalizzazioni, prostanoidi, trapianto… oltre a quello a base di antagonisti
recettoriali dell’endotelina-1 (95). La combinazione del trattamento con bosentan
ed epoprostenolo sembra essere superiore in termini di effetti emodinamici
all’epoprostenolo in monoterapia (96). Il bosentan risulta efficace nel migliorare
la capacità funzionale e l’assetto emodinamico anche nei soggetti con sindrome
di Eisenmenger (97).
Oltre al bosentan, l’ambrisentan è un antagonista recettoriale selettivo per i
recettori ETA attivo per via orale ed è stato valutato con uno studio pilota
condotto su 64 pazienti i cui risultati preliminari documentano un miglioramento
55
della capacità funzionale e dei parametri emodinamici simile a quello ottenuto
con gli altri antagonisti recettoriali dell’endotelina-1 (65). Oltre all’efficacia,
verificata tramite altri studi randomizzati (98), è confortante il dato che
l’incidenza di epatotossicità sia molto bassa rispetto agli altri farmaci della stessa
classe, variando dallo 0% al 3% (65).
Terapia di combinazione
La combinazione di farmaci diversi ed agenti su vari ipotetici meccanismi
fisiopatologici è un’opzione terapeutica attraente in quanto lascia intravedere la
possibilità di ottenere un effetto sinergico da parte dei vari farmaci, riducendo gli
effetti collaterali da essi determinati ed agendo a più livelli nella fisiopatologia
dell’ipertensione arteriosa polmonare. La terapia di combinazione consiste nella
prescrizione concomitante di due o più trattamenti oppure nell’associazione di un
secondo o terzo trattamento ad una terapia già in corso, ma ritenuta insufficiente.
Tuttavia, è da puntualizzare che, nonostante la terapia di combinazione sia una
prospettiva allettante, non è ancora stata confermata con studi clinici
randomizzati la reale efficacia e sicurezza di tale approccio terapeutico, benché
sia sostenuta dalla pratica clinica e dal parere degli esperti (2, 65).
56
Procedure interventistiche.
Settostomia atriale
L’attuale ruolo della settostomia atriale nel trattamento della PAH appare
controverso e sostanzialmente, benché siano pubblicati alcuni report e un certo
numero di casi in letteratura (99, 100), tale procedura viene prevalentemente
effettuata in casi severamente compromessi, come bridge in attesa di trapianto
polmonare o qualora rappresenti l’unica opzione di trattamento in assenza di altre
opportunità terapeutiche (100), sebbene sia indicata in pazienti di classe
funzionale NHYA III avanzata o NHYA IV con sincopi ricorrenti e/o con
scompenso cardiaco nonostante tutti i trattamenti medici disponibili.
La settostomia atriale deve essere eseguita solo in centri esperti in modo da
ridurre i rischi procedurali, anche in considerazione del fatto che tale procedura è
gravata di un’elevata mortalità, variabile tra il 5% e 15%.
Trapianto polmonare
I dati riguardanti la sopravvivenza a 3 e 5 anni dopo trapianto di polmone e di
cuore – polmone è rispettivamente 55% e 45% circa (101). L’imprevedibilità del
tempo di attesa in lista di trapianto e, soprattutto, la carenza di donazioni
d’organo rendono difficile la scelta del momento più opportuno per l’immissione
in lista di trapianto. Nella PAH il trapianto polmonare singolo e doppio di
polmone hanno fornito risultati simili in termini di sopravvivenza, pertanto,
qualora tecnicamente effettuabili, entrambi le opzioni risultano accettabili (65).
57
Nei pazienti affetti da PAH con sindrome di Eisenmenger e in quelli con
scompenso cardiaco avanzato deve essere attentamente presa in considerazione la
possibilità di effettuare un trapianto cuore – polmone (65).
Tromboendoarteriectomia polmonare
L’intervento di tromboendoarteriectomia è, qualora indicato e tecnicamente
eseguibile, la terapia di scelta nei pazienti affetti da CTEPH, in quanto, a
differenza delle terapie farmacologiche attualmente disponibili, può risultare
curativo (2). Tuttavia, la selezione dei pazienti da sottoporre ad intervento
chirurgico, dipende dall’estensione e dalla localizzazione delle lesioni
trombo-emboliche, da relazionare, inoltre, alla gravità dell’ipertensione
polmonare associata ad esse, all’età del paziente e alla presenza di eventuali
comorbidità (2). Lesioni trombo-emboliche prossimali sono quelle ideali da
trattare e la loro rimozione chirurgica determina una brusca caduta delle
resistenze vascolari polmonari, riportando l’emodinamica polmonare vicina alla
normalizzazione nella maggior parte dei casi (2). Ciò nonostante le Linee Guida
ERS/ESC 2009 suggeriscono la possibilità che farmaci vasodilatatori polmonari
specifici possano giocare un ruolo in pazienti affetti da CTEPH selezionati ed in
particolare:
in pazienti non suscettibili di TEA;
come “bridge-therapy” pre-chirurgica, al fine di migliorare l’emodinamica;
in pazienti con CTEPH residua o ricorrente dopo un intervento di TEA (2).
58
Numerosi studi non controllati suggeriscono che prostanoidi, antagonisti
recettoriali dell’endotelina e inibitori delle fosfodiesterasi-5 possano determinare
benefici emodinamici in pazienti affetti da CTEPH (102 – 107). L’unico trial
randomizzati controllato è stato lo studio BENEFIT che ha indagato gli effetti del
trattamento con bosentan per la durata di 16 settimane (108). Tale studio ha
mostrato una caduta significativa delle resistenze vascolari polmonari nel braccio
in terapia con bosentan, ma non ha mostrato differenze significative per quanto
riguarda la distanza percorsa al test del cammino dei 6 minuti, la classe
funzionale e il tempo di deterioramento clinico (108).
59
SCOPO DELLA TESI.
Da quanto detto sinora si evince che l’endoarteriectomia polmonare resta il
trattamento di scelta per i pazienti con CTEPH sintomatica (109). Tuttavia, una
parte sostanziale di questi pazienti è considerata inoperabile a causa di una
ostruzione vascolare polmonare distale o dell’arteriopatia polmonare ipertensiva
ad essa connessa (109 – 112).
I pazienti affetti da CTEPH inoperabile (Inop-CTEPH) vengono generalmente
trattati con terapia convenzionale basata su supplementazione di ossigeno,
anticoagulanti, digitale, diuretici (112). Ciò nonostante la sopravvivenza dei
pazienti Inop-CTEPH è scarsa e particolarmente in quelli affetti da valori
pressori medi in arteria polmonare superiori a 30 mmHg (1).
Recentemente, farmaci quali prostanoidi, antagonisti recettoriali dell’endotelina e
inibitori delle fosfodiesterasi-5 hanno determinato benefici a livello funzionale e
sulla sopravvivenza a lungo termine (3 anni) nei pazienti appartenenti al
Gruppo 1 della nuova classificazione dell’ ipertensione polmonare (114, 115),
con quegli stessi farmaci che in numerosi studi “off-label” hanno suggerito
miglioramenti emodinamici, clinici e di sopravvivenza anche in pazienti
Inop-CTEPH, (115-119). Tali effetti benefici nei pazienti Inop-CTEPH
potrebbero essere ulteriormente definiti attraverso trials randomizzati controllati
(120). In ogni caso, per promuovere la conoscenza del trattamento di una
malattia che progredisce lentamente, ma è alla fine fatale, è essenziale valutare la
60
sopravvivenza a lungo termine. E’ inoltre fondamentale valutare gli effetti
benefici sul decorso clinico che questo tipo di trattamento potrebbe produrre.
Pertanto, lo scopo dello studio da noi compiuto è stato quello di presentare dati
sulla sopravvivenza a 3 anni e sul decorso clinico e funzionale dei pazienti affetti
da Inop-CTEPH trattati con terapia convenzionale o con terapia convenzionale
associata a combinazioni dei nuovi farmaci vasodilatatori polmonari.
61
MATERIALI E METODI
Sono stati diagnosticati presso il nostro Istituto, dall’Aprile 1991 al Maggio
2009, 34 pazienti consecutivi affetti da CTEPH. La diagnosi è stata basata sulla
scintigrafia polmonare da perfusione in 4 proiezioni (PLS) e sull’angiografia
polmonare (121). Medici nucleari e radiologi esperti avevano il compito di
definire la diagnosi per ciascun paziente. La data di diagnosi è stata collocata in
corrispondenza dello studio emodinamico mediante cateterismo cardiaco destro
(RHC) ed angiografico basali.
Per stimare la severità di malattia sono stati ottenuti la misura delle pressioni in
arteria polmonare, la portata cardiaca, le resistenze vascolari polmonari, i valori
ematici arteriosi e venosi misti. Inoltre, sono state effettuate procedure di routine
come la radiografia del torace in 2 proiezioni, l’emogasanalisi arteriosa,
l’ecocardiogramma, il test del cammino dei 6 minuti (6MWT) e la
determinazione della classe funzionale NYHA. La possibile operabilità
chirurgica di tromboendoarteriectomia è stata determinata da un gruppo di
chirurghi cardiopolmonari sulla base dei dati clinici e radiologici e, qualora
necessario, attraverso ulteriori indagini effettuate dagli stessi chirurghi nel loro
Istituto, leader tra i centri nazionali per l’esecuzione di PEA. Il contenuto
arterioso e venoso misto è stato calcolato come: (Saturazione di ossigeno (O2) *
Emoglobina * 1.39) + (0.003 * PO2 ). Il trasporto di O2 è stato stimato come:
portata cardiaca * contenuto arterioso di O2, mentre il consumo di O2 è stato
62
definito come: portata cardiaca * (contenuto di O2 arterioso – contenuto di O2
venoso). L’estrazione di O2 è stata calcolata come: consumo di O2 / trasporto di
O2. Il gap anionico è stato calcolato come: contenuto di ione Sodio – (contenuto
di ione Cloro + contenuto arterioso di ione bicarbonato) e la pressione parziale
venosa mista al 50% della saturazione è stata determinata come riportato da
Severinghaus (122). Inoltre, sono stati valutati i valori ematici di creatinina,
acido urico, la frazione plasmatica amino-terminale del precursore del peptide
natriuretico cerebrale (NT-proBNP).
I 34 pazienti sono stati studiati consecutivamente: il Gruppo 1 (n = 16)
dall’Aprile 1991 al Settembre 2003, trattato solo con la terapia convenzionale
allora disponibile, ed il Gruppo 2 (n = 18) dal Febbraio 2004 al Maggio 2009,
trattato aggiungendo i nuovi farmaci vasodilatatori alla terapia convenzionale.
I pazienti del Gruppo 2 hanno dato il loro consenso informato. Sono stati
sottoposti a PEA, e pertanto esclusi dallo studio, 4 pazienti del Gruppo 1 e 3
pazienti del Gruppo 2. Un paziente (femmina di 72 anni), è stata riferita al nostro
Istituto nel Gennaio del 2008 da un altro centro con la diagnosi di Inop-CTEPH
ed in trattamento con bosentan; la diagnosi è stata confermata dai nostri esperti
chirurghi, ma i dati sui valori arteriosi e venosi misti e sull’equilibrio acido-base
non sono stati ottenuti al momento della diagnosi. Pertanto, essa è stata inclusa
nel Gruppo 2 soltanto per lo studio della sopravvivenza (n = 15). I gruppi sono
stati seguiti per 3 anni e lo stato in vita dei pazienti è stata controllato attraverso i
dati del nostro Centro o contattando i medici di medicina generale o i parenti dei
63
pazienti stessi. Nessuno dei pazienti è stato perso durante il follow-up. Tutti i
pazienti sono stati valutati ambulatorialmente, definendo la loro condizione
clinica mediante esami di routine. Alcuni pazienti sono stati ospedalizzati,
basandoci sulla severità e sulla progressione clinica (per esempio frequenza di
ospedalizzazione, classe funzionale NYHA, dispnea, ipossiemia, ipocapnia,
deficit di eccesso basi, incremento di gap anionico e di acido urico, ciascuno
valutato in relazione ai precedenti valori nel singolo paziente). Durante il
follow-up 7 pazienti del Gruppo 2 sono stati sottoposti a nuova valutazione
emodinamica tramite RHC durante un ricovero ospedaliero. Ciò è stato
considerato inappropriato nei pazienti del Gruppo 1 trattati con terapia
convenzionale.
Statistica
Le analisi statistiche sono state compiute tramite il pacchetto statistico SPSS
(SPSS, Inc., Chicago, IL). I dati sono stati descritti usando media e deviazione
standard, o mediana e la differenza interquartile quando le variabili non erano
distribuite normalmente. Il confronto tra i gruppi è stato effettuato utilizzando il
test t per campioni indipendenti per i dati parametrici ed il test U di
Mann-Whitney per i dati non parametrici. Il test esatto di Fisher della probabilità
è stato inoltre usato per comparare i dati parametrici riguardanti campioni
relativamente piccoli. La sopravvivenza è stata stimata usando il metodo di
Kaplan-Meier con confronto eseguito tramite il log-rank test. Nel nostro studio
64
osservazionale, le possibili differenze tra i pazienti dei due gruppi, riguardo le
loro covariate basali, potrebbero influenzare le stime sugli effetti del trattamento.
Per questa ragione, le covariate sui dati demografici, sulle comorbidità, sulle
caratteristiche dell’CTEPH, sull’emodinamica, sul trasporto di ossigeno,
sull’equilibrio acido-base e su altre indagini di laboratorio e di esercizio fisico
sono state comparate basalmente tra i gruppi ed i sottogruppi. E’ stato
considerato significativo un valore di P di 0.05 o inferiore.
65
RISULTATI
Caratteristiche dei gruppi
I pazienti del Gruppo 1 sono risultati più giovani (61 ± 15 anni) rispetto a quelli
del Gruppo 2 (70 ± 12 anni), sebbene la differenza non sia significativa. Non è
stata trovata nessuna differenza significativa tra i due gruppi riguardo a sesso,
classe funzionale NYHA, durata della dispnea (tempo dalla comparsa di dispnea
allo studio emodinamico, come riferito da ciascun paziente), numero di
ospedalizzazioni (4.9 ± 3.6 e 3.4 ± 2.6, rispettivamente), superficie corporea,
comorbidità, e caratteristiche dell’Inop-CTEPH. Si segnala che nel 31% dei
nostri pazienti non è stato menzionato nell’anamnesi un episodio di embolia
polmonare acuta. Sebbene i dati emodinamici non siano differenti nei due gruppi,
quelli relativi al trasporto di ossigeno hanno mostrato che il tasso di estrazione di
ossigeno era significativamente minore nel Gruppo 2 (Tabella 2). Questo dato
suggerisce che il trattamento con ossigeno possa differire nei due gruppi. Infatti,
nel Gruppo 2 (Tabella 2) i valori arteriosi di pH, la saturazione arteriosa di
ossigeno e la saturazione venosa mista di ossigeno erano significativamente
maggiori, mentre i valori del gap anionico risultavano significativamente minori.
Questi risultati fanno pensare al fatto che i meccanismi di malattia sottostanti le
condizioni cliniche (per esempio l’equilibrio acido-base e il trattamento con
ossigeno) siano più stabili nei pazienti del Gruppo 2.
66
Tabella 2. Confronto dei parametri emodinamici, di trasporto di ossigeno e
scambio gassoso e altri parametri laboratoristici alla diagnosi tra il Gruppo
1 e il Gruppo 2.
Parametri Gruppo 1
n = 12
Gruppo 2*
n = 14
p
CI (L/min/m2)
HR (bpm)
mPAP (mmHg)
TPVR (dine •s/cm5)
mSAP (mmHg)
mRAP (mmHg)
TO2 (mL/min)
VO2, (mL/min)
O2ER, (%)
apH (unità)
PaO2 (mmHg)
PaCO2 (mmHg)
Hb (gr/mL)
SaO2 (%)
aBE (mmol/L)
vpH (unità)
PvO2 (mmHg)
SvO2 (%)
Pv50 (mmHg)
Sodio (mEq/L)
Cloro (mEq/L)
Creatinina (mg/dL)
Gap anionico (mmol/L)
Ospedalizzazioni (n°)
NYHA (classe funzionale)
2.565 ± 0.734
74 ± 17
46 ± 8
1522 ± 418
100 ± 13
5 ± 4
786 ± 256
276 ± 53
37 ± 9
7.443 ± 0.019
57 ± 9
33 ± 3
14.3 ± 1.9
88 ± 5
-1.0 ± 2.2
7.417 ± 0.026
31 ± 4
55 ± 9
29.0 ± 1.3
140 ± 2
106 ± 5
1.04 ± 0.17
12 ± 5
5 ± 4
3 ± 1
2.629 ± 0.569
74 ± 9
43 ± 11
1372 ± 469
91 ± 14
6 ± 4
830 ± 208
254 ± 63
31 ± 4
7.468 ± 0.025
62 ± 11
32 ± 4
14.4 ± 1.7
91 ± 3
-1.0 ± 2.9
7.434 ± 0.027
33 ± 2
63 ± 7
28.2 ± 2.0
138 ± 4
107 ± 5
1.15 ± 0.35
8 ± 3
3 ± 3
3 ± 1
0.803
0.969
0.419
0.400
0.095
0.694
0.629
0.329
0.025
0.010
0.230
0.374
0.812
0.046
0.956
0.122
0.135
0.008
0.235
0.055
0.541
0.322
0.016
0.230
0.291
67
Tabella 2.
*Il paziente 15 è stato incluso solo nell’analisi della sopravvivenza
CI = indice cardiaco, HR = frequenza cardiaca, mPAP = pressione arteriosa polmonare media,
TPVR = resistenze polmonari vascolari totali, mSAP = pressione arteriosa media sitemica,
mRAP = pressione atriale destra media, TO2 = trasporto di ossigeno, VO2 = consumo di
ossigeno, O2ER = estrazione di ossigeno, apH = pH arterioso, PaO2 = pressione parziale
arteriosa di ossigeno, PaCO2 = pressione parziale arteriosa di anidride carbonica, Hb =
emoglobina; SaO2 = saturazione di ossigeno arteriosa, aBE = eccesso basi arterioso, vpH = pH
venoso misto, PvO2 = pressione parziale di ossigeno venosa mista, SvO2 = saturazione di
ossigeno venosa mista, Pv50 = pressione parziale venosa mista di ossigeno alla quale il 50%
dell’emoglobina è satura, NYHA (classe funzionale) = classe funzionale secondo la New York
Heart Association
Decorso clinico
Per i pazienti del Gruppo 2 i trattamenti orali disponibili in Italia sono stati
inizialmente bosentan e successivamente sildenafil. Pertanto, bosentan (125 mg,
2 somministrazioni giornaliere) è stato prescritto a 10 pazienti e sildenafil
(20 mg, 3 somministrazioni giornaliere) a 2 pazienti. Le nuove terapie sono state
somministrate come monoterapia o terapia di associazione duplice a seconda
della stabilità delle condizioni cliniche. Perciò sildenafil è stato associato a
bosentan in 4 pazienti a motivo del peggioramento del decorso clinico valutato
tramite i valori emogasanalitici arteriosi, emodinamici misurati con RHC, e/o
tasso di ospedalizzazione (Figura 5). Infine, 2 pazienti con incremento basale
degli enzimi epatici sono stati trattati con sitaxentan (antagonista recettoriale A
dell’endotelina, 100 mg in un’unica somministrazione giornaliera), farmaco che è
68
stato disponibile più recentemente e che risulta appropriato a questa evenienza,
ma che attualmente è stato ritirato dal commercio.
Figura 5. Decorso clinico dei 14 pazienti del Gruppo 2.
Legenda:
* Pazienti con decorso clinico più sfavorevole X Decesso La freccia con il numero indica la FiO2 Il cerchio nero indica l’esecuzione di un cateterismo cardiaco destro Il cerchio bianco indica l’esecuzione di una scintigrafia polmonare da perfusione Il quadrato bianco indica l’ospedalizzazione
In 7 di questi 14 pazienti, arruolati dal 2004 al 2009 e con decorso clinico
peggiore, è stata ripetuta durante un ricovero ospedaliero una rivalutazione
emodinamica durante terapia (repeat RHC, Figura 5) per valutare le condizioni
69
emodinamiche durante trattamento e, possibilmente, i meccanismi della
desaturazione di ossigeno osservata durante le visite periodiche ambulatoriali.
E’ stato considerato non etico ripetere il RHC ai pazienti del Gruppo 1 e nei
restanti 7 pazienti del Gruppo 2. Se richiesto, il flusso di ossigeno inalato è stato
incrementato nei pazienti con decorso clinico peggiore (6 di 7 pazienti) e in 2 di
essi (VG e GV) sildenafil è stato aggiunto a bosentan dopo il secondo
cateterismo cardiaco (Figura 5). Allo scopo di determinare gli effetti che il
trattamento poteva produrre, sono stati confrontati l’emodinamica, il trasporto di
ossigeno, i valori di scambio gassoso respiratorio e il 6MWT basali con quelli
ottenuti durante il trattamento terapeutico in quei 7 pazienti (Tabella 3). Una
riduzione significativa dei valori delle resistenze vascolari polmonari totali
durante la terapia, con decremento dei valori di pressione arteriosa media in
arteria polmonare, sebbene non significativo, e in assenza di modifiche
dell’indice cardiaco suggeriscono un miglioramento emodinamico nella
circolazione polmonare. Il flusso di ossigeno inalato veniva significativamente
aumentato allo scopo di sostenere la saturazione arteriosa di ossigeno e i valori di
pressione parziale di anidride carbonica. E’ stata osservata, inoltre, una
correlazione inversa significativa tra i valori di acido urico e la pressione parziale
di anidride carbonica (r = -0.934, p = 0.002) presente basalmente ma non durante
terapia (r = 0.073, p = 0.876). In aggiunta, una correlazione diretta e significativa
tra il gap anionico e la frequenza cardiaca era presente basalmente ma non
durante terapia (r = 0.777, p = 0.040 e r = -0.283, p = 0.539 rispettivamente).
70
Tabella 3. Confronto dei parametri emodinamici, di trasporto di ossigeno e
scambio gassoso e del 6MWT alla diagnosi e durante terapia in 7 dei 14
pazienti del Gruppo 2, caratterizzati da un decorso clinico più sfavorevole*
Parametri Alla diagnosi
RHC (n = 7)
tempo : 0
Durante terapia
repeat RHC (n = 7)
tempo : 32 ± 19 mesi
p
CI (L/min/m2)
HR (bpm)
SVI (mL/bpm/m2)
mPAP (mmHg)
TPVR (dine •s/cm5)
mSAP (mmHg)
mRAP (mmHg)
FiO2 (%)
TO2 (mL/min)
VO2, (mL/min)
O2ER, (%)
apH (unità)
PaO2 (mmHg)
PaCO2 (mmHg)
SaO2 (%)
aBE (mmol/L)
vpH (unità)
PvO2 (mmHg)
SvO2 (%)
Pv50 (mmHg)
Acido urico (mg(dL)
Gap anionico (mmol/L)
NT-proBNP (pg/mL)
6MWD (metri)
2.537± 0.370
74 ± 9
33 ± 5
49 ± 10
1595 ± 439
93 ± 12
7 ± 4
23 ± 3
801 ± 167
255 ± 49
32 ± 5
7.469 ± 0.034
57 ± 6
30 ± 4
90 ± 3
-1.9 ± 1.9
7.441 ± 0.034
32 ± 2
61 ± 5
28.7 ± 1.3
7.2 ± 1.9
8 ± 3
2767 ± 1740
232 ± 54
2.644 ± 0.393
65 ± 11
41 ± 7
44 ± 9
1151± 285
90 ± 16
7 ± 5
29 ± 6
737 ± 131
261 ± 44
35 ± 4
7.500 ± 0.034
59 ± 18
32 ± 5
89 ± 6
2.2 ± 1.9
7.459 ± 0.035
30 ± 2
58 ± 6
28.3 ± 1.3
6.1 ± 1.9
6 ± 3
2908 ± 3123
238 ± 55
0.509
0.175
0.031
0.164
0.012
0.554
0.950
0.047
0.211
0.329
0.205
0.056
0.844
0.200
0.456
0.002
0.262
0.069
0.252
0.642
0.152
0.179
0.905
0.765
71
Tabella 3.
*Il paziente 15 è stato incluso solo nell’analisi della sopravvivenza
RHC = cateterismo cardiaco destro, SVI = indice sistolico, FiO2 = frazione di ossigeno inalata,
NT-proBNP = frammento amino-terminale del peptide natriuretico cerebrale, 6MWD = test del
cammino dei 6 minuti. Le altre abbreviazioni sono come nella Tabella 2.
Questi risultati, così come il cambiamento di eccesso basi da valori negativi a
valori positivi (p = 0.002), indicano un andamento verso l’omeostasi
dell’equilibrio acido-base, in accordo con il decremento del gap anionico,
sebbene questo fosse nei limiti della normalità al tempo zero.
I pazienti con decorso clinico peggiore (n = 7), confrontati con quelli con decorso
clinico più favorevole (n = 7), mostravano valori di pressione media in arteria
polmonare significativamente più alti e valore di saturazione venosa mista
significativamente più bassa, così come si distinguevano per livelli medi di
NT-proBNP significativamente maggiori e un percorso al 6MWT
significativamente più breve (Tabella 4), eseguito con simile flusso di ossigeno
inalato (p = 0.572). Questi risultati insieme confermano il miglior stato clinico
basale di quei pazienti che non sono stati sottoposti al RHC durante terapia.
Infatti, questi pazienti non avevano bisogno di frequenti ospedalizzazioni (1 ± 1
vs 6 ± 2 ospedalizzazioni, p = 0.001) o di supplementazione di ossigeno e
combinazione di nuove terapie vasodilatatrici ad eccezione di un paziente
(paziente BM, Figura 1) per il quale sildenafil è stato aggiunto a bosentan dopo
la seconda ospedalizzazione.
72
Tabella 4. Confronto all’interno del Gruppo 2 tra i 7 pazienti (5 femmine)
con decorso clinico peggiore (in cui sono stati eseguiti un RHC basale e un
RHC durante terapia) e i 7 pazienti con decorso migliore (solo RHC basale)*
Parametri Pazienti con repeat RHC
(n = 7, decorso clinico peggiore)
Pazienti senza repeat RHC
(n = 7, decorso clinico migliore)
p
CI (L/min/m2)
HR (bpm)
mPAP (mmHg)
TPVR (dine •s/cm5)
mSAP (mmHg)
mRAP (mmHg)
FiO2 (%)
TO2 (mL/min)
VO2 (mL/min)
O2ER (%)
apH (unità)
PaO2 (mmHg)
PaCO2 (mmHg)
SaO2 (%)
aBE (mmol/L)
vpH (unità)
PvO2 (mmHg)
SvO2 (%)
Pv50 (mmHg)
Acido urico (mg/dL)
Gap anionico (mmol/L)
NT-proBNP (pg/mL)
6MWD (metri)
Ospedalizzazioni (n°)
2.537± 0.370
74 ± 9
49 ± 10
1595 ± 439
93 ± 12
7 ± 4
23 ± 3
801 ± 167
255 ± 49
32 ± 5
7.469 ± 0.034
57 ± 6
30 ± 4
90 ± 3
-1.9 ± 1.9
7.441 ± 0.034
32 ± 2
61 ± 5
29.1 ± 1.9
7.2 ± 1.9
8± 3
2767 ± 1740
232 ± 54
6 ± 2
2.720 ± 0.738
73 ± 10
37 ± 8
1158± 422
91 ± 14
5 ± 3
24 ± 5
859 ± 252
252 ± 78
29 ± 4
7.467 ± 0.015
66 ± 14
33 ± 4
93 ± 4
-0.1 ± 3.7
7.427 ± 0.019
34 ± 2
66 ± 3
27.2 ± 1.6
6.5 ± 1.2
7 ± 3
756 ± 714
358 ± 70
1 ± 1
0.564
0.807
0.022
0.080
0.735
0.174
0.572
0.617
0.923
0.233
0.874
0.168
0.277
0.166
0.288
0.356
0.257
0.044
0.066
0.435
0.558
0.015
0.003
0.001
73
Tabella 4.
*Il paziente 15 è stato incluso solo nell’analisi della sopravvivenza
Le abbreviazioni sono quelle mostrate nella Tabella 2 e nella Tabella 3.
Emerge in maniera interessante che la durata della dispnea in questi pazienti era
più breve di quella osservata nei pazienti in cui veniva ripetuto il RHC (2.580 ±
1.085 vs 3.691 ± 0.867 ln mesi, rispettivamente, p = 0.056), suggerendo che il
ritardo diagnostico potrebbe giocare un ruolo nel peggioramento delle condizioni
cliniche. Di contro, confrontando tutte le correlazioni della Tabella 2 tra i
pazienti del Gruppo 1 (n = 12) e i pazienti che hanno ripetuto il RHC
(sottogruppo con decorso clinico peggiore del Gruppo 2, n = 7), solo il valore di
pH arterioso era differente (7.443 ± 0.019 e 7.469 ± 0.034, rispettivamente, p =
0.046, Tabella 5).
Esclusi i 7 pazienti che hanno ripetuto il RHC, 5 pazienti sono stati sottoposti
anche a una nuova scintigrafia polmonare da perfusione eseguita in 4 proiezioni
(VG, GV, GG, CF, BG, Figura 5). L’analisi comparativa della distribuzione
della perfusione polmonare basale e durante terapia (repeat PLS) non è stata
possibile per il paziente BG per differenza di detettori rispetto alla PLS basale.
74
Tabella 5 Confronto dei parametri emodinamici, di trasporto di ossigeno e
scambio gassoso e altri parametri laboratoristici alla diagnosi tra il Gruppo 1 e i 7
pazienti del Gruppo 2 con decorso clinico peggiore
Parametri Gruppo 1 (n = 12) Pz. del Gruppo 2 con repeat RHC (n = 7)
p
CI (L/min/m2)
HR (bpm)
mPAP (mmHg)
TPVR (dine •s/cm5)
mSAP (mmHg)
mRAP (mmHg)
TO2 (mL/min)
VO2, (mL/min)
O2ER, (%)
apH (unità)
PaO2 (mmHg)
PaCO2 (mmHg)
Hb (gr/mL)
SaO2 (%)
aBE (mmol/L)
vpH (unità)
PvO2 (mmHg)
SvO2 (%)
Pv50 (mmHg)
Sodio (mEq/L)
Cloro (mEq/L)
Creatinina (mg/dL)
Gap anionico (mmol/L)
Ospedalizzazioni (n°)
NYHA (classe funzionale)
2.565 ± 0.734
74 ± 17
46 ± 8
1522 ± 418
100 ± 13
5 ± 4
786 ± 256
276 ± 53
37 ± 9
7.443 ± 0.019
57 ± 9
33 ± 3
14.3 ± 1.9
88 ± 5
-1.0 ± 2.2
7.417 ± 0.026
31 ± 4
55 ± 9
29.0 ± 1.3
140 ± 2
106 ± 5
1.04 ± 0.17
12 ± 5
5 ± 4
3 ± 1
2.537 ± 0.370
74 ± 9
49 ± 10
1595 ± 439
91 ± 14
7 ± 4
801 ± 167
255 ± 49
32 ± 5
7.469 ± 0.034
57 ± 6
30 ± 4
14.4 ± 1.6
90 ± 3
-1.9 ± 1.9
7.441 ± 0.034
32 ± 2
61 ± 5
29.1 ± 1.9
138 ± 5
107 ± 6
1.20 ± 0.38
9 ± 3
6 ± 2
3 ± 1
0.926
0.977
0.451
0.759
0.183
0.405
0.891
0.401
0.198
0.046
0.847
0.113
0.897
0.292
0.362
0.102
0.471
0.163
0.857
0.163
0.475
0.213
0.127
0.664
0.683
75
Tabella 5
*Il paziente 15 è stato incluso solo nell’analisi della sopravvivenza
Le abbreviazioni sono quelle mostrate nella Tabella 2 e nella Tabella 3.
Nella Figura 6 è rappresentato un confronto tra la distribuzione globale del
flusso ematico del polmone sinistro e destro, ciascuno suddiviso in indipendenti
regioni di interesse (ROI) basalmente e durante terapia.
Figura 6. UN ESEMPIO DI REDISTRIBUZIONE DEL FLUSSO DI
SANGUE POLMONARE MEDIANTE SCINTIGRAFIA POLMONARE
DA PERFUSIONE.
76
Figura 6. Confronto di redistribuzione del flusso di sangue dei 2 polmoni, ciascuno
considerato come un’indipendente ROI (Regione d’interesse), tra il momento della diagnosi e
durante terapia. La scintigrafia polmonare da perfusione (PLS) del paziente GG mostrava
basalmente una ridotta perfusione a carattere segmentale a livello del lobo inferiore di destra e
una disomogenea distribuzione a carico del polmone di sinistra, come atteso da una
localizzazione casuale da parte dei trombi nel letto vascolare polmonare. La PLS eseguita
durante terapia ha mostrato, dopo standardizzazione per il numero totale di conti rispetto alla
scintigrafia basale, un marcato incremento del flusso di sangue nel lobo inferiore polmonare
destro, associato a un ridotta disomogeneità della perfusione vascolare del polmone sinistro.
Questi cambiamenti nella distribuzione del flusso di sangue potrebbero essere interpretati
come suggestivi di rimodellamento vascolare polmonare.
Nella Figura 7 sono inoltre rappresentati i cambiamenti della distribuzione del
flusso ematico polmonare tra la diagnosi e durante terapia in 4 pazienti del
Gruppo 2. In tutti i pazienti si verificavano cambiamenti significativi nella
distribuzione del flusso ematico polmonare.
77
Figura 7. Redistribuzione del flusso di sangue polmonare e resistenze
vascolare totali polmonari in 4 pazienti del Gruppo 2.
Figura 7. Le resistenze vascolari polmonari totali (TPVR) durante terapia si sono ridotte (GV,
CF, VG) o non sono cambiate (GG): la durata di terapia fa riferimento al repeat-RHC. La
relativa percentuale di redistribuzione di perfusione tra i 2 polmoni (in figura rappresentata dal
quadrato nero con linee (deviazione standard, SD) si è verificata in tutti e 4 i pazienti,
assumendo, in accordo al “test dell’ipotesi nulla” (123), l’assenza di cambiamenti del flusso di
sangue polmonare tra la diagnosi e durante terapia.
78
Sopravvivenza
I 27 pazienti Inop-CTEPH sono stati seguiti per un follow-up di 3 anni
(Figura 8). Durante questo periodo, 7 di 12 pazienti del Gruppo 1 (58%) sono
deceduti: 6 per scompenso cardiaco destro, una paziente a seguito di neoplasia
uterina. Nel Gruppo 2 sono stati registrati 2 decessi (2 di 15 pazienti, 13%): un
paziente per emorragia gastrica a sei mesi di follow-up e un paziente per
complicanze da neoplasia polmonare dopo 4 mesi di follow-up. I pazienti del
Gruppo 1 sono stati trattati con terapia convenzionale ossia con
supplementazione di ossigeno, anticoagulanti, diuretici, e in 2 di essi anche
digitale. I pazienti del Gruppo 2 sono stati trattati con terapia convenzionale e
una combinazione dei nuovi farmaci vasodilatatori, quando richiesto. Come
mostrato in Figura 8, i 15 pazienti del Gruppo 2 hanno avuto un tasso di
sopravvivenza significativamente maggiore (p = 0.031) di quello osservato nei
12 pazienti del Gruppo 1. Da sottolineare il fatto che i 2 pazienti del Gruppo 2
sono deceduti a seguito di condizioni cliniche non correlate a scompenso
cardiaco destro.
79
Figura 8. RAPPRESENTAZIONE DELLA SOPRAVVIVENZA SECONDO
KAPLAN-MEIER DEI PAZIENTI AFFETTI DA Inop-CTEPH.
Figura 8. Il Gruppo 1 è formato dai 12 pazienti trattati con terapia di supporto convenzionale
(diuretici, ossigeno, anticoagulanti, diossina), mentre il Gruppo 2 è rappresentato da 15
pazienti trattati con la combinazione di terapia con i nuovi vasodilatatori in aggiunta alla
terapia convenzionale (vedi il testo). Durante i 3 anni di follow-up sono deceduti 7 pazienti del
Gruppo 1 (58%) e soltanto 2 pazienti del Gruppo 2 (13%), per cause non correlate a
scompenso cardiaco destro. La differenza di sopravvivenza tra i 2 Gruppi è significativa
utilizzando il test log-rank (p = 0.031).
80
Discussione
Effetti delle nuove terapie sulla sopravvivenza dei pazienti affetti da ipertensione
trombo-embolica non operabili
I nuovi farmaci, sebbene comunemente utilizzati nei pazienti affetti da
ipertensione arteriosa polmonare idiopatica e associata (2, 124), sono, al
momento attuale, non autorizzati per i pazienti Inop-CTEPH.
D’altra parte, i cambiamenti vascolari periferici, che sono istologicamente
osservati nelle forme di ipertensione arteriosa polmonare idiopatica, sono
osservabili anche a livello del letto vascolare distale dei pazienti CTEPH (125).
Come mostrato nella Figura 8, il tasso di sopravvivenza a 3 anni dei pazienti del
Gruppo 2 trattati con terapia convenzionale e una combinazione dei nuovi
farmaci vasodilatatori è stata significativamente maggiore di quella osservata nei
pazienti del Gruppo 1 trattati con la sola terapia convenzionale (p = 0.031).
I nostri risultati si aggiungono alla scarse evidenze riportate in letteratura sul
miglioramento della sopravvivenza a lungo termine nei pazienti Inop-CTEPH
trattati con i nuovi farmaci vasodilatatori. In uno studio giapponese (126), un
analogo orale della prostaciclina (beraprost), non ancora disponibile in Europa, è
stato valutato per il trattamento dei pazienti Inop-CTEPH. Un gruppo di pazienti
è stato trattato con la terapia convenzionale e beraprost orale e uno con la sola
terapia convenzionale. Dopo 3 anni, la sopravvivenza nel secondo gruppo era
stata significativamente minore rispetto al primo (61% vs 85% rispettivamente).
Nel nostro follow-up, la sopravvivenza del Gruppo 1 era 31% mentre nel Gruppo
81
2 era 86% Figura 8. Sebbene la sopravvivenza dei pazienti trattati con terapie
nuove sia simile in entrambi gli studi, nel nostro Gruppo 1 la sopravvivenza era
più bassa rispetto allo studio giapponese. D’altronde, l’età media dei pazienti
dello studio giapponese era più bassa (52 ± 14 anni) rispetto a quella dei nostri
pazienti (61 ± 15 anni). Inoltre, nel nostro studio la pressione parziale media
arteriosa di ossigeno era inferiore (57 ± 9 vs 62 ± 9 mmHg) e il valore medio
delle resistenze vascolari polmonari totali in unità Wood era maggiore (19 ± 5 vs
16 ± 9). Queste differenze potrebbero spiegare il tasso di mortalità più elevato
nel nostro Gruppo 1.
Comparando il tasso di mortalità a 3 anni tra il nostro Gruppo 2 e il gruppo dei
pazienti trattati con beraprost, risulta che, nel secondo gruppo, 2 pazienti erano
deceduti per cause cardiopolmonari mentre nel nostro Gruppo 2 un paziente è
deceduto per emorragia gastrica (terapia anticoagulante) e uno a seguito di
complicanze da neoplasia polmonare, suggerendo il fatto che la nostra strategia
terapeutica possa funzionare meglio della monoterapia con beraprost contro il
declino della funzionalità del cuore destro.
Uno studio di pazienti affetti da Inop-CTEPH con valori di pressione media in
arteria polmonare maggiori ai 30 mmHg, trattati con terapia convenzionale,
mostrava una sopravvivenza a 3 anni del 25% (1), che è ciò che accade nel nostro
Gruppo 1 (31%). D’altra parte, nei pazienti con severa ipertensione arteriosa
polmonare trattati con combinazione di bosentan, sildenafil e iloprost inalatorio
correlata da un attento monitoraggio clinico-strumentale, è stata osservata una
82
sopravvivenza a 3 anni dell’84% (114), che è molto vicino al dato dei nostri
pazienti Inop-CTEPH. Infine, in uno studio multicentrico tedesco (119), in 50
pazienti con Inop-CTEPH, la mono- (n = 40) o duplice (n = 10) terapia con i
nuovi farmaci ha migliorato la sopravvivenza a lungo termine rispetto a quella di
2 gruppi storici di pazienti sottoposti al trattamento convenzionale.
Effetti delle nuove terapie sul decorso clinico dei pazienti affetti da ipertensione
trombo-embolica non operabili
Gli studi sul decorso clinico a lungo termine (3 anni) di pazienti affetti da
Inop-CTEPH trattati con le nuove terapie vasodilatatrici non si sono rivolti alle
caratteristiche dell’andamento del quadro morboso (per esempio trasporto di
ossigeno, equilibrio acido-base) che potrebbero essere alla base del decorso
clinico stesso. Un incremento della tensione arteriosa di ossigeno è stata riportata
in 12 pazienti Inop-CTEPH dopo un trattamento di 6 mesi con sildenafil (127) e
un’elevazione dei valori di saturazione venosa mista è stata osservata in 45
pazienti Inop-CTEPH dopo un anno di terapia con bosentan (117).
Nei nostri pazienti del Gruppo 2 la terapia combinata è stata adottata per un
peggioramento dell’ipossiemia, dell’equilibrio acido-base e del quadro
emodinamico. D’altronde, le linee guida dell’ipertensione arteriosa polmonare
più recenti (2), suggeriscono la terapia di combinazione qualora una condizione
clinica stabile in mono-terapia non sia stata raggiunta. Nel nostro studio, questa
strategia appare associata con una buona sopravvivenza nei pazienti del
83
Gruppo 2, in particolare quando confrontata alla sopravvivenza osservata nei
pazienti del Gruppo 1 (Figura 8). Questi ultimi condividono con il Gruppo 2
simili caratteristiche demografiche, comorbidità, caratteri di CTEPH e quadro
emodinamico (Tabella 2) e differiscono soltanto per i valori di pH arterioso dal
sottogruppo di pazienti che sono stati sottoposti a rivalutazione emodinamica,
comparando tutte le covariate (Tabella 5). Infatti, l’osservazione accurata del
decorso clinico (numero di ospedalizzazioni, ipossiemia, equilibrio acido-base)
ha permesso di individuare quei 7 pazienti nei quali le condizioni cliniche
stavano deteriorandosi e nei quali è stato ripetuto il RHC. Comparando
retrospettivamente i dati emodinamici basali tra i 7 pazienti che hanno ripetuto il
RHC e quelli che non sono stati sottoposti a cateterismo cardiaco destro durante
terapia (Tabella 4), i risultati, in particolare quelli riguardanti i livelli ematici di
NT-proBNP, 6MWT, pressione arteriosa media polmonare e saturazione di
ossigeno venosa mista sembrano coerenti con una migliore condizione clinica nei
7 pazienti che non hanno ripetuto il RHC. Inoltre, la terapia combinata nei 7
pazienti che hanno ripetuto il RHC ha determinato un miglioramento delle
resistenze vascolari polmonari totali e dei valori di eccesso basi arterioso
(Tabella 3). Le nostre osservazioni suggeriscono che i livelli sierici di
NT-proBNP e il 6MWT sembrino più utili per selezionare i pazienti per il
trattamento (Tabella 4) piuttosto che per monitorizzarne gli effetti (Tabella 3).
Ciò potrebbe essere in parte spiegato dai coefficienti di variazione relativamente
alti per queste variabili. In particolare, poichè NT-proBNP è rilasciato dalla
84
dilatazione delle sezioni cardiache (destre), potrebbe svilupparsi in una certa
misura un’ipertrofia miocardica durante un periodo di terapia abbastanza lungo
(32 ± 19 mesi, (Tabella 3), e questo tenderebbe ad incrementare il livello di
pressione diastolica ventricolare rispetto al volume ventricolare (128),
mantenendo in tal modo un elevato stimolo sui recettori di stiramento che
inducono il rilascio di NT-proBNP, nonostante un lieve decremento del
sovraccarico cardiaco stesso. Questa interpretazione è supportata dall’incremento
della portata cardiaca indicizzata durante la terapia (Tabella 3). Per quanto
riguarda il test del cammino dei 6 minuti, dato che “una velocità media di
cammino incrementata è più verosimile che sia giustificata da una portata
cardiaca massimamente aumentata” (129), il suo valore, dopo 3 mesi di
trattamento è atteso più basso in relazione all’età e alla relativa progressione di
malattia. Inoltre, la discrepanza tra i valori del 6MWT, che non aumentano in
maniera significativa, e quelli delle TPVR, che invece evidenziano una
significativa riduzione di sovraccarico per il ventricolo destro, potrebbe essere
spiegata dalla presenza dell’ipossiemia e dallo sviluppo di acidosi metabolica
(valore di BE negativo basalmente, Tabella 3). “In queste condizioni, l’energia
totale ottenuta dal metabolismo dei carboidrati è molto ridotta, e la quantità di
energia disponibile per la produzione di ATP diventa inadeguata” (130).
L’incipiente acidosi metabolica ipossiemia potrebbe migliorare durante la terapia
dall’incremento della FiO2 (p = 0.047) (valore di BE positivo, p = 0.002 e
incremento dell’indice cardiaco, p = 0.031, Tabella 3.
85
Comunque, poiché i valori di 6MWT sono stati ottenuti con un livello di FiO2
non significativamente diverso da quello basale (p = 0.072), l’ipossiemia ha
verosimilmente ostacolato il loro incremento. La discrepanza tra i parametri
emodinamici e il 6MWT è stato anche recentemente riportato in uno studio
randomizzati controllato (117) e in una metaanalisi (67) sull’effetto del bosentan
nei pazienti affetti da CTEPH.
Rifornimento di ossigeno ai tessuti
Al momento della diagnosi il rifornimento di ossigeno ai tessuti, valutato con il
trasporto di ossigeno, i valori arteriosi e venosi misti dei gas di scambio
respiratorio e i valori di equilibrio acido-base (Tabella 2), appare più inadeguato
nei pazienti del Gruppo 1 rispetto a quelli del Gruppo 2. Inoltre, il rifornimento
di ossigeno ai tessuti nei 7 pazienti del Gruppo 2 che hanno ripetuto il RHC, cioè
quelli con decorso clinico sfavorevole, appare simile a quello dei pazienti del
Gruppo 1 (Tabella 5), ma non si è verificato nessun decesso per scompenso
cardiaco destro nel Gruppo 2 (Figura 8). Infatti, il livello di pressione parziale di
ossigeno nel sangue arterioso dei pazienti con decorso clinico sfavorevole è più
ridotto, in modo quasi identico a quello dei pazienti del Gruppo 1 (Tabella 5), e
corrisponde ai valori di pressione parziale di ossigeno nel sangue arterioso
osservato nei pazienti affetti da broncopneumopatia cronica ostruttiva quando la
supplementazione dell’ossigeno inalato atmosferico è obbligatorio ed incrementa
significativamente la sopravvivenza (132). Dato che la richiesta di ossigeno è
86
maggiore nei pazienti affetti da Inop-CTEPH rispetto a quelli con
broncopneumopatia cronica ostruttiva, a causa della più elevata pressione
arteriosa polmonare e resistenza vascolare nei primi, sembra che un’adeguata
supplementazione di ossigeno nei vari stadi dell’ipertensione polmonare
trombo-embolica possa essere utile nel trattamento dello scompenso cardiaco
destro.
La disomogeneità della perfusione polmonare contribuisce all’ipossiemia nei
pazienti affetti da CTEPH (133, 134). Un carattere interessante del nostro studio
è la redistribuzione della perfusione polmonare (Figura 6). Come mostrato nella
Figura 7 questa caratteristica è stata osservata in tutti e 4 i pazienti sottoposti a
PLS al momento della diagnosi e dopo circa 2 anni (27 ± 6 mesi) di terapia.
Questa redistribuzione della perfusione polmonare sembra accompagnata nel
lungo periodo a riduzione (3 pazienti) o stabilità (un paziente) delle resistenze
vascolari polmonari totali (Figura 7). Ciò suggerisce il fatto che la
supplementazione di ossigeno e la combinazione dei nuovi farmaci vasodilatatori
possano indurre nel tempo qualche grado di rimodellamento vascolare polmonare
con un effetto favorevole sulle proprietà emodinamiche e di scambio gassoso
della circolazione polmonare stessa. L’ossigeno-terapia e i farmaci potrebbero
agire sinergicamente.
87
Limiti del nostro studio
Pur essendo consapevoli che sono necessari studi clinici randomizzati e
controllati, è necessario provare gli effetti benefici dei nuovi farmaci nei pazienti
affetti da Inop-CTEPH. Inoltre, visto che la numerosità del nostro campione è
abbastanza ridotto, i nostri risultati dovrebbero essere confermati
somministrando simili trattamenti ad un ampio numero di pazienti affetti da
Inop-CTEPH.
88
CONCLUSIONI
I nuovi farmaci vasodilatatori polmonari utilizzati per il trattamento della PAH e
l’ossigeno-terapia migliorano i parametri emodinamici, lo scambio gassoso di
ossigeno e l’equilibrio acido-base nei pazienti affetti da Inop-CTEPH, ritardando
la progressione dello scompenso cardiaco destro e incrementando la
sopravvivenza a 3 anni.
89
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