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Università degli Studi di Padova
DIPARTIMENTO DI MEDICINA MOLECOLARE Master in Terapia Manuale e Riabilitazione Muscolo-Scheletrica
DIRETTORE: Ch.mo Prof. Raffaele De Caro
TESI
Instabilità di Anca Aspetti clinici e trattamento
RELATORE: Ft., Dott., Prof. Paolo Bertacchini
STUDENTE: Ft. Emanuele Volpi
Anno Accademico 2012-2013
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INDICE ABSTRACT……...........................................................Pag 2 INTRODUZIONE..........................................................Pag 3 MATERIALI E METODI..............................................Pag 4 CLASSIFICAZIONE, EZIOLOGIA, QUADRI CLINICI……………………………………………….Pag 6
INSTABILITÀ TRAUMATICA…...........Pag 6
INSTABILITÀ ATRAUMATICA............Pag 7
DISFUNZIONI DI MOVIMENTO CORRELATE AI QUADRI CLINICI.....................................................Pag 9
ANAMNESI...................................................................Pag 9
STORIA DEI SINTOMI DEL PAZIENTE..............................................Pag 10
ESAME FISICO......................................Pag 11
INDAGINI DIAGNOSTICHE................Pag 13 VALUTAZIONE FUNZIONALE….…..Pag 14
TRATTAMENTO…………………………………....Pag 17 CONCLUSIONI………..………………………….....Pag 22 BIBLIOGRAFIA…………………………………….Pag 23 ALLEGATI..…………………………………………Pag 26
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ABSTRACT
Instabilità d’anca, aspetti clinici e trattamento: revisione narrativa.
OBIETTIVO: Nonostante la conformazione ossea ed i tessuti capsulolegamentosi
circostanti garantiscano la stabilità dell’articolazione dell’anca, cause traumatiche e non
traumatiche possono alterarne la biomeccanica e determinare vari quadri patologici. La
diagnosi è difficile e si basa sulla combinazione di raccolta della storia clinica del
paziente, esame fisico e indagini diagnostiche. Obiettivo di questo studio è indagare
sull’efficacia del trattamento riabilitativo, in relazione ai diversi quadri clinici che
possono derivare da questa condizione patologica, nell’individuare e risolvere le
specifiche disfunzioni del movimento del paziente in modo da migliorarne la
funzionalità.
MATERIALI E METODI: Sono state effettuate ricerche nelle principali banche dati on
line, MEDLINE, PEDro e Cochrane Library, utilizzando le parole chiave combinate in
specifiche stringhe di ricerca. Sono stati inclusi nello studio tutti gli articoli in lingua
italiana o inglese, di cui fossero reperibili abstract e full text. Sono stati invece esclusi
articoli non correlati all’argomento della revisione, redatti in lingue diverse da quelle
specificate o di cui non sia stato possibile reperire il full text.
RISULTATI: Sono stati reperiti 233 articoli, che in base ai criteri di inclusione ed
esclusione sono stati ridotti a 8. Inoltre sono stati aggiunti altri 10 articoli e 2 libri, citati
dagli autori, ma non emersi dalla ricerca, ai fini di trattare in maniera più approfondita
l’argomento della revisione.
CONCLUSIONI: Benché ci sia accordo fra diversi autori in merito alla definizione
dell’entità clinica di instabilità di anca, la diagnosi rimane ancora difficile. Non esistono
test specifici per l’identificazione di questa condizione patologica. C’è carenza di
letteratura che definisca le modalità di trattamento dell’instabilità d’anca e la loro
efficacia. Mancano studi che indaghino su quali siano gli esercizi specifici per
migliorare la funzionalità dei pazienti affetti da questa condizione.
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INTRODUZIONE
La diagnosi di instabilità di anca, assieme alla lassità capsulare, è una condizione
relativamente nuova ed emergente. Anche se non di comune identificazione, l’instabilità
di anca sta diventando una sorgente riconosciuta di dolore e disabilità nei pazienti
(Bayer and Sekiya, 2010; Shindle et al, 2006). L’instabilità di anca è un problema
comune tra gli atleti e la lassità capsulare può essere la causa sottostante di instabilità
dinamica (Philippon et al, 2007).
L’articolazione dell’anca è intrinsecamente stabile grazie a profondità e conformazione
delle superfici articolari di acetabolo e testa del femore. Nonostante la stabilità fornita
dall’anatomia ossea, i tessuti molli (capsula articolare, legamenti e labbro acetabolare)
che circondano l’articolazione contribuiscono alla stabilità lungo l’arco di movimento.
Carenze nei tessuti molli che circondano e supportano l’anca possono causare franca o
sottile instabilità e possono portare a dolore debilitante e disfunzione (Smith and
Sekiya, 2010).
L’instabilità di anca consiste in una quantità eccessiva di movimento di traslazione
nell’articolazione tra femore e acetabolo, in aggiunta al movimento di rotazione che
normalmente avviene tra le superfici articolari (Bowman et al, 2010). In maniera simile
a quanto riguarda l’instabilità di spalla, per l’anca questa entità può comprendere una
varietà di patologie e non un singolo significato, coinvolgendo uno spettro di condizioni
che va dalla microinstabilità alla sublussazione e in casi estremi può risultare in una
lussazione completa (Boykin et al, 2011).
Il presente studio ha come obiettivo indagare quali possano essere gli aspetti clinici
derivanti dai quadri patologici relativi a questa condizione, in modo da poter inserire
l’instabilità d’anca tra le ipotesi diagnostiche da considerare nel caso di pazienti con
problematiche di questo tipo. Comprendere come le alterazioni della biomeccanica
dell’articolazione dell’anca, conseguenza delle alterazioni strutturali e tissutali che
caratterizzano questa entità patologica, si possano manifestare nelle disfunzioni di
movimento dei pazienti risulta molto utile per il fisioterapista. Inoltre si vuole capire
come la valutazione funzionale del fisioterapista possa integrare il processo mediante il
quale i chirurghi arrivano alla diagnosi di instabilità d’anca, basato su anamnesi, esame
fisico, indagini diagnostiche e iniezioni intrarticolari, al fine di elaborare il
ragionamento clinico che permette di definire il programma di trattamento più
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appropriato per il paziente. Ed infine se esistano in letteratura indicazioni su quali siano
i trattamenti più efficaci per questo tipo di condizione patologica.
L’abilità di ottimizzare il controllo dei movimenti dell’articolazione nei pazienti è
intrinsecamente collegata con la capacità del fisioterapista di valutare i deficit e definire
un programma di gestione che si indirizzi in maniera adeguata alle specifiche alterazioni
dei muscoli in termini di forza, pattern di attivazione e soprattutto di funzionalità
(Grimaldi, 2012).
MATERIALI E METODI
RICERCA: La ricerca è stata effettuata a partire dal 15 luglio 2013 fino al 25 novembre
2013 tra la letteratura indicizzata nelle principali banche dati: MEDLINE, Cochrane
Library e PEDro. Sono state utilizzate le seguenti parole chiave: “hip instability”,
“unstable hip”, “rehabilitation”, “physical therapy”, “surgery”, “dysplasia”. Sono stati
presi in considerazione tutti i tipi di articoli, aventi come oggetto individui appartenenti
alla razza umana, senza alcuna restrizione relativa a sesso, età o attività praticate dai
soggetti, senza alcuna restrizione rispetto alla data di pubblicazione.
CRITERI DI INCLUSIONE: Nello studio sono stati inclusi solamente articoli in lingua
inglese o italiana, il cui abstract indicasse appropriatezza rispetto all'argomento dello
studio e di cui sia stato possibile reperire il full text. In aggiunta agli articoli così
identificati, sono stati aggiunti altri articoli indicati nelle bibliografie degli articoli
esaminati, allo scopo di integrare il materiale disponibile per una trattazione più
approfondita ed appropriata dell’argomento oggetto di studio.
CRITERI DI ESCLUSIONE: Sono stati esclusi tutti quegli articoli che non sono
risultati pertinenti con l'argomento oggetto dello studio, che riportavano tipi di
trattamento non interessanti ai fini dello studio, con abstract non disponibile o di cui
non sia stato possibile reperire il full text, articoli non in lingua inglese o italiana, studi
non condotti su persone o studi il cui oggetto fosse esclusivamente la chirurgia o
riguardanti malformazioni congenite senza relazione con il trattamento riabilitativo.
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RISULTATI: la ricerca ha prodotto 233 articoli da cui, eliminando gli articoli che non
rispettavano i criteri di inclusione e gli articoli riportati più volte, sono rimasti 8 articoli.
A questi sono stati aggiunti altri 10 articoli e 2 libri secondo i criteri precedentemente
descritti.
FLOW CHART RICERCA BIBLIOGRAFICA
Ricerca attraverso banche dati on-line MEDLINE PEDro
Cochrane Library
202 + 14 + 17 articoli reperiti
Articoli doppi eliminati Articoli eliminati in base ai criteri di
esclusione 218
Abstract disponibili valutati secondo criteri di inclusione
15
Articoli eliminati perché non in lingua inglese o italiana
o non reperibile full text 5
Articoli con full text disponibile
10
Articoli eliminati dopo lettura full
text perché ritenuti non interessanti
2
Articoli inclusi nello studio 20
10 articoli + 2 libri
provenienti da altre fonti
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LIMITI: Un primo bias potrebbe risiedere nel fatto che la ricerca e l’analisi sono state
eseguite da un unico revisore, senza che un altro revisore potesse effettuare in maniera
indipendente ricerca ed analisi e senza il controllo successivo di un supervisore. Dato il
carattere emergente e non ancora completamente riconosciuto dell’entità clinica oggetto
dello studio, non sono ancora presenti in letteratura studi di qualità sull’argomento, ad
esempio Sistematic Reviews o RCT, e questo costituisce un ulteriore limite dello studio
in termini di evidenze su cui si basano i trattamenti esaminati. Gli articoli analizzati
prendono in considerazione soggetti senza restringere il range di età e senza
differenziare tra soggetti sportivi e soggetti con normali richieste funzionali, lasciando
la trattazione dell’argomento ancora in termini generalizzati e non indirizzati a
sottogruppi di pazienti con possibilità di calibrare gli approcci sui singoli pazienti.
Infine molti degli articoli presi in considerazione sono opera di chirurghi ortopedici, con
il limite che il quadro clinico viene esaminato prevalentemente in termini di
patomeccanica e alterazioni tissutali da correggere chirurgicamente, tralasciando il
ruolo conservativo che potrebbe svolgere il trattamento riabilitativo.
CLASSIFICAZIONE, EZIOLOGIA, QUADRI CLINICI
In letteratura c’è un generale consenso sul fatto che, in base all’eziologia, l’instabilità di
anca può essere classificata in traumatica ed atraumatica (Bowman et al, 2010; Boykin
et al, 2011; Bayer and Sekiya, 2010; Philippon, 2001; Shindle et al, 2006; Smith and
Sekiya, 2010). All’interno di questa suddivisione è possibile riscontrare una varietà di
quadri clinici diversi, conseguenza delle alterazioni della biomeccanica articolare.
INSTABILITÀ TRAUMATICA
Generalmente l’instabilità traumatica è il risultato di un evento chiaramente
identificabile di lussazione o sublussazione, associato ad un trauma ad alta energia,
quale ad esempio un incidente d’auto, o una lesione a bassa energia, che più
comunemente capita durante attività atletiche. La lussazione di anca avviene
tipicamente quando un carico assiale è applicato sul femore con anca flessa e neutra
rispetto all’adduzione, a cui di solito possono abbinarsi anche frattura della parete
posteriore dell’acetabolo, lesioni ossee della testa del femore o anche lesioni di taglio
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sulla cartilagine articolare con compromissione della capacità dell’articolazione di
trasferire il carico. Gli elementi che impediscono la lussazione sono il legamento
rotondo, la capsula articolare, i legamenti extra-articolari, il labbro acetabolare e la
muscolatura circostante. La lesione traumatica acuta del labbro e la rottura del
legamento rotondo possono capitare con lussazione o sublussazione dell’anca, che sono
il risultato di un meccanismo ad alta, moderata o bassa energia (Bowman et al, 2010;
Boykin et al, 2011; Bayer and Sekiya, 2010; Philippon, 2001; Shindle et al, 2006; Smith
and Sekiya, 2010).
INSTABILITÀ ATRAUMATICA
L’instabilità atraumatica, invece, è caratterizzata da un esordio insidioso e può essere
dovuta a microtraumi ripetuti, lassità legamentosa generalizzata, cause iatrogene e
patologie dei tessuti connettivi. È stato ipotizzato che l’instabilità atraumatica possa
essere il risultato di lesioni ripetute su capsula e legamenti durante attività che forzano
l’anca in abduzione e rotazione esterna, accrescendo le forze sul legamento ileofemorale
con il risultato di sviluppare lassità capsulare o predisporre a lesioni del labbro
acetabolare (Bowman et al, 2010).
I movimenti ripetitivi legati alla pratica sportiva possono lesionare direttamente il
legamento ileofemorale o il labbro acetabolare, alterando così l’equilibrio tra le forze
all’interno dell’articolazione. Forze anormali nell’articolazione causano aumentata
tensione sulla capsula articolare, che può portare a sovrabbondanza di tessuto capsulare,
lesione dolorosa del labbro e conseguente microinstabilità (Shindle et al, 2006).
Se le strutture passive di stabilizzazioone dell’anca, quali capsula, legamenti e labbro,
sono compromessi, durante l’attività è richiesto un supporto maggiore degli
stabilizzatori dinamici, con sviluppo di sindromi da overuse e sintomi associati nella
muscolatura circostante, che si deve contrarre maggiormente per assicurare stabilità.
(Bowman et al, 2010)
Quindi per questa tipologia di pazienti con lassità capsulare è comune sviluppare
rigidità, contrattura in flessione e coxa saltans a livello dell’anca (Shindle et al, 2006;
Philippon et al, 2006), nonché tensione nella bandelletta ileotibiale (Smith and Sekiya,
2010).
Overuse e movimenti di rotazione forzati, frequentemente riscontrati in atleti che
praticano sport con rotazioni ripetute dell’anca in carico assiale, quali golf, pattinaggio
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di figura, football, balletto, ginnastica, baseball e hockey, possono causare lassità
capsulare (a sua volta causata da elongazione del legamento ileofemorale e susseguente
insufficienza) con instabilità in rotazione con traslazione (Bayer and Sekiya, 2010;
Philippon et al, 2007).
Deficienze del labbro possono contribuire ai sintomi di instabilità creando un’abnorme
distribuzione del carico sulla capsula articolare, che risulta in accresciuta sollecitazione
sui tessuti molli periarticolari. La conseguenza è una lassità o un’eventuale insufficienza
della capsula e dei legamenti che produce instabilità sintomatica. Una patologia del
labbro può compromettere la normale architettura non ossea dell’anca, da cui potrebbe
risultare la sublussazione. Quindi una patologia del labbro può portare direttamente a
instabilità di anca da sola o causare instabilità sintomatica tramite sublussazione
(Philippon et al, 2007).
L’instabilità atraumatica può essere associata ad anormalità anatomiche e condizioni
sistemiche: displasia congenita dell’anca (DDH), lassità legamentosa, sindromi che
coinvolgono i tessuti connettivi, iatrogena o idiopatica. Insufficiente copertura
acetabolare porta a instabilità anteriore anca, con eventuale dolore e disabilità.
L’eziologia del dolore prima dello sviluppo di cambiamenti patologici non è ancora ben
compresa, ma la sintomatologia algica potrebbe essere secondaria a patologie del
labbro, lesione della cartilagine, patologia del legamento rotondo, sinovite o alterata
biomeccanica articolare. In assenza del classico pattern di displasia congenita, una
morfologia anormale dell’acetabolo e della testa o del collo del femore può portare a
impingement femoro-acetabolare, con cambiamenti ossei secondari che possono rendere
l’anca instabile (Boykin et al, 2011). Secondo Smith, invece, se un paziente dimostra
sintomi di impingement femoro-acetabolare, ma senza che si riscontrino dalle immagini
diagnostiche anormalità ossee compatibili con cam o pincer impingement, la causa
potrebbe essere un impingement secondario da lassità capsulare (Smith and Sekiya,
2010). Oppure anormalità nella morfologia ossea delle superfici articolari dell’anca
possono aumentare sovraccarico sulla capsula e sui legamenti, portando in maniera
simile a instabilità (Philippon et al, 2007).
L’instabilita' dinamica avviene come sublussazione posteriore dell’anca e puo' essere
dovuta a precoce contatto della testa femorale con l’acetabolo, in presenza di deformita'
anteriore da impingement o di displasia acetabolare posteriore. In alcuni casi la
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sublussazione posteriore o la lussazione puo' essere la prima manifestazione di
impingement femoro-acetabolare occulto in atleti competitivi (Bedi et al, 2013).
Patologie che interessano i tessuti molli, quali sindrome di Down, sindrome di Ehlers-
Danlos, sindrome di Marfan e artrocalasia multipla congenita, possono determinare
lassità legamentosa generalizzata responsabile di instabilità e predisporre a
sublussazione o lussazione. Esiste inoltre vera instabilità idiopatica, rara negli adulti ma
descritta in bambini senza lassità e possibile in pazienti psichiatrici (Boykin et al, 2011).
Instabilià idiopatica dell’articolazione dell’anca può sottoporre labbro, capsula
articolare e muscolatura circostante a forze anormali e questa sollecitazione atipica
produce come risultato ulteriori deformità o lesioni sia sul labbro che sulla capsula
(Philippon et al, 2007).
Infine l’instabilità iatrogena di anca è non comune al di fuori del setting operatorio per
artroprotesi di anca, ma può verificarsi dopo procedure chirurgiche in cui viene eseguita
osteotomia trocanterica o capsulotomia, come ad esempio lussazione chirugica (Boykin
et al, 2011).
DISFUNZIONI DI MOVIMENTO CORRELATE AI QUADRI CLINICI
Sahrmann sostiene che un’articolazione può sviluppare un movimento compensatorio in
una specifica direzione a causa della differenza di flessibilità relativa tra i vari segmenti
dell’articolazione stessa. Quindi, con l’instaurarsi di uno schema di movimento errato,
l’articolazione diviene sensibile al movimento nella direzione scorretta e questo può
causare l’insorgenza del dolore. All’interno delle sindromi da disfunzione del
movimento, Sahrmann descrive delle sindromi in cui il dolore proveniente dall’anca è
associato ad una disfunzione dei movimenti accessori del femore, nella maggior parte
dei casi, in relazione ai quadri clinici oggetto dello studio, caratterizzate da uno
scivolamento anteriore eccessivo della testa del femore (Sahrmann, 2005).
Usando un modello muscoloscheletrico tridimensionale Lewis ha notato che un
diminuito contributo di forza da parte dei muscoli glutei nell’estensione attiva di anca e
dal muscolo ileopsoas nella flessione attiva di anca produce come risultato una
maggiore forza anteriore all’interno dell’articolazione dell’anca rispetto a quando questi
muscoli contribuiscono con più forza al movimento. Inoltre la forza diretta
anteriormente aumenta in maniera consistente all’aumentare dell’angolo di estensione
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dell’anca, in maniera indipendente dal contributo dei muscoli in termini di forza. Questa
maggior forza anteriore potrebbe contribuire a dolore anteriore di anca, insidiosa
instabilità dell’anca e sviluppo di lesioni anteriori del labbro acetabolare, nonché essere
la probabile causa di un aumentato scivolamemto anteriore della testa del femore.
Quindi la riduzione della forza diretta anteriormente sull’articolazione potrebbe essere
di beneficio per pazienti con queste condizioni (Lewis et al, 2007).
Secondo gli autori questi risultati sono compatibili con ipotesi formulate rispetto a
dolore anteriore di anca, lesioni del labbro acetabolare o insidiosa instabilità in base alle
osservazioni cliniche della Sahrmann. Durante l’estensione attiva dell’anca la
contrazione degli ischiocrurali è predominante per la debolezza dei glutei, soprattutto
del semimembranoso rispetto a semitendinoso e bicipite femorale, generando rotazione
esterna del femore, posizione dolorosa per questi pazienti. In flessione di anca l’azione
del tensore della fascia lata è dominante per la debolezza dell’ileopsoas, generando una
rotazione interna del femore (Sahrmann, 2005).
ANAMNESI
STORIA DEI SINTOMI DEL PAZIENTE
Philippon sostiene che la presentazione clinica dell’instabilità di anca varia ampiamente
e risulta quindi spesso difficile da diagnosticare. L’iter diagnostico comprende la storia
del paziente, l’esame fisico, questionari soggettivi e immagini diagnostiche (Philippon
et al, 2007). L’analisi accurata della storia dei sintomi è essenziale per determinare
l’eziologia sottostante alla sospetta instabilità. La diagnosi differenziale si basa
principalmente sulla storia degli eventi avvenuti in concomitanza con l’esordio dei
sintomi e le attività che riproducono i disturbi. Storia di scatti, blocchi, cedimenti,
zoppia o dolore elicitato da posizioni che riproducono l’instabilità dovrebbe essere
indagata. Altri sintomi che il paziente può lamentare sono dolore all’inguine, dolore
generalizzato all’anca, dolore quando si alza da una sedia, dolore quando sale e scende
dall’automobile, ileopsoas o bandelletta ileotibiale instabili con fenomeno dello scatto,
fino a frequenti eventi di sublussazione.
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Occorre sapere se il paziente pratica un’attività sportiva e se i gesti sportivi specifici
causano i sintomi, in particolare valutare quegli atleti che praticano sport con più alta
incidenza di lussazione o più soggetti a overuse e microtraumi.
È utile approfondire la storia familiare riguardo alle patologie a carico del tessuto
connettivo quali Ehlers-Danlos, artrocalasia multipla congenita, sindrome di Marfan e
sindrome di Down.
Ai pazienti vengono somministrati il Modified Harris Hip Score (MHH) ed il Hip
Outcome Score (HOS), entrambi questionari soggettivi standardizzati. Il primo fornisce
una valutazione globale del paziente basata su dolore e funzionalità, il secondo valuta la
funzionalità dell’anca in due aree, attività di vita quotidiana e sport. Entrambi sono utili
misure di outcome (Philippon et al, 2007).
Infine va effettuata diagnosi differenziale rispetto ad altre condizioni quali dolore
riferito da rachide lombare e sintomi radicolari, che possono essere confusi con una
patologia primaria dell’anca, malattie gastrointestinali, vascolari e genitourinarie, che
possono presentarsi come dolore all’anca e dovrebbero quindi essere prese in
considerazione, specialmente nei pazienti anziani (Boykin et al, 2011). Tyler sottolinea
come per il fisioterapista sia importante riconoscere le red flags, attraverso
l’individuazione di segni e sintomi non correlabili a dolore muscoloscheletrico e per i
quali i pazienti vanno rinviati al medico specialista per ulteriori approfondimenti.
Quindi alle precedentemente citate condizioni vanno aggiunte anche altre cause di
dolore all'anca di origine non-muscoloscheletrica: endometriosi, cisti ovariche, malattie
infettive, patologie metaboliche e tumori (Tyler and Slattery, 2010).
ESAME FISICO
Un esame fisico completo aiuta a differenziare le cause di dolore all’anca e comprende:
analisi del cammino, della postura, valutazione del ROM, della funzione motoria e
neurovascolare dell’arto inferiore. Nel cammino si può evidenziare un pattern anormale,
con segno di Trendelemburg o di Duchenne che indicano debolezza dei muscoli glutei,
oppure evitamento del carico o ancora il paziente può lamentare cedimento sia nel
cammino che nelle attività sportive (Smith and Sekiya, 2010).
Una valutazione completa del ROM sia attivo che passivo dell’anca dovrebbe essere
eseguita, confrontando i due lati in rotazione interna ed esterna a 90˚ e 0˚ di flessione, in
genere in posizione supina. Un paziente con lassita' capsulare spesso dimostra
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un’aumentata rotazione esterna dell'anca affetta rispetto alla controlaterale a 0˚ di
flessione. In questa posizione, l’esaminatore percepisce anche minor resistenza alla
rotazione esterna passiva oltre la posizione di riposo rispetto all’anca controlaterale, a
causa della lassità dei legamenti anteriori della capsula. Questo aumento del ROM si
considera vera instabilità solo se associato con i sintomi lamentati dal paziente, in
assenza dei quali ci si trova di fronte a lassità capsulare. Inoltre il paziente potrebbe
avvertire sensazione di apprensione con iperestensione e rotazione esterna dell’anca
(Boykin et al, 2011; Smith and Sekiya, 2010).
Per capire se la muscolatura che circonda l’anca sia sottoposta a sovraccarico per
supplire all’insufficienza degli stabilizzatori passivi dell’articolazione, si va a palpare il
gran trocantere per verificare se i tendini dei muscoli che qui si inseriscono
costituiscano fonte di dolore. La flessione dell’anca contro resistenza, invece, prende in
considerazione l’ileopsoas come possibile fonte di dolore. Si esegue il Thomas test per
valutare l’ipoestensibilità dei flessori dell’anca e l’Ober test per valutare la tensione
della bandelletta ileotibiale. Per ileopsoas snapping si esegue la manovra in cui l’anca
dalla posizione di flessione, abduzione e rotazione esterna viene portata in estensione,
adduzione e rotazione interna (Smith and Sekiya, 2010).
Nella manovra in cui l’anca viene portata da flessione ad estensione possono essere
percepiti pop udibili e altri rumori che possono essere segno di patologia del labbro,
corpo mobile intraarticolare o snapping del tendine dell’ileopsoas, ma vanno presi in
considerazione come correlati alla condizione del paziente solo se riproducono i sintomi
da lui lamentati (Boykin et al, 2011).
Il paziente dovrebbe essere inoltre esaminato per segni di lassità legamentosa
generalizzata (per determinare interrelazioni tra funzione ossea, muscolotendinea e
legamentosa) confrontando bilateralmente opposizione del pollice sull’aspetto radiale
dell’avambraccio, iperestensione di gomiti e articolazioni metacarpofalangee,
recurvatum delle ginocchia, flessione in avanti con i palmi delle mani al pavimento e
capacità di dislocare volontariamente l’anca (Bayer and Sekiya, 2010; Boykin et al
2011; Philippon et al, 2007).
Diversi autori concordano sui test specifici per valutare stabilità dell’anca: posterior
impingement test (pz supino, anca in estensione ed extrarotazione, positivo per
disconfort e apprensione), dial test (paziente supino con anca in estensione neutra,
muovere in rotazione interna, poi rilasciare e permettere di ruotare esternamente: test
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positivo se arto ruota più di 45˚ da verticale sul piano assiale e perde punto meccanico
di stop, poi paragone con controlaterale) e trazione dell’arto affetto (positivo per
apprensione). Inoltre il paziente lamenta dolore quando in posizione prona l’anca viene
portata dall’esaminatore in estensione e rotazione esterna (Boykin et al, 2011).
Bayer sottopone tutti i pazienti con dolore all’anca e sintomi di instabilità ad iniezione
diagnostica intra-articolare: una soluzione di 6 mL all’1% di lidocaina, 6 ml allo 0,25%
di bupivacaina HCl e 80 mg di triamcinolone viene iniettata all’interno
dell’articolazione con l’uso di assistenza fluoroscopica, se invece viene effettuata con
artrografia con risonanza magnetica viene aggiunto gadolinio al posto della soluzione
salina. I pazienti vengono poi incoraggiati a praticare, per due ore dopo l’iniezione,
attività che di solito aggravano i sintomi e poi a registrare la percentuale di riduzione del
dolore fornita dall’iniezione. Nell’opinione degli autori i pazienti con alta percentuale di
riduzione del dolore dopo iniezione ed esame clinico compatibile con instabilità di anca
sono candidati per artroscopia e plicazione della capsula (Bayer and Sekiya, 2010).
Invece Shindle prende in considerazione l’iniezione intrarticolare solo per quei pazienti
con storia clinica ed esame fisico compatibili con lesione di capsula o labbro ed
instabilità, con immagini diagnostiche che supportino l’ipotesi diagnostica, in cui un
ciclo di riabilitazione ed antinfiammatori sia stato appropriatamente effettuato al fine di
diminuire il dolore ma sia terminato senza successo (Shindle et al, 2006).
Tuttavia alcuni autori come Grelsamer esprimono dei dubbi in quanto i test citati dagli
autori non sono specifici per l’instabilità di anca e non c’è una combinazione di segni,
sintomi, test clinici e immagini diagnostiche che possa dimostrare che un’anca ha
improvvisamente subito una instabilità atraumatica (Grelsamer, 2012).
INDAGINI DIAGNOSTICHE
I pazienti con problemi alle anche vengono sottoposti a radiografia antero-posteriore del
bacino in carico e radiografie antero-posteriore e laterale dell’anca da supino per
valutare eventuali anomalie ossee. L’angolo di Wiberg e l’angolo di Sharp vengono
utilizzate come misure quantitative per la displasia dell’anca. L’angolo di Tönnis misura
la sublussazione laterale della testa femorale. Anomalie nell’offset tra testa e collo del
femore possono implicare impingement. Se la diagnosi non è chiara una visuale
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dell’anca in trazione mediante radiografia o fluoroscopia dinamica può essere utilizzata
per identificare una sublussazione.
La tomografia computerizzata è utile specificatamente in caso di instabilità traumatica
per evidenziare fratture misconosciute alle radiografie o corpi mobili intra-articolari e
dopo lussazione dell’anca per valutare l’appropriatezza della conseguente riduzione. In
base a radiografia e scansioni TC può essere calcolato il McKibbin Instability Index, il
cui valore accresciuto potrebbe indicare nei pazienti la tendenza verso dolore e
osteoartrosi all’anca.
La risonanza magnetica permette di valutare dettagliatamente capsula articolare,
legamenti, labbro e altri tessuti molli. La risonanza magnetica con artrografia è più
affidabile per identificare lesioni condrali, patologie del labbro, corpi mobili, fratture da
stress e lesioni dei tessuti molli. Se la capsula articolare contribuisce al dolore dell’anca,
appare assottigliata sul margine laterale dell’aspetto anteriore con accresciuto segnale di
intensità così come si notano irregolarità sulla superficie sottostante dalle immagini
assiali oblique, reperti correlati con reperti intraoperatori di lassità capsulare (Bayer and
Sekiya, 2010; Boykin et al, 2011; Philippon et al, 2007; Shindle et al, 2006).
VALUTAZIONE FUNZIONALE
Grimaldi imposta una valutazione dinamica, aggiungendo all’osservazione del cammino
altre attività in cui il paziente viene esaminato: appoggio monopodalico, squat in
singolo appoggio, salire le scale, corsa, saltelli e altre attività funzionali specifiche o
correlate all’attività sportiva. Gli stessi test di forza muscolare forniscono informazioni
più adeguate se vengono eseguiti in diversi punti dell’arco di movimento, in modo da
poter rivelare debolezza allo stiramento o debolezza in punti specifici dell’arco di
movimento, nonostante nel range intermedio i muscoli testati possano aver dimostrato
risposte normali in termini di forza. Indaga anche sull’effetto che posture mantenute a
lungo durante il giorno e abitudini della vita quotidiana possono avere su struttura e
funzionalità dei muscoli, cercando di correggere le abitudini sbagliate.
La valutazione clinica di trofismo, asimmetria e rigidità muscolare può fornire
informazioni supplementari che possono guidare la valutazione funzionale e
confermarne i riscontri, spesso associati con livelli di attività e movimenti specifici
implicati in attività occupazionali, hobby o sport, con cambiamento nel carico o con
15
specifici pattern di attivazione muscolare correlati a dolore o patologia. L’osservazione
di asimmetrie o ipertrofia della muscolatura superficiale, la palpazione di co-
contrazione abnorme, attività tonica o rigidità della muscolatura superficiale sono
indicazione di disfunzione muscolare da approfondire ulteriormente nella valutazione
funzionale (Grimaldi, 2011).
Sahrmann sottopone il paziente ad una serie di test per riscontrare alterazioni in termini
di accorciamento/allungamento o rigidità di specifici muscoli, dominanza di alcuni
muscoli rispetto ad altri all’interno di gruppi muscolari sinergici, il cui risultato è una
perdita del controllo del centro di rotazione istantanea dell’articolazione durante i
movimenti. La valutazione funzionale permette a Sahrmann di verificare la presenza di
uno schema scorretto di movimento, riconducibile ad una delle sindromi da disfunzioni
del movimento accessorio femorale, in base alla quale poi impostare il trattamento
riabilitativo per correggere l’alterazione della funzionalità.
In posizione supina durante la flessione attiva dell’anca a ginocchio esteso (SLR attivo)
si nota il gran trocantere che, anziché mantenere una posizione relativamente costante,
si muove antero-medialmente dimostrando uno scivolamento anteriore della testa del
femore (perdita del corretto centro di rotazione istantanea dell’articolazione e ridotto
scivolamento posteriore della testa del femore) e il paziente riferisce dolore anteriore
all’inguine. Se l’esaminatore esegue passivamente questa manovra (SLR passivo),
applicando una pressione in direzione postero-mediale a livello dell’inguine in modo da
prevenire lo scivolamento anteriore della testa del femore e mantenere costante l’asse di
rotazione dell’articolazione, si percepisce una resistenza simile a quella dovuta
all’accorciamento degli ischio-crurali (a causa della rigidità posteriore della capsula) ma
si ottiene un aumento del range di flessione libero da dolore, in quanto si impedisce alla
testa del femore di andare a stressare o pinzare le strutture anteriori. In posizione prona
se durante l’estensione attiva il gran trocantere si muove anteriormente è segno di
scivolamento anomalo della testa del femore. In posizione quadrupedica si esegue
un’oscillazione posteriore e l’anca interessata dalla disfunzione si flette di meno della
controlaterale, soprattutto a fine range, dove si può osservare un’elevazione del bacino
dal lato deficitario per la rotazione compensatoria dello stesso, o anche una traslazione
laterale verso il lato sano. Se invece l’anca interessata dalla disfunzione viene abdotta o
ruotata esternamente prima dell’inizio del movimento di flessione, l’escursione del
movimento aumenta, dato che in questa posizione viene ridotto l’allungamento sul
16
piano frontale e orizzontale dei muscoli estensori-rotatori laterali dell’anca, che
nonostante la rigidità concedono un maggior range in flessione.
In maniera simile si può riscontrare un’eccessiva traslazione anteriore della testa del
femore, ma abbinata a rotazione esterna, con il dolore localizzato a livello inguinale ma
più mediale ed incrementato con il carico e la stazione eretta. In posizione supina
quando il paziente effettua una flessione dell’anca, c’è la tendenza ad associare anche
una rotazione esterna; se l’esaminatore flette l’anca oltre i 90˚ avverte una certa
resistenza; inoltre la rotazione interna è minore di quella esterna e l’arto inferiore è
atteggiato in extrarotazione. In posizione prona se il paziente esegue estensione
dell’anca si evidenzia un movimento in direzione postero-laterale del gran trocantere ed
il femore ruota esternamente. Anche quando il ginocchio viene flesso passivamente il
femore ruota esternamente. In posizione quadrupedica il paziente assume una posizione
di flessione delle anche non superiore ai 90˚ ed il movimento verso i talloni è minore
dal lato affetto. In appogio monopodalico in stazione eretta l’anca ruota esternamente.
Si può anche verificare una disfunzione in cui è presente ipermobilità dei movimenti
accessori femorali, in cui nonostante i movimenti fisiologici siano inferiori alla normale
escursione, in particolare in rotazione, non c’è rigidità ma si verifica scivolamento
superiore della testa del femore. Nel cammino il paziente dimostra andatura antalgica,
segno che testimonia come la deambulazione possa provocare dolore. In appoggio
monopodalico l’anca ruota internamente, indicando che gli ischio-crurali sono
predominanti rispetto ai glutei. In posizione prona quando l’esaminatore flette
passivamente il ginocchio il movimento del gran trocantere evidenzia rotazione esterna
del femore e talvolta scivolamento superiore. Con la rotazione esterna l’ampio
movimento del gran trocantere indica una leggera flessione femorale. In posizione
seduta se il paziente estende il ginocchio il femore ruota internamente e sembra
scivolare superiormente. Il movimento provoca dolore all’anca in tutte le direzioni e se
il test di Fabere (flessione-abduzione-rotazione esterna) causa dolore all’inguine siamo
in presenza di alterazioni precoci a livello articolare.
In maniera analoga ai concetti di Sahrmann, Comerford sostiene che un deficit del
controllo motorio si può presentare come movimento di traslazione non controllato o
come range non controllato del movimento funzionale. Questo movimento non
controllato deve però essere correlato in termini di localizzazione con l’articolazione
17
che il paziente riferisce come fonte dei sintomi e in termini di direzione con i movimenti
e le posizioni che provocano i sintomi.
In pazienti che lamentano dolore all’inguine, si potrebbe verificare un deficit del
controllo motorio con scivolamento anteriore o anteroinferiore eccessivo della testa del
femore, associato ai movimenti di flessione, estensione o rotazione esterna/abduzione
dell’anca. La traslazione anteriore non controllata della testa del femore può essere
riscontrata nei test di movimento attivo (eseguiti in posizione supina, prona o
quadrupedica) se il paziente non riesce a mantenere l’asse neutro di rotazione e
prevenire questo scivolamento, rispetto invece a quanto avviene nella valutazione
passiva (Comerford and Mottram, 2012).
TRATTAMENTO
Secondo Boykin per pazienti con sospetta lassità capsulare si dovrebbe provare con
riposo e modificazione delle attività, seguiti da un ciclo di rinforzo muscolare e
fisioterapia, focalizzando l’attenzione su muscolatura del core addominale e lombare,
sui muscoli medio gluteo e rotatori esterni dell’anca. In caso di persistenza di instabilità
dovrebbe essere preso in considerazione l’intervento chirurgico (Boykin, 2011).
Secondo Retchford i muscoli stabilizzatori locali dell’anca includono piccolo gluteo,
quadrato del femore, gemelli, otturatore interno ed esterno, piriforme, ileocapsulare e le
fibre profonde dell’ileopsoas. Questi muscoli sono anatomicamente,
biomeccanicamente e fisiologicamente adatti a fornire stabilizzazione dinamica alla
testa del femore nell’acetabolo, aiutando a ridurre le forze di taglio nell’articolazione.
Questi muscoli condividono molte delle caratteristiche degli altri muscoli stabilizzatori
locali di altri distretti quali rachide lombare, bacino, spalla e ginocchio: sebbene
abbiano un’area di sezione trasversa relativamente piccola, hanno breve lunghezza delle
fibre e sono in grado di produrre forze significative piuttosto che produrre piccoli
cambiamenti di lunghezza muscolare, hanno linee di forza vantaggiose per fornire
compressione alla testa del femore nell’acetabolo e possono contenere prevalentemente
fibre a contrazione lenta, rendendoli adeguati a fornire contrazioni toniche e resistenza
alla fatica. Infine hanno inserzione diretta sulla capsula articolare, suggerendo un
significativo ruolo propriocettivo. In particolare i muscoli rotatori esterni profondi,
18
quadrato del femore, otturatore interno, otturatore esterno ed i gemelli, insieme al
rotatore interno piccolo gluteo sono stati proposti come stabilizzatori attivi chiave
dell'anca e vengono spesso descritti come la "cuffia dei rotatori" dell'anca, per
l’analogia delle caratteristiche di morfologia e ruolo con i muscoli sottospinoso e
piccolo rotondo (Retchford et al, 2013).
Weißgraeber afferma che i muscoli rotatori esterni dell’anca possono avere un effetto
significativo nel trasferimento del carico su questa articolazione, mentre i muscoli
abduttori svolgono il ruolo principale nel mantenere l’equilibrio del bacino. Utilizzando
un modello biomeccanico semplificato dell’anca sul piano frontale e in appoggio
monopodalico, i risultati mostrano la dipendenza delle forze di reazione
sull’articolazione da parametrici geometrici e dall’attivazione muscolare dei rotatori
esterni: l’angolo di azione sul piano frontale aumenta con l’incremento dell’attivazione
muscolare e in questo modo la distribuzione massima della superficie di contatto tra
testa del femore ed acetabolo è spostata medialmente e la pressione sul bordo laterale
della superficie di contatto è ridotta (Weißgraeber et al, 2012).
Quindi un programma efficace di esercizi terapeutici per un’anca instabile dovrebbe
cominciare focalizzandosi sui muscoli stabilizzatori locali con esercizi tonici a basso
carico, in maniera analoga al razionale corrente per il rinforzo dei muscoli stabilizzatori
locali di rachide lombare, rachide cervicale e spalla. Di solito esercizi di riallenamento
della muscolatura stabilizzatrice locale cominciano in posizioni a basso carico e il
paziente deve essere concentrato nel controllare la propria performance motoria
mediante palpazione attenta. Nel caso il paziente presenti anche un alterato controllo
motorio della regione lombopelvica, dovrebbe imparare a co-contrarre stabilizzatori
lombo-pelvici e stabilizzatori profondi dell’anca (Retchford et al, 2103).
Richardson and Jull hanno indicato un esercizio specifico mirato all’attivazione dei
muscoli addominali profondi per facilitarne il ruolo di stabilizzatori dinamici lombari:
10 contrazioni con 10 secondi di tenuta e uso di biofeedback, coinvolgendo bassi livelli
di contrazione volontaria, in modo da evitare sottili pattern di sostituzione muscolare e
riducendo attivazione di muscoli sinergici (Richardson and Jull, 1995).
A partire da questo esercizio O’Sullivan ha sviluppato un programma di trattamento in
cui, una volta conseguita un’accurata e sostenuta contrazione di questi muscoli, si
prosegue con applicazione di basso carico sui muscoli iniziando movimenti controllati
degli arti. Quando si raggiunge un’attivazione accurata senza sostituzione e con respiro
19
controllato, si cerca di ottenerla anche in posture funzionali mantenute e in attività che
precedentemente avevano dimostrato di aggravare i sintomi. Inoltre i soggetti vengono
incoraggiati ad attivare regolarmente questi muscoli in attività quotidiane (O’Sullivan,
1998).
In base ai ruoli funzionali i muscoli possono essere classificati secondo Comerford in
muscoli della stabilità locale, muscoli della stabilità globale e muscoli della mobilità
globale. I muscoli della stabilità locale controllano la posizione neutra articolare, il
movimento e la traslazione dei segmenti articolari. La loro contrazione non produce
movimento, ma hanno un’attività spesso anticipatoria per fornire contrazione muscolare
prima del movimento. Hanno attivazione indipendente dalla direzione di movimento,
ma costante durante tutto l’arco di movimento ed offrono informazioni propriocettive
rispetto a posizione, ampiezza e velocità del movimento. I muscoli della stabilità
globale generano forza per controllare eccentricamente il movimento lungo tutto l’arco
o mantenere isometricamente la posizione, hanno la capacità di controllare
eccentricamente il ritorno contro gravità o di accorciarsi in qualsiasi punto dell’arco di
movimento e controllano il movimento eccessivo in caso di un‘articolazione ipermobile.
Questi muscoli hanno attivazione non continua e dipendente dalla direzione, fortemente
influenzata dai muscoli antagonisti e un’alta soglia di attivazione in situazioni di carico
e velocità. I muscoli della mobilità globale generano forza per produrre movimento
dell’articolazionne mediante contrazione concentrica (piuttosto che eccentrica) e
assorbono shock da alto carico. La loro attivazione è dipendente dalla direzione e hanno
un’attività intermittente, caratterizzata da brevi raffiche per accelerare il movimento del
segmento articolare, seguite poi da impulso che si mantiene costante (Comerford and
Mottram, 2012).
Sulla base di questi studi Retchford suggerisce che una volta che la contrazione isolata
dei rotatori esterni profondi è stata ottenuta con successo, si può attuare la progressione
verso la riabilitazione degli stabilizzatori secondari (muscoli della stabilità globale) e
mobilizzatori primari (muscoli della mobilità globale) dell’anca, in particolare il grande
gluteo, inizialmente con esercizi fuori carico e progredendo poi verso esercizi in carico
quando controllo motorio e forza lo permettono. La pre-attivazione dei rotatori esterni
profondi può rendere questi esercizi più efficaci. In questa fase dovrebbero essere
valutati anche flessibilità e propriocezione. Una volta raggiunti livelli adeguati di forza
e resistenza, devono essere implementati esercizi funzionali e sport specifici. Tuttavia,
20
mentre esistono studi che hanno dimostrato la validità di USI (UltraSound Images) per
misurare l’area di sezione trasversa dei muscoli anteriori dell’anca (ileopsoas, retto
femorale e sartorio), sono necessarie maggiori ricerche per validare uso RTUS (real-
time ultrasound image) come strumento di misura per altri muscoli stabilizzatori attivi,
in particolare per i muscoli rotatori esterni profondi, allo scopo di individuare quali
siano gli esercizi più appropriati per attivarli (Retchford et al, 2013).
Comerford descrive le caratteristiche di un piano di trattamento per correggere il deficit
di controllo motorio, per integrare poi questo nuovo pattern di movimento nel
movimento normale e nella funzione. L’obiettivo è cambiare il pattern di reclutamento e
controllare attivamente il movimento nella sede e nella direzione della disfunzione di
stabilità, mediante il riallenamento del controllo motorio focalizzato sull’articolazione,
sulla direzione in cui il movimento è isometricamente controllato, sul controllo del
movimento dei gruppi muscolari non efficienti ed instaurando l’efficacia di un pattern
di movimento correttivo, non rinforzando muscoli dominanti. Il training comincia da
posizioni in scarico e con supporto per progredire verso posizioni normali a basso carico
funzionale e senza supporto, per facilitare reclutamento attivo ed eventualmente
automatico di sistemi muscolari stabilizzatori locali e globali e rispristinare un uso
appropriato della stiffness muscolare per controllare correttamente il movimento.
Dalla posizione neutra si insegna al paziente come reclutare i muscoli appropriati per il
controllo di una specifica direzione di movimento, muovendo l’articolazione adiacente
nella stessa direzione oppure lo stesso segmento in direzione opposta a quella di cui il
soggetto non riesce a controllare il movimento. Il focus è posto sulla qualità del
controllo, sull’evitare strategie di sostituzione, con l’attenzione del paziente come
parametro. Per cambiare il pattern di controllo motorio vengono richieste ripetizioni
lente, a basso sforzo ed il movimento va eseguito attraverso un arco in cui può essere
controllato, occasionalmente scaricando il peso del corpo o degli arti. Ripetere il
movimento finché non si sente familiare e naturale, ad esempio venti-trenta ripetizioni
lente, o più di due minuti di ripetizioni lente, permette di facilitare il reclutamento delle
unità motorie toniche e a reclutamento lento e di migliorare il feedback propriocettivo.
Nessun esercizio deve produrre o provocare nessun tipo di sintomo. Frequentemente la
progressione viene stimolata riducendo facilitazioni di carico o aggiungendo supporti
instabili per implementare la propriocezione. Infine si arriva ad attività e situazioni
funzionali e specifiche. Il trattamento permette al paziente il recupero della
21
consapevolezza di allineamento e postura, precisione del movimento, tensione e sforzo
muscolare, differenze nel muovere diverse articolazioni, sensazione di mantenere
facilmente basso carico, possibilità di respirare con pattern normale, migliorare risposte
propriocettive ed efficacia del reclutamento a bassa soglia (Comerford and Mottram,
2012).
Sulla base della valutazione funzionale che ha permesso di individuare la specifica
disfunzione del movimento, Sahrmann propone un programma di trattamento
focalizzato sul controllo, da parte del paziente, del corretto centro di rotazione
dell’articolazione durante il movimento e l’evitamento dei movimenti che provocano
dolore. Questi compiti vengono perseguiti dal paziente nello svolgimento di esercizi in
varie posizioni: in posizione supina, quadrupedica, prona, in decubito laterale ed in
posizione seduta, per poi proseguire con posizioni e movimenti che si avvicinano
sempre di più alle attività funzionali.
Quando si ha scivolamento femorale anteriore con rotazione mediale, il paziente ha
bisogno di incrementare lo scivolamento posteriore della testa del femore. Altro
obiettivo è correggere lo squilibrio della lunghezza e della forza tra i muscoli, sulla
scorta dei riscontri emersi dalla valutazione funzionale: l’ileopsoas potrebbe avere
bisogno di essere rinforzato e accorciato rispetto al tensore della fascia lata che di solito
è corto e più forte, i glutei potrebbero avere bisogno di essere rinforzati e favoriti nella
loro attivazione in rapporto agli ischiocrurali, ma entrambi i gruppi muscolari
potrebbero risultare rigidi. Inoltre il paziente dovrebbe rinforzare medio gluteo e rotatori
esterni intrinseci dell’anca in modo da controllare ed evitare la rotazione interna. Infine
correggere la postura in iperestensione dell’anca.
Anche nel caso in cui lo scivolamento femorale anteriore sia associato a rotazione
laterale, l’obiettivo primario consiste nel favorire e migliorare lo scivolamento
posteriore della testa del femore. In questa condizione però, oltre a favorire l’azione dei
glutei rispetto agli ischio-crurali e dei rotatori interni rispetto a quelli esterni, vanno
rinforzati l’ileo-psoas e la muscolatura glutea con funzione di abduzione e rotazione
interna.
Quando si verifica ipermobilità dei movimenti accessori femorali, l’obiettivo è
ristabilire equilibrio fra i muscoli del bacino e quelli della coscia, rinforzando ileopsoas
e grande gluteo (che potrebbero essere più deboli rispetto a muscoli corti e rigidi come
il retto femorale ed il tensore della fascia lata per la flessione e gli ischio-crurali per
22
l’estensione) oltre che medio gluteo, piccolo gluteo ed i rotatori esterni intrinseci
dell’anca. Quindi il paziente deve imparare a controllare l’ipermobilità dei movimenti
accessori del femore e migliorare l’estensibilità di retto femorale, tensore della fascia
lata ed ischio-crurali, correggendo l’esecuzione dei movimenti che evocano dolore, in
genere le rotazioni dell’anca da seduto o in piedi (Sahrmann, 2005).
Lewis cerca di individuare quali siano gli esercizi più corretti da prescrivere per pazienti
con debolezza muscolare o diminuita attivazione muscolare al fine di contenere le forze
che agiscono sull’articolazione dell’anca, sebbene la posizione dell’articolazione incida
maggiormente sull’alterazione del quantitativo di forza rispetto al contributo dei
muscoli. Quindi se i muscoli glutei sono deboli, puo' essere piu' appropriato rinforzarli
in un arco di movimento che non va oltre la posizione neutra di estensione dell’anca,
piuttosto che in piena estensione dell’anca, dato che la debolezza dei glutei ma ancora di
più l’aumentare dell’angolo di estensione dell’anca aumenta la forza risultante con
direzione anteriore sull’articolazione rispetto alla condizione normale. Allo stesso
modo, quando si prescrivono esercizi che prevedono flessione dell’anca da supino per il
rinforzo dell’iliaco e dello psoas, l’esercizio dovrebbe essere cominciato in maggior
flessione di anca (quindi con minor angolo di estensione) che se questi muscoli non
fossero deboli, in modo da ridurre la forza diretta anteriormente sull’articolazione
(Lewis et al, 2009).
CONCLUSIONI
L’analisi della letteratura ha mostrato come ci sia consenso sulla definizione della
instabilità di anca in quanto entità patologica e sulla sua classificazione in base alla
eziologia. Tuttavia la sua diagnosi rimane ancora difficile per la varietà di quadri clinici
con cui questa condizione patologica si può presentare nei soggetti, anche in funzione
del fatto che le diverse alterazioni della biomeccanica articolare che ne derivano
comportano una varietà di sintomi che i pazienti possono lamentare. Purtroppo non
esistono test specifici la cui positività indichi la presenza di instabilità d’anca.
La valutazione funzionale del fisioterapista può integrare la diagnosi medica
nell’indagare le limitazioni del paziente in termini di funzioni e partecipazione, in modo
da correlare le alterazioni della funzionalità con proposte di trattamento riabilitativo
specifiche e mirate alle sue esigenze funzionali. Tuttavia mancano studi di qualità che
23
supportino il trattamento riabilitativo dell’instabilità d’anca e, in assenza di efficacia
basata sulle evidenze, queste proposte di trattamento rimangono limitate al livello di
parere di esperti.
Quindi c’è necessità di studi basati su prove di efficacia che cerchino di valutare quale
sia il trattamento più efficace per l’instabilità di anca, che indaghino e approfondiscano
ulteriormente il ruolo chiave dei muscoli stabilizzatori dell’anca, in particolare dei
rotatori esterni profondi, e ne dimostrino l’efficacia nel supplire alle carenze degli
elementi passivi di stabilizzazione dell’articolazione in caso di alterazioni di strutture e
tessuti come quelle causate dall’instabilità di anca.
Infine sarebbe auspicabile anche una collaborazione tra chirurghi e fisioterapisti al fine
di sottoclassificare i soggetti con instabilità di anca ed individuare quei sottogruppi di
pazienti per cui è indicato il trattamento riabilitativo.
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26
ALLEGATO No. 1
La ricerca del materiale bibliografico è stata effettuata attraverso le banche dati on-line
Cochrane Library, PEDro e MEDLINE dal 15 luglio 2013 al 25 novembre 2013.
La ricerca attraverso la Cochrane Library è stata effettuata digitando “hip AND
instability” e “unstable AND hip”
La ricerca attraverso PEDro è stata effettuata digitando “hip AND instability” e
“unstable AND hip”
La ricerca attraverso MEDLINE è stata effettuata combinando le parole chiave “hip instability”, “unstable hip”, “rehabilitation”, “physical therapy”, “surgery”, “dysplasia” in diverse stringhe di ricerca, di cui si riportano alcuni esempi:
"hip instability"[All Fields] NOT ("surgery"[Subheading] OR "surgery"[All Fields] OR
"surgical procedures, operative"[MeSH Terms] OR ("surgical"[All Fields] AND
"procedures"[All Fields] AND "operative"[All Fields]) OR "operative surgical
procedures"[All Fields] OR "surgery"[All Fields] OR "general surgery"[MeSH Terms]
OR ("general"[All Fields] AND "surgery"[All Fields]) OR "general surgery"[All
Fields]) NOT dysplasia[All Fields]
"hip instability"[All Fields] AND ("rehabilitation"[Subheading] OR "rehabilitation"[All
Fields] OR "rehabilitation"[MeSH Terms]) NOT ("surgery"[Subheading] OR
"surgery"[All Fields] OR "surgical procedures, operative"[MeSH Terms] OR
("surgical"[All Fields] AND "procedures"[All Fields] AND "operative"[All Fields]) OR
"operative surgical procedures"[All Fields] OR "surgery"[All Fields] OR "general
surgery"[MeSH Terms] OR ("general"[All Fields] AND "surgery"[All Fields]) OR
"general surgery"[All Fields]) NOT dysplasia[All Fields]
"unstable hip"[All Fields] OR "hip instability"[All Fields] AND "physical therapy"[All Fields] Attraverso la ricerca iniziale sono stati trovati 202 + 14 + 17 articoli per un totale di 233 articoli, che in base ai criteri di inclusione ed esclusione sono stati ridotti a 8. Agli articoli così selezionati sono stati aggiunti altri 10 articoli e 2 libri come spiegato nei criteri di inclusione.