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UN I V E R S I T À D E G L I S T UD I D I P A DO V A
Dipartimento di Scienze Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali
Corso di Laurea Specialistica in
Politiche dell’Unione Europea
Tesi di laurea specialistica
UN’ANALISI DEL PERCORSO COMUNITARIO
IN MATERIA SANITARIA
Relatore: Prof. Gianni Riccamboni
Laureanda: Michela Zanella Matricola: 570503
Anno Accademico: 2012/2013
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S O M M A R I O
INTRODUZIONE ............................................................................................................ 9
CAPITOLO I ..................................................................................................................... 13
IL PROCESSO DI INTEGRAZIONE EUROPEO NELLA POLITICA SOCIALE
........................................................................................................................................... 13
1.1 L’evoluzione del processo di integrazione nell’ambito delle politiche sociali... 14
1.2 Il concetto di cittadinanza europea nel processo di integrazione..................... 21
CAPITOLO II .................................................................................................................... 25
LA POLITICA SANITARIA IN EUROPA................................................................. 25
2.1 Le scelte di politica sanitaria negli Stati membri: modelli differenti................. 26
2.2 Evoluzione dell’esigenza di un intervento europeo in materia sanitaria .......... 37
2.3 La politica sanitaria in Europa: esiste un processo di policy making? ............. 44
2.4 Gli attori coinvolti e le modalità di azione ............................................................ 59
CAPITOLO III .................................................................................................................. 67
LA MOBILITA’ TRANSFONTALIERA: UN PASSO CONCRETO DI UN
PERCORSO? .................................................................................................................. 67
3.1 Il fenomeno della mobilità sanitaria ...................................................................... 68
3.2 La Direttiva 2011/24/UE e la sua genesi .............................................................. 75
3.3 L’attività di implementazione della Direttiva e gli attori coinvolti ..................... 84
CAPITOLO IV ................................................................................................................... 87
LA REGIONE VENETO ................................................................................................ 87
4.1 Il ruolo delle Regioni italiane nella politica sanitaria comunitaria ..................... 88
4.2 Le azioni della Regione Veneto ............................................................................102
CONCLUSIONI ........................................................................................................... 111
BIBLIOGRAFIA .......................................................................................................... 121
9
INTRODUZIONE
Il processo di integrazione europea, rispetto agli obiettivi di partenza,
ha raggiunto un livello di sviluppo tale da abbracciare non più solo l’ambito
economico ma, ormai da decenni, si è ampliato nell’intento di costruire
quello che è stato definito “lo spazio sociale europeo”1. Il percorso
intrapreso sembra indirizzarsi sempre più verso la costruzione di una vera
cittadinanza europea, che passa attraverso l’elaborazione, a livello
comunitario, delle diverse tutele in materia di sicurezza sociale e di diritti
acquisiti, sviluppati storicamente a livello nazionale; ciò rappresenta una
grande conquista per i sostenitori dell’ideale europeo e un obiettivo che
richiede l’elaborazione non solo di accordi interstatali o di strumenti
normativi, ma la diffusione, in termini culturali, di un sentimento di
appartenenza alla realtà europea tra i cittadini stessi.
Tra gli aspetti che possono considerarsi di tutela sociale, la salute è
sicuramente uno di questi. L’esistenza in ogni paese europeo di un
peculiare sistema sanitario, e di un’altrettanto specifica politica sanitaria,
rende tale area particolarmente delicata, poiché si tratta di un settore di
interessi strategici per gli Stati nazionali. La costruzione, tuttavia, di una
garanzia di cittadinanza europea, in termini di tutela dei diritti, non
significa annullamento o eliminazione delle peculiarità nazionali e spesso,
in alcuni ambiti, l’esistenza di processi paralleli con relative intersezioni
tematiche dei due livelli di governarce, può risultare una scelta valida e
maggiormente efficace. E’ probabilmente in quest’ottica che si inserisce la
sempre maggiore attenzione che il settore salute sta ricevendo negli ultimi
anni a livello comunitario.
Le scelte di politica sanitaria di ogni paese sono legate a molteplici
1 Il concetto va fatto risalire a Jacques Delors e di tale aspetto parla D. Piana in Costruire la democrazia. Ai confini dello spazio pubblico europeo, Padova, Liviana, 2006.
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fattori storici, culturali e politici e, in un’Europa a 28, le caratteristiche dei
sistemi sanitari sono necessariamente diverse, in alcuni casi
concettualmente diverse; tuttavia il percorso di integrazione che tali Stati
hanno sottoscritto e stanno percorrendo, pone sempre maggiori sfide agli
stessi, per alcuni aspetti non previste. La politica sanitaria rimane ambito
di intervento nazionale ed è difficile pensare ad un cambiamento radicale
nei prossimi anni di tale sistema; emergono, tuttavia, una serie di aspetti,
legati al processo di integrazione stesso, che determinano la necessità di
rivedere la chiusura dei confini in ambito sanitario. Il fenomeno della
mobilità delle persone, in tutti i suoi aspetti, porta con sè l’esigenza di
garantire gli stessi servizi ovunque, soprattutto in termini di standard
qualitativi, in tematiche così delicate come la salute. E con mobilità si
intende non solo quella turistica, conseguenza di frontiere aperte, ma
soprattutto i fenomeni di mobilità lavorativa e di libertà di stabilimento che
l’integrazione non può che aver aumentato in modo esponenziale. La
garanzia quindi di diritti cardine del processo di integrazione, come la
libertà di movimento delle persone, la libertà di stabilimento piuttosto che
la libertà di fornitura di servizi, pone sempre maggiori sfide ad un percorso
che sembra allargarsi a macchia d’olio nei suoi ambiti di interesse. A ciò si
aggiunge inoltre la considerazione che, in un momento di forte crisi
economica, il settore sanità sia un ambito strategico, o perlomeno
importante, anche dal punto di vista occupazionale.
Tutti questi fenomeni, ma soprattutto un percorso che mira a creare
il senso di cittadinanza europea, non possono ignorare la necessità di
attivarsi in ambito sanitario per trovare, tra i 28 paesi, un terreno comune,
per identificare le problematiche da affrontare insieme, per rendere
omogenee alcune garanzie indispensabili nel rispetto comunque di
differenti scelte nazionali in termini di modelli sanitari di fornitura delle
prestazioni.
L’obiettivo di questo lavoro è analizzare che tipo di percorso è stato
11
fatto, e si sta facendo, a livello europeo in materia, con quali strumenti, in
quali ambiti specifici; osservare chi sono i soggetti coinvolti e le modalità
operative degli stessi, per cercare di capire se possiamo parlare di una
politica sanitaria in Europa o se è un processo ancora troppo in fieri per
poterlo delineare. L’analisi cercherà, dapprima, di collocare il settore sanità
nel percorso di sviluppo della politica sociale europea, osservando quando
e come si iniziano ad affrontare problematiche relative alla salute a livello
comunitario. Il secondo capitolo verrà dedicato all’approfondimento delle
azioni elaborate in materia sanitaria dai diversi soggetti coinvolti; partendo
dall’analisi dell’esistenza di modelli differenti tra i paesi dell’Unione
Europea, sarà interessante individuare quali siano i bisogni che emergono
in tale area e come si sceglie di gestirli a livello sovranazionale. Il
fenomeno non potrà che essere osservato attraverso l’analisi delle azioni
che negli anni si sono susseguite, cercando di individuarne il periodo, per
capire quando si è sviluppata la discussione e quando la stessa si sia
tradotta in azione; la natura stessa delle azioni, la tipologia degli strumenti
utilizzati, nonché gli attori coinvolti, ci permetteranno di capire se stiamo
parlando di una policy in fase di sviluppo o di un processo che possiede
già le carte in regola per progredire nell’implementazione.
Il capitolo III avrà un focus specifico sulla recente Direttiva 2011/24/UE
che, occupandosi della mobilità sanitaria transfontaliera, sta diventando il
fulcro della discussione in materia, e probabilmente rappresenta anche
una tappa importante di un percorso.
Si è scelto, infine, di analizzare una Regione italiana, la Regione Veneto,
per cercare di avere un punto d’osservazione più preciso; delimitare il
campo di osservazione dovrebbe permettere di individuare, in modo
maggiormente dettagliato, quali possano essere le azioni concrete che un
soggetto coinvolto nel processo analizzato può mettere in atto. In
quest’ottica si cercherà di capire anzitutto quali siano le sfide per il
soggetto istituzionale “Regione”, inteso come livello locale che nella
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maggior parte degli Stati si occupa di garantire l’organizzazione del
sistema sanitario; ci si addentrerà inoltre nell’analisi di alcuni aspetti pratici
messi in atto dalla Regione considerata per poter osservare come la
programmazione e l’elaborazione teorica si traducano in azioni pratiche.
Per rappresentare il fenomeno al meglio si è scelto di abbinare alla lettura
di testi dedicati alla materia, l’utilizzo dei molti siti internet costruiti dai vari
soggetti competenti in materia. Per approfondire gli aspetti più rilevanti, si
è ritenuto potesse essere interessante intervistare alcune figure
strategiche che, dal livello locale al livello nazionale, ci hanno permesso di
analizzare le informazioni raccolte con un’ottica più attenta alle sfumature,
e cogliendo alcuni aspetti che solo gli addetti ai lavoro riescono a
percepire. Le interviste si sono svolte in modo aperto, consentendo di
arricchire il lavoro con una visione “dall’interno”, garantendo così un valore
aggiunto alla nostra analisi.
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1.1 L’evoluzione del processo di integrazione
nell’ambito delle politiche sociali
Il percorso di integrazione europea nasce in un periodo storico
completamente diverso da quello in cui viviamo oggi ed in cui ci ritroviamo
a discutere del livello di condivisione o differenziazione che gli Stati
coinvolti presentano nelle diverse materie.
Spesso, nei testi che trattano il percorso dell’Unione Europea, si fa
riferimento alle scelte iniziali come ad un percorso puramente economico,
effettuato per condividere spazi di mercato e costruire un soggetto
economico più forte rispetto ad altre potenze mondiali in rapida ascesa e
forte sviluppo. Ma non va dimenticato che una delle motivazioni più forti
ed urgenti che spinge i sei Stati fondatori ad intraprendere questo
percorso è il desiderio, dopo gli atroci conflitti mondiali, di costruire un
terreno pacifico, di basare i rapporti con gli Stati limitrofi su presupposti
diversi, di condividere alcuni interessi comuni piuttosto che incentivare la
bellicosità. L’analisi dei Trattati di Roma e delle scelte iniziali conferma il
fatto che la condivisione avviene limitatamente ad aspetti economici, ma è
importante non dimenticare ciò che spinge tali scelte e che,
probabilmente, permette a tale percorso di proseguire successivamente,
arricchendosi sempre più di aspetti che vanno oltre il mercato.
In un periodo di diffusa sfiducia o disillusione rispetto ai prodotti della
politica, [la dichiarazione di Berlino in occasione del cinquantesimo
anniversario della firma dei Trattati] […] sembra voler ricordare e così
celebrare il successo di un’impresa che, pur attraverso l’economia, ha avuto
proprio la politica fra i suoi promotori, e che nella politica cerca nuovi
traguardi e un nuovo rilancio2.
2 Ferrera, Giuliani, (2008), Governance e Politiche nell’Unione Europea, pag. 11.
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Del resto sono considerati “padri fondatori” dell’Unione Europea un gruppo
eterogeneo di illustri soggetti che possedeva nella maggior parte dei casi
una visione, all’epoca utopistica, di un’Europa unita. Gli aspetti ideologici o
le visioni idealiste, e l’idea che l’Europa potesse diventare non solo una
potenza economica ma anche un soggetto politico, hanno alimentato, sin
dall’inizio, posizioni europeiste, che hanno avuto grande influenza ed
hanno concretamente contribuito a delineare il cammino europeo che oggi
esaminiamo.
L’analisi del percorso di integrazione è stato, e continua ad essere,
ampiamente sviscerato ed approfondito da tutti i punti di vista,
identificandone le tappe, le caratteristiche, l’evoluzione e, come noto,
punti di forza e punti di debolezza. Non è obiettivo di tale lavoro
considerare le scelte effettuate dagli Stati nei diversi momenti storici, ma
appare opportuno ed interessante sottolineare, a grandi linee, i
cambiamenti avvenuti nei decenni, che hanno sensibilmente modificato
l’approccio all’integrazione. Il passaggio da scelte prettamente economiche
ad una struttura che si pone altri obiettivi, come la costruzione di uno
spazio sociale e di un soggetto politico, merita senz’altro un’attenzione
particolare. Tale cambiamento non avviene in modo repentino e presenta
tutt’oggi aspetti di criticità non ancora risolti, ma è indubbio che
attualmente, pur con tutti i suoi limiti, il territorio europeo ha assunto tratti
che per alcuni aspetti vanno ben oltre le aspettative di ciò che si sarebbe
potuto realizzare in soli 60 anni.
Gli anni ’90 sono stati determinanti nel delineare un ampliamento del
percorso su linee diverse. E’ in tale periodo che si completa il mercato
unico ma soprattutto che si rafforzano le premesse per la costruzione di
uno spazio sociale più articolato. I fenomeni storici e geopolitici che
permettono tale evoluzione sono molti e complessi, ma di certo
un’osservazione a distanza di quegli anni permette di rilevare, non solo un
territorio più vasto di condivisione, ma soprattutto tematiche non più solo
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economiche. Il tutto si potenzierà con l’importante allargamento degli anni
2004 e 2007, pur introducendo anche nuove criticità e nuove sfide da
affrontare. Non viene mai perso di vista l’impianto economico che ha
fortemente caratterizzato tutto il percorso ma, volutamente, e per alcuni
aspetti inevitabilmente, viene ampliato a molti altri ambiti della vita sociale
dei cittadini; le stesse quattro libertà fondamentali (libera circolazione di
beni, servizi, persone, capitali) richiedono, indirettamente, la mobilitazione
delle forze europee su altri fronti, per fare in modo che il percorso
intrapreso migliori le condizioni dei singoli paesi.
Da una parte si intensificano le competenze legislative dell’UE in
determinati settori, ormai consolidati, della politica sociale; […] dall’altra
parte si registra l’espansione dell’agenda europea, in materia sociale, verso
altri settori, diversi dal mondo del lavoro strictu sensu: parità anche nella
sfera domestica, esclusione sociale, salute pubblica o integrazione positiva
della sicurezza sociale.3
In questo percorso si è tentato di raggiungere un importante livello, anche
simbolicamente, con l’elaborazione di una Costituzione, che poi in realtà
non è stata ratificata e il cui processo di definizione è stato fortemente
criticato.
In occasione della crisi collegata al momento costituente molti studiosi
hanno assunto una posizione fortemente critica, attribuendone il
fallimento alla mancanza di unificazione politica e ad una pretesa, e
irrealizzabile, inversione del processo. A tale proposito Nevola è molto
netto ritenendo che «l’Unione Europea non è propriamente
costituzionalizzabile e democratizzabile perché non è un’unità politica, non
è uno spazio politicamente unificato»4. Su tale aspetto le visioni degli
studiosi sono diverse e in alcuni casi apertamente contrastanti; Ferrera e
3 Fabbrini, Morata, (2002) L’Unione Europea. Le politiche pubbliche, pag. 145
4 Nevola G., (2007), Democrazia, Costituzione, Identità, pag. 21.
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Giuliani esprimono un parere di tutt’altra natura:
ciò che in questi ultimi tempi ha maggiormente catturato l’attenzione
dell’osservatore è stato il fallimento del processo di ratifica del Trattato
costituzionale; […] sembrerebbe quasi che questi cinquant’anni di storia
comune europea siano passati invano, riportandoci ad una fase in cui la
reciproca diffidenza impediva i necessari giochi cooperativi. […] In realtà
l’Unione ha continuato a operare in una sostanziale continuità. E’ stato anzi
sostenuto che la capacità di attraversare eventi e traumi politici […] senza
essere costretti a rimettersi immediatamente in moto per nuove riforme,
costituisca il miglior indizio di una polity matura.5
Non volendo qui approfondire la crisi costituente, è interessante
semplicemente ricordare una componente del processo, ovvero la
necessità e volontà di costruire un sentimento di cittadinanza europeo. La
costruzione di una cittadinanza europea, sotto tutti i punti di vista,
risponde indubbiamente all’esigenza e all’obiettivo di pervenire ad una
maggiore unità politica.
[…] Affinchè il processo di integrazione continui ad espandersi è necessario
che alle dinamiche spontanee ed all’intervento di una pluralità di attori si
accompagni una crescente lealtà e senso di appartenenza dei cittadini. […]
E’ importante poter contare sul potere identificativo che con i suoi valori e
simboli coagula una comunità composita intorno ad un comune progetto
politico.6
Uno dei deficit più forti e più sentiti nel processo d’integrazione europea è
senza dubbio il fatto che, se da un lato il percorso ha raggiunto buoni
livelli di condivisione in termini economici, dall’altro l’approfondimento su
ambiti diversi ha fatto emergere in maniera più forte le posizioni differenti
dei soggetti coinvolti e in alcuni casi la volontà da parte degli stessi che
5 Ferrera, Giuliani, (2008), Governance e Politiche nell’Unione Europea, pag. 14.
6 Ivi, pag. 65.
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rimangano tali. Su alcuni aspetti la conflittualità è stata tale da non
permettere di proseguire un percorso di condivisione, e le differenze, più
che opportunità di dialogo e confronto, sono diventate ostacoli. Non va
inoltre sottovalutato quanto in tutto ciò abbia inciso e continui ad incidere
l’allargamento ed il fatto dunque che i paesi coinvolti, rispetto al percorso
iniziale, siano molti di più e molto diversi tra loro.
Costruire uno spazio sociale europeo non è cosa né semplice né rapida in
un panorama tra l’altro che continua a mutare la sua morfologia. E’ un
progetto ambizioso, che allarga l’interesse d’integrazione a materie
strettamente e storicamente legate alle politiche nazionali. Anche su tale
tema la letteratura è molto ricca, come sono ampi i settori su cui l’Unione
Europea ha acquisito sovranità o è intervenuta con ruolo di parallela
definizione di policy, creando un contesto di governance condivisa.
Leonardi e Varsori7 parlano del percorso di studio teso ad indagare il
processo di integrazione sotto diverse sfaccettature; è interessante notare
come nasce lentamente un ampliamento di vedute sull’argomento e come
si costruiscano gruppi di lavoro concentrati ad indagare l’esistenza di uno
“spazio sociale europeo” partendo dalla consapevolezza di una cultura
comune, o interessati ad analizzare l’identità europea, la sua esistenza ed i
suoi contorni.
Accanto quindi all’aspetto istituzionale, attraverso cui si è costruito
l’impianto europeo, c’è un percorso molto ampio di definizione e
costruzione delle policies; la competenza tra i diversi livelli di governarce si
è via via delineata come una struttura multilivello fortemente integrata, e
ha coinvolto non solo una quantità sempre maggiore di attori diversi, ma
anche differenti ambiti. La sfera sociale, inizialmente considerata solo
trasversalmente o simbolicamente, è un’area che si è fortemente ampliata
7 Leonardi L., Varsori A., Lo spazio sociale europeo, Atti del convegno internazionale di studi Fiesole (Firenze), 10-11 ottobre 2003.
19
con interventi sempre più incisivi da parte delle istituzioni europee. Ciò
non significa sempre un approccio di hard law, che prevede un ruolo
sovranazionale di primo piano e legislazione di rango primario rispetto a
quella nazionale; su molti settori l’approccio è più lento e di soft law, con
meccanismi diversi da quelli comunemente conosciuti ed analizzati che,
apparentemente più deboli, arrivano all’obiettivo in modo diverso. Le
politiche sociali (lavoro, occupazione, pari opportunità, inclusione e
antidiscriminazione, educazione e formazione professionale, etc.) a
differenza delle scelte in campo economico, sono state perseguite con
tempistiche e modalità tra loro diverse e, nonostante le notevoli difficoltà,
si sono ottenuti importanti risultati. E’ vero che in tali materie gli Stati
tendono a voler mantenere maggiormente il controllo:
per le politiche sociali non esiste né un grand project come quelli del
mercato unico o della moneta unica, né un unico filo logico da seguire
come per la politica della concorrenza. Ciò dipende dalla natura
frammentata e poco circoscritta della materia (ecco perché si parla di
politiche sociali al plurale). Ma i motivi fondamentali per il relativo
sottosviluppo delle politiche sociali a livello europeo sono innanzitutto le
differenze quasi insormontabili tra culture e politiche nazionali e poi il fatto
che esse sono per lo più di competenza nazionale lasciando poco spazio di
azione alle istituzioni sovranazionali, le quali hanno spesso dovuto
agganciarsi ad altre politiche come il mercato unico o la moneta unica per
portare avanti le loro iniziative8.
Utilizzare, tuttavia, una modalità diversa da quella tradizionale o tentare
diversi percorsi se quelli conosciuti non funzionano o falliscono, ritengo sia
una scelta virtuosa piuttosto che un fallimento o un rallentamento del
processo.
8 ATTINA’, NATALICCHI, (2007), L’Unione Europea, Governo Istituzioni, Politiche, pag. 217.
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Il metodo di coordinamento aperto (MAC) consente di perseguire obiettivi
incompatibili altrimenti: maggiore partecipazione degli attori coinvolti e
riduzione del deficit democratico, maggiore trasparenza, a costo di
procedure complesse, assenza di dispositivi regolativi di tipo hard, assenza
di obblighi, ma incentivi a meccanismi di cambiamento di tipo soft9.
Indubbiamente le scelte che hanno tentato di realizzare un momento
“costituente” per elaborare una Costituzione Europea, sono riconducibili
all’intenzione di permettere un riconoscimento, anche e soprattutto
all’esterno dell’Unione Europea, di un’entità politica e non più solo
economica; si è cercato di dare una forte spinta al percorso che già in altri
modi si sta da decenni perseguendo, attraverso lo sviluppo delle politche
sociali in un più ampio progetto politico. Su tale momento sono state
elaborate molte critiche rispetto soprattutto all’inversione del percorso:
elaborare una Costituzione senza un’unità territoriale è sembrato ad alcuni
un percorso fallimentare sin dall’inizio. Gli eventi (soprattutto i referendum
olandese e francese) hanno messo in luce come probabilmente sia
mancato qualche passaggio o forse non si fosse pronti in quel momento
ad un passo così impegnativo e profondo. Senza indagare qui le cause,
difficili tra l’altro da identificare con certezza, e su cui gli studiosi offrono
differenti valutazioni, è interessante notare come probabilmente sia
mancato, e tuttora manchi, proprio quel sentimento europeo che
potrebbe, e forse dovrebbe, essere alla base di un percorso di
integrazione così profondo sia dal punto di vista sociale che politico.
9 Ferrera, Giuliani, (2008), Governance e Politiche nell’Unione Europea, pag. 99.
21
1.2 Il concetto di cittadinanza europea nel processo di
integrazione
Come anticipato, il percorso di integrazione è arrivato ad un livello in cui
sembra indispensabile investire in azioni e policies che rafforzino il senso
di appartenenza e la costruzione di una cittadinanza europea. Tale
obiettivo è difficile da perseguire direttamente e si ottiene con lunghi
processi di condivisione e di rafforzamento di valori comuni. «Per dare vita
ad un sentimento di appartenenza e di lealtà vi deve essere condivisione
di premesse ideali. […] Quando allora si può parlare di identità europea?
Quando gli europei sentono che quei valori e quei principi non possono
ormai affermarsi che grazie alle istituzioni politiche comuni».10
Capire se esiste un sentimento europeo diventa, quindi, nei decenni un
aspetto sempre più importante ed oggi, in un momento in cui il percorso
d’integrazione ha raggiunto livelli che richiedono non più solo l’accordo
intergovernativo, capire se ci siano i presupposti per delineare una vera e
propria cittadinanza europea, diviene fondamentale. Non è appunto un
percorso lineare e facilmente perseguibile: sono serviti anni, in alcuni casi
decenni, per costruire e rafforzare un sentimento di cittadinanza nazionale
(a volte anch’esso messo a dura prova); costruire oggi un senso di
appartenenza europeo, pur essendo importante, non è agevole e
rappresenta attualmente una delle maggiori sfide.
Ma è una sfida assolutamente necessaria. Se l’obiettivo diventa costruire
un soggetto politico, i due aspetti non possono che essere correlati se si
ritiene, come molti fanno, che sia indispensabile un maggior sentimento
europeo, un’identificazione naturale con tale realtà, per poter parlare di
cittadinanza europea, anche da un punto di vista istituzionale.
10
Ferrera, Giuliani, (2008), Governance e Politiche nell’Unione Europea, pp. 86 e 87.
22
Da sempre il percorso dell’Unione Europea è stato codificato come un
percorso inusuale, o comunque unico nel suo genere per tutta una serie di
aspetti; e dunque anche il fatto di pervenire oggi, o comunque in tempi
recenti, alla necessità che i cittadini europei si sentano tali, può essere
letto in tale modo. «Ancora oggi l’Unione Europea fatica a coinvolgere il
cittadino comune, non riesce a mobilitare o ad attrarre l’opinione pubblica
di massa attorno all’Europa come progetto politico»11. Solitamente l’unità
territoriale e politica arriva dopo la costruzione di un sentimento identitario
e la condivisione di un percorso culturale comune; uno Stato Nazionale
viene costruito quando il sentimento di cittadinanza è già forte e si hanno
gli strumenti e gli elementi per rafforzarlo ancora di più.
L’Europa sembra, da un lato effettuare il percorso inverso, ovvero cercare
di istituzionalizzare alcuni passaggi politici che dovrebbero “farci sentire
europei”, e dall’altro costruire tuttavia un terreno che permetta di
percepire la presenza e tutela europea su aspetti determinanti e
importanti nella vita quotidiana di ogni cittadino. Da un lato infatti le
istituzioni europee hanno cercato nei decenni di rafforzare il loro ruolo
istituzionale e di strutturarsi secondo una modalità operativa che
permettesse di raggiungere livelli di democraticità maggiori (questo non
significa che ci siano riuscite, indubbiamente vi è tuttora il tentativo di
dare un impianto istituzionale quanto più credibile possibile non solo per
un riconoscimento da parte degli attori politici internazionali, ma anche e
soprattutto per gli Stati Nazionali che costituiscono l’Unione stessa). Molte
sono, e sono state, le azioni di successo, che hanno ottenuto risultati
importanti; indubbiamente altri aspetti appaiono maggiormente discutibili.
Il cammino di integrazione, tuttavia, non si è fermato e non può ritenersi
fallimentare in toto; dopo aver tentato un’azione più diretta, non è escluso
11 Nevola G., (2007), Democrazia, Costituzione, Identità, pag. 31.
23
che, probabilmente indirettamente, l’intenzione possa essere di procedere
più lentamente e con modalità diverse da quelle standard, lungo una serie
di percorsi ed attività che mirano a costruire e rafforzare quel sentimento
comune, quel senso di appartenenza, quella comunione di valori e di
intenti utile a passaggi politici più profondi.
Il settore sanitario, che sarà l’oggetto della nostra analisi, è considerato
una di quelle aree in cui c’è minore attività sovranazionale. E’ uno degli
ambiti in cui vi è competenza esclusiva dei governi nazionali e l’attività
dell’Unione Europea si sviluppa rispettando i principi di sussidiarietà e
proporzionalità. Si ritiene tuttavia che un’analisi di tale settore e delle
azioni intraprese sia interessante per capire se la sanità possa diventare
uno degli ambiti in cui, senza voler stravolgere le radicate e storiche scelte
di politica sanitaria degli Stati, si cerchi di attivare un percorso comune,
parallelo alle differenze, che nel tempo e in modo sempre più profondo (se
pur lungo) possa permettere di percepire da parte dei cittadini la presenza
europea come una presenza tutelante e non in antitesi con le scelte
nazionali; in tal modo l’Europa potrebbe essere identificata come un
soggetto ancora più inclusivo rispetto al proprio Stato di appartenenza,
senza per questo cancellare l’esistenza e la permanenza di differenze
territoriali. L’ipotesi è che possa innescarsi un meccanismo attraverso cui,
in questo settore, l’Europa diventi il soggetto che tuteli maggiormente il
cittadino, non perché preveda livelli ulteriori di copertura sanitaria o
perché incida sulle scelte del proprio paese, ma perché permette al
cittadino di effettuare libere scelte di vario genere (stabilirsi in un altro
stato, lavorare in diversi Stati Europei) senza che ciò si traduca in perdita
di diritti all’uscita dal proprio Paese. Potrebbe essere una tecnica indiretta
per far percepire ad un soggetto la tutela anche al di fuori del territorio cui
storicamente e civilmente è legato, innescando a quel punto un
meccanismo di riconoscimento identitario anche a livello europeo.
Il concetto di cittadinanza europea è indubbiamente correlato al percorso
24
di costruzione dell’identità, che a sua volta è importante per costruire la
democrazia. Storicamente i processi attraverso cui si sono delineati i
confini nazionali sono stati legati a momenti bellici, o comunque successivi
a contrasti molto forti, utili anche per rafforzare proprio il senso di
appartenenza e di condivisione di un percorso.
L’Unione Europea rappresenta da questo punto di vista un modo diverso,
e anche originale, di raggiungere un’unità (sotto vari aspetti) attraverso un
percorso pacifico, attraverso l’inclusione, attraverso ciò che si ha in
comune e non ciò che differenzia. Appare un percorso che cerca
lentamente di unire i pezzi mancanti, senza la pretesa di omogeneizzare o
rendere uguali ma, spesso partendo proprio dalle differenze e
rispettandole, cogliendo gli aspetti che si ritengono migliori e portandoli
avanti per tutti.
In questo lavoro ci interessa analizzare la politica sanitaria europea o
meglio le azioni svolte in ambito sanitario a livello europeo, per capire
proprio se esiste o si stia costruendo una policy in tale settore. L’ipotesi è
che in realtà nel settore sanitario l’ambito di competenza sia fortemente
delineato dal principio di sussidiarietà per il quale il migliore soggetto che
risponde alle esigenze dei cittadini sia lo Stato, ma allo stesso tempo ci si
stia muovendo per sviluppare un coordinamento sempre più capillare in un
settore vicino alla cittadinanza per contribuire a creare quel sentimento
comune europeo attraverso istituzioni che tutelino un’area così cruciale
come la salute. Non si può ritenere esista oggi un percorso che voglia
creare una struttura sanitaria a livello europeo, anche perché le differenze
tra gli Stati sono molte e radicali. Tuttavia sembra svilupparsi un
fenomeno più lento, ma dal basso che, pur rispettando e mantenendo le
strutture esistenti, voglia poter utilizzare le potenzialità che un sistema
comune in alcuni ambiti può determinare.
26
2.1 Le scelte di politica sanitaria negli Stati membri:
modelli differenti
Il settore sanitario rientra storicamente nell’ambito delle politiche sociali e
fa parte del complesso sistema di Welfare State. Il diritto alla salute può
essere osservato da almeno due punti di vista: dal lato sociale, come
diritto acquisito in un percorso di conquista di tutele, che permette dunque
di identificarlo come garanzia che lo Stato deve fornire a tutti i cittadini; da
un altro punto di vista come garanzia di performance economiche di una
società, il cui benessere assicura maggiori livelli di sviluppo o è sinonimo di
migliori livelli di sviluppo e, allo stesso tempo, come dimensione che
riduce i costi in un complesso circolo virtuoso. In entrambi i casi, se pur
con logiche diverse, la salute viene letta come un bene comune da
tutelare, monitorare, garantire in tutti i suoi aspetti.
Il processo storico che ha determinato, in Europa, lo sviluppo dello Stato
sociale è avvenuto attraverso l’emergere di una consapevolezza nuova
rispetto all’utilità e alla necessità di garantire e tutelare un insieme di diritti
definiti appunto sociali. Fornire una serie di prestazioni su ambiti quali la
previdenza, la malattia, l’invalidità da parte dello Stato, in modo uniforme,
o comunque in forma automatica e imparziale (una volta stabiliti i criteri),
ha delineato il percorso del Welfare State nei diversi paesi europei. E’ stato
naturale, anche per il momento storico in cui sono emersi questi processi,
identificare nello Stato Nazione il soggetto istituzionalmente deputato ad
occuparsi di tale ambito e limitare ai confini nazionali il riconoscimento di
eventuali tutele. Ciò ha contribuito in realtà a rafforzare anche quegli
stessi confini, territoriali e culturali, in un processo di reciproco
consolidamento:
l’istituzionalizzazione della solidarietà tramite la comunione di certi rischi
(vecchiaia, invalidità, malattia, infortuni sul lavoro, disoccupazione – per
citare i principali) servì […] a rafforzare quel legame fra territori, identità
27
culturali e pratiche di partecipazione politica nel quale affonda le proprie
radici […] lo Stato-nazione europeo.12
Ed ancora
le politiche di welfare rinforzarono la penetrazione dello Stato nella società
civile, al tempo stesso rinsaldando i legami di quest’ultima con lo Stato e la
nazione attraverso flussi di condivisione sociale sostanziosi sotto il profilo
materiale, efficienti sotto il profilo organizzativo ed efficaci sul piano
simbolico.13
Le scelte che ogni Paese ha effettuato in merito ai vari settori coinvolti
sono senza dubbio diverse, poiché motivate e spinte da dinamiche che,
pur partendo da esigenze analoghe, erano influenzate da molti fattori di
differente genere. Nell’ambito della politica sanitaria i paesi europei,
territorio comunque simile su molti aspetti, hanno nel tempo elaborato
soluzioni e modelli diversi tra loro, soprattutto per il grado di
coinvolgimento dello Stato stesso.
La regolazione dei sistemi sanitari è un settore molto complesso poiché si
intersecano più variabili che incidono sulle scelte di un sistema: il livello di
garanzia e di tutela dei cittadini che si vuole ottenere, gli aspetti
prettamente sociali di Welfare State da garantire come l’accessibilità o
l’uguaglianza, i costi che le diverse scelte implicano, aspetti culturali quali
tradizioni politiche storicamente radicate o l’influenza di particolari gruppi
sociali, eventuali percorsi storici radicati nel tempo, sono solo alcuni
esempi di come il differente peso di alcuni fattori può portare a risultati
diversi. Tutti questi aspetti comportano necessariamente scelte ragionate
e basate su un intreccio a volte molto complicato. Ciò determina che a
livello europeo i sistemi sanitari presentano punti in comune ma anche
12 FERRERA M., (2000), Integrazione europea e sovranità sociale dello Stato-Nazione: dilemmi e prospettive, pag. 397. 13 Ivi, pag. 399.
28
differenze sostanziali ed è difficile ricondurli ad un unico modello.
Negli ultimi decenni un po’ tutti i paesi europei hanno dovuto elaborare
riforme in campo sanitario sia per il verificarsi di un aumento delle spese
da sostenere (lievitazione dei prezzi, aumento del costo del lavoro,
ampliamento dell’offerta), sia per la necessità di un contenimento della
spesa pubblica. E’ difficile raggruppare i paesi in modelli codificati poiché,
nonostante in letteratura si siano identificati idealtipi diversi tra loro, le
soluzioni adottate considerano sempre vari aspetti dei diversi modelli.
Toth14 effettua una chiara classificazione (assolutamente teorica) di quelle
che sono le tipologie di sistemi a disposizione dei decisori. Identifica
quattro modelli classificati in base alla forma di finanziamento e ad alcune
variabili che li differenziano, come la garanzia egualitaria di accessibilità.
Il primo è il Modello del mercato semplice che consiste nel riconoscere
massima libertà di scelta ai cittadini, permettendo loro di individuare il
fornitore ritenuto più adeguato per le proprie esigenze. In questo caso il
settore sanitario viene considerato un mercato a tutti gli effetti, ritenendo
inoltre che i pazienti siano dei clienti con possibilità di completa
informazione sulle proprie esigenze; ciò comporta la conseguente capacità
di scelta razionale, determinando dunque una domanda che influenza
l’offerta. Le prestazioni diventano prodotti e i costi sono legati
all’andamento del mercato.
Il secondo è il Modello dell’Assicurazione volontaria che prevede
invece l’opportunità da parte dei cittadini di assicurarsi da eventuali
problemi di salute. L’assicurazione è tuttavia una scelta individuale e
prevede, non solo costi completamente a proprio carico, ma anche una
variabilità rispetto alla copertura e al rischio. Le assicurazioni infatti
possono definire propri pacchetti e proprie condizioni ed inoltre i premi
14 Il testo a cui si fa riferimento è TOTH F., (2009), Le politiche sanitarie. Modelli a confronto.
29
possono variare in relazione ad alcune condizioni soggettive,
indipendentemente dalle garanzie fornite.
Il terzo è il Modello dell’Assicurazione sociale obbligatoria che
prevede invece l’intervento parziale di un soggetto pubblico che
garantisca, attraverso quelle che vengono definite casse, la tutela ad
alcuni gruppi di cittadini. Tale sistema prevede l’iscrizione obbligatoria alle
casse ed è legato ai redditi da lavoro, prevedendo una copertura totale o
parziale dei lavoratori. Tale modello, come gli altri, può essere poi
declinato in varie forme, ma si struttura sostanzialmente attorno al
principio di contribuzione obbligatoria in caso di lavoro dipendente.
Il quarto è il Modello Universalistico che prevede invece la copertura
sanitaria per tutti i cittadini attraverso la tassazione generale. Il ruolo del
soggetto pubblico è di primo piano poiché garantisce l’organizzazione ed il
funzionamento del sistema. Questo è il modello che storicamente viene
identificato per garantire appieno i principi di universalità, solidarietà ed
uguaglianza, senza tuttavia che con ciò si possa definire il migliore.15
La classificazione teorica, oltre a semplificare estremamente la
rappresentazione, è puramente indicativa, poiché è difficile individuare un
sistema che possieda tutte le caratteristiche di un solo modello. I diversi
paesi hanno effettuato nel tempo scelte che permettono di ricondurli ad
uno di questi modelli, ma è particolarmente diffuso che per alcuni aspetti
ci si ispiri a idealtipi differenti.
Toth ritiene inoltre che i quattro modelli facciano parte di una sorta di
percorso e che dunque i diversi paesi approdati al sistema universalistico
vi arrivino per tappe (rispettandole tutte o, in alcuni casi, saltando alcuni
15 Questa classificazione non è l’unica elaborata; viene scelta in questo contesto per la chiarezza con cui illustra i diversi modelli e le caratteristiche a disposizione dei policy makers in campo sanitario. Un altro esempio di classificazione è di Salvatore Russo che individua quattro modelli: 1. Modello Beveridge; 2. Modello Bismarck; 3. Modello Misto; 4. Modello Semasko. Per un approfondimento si veda Russo Salvatore (2004), Dispensa di Economia delle Aziende Sanitarie.
30
passaggi) e che vi sia una sorta di “principio dell’ irreversibilità” secondo il
quale una volta raggiunto un determinato livello sia quasi impossibile
retrocedere. Ciò che è chiaro è che le possibilità per strutturare un sistema
sanitario sono molteplici e le scelte sono collegate ad altrettanti fattori
determinanti.
Gli elementi che incidono rispetto ad una scelta sono indubbiamente
aspetti di tradizione culturale e anche di momento storico politico. E’
dimostrato infatti che incidono sulle tipologie di scelte di un sistema
sanitario piuttosto che di un altro il colore politico, l’influenze delle lobbies
(assicurazioni o medici), il ruolo del sindacato, il fatto che sia un modello
già sperimentato da altri paesi simili e dunque si determini una sorta di
effetto trascinamento, le emergenze che appaiono sulla scena politica (es.
l’andamento demografico, eventuali situazioni di crisi economica).
Già questo semplice elenco permette di intuire come i paesi abbiano a
disposizione diverse modalità per costruire il proprio sistema di tutela della
salute ed un’analisi più approfondita mette in luce come poi vadano
considerate ulteriori variabili di dettaglio che determinano un’osmosi di
questi sistemi puri. Sono, ad esempio, variabili importanti da analizzare
l’integrazione verticale che coinvolge assicuratori e fornitori; l’integrazione
orizzontale del sistema che osserva invece il livello di integrazione tra cure
primarie e cure secondarie; i meccanismi di gatekeeping; la libertà di
scelta del paziente che può essere particolarmente ampia o limitata ed
infine l’impostazione dell’attività dei medici di base. Uno schema molto
semplice di Toth illustra le posizioni estreme di un continuum che i governi
hanno a disposizione per operare delle scelte ragionate:
31
MODELLO INTEGRATO MODELLO SEPARATO
Alta. Assicuratori e fornitori appartengono alla stessa organizzazione
INTEGRAZIONE VERTICALE Bassa. Assicuratori e fornitori sono soggetti indipendenti
Alta. Cure primarie e secondarie sono erogate dalle stesse organizzazioni
INTEGRAZIONE ORIZZONTALE Bassa. Cure primarie e secondarie sono erogate da soggetti separati
Obbligatori MECCANISMI DI “GATEKEEPING”
Facoltativi
Limitata. Si può scegliere solo fra i fornitori convenzionati con la propria assicurazione
LIBERTA’ DI SCELTA DEL PAZIENTE
Ampia. Si può scegliere fra tutti i fornitori, pubblici o privati
Collettiva PRATICA DEI MEDICI DI BASE Individuale
Tab. 2.1 Modello integrato e modello separato16
Alla luce dell’ analisi teorica sulle diverse combinazioni di organizzazione
del sistema sanitario e degli aspetti che influenzano le preferenze, è
importante sottolineare che i vari paesi europei hanno effettuato le scelte
più diverse, e le hanno inoltre modificate nel tempo.
I paesi dell’UE sono oggi 28 soggetti difformi tra loro sotto il profilo delle
scelte di politica sanitaria; è indubbio che vi siano alcuni paesi con affinità
maggiori, con percorsi culturali più simili che spiegano scelte analoghe nel
settore considerato. Un’analisi approfondita, tuttavia, metterebbe
comunque in evidenza differenze importanti radicate profondamente negli
Stati. A fini esplicativi si ritiene utile illustrare brevemente l’organizzazione
dei sistemi sanitari in 4 paesi europei: la Germania, la Slovenia, l’Italia e la
Gran Bretagna. La scelta ricade su tali paesi perchè rappresentano i due
modelli maggiormente diffusi in Europa: il modello dell’assicurazione
sociale obbligatoria (Germania e Slovenia) e il modello universalistico
(Gran Bretagna ed Italia). Nel caso di Germania e Slovenia si sceglie di
analizzare due paesi che rispetto all’integrazione europea hanno storie
opposte, la Germania paese fondatore della Comunità Europea, la Slovenia
paese di recente introduzione; nel caso invece di Gran Bretagna e Italia si
16 Toth Federico, (2009), Le politiche sanitarie, Modelli a Confronto, Laterza, pag. 50.
32
ritiene interessante l’analisi di tali paesi poiché rispetto al sistema
universalistico la Gran Bretagna è il primo paese europeo che l’ha
introdotto, tant’è che lo stesso assume anche il nome di Modello
Beveridge, dall’ideatore del sistema inglese. L’Italia invece è un paese che
ha introdotto il sistema universalistico in tempi relativamente recenti e che
può essere considerato un rappresentante dei paesi approdati a tale
sistema negli ultimi decenni, con necessità dunque di consolidamento.
Osserveremo i sistemi considerati secondo le seguenti variabili:
il sistema di finanziamento, il livello di copertura del servizio, i soggetti che
forniscono le prestazioni, la libertà di scelta dei pazienti.
Germania
Il sistema sanitario tedesco rappresenta il modello di Assicurazione sociale
obbligatoria, storicamente definito modello bismarckiano anch’esso dal
nome del suo ideatore.
In Germania le scelte di politica sanitaria si sono indirizzate verso la
costruzione di due circuiti assicurativi differenti: un sistema pubblico di
casse di malattia che copre determinate categorie di cittadini, ed un
secondo, privato, a cui può rivolgersi la parte di popolazione con reddito
oltre una certa soglia. Le casse di malattia sono legate alle diverse
professionalità con contribuzione suddivisa tra lavoratori e datori di lavoro.
La copertura è assicurata anche ai familiari dei lavoratori. In questo modo
si raggiunge un buon livello di copertura della popolazione ma non tutti i
cittadini hanno l’obbligo di iscrizione. Sono esclusi i lavoratori autonomi e i
liberi professionisti, che non hanno l’obbligo di iscrizione, ma hanno la
libertà di assicurarsi privatamente. Per alcune categorie sono infine
previsti regimi particolari di tutela (dipendenti pubblici e fasce marginali
della popolazione). Esistono diverse casse che possono concorrere tra loro
33
ed è stato introdotto un sistema di compensazione che permette di
riequilibrare eventuali differenze importanti nel numero di iscritti e nei
livelli diversi di rischio.
Le prestazioni sono fornite da operatori privati o pubblici. Viene esercitato
un controllo sui livelli garantiti da parte del governo federale attraverso la
definizione di regole generali. E’ infine presente una rete di medici
convenzionati che garantisce l’assistenza di base ricevendo il proprio
onorario dalla cassa mutua o dal paziente se coperto da assicurazione
privata.
Il sistema si caratterizza infine per la massima libertà di scelta concessa ai
pazienti, che possono scegliere liberamente tra tutti gli specialisti e gli
ospedali accreditati, pubblici o privati.
Slovenia
Anche la Slovenia rientra nei paesi che possono definire il proprio sistema
sanitario di stampo bismarckiano o di assicurazione sanitaria obbligatoria.
Il sistema prevede l’obbligo di assicurazione per una serie di categorie,
con copertura anche delle persone a carico. Il sistema, inoltre, si basa su
un unico soggetto assicuratore pubblico regolato dalla legge ed
amministrato dall’Health Insurance Institute of Slovenia (HIIS). Non
vengono tuttavia coperte tutte le spese sanitarie e vi è la necessità di una
contribuzione per le prestazioni da parte dei cittadini (meccanismo di co-
pagamento); per alcune categorie di cittadini, o per alcune tipologie di
malattia, è prevista la copertura completa. Il sistema dunque è finanziato
attraverso il fondo di origine pubblica amministrato dall’HIIS e il fondo di
origine privata costituito dalla compartecipazione dei cittadini.
Le prestazioni sono fornite da strutture private e pubbliche.
Il diritto di scelta da parte dei cittadini è ampio. Il cittadino sloveno può
infatti scegliere qualunque medico di base; è inoltre previsto che identifichi
34
un proprio dentista personale tra quelli accreditati. Può inoltre scegliere lo
specialista pubblico o privato da cui essere visitato.
Gran Bretagna
Il Regno Unito è il primo paese europeo ad aver introdotto il sistema
universalistico, conosciuto anche come National Health Service (NHS)
delineato nel 1946 dall’economista e sociologo inglese Beveridge (da qui la
denominazione del modello universalistico anche come Modello
Beveridge). In tale sistema viene garantita assistenza a tutti i cittadini
inglesi, e dunque si risponde al principio di universalità di tutela della
salute. I servizi sono finanziati dalla tassazione generale a carico di tutti i
cittadini e non è dunque correlata all’identificazione di categorie di
lavoratori o di particolari altri gruppi della società. Le prestazioni vengono
fornite soprattutto da strutture pubbliche; infatti una delle caratteristiche
principali di questo sistema è la preponderanza di strutture di proprietà
pubblica. Parallelamente esistono tuttavia anche strutture private a cui i
cittadini possono rivolgersi.
Una particolarità di questo sistema è quello di aver introdotto dei soggetti
che fungono da intermediari tra i pazienti (clienti) e le strutture che
forniscono le prestazioni (fornitori) definiti purchasers ovvero acquirenti
delle prestazioni: sono le Health Authorities (regionali o distrettuali) che
ricevono i finanziamenti pubblici e, alla luce dei budget a disposizione,
hanno il compito di identificare le prestazioni necessarie in base ai bisogni
che emergono. Accanto ad esse si collocano i General Practitioners
(Fundholdings ovvero i medici di base) a cui è affidato, non solo un
pacchetto di pazienti, ma anche la gestione di fondi in relazione proprio a
tali pazienti. Ne amministrano, infatti, le richieste e l’utilizzo delle
prestazioni in modo da renderle efficienti rispetto alle esigenze, ed efficaci
rispetto ai bisogni.
35
La libertà di scelta da parte dei pazienti è relativamente ampia poiché il
paziente può scegliere, per così dire, l’acquirente di prestazioni, ma sarà
tale soggetto che poi agirà da filtro con i fornitori delle prestazioni stesse.
Italia
Il Sistema Sanitario italiano rientra nel raggruppamento dei sistemi
universalistici poiché ha come caratteristica principale la garanzia di
universalità e dunque la copertura assicurativa di tutti i cittadini. Il
finanziamento deriva, anche in Italia, dalla tassazione generale. La
struttura prevede diversi livelli di gestione della politica sanitaria: il livello
nazionale definisce gli standard qualitativi e i pacchetti di prestazioni da
garantire, nonché elabora la programmazione sanitaria di base; il livello
decentrato (Regioni) ha assunto un ruolo strategico nell’ambito della
politica sanitaria delinendo una propria programmazione regionale e
gestendo direttamente l’aspetto organizzativo del sistema; infine, vi sono
le strutture che forniscono i servizi, che sono in gran parte strutture
sanitarie pubbliche. Il primo livello di accesso è in ogni caso garantito dai
Medici di base che operano in base agli ambiti territoriali. Il secondo livello
è fornito da ospedali o specialisti; il terzo livello garantisce una serie di
attività sul territorio (es. prevenzione). Accanto alla prevalente realtà
pubblica esiste una realtà privata, caratterizzata o da strutture private
convenzionate attraverso cui viene comunque garantita la copertura
pubblica, o da strutture e professionisti che agiscono secondo logiche di
mercato. La libertà di scelta da parte dei cittadini è massima rispetto alle
strutture (il paziente può direttamente scegliere l’ospedale o lo specialista
a cui rivolgersi) ma lo è meno in relazione al medico di base che dovrebbe
rappresentare la figura di indirizzo alle strutture fornitrici di prestazioni.
I brevi cenni effettuati sui sistemi sanitari dei paesi considerati non mirano
36
certo ad essere esaustive descrizioni degli stessi; gli elementi che
costituiscono un sistema sanitario sono molto più vari e complessi, e
diverse sono anche le variabili che possono considerarsi per descriverli. In
ogni caso questo semplice excursus ci permette di capire come le scelte
elaborate dai paesi europei possano essere completamente diverse o in
alcuni casi anche simili, pur mantenendo comunque aspetti di specificità
importanti. Ed è intuibile il motivo per il quale gli Stati membri sono
fortemente ancorati al proprio sistema sanitario; l’ambito di tutela della
salute rimane di competenza nazionale anche per un forte legame che lo
stesso ha con il tessuto territoriale.
Ciò non toglie che negli ultimi decenni siano apparse nel panorama
europeo una serie di sfide che mettono in discussione la separazione netta
dei sistemi nazionali.
Le stesse libertà di movimento delle persone, dei lavoratori ma anche dei
servizi conducono ad un ripensamento della necessità di garantire alcune
tutele fondamentali che oltrepassino i tradizionali confini degli Stati; eventi
come quello del virus della mucca pazza hanno messo in crisi il sistema
attuale, e fanno riflettere sulla necessità, perlomeno, di avviare un livello
sovranazionale di coordinamento su taluni aspetti. Alcune sentenze della
Corte di Giustizia hanno creato la necessità di definire alcuni aspetti
comuni non più trascurabili.
Tutto ciò ha sollevato un problema ed ha messo in discussione la linearità
della separazione di competenza in tale ambito.
Nei prossimi paragrafi andremo ad analizzare quali sono le esigenze
emerse negli ultimi anni che hanno richiesto un cambiamento di
prospettiva; che cosa è stato fatto in sede europea alla luce delle nuove
sfide, con che tempistica e con che approccio, per capire che tipo di
dinamiche si stanno sviluppando e poter infine tracciare i contorni di un
fenomeno in fieri.
37
2.2 Evoluzione dell’esigenza di un intervento europeo in
materia sanitaria
Il settore sanitario, come abbiamo più volte ribadito, rimane ancora oggi di
competenza nazionale, rispettando dunque il principio di sussidiarietà che
riconosce agli Stati Membri, in questo ambito, il ruolo di migliore soggetto
che può garantire la tutela della salute. Negli ultimi decenni sono tuttavia
emerse, per varie ragioni, esigenze di diversa natura e nuove sfide che
hanno modificato i tradizionali confini territoriali in ambito sanitario,
innescando quello che viene definito un processo di integrazione negativa.
Nella Decisione del Parlamento Europeo e del Consiglio che adotta il Primo
Programma d’azione comunitario in campo sanitario (2003-2008) si
precisa che
gli obiettivi del programma non possono essere realizzati a un livello
sufficiente dagli Stati membri a causa della complessità, del carattere
transnazionale e della mancanza di un controllo completo, a livello di Stato
membro, dei fattori che riguardano la sanità, e pertanto il programma
dovrebbe sostenere e completare le azioni e le misure degli Stati membri. Il
programma può fornire un notevole valore aggiunto alla promozione della
salute e ai sistemi sanitari nella Comunità […]17.
Ciò che si è venuto a delineare è dunque un panorama in cui, da un lato la
programmazione e l’organizzazione del sistema sanitario rimangono di
assoluta competenza nazionale, dall’altro si è sviluppata una serie di
iniziative, attività e programmi che permettono oggi di riconoscere
l’esistenza di una issue a livello comunitario in questo campo.
17 DECISIONE N. 1786/2002/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 23 settembre 2002 che adotta un Programma d'azione comunitario nel campo della sanità pubblica (2003-2008), considerando 22.
38
Ciò che prioritariamente ha avviato la riflessione sul tema e ha permesso
di percepire la necessità di un intervento, deriva da una sorta di
meccanismo di spillover del mercato interno: le quattro libertà di
circolazione, che rappresentano i punti cardine dell’integrazione europea,
hanno innescato importanti cambiamenti nel territorio, e si è reso
necessario ripensare ad alcuni aspetti. Legare l’accesso allo spazio sociale
alla cittadinanza nazionale pone necessariamente delle barriere all’uscita,
determinando una perdita di diritti nel momento in cui non si è più
all’interno del proprio territorio nazionale. Le libertà di circolazione hanno
innescato meccanismi che hanno messo in crisi le tutele legate ai territori
nazionali, poiché libertà di stabilimento o mobilità lavorativa sono
fenomeni che necessitano di tutele qualunque sia il paese comunitario
verso cui ci si dirige. Il percorso intenso che si è sviluppato per rendere
effettiva la libera circolazione delle persone, richiede oggi che quelle
stesse persone possano godere dei medesimi livelli di garanzia, in termini
di tutela della salute, pur non risiedendo nel loro paese d’origine. La
mobilità si caratterizza tra l’altro non solo per i fenomeni di turismo, resi
più frequenti dall’abbattimento delle frontiere, ma anche per la mobilità
dei lavoratori che sempre più possono accettare o cercare proposte di
lavoro oltre i propri confini nazionali. Ciò comporta la necessità di
garantire livelli paritari di sicurezza sul lavoro ma anche di tutela della
salute.
Non va sottovalutato come la buona salute sia anche una condizione
essenziale per la produttività e la prosperità economica; investire
nell’organizzazione sanitaria, e farlo cercando anche di abbattere i costi, è
un punto d’osservazione interessante di questo settore. Il settore sanitario
è considerato infatti uno dei principali motori dell’espansione nell’ambito
del settore servizi. Se le parole d’ordine sono diventate oggi crescita,
innovazione ed occupazione, il settore della sanità è un ambito che può
fornire importanti opportunità. Si intrecciano, in quest’area, da un lato il
39
fatto che garantire la buona salute dei cittadini sia un investimento nel
livello di efficienza della società, dall’altro il fatto che lo sviluppo strategico
del settore faccia parte dell’obiettivo di crescita intelligente ed inclusiva
della Strategia Europa 2020.
A tali considerazioni si affiancano gli eventi degli ultimi anni, e nello
specifico la crisi finanziaria che ha colpito tutti i paesi europei e
rappresenta un’ulteriore sfida per i decisori politici. Vi è sempre più
l’esigenza di ridurre la spesa pubblica, e per farlo, ci si è concentrati
nell’individuare meccanismi che migliorino il rapporto costo/efficacia del
sistema sanitario; allo stesso tempo vi è la forte pressione per gli Stati di
mantenere un elevato livello di garanzia e tutela per quanto riguarda
l’accesso alle prestazioni sanitarie. Le scelte di sistema sono state
effettuate dai paesi in epoche diverse e con condizioni differenti da quelle
attuali: oggi mantenere gli stessi livelli e standard qualitativi, con
condizioni che si sono fortemente modificate, è molto complesso e
richiede un ripensamento delle politiche sanitarie che possa sfruttare
anche nuove opportunità come l’integrazione europea.
E’ indubbio che la disponibilità di nuovi strumenti agevola e stimola
questo percorso ed incentiva ad una collaborazione, non ad una chiusura.
Gli sviluppi tecnologici applicati a tale settore possono veramente
rivoluzionare il sistema: si aprono nuove frontiere di ricerca, si favorisce la
collaborazione, si innescano meccanismi di confronto tra le best practices,
si permette una migliore conoscenza delle problematiche. Utilizzare il
potenziale che l’integrazione mette a disposizione, in termini di mobilità
ma soprattutto di politiche trasversali che potrebbero essere realizzate, è
un’opportunità per i professionisti del settore. E’ sufficiente pensare ad un
ambito come quello delle malattie rare: la condivisione, non solo dei dati,
ma anche di una strategia o di una progettualità tra paesi europei
potrebbe realmente rappresentare una svolta. Utilizzare le possibilità che
le nuove tecnologie mettono a disposizione applicandole ad un percorso
40
altrettanto innovativo come l’integrazione europea (innovativo per la
modalità inusuale con cui è stato portato avanti nel tempo) in un settore
strategico come la sanità, può essere un’opportunità per gli Stati membri
per ridefinire un ambito che inevitabilmente presenta delle criticità.
A contribuire a creare un clima sempre più attento alla costruzione di linee
comuni, sono state anche una serie di nuove emergenze tipiche del nostro
tempo e probabilmente difficilmente immaginabili quando gli Stati hanno
elaborato la propria organizzazione sanitaria. La globalizzazione ha, infatti,
contribuito a rendere “comuni” anche le minacce e le problematiche legate
alla salute; malattie con effetti e diffusione transfontaliera, eventi di
pandemie, il bioterrorismo, incidenti fisici e biologici, il cambiamento
climatico sono alcune delle problematiche degli ultimi decenni che non
permettono più agli Stati di affrontare singolarmente le criticità. Un
esempio su tutti è il fenomeno della mucca pazza (1996-2000) che ha
pragmaticamente fatto emergere la criticità di non avere a disposizione
degli strumenti comuni per far fronte ad eventi di questo tipo. E’ una delle
circostanze che ha indubbiamente innescato una riflessione ed attivato
l’inizio di un percorso, poiché fenomeni di questo tipo devono essere
fronteggiati con modalità coordinate per potere essere efficacemente
evitati o debellati. Il rischio è che gli effetti positivi di un mercato comune,
ottenuti grazie anche alla mobilità dei servizi, delle merci e delle persone,
vengano ridotti da possibili effetti negativi non sufficientemente
contrastati.
Incidono sull’esigenza di affrontare il tema sanità da una prospettiva
transnazionale anche nuove esigenze cliniche che modificano la domanda
di servizi. Indubbiamente il cambiamento demografico modifica i quadri
patologici ed esercita pressione sulla sostenibilità del sistema sanitario.
Quest’aspetto si aggiunge agli altri e non può essere sottovalutato poiché
necessita di una revisione della struttura stessa dei servizi forniti, nonché
del livello di prestazioni garantite. Se la maggior parte dei paesi si trova a
41
fare i conti con le medesime problematiche può essere conveniente
elaborare soluzioni in sintonia, ed individuare strumenti comuni che, senza
alterare totalmente la struttura organizzativa esistente, permettano di
ottenere un valore aggiunto per effetto dell’integrazione europea e di un
approccio non isolato.
L’esigenza di un intervento ad un livello di governance superiore a quello
nazionale, emerge anche per altri due aspetti fondamentali: da un lato fa
parte del percorso d’integrazione europeo assicurare il fatto di ridurre le
disparità, dall’altro i soggetti interessati sono diventati sempre più attenti e
con maggiori aspettative. I processi che prevedono azioni volte a ridurre le
differenze tra i territori spaziano su moltissimi fronti e sono stati sin
dall’inizio oggetto della politica sociale dell’Unione Europea, con riserva
importante di finanziamenti. L’ottica con cui nel tempo è stata posta
sempre maggiore attenzione a quest’aspetto non è slegata dall’esigenza di
permettere che il territorio europeo possa avere le medesime opportunità
di sviluppo; ma non è esclusa da questo processo la sensibilità di
riconoscere e garantire a tutti i cittadini dell’Unione Europea i medesimi
diritti e livelli di tutela. La salute è uno di questi diritti e rientra tra i
compiti dell’Unione attivarsi per sostenere gli Stati membri nella loro
attività di garanzia (art. 152 del Trattato di Amsterdam). La sempre
maggiore attenzione delle istituzioni europee verso la costruzione di uno
spazio comune nell’ambito della tutela della salute risponde a tale
obiettivo. Parallelamente i cittadini, usufruendo (ed è importante dirlo
perché è uno dei successi dell’integrazione europea) delle potenzialità che
l’integrazione offre, sono diventati sempre più attenti a ciò che viene
offerto al di fuori dei propri confini nazionali. Al di là delle persone che
trasferiscono la loro attività e la loro vita sociale in un paese diverso da
quello d’origine, i cittadini accedono con sempre maggiore facilità alle
informazioni di tutti i paesi, si informano qualora abbiano un’esigenza e
cercano di attivarsi utilizzando questi canali se ne hanno la possibilità. Ciò
42
determina maggiori richieste, maggiore attenzione e l’esigenza di maggiori
tutele. Il meccanismo, inoltre, delle istituzioni europee permette che si
formino gruppi di interesse a tale livello e che essi possano incidere, o
perlomeno avere voce in capitolo, nelle materie in cui sono coinvolti.
Un altro importante tassello del percorso che ha delineato l’esigenza di un
intervento comunitario è il ruolo strategico della Corte di Giustizia. La
Corte è sempre molto attenta nel fornire sentenze che incidono in settori a
forte competenza nazionale; tuttavia è uno dei soggetti che contribuisce in
modo determinante all’affermazione diretta del diritto comunitario. In
quest’ambito ha giocato un ruolo particolarmente strategico poiché ha
sollevato la discussione e ha innescato un meccanismo obbligato di
reazione da parte degli Stati.
Le prime sentenze risalgono al 1998 (Kohll, Decker) ma anche
successivamente la Corte si è pronunciata in materia (SmitsPeerbooms
2001, Watts 2006 solo per citarne alcune). Al di là dei dettagli tecnici delle
sentenze, ciò che è importante sottolineare in questo contesto è la presa
di posizione netta della Corte; ha infatti definito i servizi sanitari come
servizi di natura economica e, pur riconoscendo la competenza esclusiva
degli Stati membri nell’organizzazione dei servizi sanitari, ha stabilito che
tali servizi non sono esenti dall’applicazione dei principi fondamentali del
mercato unico, intendendo con ciò la possibilità da parte dei cittadini di
fruire delle prestazioni anche in paesi diversi da quello d’origine. Vedremo
nel capitolo III i dettagli teorici e tecnici che la mobilità sanitaria comporta
e richiede, ma è interessante evidenziare che la Corte di Giustizia ha avuto
in questo settore un ruolo sicuramente determinante.
Il percorso dunque di integrazione negativa, cui si accennava ad inizio
paragrafo, significa proprio che dalle esigenze che emergono si costruisce
un percorso comune, si delinea un terreno di condivisione partendo dal
presupposto che da esso si possano ottenere vantaggi difficilmente
raggiungibili autonomamente. In campo sanitario le dinamiche che si sono
43
intersecate sono le più disparate; l’insieme di queste esigenze, e un tempo
storico probabilmente più maturo per determinate discussioni, hanno
permesso che tutto ciò si sia tradotto in un alcune azioni e programmi.
Dopo aver dunque analizzato gli eventi che hanno determinato un
inevitabile ampliamento di vedute in campo sanitario, andremo ora a
considerare cosa concretamente è stato fatto, per poter approfondire le
scelte operate dalle istituzioni europee e gli strumenti selezionati, e capire
la portata del fenomeno.
44
2.3 La politica sanitaria in Europa: esiste un processo di
policy making?
L’insieme dei fenomeni precedentemente descritti ha determinato negli
anni un’attenzione crescente verso la tematica considerata. Ci sembra ora
interessante cercare di analizzare che tipo di azioni siano state elaborate,
individuandone anche il periodo storico e la tempistica, per cercare di
avere un quadro dello sviluppo in tale area. In questo paragrafo ci
limitiamo a “disegnare” a grandi linee le tappe principali di un percorso,
soffermandoci su alcune azioni ritenute strategiche per l’importanza che
hanno rivestito; questo tipo di quadro (sicuramente non dettagliato e non
esaustivo) ci sarà utile per capire che tipo di processo è stato costruito, si
sta costruendo e si vuole costruire nell’ambito della politica sanitaria in
Europa.
Alla nascita della Comunità Europea l’attenzione alla tutela della salute
pubblica non è legata ad un’azione diretta, ma si delinea come limite alla
costruzione di un mercato interno; qualsiasi progetto economico si vada a
costruire deve non eccedere nel rischio di ledere la salute pubblica.
All’interno di questa visione l’intervento della Comunità Europea è
orientato a garantire il processo di integrazione economica con la
necessità di non recare danno alcuno. Permangono quindi divieti e
restrizioni alla libera circolazione di merci, servizi e cittadini, giustificati da
motivi di tutela della salute e della vita delle persone.
Con lo stesso approccio viene approvato il Regolamento 1408/71/CEE che
si occupa della garanzia di regimi di sicurezza sociale ai lavoratori
subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano
all’interno della Comunità18.
18 Il Regolamento non è l’unico atto elaborato dagli anni ’70 in poi, ma è uno dei pochi vincolanti. Poiché infatti non vi era nel Trattato una base giuridica specifica per la sanità
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E’ con il Trattato di Maastricht che sembra esserci una svolta importante in
termini giuridici; viene infatti riservato il Titolo X alla Sanità Pubblica e,
nello specifico all’art. 129, si prevede che:
«1. La Comunità contribuisce a garantire un livello elevato di protezione della salute umana, incoraggiando la cooperazione tra gli Stati membri e, se necessario, sostenendone l'azione. L'azione della Comunità si indirizza in primo luogo alla prevenzione delle malattie, segnatamente dei grandi flagelli, compresa la tossicodipendenza, favorendo la ricerca sulle loro cause e sulla loro propagazione, nonché l'informazione e l'educazione in materia sanitaria. Le esigenze di protezione della salute costituiscono una componente delle altre politiche della Comunità. 2. Gli Stati membri coordinano tra loro, in collegamento con la Commissione, le rispettive politiche ed i rispettivi programmi nei settori di cui al paragrafo 1. La Commissione può prendere, in stretto contatto con gli Stati membri, ogni iniziativa utile a promuovere detto coordinamento. 3. La Comunità e gli Stati membri favoriscono la cooperazione con i paesi terzi e con le organizzazioni internazionali competenti in materia di sanità pubblica. 4. Per contribuire alla realizzazione degli obiettivi previsti dal presente articolo, il Consiglio adotta: - deliberando in conformità della procedura di cui all'articolo 189 B e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, azioni di incentivazione, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri; - deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, raccomandazioni. »
Nel 1997 il Trattato di Amsterdam procede verso un rafforzamento del
ruolo del livello sovranazionale in materia sanitaria, pur mantenendo in
modo saldo la competenza a livello nazionale. Si delinea quello che viene
definito un ampliamento della base giuridica e la possibilità, in alcuni
ambiti, di intervento diretto da parte dell’Unione Europea; l’articolo diventa
ora il 152 e recita quanto segue:
«1. Nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività della Comunità è garantito un livello elevato di protezione della salute umana. L’azione della Comunità, che completa le politiche nazionali, si indirizza al miglioramento della sanità pubblica, alla prevenzione delle malattie e affezioni e all’eliminazione delle fonti di pericolo per la salute umana. Tale azione comprende la lotta contro i grandi
pubblica, si è semplicemente formato dal 1977 un Consiglio con i ministri della sanità che cominciò a riunirsi a intervalli irregolari. Ne sono scaturiti atti come “decisioni degli Stati membri riuniti in seno al Consiglio” o risoluzioni non vincolanti.
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flagelli, favorendo la ricerca sulle loro cause, la loro propagazione e la loro prevenzione, nonché l’informazione e l’educazione in materia sanitaria. La Comunità completa l’azione degli Stati membri volta a ridurre gli effetti nocivi per la salute umana derivanti dall’uso di stupefacenti, comprese l’informazione e la prevenzione. 2. La Comunità incoraggia la cooperazione tra gli Stati membri nei settori di cui al presente articolo e, ove necessario, appoggia la loro azione. Gli Stati membri coordinano tra loro, in collegamento con la Commissione, le rispettive politiche ed i rispettivi programmi nei settori di cui al paragrafo 1. La Commissione può prendere, in stretto contatto con gli Stati membri, ogni iniziativa utile a promuovere detto coordinamento. 3. La Comunità e gli Stati membri favoriscono la cooperazione con i paesi terzi e con le organizzazioni internazionali competenti in materia di sanità pubblica. 4. Il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all’articolo 189 B e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, contribuisce alla realizzazione degli obiettivi previsti dal presente articolo, adottando: a) misure che fissino parametri elevati di qualità e sicurezza degli organi e sostanze di origine umana, del sangue e degli emoderivati; tali misure non ostano a che gli Stati membri mantengano o introducano misure protettive più rigorose; b) in deroga all’articolo 43, misure nei settori veterinario e fitosanitario il cui obiettivo primario sia la protezione della sanità pubblica; c) misure di incentivazione destinate a proteggere e a migliorare la salute umana, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, può altresì adottare raccomandazioni per i fini stabiliti dal presente articolo. 5. L’azione comunitaria nel settore della sanità pubblica rispetta appieno le competenze degli Stati membri in materia di organizzazione e fornitura di servizi sanitari e assistenza medica. In particolare le misure di cui al paragrafo 4, lettera a) non pregiudicano le disposizioni nazionali sulla donazione e l’impiego medico di organi e sangue. »
Il percorso di riconoscimento giuridico si rafforza ulteriormente nel 2009
attraverso il Trattato di Lisbona (Trattato sul funzionamento dell’Unione
Europea – TFUE). Già l’art. 6 precisa che «l’Unione ha competenza per
svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o completare l’azione degli
Stati membri» in diversi settori tra cui la “tutela e miglioramento della
salute umana”19. Il Titolo XIV inoltre, dedicato alla Sanità pubblica, con
l’art. 168 definisce maggiormente gli ambiti d’azione:
19 E’ interessante notare come già l’art. 3 del Trattato di Maastricht inseriva un simile obiettivo. Si parlava in esso della necessità che l’azione della Comunità comportasse “un contributo al conseguimento di un elevato livello di protezione della salute”. La terminologia utilizzata nel Trattato di Lisbona sembra essere più incisiva e mette in luce come gli elementi illustrati nel paragrafo precedente abbiano pesato in modo determinante.
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«1. Nella definizione e nell'attuazione di tutte le politiche ed attività dell'Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana. L'azione dell'Unione, che completa le politiche nazionali, si indirizza al miglioramento della sanità pubblica, alla prevenzione delle malattie e affezioni e all'eliminazione delle fonti di pericolo per la salute fisica e mentale. Tale azione comprende la lotta contro i grandi flagelli, favorendo la ricerca sulle loro cause, la loro propagazione e la loro prevenzione, nonché l'informazione e l'educazione in materia sanitaria, nonché la sorveglianza, l'allarme e la lotta contro gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero. L'Unione completa l'azione degli Stati membri volta a ridurre gli effetti nocivi per la salute umana derivanti dall'uso di stupefacenti, comprese l'informazione e la prevenzione. 2. L'Unione incoraggia la cooperazione tra gli Stati membri nei settori di cui al presente articolo e, ove necessario, appoggia la loro azione. In particolare incoraggia la cooperazione tra gli Stati membri per migliorare la complementarietà dei loro servizi sanitari nelle regioni di frontiera. Gli Stati membri coordinano tra loro, in collegamento con la Commissione, le rispettive politiche ed i rispettivi programmi nei settori di cui al paragrafo 1. La Commissione può prendere, in stretto contatto con gli Stati membri, ogni iniziativa utile a promuovere detto coordinamento, in particolare iniziative finalizzate alla definizione di orientamenti e indicatori, all'organizzazione di scambi delle migliori pratiche e alla preparazione di elementi necessari per il controllo e la valutazione periodici. Il Parlamento europeo è pienamente informato. 3. L'Unione e gli Stati membri favoriscono la cooperazione con i paesi terzi e con le organizzazioni internazionali competenti in materia di sanità pubblica. 4. In deroga all'articolo 2, paragrafo 5, e all'articolo 6, lettera a), e in conformità dell'articolo 4, paragrafo 2, lettera k), il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, contribuiscono alla realizzazione degli obiettivi previsti dal presente articolo, adottando, per affrontare i problemi comuni di sicurezza: a) misure che fissino parametri elevati di qualità e sicurezza degli organi e sostanze di origine umana, del sangue e degli emoderivati; tali misure non ostano a che gli Stati membri mantengano o introducano misure protettive più rigorose; b) misure nei settori veterinario e fitosanitario il cui obiettivo primario sia la protezione della sanità pubblica; c) misure che fissino parametri elevati di qualità e sicurezza dei medicinali e dei dispositivi di impiego medico. 5. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, possono anche adottare misure di incentivazione per proteggere e migliorare la salute umana, in particolare per lottare contro i grandi flagelli che si propagano oltre frontiera, misure concernenti la sorveglianza, l'allarme e la lotta contro gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero, e misure il cui obiettivo diretto sia la protezione della sanità pubblica in relazione al tabacco e all'abuso di alcol, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. 6. Il Consiglio, su proposta della Commissione, può altresì adottare raccomandazioni per i fini stabiliti dal presente articolo. 7. L'azione dell'Unione rispetta le responsabilità degli Stati membri per la definizione della loro politica sanitaria e per l'organizzazione e la fornitura di servizi sanitari e di assistenza medica. Le responsabilità degli Stati membri includono la gestione dei servizi sanitari e dell'assistenza medica e l'assegnazione delle risorse loro destinate. Le misure di cui al paragrafo 4, lettera a) non pregiudicano le disposizioni nazionali sulla donazione e l'impiego medico di organi e sangue.»
Il breve excursus permette di seguire lo sviluppo giuridico che ha avuto la
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tematica in discussione; appare evidente come l’aumento del livello di
attenzione si collochi in tempi recenti, sicuramente dagli anni ’90 in poi,
parallelamente all’emergere delle criticità illustrate nel precedente
paragrafo. C’è, senza dubbio, un allinemanto della base giuridica allo
sviluppo che la materia sanitaria ha subito dal punto di vista
programmatico e di azioni concrete, così da permettere che la condivisione
non si basi solo sulle ”buone intenzioni”, ma su una linea progettuale con
un riconoscimento di alto livello normativo. Sono diversi i fattori che hanno
influenzato il percorso di costruzione di una strategia comunitaria nel
settore della pubblica sanità20. Un’attenzione particolare merita
indubbiamente l’azione della Corte di Giustizia che, con i suoi interventi, ha
identificato il problema della garanzia di tutela della salute dei cittadini in
funzione delle libertà introdotte con il mercato comune. Le prime sentenze
sono del 1998 (KOHLL e DECKER) e riguardano due cittadini
lussemburghesi recatisi rispettivamente in Germania e in Belgio per
l’acquisto di un paio di occhiali nel primo caso, e di cure odontoiatriche nel
secondo caso. Il nocciolo della questione era capire se l’autorizzazione
preventiva obbligatoria da richiedere al proprio Stato per ottenere un
rimborso ex post, rappresentava o meno una restrizione alla libera
circolazione dei servizi e delle merci, nonché della libertà di movimento da
parte dei cittadini all’interno del territorio europeo. La Corte, nelle sue
sentenze, ha definito i servizi sanitari come servizi di natura economica e,
nonostante abbia ribadito la competenza esclusiva degli Stati membri
nell’organizzazione dei propri servizi sanitari, li ha riconosciuti non esenti
dall’applicazione dei principi fondamentali del mercato unico. Ciò, tradotto,
20 Si precisa che vengono considerati alcuni tra gli eventi più importanti senza velleità di esaurire la problematica. L’obiettivo non è individuare tutte le azioni o i processi strutturatisi da più parti, ma cercare di focalizzare alcuni tra i momenti più importanti, il relativo periodo, nonché la portata sostanziale, per capire che tipo di influenza possano aver avuto nel percorso e come lo stesso si sia evoluto.
49
significa la possibilità di recarsi in altri Stati per ottenere prestazioni
sanitarie senza richiesta di autorizzazione. Le problematiche che, a questo
punto, devono essere chiarite sono definire il livello di ingerenza che le
istituzioni europee possono avere in un ambito riservato alla competenza
statale, e capire soprattutto a quale tipo di prestazioni è riservato il nuovo
approccio. Con sentenze successive (SMITS-PEERBOOMS, 2001; WATTS,
2006) la Corte ha chiarito che non vi è alcuna differenza tra servizi
ambulatoriali e servizi ospedalieri, considerandoli entrambi facenti parte
del sistema di garanzia della salute; nel 2006, in modo ancora più chiaro,
si sottolinea che tutti i servizi sanitari sono servizi secondo i termini
dell’art. 50 del Trattato.
Quello che si apre è indubbiamente un contrasto di vedute, non solo per
l’ingerenza della Corte in un settore specificatamente riservato all’azione
nazionale, ma anche e soprattutto per l’approccio alla tematica “tutela
della salute” con ottica di mercato. E’ palese infatti che, se da un lato le
sentenze della Corte di Giustizia determinano indubbiamente delle
conseguenze nel settore, sollevando una problematica da affrontare, le
stesse lo fanno utilizzando punti di riferimento economici, tralasciando la
natura sociale delle politiche sanitarie. Tale approccio delinea una sorta di
contrasto tra la difesa ad oltranza dei principi del mercato interno e la
garanzia di protezione sociale, in questo caso della salute. E’ bizzarro che
l’azione della Corte nel tentativo di tutelare i primi, faccia emergere
indirettamente l’esigenza di garantire i secondi, con forme diverse da
quelle elaborate sino a quel momento.
Un momento importante, considerato «the milestone in the EU policy
debates on the impact of EU law on health care systems»21, è l’incontro
avvenuto a Gent nel dicembre 2001, organizzato dalla Presidenza Belga
21
http://www.ose.be/EN/research_topics/health_care/health_care.htm
50
che ha coinvolto non solo i policy makers europei e nazionali, ma anche
accademici ed amministratori del settore sanità. In tale contesto è stata
sottolineata la necessità di avviare un dibattito politico in materia perché
non vi sono più le condizioni affinchè gli Stati possano proseguire da soli in
tale settore; c’è necessariamente un’influenza, anche indiretta, del
processo d’integrazione europea, nonostante la distinta separazione di
competenze: è necessario individuare i limiti di questa influenza, gli effetti
diretti ed indiretti, e le eventuali azioni da mettere in campo. La domanda
principale diventa «how could Europe guarantee an high level of social
protection, considering the increasing influence of the internal market on
health care?»22. E’ un incontro che pone problematiche e solleva
interrogativi, non fornisce soluzioni, ma si inserisce nel percorso che sta
emergendo e che considera sempre più il settore della sanità come un
ambito che, per alcuni aspetti, deve oltrepassare i confini nazionali. Serve
anche per discutere le perplessità a seguito delle prime sentenze della
Corte di Giustizia. Al di là dei risultati ottenuti, ciò che è importante
sottolineare è come la Conferenza abbia dato «avvio ad un processo di
policy building a livello europeo nell’ambito dei servizi sanitari»23.
Nel periodo successivo la discussione, e le relative azioni, si è concentrata
su tre ambiti specifici che sono stati considerati maggiormente strategici.
In particolare si è ritenuto importante incanalare le azioni verso:
- una revisione dei Trattati che considerasse i principi fondamentali dei
sistemi sanitari;
- un’attenzione particolare alla mobilità dei pazienti e ad una definizione
normativa chiara per garantire la tutela di questo diritto;
22 EUROPEAN INTEGRATION AND NATIONAL HEALTH CARE SYSTEMS: A CHALLENGE FOR SOCIAL POLICY, Gent, Dicembre 2001. 23 CHIARA MIGLIOLI, (2009), La dimensione europea della sanità, fra integrazione e confini nazionali, in Rivista Italiana di Politiche Pubbliche, n. 2/2009, pp. 147-180, cit. pag. 162.
51
- lo sviluppo di una progettualità ampia e parallela all’attività statale
attraverso il Metodo del Coordinamento Aperto (MAC).
Nel 2006 un Consiglio dell’Unione nella formazione Occupazione, Politica
sociale, Salute e Consumatori (EPSCO) riesce a costruire un accordo
attorno ad alcuni principi fondamentali che dovrebbero essere alla base
dei sistemi sanitari nazionali. Tali principi sono: universalità, accesso a
un’assistenza di buona qualità, equità, solidarietà; accanto agli stessi
vengono poi individuati alcuni principi operativi come la qualità, la
sicurezza, un’assistenza basata sulle prove e l’etica, il coinvolgimento del
paziente, il risarcimento e la riservatezza24. Questo passaggio denota
sicuramente la volontà di delineare un terreno comune, basato sui principi
e non sull’organizzazione, ma comunque un terreno di condivisione.
Sebbene non sia opportuno cercare di standardizzare i sistemi sanitari a
livello di UE, i lavori a livello europeo in tale settore rappresentano un
enorme valore. Gli Stati membri sono impegnati a collaborare per
condividere esperienze e informazioni su approcci e buone prassi, per
esempio attraverso il Gruppo ad alto livello della Commissione sui servizi
sanitari e l'assistenza medica o attraverso il metodo di coordinamento
aperto in corso sull'assistenza sanitaria e l'assistenza a lungo termine, con
l'intento di realizzare l'obiettivo comune di promuovere in Europa
un'assistenza sanitaria di alta qualità più efficiente e più accessibile.
Consideriamo particolarmente valida ogni iniziativa adeguata sui servizi
sanitari che offra ai cittadini europei chiarezza sui loro diritti allorché si
spostano da uno Stato membro all'altro, così come la trasposizione di
questi valori e principi in un quadro normativo per assicurare la certezza del
diritto.25
24 COMUNICATO STAMPA, 2733ª sessione del Consiglio Occupazione, politica sociale, salute e consumatori, Lussemburgo 1-2 giugno 2006. 25 Ivi, pag. 32.
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Per quanto attiene alla mobilità dei pazienti, nel 2008 viene presentata la
proposta di Direttiva sull’applicazione dei diritti dei pazienti nell’assistenza
sanitaria transfontaliera. La Direttiva arriverà ad approvazione nel 2011
(Direttiva 2011/24/UE) tra aspettative deluse e nuovi spazi di discussione.
Vedremo nel dettaglio questo argomento nel III capitolo, ma è importante
qui sottolineare come la garanzia di un’assistenza transfontaliera si sia
delineata come fulcro della politica sanitaria europea.
Rispetto al terzo ambito, ovvero la costruzione di un’ampia progettualità
sanitaria, la Commissione negli anni 2000 si è spesa molto in materia ed è
l’artefice del rilancio effettivo, nel 2004, del MAC Sanità ovvero di una
piattaforma basata sul Metodo Aperto di Coordinamento nel settore
sanitario. Con la comunicazione “Modernizing Social Protection for the
Development of High-Quality, Accessible and Sustainable Care and Long-
Term Care: support for the National Strategies Using the Open Method of
Coordination” la Commissione determina l’avvio concreto di tale
metodologia, proseguendo dunque un percorso di costruzione di un
coordinamento a livello comunitario in ambito sanitario, con l’elaborazione
anche di una propria strategia. E’ interessante ricordare un documento
elaborato nel 2007 dalla presidenza tedesca, che coinvolge le successive
due presidenze (portoghese e slovena), “Notes of the Trio Presidency”, in
cui vi è un’esplicita richiesta di creazione di uno spazio europeo per le
politiche sanitarie: «The purpose of this Trio Presidency Note is to provide
some elements for debate with a view to shaping a wider vision on how
health and healthcare policies should be taken forward at the EU level,
building on the messages contained in last year’s statement by all the EU
Health Ministers on Common Values and Principles.»26
Il processo sembra avviato verso la necessità di progredire, puntando ad
26 Notes of the Trio Presidency. Health care across Europe: Striving for added value. Aachen, 20th of April 2007.
53
un livello sovranazionale che non sostituisca il livello nazionale in materia,
ma vi intervenga integrandolo, elaborando soluzioni meglio identificabili su
larga scala. L'art. 168 del TFUE sarà la base giuridica delle azioni di
coordinamento evocate dal trio presidenziale affinchè si possa determinare
un valore aggiunto attraverso i diversi livelli di governance. La traduzione
del dibattito in azioni pratiche ci permetterà di percepire in modo più
chiaro l’approccio che è stato seguito e soprattutto di renderci conto dei
diversi strumenti che sono stati utilizzati per innescare un meccanismo di
collaborazione in materia.
Il primo approccio alla tematica avviene attraverso l’elaborazione di alcuni
programmi di azioni specifiche. Dopo il Trattato di Maastricht vengono
individuati cinque programmi (la promozione della salute, il cancro, l’aids e
alcune malattie trasmissibili, la tossicodipendenza e la sorveglianza della
salute) su cui si attivano progettualità specifiche; successivamente si
aggiungono altre tre aree ritenute strategiche (le malattie rare, la
prevenzione delle lesioni, le malattie indotte dall'inquinamento) rispetto
alle quali eventuali strategie comunitarie avrebbero determinato un valore
aggiunto. In questo primo periodo non vi è una vera e propria strategia o
un quadro progettuale all’interno del quale si inseriscono tali tematiche. E’
in una seconda fase che si sente l’esigenza di una programmazione più
organica che permetta di inserire le diverse azioni in un progetto più
ampio e completo. Viene quindi elaborato un Quadro di Salute Pubblica
che definisce un programma organico in materia sanitaria, da attuare
attraverso un piano d’azione di lungo periodo. Nel 2002 il Parlamento
Europeo e il Consiglio elaborano, infatti, una Decisione con cui viene
adottato il Primo Programma d’Azione Comunitario nel campo della sanità
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pubblica27. L’approccio strategico, pur partendo dall’esperienza dei
precedenti programmi d’azione, si sviluppa con un metodo più ampio. Le
prime esperienze avevano permesso di “gestire” le divergenze tra gli Stati,
ma allo stesso tempo si era registrata un’importante dispersione di
energie, e risorse finanziarie, a causa della ridotta flessibilità e del basso
livello di coordinamento. L’impostazione viene dunque modificata,
elaborando una strategia a tutto tondo, ma ribadendo la competenza
esclusiva degli Stati per quanto riguarda l’organizzazione dei sistemi
sanitari28. Il programma copre il periodo 2003-2008 e mira a garantire un
alto livello di protezione della salute umana, a lottare contro le disparità
nel settore della salute e ad incoraggiare la cooperazione tra Stati membri
nei settori contemplati dall’art. 152 del Trattato. Per ottennere questo si
prefigge tre obiettivi generali:
1. migliorare l’informazione e le conoscenze per lo sviluppo della sanità
pubblica;
2. accrescere la capacità di reagire rapidamente e in modo coordinato
alle minacce che incombono sulla salute;
3. promuovere la salute e prevenire le malattie affrontando i
determinanti sanitari in tutte le politiche e le attività.
Per ogni obiettivo vengono poi individuate delle azioni specifiche di cui
elenchiamo alcuni esempi.
27 DECISIONE N. 1786/2002/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 23 settembre 2002 che adotta un programma d'azione comunitario nel campo della sanità pubblica (2003-2008). 28 Considerando 22 Decisione n. 1786/2002/CE «Conformemente ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità definiti all'articolo 5 del Trattato, l'azione comunitaria nei settori che non sono di esclusiva competenza della Comunità, come ad esempio la sanità pubblica, dovrebbe essere intrapresa soltanto se e nella misura in cui, a motivo delle sue dimensioni o dei suoi effetti, il suo obiettivo può essere meglio conseguito dalla Comunità. Gli obiettivi del programma non possono essere realizzati a un livello sufficiente dagli Stati membri a causa della complessità, del carattere transnazionale e della mancanza di un controllo completo, a livello di Stato membro, dei fattori che riguardano la sanità, e pertanto il programma dovrebbe sostenere e completare le azioni e le misure degli Stati membri».
55
Azioni correlate all’ obiettivo 1: creazione di un sistema globale di raccolta,
analisi e valutazione delle informazioni e delle conoscenze per informare,
consigliare e distribuire l’informazione a tutti i livelli della società, al
grande pubblico, alle autorità e ai professionisti in materia di salute.
Azioni correlate all’ obiettivo 2: rafforzare la capacità di reazione a
minacce transfrontaliere come l'HIV, la nuova variante della malattia di
Creutzfeldt-Jakob e le affezioni connesse con l'inquinamento.
Azioni correlate all’ obiettivo 3: vaste azioni di promozione della salute
accompagnate da misure e da strumenti specifici di riduzione e di
eliminazione dei rischi.
Attraverso questa modalità operativa, il tema della salute ha assunto nel
periodo di sviluppo della prima Strategia un’importanza sempre maggiore.
Nel 2007 l’attività di preparazione che porterà al Trattato di Riforma di
Lisbona (2009) assume su questo punto una posizione giuridicamente
significativa. E’ per questo che il percorso continua con l’elaborazione della
Seconda Strategia definita “Together for Health: a strategic approach for
the EU 2008-2013”29. In linea di continuità con il precedente programma,
si prevede una copertura di ulteriori 6 anni e si struttura la strategia in
modo molto simile. Vengono identificati quattro principi su cui sviluppare
l’azione strategica:
• principio 1: una strategia basata su valori sanitari condivisi;
• principio 2: la salute è il bene più prezioso;
• principio 3: la salute in tutte le politiche (health in all policies –
HIAP);
• principio 4: rafforzare il ruolo dell'UE in relazione alla salute
mondiale.
Vengono declinati tre obiettivi specifici:
29 Libro bianco della Commissione del 23 ottobre 2007 dal titolo “Insieme per la salute: un approccio strategico dell'UE per il periodo 2008-2013” [COM(2007) 630].
56
• promuovere un buono stato di salute in un’Europa che invecchia;
• proteggere i cittadini dalle minacce per la salute;
• promuovere i sistemi sanitari dinamici e le nuove tecnologie.
Per lo sviluppo della seconda Strategia viene elaborato il secondo
Programma di azione comunitario in materia di Salute Pubblica 2008-
201330. Questo nuovo programma prevede vengano finanziati azioni e
progetti transnazionali nel campo della salute pubblica. I tre obiettivi della
Strategia vengono tradotti in tre aree tematiche:
• protezione dalle minacce sanitarie;
• promozione e miglioramento dello stato di salute;
• informazione e comunicazione sanitaria.
Ogni anno la Commissione adotta un piano di lavoro specifico in cui
inserisce le priorità identificate per l’anno considerato, gli ambiti in cui
effettuare i principali interventi, le azioni congiunte da portare avanti per
realizzare gli obiettivi definiti nella Strategia, nonché le risorse finanziarie
destinate31.
Per il periodo successivo a quello coperto dalla seconda strategia, si è
elaborata la Strategia Europa 2020; per proseguire la progettualità avviata
è stata presentata la proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e
del Consiglio sulla istituzione del programma “Salute per la crescita”, terzo
programma pluriennale d'azione dell'UE in materia di salute per il periodo
2014-2020. Tale proposta è strutturata in un’ottica di continuità rispetto ai
programmi d’azione precedenti, inserendosi nel contesto della Strategia
30 Decisione n° 1350/2007/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2007 che istituisce un secondo programma d’azione comunitaria (2008-2013). 31 Il piano di lavoro 2013 per il secondo programma d'azione comunitaria in materia di salute (2008-2013) è stato adottato il 28 novembre 2012 e pubblicato nella Gazzetta ufficiale l'8 dicembre 2012. http://ec.europa.eu/health-eu/news/2012/19/short_content_it.htm
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Europa 2020 con una particolare attenzione alla necessità di far fronte alla
sostenibilità dei sistemi sanitari nazionali. Gli obiettivi individuati sono in
questo caso quattro:
• intraprendere le riforme necessarie per sistemi sanitari innovativi e
sostenibili;
• migliorare l'accesso ad un'assistenza sanitaria migliore e più sicura
per i cittadini;
• promuovere la salute dei cittadini europei e prevenire le malattie,
soprattutto con l’ottica transfontaliera;
• proteggere i cittadini europei dalle minacce transfrontaliere
attraverso un migliore coordinamento nelle emergenze sanitarie.
Sarà necessario seguire l’iter di approvazione e di sviluppo del programma
per poter analizzare gli obiettivi specifici e le relative azioni che verrano
elaborate.
La Commissione Europea persegue gli obiettivi in materia di salute
attraverso una pluralità di strumenti tra cui i programmi d’azione
rappresentano solo una parte, se pur consistente. Sono stati sviluppati vari
programmi specifici o campagne di informazione che si collocano
all’interno della strategia, ma parallelamente ai programmi d’azione
illustrati. Sono state individuate alcune tematiche su cui si è sviluppata un’
attenzione particolare: su tematiche come il cancro, la tossicodipendenza,
l'aids e le malattie trasmissibili sono stati lanciati programmi pluriennali
globali. Sono ritenuti strategici inoltre la lotta al tabagismo32, la lotta
all’alcolismo33, la qualità e la sicurezza degli organi e delle sostanze di
32 E’ stato istituito nel 1992 un Fondo comunitario del tabacco che finanzia azioni volte a migliorare le conoscenze sugli effetti nocivi del tabacco e sulle misure preventive e curative adeguate; orienta la produzione comunitaria verso altre colture o altre attività economiche creatrici di posti di lavoro. 33 E’ stata elaborata una Strategia europea volta a ridurre i pericoli derivanti dal consumo
58
origine umana, la normativa riguardante sangue, tessuti e gli organi
umani, i provvedimenti veterinari e fitosanitari, la sicurezza dei pazienti e
la prevenzione delle infezioni associate all’assistenza sanitaria, solo per
fare alcuni esempi.
Il quadro che se ne ricava è, dunque, quello di un settore guidato da una
strategia europea elaborata con un’ottica di lungo periodo, che viene
tradotta in piani d’azione altrettanto corposi, e che vengono affiancati da
una serie di progettualità trasversali su tematiche specifiche.
E’ interessante consultare il sito della DG Salute e Consumatori nel settore
salute pubblica per rendersi conto dell’ampiezza ed eterogeneità degli
interventi34 e capire come lo sviluppo di azioni in tema di salute pubblica
sia così sviluppato da poter pensare ad una vera e propria policy.
Dopo aver analizzato a grandi linee come si è sviluppata l’attenzione per la
tematica della sanità a livello comunitario, e aver illustrato le linee
attraverso cui si sviluppano le diverse azioni di intervento, è interessante
individuare quali siano gli attori che hanno avuto un ruolo determinante
nel processo. Nel prossimo paragrafo ci soffermeremo, dunque, a
considerare i soggetti istituzionali e non istituzionali che si sono interessati
particolarmente alla tutela della salute dei cittadini, cercando di tracciare
un quadro dei riferimenti esistenti in questo ambito.
di alcool. Comunicazione della Commissione del 24 ottobre 2006 intitolata: «Strategia comunitaria volta ad affiancare gli Stati membri nei loro sforzi per ridurre i danni derivanti dal consumo di alcol» [COM(2006) 625] def. 34 http://ec.europa.eu/health/index_it.htm
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2.4 Gli attori coinvolti e le modalità di azione
L’analisi del processo di costruzione di una strategia comunitaria di tutela
della salute, non può prescindere dall’osservazione di quali siano gli attori
coinvolti, quelli che hanno maggiormente influenzato il percorso e con
quali modalità si siano ricavati un ruolo. Considerare gli attori è
fondamentale, perché permette di capire quali sono i punti forti del
sistema che si sta costruendo e quali i punti di riferimento.
Il panorama che si è delineato in questo ambito, se pur di recentissima
attualità, è molto variegato, perché sono coinvolte in modo attivo sia le
Istituzioni Europee, sia Agenzie o soggetti istituiti da queste a loro
supporto, sia soggetti con interessi in materia che hanno assunto un ruolo
importante. L’obiettivo di questo paragrafo non è illustrare tutte le azioni
dei soggetti istituzionali o descrivere la cronistoria di tutti gli attori
coinvolti, ma identificare quali sono quelli maggiormente interessati, le
loro principali azioni, con particolare attenzione al periodo, per comporre
un panorama che permetta di capire la dimensione del fenomeno
osservata dal punto di vista degli stakeholders coinvolti.
La Corte di Giustizia è senz’altro il soggetto che ha avuto un ruolo di
facilitatore del processo. E’ diffusa nelle analisi del processo la
consapevolezza che, al di là delle necessità emerse nel tempo, che
giustificano un’attenzione sempre maggiore a tale ambito, ciò che ha
innescato un meccanismo di riflessione prima, e di azione poi, siano le
sentenze della Corte di Giustizia. Come abbiamo già precedentemente
accennato, le prime sentenze sono del 1998, in linea con la presenza di
un’attenzione maggiore alla tematica nei Trattati dell’epoca ma, allo stesso
tempo, con l’assenza di una traduzione in termini pratici dei principi
enunciati. E’ ovvio che l’elaborazione delle sentenze ha posto una
problematica e, cosa ancora più importante, ha determinato un’incertezza
giuridica che andava necessariamente affrontata. E’ dunque in quel
60
momento che si innesca un meccanismo di discussione, ma anche di
azione, che si tradurrà nella progettualità analizzata.
La Commissione è indubbiamente il soggetto che ha favorevolmente
guidato il percorso di costruzione della issue, cercando di utilizzare il
fenomeno di incertezza giuridica creatosi. Si occupa della materia la DG
SANCO (Direzione Generale Salute e Consumatori); dagli anni 2000 in poi
sono molte le azioni innescate dalla Commissione e le relative
comunicazioni che danno vita alle strategie precedentemente illustrate e
alle azioni collaterali, comunque inserite in un programma sempre più
nutrito. Ricordiamo alcuni documenti strategici come:
- la Comunicazione della Commissione, del 16 maggio 2000, al
Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale
e al Comitato delle regioni sulla strategia della Comunità europea in
materia di sanità [COM(2000) 285] che elabora il primo programma
strategico a livello comunitario;
- il Libro bianco della Commissione del 23 ottobre 2007 dal titolo
“Insieme per la salute: un approccio strategico dell'UE per il periodo
2008-2013” [COM(2007) 630] che, in un’ottica di continuità,
elabora la seconda strategia a conclusione della prima;
- la Decisione 2008/721/CE, del 5 settembre 2008, che istituisce
una struttura consultiva di comitati scientifici ed esperti nel settore
della sicurezza dei consumatori, della sanità pubblica e
dell'ambiente, per poter avvalersi di una serie di esperti e costruire
una rete con competenze specifiche che permetta di approfondire
problematiche specifiche.
La Commissione si è dedicata inoltre ad elaborare documenti su
progettualità specifiche o argomenti delimitati, di cui ricordiamo alcuni
documenti:
- la Comunicazione della Commissione, del 2 febbraio 2000, sul ricorso
al principio di precauzione [COM(2000) 1] che prevede la
61
possibilità, in alcuni ambiti, tra cui la salute umana, di agire
immediatamente nell’eventualità si verifichino emergenze che
rappresentino un pericolo; consente ad esempio di ritirare prodotti
o bloccarne la distribuzione qualora ritenuti dannosi;
- la Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento
europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato
delle regioni, del 30 aprile 2004, «Sanità elettronica - migliorare
l'assistenza sanitaria dei cittadini europei: piano d'azione per uno
spazio europeo della sanità elettronica» [COM(2004) 356] che si
concentra sulla necessità di sfruttare le nuove tecnologie a
vantaggio di un settore strategico;
- il Libro verde della Commissione, del 10 dicembre 2008, relativo al
personale sanitario [COM(2008) 725] che introduce una tematica
importante ed inizia (siamo nel 2008) ad occuparsi di aspetti che
riguardano anche l’organizzazione del sistema;
- la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al
Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato
delle Regioni, del 24 giugno 2009, intitolata «Lotta contro il cancro:
un partenariato europeo» [COM(2009) 291] che sviluppa un
argomento da sempre caro al livello sovranazionale.
E’ necessario ricordare l’istituzione, da parte della Commissione, del
Comitato di alto livello sulla sanita’ (High Level Committee on Health),
organismo interno alla DG SANCO che si occupa dell’approfondimento
della tematica sanitaria attraverso sei sottogruppi: acquisti e cessioni di
prestazioni sanitarie transfrontaliere; professionisti sanitari; centri di
riferimento; sicurezza del paziente; valutazione dell’impatto sulla salute e
sui sistemi sanitari; dati e sanità elettronica.
Questi accenni permettono di capire come la Commissione si sia occupata
dell’argomento abbracciandolo in tutti i suoi aspetti e facendosi
promotrice, lungo tutto l’arco di tempo in cui si è sviluppata, degli spunti
62
emersi e delle necessità rilevate da più parti.
Anche il ruolo del Consiglio dell’Unione Europea non è da meno. La
sensibilità relativa alla necessità di un intervento emerge infatti sin dagli
anni ’90 ed è quello che stimola la Commissione ad agire in materia. E’
interessante citare un paio di documenti:
- le Conclusioni del Consiglio, del 26 novembre 1998, relative al
futuro quadro dell'azione comunitaria nel settore della sanità
pubblica;
- la Risoluzione del Consiglio, dell'8 giugno 1999, riguardante
l'azione comunitaria futura nel settore della sanità pubblica;
per osservare come anche tale istituzione in questi anni sia consapevole
della necessità e dell’importanza di affrontare l’argomento.
Il Consiglio ha rivestito un ruolo strategico poiché, con la composizione
Occupazione, Politica Sociale, Salute e Consumatori (EPSCO), non solo ha
più volte sollecitato un intervento della Commissione indicandone anche le
modalità35, ma ha segnato alcune tappe importanti come ad esempio, nel
2006, la definizione di una serie di principi comuni su cui basare la
struttura dei sistemi sanitari nazionali. Tale Consiglio riunisce 4 volte
l’anno i Ministri responsabili di occupazione, politica sociale, salute e
consumatori limitandosi ovviamente ad un ruolo di indirizzo e di
identificazione di raccomandazioni utili.
Il Parlamento agisce attraverso la Commissione “Ambiente, Sanità
Pubblica e Sicurezza Alimentare” che è la più grande commissione
legislativa del Parlamento Europeo. Il Parlamento ha ottenuto un ruolo di
colegislatore in materia e, nel settore della salute pubblica, si concentra
soprattutto nel cercare di intervenire su settori particolarmente delicati;
tematiche che sono state trattate recentemente sono la sicurezza dei
35 Nel 2002 il Consiglio ha invitato la Commissione ad istituire un processo di riflessione ad alto livello sulla mobilità dei pazienti.
63
prodotti farmaceutici e cosmetici, la lotta contro i medicinali contraffatti
nonché la difesa dei diritti dei pazienti.
E’ inoltre ruolo del Parlamento l’approvazione di eventuale normativa di
riferimento; è interessante ricordare:
- la Decisione n° 1786/2002/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio del 23 settembre 2002 che approva un programma
d’azione comunitaria in materia di salute pubblica (2003-2008);
- la Decisione n° 1350/2007/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio del 23 ottobre 2007 che istituisce un secondo programma
d’azione comunitaria in materia di salute (2008-2013);
- la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 9 novembre 2011, sulla istituzione del programma “Salute per la
crescita”, terzo programma pluriennale d'azione dell'UE in materia
di salute per il periodo 2014–2020;
- la Direttiva 2011/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del
9 marzo 2011, concernente l'applicazione dei diritti dei pazienti
relativi all'assistenza sanitaria transfrontaliera.
Accanto alle Istituzioni, si colloca poi un insieme di strutture competenti
che hanno contribuito a costruire la rete dei soggetti coinvolti nella
strategia sanitaria europea.
Vi è infatti una serie di Agenzie che svolgono funzioni specifiche di tipo
tecnico, scientifico o di gestione; sono distinte dalle istituzioni europee ma
di supporto alle stesse nell’attività in questione. Le più importanti sono:
• l'Agenzia esecutiva per la salute e i consumatori (EAHC) che
attua il programma dell'UE per la salute, il programma per i
consumatori e l'iniziativa “Migliorare la formazione per rendere più
sicuri gli alimenti”;
64
• il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle
malattie (ECDC) lavora per rafforzare le difese dell'Europa contro
le malattie infettive;
• l'Agenzia europea dell'ambiente (AEA) è un organismo istituito
per fornire dati scientifici indipendenti sull'ambiente;
• l'Osservatorio europeo delle droghe e delle
tossicodipendenze (OEDT) fornisce dati esaustivi sulle sostanze
stupefacenti e sulla tossicodipendenza in Europa;
• l'Agenzia europea per i medicinali (EMA) protegge e
promuove la sanità pubblica e la salute degli animali mediante la
valutazione dei medicinali per uso umano e veterinario;
• l'Agenzia europea delle sostanze chimiche (ECHA) si occupa
delle procedure di registrazione, valutazione, autorizzazione e
restrizione delle sostanze chimiche per garantirne l'armonizzazione
in tutta l'Unione europea;
• l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA)
fornisce consulenze scientifiche indipendenti e informa in maniera
chiara sui rischi per la sicurezza degli alimenti e dei mangimi;
• l'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro
(EU-OSHA) fornisce informazioni ai datori di lavoro e ai lavoratori
del'UE per far fronte alle problematiche riguardanti la sicurezza e la
salute;
• Eurofound mette a disposizione dei responsabili della politica
sociale dell'UE le proprie competenze in materia di condizioni di vita
e di lavoro, relazioni industriali e gestione dei cambiamenti.
Accanto a questa rete trovano spazio poi altri soggetti che contribuiscono
all’analisi delle questioni emerse. Un’importante fonte di analisi ed
informazioni è rappresentata dall’European Observatory on Health
Systems and Policies, creato nel 2005 per contribuire all’attuazione del
65
Programma dell’UE per la salute; ha relazioni con quasi 3000 soggetti
beneficiari coinvolti in circa 340 progetti nel campo della salute36.
Meritano menzione anche altri due ambiti costruiti per favorire la
partecipazione e il confronto in questo settore:
- il Forum europeo per la salute;
- il Gruppo per il dialogo con i portatori d'interessi.
Sono spazi comuni istituiti dalla Commissione per favorire il dialogo con la
cittadinanza, ma anche con gruppi d’interesse o organizzazioni creatisi al
di fuori dell’ambito istituzionale, per agevolare un processo di
partecipazione che contribuisca a creare un sistema di conoscenze comuni
e di proposte, soluzioni, azioni condivise.
Nel sito della DG SANCO37 vengono così descritti:
«Il forum europeo per la salute serve a informare e coinvolgere i principali
portatori d'interessi nel campo della politica sanitaria europea. Divulga
informazioni, lancia proposte di dibattito e contribuisce al processo
politico. Ha due componenti: il forum per la politica sanitaria dell'UE
(composto da 50 ONG di coordinamento) e il forum aperto».
«Il gruppo per il dialogo con i portatori d'interessi offre consulenze alla
Commissione (Direzione Generale Salute e Consumatori) sulle migliori
pratiche da adottare nel processo di consultazione».
La rassegna fornita non esaurisce certo l’insieme dei soggetti che negli
ultimi anni sono coinvolti in tale settore con ruoli diversi, e che insieme
costruiscono una rete attiva, linfa vitale per un processo di costruzione di
una policy. Il quadro ci permette tuttavia di intuire che la nascita e lo
sviluppo di soggetti attivi, in materia di tutela della salute, sono
progressivamente incrementati con la consapevolezza sempre più definita
di una necessità d’azione in tale campo. I tempi e i modi si sono
36 Dati rilevati dal sito dell’Agenzia http://ec.europa.eu/eahc/about/about.html 37 http://ec.europa.eu/health/interest_groups/policy/index_it.htm
66
intersecati con le scelte delle istituzioni europee di mantenere di esclusiva
competenza nazionale l’ambito dell’organizzazione e della fornitura delle
prestazioni sanitarie, ma allo stesso tempo di definire un percorso comune
su specifiche tematiche elaborando infine una strategia inclusiva.
68
3.1 Il fenomeno della mobilità sanitaria
La mobilità sanitaria è il fenomeno per il quale il cittadino riceve
prestazioni sanitarie presso strutture situate in un territorio diverso da
quello di residenza. E’ un fenomeno complesso, analizzabile sotto diversi
punti di vista, che, alla luce dei cambiamenti avviati nel territorio
comunitario, assume rilevanza determinante.
E’ un fenomeno osservato e gestito anche, e soprattutto, a livello
nazionale; in Italia, ad esempio, è aumentata negli ultimi anni l’attenzione
verso il movimento dei pazienti, poiché ad esso sono connesse
conseguenze soprattutto di ordine economico. Allo spostamento dei
pazienti deve essere, infatti, collegato un sistema di finanziamento che
prevede la compensazione economica di tali flussi. Lo stesso principio
inizia ad essere applicato a livello europeo poiché la costruzione di un
territorio maggiormente integrato, che favorisce la libera circolazione delle
persone, ma anche dei servizi e dei beni, ha come ulteriore conseguenza
anche l’apertura del “mercato sanitario”. L’obiettivo è quello di fornire
un’assistenza sanitaria con elevato livello qualitativo diffuso, cercando
dunque di creare un territorio comune che permetta di effettuare un
percorso di miglioramento delle aree meno sviluppate; il diritto alla salute
deve essere garantito in egual misura su tutto il territorio comunitario e,
se pur nel rispetto delle diversità tra sistemi sanitari, è importante lavorare
per raggiungere un omogeneo livello di qualità. Il principio non è più solo
il diritto di libera scelta del paziente rispetto al luogo in cui ricevere le cure
sanitarie, ma anche la necessità che, indipendentemente dal luogo, sia
garantito un certo livello, in termini qualitativi, delle cure e delle
competenze in materia.
In questo contesto ci interessa analizzare la mobilità sanitaria
internazionale, ovvero quella che si sviluppa tra i territori dell’Unione
Europea, per delineare un quadro ed analizzare le azioni intraprese nel
69
settore. Una conoscenza del fenomeno, non solo in termini quantitativi,
permette infatti di cogliere risvolti che vanno oltre l’aspetto economico,
mettendo in luce il contesto sociale in cui emergono determinati bisogni.
Tutto ciò assume, inevitabilmente, rilevanza politica nel momento in cui
diventa un fenomeno da gestire, rispetto al quale è necessario elaborare
soluzioni pratiche. Tale tematica sembra oggi rappresentare il nodo focale
della politica sanitaria comunitaria, da un lato perché è un aspetto su cui è
stata elaborata la Direttiva 2011/24/UE che necessita di recepimento e di
una successiva applicazione, dall’altro perché tale problematica è frutto e
conseguenza dell’integrazione europea stessa ed è necessario, dunque,
gestirne i diversi aspetti, inserendoli in un’analisi più ampia e complessa. Il
fatto che, ad oggi, l’organizzazione dei sistemi sanitari e la fornitura delle
prestazioni rimanga ancorata al livello nazionale, determina che la tutela
sanitaria sia necessariamente legata al territorio di residenza; i fenomeni
di mobilità hanno innescato, tuttavia, un aumento degli spostamenti dei
cittadini, anche per motivi di salute.
Quando si parla di mobilità sanitaria a livello internazionale, si fa
riferimento a dei flussi di pazienti che si giustificano con motivazioni
diverse:
- vi è una mobilità volontaria, collegata a scelte razionali del paziente
che, per ragioni di cura, decide di rivolgersi a strutture di paesi
diversi dal proprio;
- vi è una mobilità legata ai fenomeni di maggiore spostamento delle
persone all’interno del territorio (attività lavorative svolte all’estero,
fenomeni di turismo, legami parentali presso altri Stati);
- vi è una mobilità fisiologica legata ai territori di confine, che rende a
volte più comodo il servizio del paese estero.
Al di là delle motivazioni specifiche che portano i cittadini oltre frontiera
per ricevere cure sanitarie, il fenomeno è innescato da alcuni elementi
importanti. Primo fra tutti il diritto di libera scelta del luogo di cura è ciò
70
che permette di poter prendere in considerazione eventuali spostamenti in
caso di esigenze sanitarie. La possibilità, dunque, che ci si possa rivolgere
ad una struttura diversa da quella del territorio di appartenenza (che in
Italia significa anche semplicemente cambiare ASL), risponde alla
necessità di tutelare tale diritto. A livello comunitario la situazione non è
così lineare. La presenza di sistemi sanitari che presentano caratteristiche
diverse pone problematiche, anche su questo aspetto, non indifferenti. Nel
SSN italiano, ad esempio, l’impianto universalistico garantisce pari
disponibilità di cure a tutti, e ciò determina una copertura di tutta la
popolazione; questo approccio non è presente in tutti i paesi europei.
Allo stesso tempo la necessità di garantire tutela sanitaria anche oltre il
proprio territorio nazionale, o ancora di più, di garantire la libertà di scelta
di fruizione di una prestazione sanitaria dove il fruitore la ritenga migliore,
sono elementi che hanno sottolineato la problematicità del fenomeno.
Avere, dunque, ben chiaro come si sviluppa il fenomeno della mobilità
internazionale e quali siano le conseguenze, permette di delineare le
migliori soluzioni per gestirlo, aspetto che deve, inevitabilmente, essere
preso in considerazione.
La situazione con cui ci si confronta è ambivalente; il fenomeno, infatti,
presenta aspetti positivi e, allo stesso tempo, aspetti negativi.
Esiste una mobilità sana, e anche fisiologica, collegata al naturale
incentivo che si è voluto creare nel mondo del lavoro a livello europeo,
piuttosto che nell’incremento della mobilitazione delle persone stesse per
vari motivi. E’ inevitabile che ci sia un flusso di persone che, spostandosi
per altre ragioni, necessiti di tutela sanitaria; ed è necessario che il forte
sostegno da parte dell’UE alla costruzione di un mercato unico, tenga
conto dei risvolti del fenomeno.
La possibilità di scelta delle cure, inoltre, determina necessariamente
maggiore competizione o, perlomeno, maggiore attenzione al livello di
prestazioni prodotte e agli standard qualitativi forniti. Innescare modelli
71
competitivi in ambito sanitario è, chiaramente, un’operazione delicata, ma
favorire alcuni presupposti che permettano, non tanto di trasformare la
fornitura di prestazioni sanitarie in un mercato puro, ma di incentivare
l’innalzamento di tali prestazioni da un punto di vista qualitativo, può
rappresentare un vantaggio per i cittadini europei.
Esistono ambiti in cui la concentrazione di alcune attività strategiche è più
efficiente che un’eventuale duplicazione, e dunque la mobilità è positiva
poiché permette di costruire centri di specializzazione più preparati e, allo
stesso tempo, evitare dispersione di risorse nel garantire gli stessi livelli su
più territori. Il fatto, dunque, che le persone stesse siano maggiormente
disponibili a muoversi può rappresentare un’opportunità. Un ambito molto
interessante in cui la mobilità può tradursi in risvolto positivo, è il settore
delle malattie rare: un bacino più ampio, sia di casistica, sia di strutture di
ricerca, può indubbiamente permettere di individuare soluzioni più
efficienti e potenzialmente più efficaci.
Esiste, tuttavia, anche una mobilità con connotazione, per così dire,
negativa; il fenomeno è spesso legato alla ricerca di una migliore qualità
del servizio. Ciò che “mobilita” è, in alcuni casi, la percezione (non sempre
reale) che il proprio servizio sanitario o la prestazione di cui si necessita,
vengano forniti a livelli inadeguati nel proprio territorio di appartenenza.
Il ragionamento semplicistico di confrontare mobilità attiva (persone che
entrano nel proprio paese) con mobilità passiva (persone che escono dal
proprio paese), ottenendo dalla differenza dei due dati un saldo positivo
(vi sono maggiori persone estere che richiedono i nostri servizi rispetto a
coloro che richiedono quelli esteri), porta istintivamente (e anche un po’
demagogicamente) a ritenere che il proprio sistema sia di elevata qualità.
L’attenzione dei decisori politici si è spesso, infatti, concentrata nel
pubblicizzare, ed incentivare, la mobilità attiva senza preoccuparsi di
analizzare comunque il fenomeno della mobilità passiva. Ciò è avvenuto
sicuramente più a livello nazionale (perlomeno in Italia), ma nulla vieta di
72
pensare che l’approccio possa riprodursi a livello europeo.
Qualsiasi siano le motivazioni di mobilità, è indubbio che tale fenomeno
necessiti di regolamentazione e che ad esso sia indubbiamente collegata
una serie di costi tangibili (spese connesse alle esigenze di assistenza fuori
dal proprio territorio, esigenza di un accompagnatore, vitto e alloggio
all’estero) ma anche intangibili (disagio sociale della lontananza, problemi
linguistici, pratiche amministrative diverse, inconvenienti legati alla scarsa
informazione e al basso livello di omogeneità dei sistemi). Accanto a
questi, che sono costi che sostengono i cittadini in qualità di pazienti, vi
sono poi costi pubblici collegati a eventuali rimborsi, e che di conseguenza
determinano problemi organizzativi di politica sanitaria, legati a scelte di
programmazione che devono iniziare a considerare in modo molto serio
questa variabile.
Non è di poca rilevanza osservare almeno altri due aspetti importanti del
fenomeno: da un lato l’eterogeneità dei sistemi sanitari presenti nel
territorio comunitario che ha un impatto sulla mobilità, dall’altro il fatto
che non tutti i cittadini possano effettuare una scelta di spostamento,
determinando, come conseguenza, un rischio di disuguaglianza di accesso.
Il territorio europeo, composto oggi da 28 paesi, presenta indubbiamente
differenze significative in termini di offerta sanitaria. Al di là delle diverse
scelte di sistema, che danno vita a meccanismi di tutela differente (in
termini di universalità o di contribuzione da parte dei cittadini) esistono
anche delle importanti differenze in termini di standard qualitativi. Il
fenomeno della mobilità, da un lato permette più facilmente ai cittadini di
accedere alle migliori cure, dall’altro rischia di determinare un ulteriore
impoverimento di quei paesi o di quelle strutture che forniscono livelli
inferiori di prestazioni (o semplicemente percepiti come inferiori). Ad
acuire maggiormente la problematica si aggiunge il fatto che non tutti i
cittadini sono in grado di affrontare uno spostamento di portata
internazionale per ottenere prestazioni sanitarie, o per problematiche
73
legate ai costi tangibili (anche semplicemente la necessità di anticipare le
spese) o anche per mancanza di informazioni relative alle opportunità
offerte in altri territori.
La combinazione di questi aspetti rischia di essere dannosa e potrebbe
significare che la mobilità sanitaria aumenti nel futuro le disuguaglianze
sociali e geografiche.
L’analisi mette, dunque, in luce come sia necessario un intervento che
regolamenti il fenomeno alla luce di aspetti pratici, ma anche sociali, e
permetta di favorirne i lati positivi38 e limitarne le potenziali conseguenze
dannose. L’intervento non può che avvenire a livello comunitario poiché
nessuno Stato è in grado di regolamentare il fenomeno senza coordinarsi
con gli altri paesi.
Tale aspetto specifico della politica sanitaria rappresenta uno degli ambiti
in cui l’intervento comunitario assume un ruolo decisivo e determina un
valore aggiunto. La mobilità sanitaria e la sua regolamentazione
diventano, in questo momento storico, il fulcro attorno al quale gravita la
discussione a livello comunitario perché, attraverso la sua
regolamentazione, innesca meccanismi di adattamento che devono
elaborare gli Stati, intervenendo anche, e soprattutto, nella propria
organizzazione del servizio. Inevitabilmente ci si inserisce nell’ambito di
competenza esclusiva degli Stati; se, fino ad oggi, molte delle azioni
elaborate a livello comunitario rientrano nel livello di promozione della
salute declinato in molti aspetti (dalla prevenzione di malattie
transnazionali a progettualità specifiche, come illustrato nel capitolo
precedente), oggi si rende necessario un intervento che, inevitabilmente,
coinvolge anche l’aspetto organizzativo e pratico di mera assistenza
38 Sarebbe interessante un ulteriore livello di analisi per verificare se chi sceglie l’opzione estera, per ottenere prestazioni sanitarie perché percepisce il proprio sistema come non sufficientemente attrezzato, riceva effettivamente migliori cure e ottenga effettivamente migliori risultati.
74
sanitaria. La forte differenziazione tra promozione della salute, in termini
di elaborazioni teoriche e programmatiche, e aspetto organizzativo di
fornitura delle prestazioni, che ha sempre permesso di mantenere
chiaramente e saldamente distinte le competenze ed i livelli di
governance, iniziano oggi ad intersecarsi.
Sarà interessante analizzare nei prossimi paragrafi, non solo quale sia la
normativa che regolamenta oggi la materia, ma soprattutto quali siano le
conseguenze sui soggetti che si occupano della fornitura di prestazioni.
75
3.2 La Direttiva 2011/24/UE e la sua genesi
La necessità di regolamentare il fenomeno della mobilità sanitaria nel
territorio comunitario, deriva dal fatto che, a fronte di prestazioni sanitarie
fornite a un cittadino comunitario residente in un diverso Stato membro,
va definito chi sostiene il costo della prestazione. Non sussiste il problema
se la prestazione è a carico del paziente o se il paziente stesso decide di
sostenerla; tuttavia, nella maggior parte dei casi, i cittadini godono, nel
proprio territorio nazionale, della copertura sanitaria; va dunque definito
chi sostiene il costo di prestazioni fornite in un paese diverso dal proprio,
ma in territorio comunitario.
Come abbiamo anticipato, esistono varie motivazioni che giustificano le
prestazioni sanitarie ricevute in altri paesi comunitari, ma è importante che
le diverse fattispecie ricevano corretta definizione giuridica.
E’ in questo quadro che si elabora ed approva la Direttiva 2011/24/UE, che
si occupa di regolamentare l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi
all’assistenza sanitaria transfontaliera. Essa è frutto di un’evoluzione lunga
e complessa che ha visto intersecarsi le differenti esigenze emerse negli
ultimi decenni con un percorso giuridico di lenta attuazione.
Prima della Direttiva il quadro normativo si caratterizzava per la presenza
di due Regolamenti39, attualmente in vigore in parte, che permettevano di
ottenere tutte le cure di cui si può avere necessità in caso di un soggiorno
temporaneo presso un diverso Stato membro da quello di residenza (ad
esempio per turismo o in caso di viaggi di lavoro). Tali prestazioni
venivano fornite alle stesse condizioni dei residenti a fronte della
presentazione della tessera sanitaria europea. In relazione a cure
39 Regolamento 1408/71 e Regolamento 574/72 sui regimi di sicurezza sociale dei lavoratori, successivamente confluiti nel Regolamento 883/2004 attualmente ancora in vigore per gli aspetti non coperti dalla Direttiva 2011/24/UE. Il Regolamento 987/2009, inoltre, stabilisce le modalità di applicazione del Regolamento 883/2004.
76
programmate, invece, era necessaria l’autorizzazione da parte del paese di
appartenenza (attraverso il Modello E112). Lo Stato di residenza era
obbligato a concedere l’autorizzazione quando il trattamento non potesse
essere erogato sul suolo nazionale o quando non potesse essere erogato
in un tempo identificato come “clinicamente giustificabile”. In tali
regolamenti erano inoltre previste le modalità di compensazione degli
eventuali costi attraverso procedure di liquidazione tra gli Stati coinvolti,
senza che il paziente dovesse anticipare nulla. I regolamenti, come
aggiornati ad oggi, rimangono in vigore per la parte che riguarda le cure
attraverso tessera sanitaria europea, ovvero quelle fornite in caso di
soggiorno temporaneo.
L’intervento della Corte di Giustizia, più volte citato, ha cercato di
cambiare l’approccio a tale principio, sancendo il diritto dei pazienti a farsi
curare all’estero basandosi sul principio di libera circolazione dei servizi. Un
eventuale diniego di autorizzazione si sarebbe dunque trasformato in una
restrizione alla fornitura di servizi e ad una limitazione di erogazione di
prestazione a cittadini comunitari, in contrasto con lo spirito d’integrazione
europea, ma soprattutto con il dettato normativo sovranazionale.
L’immediata preoccupazione degli Stati è stata indubbiamente legata alla
sostenibilità finanziaria dei propri sistemi sanitari, alla luce
dell’introduzione di una variabile impossibile da gestire a livello nazionale.
Se da un lato la Corte ha stabilito che la richiesta di un’autorizzazione
preventiva si scontra con le norme UE miranti alla rimozione delle barriere
al commercio tra Stati Membri, dall’altro, a fronte delle possibili
conseguenze finanziarie che ciò avrebbe potuto determinare, ha permesso
alcune limitazioni alla libera circolazione con conseguente rimborso.
E’ questo il contesto in cui si inserisce la discussione che porta
all’approvazione della Direttiva citata. La Commissione infatti ha avviato un
percorso di confronto su questo aspetto specifico che inizialmente si è
allineato alla visione della Corte di Giustizia; il primo tentativo è stato
77
quello di inserire il settore sanitario nel progetto di liberalizzazione dei
servizi di cui si occupava la proposta di direttiva sui servizi del mercato
interno. La Commissione ha dunque cercato di elaborare un quadro
giuridico per le situazioni emerse attraverso le sentenze della Corte di
Giustizia, applicando il principio della fornitura di un servizio. Il Parlamento
Europeo e il Consiglio non hanno, tuttavia, condiviso questo approccio,
ritenendo che il settore sanitario rappresentasse un ambito troppo delicato
per poter essere assoggettato agli stessi principi di altri servizi economici.
La discussione, dal 2006 in poi, si è dunque separata da altri ambiti e
concentrata sul settore sanitario in modo autonomo; dopo aver elaborato
diversi documenti, in uno scambio travagliato di punti di vista, si è iniziato
a lavorare alla proposta di Direttiva relativa all’assistenza sanitaria
transfontaliera: il 9 marzo 2011 è stata, infine, approvata la Direttiva
2011/24/UE concernente l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi
all’assistenza sanitaria transfontaliera. L’approccio è diventato dunque,
non tanto regolamentare i servizi forniti in materia, quanto garantire la
stessa tutela e lo stesso diritto di scelta a tutti i cittadini del territorio
comunitario. E’ interessante analizzare di seguito alcuni punti salienti del
testo considerato.
L’obiettivo della Direttiva, come anticipato, è quello di agevolare l’accesso
a un’assistenza sanitaria transfontaliera e di qualità, promuovendo la
cooperazione tra gli Stati membri in materia di assistenza sanitaria, nel
rispetto della suddivisione delle competenze.
Viene precisato anzitutto l’ambito di applicazione che comprende
l’assistenza sanitaria ai pazienti. Si escludono esplicitamente:
- i servizi nel settore dell’assistenza di lunga durata;
- il settore dei trapianti d’organo;
- i programmi pubblici di vaccinazione contro le malattie contagiose.
Sono presenti nel testo le definizioni dei termini utilizzati per identificare
un significato comune a tutti gli Stati; manca, tuttavia, una definizione
78
univoca e precisa di cosa si intende per prestazione sanitaria (ricovero,
prestazione ambulatoriale, etc.).
Vengono identificate alcune responsabilità strategiche in capo agli Stati
membri:
- l’informazione: è sottolineata in più punti la necessità di una capillare
informazione; fanno parte di questo aspetto l’obbligo di istituire dei
punti di contatto nazionali che rappresentino e diventino dei centri
di riferimento per i propri cittadini, per i cittadini stranieri che
usufruiscono di prestazioni in quel paese, ed infine sia per le
istituzioni europee che per gli altri Stati in caso di azioni o progetti
coordinati;
- continuità delle cure: è importante e necessario che gli Stati si
attivino per garantire e tutelare la continuità delle cure, anche se
iniziate presso un paese diverso; tra le azioni importanti rientra il
diritto di accesso ad una cartella clinica, scritta o elettronica, in cui
sia registrata ogni prestazione ottenuta;
- non discriminazione: è importante che gli Stati membri si attivino per
rispettare il principio di non discriminazione in base alla nazionalità
nel settore sanitario;
- rimborso dei costi: è importante che le modalità definite per
garantire il rimborso vengano rispettate, poiché eventuali ritardi o
disguidi possono inficiare i diritti in questione.
Rispetto alla problematica del rimborso, che è la questione più
controversa, all’art. 7 par. 1 viene stabilito che «lo Stato membro di
affiliazione40 assicura che i costi sostenuti da una persona assicurata che si
è avvalsa dell’assistenza sanitaria transfontaliera siano rimborsati, se
l’assistenza in questione è compresa tra le prestazioni cui la persona
40 Lo Stato membro di affiliazione è lo Stato competente a concedere alla persona assicurata l’autorizzazione e responsabile dei costi dell’assistenza sanitaria.
79
assicurata ha diritto nello Stato membro di affiliazione». Questo è il punto
che risponde alla problematica sollevata dalla Corte di Giustizia e che,
fondamentalmente, garantisce, con questa formula, da un lato il diritto del
paziente di scegliere la prestazione che ritiene migliore in territorio
comunitario, dall’altro determina il dovere dei fornitori di servizi sanitari di
operare verso qualsiasi soggetto appartenente al territorio europeo. Viene
inoltre precisato che i costi sono a carico dello Stato di affiliazione che
sceglie se rimborsarli al paziente o pagarli direttamente al paese fornitore;
tale rimborso non può superare il costo effettivo dell’assistenza sanitaria
ricevuta e non può essere superiore ai costi che il sistema avrebbe coperto
se tale assistenza sanitaria fosse stata prestata nel proprio Stato. Rimane
in capo ad ogni Stato la possibilità di definire eventuali rimborsi su spese
aggiuntive o collaterali (es. rimborso di spese di viaggio, di
accompagnamento, di alloggio).
Permanendo, tuttavia, una competenza esclusiva degli Stati in termini di
organizzazione, ed intuendo la portata dei rischi per la stabilità finanziaria,
sono state inserite alcune limitazioni.
Il par. 9 dell’art. 7 stabilisce espressamente che
lo Stato membro di affiliazione può limitare l’applicazione delle norme sul
rimborso […] per motivi imperativi di interesse generale, quali quelli
riguardanti l’obiettivo di assicurare […] la possibilità di un accesso
sufficiente e permanente ad una gamma equilibrata di cure di elevata
qualità o alla volontà di garantire il controllo dei costi e di evitare, per
quanto possibile, ogni spreco di risorse finanziarie, tecniche e umane.
Ma l’aspetto più saliente è l’art. 8, che prevede un elenco di fattispecie per
le quali ogni Stato valuterà se sia necessaria un’autorizzazione preventiva,
mitigando in questo modo il principio espresso precedentemente. Potrebbe
essere necessario, infatti, ottenere autorizzazione per:
- prestazioni programmate che comportano il ricovero del paziente per
almeno una notte;
80
- prestazioni che prevedono l’utilizzo di un’infrastruttura sanitaria o di
apparecchiature mediche altamente specializzate e costose;
- cure che comportano un rischio particolare per il paziente o la
popolazione;
- cure fornite da un prestatore di assistenza sanitaria che potrebbe
suscitare gravi preoccupazioni relative a qualità e sicurezza
dell’assistenza.
Al di fuori di queste tipologie l’autorizzazione non deve essere richiesta.
In relazione ad un eventuale rifiuto, sono specificate le motivazioni per le
quali è possibile non concedere l’autorizzazione, ma spicca in modo
determinante il fatto che lo Stato di affiliazione non possa rifiutarsi di
concedere l’autorizzazione se la prestazione non può essere garantita nel
proprio territorio o non venga garantita entro un termine giustificabile e
garantito da un punto di vista clinico.
Accanto a tutto questo, si invitano gli Stati ad attivarsi per una proficua
cooperazione in materia sanitaria, attraverso il riconoscimento delle
prescrizioni rilasciate in altri Stati, la conclusione di accordi soprattutto tra
paesi confinanti, lo sviluppo (sostenuti dalla Commissione) di reti di
riferimento europee, nonché la cooperazione nella valutazione delle
tecnologie sanitarie.
Le istituzioni europee si mostrano, infine, particolarmente sensibili nel
campo delle malattie rare e dell’assistenza sanitaria on line, ritenendo che
siano due ambiti in cui il coordinamento, ed un’azione comune, possano
realmente apportare un valore aggiunto significativo.
La Direttiva entra in vigore nell’aprile 2011 e gli Stati hanno tempo fino al
25 Ottobre 2013 per attuare le disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative necessarie per conformarsi.
Abbiamo chiesto e ottenuto un incontro presso il Ministero della Salute con
Dr. Sergio Acquaviva, responsabile dell’ufficio che si occupa dell’assistenza
sanitaria nell’ambito dell’Unione Europea. Il Direttore ci illustrato come il
81
percorso giuridico rappresentato dai Regolamenti, e oggi integrato dalla
Direttiva, vada letto con particolare attenzione. Non è scontato, come può
apparire attraverso un approccio affrettato, che l’introduzione della
Direttiva migliori o amplii la tutela del diritto alla salute; secondo il Dr.
Acquaviva la tutela fornita dai Regolamenti era già sufficientemente ampia
per poter assicurare garanzia ai propri cittadini. Ciò che non è variato, e
che poteva rappresentare il valore aggiunto, è il fatto che anche la
Direttiva, come i Regolamenti, si occupa degli assicurati, ovvero di quella
parte di popolazione che nel proprio territorio gode già di una copertura
sanitaria. Non vi è, dunque, una tutela del “paziente”, ma dell’assistito, e
questo è un elemento fondamentale da percepire, alla luce del fatto che
ogni Stato membro ha regole e modalità diverse con cui fornire la
copertura sanitaria nel proprio territorio. Le modalità attraverso cui si
ottiene la Tessera Sanitaria Europea, indispensabile per rientrare nella
copertura garantita sia dai Regolamenti sia dalla Direttiva, sono diverse da
paese a paese, e ciò determina il rischio di profonde disuguaglianze. La
tesi del Dr. Acquaviva è che la Direttiva, in realtà, non apporti un
incremento significativo della tutela della salute, se non in minima parte,
ma sia più un atto di politica sanitaria concentrato ad attivare meccanismi
di cooperazione tra gli Stati su un settore che rimane di competenza
nazionale. Presso il Ministero abbiamo avuto il piacere di incontrare il
gruppo di lavoro che si sta occupando della realizzazione del Punto di
contatto, uno degli adempimenti previsti dalla Direttiva. Tale attività viene
coordinata dalla Dr.ssa Chiara Marinacci che, con il supporto di alcuni
collaboratori, sta sviluppando una serie di attività che permetta la
costruzione di tale ufficio. La parte più complessa è quella di cercare di
coordinare tutta la normativa in materia, per permettere di fornire le
informazioni importanti in modo immediato; lo scopo del punto di contatto
sarà quello di rappresentare un punto di riferimento per i cittadini
interessati ad ottenere informazioni in materia di assistenza sanitaria
82
transfontaliera da ogni punto di vista. E’ necessario dunque un
approfondimento degli aspetti giuridici ma anche economici; è importante
anche una fase di raccolta dei bisogni ed un confronto con gli altri paesi
che stanno sviluppando lo stesso tipo di attività. La visione della Dr.ssa
Marinacci è che si svilupperà un’attività lunga, ma intensa, che tenderà ad
un’omogeneità dei sistemi sanitari; è come se si fosse avviato un percorso
attraverso cui è possibile che le caratteristiche meno positive dei diversi
sistemi sanitari progrediscano verso standard, se non uguali, almeno più
omogenei e tendenti ai migliori livelli. Ciò implica sicuramente molto
tempo, e molte attività dedicate, ma un primo passo è sicuramente
rappresentato dalla maggiore trasparenza delle informazioni che si otterrà
in primis attraverso i punti di contatto e che permetterà, nel tempo, una
maggiore conoscenza delle diversità o delle opportunità. In ogni paese le
attività messe in campo sono, ovviamente, correlate alla legge che
recepirà la Direttiva europea; ogni Stato ha, infatti, la possibilità di
declinare le indicazioni generali in modo più o meno restrittivo. In Italia il
persorso parlamentare ha visto l’approvazione della Legge n. 96 del 6
agosto 2013 con cui si delega il Governo a recepire le Direttive europee
tra cui la Direttiva 2011/24/UE; sarà interessante osservare il Decreto
Legislativo che verrà approvato in materia.
Indipendentemente dallo sviluppo che avrà la Direttiva, sia in termini di
approvazione, sia per ciò che concerne la sua attuazione, è indubbio che ci
sarà un impatto importante sui sistemi sanitari nazionali e sull’aspetto
organizzativo in particolare, con un coinvolgimento importante del livello
locale. E’ infatti a quest’ultimo livello che si dovranno fare i conti con
cambiamenti anche importanti che devono essere assolutamente
programmati e concretizzati.
E’ interessante analizzare nel prossimo paragrafo quali siano le
implicazioni di tale Direttiva, per cercare di capire l’impatto che potrebbe
83
avere nei diversi sistemi sanitari e considerare, nel prossimo capitolo, una
Regione italiana per poter esaminare più da vicino una realtà locale.
84
3.3 L’attività di implementazione della Direttiva e gli
attori coinvolti
L’approvazione della Direttiva ha necessariamente ricadute operative sugli
Stati membri. Al di là delle procedure di recepimento a livello nazionale,
sarà necessario che gli Stati membri si adoperino, successivamente, per
concretizzare le disposizioni stabilite.
Dall’illustrazione, a grandi linee, della Direttiva nel paragrafo precedente,
si ricavano le azioni principali che gli Stati devono attuare.
Vanno istituiti, come anticipato, dei punti di contatto nazionali (anche più
d’uno) che devono diventare luoghi determinanti per ottenere ogni tipo di
informazione legata alle opportunità di cura transfontaliera; questi centri
devono lavorare sul territorio nazionale per strutturarsi al meglio in termini
di offerta informativa, e devono inoltre facilitare lo scambio di informazioni
cooperando tra loro sul territorio comunitario e con le istituzioni europee,
per fare in modo che il sistema “mobilità transfontaliera” sia agevolato.
Dovranno fornire ai pazienti tutte le informazioni pratiche sulle condizioni e
sulle modalità di rimborso, sulle possibilità di trattamento, sui fornitori di
prestazioni, sulle eventuali procedure di ricorso. I pazienti dovranno avere
un'idea chiara della qualità e della sicurezza dell'assistenza sanitaria
prestata all'estero, per poter prendere decisioni informate in merito
all'assistenza sanitaria transfrontaliera.
E’ necessario definire in modo dettagliato i soggetti coinvolti per la
valutazione delle autorizzazioni e l’iter da rispettare. Il procedimento,
infatti, deve poter essere conosciuto dettagliatamente da chi ne è
interessato, senza il rischio di fraintendimenti o poca chiarezza che
potrebbero determinare disagi successivi: è importante ad esempio
definire a chi va fatta un’eventuale richiesta, quali dati sono necessari, se
il soggetto istituzionale fornisce una risposta scritta, in quale forma e con
quali tempi. Tutto ciò presuppone che, successivamente, si attivi un
85
sistema che rispetti l’iter, considerando la delicatezza del tema e, in alcuni
casi, l’importanza del rispetto della tempistica.
E’ fondamentale che venga definito in modo preciso l’iter di rimborso e che
la regolamentazione di tale aspetto sia chiara e completa: va precisato
cosa viene rimborsato, se e quali spese aggiuntive possano essere
considerate, se tale procedura viene svolta direttamente tra Stati o è
necessario che il paziente anticipi le spese.
Un aspetto determinante di tutto il sistema è il riconoscimento delle
prescrizioni effettuate dagli altri Stati comunitari. Anche qui è necessario
elaborare una normativa specifica e chiara che permetta agli addetti ai
lavori di evitare la limitazione della fruizione della prestazione (qualunque
essa sia), e ai pazienti di vedersi negata l’assistenza. A questo scopo la
Commissione Europea ha approvato la Direttiva di esecuzione 2012/52/UE
del 20 dicembre 2012, recante misure destinate ad agevolare il
riconoscimento delle ricette mediche emesse in un altro Stato membro,
per dare attuazione all’articolo 11 della Direttiva 2011/24/UE. Il testo
prevede l'inclusione, nella ricetta, di alcuni dati e informazioni, quali
l'identificazione del paziente e del medico prescrivente. Vengono inoltre
fornite indicazioni precise rispetto alle modalità con cui devono essere
indicati i prodotti farmaceutici (denominazione generica o commerciale).
E’ indubbio che quest’insieme di azioni parallele determineranno da un lato
l’istituzione di nuove strutture, ma soprattutto coinvolgeranno quelle già
esistenti, che dovranno adattarsi ai cambiamenti in termini organizzativi
ma soprattutto in termini di competenza. E’ indispensabile una formazione
capillare ed efficace del personale addetto all’assistenza e del personale
preposto a fornire le informazioni. Al di là dei punti di contatto, sarà
necessario che tutte le strutture che nei diversi Stati forniscono prestazioni
sanitarie, siano pronte ad attuare le disposizioni legislative.
Questo breve panorama di azioni da mettere in campo è tutt’altro che
semplice e pone, già a prima vista, una serie di interrogativi.
86
Un primo elemento di criticità è legato inevitabilmente ad un’eventuale
tempistica diversa tra gli Stati; il funzionamento del sistema elaborato
dalla Direttiva ha senso, ed assume efficacia, solo nel momento in cui tutti
i paesi tra cui si sviluppano i flussi di pazienti, hanno implementato le
disposizioni. Eventuali ritardi o tempistiche diverse potrebbero essere
determinanti sul fenomeno.
Un altro aspetto importante riguarda il fatto che ogni Stato dovrà
coinvolgere soggetti diversi: ciò dipende dalla struttura che ogni paese ha
delineato per il proprio sistema sanitario. In relazione, infatti, alla propria
organizzazione sarà necessario vengano identificati i soggetti responsabili
delle diverse attività ed azioni da mettere in campo, che saranno diversi
tra paesi. Ciò innescherà inevitabilmente la necessità di conoscere quali
siano gli interlocutori a cui fare riferimento per ogni paese, conoscendone
anche le dinamiche.
Diventa importante anche l’utilizzo di strumenti omogenei, non più solo
per elaborare dati o per scopi statistici, ma soprattutto per lo scambio
delle informazioni relative ai pazienti ed ai conseguenti rimborsi.
L’elaborazione di strumenti analoghi, di flussi sicuri di informazioni, del
rispetto di eventuali tempistiche nelle comunicazioni e nei saldi, sono tutti
aspetti che assumono rilevanza strategica rispetto ad un fenomeno che
vedrà un aumento nei prossimi anni.
Come anticipato, nel prossimo capitolo, è interessante approfondire
questo aspetto pratico attraverso l’analisi di una Regione italiana, soggetto
che nel nostro paese, in funzione dell’autonomia acquisita in campo
sanitario, assume un ruolo determinante. Andremo dunque ad osservare
quali siano le sfide che, nel caso italiano, si prospettano per le Regioni,
con una particolare lente d’ingrandimento su ciò che ha fatto la Regione
Veneto sul fronte della politica sanitaria europea.
88
4.1 Il ruolo delle Regioni italiane nella politica sanitaria
comunitaria
La strategia europea per la salute (2008-2013) individua nelle Regioni un
soggetto importante per sviluppare le azioni elaborate in materia sanitaria.
Il livello regionale è considerato l’ambito strategico che permette di
rafforzare una collaborazione tra gli Stati membri nell’ambito considerato,
ed acquisire informazioni precise rispetto alle specificità dei diversi sistemi
sanitari. Nell’organizzazione dei sistemi sanitari sostanzialmente tutti gli
Stati membri tendono a decentrare le attività ad un livello locale
sufficientemente attrezzato, per poter elaborare una propria
programmazione sanitaria e fornire un’adeguata assistenza, nel rispetto di
linee comuni che vengono mantenute omogenee su tutto il territorio
nazionale. Il livello regionale risponde dunque a quest’esigenza,
rappresentando il livello ottimale a cui delocalizzare la gestione dei servizi
sanitari. E’ importante ricordare che il concetto di Regioni va qui inteso in
senso ampio, poichè si fa riferimento a diverse strutture giuridiche, dalle
Regioni italiane ai L]nder tedeschi, alle Health Regions danesi o agli
Health Boards inglesi. L’aspetto importante è tuttavia osservare che la
tendenza comune è la delocalizzazione in questa materia e l’avvicinare
maggiormente il livello decisionale ai cittadini.
Con quest’ottica è stata istituita la piattaforma tecnica del Comitato delle
Regioni41, un forum che si pone l’obiettivo di coinvolgere il livello locale
nella strategia sanitaria comunitaria, favorendo lo scambio di informazioni
tra i soggetti coinvolti ai diversi livelli del processo. E’ una piattaforma
tecnica che cerca di sviluppare la tematica in questione e condividere nel
41 Ci sembra doveroso sottolineare come la Piattaforma sia stata inaugurata nel Giugno 2010 e nel sito siano segnalati solo tre eventi il cui ultimo è avvenuto il 24 maggio 2011. Potrebbe essere interessante capire se il problema è legato al non aggiornamento del sito o ad un’attività che non si è sviluppata realmente.
89
modo più capillare possibile le conoscenze in materia. Nei meeting è
coinvolta la DG SANCO che rappresenta le Istituzioni Europee.
La costruzione di una rete sanitaria europea, con il focus particolare del
livello locale, è inoltre avvenuta attraverso un progetto, il Building Healthy
Communities, che vede il coinvolgimento di 10 città europee tra cui, per
l’Italia, Torino e Lecce. Il progetto coinvolge sette Stati membri che, per
un periodo di 30 mesi, hanno condiviso e sviluppato conoscenze
sull’impatto che i fattori urbani possono avere sulla salute. Il progetto si è
posto l’obiettivo di creare l’opportunità per le città di condividere ed
implementare le politiche sanitarie per i cittadini. Il risvolto immediato, ed
anche la sfida proposta, è quello di creare un network di città che lavorino
insieme su quest’ambito.
In Italia, nell’organizzazione del sistema sanitario, le Regioni hanno un
ruolo determinante poichè, in materia, godono di autonomia organizzativa
e sono deputate a fornire le prestazioni sanitarie42. I cambiamenti che
stanno avvenendo a livello comunitario coinvolgono necessariamente tale
livello di governo, ed è interessante cercare di capire quali siano le azioni
messe in campo dalle Regioni negli ultimi anni.
A livello nazionale nel dicembre 2003 è stato elaborato il “Progetto Mattoni
SSN” che consiste nell’individuare una serie di aree e problematiche
ritenute strategiche su cui concentrare l’attenzione ed effettuare analisi
specifiche che vadano oltre i territori locali e in cui la sinergia tra i diversi
soggetti coinvolti possa dare il migliore risultato. All’interno del macro
progetto si inseriscono 15 filoni di attività raggruppati in tre aree: i mattoni
relativi a classificazioni e codifiche, quelli riferiti alle metodologie di analisi
42 Il sistema è certamente più complesso e prevede più livelli di governance con una programmazione nazionale a cui deve attenersi la programmazione regionale. E’ prevista inoltre una definizione, sempre a livello nazionale, del livelli essenziali di assistenza che le Regioni possono implementare con proprie risorse. Ai fini del nostro lavoro ci interessa sottolineare il ruolo strategico delle Regioni che, dati alcuni punti fissi a livello nazionale, rimangono i soggetti deputati all’organizzazione territoriale del servizio sanitario.
90
e quelli che si interessano dei contenuti informativi. Questo tipo di attività
si è sviluppata per permettere alle diverse Regioni di condividere
l’attenzione su problematiche comuni, ma anche confrontare dati, soluzioni
diverse e permettere una costante collaborazione.
Nel Piano Sanitario Nazionale del 2006-2008 viene analizzato il contesto
internazionale in termini di vincoli e opportunità, con una specifica ottica ai
cambiamenti che il sistema comunitario comporta. Questo tipo di
sensibilità ministeriale, verso una tematica all’epoca poco sviluppata,
sembra rappresentare una capacità brillante di individuare una criticità ed
una delle maggiori sfide per il futuro.
Il Piano sanitario nazionale si inserisce in questo contesto europeo:
l’allargamento dell’Europa amplia il confronto tra gli Stati e, quindi, la
necessità di stabilire un sistema di relazioni tra il Servizio sanitario
nazionale e i sistemi di tutela della salute di altri paesi, ma vede anche la
possibilità di un aumento della mobilità europea sia dei pazienti che dei
professionisti. Il raggiungimento degli obiettivi di Piano è influenzato o
condizionato dallo sviluppo delle politiche di integrazione europea e dalla
crescente interrelazione dei processi sociali, economici, culturali a livello
globale.43
Parte da questo il lancio, che avverrà nel 2010, del 16° progetto
denominato “Mattone Internazionale” che si occupa delle tematiche
relative appunto all’internazionalizzazione dei Sistemi sanitari, e individua
le Regioni come soggetti deputati alla collaborazione con le istituzioni
nazionali, e comunitarie, rispetto ad un panorama che sta cambiando
rapidamente. E’ interessante sottolineare che la nascita del Mattone
Internazionale è molto recente e, inevitabilmente, si collega
all’approvazione della Direttiva che suggella l’internazionalizzazione della
43 Piano Sanitario Nazionale 2006-2008, pag. 6.
91
fornitura delle prestazioni sanitarie, permettendo un’apertura delle
frontiere, con le dovute cautele, anche sul fronte sanitario. Il progetto del
Mattone Internazionale ha in comune con gli altri 15 progetti la modalità
di finanziamento, ovvero la totale provenienza del sostegno economico dal
CIPE; si tratta dunque di un’attività prettamente nazionale, senza il
coinvolgimento economico della Comunità Europea, ma che mira in modo
specifico a costruire un sistema nazionale all’altezza dei cambiamenti in
atto.
Il progetto del Mattone Internazionale si inserisce dunque nella nuova
prospettiva fornita dal Piano Sanitario Nazionale 2006-2008 che prevede
l’obiettivo “La sanità italiana in Europa, l’Europa nella sanità italiana”.
Dopo un periodo di valutazioni sulle modalità di sviluppo dello stesso,
viene affidato nel 2009 alla Regione Veneto, individuata come soggetto
capofila, in coordinamento con la Regione Toscana. Presso la Regione del
Veneto viene identificato il Dr. Massimo Mirandola come referente
regionale del progetto, e la gestione amministrativa viene affidata all’ULSS
10 Veneto Orientale presso cui si trova, dunque, lo staff di esperti per la
realizzazione delle attività programmate.
Abbiamo avuto modo di ottenere un’intervista con la Dr.ssa Lisa
Leonardini, project manager del progetto, e di una sua collaboratrice
Dr.ssa Lorenza Chiarot, che ci hanno illustrato in modo dettagliato ed
interessante lo sviluppo dell’attività del Mattone Internazionale44.
Nel dicembre del 2009 la Regione Veneto riceve il finanziamento stabilito
dal CIPE, che consiste in 8 milioni di euro, che vengono convogliati verso
44 La Regione Veneto, affidando la gestione amministrativa del progetto all’ULSS 10, ha delegato questa stessa ad individuare le modalità per costruire lo staff dedicato a tale attività. Lo staff è oggi composto dal 11 persone (tra cui rientra la Dr.ssa Leonardini, projet manager) che si occupano a tempo pieno di tale attività e vengono remunerate dal progetto stesso (tra questi sono presenti 1 volontario e 2 soggetti attivi presso la sede regionale di Bruxelles, finanziati anch’essi dal progetto ministeriale). La Regione Toscana, soggetto coordinatore del progetto, ha uno staff che prevede 2 project manager e un’ulteriore unità di supporto.
92
l’ULSS 1045. Le motivazioni che hanno portato il Ministero a scegliere la
Regione Veneto con tale ruolo strategico è collegata al fatto che la stessa
ha dimostrato di essere una regione all’avanguardia, tra quelle italiane,
rispetto all’ottenimento di finanziamenti europei in materia sanitaria. La
scelta di affidare l’attività amministrativa è ricaduta sull’ULSS 10 per la
specifica competenza in materia che aveva il Direttore Generale di tale
ASL. Il progetto, inizialmente, viene limitato a 2 anni (2010-2011). Nel
2010 si sviluppa la pianificazione delle attività con relativa allocazione del
budget e, dopo l’approvazione presso il Ministero della Salute del
programma presentato, viene costituito nel dicembre 2010 il Gruppo di
Coordinamento Generale con apposito Decreto del Ministro. Gli attori
coinvolti sono dunque un Coordinamento politico, che stabilisce le linee
guida e la strategia del progetto ed è composto da soggetti del Ministero
della Salute e delle due Regioni capofila (Veneto e Toscana); da un
Gruppo di Coordinamento Generale che traduce operativamente la linea
strategica; da un Gruppo Tecnico che promuove e segue la realizzazione
delle attività; ed infine dal gruppo dei Referenti Regionali costituito dalle
Regioni che hanno aderito al progetto.
Nell’anno 2011 le attività si concentrano nella costruzione dei gruppi di
lavoro. L’esigenza che emerge è la necessità di creare una solida rete
nazionale che incanali il fermento esistente verso attività che producano
risultati comuni46. Vengono utilizzate diverse vie per il coinvolgimento delle
Regioni: in una prima fase si ricorre ad un approccio formale che prevede
la richiesta di nomina di un incaricato tramite l’Assessore competente; una
seconda modalità informale, che viene utilizzata se la prima non ha
45 A differenza dei finanziamenti europei, che prevedono vari step di finanziamento in relazione allo stato di avanzamento delle attività, il CIPE fornisce l’intera cifra alla Regione incaricata di gestire il progetto e la rendicontazione deve essere effettuata durante lo svolgimento del progetto. 46 Le informazioni, come anticipato, sono frutto delle interviste effettuate con la Dr.ssa Leonardini e la Dr.ssa Chiarot.
93
ottenuto risultati, prevede il coinvolgimento delle Regioni attraverso i
tecnici competenti che lavorano costantemente sulle progettualità
sanitarie. Se entrambe tali modalità non hanno prodotto l’esito sperato, si
ricorre ad un coinvolgimento formale tramite le sedi di Bruxelles. In questo
modo si sono riuscite a coinvolgere tutte le Regioni, escluse solamente
Sardegna ed Abruzzo. Dalle interviste emerge che l’attivazione delle vie
informali, soprattutto nelle fasi iniziali, si è basata su una rete di contatti
preesistente; molto di questo progetto è frutto proprio di contatti e
collegamenti che i soggetti coinvolti possedevano precedentemente per
attività svolte in materia; è diventato un percorso di co-costruzione
continua, di allargamento dei gruppi di lavoro, di scambio e di grossa
sinergia con i soggetti ministeriali. Ciò ha tuttavia richiesto molto tempo
(quasi l’intero anno 2011) proprio perché non vi erano modalità definite e
canali formali già esistenti che dovessero essere rafforzati, ma è stato
necessario costruire tutto da zero. Per tale motivo viene chiesta una prima
proroga del progetto fino al 2012; la Dr.ssa Leonardini specifica inoltre che
in questi due anni di lavoro le attività svolte non hanno richiesto un
importante utilizzo del finanziamento a disposizione, motivo per il quale la
gestione oculata delle attività ha determinato grossi risparmi; dall’altro lato
è evidente che due anni di un progetto così ambizioso, che deve essere
completamente costruito, sono pochi per spendere una cifra importante
come 8 milioni di euro.
L’attività progettuale, dunque, entra nel vivo nell’anno 2012, sviluppando
le diverse attività di seguito illustrate. E’ stata richiesta successivamente
un ulteriore proroga per il 2013 e in questi mesi ne è stata appena
confermata un’altra che permette al lavoro di arrivare sino al primo
semestre 2015 per poter completare i diversi obiettivi definiti. Si è infatti
sviluppato, attorno al progetto, un tale entusiasmo ed interesse per i
risultati che si stanno ottenendo da giustificare le numerose proroghe
accordate.
94
Il Mattone Internazionale ha come obiettivo generale quello di «portare la
sanità delle Regioni italiane in Europa e nel Mondo e altresì l’Europa e il
Mondo nei Sistemi Sanitari delle Regioni italiane, nel quadro di una
collaborazione sinergica con il Sistema Paese»47 e si sviluppa in cinque
obiettivi specifici:
Pilastro 1. Piano di Formazione Nazionale;
Pilastro 2. Creazione di un database dei progetti europei ed internazionali;
Pilastro 3. Comunicazione e informazione;
Pilastro 4. Piani di formazione locale;
Pilastro 5. Internazionalizzazione dei Sistemi Sanitari.
In questo momento si sono riusciti a sviluppare sostanzialmente i primi 4
pilastri, il quinto pilastro è l’attività su cui ci si concentrerà nel 2014.
Il Pilastro 1 prevede un’attività di formazione che viene portata avanti
costantemente dal progetto; su tale attività in modo specifico si è scelto di
organizzare varie tipologie di corso (dall’europrogettazione con vari livelli
di approfondimento, ad incontri tematici su argomenti di particolare
interesse) invitando personalità esterne; c’è stata una precisa scelta di non
ricorrere al personale dello staff per l’aspetto di docenza e creare invece
una separazione tra il momento organizzativo e quello di formazione. Il
pilastro 4, pur essendo affine alla finalità del pilastro 1, ovvero la
formazione, ha un taglio più specifico. Si pone l’obiettivo infatti, come
dimostra l’Avviso 148, di finanziare i soggetti di governo locale (Regioni e
47 http://www.salute.gov.it/rapportiInternazionali/paginaInternaMenuRapporti.jsp?id=1798&menu=programmi 48 L’Avviso 1 è un bando attraverso cui è possibile presentare dei progetti che rispondano ai requisiti richiesti ed ottenere per essi un finanziamento dal Mattone Internazionale. «L’avviso n.1 si propone di concedere finanziamenti a fondo perduto per attività formative e informative dedicate alle strutture ministeriali competenti, alle Regioni Italiane e Province Autonome, indirizzando e vincolando le iniziative delle diverse Regioni verso due linee di intervento: - co-finanziamento di attività informative da realizzarsi in contesti regionali e legate a
95
Province Autonome) perché realizzino direttamente attività di Infoday,
workshop, visite studio e corsi di formazione. I due pilastri, nel cercare di
costruire competenza, si intersecano a vari livelli: nel pilastro 1 si inserisce
tutta l’attività di formazione che viene svolta e che poi, in relazione ai
soggetti coinvolti, dovrebbe essere capillarmente diffusa; l’attività del
pilastro 4 mira invece a responsabilizzare, in termini non solo di
competenza propria ma di organizzazione della formazione o degli eventi, i
soggetti locali che più direttamente saranno coinvolti nel processo di
cambiamento.
Il pilastro 2 si concentra invece nella costruzione e manutenzione di un
database, accessibile a tutti, che raccoglie i progetti presentati ed
approvati in sede europea in materia sanitaria. Tale attività mira,
anzitutto, a creare una raccolta dati che permetta di migliorare la
programmazione strategica in materia sanitaria; inoltre permette a chi
deve presentare un progetto, o desidera inserirsi in un network già
avviato, di conoscere le attività sviluppate sull’argomento ed evitare
duplicazioni con relative dispersioni di risorse. Rappresenta, infine, un
modo per vedere come devono essere presentati i progetti, contribuendo
alla diffusione di competenza su aspetti puramente burocratici e di
supporto amministrativo. La modalità di creazione di tale database ha
visto una prima fase di costruzione di un questionario inviato a tutte le
Regioni e le ASL del territorio nazionale che permettesse una raccolta
uniforme delle informazioni ritenute rilevanti. Tale attività, come le altre
del resto, è tuttora in corso poiché prevede un costante aggiornamento
del database con le diverse progettualità che nel tempo vengono
finanziate.
temi di carattere europeo ed internazionale; - co-finanziamento di attività formative da realizzarsi in contesti regionali ed internazionali legate a temi di carattere europeo ed internazionale». Tali informazioni sono tratte dal sito del Mattone Internazionale (indirizzo alla nota successiva).
96
Il pilastro 3 prevede una serie di attività che rispondono al preciso scopo
di divulgare le informazioni sul progetto e sulle materie collegate al
progetto. In tale pilastro si inseriscono i molti Info Day che sono stati
organizzati, soprattutto nel 2012, su buona parte del territorio nazionale. Il
sito internet che è stato costruito, la sua manutenzione, e tutto ciò che
rientra nell’attività di comunicazione, fa parte di tale filone di attività.
Vengono inoltre organizzati incontri tematici ad hoc su materie ritenute
strategiche. La scelta di determinati argomenti è collegata agli ambiti su
cui si ritiene necessario ed importante un approfondimento. Le sezioni
tematiche individuate e ritenute di maggiore interesse sono le seguenti:
• ageing;
• alcol;
• direttiva assistenza sanitaria transfrontaliera;
• politica di coesione europea 2014-2020;
• Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione Europea.
L’ageing e l’alcol sono senza dubbio due ambiti su cui da tempo la
Comunità Europea ha dimostrato particolare sensibilità; l’invecchiamento
della popolazione costringe ad una revisione del modello di fornitura delle
prestazioni sanitarie a fronte di una domanda diversa di servizi e di una
popolazione che modifica le sue connotazioni. Il primo obiettivo della
Strategia Europea è proprio quello di promuovere un buono stato di salute
in un’Europa che invecchia, ritenendolo dunque un dato di fatto. Una
popolazione che si modifica in questo senso rappresenta, da un lato un
possibile incremento della spesa sanitaria, dall’altro l’opportunità di
lavorare sul miglioramento della qualità della vita per poter vivere non solo
più a lungo ma meglio (con relativa riduzione della spesa sanitaria). L’alcol
rientra invece tra quelli che vengono definiti i determinanti sanitari, ovvero
quei fattori legati allo stile di vita che possono influenzare la salute delle
persone. Il settore dei determinanti sanitari è uno degli assi su cui l’azione
comunitaria si è concentrata, con l’obiettivo di promuovere e sostenere gli
97
sforzi degli Stati membri per sviluppare strategie efficaci di intervento.
La Direttiva sull’assistenza sanitaria transfontaliera, come abbiamo già
avuto modo di illustrare, è un tema attuale rispetto non solo all’esigenza di
approfondirne le caratteristiche, ma soprattutto di applicarne i contenuti,
adeguando il proprio sistema di organizzazione. Ne consegue una
necessità di approfondimento quanto mai urgente attraverso cui
contribuire alla maggiore integrazione dei sistemi sanitari europei e
arrivare pronti ad Ottobre, momento limite di recepimento della Direttiva.
La Politica di coesione 2014-2020, come anche il semestre della
Presidenza italiana, rappresentano gli appuntamenti futuri.
La Politica di coesione programmata per i prossimi anni mette a
disposizione fondi comunitari anche su tematiche sanitarie e sociali:
conoscere i temi su cui il territorio europeo lavorerà in futuro, e prendere
parte a tale attività, diventa di importanza strategica per rimanere al passo
con lo sviluppo in tale campo.
La Presidenza italiana è programmata per il secondo semestre del 2014;
per la tematica della salute è un momento importante poiché dovrebbe
aver appena preso avvio la terza strategia comunitaria nota come “Salute
per la crescita – 2014/2020”. Lavorare su questo tema significa cercare di
costruire un sostegno alla presidenza italiana per raggiungere i migliori
risultati possibili.
Su tali aspetti si sta, dunque, lavorando per creare anzitutto conoscenza
dell’argomento, ma anche per avviare un percorso di confronto, di analisi
e di individuazione di soluzioni comuni.
Il pilastro 5, infine, punta all’internazionalizzazione dei sistemi sanitari
attraverso due azioni specifiche:
- la selezione di END (Esperti Nazionali Distaccati) che permetta di
costruire una sorta di albo degli esperti che rispondono a determinati
requisiti e che permettano di approfondire i percorsi di formazione già
sviluppati, attraverso attività quali stage, tirocini e viaggi studio; è un
98
modo per sviluppare una formazione più specifica e maggiormente
qualificante attraverso figure che garantiscono elevata qualità in termini di
competenza;
- l’attività denominata “Cantieri aperti per la sanità del futuro” che mette
a disposizione delle risorse finanziarie per quei soggetti che necessitano di
sostegno in attività propedeutiche alla presentazione di progetti in sede
europea; si colloca in questo ambito l’Avviso n. 2 che incentiva Regioni,
Province Autonome, Aziende Sanitarie e Ospedaliere alla partecipazione ai
programmi di finanziamento comunitario e internazionali nel settore
sanitario offrendo la possibilità di sostegno economico per alcune fasi
progettuali e un eventuale supporto in termini di coprogettazione.
Quest’ultimo pilastro è quello su cui si concentrerà l’attività nel prossimo
semestre e nell’anno 2014 poiché è sostanzialmente quello che parte in
una fase successiva.
Appare subito chiaro come oltre alle attività specifiche, ci si concentri nel
cercare di collocare le Regioni come soggetti che hanno un ruolo nel
campo sanitario internazionale e che devono di conseguenza adattarsi a
questa nuova realtà. Nel sito49 dedicato al Mattone internazionale si parla
specificatamente di un obiettivo di lungo periodo teso a sviluppare una
“sanità europea”, e dell’esigenza di contribuire a creare un’integrazione
sempre maggiore tra i sistemi sanitari dei vari Stati Europei.
C’è un investimento sul futuro, un’attenzione allo sviluppo di un settore
che inevitabilmente si sta modificando; attivarsi già per la futura
presidenza del Consiglio dell’UE e prevedere in tale contesto un impegno
nel settore sanitario rivela come tale ambito stia acquisendo un’importanza
significativa. L’impegno che si dovrà affrontare sarà su vari fronti, ma si
ritiene che
49 http://www.progettomattoneinternazionale.it/servizi/notizie/notizie_homepage.aspx
99
nell’ambito specifico della salute, la presidenza italiana dovrà lavorare con
gli altri Stati membri nell’intraprendere le riforme necessarie per ottenere e
rafforzare sistemi sanitari innovativi e sostenibili, nel migliorare l'accesso a
un'assistenza sanitaria migliore e più sicura dei cittadini, nel promuovere la
salute dei cittadini europei e prevenire le malattie e nel proteggere i
cittadini europei dalle minacce sanitarie transfrontaliere, in accordo con
quanto stabilito nel programma pluriennale Salute per la crescita –
2014/202050.
In questo quadro le Regioni italiane hanno, ed avranno, indubbiamente un
ruolo importante poiché sono gli attori che, a livello nazionale,
costituiscono la rete organizzativa del sistema; ciò permette di rilevare
come ad essere coinvolto non sia più semplicemente il ruolo
programmatico, che prevede condivisione trasversale su alcune tematiche
e che si traduce semplicemente in azioni di sensibilizzazione o diffusione
culturale; oggi è necessario andare oltre e, continuando le molte attività di
diffusione delle informazioni, va affiancata un’azione molto più operativa
svolta dai soggetti deputati a fornire le prestazioni sanitarie. I sistemi
vengono dunque sottoposti a nuove sfide poiché, da un lato si offre loro
l’opportunità di confronto e collaborazione con strutture internazionali di
diverso genere, dall’altro le si obbliga proprio a tale confronto e alla
necessità di adattarsi a dinamiche di apertura. E’ indubbiamente un
contesto che modifica gli equilibri e che stimola meccanismi di
cambiamento che potrebbero portare risultati positivi, ma anche
altrettanto negativi. Ciò dipenderà molto dall’approccio che le Regioni
avranno verso tale dinamica, dalla collaborazione che metteranno in
campo, sia tra loro sia con i soggetti internazionali (dalle Istituzioni
Comunitarie ai soggetti dei sistemi sanitari esteri), dalle competenze che
50 Ibidem.
100
riusciranno a sviluppare nel settore sanitario con un livello internazionale,
dalla flessibilità che sapranno dimostrare in un ambito che,
necessariamente, deve adattarsi alle nuove esigenze e ai nuovi strumenti
a disposizione.
L’elaborazione recente sia del Mattone Internazionale sia dell’approvazione
della Direttiva non permette analisi specifiche sui comportamenti delle
Regioni, ma permette di cogliere un sistema che si sta modificando e che
necessariamente obbligherà le Regioni ad un cambiamento. Sono presenti
nuove sfide, nuove progettualità, nuove modalità di approcciarsi alle
problematiche; il panorama dei soggetti coinvolti, inevitabilmente, si
amplia e tale apertura non può che innescare modifiche nelle dinamiche
conosciute. Il cambiamento è già in atto, la nostra analisi ha messo in luce
un settore in fermento da anni su questo tema che dimostra un
andamento incrementale. Le stesse strutture locali stanno modificando la
loro organizzazione prevedendo uffici, persone, attività dedicate a tale
tematica e concentrate sugli obiettivi illustrati. La Dr.ssa Leonardini ha
rilevato, nel suo percorso professionale in materia, un forte interesse da
parte delle Regioni stesse alla collaborazione, ad un’azione comune, alla
costruzione e valorizzazione di una sinergia; e allo stesso tempo è emersa
anche una forte collaborazione e sostegno da parte dei soggetti
ministeriali. L’impressione che viene riportata dall’interno è di un fermento
esistente, che non era in comunicazione, che a fatica ha costruito una rete
di collaborazione e di azione, ma che è entusiasta dei risultati ottenuti.
Tale valutazione positiva è una delle motivazioni per le quali il progetto è
stato portato avanti e si ritiene debba prevedersi una struttura
permanente che, pur con caratteristiche diverse, mantenga attiva la rete e
sviluppi ulteriormente i risultati ottenuti da questo progetto,
implementandoli in vista delle nuove sfide.
Ci sembra interessante, nel prossimo paragrafo, affrontare l’argomento
con un focus specifico sulla Regione Veneto, per approfondire ancora di
101
più come l’elaborazione teorica si possa tradurre in azione pratica,
osservando cosa è stato fatto in questi anni e cercando di capire come si
sta muovendo uno dei soggetti istituzionali che, per quanto riguarda
l’Italia, sarà maggiormente coinvolto dai cambiamenti.
102
4.2 Le azioni della Regione Veneto
L’analisi di una Regione italiana ci sembra interessante per capire quali
possano essere i filoni di attività che tale soggetto istituzionale può
intraprendere a fronte delle nuove sfide in ambito sanitario. Si è deciso di
analizzare la Regione Veneto anzitutto perché regione di appartenza, e in
secondo luogo poiché nell’analisi del Mattone Internazionale tale Regione
è stata scelta come soggetto leader, e ciò fa presupporre che, in tale
territorio, ci sia un’attenzione particolare alla tematica.
Nel Piano Socio Sanitario Regionale51 2012-2014, nella parte che si occupa
delle relazioni socio sanitarie internazionali, si legge che
la strategia regionale per il confronto europeo internazionale risponde
all’obiettivo di migliorare la competitività del SSSR, in un contesto europeo
dove Regioni e Stati membri sono sempre più interdipendenti. In questa
prospettiva l’attenzione alle politiche di salute pubblica e di welfare
dell’Unione Europea (UE), l’attenzione all’integrazione del SSSR con le aree
transfrontaliere, lo sviluppo dell’innovazione e della ricerca in campo
biomedico e nella e-health permetteranno alla Regione di saper competere
con i migliori sistemi socio-sanitari internazionali, a tutto vantaggio della
qualità dei servizi erogati52.
In questa breve introduzione si coglie la consapevolezza di un’attività che
vede il soggetto regionale impegnato, anche in materia sanitaria, a livello
comunitario ed anzi la necessità che questo aspetto vada incrementato e
migliorato.
Per approfondire la tematica abbiamo intervistato il Dr. Massimo
Mirandola, Dirigente del Servizio Relazioni Socio-Sanitarie della Segreteria
Regionale per la sanità della Regione del Veneto. Il Dr. Mirandola,
51 Approvato con Dgr 15/DDL del 26 luglio 2011. 52 Piano Socio Sanitario Regionale 2012-2014, Regione del Veneto, punto 2.5.
103
Direttore inoltre del Coordinamento Regionale per il Management e la
Progettazione Europea (CReMPE), ci ha delineato il percorso e la struttura
della progettazione europea in materia sanitaria nella Regione Veneto.
Considerando assodata l’importanza della partecipazione della Regione a
tale livello di governance nella materia sanitaria e la strategicità di
partecipazione alla ricerca finanziata, abbiamo cercato di capire quali siano
le azioni concrete che in tale Regione sono state messe in atto su questi
aspetti. Il Dr. Mirandola ci ha spiegato che fino a qualche anno fa la
Regione Veneto, come tutte le altre in Italia, si è sempre occupata
direttamente della progettualità europea. Ciò ha determinato il fatto che
tale soggetto abbia gestito quasi in toto le attività di tipo burocratico,
finanziario, organizzativo e di management che la presentazione di un
progetto internazionale richiede. Una delle problematiche che, tuttavia,
caratterizza l’Italia nel panorama comunitario in ambito di presentazione di
progettualità, è spesso la preparazione non sufficiente dei soggetti
deputati a “confezionare” il progetto stesso. Si è rilevato infatti in molti
anni di esperienza, che progettualità molto valide dal punto di vista
sostanziale, in alcuni casi migliori di quelle presentate da altri paesi, siano
state scartate o non considerate per motivazioni tecnico burocratiche. Non
va sottovalutato infatti come, nel percorso di concessione dei fondi di
finanziamento europeo, le condizioni poste dalle istituzioni comunitarie
siano tanto precise quanto intransigenti e necessitino di rigoroso rispetto
per essere accolte. Prima della valutazione53, viene verificata l’elegibilità
della proposta ovvero la rispondenza del progetto ai criteri richiesti: il
rispetto dei termini, la completezza della documentazione, il fatto che il
budget richiesto sia entro i limiti e i soggetti coinvolti. Accertata la
53 Tali informazioni, illustrate dal Dr. Mirandola, vengono integrate con una presentazione effettuata dal Dr. Gianluca Quaglio, DG RTD della Commissione Europea, ad un Convegno organizzato il 4 dicembre 2008 dal titolo “Ricerca Sanitaria nell’Unione Europea”.
104
correttezza di quello che potremmo definire l’aspetto burocratico, viene
valutata la qualità tecnica della proposta ovvero la qualità scientifica,
l’efficienza nella realizzazione, l’aderenza alla call, lo sviluppo delle
conoscenze, il livello dei partecipanti, la struttura organizzativa di
sostegno, solo per citare alcuni parametri. Appare chiaro che diventa
fondamentale che la prima parte sia gestita correttamente. L’esperienza di
cui ci parla il Dr. Mirandola mette in luce come nel tempo la Regione fosse
diventata l’unico soggetto che presentasse proposte, in mancanza di altri
soggetti con sufficiente competenza e struttura adeguata. Spesso anche i
progetti della Regione non sono stati accettati per problematiche
burocratiche. Ciò ha spinto la Regione stessa, in funzione proprio
dell’importanza che si ritiene rivesta tale ambito, a proporre un modello
diverso che attualmente non possiede nessun’ altra Regione italiana. E’
stato istituito il Coordinamento Regionale per il Management e la
Progettazione Europea (CReMPE) con l’obiettivo di migliorare il processo di
progettazione a livello europeo in materia sanitaria. Ciò che caratterizza
questa scelta è da un lato la necessità di migliorare la gestione diretta da
parte dei soggetti partner (Aziende Ospedaliere o ULSS del territorio)
coinvolti nelle proposte, dall’altro quello di investire nella diffusione della
competenza a livello territoriale, per permettere ai soggetti interessati di
proporsi direttamente alle istituzioni comunitarie. Il CReMPE, che il Dr.
Mirandola definisce il vero progetto di investimento nel territorio e la reale
specificità della Regione Veneto, nasce dalle criticità emerse nel classico
percorso che vede la Regione in prima linea nella progettualità europea,
anche quando i soggetti coinvolti sono i più diversi. Nella Delibera di
istituzione54 si precisa infatti che il fatto che la Regione Veneto abbia
partecipato ai progetti in ambito sanitario e sociale direttamente, in qualità
54 Deliberazioni della Giunta Regionale del Veneto n. 758 del 07 giugno 2011.
105
di leader o partner, ha messo in luce alcune criticità: il successivo
passaggio alle Aziende ULSS o Aziende Ospedaliere della realizzazione
operativa e scientifica ha richiesto tempi burocratici amministrativi per il
trasferimento delle competenze, comportando possibili ritardi; la
separazione tra il soggetto che riceve il finanziamento e chi
operativamente lo mette in opera determina incertezza. Ciò che si vuole
dunque creare è un centro che permetta l’assistenza ai soggetti deputati
alla presentazione dei progetti, ma che si occupi soprattutto di formazione
sul territorio, in modo che tali soggetti, al bisogno, e se interessati, siano
sufficientemente autonomi per rispondere ai requisiti comunitari da ogni
punto di vista. Nella stessa Delibera di istituzione si precisa che «la
presenza di un Coordinamento permetterà la formazione di un pool di
persone in grado di rispondere con efficienza ed efficacia a quanto
previsto dagli standard amministrativo-procedurali presenti nella
progettazione europea, consentendo così al personale regionale e delle
aziende sanitarie coinvolto nei progetti di dedicarsi esclusivamente alle
rilevanti attività scientifiche e socio-sanitarie previste negli stessi».
L’attività del CReMPE è dunque soprattutto un’attività di formazione
specifica; attraverso la costruzione di competenza diffusa nel territorio ci
può essere una diffusione capillare anche della progettualità che non passi
necessariamente attraverso la Regione. Il Centro ha inoltre elaborato
quello che il Dr. Mirandola definisce il Modello Veneto ovvero un gruppo di
lavoro per ogni progetto comunitario che vede la presenza di almeno tre
professionalità: un project manager, una figura amministrativa di supporto
e un professionista competente nella materia trattata dal progetto;
ognuna di tali figure deve essere formata negli aspetti di propria
competenza per far in modo che le progettualità, in molti casi validissime
dal punto di vista sostanziale, non vengano rifiutate per problematiche
burocratiche o viceversa. Il Dr. Mirandola è infatti fortemente convinto che
non vadano preparati i medici o professionalità deputate ad avere altre
106
competenze a migliorare l’aspetto burocratico, ma vadano formate
persone ad hoc che, in un lavoro di gruppo, contribuiscano a creare una
squadra che permetta il successo del progetto. E’ in quest’ottica che
l’attività formativa del Centro Regionale è orientata a corsi soprattutto
pratici, che identifichino esattamente le azioni ed operazioni da effettuarsi
in caso di elaborazione di un progetto europeo. Tale modello si ispira a ciò
che è stato fatto a livello internazionale dall’ Executive Agency for Health
and Consumers (EAHC) che si occupa di management e progettazione
europea nell’ambito della Strategia elaborata dalla Commissione. Il
CReMPE non nasce dunque con l’ottica di gestire direttamente la
progettualità, ma di fornire gli strumenti a figure professionali che
diventino competenti in materia. Ciò non significa che il Coordinamento
non si occupi di progettualità, anzi; tra le attività dello stesso vi è anzitutto
quella di portare a termine i progetti che vedono la Regione Veneto
impegnata come leader o partner diretto ed inoltre quella di fornire
assistenza nel caso in cui soggetti deputati a farlo lo richiedano. Vi sono
inoltre progettualità specifiche a cui solo il soggetto istituzionale Regione
può partecipare e che vengono seguiti dal CReMPE. Il Coordinamento, in
ogni caso, nasce con un obiettivo di ampio respiro e con l’intenzione di
svilupparlo nel lungo periodo.
Mantenendo il focus sull’attività che si è sviluppata in materia nella
Regione Veneto, merita menzione un progetto recente e specifico: il
progetto HoNCAB. Il progetto nasce in sede regionale e viene
successivamente affidato all’Azienda Ospedaliera Integrata di Verona che,
ad oggi, lo segue completamente. Presso tale sede è stato nominato il
Responsabile Scientifico nella persona del Dr. Pier Paolo Benetollo, e sono
stati individuati il Team Management ed il Team Scientifico. Abbiamo
avuto modo di incontrare parte dello staff che ci ha illustrato le
caratteristiche del progetto; abbiamo intervistato la Dr.ssa Alessandra
Napoletano, Financial Officer di HONCAB e il Dr. Lorenzo Gangitano,
107
supporter amministrativo del progetto. Abbiamo inoltre incontrato il Dr.
Ranieri Poli, project manager di HONCAB. Tutti e tre fanno parte del Team
Management.
Tale progetto si inserisce nel Secondo Programma d’Azione Comunitaria in
materia di salute 2008-2013, nell’area che cerca di migliorare
l’informazione e le conoscenze per promuovere la salute pubblica e i
sistemi sanitari. Viene approvato con atto della Commissione Europea
(C(2011)7195 del 4.10.2011) diventando operativo dal 1 settembre 2012.
Ha durata di 36 mesi e consta di un budget complessivo di circa €
1.346.306 forniti da finanziamento europeo per circa mezzo milione di
euro (39%), da finanziamento nazionale per circa il 20% (270.000) e
sostenuti dall’Azienda Ospedaliera Integrata di Verona per la parte
rimanente.
Il progetto si pone come obiettivo generale quello di creare una rete di
ospedali per la raccolta e lo scambio di informazioni sugli aspetti
amministrativi (pagamento e rimborso) delle prestazioni sanitarie dei
pazienti transfontalieri. E’ un progetto che si inserisce completamente nel
percorso che obbliga gli Stati nazionali a recepire la Direttiva 2011/24/UE
e che ha creato una doppia esigenza: da un lato la Commissione ha la
necessità di raccogliere informazioni e dati per capire di più, e meglio,
l’impatto di questa Direttiva sull’organizzazione dei sistemi sanitari;
dall’altro gli Stati stessi si ritrovano nella necessità di attuare al meglio, e
Figura 4.1 Approvazione del progetto HONCAB da parte della Comunità Europea COMMISSION IMPLEMENTING DECISION of 4.10.2011 on the awarding of grants for proposals for 2011 under the second Health Programme (2008-2013)
108
possibilmente in modo coordinato, delle indicazioni che incideranno
notevolmente sulla propria organizzazione. Va ricordato che HONCAB non
è l’unico progetto che si occupa di questo aspetto e, come abbiamo visto
dal paragrafo precedente, a livello nazionale si inserisce in un percorso già
attivo anche su altri fronti. Ci sembra interessante tuttavia analizzarne
rapidamente i contenuti.
Partendo dall’obiettivo generale, in HONCAB sono stati definite 6
specifiche azioni che si traducono in altrettanti Work Package55:
- WP 4 Scambio di informazioni relative a tutti gli aspetti delle spese e
dei servizi;
- WP 5 Raccolta di informazioni dai pazienti;
- WP 6 Creazione di una rete di ospedali;
- WP 7 Confronto tra le tariffe;
- WP 8 Indagine delle esperienze esistenti nell’aspetto delle cure
transfontaliere;
- WP 9 Produzione di raccomandazioni sull’applicazione della Direttiva
2011/24/UE a partire da Ottobre 2013.
Il WP 4 mira a costruire un sistema di raccolta delle informazioni relative
agli specifici aspetti di spesa utilizzati dalle diverse strutture sanitarie; ciò
permetterà di raccogliere i dati tra i diversi soggetti della rete e costruire
successivamente uno strumento di analisi per la gestione dei flussi
finanziari.
Il WP 5 si concentra sulla costruzione di un questionario che verrà
somministrato presso tutte le strutture coinvolte e permetterà la raccolta
di una serie di informazioni dai pazienti.
Il WP 6 mira a costruire una rete solida di ospedali che possa metterli in
comunicazione e ne permetta il mantenimento anche successivamente alla
55 I primi tre Work Package sono quelli comuni a tutti i progetti comunitari: Coordination, Dissemination, Evaluation.
109
conclusione del progetto.
Il WP 7 prevede uno studio approfondito dei DRG che permetta di arrivare
ad identificare un tariffario omogeneo.
Il WP 8 effettua studi di caso sulle esperienze di cure transfontaliere per
analizzarne le caratteristiche e poter avere una base di studio da
approfondire.
Il WP 9 mira invece a creare linee guida omogenee affinchè i diversi
soggetti coinvolti nell’imminente processo delle cure transfontaliere
possano avere a disposizione gli stessi strumenti operativi, elaborati alla
luce delle informazioni raccolte negli altri WP.
I paesi partner sono Austria, Belgio, Francia, Germania, Grecia, Italia,
Ungheria e Slovenia. L’Azienda Ospedaliera di Verona, oltre a seguire il WP
1 che riguarda il coordinamento, si occuperà del WP 4 che mira ad
approfondire le caratteristiche tecniche che incidono nei flussi economici
conseguenti alla mobilità transfontaliera dei pazienti.
Il progetto è molto recente ed è dunque ancora nella fase di
organizzazione delle attività; al di là dei dettagli tecnici, che ovviamente
sarebbe molto interessante approfondire, è utile mettere in evidenza come
questo progetto sia l’esempio della summa di tutte le nozioni analizzate in
questo lavoro. Rappresenta indubbiamente un’azione di politica sanitaria
che si inserisce in un contesto territoriale locale, quale il Veneto, che
interagisce con soggetti internazionali con l’obiettivo di costruire un
network, alla luce di cambiamenti non più gestibili dalle singole realtà
locali o anche solo nazionali. Condensa la teoria della Strategia
Comunitaria con l’aspetto pratico della progettazione europea mettendo in
luce quali siano le opportunità, ma anche le sfide, dei soggetti che nel
campo sanitario ricoprono un ruolo determinante.
111
CONCLUSIONI
Il lavoro svolto ha preso in considerazione diversi ambiti correlati alla
tutela della salute, analizzandoli sotto diversi punti di vista e osservandoli
a livello transnazionale. Il quesito di ricerca iniziale, legato all’esistenza o
meno di una politica sanitaria a livello comunitario, ci ha portato ad
individuare una serie di argomenti d’indagine utili per approfondire quali
siano i percorsi di sviluppo che tale settore ha intrapreso oltre il livello
nazionale. L’obiettivo era cercare di capire se l’esistenza di una serie di
processi e di azioni nel settore considerato si possano considerare come
organicamente inseriti in una strategia o siano semplicemente risposte a
necessità che si sono presentate in modo non prevedibile.
Il settore della sanità rappresenta un ambito delicato, da un lato poiché
garantisce la tutela di un diritto fondamentale, la salute, dall’altro poiché la
struttura dell’organizzazione di tutela è storicamente legata a parametri
culturali territorialmente identificabili. Nel nostro lavoro abbiamo avuto
modo di vedere come, nello stesso panorama europeo, l’organizzazione
dei sistemi sanitari si strutturi con caratteristiche diverse e come il legame
con il territorio di appartenenza sia giustificato da diverse motivazioni
ragionevoli. La tutela della salute rimane infatti, anche giuridicamente, un
ambito di esclusiva competenza degli Stati membri; anzi, su questo
aspetto si è rilevata una forte determinazione, da parte degli Stati, di
mantenere un controllo sull’organizzazione di tale settore, anche alla luce
dell’impatto economico che tale area mantiene sui bilanci nazionali. Si è
osservato, tuttavia, un percorso, condotto a vari livelli, che abbraccia il
settore salute attraverso vari strumenti, da quelli di pura programmazione
a quelli normativi, da azioni mirate, a progetti di più ampio respiro. E’ su
questo che ci si è concentrati, per cercare di capire che tipo di processo si
sta sviluppando, come si collegano le diverse attività tra loro e come la
diversa natura stessa delle azioni possa essere letta in un unico panorama.
112
Se i concetti di integrazione negativa e integrazione positiva56 possono
essere osservati come un continuum di un percorso, si potrebbe dire che
ci troviamo nella fase di passaggio tra l’uno e l’altro, permanendo
comunque la possibilità che vi sia sempre un’intersezione tra questi due
approcci.
Nei capitoli precedenti è stato illustrato un insieme di attività in materia
sanitaria che si sono lentamente integrate in una strategia ben definita. Se
il nostro obiettivo è capire se tali azioni o tale strategia possono essere
definite una policy a tutti gli effetti, è necessario adottare un approccio
mirato che non può essere che quello dell’analisi delle politiche pubbliche,
per cercare di capire se siano presenti i parametri che permettono di
parlare di una sviluppata politica sanitaria comunitaria, o se le azioni
intraprese rappresentino semplicemente la risposta all’emergere di bisogni
ed esigenze non trascurabili, senza essere inserite in un quadro più
organico.
La UE è parte di un sistema di policy-making che registra combinazioni
variabili di attori e istituzioni. Vi sono ambiti di politica pubblica in cui la UE
esercita un ruolo limitato e ambiti di politica pubblica in cui esercita un
ruolo esteso. Il punto è che essa esercita comunque un ruolo nella
generalità dei problemi di politica pubblica dei suoi paesi membri.57
Partendo da questo spunto di Fabbrini e Morata, è interessante capire
quale sia il contributo dell’UE in materia sanitaria, se vi sia la possibilità di
definire le azioni che abbiamo analizzato come l’insieme di un progetto di
policy che, al di là del livello più o meno limitato, si stia comunque
sviluppando.
56 Con integrazione negativa si intendono quelle azioni che mirano a rimuovere gli ostacoli che impediscono lo sviluppo di un’azione; con integrazione positiva si intende, invece, un processo di vera e propria costruzione di un percorso comune, su vari ambiti e con vari strumenti. 57 Fabbrini, Morata, (2002) L’Unione Europea. Le politiche pubbliche, pag. 338.
113
La costruzione delle politiche europee presenta caratteristiche diverse dal
percorso tradizionale delle politiche nazionali; il sistema stesso di
governance europeo rappresenta, da questo punto di vista, un modello
differente poiché non risponde ai tradizionali circuiti della democrazia, pur
essendo diventato un’arena di costruzione di policies determinanti ed in
costante aumento.
La metafora delle reti sembra adattarsi particolarmente al modello
decisionale comunitario, nel quale la mancanza di una chiara leadership è
alla base di una combinazione di procedure formali e informali di
mediazione tra i rappresentanti pubblici, da un lato, e tra questi ultimi e i
rappresentanti degli interessi privati, dall’altro lato. In tal senso, le reti
politiche dell’Europa comunitaria sono state definite come “miscugli ibridi di
attori e di sistemi di relazioni nazionali, sovranazionali, intergovernative,
transgovernative e transnazionali”.58
E’ indubbio che la costruzione delle politiche pubbliche a livello europeo
assume caratteristiche e modalità differenti da quelle nazionali59, anche
solo per il fatto di rappresentare un livello superiore che, delle dinamiche
nazionali, deve tenere conto. Si ritiene, tuttavia, che considerare il modello
classico del policy making possa, in questo contesto, esserre utile; in
letteratura il policy making tradizionale viene identificato come il
susseguirsi di alcune fasi che vedono coinvolti diversi attori, determinando
precisi outputs a fronte di bisogni che emergono nella materia
considerata. Il ciclo logico di una politica pubblica si caratterizza,
solitamente, per le seguenti fasi:
1. identificazione di un problema (definizione dell’ agenda setting);
58 Ivi, pag. 10. 59 Fabbrini e Morata parlano delle diverse modalità del policy making europeo identificandone almeno cinque: la modalità comunitaria, la modalità regolativa, la modalità multilivello, la modalità del coordinamento ed infine la modalità intergovernativa. Gli autori specificano inoltre che una stessa policy può essere perseguita con modalità diverse in tempi diversi. Ivi pag. 341 e seguenti.
114
2. formulazione di una soluzione;
3. adozione di una decisione;
4. attuazione della decisione;
5. valutazione dei risultati;
6. continuazione/sospensione delle politiche.
Tale percorso teorico vede coinvolti diversi attori che rappresentano gli
stakeholders del settore, dagli attori politici e istituzionali a quelli
amministrativi, a quelli privati (intesi come gruppi di interesse, lobby,
associazioni di rappresentanza o movimenti specifici).
Il nostro lavoro ci ha permesso di analizzare un percorso in materia
sanitaria che, se pur può non aver seguito esattamente le fasi
classicamente conosciute, possiede le caratteristiche di una policy a tutti
gli effetti. L’obiettivo non è analizzare le modalità con cui si sono
sviluppate le diverse azioni, se hanno seguito un iter piuttosto che un
altro; l’obiettivo è capire se, alla luce di quelle che sono tecnicamente le
caratteristiche di una policy si possa individuare in materia sanitaria una
politica comunitaria. La risposta, alla luce dei dati esposti nei precedenti
capitoli, appare positiva, poiché sono presenti non solo tutti gli elementi
che, con combinazioni diverse, vanno a costituire una policy completa, ma
anche un percorso che si sta sviluppando in materia; tale cammino
sembra inoltre aver generato diversi effetti in modo diffuso, e soprattutto
appare in espansione, non in contrazione, nonostante, dal punto di vista
giuridico, rimanga un ambito di competenza nazionale. Sono emersi dei
bisogni in materia sanitaria, e si è resa palese la necessità di gestirli a
livello sovranazionale; sono presenti attori istituzionali e non istituzionali
che si muovono sul filone del settore salute; sono state elaborate soluzioni
ed azioni per i problemi individuati e lo sviluppo è stato incrementale:
partendo da azioni specifiche e scollegate tra loro, si è definita
successivamente una strategia di lungo periodo che ha inglobato le
diverse azioni intraprese. Si è sviluppata normativa in materia che è
115
andata, ed andrà, ad agire in modo più approfondito sui sistemi sanitari
nazionali, determinando, inevitabilmente, una modifica della struttura
esistente. Non c’è dubbio che si tratta di uno sviluppo di policy nuovo e
recente e dunque una sua valutazione, nonché un’osservazione dettagliata
che esamina qualitativamente gli outputs, risulta prematura e in questo
caso anche un po’ ambiziosa; ma ciò che il nostro studio intende far
emergere è la nascita di questa policy. Determinarne il livello di maturità,
e quindi di solidità, rappresenta senz’altro uno sviluppo fondamentale
dell’analisi, ma il punto di partenza è necessariamente stabilire che una
politica sanitaria comunitaria esiste, si è sviluppata ed è destinata ad
evolversi ulteriormente. Va altresì sottolineato come tale tipo di
espansione sia avvenuto in una materia che rimane tuttora di competenza
nazionale. Si assiste dunque ad un fenomeno interessante, ovvero un
percorso di integrazione in un ambito che, nella suddivisione delle
competenze, permane tutt’oggi in capo agli Stati membri, ma su cui
comunque si rileva la necessità di un percorso comune.
Si potrebbe dire che la materia sanitaria, in termini di problematiche da
affrontare, si sia europeizzata, europeizzando anche l’attività in
quest’ambito. Si parla sempre di più di europeizzazione, scegliendo tale
punto di vista come criterio per osservare le politiche comunitarie e
allargare gli aspetti in esame, non limitandosi più solo alle istituzioni o al
processo di elaborazione delle politiche stesse. L’approccio dell’analisi
politica che utilizza il concetto dell’europeizzazione consente di osservare i
fenomeni non solo rispetto alle policies, alle diverse fasi di costruzione
delle stesse piuttosto che ai contenuti, quanto alle modalità e ai
cambiamenti che queste determinano sugli Stati membri riguardo aspetti
non semplicemente normativi. Graziano60 approfondisce l’argomento
60 Graziano P., (2004), Europeizzazione e politiche pubbliche italiane. Coesione e lavoro a confronto, Bologna, Il Mulino, capitolo I.
116
sottolineando come l’utilizzo del concetto di europeizzazione, per l’analisi
politica, permetta una serie di vantaggi, ma non sia scevro da insidie: tale
approccio permette di focalizzare l’attenzione sulla crescente
interdipendenza tra l’evoluzione delle politiche pubbliche europee e quelle
nazionali; permette di osservare non più solo la fase ascendente delle
policies, ma anche, e soprattutto, la fase discendente ovvero l’impatto sul
sistema politico-istituzionale dei paesi membri; l’analisi si sposta dal
momento della formulazione alle fasi di attuazione e agli effetti di tale
attuazione, osservando le diverse modalità attraverso cui gli Stati
rispondono, e cercando di capire quali siano i fattori che influenzano tali
diverse modalità o i diversi effetti ottenuti.
Il concetto di europeizzazione non è tuttavia univoco; si sono elaborate
diverse definizioni che rispondono a visioni anche molto differenti del
fenomeno; come esistono diverse modalità attraverso cui si attuano i
differenti meccanismi di europeizzazione. Ci interessa qui riportare, più
che le definizioni o le diverse modalità di influenza, un concetto elaborato
da Graziano, secondo cui il punto determinante per osservare gli effetti di
europeizzazione è la congruenza della politica comunitaria con la politica
nazionale nello stesso ambito; il diverso livello di fit (congruenza) o misfit
(incongruenza) determina effetti diversi sui risultati di policy.
L’elaborazione di una politica comunitaria determina senza dubbio
modifiche nelle politiche nazionali; la tesi di Graziano è che il punto di
partenza, in termini di differenza o di similitudine nei diversi aspetti che
costituiscono una politica pubblica (principi, obiettivi, procedure e
strumenti), influenzino i risultati ottenuti sul cambiamento. «Se vi è
congruenza di policy vi sarà continuità di policy e le nuove politiche
verranno incorporate nell’impianto di policy nazionale. Invece, se vi è
incongruenza di policy, allora le modalità di adattamento potranno […]
117
assumere le seguenti forme: resistenza […], assorbimento […],
trasformazione»61.
In materia sanitaria appare evidente che sarà inevitabile un effetto di
europeizzazione. L’analisi svolta ha messo in luce le scelte fatte fino ad
oggi nel campo della tutela della salute a livello comunitario ma ha
permesso, con l’analisi di un caso regionale, di verificare che i
cambiamenti a livello nazionale e locale saranno necessari. Le sfide che si
presentano ai diversi soggetti istituzionali sono molteplici e si traducono in
indispensabili cambiamenti strutturali ed organizzativi che richiederanno
altrettanto inevitabili trasformazioni culturali e di approccio.
L’analisi della Direttiva presa in considerazione, ha permesso di osservare
come viene richiesto un adattamento istituzionale sugli aspetti della
mobilità transfontaliera; la sfida, in questo caso, è rappresentata dalle
modalità con cui i diversi sistemi nazionali e locali si adatteranno. Vi è una
sorta di europeizzazione del paziente, della necessità di garantire la tutela
della salute; ma su questo aspetto sembra ci sia stata una sorta di
occasione mancata. L’adattamento da parte degli Stati potrebbe
influenzare il fenomeno della mobilità; se già esisteva, attraverso i
regolamenti citati nel capitolo III, una tutela per il cittadino europeo che si
muove in territorio comunitario per ragioni ben definite, il valore aggiunto
della Direttiva poteva essere quella di creare appunto il concetto di
paziente europeo, scollegandolo dal concetto di assistito europeo62.
Dall’intervista con il Dr. Acquaviva sembra emergere una difficoltà in
questo senso, poiché la tutela garantita dalla Direttiva è comunque legata
al fatto di possedere una copertura assistenziale nel proprio territorio di
61 Ivi, pag. 22. 62
Con assistito si intende ogni cittadino che nel proprio territorio di residenza gode della copertura sanitaria e, in base ai criteri che ogni Stato definisce, possiede la tessera sanitaria europea che gli permette di essere coperto e garantito su tutto il territorio comunitario.
118
residenza. Osservare, dunque, il fenomeno di europeizzazione in materia
sanitaria è un aspetto interessante per cercare di capire come si sviluppino
i cambiamenti che le diverse azioni mettono in campo. L’esistenza di una
politica comunitaria in una determinata materia o la scelta di alcuni
strumenti di attuazione piuttosto che altri non sono garanzia di risultato; in
materia sanitaria utilizzare l’ottica dell’europeizzazione può essere un
valido strumento per osservare gli effetti di tale policy. Anche l’intervista
con la Dr.ssa Leonardini ha messo in luce come in Italia il fermento
incanalato nel Mattone Internazionale fosse già presente, già sviluppato e
dimostri quindi che c’era un’attività ed un interesse già attivo presso le
istituzioni locali e nazionali. Ciò ad indicare che spesso esiste già capitale
sociale che va incanalato nel giusto percorso, ma il risultato di tale
processo di indirizzo del fermento va successivamente analizzato alla luce
degli obiettivi che si erano identificati.
Sul fenomeno dunque dell’ europeizzazione, in materia sanitaria, sarebbe
interessante sviluppare un’analisi più approfondita per osservare gli effetti
della policy comunitaria e se le conseguenze innescate si limitino a
mutamenti istituzionali o coinvolgano anche mutamenti di policy
nazionale.
Se il concetto di europeizzazione viene utilizzato come punto di
osservazione dei cambiamenti sul livello nazionale, può essere
interessante capire se lo stesso può interpretarsi anche come percorso di
costruzione della cittadinanza europea. Europeizzazione, dunque, come
costruzione di un’identità europea, come costruzione di uno spazio
pubblico comune che condivide non solo un territorio geografico.
In quest’ottica l’elaborazione di una politica comunitaria in materia
sanitaria può rappresentare uno strumento, non un obiettivo; può
diventare un mezzo attraverso cui garantire una copertura del diritto alla
salute con pari valore e pari livello su tutto il territorio comunitario,
determinando così, in un settore molto delicato, lo spostamento dei confini
119
dal livello nazionale a quello sovranazionale.
La Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea all’art. 35 si occupa
della protezione della salute prevedendo che «ogni individuo ha il diritto di
accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche alle
condizioni stabilite dalle legislazioni e prassi nazionali. Nella definizione e
nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione è garantito un
livello elevato di protezione della salute umana». Vi è, dunque, una
sensibilità, non solo rispetto alla necessità di garantire un’ampia tutela, ma
anche di garantirla trasversalmente, in tutte le policies. Il percorso della
Carta dei diritti si allinea in modo naturale all’esigenza di costruire un
terreno comune in termini di valori ed in termini di tutela sociale; ma
abbiamo anche notato come un percorso imposto dall’alto, senza tener
conto dell’esistenza di un terreno comune di condivisione, non ottenga un
buon risultato. Se l’obiettivo dell’integrazione europea è la costruzione di
un’unione politica, se uno dei mezzi attraverso cui costruirla è
l’elaborazione di una Costituzione, il percorso indispensabile diventa,
anche, l’elaborazione di un sentimento europeo basato sulle esigenze
quotidiane dei cittadini. E’ necessario che il territorio comunitario venga
percepito come differente per taluni aspetti, ma omogeneo per altri aspetti
determinanti; è importante che si avvii un percorso che parte dal basso su
tutti i temi sociali, compresa la salute, e che permetta di non percepire la
difficoltà di cura presso Stati membri diversi dal proprio. Il futuro
permetterà una maggiore mobilità delle persone, lo sviluppo di un mercato
del lavoro sempre più ampio avrà come conseguenza generazioni che
vivranno come naturale lo spostamento tra i diversi paesi comunitari; è
importante affiancare a questa realtà la costruzione di garanzie e tutele ad
ampio raggio, per non inficiare la positività di questi fenomeni. Anche su
questo aspetto è difficile dare delle risposte, ma è interessante effettuare
una riflessione; capire se il progetto di costruzione di una strategia
sanitaria a livello europeo non possa far parte di una più ampia visione
120
che, partendo dalla tutela dei diritti, costruisca un sentimento comune
necessario al percorso di integrazione politica è un ulteriore percorso di
analisi che sarebbe interessante approfondire. Tale tipo di approccio
potrebbe diventare un nuovo strumento attraverso cui la Comunità
Europea procede su un terreno complicato quale quello dell’unità politica e
potrebbe rappresentare un esperimento di successo nel lungo periodo.
Le conclusioni di questo lavoro si trasformano dunque in nuove domande
e possibilità di approfondimento: esiste una policy comunitaria in materia
sanitaria e possiede caratteristiche sempre più definite; analizzarne le
peculiarità secondo i parametri della letteratura specialistica, osservarne
gli effetti in termini di europeizzazione piuttosto che cercare di capire se
rientri in una strategia più ampia per la costruzione di un sentimento di
cittadinanza europea, sono filoni di ricerca che rimangono aperti
all’approfondimento e su cui sarebbe interessante proseguire l’analisi.
121
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INTERVISTE EFFETTUATE: Dr.ssa Alessandra Napoletano Financial Officer Progetto HONCAB Azienda Ospedaliera Integrata di Verona Dr.ssa Chiara Marinacci Ufficio X, SiVeAS Dipartimento della programmazione e dell’ordinamento del Servizio sanitario nazionale - Direzione Generale della Programmazione Sanitaria Ministero della Salute Dr.ssa Lisa Leonardini Project Manager Progetto Mattone Internazionale Azienda ULSS 10 San Donà di Piave Dr.ssa Lorenza Chiarot Staff Progetto Mattone Internazionale Azienda ULSS 10 San Donà di Piave Dr. Lorenzo Gangitano Supporter amministrativo Progetto HONCAB Azienda Ospedaliera Integrata di Verona Dr. Massimo Mirandola Dirigente del Servizio Relazioni Socio-Sanitarie della Segreteria Regionale per la sanità della Regione del Veneto e Direttore del CReMPE Dr. Sergio Acquaviva Direttore Ufficio II Uffici ex Direzione generale dei Rapporti con l’Unione Europea e per i Rapporti internazionali Dipartimento della programmazione e dell’ordinamento del Servizio sanitario nazionale - Direzione Generale della Programmazione Sanitaria Ministero della Salute
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Ringraziamenti Questo lavoro è, per me, il risultato di un obiettivo posto e raggiunto nonostante il tempo, i sacrifici e le rinunce. Come per ogni risultato, non è mai il frutto solo di se stessi ma di tutto ciò che ci sta attorno e di tutti coloro che ci circondano. Ogni persona, in questi anni, ha avuto al mio fianco un ruolo diverso, ma comunque fondamentale perché io oggi sia la persona che sono, con pregi e difetti, e per poter annoverare anche questo momento come una tappa importante del mio percorso. I miei genitori e mia sorella sono le persone che sempre hanno un posto speciale nel mio cuore e che non finirò mai di ringraziare per tante cose. Gli amici cari sono le persone che ritrovi sempre al tuo fianco e a volte mi stupisco di quanto sono fortunata nell’aver incontrato delle persone vere, di questi tempi non è facile: a Ilenia, Giulia, Tiziana, Silvia, Michele, Gimmi, Adriano, Barbara va un grazie speciale per l’affetto che da anni mi regalano. Al mio gruppo di lavoro un grazie particolare perché con loro, nessuno escluso, sono cresciuta professionalmente ma soprattutto personalmente: Federica, il mio pilastro e braccio destro!!!, la coppia di Elise ... una forza della natura, Patty, Antonella, Silvana, Doriana, Paola .. le storiche .. e i miei punti fissi per imparare il lavoro, Fiorenza, Giovanna, Roberta, Stefania, Elisabetta … arrivi più recenti ma come se ci fossero state sempre e l’area maschile Thomas, Claudio e Roberto, i nostri punti cardinali! E poi tutte le bimbe … le mie nipotine acquisite … e a cui voglio un bene dell’anima: Elly, la piccola Sara, Penelope, Lisa, Valentina e il bimbo/bimba in arrivo … il loro sorriso mi regala sempre una gioia senza pari. Un grazie anche a tutte le amicizie storiche e agli incontri casuali di questi anni che si sono trasformati in bei rapporti … troppi per citarli tutti … ma presenti nella mia quotidianità.