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1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata (FISPPA) Corso di laurea Magistrale in Psicologia clinico-dinamica Tesi di laurea Magistrale Psicologia dell’autodifesa. Una ricerca con partecipanti e istruttori di training di formazione. Self-Defence Psychology. A research with participants and training instructors. Relatore Prof. Adriano Zamperini Laureanda: Elena Giulia Sceusa Matricola: 1130026 Anno Accademico 2016/2017

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI

PADOVA

Dipartimento di Filosofia, Sociologia,

Pedagogia e Psicologia Applicata

(FISPPA)

Corso di laurea Magistrale in Psicologia

clinico-dinamica

Tesi di laurea Magistrale

Psicologia dell’autodifesa. Una

ricerca con partecipanti e

istruttori di training di

formazione.

Self-Defence Psychology.

A research with participants and training instructors.

Relatore

Prof. Adriano Zamperini

Laureanda: Elena Giulia Sceusa

Matricola: 1130026

Anno Accademico 2016/2017

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Capitolo Primo

Lo Stato come monopolista della “violenza legittima”

1.1 Delegare l’uso della forza allo Stato

Il senatore e filosofo Norberto Bobbio scrisse che alla base delle democrazie moderne

c'è il riconoscere ed il tutelare i diritti degli esseri umani (Zamperini & Menegatto

2016).

Zamperini e Menegatto (2016) ci fanno ragionare sul fatto che l'uomo che fa parte di

una società accetta di seguirne le leggi e di non farsi giustizia da solo, ciò significa che

cede la sua forza, la sua aggressività allo Stato che a sua volta, "indossando la maschera

della protezione", assume il potere di difendere ma anche di sanzionare coloro che le

regole non le seguono, poiché "ogni forma di potere si traduce in una limitazione della

libertà". Lo Stato istituisce degli organismi che garantiscano la tutela del cittadino e la

sua serena convivenza con gli altri ovvero gli agenti di controllo, le forze di polizia che

sono gli unici addestrati all'uso della forza per prevenire e reprimere il pericolo. Anche

per loro l'uso della forza non è sempre giustificato, la loro condotta deve essere

monitorata e la collettività pone molta attenzione a come gli agenti di controllo usano

questo potere che non dovrebbe mai trasformarsi in abuso.

Di base la maggior parte delle società democratiche si avvale di sanzioni non violente,

difatti Zamperini e Menegatto ci ricordano come quasi tutte le culture democratiche

hanno eliminato la pena di morte, a differenza delle dittature che usano mezzi violenti e

coercitivi.

"La forza di per sé non è ostile, la violenza sempre. Ne consegue che in democrazia la

violenza è vista principalmente come il ricorso illegale al potere e alla forza fisica."

(Zamperini & Menegatto, 2016, p. 25). Gli agenti di controllo operano secondo una

"violenza professionale legittimata" e ciò è una conseguenza del monopolio della forza

che lo Stato ha assunto: da una parte la violenza non è accettata nelle culture

democratiche, dall'altra lo Stato istituisce degli organi giustificati nell'uso di essa in caso

di pericolo, al servizio del bene. Ciò rende molto difficile giudicare quando l'uso della

violenza da parte di questi organi è legittimata o meno.

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Sempre Zamperini riporta il pensiero di Tucidide secondo il quale le leggi hanno il

potere di inibire la natura "violenta" dell'uomo, esse tengono a freno la natura umana

bestiale (2014, p. 67).

Egli ripercorre anche il pensiero di Freud che, parlando dell'individuo, spiega come la

sua mente possa essere paragonata ad uno Stato: l'Es, è la sua natura pulsionale che

preme per essere soddisfatta ed è caratterizzata anche da tendenze violente, è paragonata

ad una folla incontrollata che necessita di essere gestita. Il Super-Io, estremamente

severo nel cercare di arginare le continue richieste dell'Es, pianta dei paletti che sono

come delle leggi imposte all'individuo dallo Stato. L'Io dunque si ritrova a dover fare da

mediatore tra queste due istanze così contrastanti ed è costretto a mediare anche con la

realtà societaria.

Dunque le tendenze aggressive dell'uomo possono essere contenute solo grazie ad un

processo che Freud chiama di civilizzazione grazie a cui si rafforza la cognizione e che

Zamperini riassume come "il passaggio dall'orda allo Stato". Quindi per l'autore

viennese questi impulsi anarchici che fanno parte dell'individuo, possono essere

dominati solo da una società che li disciplini, in fondo però questa natura così

aggressiva non può essere trasformata (p. 27, 67 e 68).

Anche il filosofo Kant sostiene che solo le regole possono "delimitare il movimento

sovversivo delle passioni, sia sul piano individuale sia su quello collettivo" (Zamperini,

2014 p. 69).

Tornando a Freud, il processo di civilizzazione già citato sopra, consiste nel fatto che il

singolo individuo ceda la sua aggressività allo Stato. Poiché le leggi su cui lo Stato si

fonda dovrebbero tutelare il cittadino e garantire la sua sicurezza, esse arginano e

proibiscono azioni violente del singolo dettate dalle pulsioni, usando come deterrente la

punizione.

Lo Stato, a sua volta, non vuole totalmente eliminare le pulsioni distruttive del cittadino,

semmai vuole "monopolizzarle" o dominarle poiché potrebbero tornargli utili in tempo

di guerra per il raggiungimento dei suoi scopi (Zamperini, 2014 p. 69).

Freud non ci spiega perché lo Stato si appropria dell'aggressività dei singoli, ci dice solo

che "la trama dell'uccisione è scritta nel cuore di ogni persona" (Zamperini, 2014 p. 70),

ma Zamperini ci spiega che questa visione è un po' troppo semplicistica poiché "la

guerra è un fenomeno talmente complesso che non è certamente prodotta

meccanicamente da una (inesistente) entità come l'aggressività individuale" (2014 p.

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71), va considerata la prospettiva di chi combatte, le motivazioni politiche, economiche

e dettate dalla società in cui si vive.

Per Freud la natura autoritaria dello Stato può essere ricondotta a quella di un padre di

famiglia, infatti lo Stato, come il padre, dovrebbe proteggere, sorvegliare e anche

punire.

A ben considerare, il fondamento stesso di ogni ordinamento giuridico nei suoi tratti

basilari e più antichi è da sempre stato quello di costituire un'autorità legale e

riconosciuta alla quale delegare l'uso della forza. Attraverso questa delega, proveniente

da ogni singolo verso quell'autorità, si è resa possibile la pacifica convivenza dai

primordiali consessi umani fino alle società complesse dei nostri giorni.

Questo schema basato sulla delega dell'uso della forza individuale, ha offerto il

vantaggio di consentire la sopravvivenza in sicurezza anche degli individui più deboli, o

comunque meno forti, e ha consentito il sorgere dell'idea di un diritto soggettivo

tutelabile anche a vantaggio del più debole.

Ho utilizzato il termine "schema" volutamente, infatti il meccanismo appena descritto è

riuscito nel suo intento in modo soltanto "tendenziale", cioè con tutti gli scarti e le

disfunzioni che in ogni sistema legale di sicurezza pubblica si sono sempre verificati, in

proporzioni variabili e in molti periodi storici in modo assolutamente drammatico e

prevalente rispetto agli ordinamenti che lo garantivano. Ogni rivoluzione violenta, in

definitiva, non è altro che il ribaltamento di quello schema ad opera di una massa di

individui che rompe il patto che sta alla base della sopra ricordata delega dell'uso della

forza al potere costituito. Ma si è sempre trattato, in ogni caso, di un sovvertimento

marasmatico transitorio e breve: fino alla ricostituzione di un nuovo ordinamento che

raccolga, ancora una volta, quella delega antica e salvifica dell'umana convivenza,

capace di assicurare nuovamente che cives non currant ad arma, uno contro l'altro.

Inutile dire che lo schema predetto se ha sempre dimostrato di funzionare più o meno

egregiamente nei rapporti interpersonali all'interno di ogni singolo ordinamento, il

discorso cambia parecchio non appena l'obiettivo della pacifica convivenza si sposti su

di un piano inter-ordinamentale, come avviene nel confronto internazionale fra Stati.

Non è la sede per allargare a questo piano la riflessione, basterà dire che se i conflitti

armati e le guerre fra popoli e nazioni non sono purtroppo mai mancati nel pianeta lo si

deve all'inesistenza, fino ad oggi, di una autorità sovranazionale riconosciuta da tutti

alla quale delegare l'uso esclusivo della forza per risolvere i conflitti e le controversie

internazionali.

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Tornando quindi nel cerchio più ristretto di un singolo ordinamento, è dato osservare

come all'interno di un numero molto elevato di realtà sociali occidentali, tra le quali

indubbiamente è compresa quella italiana, si assiste ad una crisi sempre più

ingravescente della fiducia che i singoli ripongono nella capacità delle autorità deputate

a garantire la sicurezza, di onorare, ad un livello sufficiente, il loro impegno alla tutela

dell'incolumità degli individui.

Per "autorità deputate a garantire la sicurezza" intendo non solo quella di polizia (che

rappresenta la manifestazione più emblematica del monopolio delegato dell'uso delle

armi a scopo di tutela della sicurezza pubblica e privata interna) ma soprattutto quella

depositaria della forza sovrastante e di livello costituzionale rappresentata dagli apparati

giudiziari. La crisi di fiducia di cui ho detto ha riguardato e riguarda spesso entrambi i

detti livelli ed è motivata dalla percezione più o meno alta, più o meno diffusa, più o

meno giustificata di un'inefficienza di quegli apparati a rispondere alle nuove minacce

che insidiano il senso di sicurezza di ciascuno. E non ha qui la minima importanza

indagare (salvo qualche cenno che più avanti si farà a proposito del sistema e delle

modalità di esercizio della pubblica informazione) le cause prossime o remote di quella

inefficienza, o della percezione collettiva o individuale di essa, che possono risiedere

nelle disfunzioni dei segmenti politico rappresentativi e dell'informazione nei quali si

articola qualunque sistema ordinamentale.

Prima di andare alla disamina dei sintomi di questa crisi - effettiva o soltanto percepita

che sia- e all'ipotesi di contrasto al malessere psicologico che questa crisi scatena in

tanti, voglio guidare l'attenzione verso un principio paradigmatico dell'intensità della

delega allo stato dell'esercizio della forza (la tutela possessoria) e subito dopo verso

quello che, sul presupposto delle regola che nessuno possa farsi giustizia da solo,

contempla l'eccezione della legittima difesa individuale. Fatalmente, come vedremo, la

crisi di fiducia di cui ho detto finisce per creare spinte di insofferenza sempre maggiori

verso i limiti dell'autodifesa.

1.2 Ne cives ad arma ruant

Ne cives ad arma ruant che letteralmente significa "affinché i cittadini non vengano alle

armi", è una massima giuridica latina che spiega la funzione legislativa in una società

civile, di regolare la convivenza tra cittadini ed evitare che ricorrano alle armi per

ottenere una giustizia "fai da te".

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Questo brocardo latino spiega la finalità (ratio) di alcune norme riguardanti la tutela

possessoria nel Codice Civile:

Art. 1168- Azione di reintegrazione.

1. Chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l'anno

dal sofferto spoglio, chiedere contro l'autore di esso la reintegrazione del possesso

medesimo.

2. L'azione è concessa altresì a chi ha la detenzione della cosa, tranne il caso che l'abbia

per ragioni di servizio o di ospitalità.

3. Se lo spoglio è clandestino, il termine per chiedere la reintegrazione decorre dal

giorno della scoperta dello spoglio.

4. La reintegrazione deve ordinarsi dal giudice sulla semplice notorietà del fatto, senza

dilatazione.

La tutela possessoria di cui all'art. 1168 del Codice Civile spetta a chiunque. Anche a

chi possieda illegittimamente (ad es. per furto o per ricettazione) e sia stato a sua volta

spogliato violentemente o clandestinamente della cosa posseduta, ad esempio dal

derubato che si sia riappropriato del bene con violenza o di nascosto, facendosi così

giustizia da sé. Ecco che qui la ratio ne cives ad arma ruant è molto chiara.

Non significa che non esistano più norme riguardanti la legittima difesa, esse tutelano

chi, costretto a difendersi, reca un danno al suo aggressore, questo è un principio che sul

piano penale esclude la punibilità di chi si difende (legittimamente) e sul piano civile

esclude che chi si difende debba risarcire il danno provocato con la sua difesa legittima.

Altra norma che persegue l’equilibrio del sistema è quella dedicata alla legittima difesa

che è prevista dal Codice Penale, dal Codice Civile e dal Diritto amministrativo.

- Codice Penale:

Art. 52- Difesa legittima.

1. Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di

difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta,

sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa.

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2. Nei casi previsti dall'articolo 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di

proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente

presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un'arma legittimamente detenuta o altro

mezzo idoneo al fine di difendere:

a) la propria o la altrui incolumità;

b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione.

3. La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia

avvenuto all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale,

professionale o imprenditoriale.

- Codice Civile:

Art. 2044 - Legittima difesa.

Non è responsabile chi cagiona il danno per legittima difesa di sé o di altri.

- Diritto amministrativo

Art. 4, Legge del 24 novembre 1981, n. 689- Cause di esclusione della responsabilità.

Non risponde delle violazioni amministrative chi ha commesso il fatto

nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima ovvero in stato di

necessità o di legittima difesa.

1.3 Statistiche e percezione sociale

Nonostante la paura diffusa rispetto ai reati contro la persona, per cui il singolo sente di

doversi difendere, il sociologo Marzio Barbagli, assieme ad Asher Colombo, già nel

2010 raccoglieva dei dati discordanti statistici rispetto alla percezione del senso

comune. I sociologi ci informano che "sono diminuiti gli omicidi; mai, in questo paese,

se ne sono registrati tanto pochi negli ultimi quarant’anni. Sono diminuiti i furti, mentre

le rapine hanno subito un vero e proprio crollo (anche se restano reati ancora molto

frequenti). Alcuni reati sono addirittura virtualmente scomparsi, come i sequestri di

persona a scopo di estorsione perpetrati dalla criminalità organizzata." (Barbagli e

Colombo, 2011 p. 1)

I reati come le rapine, dunque quelli contro la proprietà, erano molto presenti dalla fine

degli anni Cinquanta agli anni Ottanta, poi hanno subito un crollo. Negli anni '80 in

Italia, il 72% dei reati denunciati alle Forze dell'Ordine erano proprio rapine.

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Proseguendo, Barbagli sottolinea come gli omicidi in Italia siano diminuiti moltissimo e

individua il 2009 come l’anno in cui è stato registrato il numero più basso di omicidi,

ovvero 1 ogni 100 mila abitanti.

Barbagli spiega: " Anche in Italia, infatti, come nel resto dell’Europa la criminalità

violenta ha subito una contrazione molto decisa nel corso degli ultimi due secoli. Si

tratta della coda di un lungo processo che in Europa ha avuto inizio agli inizi del

Seicento in Inghilterra e poco dopo nei Paesi Bassi e che, pur con oscillazioni e bruschi

ma momentanei cambiamenti di direzione, è proseguito ininterrottamente fino all’ultima

decade del Novecento. In Italia questo processo ha avuto un avvio abbastanza tardivo e

per lungo tempo il nostro paese ha mantenuto un tasso di violenza letale assai più alto di

quello del resto d’Europa." (p. 5)

Qui di seguito riporto i dati più recenti (dal 2006 al 2015) estratti dal sito Istat rispetto al

numero di delitti denunciati dalle forze di polizia all'autorità giudiziaria (si veda Tabella

1). Rispetto alla tabella originale mi sono concentrata esclusivamente sui delitti che

riguardano aggressioni verso persone o proprietà, ovvero quelli che più,

nell'immaginario dei cittadini, costituiscono una minaccia.

Effettivamente il totale dei delitti è calato di molto, notiamo un calo importante dal

2014 al 2015. Gli omicidi volontari che fino al 2009 erano calati, come analizzato anche

da Barbagli, hanno avuto poi di nuovo una crescita nel 2013 quando se ne sono

registrati ben 868 in tutta Italia, per poi scendere nuovamente in maniera considerevole.

Il 2012 è stato l'anno che ha registrato i picchi più alti per delitti come percosse, lesioni

dolose, minacce e ingiurie, tutti però calati successivamente.

Violenze sessuali e atti sessuali con minorenni sono calati; così come i furti in generale.

I furti in abitazione registrano nel 2014 il loro apice, per poi calare nel 2015. I furti in

attività commerciali sono effettivamente cresciuti rispetto al 2009, ma nel 2015 se ne

registrano comunque meno rispetto al 2007 e anche al 2014. Le rapine sono calate,

anche quelle in pubblica via, così come gli attentati e le associazioni a delinquere o di

tipo mafioso.

Gli unici delitti che sono cresciuti in questi ultimi anni sono le estorsioni, le truffe e le

frodi informatiche e i delitti informatici.

Secondo il rapporto BES 2016, che analizza anche la percezione di sicurezza dei

cittadini, essa è costante rispetto al 2009 e stanno migliorando alcuni indicatori

soggettivi.

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“Diminuisce la preoccupazione per sé o per altri della propria famiglia di subire una

violenza sessuale e si notano meno di frequente segni di degrado sociale nella zona in

cui si vive.” (p.105 BES 2016)

Nonostante donne e anziani restino i gruppi più deboli e più impauriti di subire violenze

e reati, nell'ultimo anno si è registrato un maggior senso di sicurezza soprattutto tra le

ragazze che temono meno le violenze sessuali. Il BES spiega come siano in calo certe

forme di violenze sessuali contro le donne, soprattutto grazie alla prevenzione e

sensibilizzazione portate avanti dalle forze dell'ordine e dai centri antiviolenza; oltre alle

norme approvate e l'attenzione da parte dei media riguardo l'argomento. C'è poi maggior

capacità da parte delle donne di affrontare situazioni pericolose.

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Tab. 1

Dati Istat

N. Vittime 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015

Stragi 26 21 28 23 12 14 18 10 20 20

Omicidi

Volontari

Consumati

621 627 611 586 526 550 528 868 475 469

Omicidi colposi 2148 2040 1881 1718 1765 1783 1716 1597 1633 1745

Percosse 13809 14917 15288 15205 14270 15196 15659 15606 15285 15249

Lesioni dolose 59143 63602 65791 65611 64866 68500 69527 66317 66178 64042

Minacce 71856 81073 83580 83483 81164 83316 86347 86294 85211 82539

Seq di persona 1608 1867 1816 1481 1436 1443 1474 1353 1278 1166

Ingiurie 55361 61737 64453 64479 62230 65370 67213 66414 64601 58620

Violenze sessuali 4513 4897 4893 4963 4813 4617 4689 4488 4257 4000

Atti sessuali con

minore 460 501 474 492 582 489 558 523 494 505

Corruzione di

minore 192 182 168 170 175 143 120 155 173 148

Furti 1585201 1636656 1392544 1318076 1325013 1460205 1520623 1554777 1573213 1463527

Furti in

abitazione 141601 166838 150761 150843 169163 204891 237355 251422 255886 234726

Furti in es

commerciali 101122 107465 92263 88184 90598 92736 98581 104393 106457 102041

Rapine 50270 51210 45857 35822 33754 40549 42631 43754 39236 35068

Rapine in

pubblica via 26051 25909 23040 18351 16873 20657 21210 22311 20528 18466

Estorsioni 5400 6545 6646 6189 5992 6099 6478 6884 8222 9839

Truffe e frodi

informatiche 109059 120710 104174 99366 96442 105692 116767 140614 133261 145010

Delitti

informatici 2394 3799 4952 5510 5973 6933 7346 9421 10846 9857

Attentati 618 544 447 376 490 439 522 462 386 410

Assoc. Per

delinquere 1074 1011 871 872 744 906 943 792 986 844

Assoc. Di tipo

mafioso 128 140 125 131 128 93 68 75 89 85

Altri delitti 363629 388842 415138 420252 409525 403735 410997 459478 439120 420024

Totale 2771490 2933146 2709888 2629831 2621019 2763012 2818834 2892155 2812936 2687249

Dati estratti il 19 apr 2017, 07h39 UTC (GMT), da I.Stat

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1.4 La rappresentazione dei mass media

La percezione spesso errata del senso comune viene sovente alimentata dai media che

influenzano il sentire diffuso a seconda di come espongono le notizie. Negli ultimi

tempi i notiziari pongono continuamente in risalto le notizie di aggressioni o violenze

subite dal singolo: violenza contro le donne, spesso perpetrate da ex fidanzati o mariti;

negozianti che subiscono rapine e reagiscono per legittima difesa, a volte in maniera

proporzionata all'offesa, altre volte sfociando in un eccesso di difesa e pestaggi in cui

"un branco" di ragazzi se la prende con un singolo, spesso per motivi futili che sfociano

in tragedie.

Barbagli nel suo articolo "Quando il cittadino si sente insicuro" riporta una frase dell'ex

presidente dell'Associazione nazionale magistrati rispetto all'insicurezza percepita dai

cittadini "Gli italiani sono convinti di vivere in un paese insicuro perché lo dice la tv”

nonostante siano diminuiti gli omicidi in Italia e negli altri paesi europei. Chi si dichiara

insicuro non lo dice per esperienza diretta, ma giudica l'insicurezza in termini relativi,

confrontando la situazione attuale con quella passata o con la percezione che si ha della

criminalità in altri paesi. Barbagli spiega come questa percezione non sia razionale

poiché i dati sugli omicidi dimostrano come, in realtà, il livello di sicurezza nel nostro

paese si sia alzato molto e come gli italiani, rispetto anche solo agli anni novanta del

novecento, rischiano molto meno di essere uccisi. I dati indicano inoltre come questo

calo dei delitti sia forte soprattutto in alcune regioni o città: a Palermo ad esempio nel

2015 si sono registrati solo otto omicidi a dispetto dei centododici del 1982. Barbagli

ancora ci dice che per secoli l'Italia registrava il più alto numero di omicidi dell'Europa

centro settentrionale, mentre ora il tasso è più basso di Francia, Grecia e Inghilterra.

Anche l'immigrazione, è un altro argomento che i media e le testate giornalistiche

trattano quotidianamente, presentando gli immigrati a tratti come pericolosi nemici,

riportando e rimarcando soprattutto i reati commessi dagli stranieri, a tratti come

profughi bisognosi di aiuto e in cerca di un futuro migliore.

Le diverse testate giornalistiche sottolineano questo o quell'aspetto a seconda anche

dell'orientamento politico che sentono proprio.

Il livello alto di attenzione sul tema induce la popolazione a sentirsi insicura e a temere

aggressioni soprattutto quando l’accento è posto sulla “pericolosità” degli immigrati.

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Se a questo aggiungiamo che il senso comune, anche in questo caso, alimentato anche

dai media e dai pregiudizi, rimarca la lentezza della giustizia e l'inefficienza di essa

dovuta alla convinzione, spesso erronea, che i criminali non vengano puniti a

sufficienza o addirittura non puniti affatto, allora si crea un senso di insicurezza e di

ingiustizia che porta le persone ad essere convinte che solo facendosi ragione da sé,

otterranno la giustizia che meritano.

Sarebbe invece utile che i media dessero informazioni veritiere anche spiegando ai

cittadini concetti giuridici complessi. Sarebbe infatti importante essere chiari sulla

differenza tra indagato, imputato e condannato, termini giuridici che hanno significati

estremamente diversi, ma spesso confusi dalle persone con la conseguenza di generare

frustrazione e senso di ingiustizia.

Ad esempio, quando riportano notizie riguardanti la legittima difesa (come i casi citati

sopra di negozianti che hanno subito rapine o aggressioni e si sono difesi o aggressioni

per strada o nelle abitazioni), andrebbero spiegate le leggi in vigore chiarendo come

tutelano e come limitano, con l'effetto per i cittadini di sentirsi più tutelati e consapevoli

di come la legge garantisce per loro, se si difendono.

1.5 Rabbia e aggressività

Zamperini (2014) spiega che l'aggressività del singolo, di cui lo Stato si vuole

appropriare per poterlo gestire meglio, si accompagna ad un'emozione fondamentale: la

rabbia. Spesso infatti si pensa che la causa dell'aggressività, sia proprio la rabbia. Sono

moltissimi i contesti in cui la rabbia può esprimersi: il lavoro, la famiglia, la scuola. La

cultura dominante però ha cercato di reprimere la rabbia, proprio perché un cittadino

arrabbiato potrebbe rivoltarsi contro lo Stato ed essere incontrollabile. "La società ha

grande interesse nella regolazione delle emozioni: fissa i criteri e le regole del sentire;

stabilisce chi e in quale situazione possa provare in modo adeguato una certa

emozione". Quindi si è cercato di convincere i lavoratori che non era opportuno fare

rimostranze usando rabbia, ma esprimendosi in modo tranquillo. A casa si è insegnato ai

bambini che chi si esprime con rabbia ha spesso torto e che le emozioni si esprimono in

maniera pacata. La rabbia è diventata una modalità infantile di esprimersi.

Essa è un'emozione potente e difficile da gestire, quindi la cosa più facile è stata

trasformarla in qualcosa di sbagliato e addirittura di preoccupante. Chi la esprime è

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subito categorizzato come "sbagliato" o ingestibile o deviante, così sono nati tutti quegli

specialisti che insegnano come gestire questa emozione.

Zamperini spiega che culturalmente la rabbia è accettabile solo se espressa da certe

persone come nel caso degli atleti che praticano sport di contatto.

Inoltre Zamperini pone l'attenzione su come la legittimità ad arrabbiarsi o meno, sia

spesso legata al ruolo, alla posizione che si ricopre, "la rabbia è rivolta verso il basso",

ovvero i leader si arrabbiano con i sottoposti, sono legittimati a farlo, come se la rabbia

avesse anche la funzione di mantenere e rimarcare la gerarchia.

Questi tentativi della società di debellare la rabbia, tuttavia non ne hanno fatto

scomparire le espressioni da parte del singolo, mettendole invece ai margini e

circoscrivendole a certe situazioni. Le emozioni fanno parte della nostra vita quotidiana

e spesso sono anche molto intense: "le persone hanno paura del terrorismo, si

deprimono per le politiche sull'austerity, sono scioccate per le violenze di guerra e si

sentono fiere (oppure si vergognano) della loro identità nazionale" (Zamperini, 2014).

Quindi anche la rabbia del singolo permane, essa viene espressa da ognuno di noi

quando ci sembra di subire un'ingiustizia o un torto.

È innegabile che la crisi di sicurezza e di fiducia nei suoi custodi, sempre più avvertita

ed in modo diffuso, possa fungere da moltiplicatore della rabbia individuale e della

frustrazione che deriva dal fatto di non poterla esprimere se non a prezzo di una forte

riprovazione sociale, al di là delle canalizzazioni nelle quali essa è ritenuta ammissibile

come sopra ho accennato.

Tuttavia, benché la collettività non sembra fortunatamente giunta già al punto di

revocare la delega fiduciaria allo Stato dell'uso della forza a difesa di tutti, è innegabile

la forte ascesa del desiderio di tanti di potenziare o quanto meno di approntare mezzi

individuali di difesa dalla continua sensazione di pericolo incombente che avvertiamo.

Ciascuno vuole sentirsi pronto e all'altezza di agire o di reagire al bisogno, quantomeno

nelle situazioni in cui egli stesso si trovi esposto ad un attacco fronteggiabile con le

proprie forze, senza dover attendere i tempi necessariamente non istantanei

dell'intervento della Polizia o, peggio, quelli considerati troppo lunghi che le leggi

processuali per altro impongono. I tempi dipendono da una certa stratificazione dei

principi di garantismo (ad esempio tre gradi di giudizio, come minimo, prima che una

condanna diventi definitiva; prescrizioni dei reati sempre più corte che non consentono

nemmeno di arrivare alla condanna).

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Sono tre le tendenze principali a cui ricorrono le persone per sentirsi più sicure rispetto

l'eventualità, anche solo immaginata, di ricevere un attacco: la prima è la tendenza ad

acquistare armi. Bisogna distinguere la detenzione dell'arma dal porto d’armi. Nel primo

caso l’arma va denunciata alle Forze dell'Ordine dal detentore e anche dal venditore ma

si prevede che la persona possa tenerla esclusivamente in casa propria e non permette di

portarla con sé al di fuori della propria abitazione. Il porto d'armi, invece, consiste in

una licenza specifica che la persona può chiedere e che autorizza a portare con sé l'arma

al di fuori della propria abitazione. È un permesso che in Italia viene rilasciato solo a

certe condizioni e a persone che non hanno mai avuto procedimenti giuridici a loro

carico. Solo a giudici, forze dell'ordine, ufficiali penitenziari e pochi altri il porto d'armi

è concesso senza dover fare richiesta specifica a causa dei rischi che questi mestieri

possono presumibilmente comportare.

Una seconda tendenza comprensibile è quella dell'acquisto e addestramento di cani per

la guardia di abitazioni o da difesa della persona, che in alcuni casi sostituiscono

l'antifurto o il possesso di un'arma.

La terza tendenza, sulla quale indagherò in questa tesi è l’interesse sempre maggiore per

corsi che insegnano tecniche di autodifesa. Questi corsi, quando fatti seriamente,

insegnano alle persone esclusivamente come difendersi da attacchi che possono

avvenire soprattutto per strada o nelle proprie abitazioni e non ad attaccare per primi

senza motivo, inoltre gli istruttori sottolineano come la difesa sia da mettere in atto solo

quando la fuga non è possibile. Questi corsi insegnano come usare oggetti che si

trovano per strada in maniera tale da farli diventare utili strumenti da difesa. Non si

tratta di un'arte marziale che prevede allenamenti impegnativi e lunghi e che solo anni e

anni di preparazione possono far raggiunger una buona acquisizione delle tecniche

specifiche in cui l'atleta deve far sue le basi della disciplina e interiorizzare movimenti e

posizioni che non sempre all'inizio sono sentite come naturali ma che per essere efficaci

vanno provate e riprovate fino a farle proprie, inoltre gli allenamenti faticosi fanno sì

che l'atleta per raggiungere una prestazione ottimale debba avere salute e prestanza

fisica.

L'autodifesa presenta alcune differenze importanti rispetto alle arti marziali descritte

sopra, prima di tutto non è necessario che chi si interessa a questa disciplina abbia un

bagaglio pregresso da atleta marzialista o sia estremamente allenato poiché le tecniche

insegnate cercano di sfruttare movimenti che la persona è capace di eseguire

naturalmente e istintivamente o comunque non richiedono, per essere eseguite, anni di

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preparazione. Per tale ragione molti di questi corsi sono aperti a tutti, senza limitazioni

di età o di sesso perché, intuitivamente, tutti potrebbero essere interessati a imparare a

difendersi. La tecnica si può adattare rispetto alla persona che la esegue, essa può essere

efficace in più modi e può essere messa in atto, cambiando poche cose, anche da chi ha

problematiche fisiche di diverso genere. Molti di questi corsi sono diretti e frequentati

da donne e ragazze perché l'efficacia di queste tecniche non dipende dalla forza fisica

esercitata sull'altro, ma prevedono che la persona per difendersi colpisca punti dolorosi

per chiunque.

Questa breve descrizione dell'autodifesa è propedeutica alla spiegazione rispetto

l'oggetto di questa che indaga sul possibile rapporto tra l'insicurezza dei cittadini e la

preoccupazione per l'incolumità, anche solo percepite e l'interessamento ai corsi di

autodifesa. Potrebbe essere, questa tendenza, un sintomo, assieme agli altri due sopra

descritti, del venir meno della fiducia del cittadino nello Stato. Il cittadino percepisce di

poter contare solo su se stesso quando si tratta di sicurezza, potrebbe essere un modo di

riprendersi parte di quella forza che aveva delegato allo Stato e grazie a cui percepire di

avere più controllo rispetto alla propria incolumità e maggior auto efficacia.

O ancora, forse non tutti i cittadini sono interessati a questo tipo di corsi, ma solo una

categoria ben precisa di persone che hanno subito violenze o traumi in passato e che

hanno trovato come forma di auto aiuto e terapia questi corsi per avere la percezione di

riacquistare controllo sulla propria esistenza e avere meno paura quando camminano per

strada.

Il campo di indagine che qui intendo affrontare ha come obiettivo comprendere se le

persone prendano parte a questi corsi per sentirsi più capaci di gestire la paura percepita

di poter subire un'aggressione per strada e quindi se sia un utile modo per aumentare la

propria auto efficacia e, imparando certe tecniche, per accrescere la propria

consapevolezza corporea. O se possano fungere da valida alternativa rispetto alla

richiesta del porto d'armi; o ancora se per coloro che hanno subito in passato aggressioni

o violenze possa essere un modo di recuperare forza e senso di libertà dalla paura

incombente di subire ancora un trauma.

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Capitolo secondo

Lo stato dell’arte

2.1 Distribuzione geografica della ricerca

Il tema dell'auto-difesa è sicuramente molto sentito dai cittadini che, come abbiamo

visto, si sentono insicuri e in pericolo, fomentati dalle notizie preoccupanti che sentono

ogni giorno sui telegiornali. Questo ha fatto sì che il tema dell’auto-difesa, rivolto

soprattutto a donne e categorie più deboli, sia diventato centrale anche in politica. Molti

sindaci in Italia hanno attivato nei loro comuni corsi di auto-difesa femminile gratuiti

principalmente per ragazze, facendo leva sui pericoli cui possono incorrere quando

girano sole per strada e sulla possibilità di acquisire maggiore sicurezza grazie alla

frequentazione di questi corsi.

Nonostante l'attualità di questo tema, esso non è stato trattato di frequente dalla

comunità scientifica psicologica, soprattutto nel contesto europeo.

In Nord America (Stati Uniti e Canada) la maggior parte dei corsi di auto-difesa sono

rivolti a ragazze che frequentano i campus universitari (Söchtig et al., 2004; Hollander,

2010; Brecklin & Middendorf, 2014) poiché qui il tasso di stupri è molto alto e le

vittime solitamente sono ragazze molto giovani. Le donne che frequentano i college

universitari sono una popolazione importante da cui ricavare campioni per ricerche che

trattano la prevenzione della violenza: prima di tutto perché sono un target a rischio di

attacchi sessuali, poi perché molti programmi di prevenzione contro tali attacchi si

tengono nei college e hanno lo scopo di sensibilizzare sulla questione e ridurre

l'incidenza delle aggressioni. In realtà, da alcuni studi emerge che questi programmi di

prevenzione si sono rivelati inefficaci nel ridurre l'incidenza di attacchi sessuali

(Hollander, 2010). Alcuni autori hanno analizzato e rivisto gli studi che trattavano gli

effetti dei corsi di auto-difesa condotti fino a quel momento e, già al tempo, avevano

sottolineato quanto fosse importante, per i programmi di prevenzione contro lo stupro,

presentare tecniche che insegnassero a proteggere se stessi e che avessero anche un

effetto di accrescimento dell'auto-efficacia e dell'autostima. Secondo gli autori gli

obiettivi di questi programmi erano quello di aumentare le abilità delle donne a

riconoscere una situazione potenzialmente pericolosa e quello di aumentare la

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consapevolezza rispetto agli effetti dell'alcool, soprattutto per le ragazze giovani che

tendevano a sottovalutare i rischi (Söchting et al., 2004).

I corsi di auto-difesa che si tengono nei campus universitari americani comprendono

solitamente una parte fisica di apprendimento delle tecniche e una parte di discussione

per far sì che le ragazze possano capire quali abitudini cambiare per proteggersi (come

chiudere sempre la porta di casa o non girare la sera in luoghi non frequentati) e, più in

generale, come applicare l'autodifesa in contesti di vita quotidiana.

In America vige ancora per molti aspetti una cultura di tipo machista, dove il maschio è

dominante e la donna è considerata debole, incapace di proteggersi, vulnerabile e

passiva (McCaughey, 1997; 1998).

Inoltre negli Stati Uniti esiste una percezione della sicurezza personale molto diversa da

quella europea e italiana in particolare. In molti Stati americani, infatti, la maggior parte

delle persone è autorizzata a possedere un'arma da fuoco e portarla con sé.

In Italia, invece, gli unici autorizzati ad essere armati sono i rappresentanti delle Forze

dell'Ordine e pochi altri.

Negli Stati Uniti c'è una visione diversa di cessione della propria forza allo Stato che si

può dire, non sia mai completamente avvenuta. Per molti americani possedere un'arma è

indispensabile ed irrinunciabile poiché probabilmente la percezione è che nessuno possa

garantire la propria sicurezza meglio di se stessi. Questo chiaramente crea anche molti

problemi, gli incidenti sono frequenti e spesso le armi vengono usate impropriamente o

finiscono nelle mani di minori che, ovviamente, non hanno l'esperienza e il controllo

nell'usarle.

Anche tra le Forze di Polizia, si può immaginare, che il nervosismo sia maggiore, così

come la percezione del pericolo: se colui che deve essere arrestato è anche armato,

diventa tutto più pericoloso ed è molto più facile “premere il grilletto” se si ha paura che

l'altro possa sparare per primo. Il nervosismo, però, fa sì che si commettano errori più

facilmente e che “parta il colpo” quando non è necessario.

Inoltre, se la maggior parte delle persone sono armate, anche coloro che non vorrebbero

ricorrere alle armi potrebbero sentirsi costretti a farlo per difendere se stessi o i propri

cari.

La questione delle armi è talmente radicata in America che addirittura ai bambini, fin da

molto piccoli, viene insegnato come usare un'arma.

Tutto ciò mi ha permesso di ragionare sul fatto che forse la maggior parte delle ricerche

sull'autodifesa, quale rimedio allo stupro, si concentrano sulle ragazze giovani poiché

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sono un target che possiede meno frequentemente un'arma o forse perché le Università

non permettono di possederne all'interno dei campus.

La Figura 1 mostra come si collocano geograficamente gli studi trovati su Psychinfo che

spiegherò in breve successivamente.

Fig.1

Collocazione geografica

Il 75% degli studi sono stati condotti negli Stati Uniti; il 14% delle ricerche europee

sono state svolte in Olanda, di cui una in collaborazione con l’Università di Manchester

in Inghilterra e analizzano gli effetti dell’auto-difesa sull’operato della Polizia.

L’8% degli studi comprende due articoli condotti in Kenya da ricercatori del luogo e

americani un articolo condotto in Uganda da ricercatori canadesi.

Il 3% degli studi riguarda una revisione, condotta da Söchtig, Fairbrother & Koch

(2004), delle ricerche che hanno valutato gli effetti dei programmi anti-stupro.

1 articolo(3%)

5 articoli(14%)

3 articoli(8%)

27 articoli(75%)

Collocazione geografica

Usa e Canada Olanda e Inghilterra Kenya e Uganda Usa

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2.2 La ricerca in prospettiva temporale

Gli studi trovati su Psychinfo e quelli riportati dagli autori nelle loro ricerche hanno date

diverse. Le date più antiche risalgono agli inizi degli anni '80 del 900 e arrivano fino al

2017. Alcuni di questi studi sono dello stesso autore che, negli anni, ha sviluppato

ricerche che esplorassero ipotesi diverse sull'auto-difesa.

La Figura 2 illustra l’andamento temporale della ricerca.

Fig. 2

Prospettiva temporale

Negli anni ’70 i movimenti femministi americani si ribellarono al fatto che la donna

fosse da sempre considerata più debole fisicamente e senza i mezzi necessari per

provvedere alla sua sicurezza. McCaughey (1998) ha sottolineato due punti importanti

della critica femminista: prima di tutto, la ricerca rivela il fatto che il genere è

incorporato nel corpo come effetto storico; poi che l’aggressività spesso è considerata

una sorta di “marcatore” della differenza sessuale, ovvero un atteggiamento aggressivo

è considerato prettamente maschile, mentre in una donna viene spesso criticato. Il

pensiero femminista di quegli anni considerava la nostra società basata sulla cultura

della violenza: la violenza sessuale e la paura di essa sono accettate dalla convenzione

0

5

10

15

20

25

30

35

40

Anni '80 Anni '90 Anni 2000-2009 Anni 2010-2017

Prospettiva temporale

Prospettiva temporale

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sociale, poiché i modelli culturali prevalenti rimarcano la differenza di genere e

riconoscono l'aggressione maschile contro le donne come normale o inevitabile e il

rifiuto delle donne come patologico o innaturale. L'autrice nella sua ricerca spiega come

questa cultura abbia spinto le femministe a rivalutare la comprensione del corpo e l’uso

della violenza.

Il corpo della donna è sempre stato considerato dalle femministe come oggetto di

violenza da parte dell'uomo e della società patriarcale. La violenza era considerata uno

strumento prettamente maschile e per questo motivo molte femministe si sono rifiutate

di apprendere una pratica che implicasse l'uso di una certa aggressività come l’auto-

difesa.

Fahs (2015, p. 391) si è concentrata sui cambiamenti portati negli anni dalle ondate di

femminismo e per quanto riguarda l'auto-difesa, l'autrice spiega come negli anni '60 del

900 la “Cell 16” ovvero un gruppo di femministe radicali di Boston aveva deciso che il

modo migliore per combattere la violenza fisica e sessuale verso le donne fosse

rispondere combattendo, letteralmente. Il gruppo aveva iniziato imparando e insegnando

ad altre donne come auto-difendersi con tecniche del Karate e Taekwondo. La loro

argomentazione si basava sul fatto che le donne dovevano rispondere alla violenza, al

terrore di essere picchiate, allo stalking e alle intimidazioni imparando tecniche di

combattimento per auto-difendersi in caso di bisogno.

Nel libro “Noi e il nostro corpo” (The Boston Women’s health book collective, 1978) è

chiaro che l’idea di questo movimento era di stimolare le donne ad essere preparate

sotto tutti i punti di vista per non subire violenze carnali. Le autrici spiegavano che

essere pronte fisicamente e mentalmente può essere d’aiuto in caso di aggressione per

non farsi prendere dal panico e che “parlare con altre donne delle loro e delle nostre

esperienze e allenarci insieme alla lotta, alla corsa e all’urlo può essere utile” (p. 192).

Vengono forniti consigli pratici per prevenire aggressioni come tenere le finestre chiuse

di notte o mettere catenacci alle porte esterne, farsi installare inferriate e illuminare a

giorno i portoni. Inoltre, consigliano di concordare con altre donne, vicine di casa, un

segnale particolare per invocare aiuto e sottolineano che conoscere metodi per

difendersi fa sentire più sicure e può aiutare in caso di bisogno. Ad esempio spiegano

che le donne dovrebbero sapere e ricordarsi, in caso di bisogno, di tirare calci poiché

possono colpire parti dell’aggressore anche più lontane rispetto che con un pugno che

richiede maggior vicinanza e non sempre è efficace, se ad esempio, non lo si sa tirare

bene.

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L’argomento viene concluso con la frase “Non abbiate paura di fare del male a chi vi fa

del male” (p. 193).

Anche McCaughey (1998) sottolinea l’importanza di imparare l'aggressività fisica come

via per sfidare e scardinare la convinzione del genere radicato nel corpo e spiega come

l'autodifesa cambi l'idea di vittima femminile impotente e dell'uomo come colui che

attacca. La donna che si auto difende rifiuta lo status di potere che l'attacco vorrebbe

imporle, ovvero quello di debole. L'autodifesa opera non solo a livello di idee, di

relazioni sociali e interazioni (es. ruoli e credenze) ma anche a livello di corpo stesso,

cambia il significato di avere un corpo femminile.

Quindi vediamo come l’interesse per questioni come sicurezza e diritti delle donne

cresce anche grazie a questi movimenti che prendono a cuore questioni come l’auto-

difesa.

Vediamo dalla Fig. 2 che negli anni ’90 c’è una crescita nella quantità di ricerche

sull’auto-difesa, per la maggior parte riguardanti training di difesa personale femminile.

Il picco cresce ancora negli anni 2000, infatti molti degli articoli trovati sono di quegli

anni, in particolare molti del 2004.

Potremmo dire che l’interesse per l’argomento è rimasto costante fino ai giorni nostri,

con molti studi recenti, collocabili nel periodo 2014-2015.

2.3 I temi di ricerca

Per condurre la mia ricerca ho supposto che molti studi si concentrassero sull'autodifesa

femminile, così ho abbinato prima di tutto la parola “gender” a “self-defence”.

Come previsto, la maggior parte degli studi si concentrano proprio sull'autodifesa

femminile e i vari ricercatori hanno ipotizzato come questa possa avere effetti sull'auto

efficacia, sull'assertività e sui ruoli di genere. Poiché la società occidentale, nonostante

l’asserita parità di genere, suggerisce che la donna sia ancora considerata e si consideri

debole e passiva rispetto all'uomo, alcuni studi si sono concentrati sul ruolo

dell'autodifesa proprio nel modificare questa visione che le donne hanno di se stesse,

cambiando la percezione del loro corpo da debole e indifeso a forte e capace di

difendersi.

Molti di questi studi sottolineano che un training di auto-difesa non ha solo il beneficio

e lo scopo di insegnare a difendersi, ma ha degli effetti spesso molto positivi che

influenzano la vita di ogni giorno delle persone che li frequentano. Tra questi, l'auto-

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efficacia è sicuramente un effetto benefico di cui molti autori hanno sottolineato

l'importanza, per questo ho cercato studi che si incentrassero più nello specifico proprio

su questo aspetto abbinato all'autodifesa.

Bandura (1977; 1986; 1989; Ozer e Bandura, 1990) è sicuramente uno dei più

importanti studiosi di “self-efficacy” e anche molti altri hanno trovato risultati

importanti che hanno permesso di delineare il significato e l'importanza dell'auto-

efficacia nell'autodifesa e non solo.

Abbinando la parola “police” con “self-defence” sono emerse ricerche che trattano

l'importanza di avere abilità di autodifesa quando si fa parte delle Forze dell'Ordine e

quali effetti hanno queste capacità quando il soggetto è in azione e deve, ad esempio,

eseguire un arresto. Gli autori (Renden et al. 2015) individuano le conoscenze pregresse

di tecniche di arti marziali come fattore di maggior efficacia durante le azioni di polizia.

L'ultimo filone comprende studi in cui un corso di auto-difesa ha avuto un ruolo

fondamentale nella terapia per la cura del Disordine Post-Traumatico di donne che

hanno subito eventi quali violenze sessuali in diversi ambiti. In questo caso, dunque, il

collegamento è stato tra la parola “trauma” e “self-defence”.

La Tabella 2 chiarifica quali sono gli argomenti principali trattati dagli autori nelle

ricerche sull’auto-difesa che citerò.

Tab. 2

Argomenti

Argomenti Contenuti

Gender - Studentesse di college

- Identità di genere e etnia

- Differenze maschi/femmine auto-

difesa

Auto-efficacia e altri benefici - Studi condotti prevalentemente su

donne

Police - Effetti auto-difesa nel contenere

l’ansia e nel migliorare la

performance durante gli arresti.

Trauma - Auto-difesa come trattamento

aggiuntivo nella cura del PTSD

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2.4 Gender and self-defence

Jocelyn A. Hollander (2004) spiega che le classi di autodifesa trattano sia la violenza

sessuale contro le donne sia la socializzazione cercando di colmare le disuguaglianze di

genere, spesso ciò richiede che le donne imparino una certa quota di aggressività fisica e

verbale e l’importanza del contatto fisico in allenamento, aspetti che rendono

l'autodifesa impegnativa per le donne.

Per autodifesa verbale si intende l'acquisizione di maggior assertività, i corsi

comprendono discussioni su problemi psicologici ed emotivi riguardo sia la violenza

contro le donne che l'auto-difesa.

Nel suo studio l'autrice ha ipotizzato che un corso di autodifesa femminile possa ridurre

il rischio di attacco per le donne cambiando il loro senso del sé, le loro credenze come

donne, e le interazioni con il mondo circostante, incluse le loro risposte rispetto a

situazioni tipicamente pericolose. Questi cambiamenti pervaderebbero tutti gli aspetti

della vita della donna: le sensazioni che ha di se stessa e degli altri; le interazioni con gli

estranei e le sue relazioni intime.

Il gruppo comprendeva due corsi di auto-difesa femminile tenuti presso un’Università

americana occidentale, in tutto 36 donne.

Hollander sottolinea come, contrariamente a quanto riportato da altri studi, il fatto che

donne traumatizzate siano più invogliate a partecipare ad un corso di autodifesa non è

stato confermato dal suo campione. Ciò che l'autrice ha trovato, invece, conferma

quanto questi corsi abbiano influenzato la vita delle studentesse e ciò era valido per tutte

e 36 le partecipanti.

Gli aspetti in cui i cambiamenti sono stati più consistenti sono: l'interazione con

l'estraneo e con l'altro in generale, anche conosciuto; le sensazioni rispetto al corpo,

ovvero percezione di maggior controllo, di maggior forza, potere e di maggior

apprezzamento verso il proprio corpo; una maggior consapevolezza di se stesse; il corso

ha cambiato la loro visione di essere donne, come il fatto di poter essere forti e

comunque femminili e di poter avere il controllo della loro sicurezza. Molte partecipanti

hanno dichiarato che il corso ha avuto effetti sulla loro quotidianità imparando ad

evitare o prevenire situazioni pericolose (chiudere la porta a chiave più spesso, lasciare

una luce accesa e chiedere di identificarsi prima di aprire alla porta).

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Le partecipanti hanno riportato inoltre di aver utilizzato le nuove abilità acquisite in

situazione percepite come potenzialmente pericolose, come l'essere approcciate da

qualcuno la notte fuori casa. Hanno percepito di aver acquisito maggior sicurezza grazie

al corso e maggiori abilità nell'auto-difendersi da una violenza.

L'auto-difesa trasforma tre aspetti della vita delle donne: la paura di un'aggressione

sessuale; il sé, che viene valorizzato e onorato, e la concezione che si ha del genere che

cambia grazie a nuove idee e nuove esperienze fisiche. Tutto ciò cambia la visione di

cosa un corpo di donna può fare poiché, come spiega la McCaughey (1997), le credenze

sul genere non sono solo cognitive ma sono impresse nel corpo stesso. Viene inoltre

evidenziato come il corpo maschile non sia invulnerabile.

Ullman (1997) ha dimostrato che resistere dal punto di vista fisico con forza o scappare

o spingere via l’aggressore o semplicemente resistere verbalmente, urlando, siano

efficaci nell’evitare lo stupro. Inoltre resistere ad un attacco sembra non aumenti il

rischio per la donna di subire conseguenze (Ullman e Knight 1992; Ullman 1998).

Anche altri studi importanti hanno dimostrato che dopo aver preso parte ad un corso di

autodifesa, le donne hanno riportato minor livello di paura e più confidenza nelle loro

abilità di difendersi (Cohn, Kidder, & Harvey, 1978; McCaughey, 1997; McDaniel,

1993; Ozer & Bandura, 1990; Weitlauf, Smith, & Cervone, 2000).

Rispetto l’aver subito traumi pregressi o violenze come motivazione ad intraprendere un

corso di auto-difesa, la letteratura riporta risultati contrastanti.

Follansbee (1982), ad esempio, trovò che il 30% delle donne partecipanti ai corsi di

auto-difesa erano state vittime di stupro contro il 12% di donne che frequentavano altri

corsi.

L’autrice ha ipotizzato che le donne che si avvicinano a questi corsi hanno più

probabilità di aver subito esperienze di abuso fisico da bambine o abuso sessuale

infantile e vittimizzazione sessuale da adulte, rispetto a coloro che non hanno preso

parte al corso.

I risultati hanno dimostrato che effettivamente le donne del corso avevano in maggior

percentuale sofferto di abusi fisici e sessuali da bambine o da adulte. Poiché nel

presente studio l'abuso sessuale da bambine era collegato con l'aggressione sessuale da

adulte, l'autrice ha sottolineato come sia fondamentale incoraggiare donne con storie

pregresse di abusi ad iniziare corsi di auto-difesa e assertività poiché potrebbero offrire

loro importanti benefici terapeutici. Fra questi la riduzione di stress provocato

dall'evento, paura, ansia, vulnerabilità e comportamenti di evitamento e potrebbero

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accrescere l'auto-efficacia, il controllo, l'autostima e le abilità a porre limiti. Per questo

l'autrice suggerisce che dovrebbe esserci commistione tra programmi di auto-difesa e

sedute di counselling per queste vittime.

Le donne che avevano subito violenze in passato riportavano che al momento

dell'aggressione la loro resistenza era stata inefficace e che dunque intraprendevano un

training di auto-difesa per migliorare questa resistenza, se in futuro avessero dovuto

affrontare una situazione simile.

I risultati hanno riportato che le vittime che avevano una formazione pregressa di

autodifesa, in maggior percentuale hanno bloccato l'aggressore e lo hanno reso meno

aggressivo grazie alla loro resistenza, rispetto a coloro che non avevano svolto un corso

di autodifesa. Inoltre le donne “addestrate” si sono dimostrate più arrabbiate e meno

spaventate durante l'attacco rispetto alle altre vittime.

L'obiettivo principale di questi training è rendere le donne capaci di difendersi da

potenziali aggressioni ma si è visto non essere affatto l'unico risultato ottenuto. Questi

corsi migliorano i livelli di assertività, autostima, ansia, percezione del controllo, paura

di subire aggressioni sessuali e auto-efficacia. Gli autori sottolineano come i corsi di

auto-difesa dovrebbero essere parte integrante dei quei programmi anti-stupro. Altri

effetti positivi derivanti dai training di auto-difesa sulle donne sono l'empowerment, la

maggior fiducia in sé, minor paura, più capacità di interagire serenamente con gli

estranei, sensazioni positive rispetto a se stesse e al proprio corpo e un generale senso di

accresciuto valore (Brecklin, 2004; Brecklin & Ullman, 2004; Brecklin & Ullman,

2005; Brecklin, 2008; Hollander 2010).

Dai risultati di Hollander (2014) è emerso, invece, che sono le donne che non

partecipano ai corsi di auto-difesa ad aver subito stupri con più probabilità.

Williams & Hebl (2005) spiegano come l'aggressività sia una delle differenze più

studiate e documentate nel comportamento tra i due generi. Si è visto come gli uomini

solitamente siano più portati delle donne a usare comportamenti aggressivi rispetto alle

donne. In ogni caso, questa differenza si riduce moltissimo o si elimina nel caso in cui

l'aggressività sia una risposta ad una provocazione. I ricercatori riportano la meta analisi

di Bettercourt e Miller (1996) in cui analizzano 64 studi sull'aggressività dei

partecipanti agli studi che venivano provocati. Dai risultati emerge che le donne sono

aggressive quanto gli uomini quando provocate. Questi dati suggerirebbero che di fronte

ad un'aggressione fisica da parte di un estraneo, uomini e donne non dovrebbero

differenziarsi rispetto all'aggressività che usano per difendersi. Inoltre come dimostrano

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vari studi già citati, (Bachman & Carmody, 1994; Ullman, 1998), a dispetto delle

credenze di senso comune, resistere ad un’aggressione fisica non accresce la possibilità

di avere maggiori danni fisici da parte dell'aggressore.

McDaniel (1993) aveva chiesto anche alle partecipanti a training di auto-difesa perché

avevano deciso di intraprendere quel corso e in quell'occasione le donne avevano

riportato una certa varietà di ragioni, ma soprattutto il desiderio di imparare tecniche per

difendersi da sole da un attacco e anche il desiderio di acquisire maggior fiducia in se

stesse. Confrontando il gruppo di auto-difesa con un altro gruppo di donne che

frequentavano un altro corso, è risultato che le corsiste del primo gruppo riportavano

maggior paura del crimine e meno fiducia in se stesse e alle loro capacità a difendersi da

un'aggressione, rispetto al secondo gruppo.

Anche Hollander (2001) ha fatto un sondaggio in cui ha chiesto a studentesse americane

le motivazioni ad intraprendere o no questi corsi di auto-difesa. L' autrice spiega che le

studentesse del college sono una popolazione importante su cui basare studi sulla

prevenzione alla violenza, prima di tutto perché hanno un alto rischio di attacchi

sessuali, secondo perché la maggior parte dei programmi di prevenzione si trovano nei

campus dei college, purtroppo molti di questi corsi non hanno ottenuto i risultati sperati

e si sono dunque rivelati inefficaci. Inoltre le studentesse dei college sono uno dei target

che frequenta maggiormente questi corsi poiché sono proposti dalle Università stesse.

Quindi come popolazione è un buon punto di partenza per valutare questi corsi di auto-

difesa.

I risultati riportavano che l’aver subito attacchi pregressi non è stato un fattore

determinante per la partecipazione al corso di quel gruppo di donne, anche perché circa

un quarto delle donne del training di self-defence non hanno riportato di aver vissuto

esperienze del genere. Solo una minoranza di coloro che hanno riportato un'esperienza

di attacco sessuale, incluso lo stupro, l'hanno citata come ragione principale

dell'avvicinamento a questo percorso. La ragione principale che le donne hanno

riportato come motivazione per aver intrapreso questo training era che avevano sentito

parlare bene del corso da altre persone. Ciò potrebbe significare che decidere di

prendere parte ad un corso di auto-difesa fa parte di un processo sociale, che prevede la

connessione con gli altri che incoraggiano e testimoniano la validità del corso.

La seconda ragione riportata spesso era la possibilità di cambiare parti di sé: imparare a

difendersi fisicamente, diventare più assertive o fiduciose in se stesse e imparare a

difendersi verbalmente. In comune queste tre intenzioni avevano la voglia di

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raggiungere in futuro il sé desiderato, ovvero più indipendente, capace e fiducioso del sé

presente. L'essere fiduciose, capaci, autosufficienti, insieme al non voler dipendere dagli

altri sono tutti fattori non convenzionali per le donne, considerate ancora spesso il sesso

debole, passivo e bisognoso di protezione (Hollander, 2001; McCaughey, 1997). Come

affermato da McCaughey (1997; 1998). un corso di auto-difesa cambia il significato di

avere un corpo femminile e cambia il significato di essere donna

La terza ragione principale che ha spinto questo gruppo di donne a seguire un training di

auto-difesa è la paura della violenza, il 75% delle donne ha riportato di aver subito

qualche forma di vittimizzazione sessuale, dunque più che l'attacco sessuale pregresso, è

la paura o la minaccia di subire una violenza che ha spinto queste donne a voler

imparare a difendersi (Hollander, 2010; Rosenblum, 2007).

Sempre J. A. Hollander (2014) riporta che in America una donna su cinque sia stata

stuprata ad un certo punto della sua vita e molte altre abbiano vissuto tentativi di stupro

o altre intrusioni a scopo sessuale. Come si può immaginare le conseguenze sono spesso

traumatiche e provocano un incremento della paura e di auto-restrizioni. Molti

programmi per sensibilizzare l'argomento non hanno dato i risultati sperati, mentre i

corsi di auto-difesa hanno preso più piede e sono proposti da Università, dipartimenti di

polizia, corsi di arti marziali e centri anti-stupro. Altri studi già citati, hanno trovato

come resistere allo stupro aumenti le possibilità di evitarlo e altri ancora hanno

sottolineato le conseguenze positive dei corsi sulla vita delle donne.

Il corso prevedeva una parte di insegnamento fisico e verbale delle tecniche di auto-

difesa e una parte di discussione emotiva e psicologica degli aspetti salienti dell'auto-

difesa come l'aggressione sessuale, domestica, lo stalking e di tutti quegli ideali di

genere che rendono la donna sottomessa e che la costringerebbero a mettere davanti le

priorità e i desideri degli altri, a scapito dei suoi.

La ricercatrice ha distinto i tipi di aggressioni sessuali subite dalle ragazze in: contatto

sessuale, coercizione sessuale, tentato stupro, stupro e nessun tipo di aggressione e ha

potuto notare come per ogni categoria, le ragazze che non avevano preso parte al corso

di auto-difesa hanno riportato in proporzione più aggressioni rispetto colore che

avevano preso parte al corso. In totale il 12% delle ragazze che avevano frequentato il

corso hanno riportato un'aggressione sessuale durante il periodo di frequentazione del

training e oltre il 30,6% tra le ragazze che non facevano parte del corso. Inoltre nessuna

del corso ha riportato un'esperienza di stupro, mentre il 2,8% delle ragazze non

frequentanti, sì.

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Le allieve anche dopo un anno dal corso di auto-difesa riportavano alti livelli di auto-

efficacia e assertività e sostenevano che il training avesse rafforzato la fiducia nelle loro

abilità di auto-difendersi dalle violenze. Queste analisi potrebbero indicare che donne

che partecipano a corsi di auto-difesa hanno meno probabilità di subire esperienze di

aggressioni sessuali e hanno più fiducia nelle loro abilità a resistere agli attacchi rispetto

a coloro che non hanno partecipato a questi training.

Lisa Speidel (2014) ha esplorato la percezione dell'identità di genere e di etnia di cinque

studentesse Afroamericane che hanno frequentato per un semestre un corso di auto-

difesa. Ciò che la ricercatrice ha esplorato è la rilevanza che hanno l’etnia e il genere

nelle loro esperienze di auto-difesa. Si è concentrata su tre aree che sono solitamente

considerate delle barriere nei corsi di auto-difesa: l'immagine del proprio corpo e gli

standard di bellezza, la percezione della forza e la percezione della propria vulnerabilità

di fronte ad una violenza.

Le partecipanti non hanno trovato che l’etnia avesse qualche collegamento con la loro

percezione di forza data dal corso di auto-difesa. Il tema è riemerso quando la

ricercatrice si è concentrata sul concetto di vulnerabilità e di paura delle violenze delle

partecipanti. Tre ragazze su cinque hanno riportato un'esperienza di violenza sessuale.

Le storie delle partecipanti dimostrano come l’etnia e il genere sono vissuti

simultaneamente, nello specifico nelle aree dell'immagine del corpo, negli standard di

bellezza, nella percezione della forza e nei sentimenti di vulnerabilità davanti ad una

violenza.

Le storie delle ragazze hanno confermato i risultati di altri studi rispetto ai benefici che

ha l'auto-difesa nel migliorare l'immagine del proprio corpo, i sentimenti di

empowerment, forza, assertività, insieme a minor vulnerabilità e maggior indipendenza.

La ricercatrice fa notare come per le ragazze non fosse subito chiaro il ruolo dell’etnia

nella loro decisione di prendere parte al training, ma dopo un po' per loro è stato chiaro

che l'insieme del contesto storico che rimarca l'oggettivazione sessuale e la violenza

contro le donne Afroamericane, a cui si aggiunge lo stereotipo della donna forte e nera,

hanno fatto sentire tutte loro vulnerabili a violenze sessuali.

Il senso di empowerment per le donne è un risultato importante dei corsi di auto-difesa,

è stato riportato infatti che quando un corso di auto-difesa si basa sul potenziamento

dell’empowerment è necessario dare un contesto sociale alla violenza spostando il senso

di colpa e la responsabilità dalle vittime agli aggressori. Bisogna sottolineare

l'importanza che anche il corpo femminile, imparando determinate competenze, può

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difendersi e diventare forte e potente. Le donne non devono accettare lo stereotipo che

impone la società, ovvero che il genere femminile è debole e quello maschile è

invincibile e imparare delle tecniche, che prevedono anche l'uso di una certa

aggressività, attribuita solitamente all'uomo, aiuta le donne ad apprendere una nuova

concezione del proprio corpo, che non deve subire violenze o aggressioni sessuali. Ciò

può aumentare la sicurezza personale delle donne e migliorare la qualità delle

interazioni con gli altri nella vita quotidiana.

Altri risultati (Brecklin & Middendorf, 2014; M. Thompson, 2014) hanno sottolineato

come le dinamiche del setting in cui si trova il gruppo di partecipanti al corso di auto-

difesa giocano un ruolo importante non solo nel miglioramento delle abilità delle donne

ad imparare e ad eseguire in modo efficace le tecniche, ma anche nella costruzione della

loro fiducia ed empowerment. Quest’ultimo è necessario perché aiuta la donna a

superare ogni esitazione nell' usare resistenza fisica.

Le classi di auto-difesa sembrano offrire alle partecipanti un'atmosfera positiva e

collaborativa che aumenta il loro apprendimento e la loro performance quando devono

auto-difendersi. Dunque molte donne dovrebbero essere invogliate a prendere parte a

corsi di autodifesa poiché offrono interazioni di gruppo supportive e benefici

promettenti.

Alcuni autori hanno valutato se e come un programma basato sulle arti marziali per sole

donne, potesse avere un effetto in un contesto sociale diverso come l’Uganda in cui la

violenza domestica e di genere è molto elevata. In quel contesto la disparità di genere è

molto elevata, dunque la violenza perpetrata sulle donne comprende una violazione

emotiva dei diritti della donna, oltre che fisica e sessuale che fa sì che le donne non

siano completamente integrate nella società. Il programma puntava a migliorare la

disciplina, le capacità di leadership e di autodifesa delle donne della comunità. Lo

studio ha dimostrato che la partecipazione a questo programma di auto-difesa ha messo

in discussione proprio quegli stereotipi convenzionalmente assegnati al genere e ha

aumentato la fiducia delle partecipanti (Hayhurst et al., 2014).

Secondo Carleton & Chen (1999) è fondamentale che i programmi di autodifesa

vengano portati nelle scuole e rivolti ai giovani, ma deve essere enfatizzata moltissimo

la parte meditativa delle arti marziali per incentivare lo sviluppo anche mentale di chi

partecipa.

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2.5 Self-efficacy and self-defence

Abbiamo già visto che tra i vari benefici dell’auto-difesa c’è l’aumento del senso di

auto-efficacia e proprio per questo alcuni studi si sono concentrati più nello specifico su

questo aspetto.

Chiariamo prima di tutto cosa si intende per auto-efficacia. Uno degli studiosi più

importanti sull'argomento è certamente Albert Bandura che aveva definito l'auto-

efficacia come “la convinzione nelle proprie capacità di organizzare e realizzare il corso

di azioni necessario a gestire adeguatamente le situazioni che incontreremo in modo da

raggiungere i risultati prefissati. Le convinzioni di efficacia influenzano il modo in cui

le persone pensano, si sentono, trovano le motivazioni personali e agiscono” (1986).

L'auto-efficacia può originare da quattro diverse fonti: per prima le esperienze

personali, ovvero i ricordi di esperienze pregresse affrontate con successo e che quindi

fanno sentire la persona in grado di essere efficace per il futuro.

Poi c'è l'esperienza vicaria che consiste nell'avere dei modelli che conseguono, grazie

all'impegno, obiettivi simili a quelli cui aspira la persona e questo aiuta credere che, con

un simile impegno, è possibile farcela.

Segue la persuasione, ovvero la capacità di convincere sé stessi che possiamo

conseguire un obiettivo.

Infine le persone si basano sugli stati emotivi e fisiologici per valutare le proprie

capacità, quindi una situazione in cui si sente stress e ansia spesso viene percepita con la

sensazione di fallimento (Bandura, 1977).

Di conseguenza l'auto-efficacia ha degli effetti sui processi cognitivi, ovvero aiuta a

porsi degli obiettivi e pianificare come raggiungerli; sulle motivazioni che influenzano

l’attribuzione causale, le aspettative del risultato e gli obiettivi rappresentati

cognitivamente. Infine, influenza i processi di scelta facendo sì che automaticamente si

evitino ambienti che si considerano oltre le proprie possibilità e i processi affettivi

ovvero maggiore è l'auto-efficacia, più le persone sono decise nell'affrontare una

situazione che ritengono stressante con successo.

Bandura (1977) ha condotto uno studio il cui intento era di spiegare i cambiamenti

psicologici derivanti da diverse modalità di trattamento. Secondo la sua teoria

qualunque forma di trattamento psicologico altera il livello di auto-efficacia. Ciò che

ipotizzava era che l'auto-efficacia personale determina se “il comportamento di coping”

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viene avviato, quale sarà lo sforzo che applicherà la persona in questo comportamento e

il tempo che impiegherà nell'affrontare esperienze ostacolanti.

Un aspetto che riporta Bandura nel presente studio è che il persistere in attività

soggettivamente stressanti e minacciose, ma relativamente sicure, produce, imparando a

padroneggiarle, un accrescimento dell'auto-efficacia.

L'ambito dei corsi di auto-difesa potrebbe mettere effettivamente sotto stress le persone,

poiché vengono simulate situazioni di potenziale pericolo in cui c'è sia contatto fisico

che aggressività verbale e gestuale, ma allo stesso tempo è un ambiente protetto e sicuro

in cui ci si allena e si potenziano proprio aspetti che ci mettono sotto stress e si impara a

gestirli.

Come riportato sopra, Bandura spiega che le aspettative rispetto alla propria auto-

efficacia dipendono dalla performance, dall'esperienza vicaria, dalla persuasione verbale

e da stati fisiologici. Le fonti che sembrano avere più effetto sulla percezione della

propria efficacia sono quelle esperienziali.

Successivamente Bandura & Ozer (1990) hanno condotto uno studio le cui ipotesi erano

che le proprie capacità percepite di coping (gestione attiva; risposta efficace), assieme al

controllo cognitivo dell'auto-efficacia avessero degli effetti sull'empowerment di donne

che dovevano affrontare minacce fisiche. Lo studio prevedeva che delle donne

partecipassero ad un programma in cui imparavano a difendersi efficacemente contro un

aggressore disarmato che tentava di attaccarle sessualmente. Bandura (1986) aveva

studiato che i metodi di empowerment operavano attraverso i meccanismi di self-

efficacy.

La difficoltà degli attacchi cresceva verso la fine del trattamento, ma poiché è aumentata

l'auto-efficacia percepita di coping, ciò ha reso più semplice respingere le cognizioni

negative. I risultati dello studio rivelano che l'auto-efficacia percepita nel respingere le

cognizioni intrusive è una determinante importante per quanto riguarda l'ansia. Dopo il

programma, le donne hanno giudicato se stesse come meno vulnerabili rispetto alla

vittimizzazione sessuale e più abili a distinguere le condizioni di sicurezza da quelle di

rischio.

Ciò che non ha subito miglioramenti è la percezione generale della società rispetto al

rischio di subire un attacco sessuale, ma hanno percepito livelli più bassi rispetto al

personale rischio di subirne uno. Inoltre le partecipanti hanno dichiarato di avere meno

pensieri negativi e un'attivazione minore dell'ansia. La maggior auto-efficacia si è

riflessa anche in maggior libertà di movimento e hanno anche ridotto la loro tendenza ad

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evitare certi comportamenti, come ad esempio il non camminare più per strada

guardando l'asfalto, ma a testa alta.

Questi cambiamenti illustrano l'importante funzione di prevenzione data da un forte

senso di auto-efficacia protettiva.

I ricercatori riportano che urlare e fare resistenza fisica ad un'aggressione fosse una

strategia efficace che ha permesso a molte di evitare uno stupro (Bart & O'Brien, 1984)

L'auto-efficacia percepita ha a che fare con la capacità delle persone di mobilitare la

motivazione, le risorse cognitive e le azioni necessarie ad esercitare controllo sugli

eventi. Credenze diverse, rispetto alla propria efficacia, hanno effetti diversi sul

funzionamento psicosociale, le persone cercano di evitare quelle situazioni che credono

vadano oltre le loro personali capacità e scelgono ambienti in cui si giudicano capaci

(Bandura, 1989; Betz & Hackett, 1986).

Secondo la teoria cognitivo-sociale di Bandura (1988), l'auto-efficacia percepita nel

controllare eventi potenzialmente minacciosi ha un ruolo centrale nell'attivazione

dell'ansia. Le persone che ritengono di avere controllo su situazioni pericolose, hanno

livelli minori di ansia rispetto a coloro che invece si considerano meno abili a

controllare quel tipo di situazioni e sono, quindi, maggiormente ansiose. Tutto ciò, a

mio parere, potrebbe avere dei risvolti interessanti anche in una situazione in cui si sente

la minaccia di una situazione potenzialmente pericolosa per se stessi, come

un'aggressione fisica o sessuale. Se una persona che pratica un corso di auto-difesa

accresce il suo senso di auto-efficacia percepita, di conseguenza anche lo stress e l'ansia

provocati dal pensiero di trovarsi in una situazione pericolosa o addirittura il trovarcisi

effettivamente, dovrebbero diminuire.

Alcuni ricercatori (Weitlauf et al., 2000; 2001; Hinkelman 2004) hanno trovato risultati

interessanti studiando come, accrescendo le competenze fisiche di auto-difesa, le donne

possono potenziarsi e considerarsi più libere nelle attività di ogni giorno avendo meno

paura. Ciò che gli autori valutavano erano gli effetti di un training di auto-difesa

sull'auto-efficacia percepita e su qualsiasi altro aspetto riguardante il sé.

Nello specifico i risultati hanno riportato un accrescimento della percezione dell'auto-

efficacia nel difendersi e allo stesso modo una maggior efficacia percepita fisica e

globale. Le donne, poi, hanno riportato di sentirsi più assertive. Hanno percepito un

aumento della loro auto-efficacia non solo rispetto alle tecniche di auto-difesa, ma

anche per altri aspetti come la percezione di avere più abilità nell'auto-difesa, più

competenze sportive e maggiori abilità di coping.

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Le partecipanti hanno sperimentato anche un miglioramento in aspetti più globali della

personalità, tra cui l'auto-efficacia fisica.

I risultati indicano che le donne che hanno frequentato un corso di auto-difesa hanno

raggiunto livelli significativi di assertività, auto-efficacia legata all’ attività, nell’auto

difendersi e rispetto al rapporto con gli altri.

Baiocchi M. et al. (2016) hanno valutato l'effetto di un training di potenziamento e di

auto-difesa per ragazzine dai 10 ai 16 anni di Nairobi, unendolo ad un training per

l'uguaglianza di genere e per promuovere una mascolinità positiva a ragazzini dai 10 ai

13 anni. L'obiettivo era la diminuzione di attacchi sessuali verso le ragazzine che

partecipavano al progetto.

Le ragazze hanno riscontrato un accrescimento dell'auto-efficacia e sembrerebbe che

questo tipo di intervento riduca gli attacchi sessuali verso le adolescenti. Questo tipo di

interventi sono particolarmente efficaci nel prevenire violenze sessuali poiché durante la

pre-adolescenza ci sono basse probabilità di aver subito aggressioni sessuali. Sia questo

studio che quelli precedenti, che si sono concentrati soprattutto sulla prevenzione,

rimarcano come sia importante includere training per cambiare le idee sul genere. Ad

esempio gli autori riportano come le violenze domestiche in Sud Africa sono diminuite

grazie a programmi preventivi che prevedevano un intervento strutturato sui problemi

sull’uguaglianza di genere e sulla prevenzione contro l'HIV (Pronyk et al., 2006).

Nello studio di Baiocchi anche i capi delle comunità sono stati coinvolti, ad un certo

punto del training, così da fare da esempio e fare la differenza.

Uno dei risultati più importanti è stato proprio l'incremento dell'auto-efficacia, grazie

all'intervento rivolto alle ragazzine e hanno considerato che l'incremento dell'auto-

efficacia possa essere un meccanismo che ha un reale effetto sulla diminuzione di

violenze sessuali verso le ragazze.

Sinclair et al. (2013) hanno proposto uno studio per determinare gli effetti di un

programma standardizzato di auto-difesa di sei settimane per ragazze adolescenti.

Oltre la metà delle ragazze del gruppo di auto-difesa, che hanno riportato di aver subito

un attacco sessuale nell'anno successivo al corso, hanno dichiarato di aver usato le

abilità apprese nel training per difendersi. Inoltre c'è stata molta divulgazione

sull'efficacia del corso di auto-difesa partita proprio dal gruppo di ragazze che lo

frequentavano.

Alcuni autori hanno messo a confronto l'efficacia di corsi di arti marziali con corsi di

auto-difesa rispetto all'aumento dell'auto-efficacia e alla riduzione della paura. Una

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percentuale cospicua delle donne partecipanti allo studio (42%) hanno riportato di aver

subito un tentato o effettivo stupro.

I risultati dello studio hanno riportato che le donne nel gruppo del corso di auto-difesa

hanno aumentato il loro livello di auto-efficacia rispetto alle abilità di difendersi e

hanno ridotto i livelli di paura verso le minacce della vita quotidiana, rispetto al gruppo

dei corsi di arti marziali. Rispetto al gruppo di comparazione, le donne del corso di

auto-difesa avevano significativamente meno paura. Gli autori fanno notare come, a

dispetto di quanto trovato da Weitlauf (2001) e David et al. (2006), né la self-efficacy

riguardante l'attività né quella riguardante la sfera interpersonale hanno subito

miglioramenti in nessuno dei due gruppi (Ball e Martin 2011).

Dalla ricerca di Angleman et al. (2009) non sono emersi i medesimi risultati e hanno

spiegato come la percezione nel senso comune dei corsi di arti marziali è che le tecniche

siano troppo coreografate e quindi poco applicabili in un contesto reale. Inoltre c'è la

tendenza a considerare questi corsi come maggiormente adatti agli uomini piuttosto che

alle donne. Lo scopo degli autori era però sottolineare il fatto che queste idee sono frutto

di una cattiva concezione dei corsi di arti marziali. Essi spiegano che secondo loro, per

sfuggire efficacemente ad un attacco, è necessario avere competenze, abilità fisiche e

capacità di esecuzione di queste competenze fisiche da mettere in pratica quando si è

costretti. Secondo l'opinione degli autori, a dispetto di quanto trovato da Ball e Martin

(2011), queste competenze specifiche possono accrescere maggiormente grazie ad un

corso di arti marziali e non di auto-difesa. Il motivo è che quest'ultimo non fornisce la

preparazione per raggiungere un buon livello di competenze e automaticità nelle

tecniche. Inoltre, un corso di arti marziali fornisce le abilità di allenarsi sia in gruppo

che individualmente, mentre il corso di auto-difesa permette di allenarsi solo tra

partecipanti. Gli autori sottolineano che è molto importante, per dei corsi che puntano

alla protezione di sé, che le tecniche appena apprese vengano provate in un contesto in

cui si inscena un combattimento realistico con aggressori di diversa stazza e forza. Ciò è

considerato in modo molto diverso nei training di arti marziali rispetto a quelli di auto-

difesa.

3 Police and self-defence

Il terzo filone di ricerche riguarda le Forze dell’Ordine e l’auto-difesa che viene loro

insegnata durante il periodo di preparazione come bagaglio necessario in situazioni di

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pericolo, le ricerche valutano le loro abilità di auto-difesa e non le conseguenze di aver

frequentato un corso di auto-difesa nello specifico.

I ricercatori (Nieuwenhuys et al. 2009; Renden et al, 2014; Renden et al. 2015a;) hanno

valutato gli effetti dell'ansia sull'esecuzione di un arresto da parte di alcuni agenti e sulle

loro abilità di auto-difesa. Lo studio prevedeva che loro eseguissero tre compiti in cui

dovevano tirare calci, bloccare o contenere un oppositore che li attaccava o con un

coltello di gomma (situazione di bassa ansia) o con un coltello che dava la scossa

(situazione di alta ansia). La loro performance è stata valutata in termini di tempo nei

movimenti, postura e velocità nei movimenti e accelerazione. I risultati hanno

dimostrato che la performance era peggiore nelle situazioni in cui l'ansia era alta: la loro

performance conteneva caratteristiche del comportamento evitante, come reazioni più

veloci per ridurre il tempo di esposizione alla minaccia, nei calci mettevano il peso

molto all'indietro per non avvicinarsi troppo e si abbassavano molto quando dovevano

bloccare l’avversario. Successivamente hanno investigato come alcuni poliziotti

olandesi percepiscono le loro abilità ad arrestare e quelle di auto-difendersi e le loro

abilità a gestire la violenza in servizio.

Hanno valutato un campione molto ampio di agenti online e i risultati hanno dimostrato

come l'avere esperienze pregresse di violenza durante il servizio o l’aver praticato arti

marziali fosse positivamente associato con il percepire di avere una performance

migliore. Gli agenti che hanno dichiarato di provare ansia più spesso hanno riportato di

aver avuto maggiori problemi. I poliziotti hanno fatto considerazioni sul fatto che

spesso i loro training di preparazione sono troppo poco frequenti e che le abilità di

arresto e di auto-difesa che sono state loro insegnate sono usabili solo moderatamente. I

training dovrebbero puntare al lavoro sotto stress, che aumenta il livello di ansia e

insegna loro a lavorare adeguatamente anche in quelle occasioni.

Successivamente hanno condotto uno studio in cui hanno valutato più nello specifico se

agenti con esperienze pregresse nelle arti marziali presentassero performance migliori

nell'arresto e nelle situazioni in cui è necessario auto-difendersi, sia in scenari in cui

l'ansia e poca che tanta. Nello specifico erano interessati a capire se la frequentazione di

training anche di una sola volta a settimana facessero già la differenza per una

performance migliore in una situazione di ansia elevata.

I risultati hanno dimostrato che gli agenti con esperienze pregresse nelle arti marziali e

nel Krav Maga, seppur praticato una volta a settimana, hanno dimostrato di avere

performance migliori in situazioni di ansia elevata (Renden et al.; 2015b).

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Inoltre i risultati sembrano dimostrare che un corso di auto-difesa basato sul

miglioramento e potenziamento dei riflessi prepari meglio le Forze dell'Ordine

nell’affrontare situazioni di arresto in cui la pressione è molto alta, rispetto al corso che

regolarmente viene loro proposto (Renden et al.; 2017).

4 Trauma e self-defence

Bessel van der Kolk è uno studioso del trattamento del disturbo post-traumatico da

stress. Egli spiega come l’umano sia una “specie estremamente resiliente” (2015, p. 3)

poiché siamo stati capaci di risollevarci dopo guerre e tragedie, tornando alla normalità.

Egli sottolinea che un americano su cinque ha subito abusi sessuali da bambino, uno su

quatto è stato maltrattato e picchiato dai genitori e in una coppia su tre ci sono state

violenze fisiche. Dunque, non si parla solo di esperienze traumatiche su larga scala,

come catastrofi naturali o disastri perpetrati dall’uomo stesso, che hanno conseguenze

storiche, culturali e sociali, ma anche di eventi traumatici individuali che influiscono

sulla vita di ogni giorno delle persone.

Le vittime di esperienze traumatiche, come soldati o donne che hanno subito violenze,

turbate da questi eventi, cercano di far finta di niente e andare avanti come se non fosse

successo nulla e questo richiede il dispendio di molte energie. “Permettere a se stessi di

ricordare richiede un enorme coraggio e fiducia” (p. 16). Mentre le persone vogliono

dimenticare, “la parte del nostro cervello deputata alla sopravvivenza… non è così abile

a denegare” (p. 4). Infatti, al minimo segno di situazione pericolosa, l’evento traumatico

potrebbe essere richiamato alla mente e mettere in moto proprio quella parte del

cervello disturbata che richiamerà molti ormoni dello stress.

L’autore riporta alcuni sintomi ricorrenti in molti pazienti che soffrono di PTSD

(Disturbo da stress post traumatico), che è una delle possibili forme di disturbo che può

sfociare da eventi traumatici, ma non l’unica. Il primo sintomo è il “numbing” ovvero

una sorta di ottundimento che non permette di sentire nulla emotivamente, poi possono

esserci incubi notturni e attacchi di rabbia, che spesso coinvolgono i familiari della

vittima. Il trauma, infatti, non riguarda solo la persona che ne soffre direttamente, ma

anche i suoi cari che, come spiega van der Kolk, possono cadere in depressione poiché

si ritrovano a subire tutte le conseguenze psicologiche, difficilmente gestibili, della

vittima. Molte mogli di soldati a cui è stato diagnosticato il PTSD, hanno sofferto di

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depressione e i loro figli spesso crescono ansiosi e insicuri nelle relazioni, come

conseguenza dell’avere una madre depressa.

Il trauma di per sé ha un inizio, uno svolgimento ed una fine, ma ciò che spesso rendeva

la vita difficile a molti pazienti di van der Kolk, erano gli effetti dell’evento traumatico

sulla percezione e sull’immaginazione. Molti di loro erano soggetti a flashback, spesso

molto peggiori del trauma stesso. Uno dei test diagnostici usati dall’autore era il

Rorschach che “ci consente di osservare come le persone costruiscono un’immagine

mentale da uno stimolo fondamentalmente privo di significato: una macchia di

inchiostro” (p. 19), dunque le risposte date dalle persone a questo test potevano far

capire come ragionavano e il loro funzionamento mentalmente. Le persone a cui aveva

sottoposto il Rorschach avevano la tendenza ad anteporre il trauma ad ogni cosa, il che

poi si ripercuoteva nella vita quotidiana, poiché esso influenzava tutto ciò che

succedeva intorno a loro.

L’immaginazione è una parte fondamentale della nostra vita: ci permette di evadere, di

essere creativi, di vedere possibilità finora non contemplate e ha un ruolo fondamentale

nelle relazioni intime. Ma quando le persone sono ferme al momento dell’evento

traumatico, che rievocano anche mediante l’immaginazione, significa che sono bloccate

all’ultimo momento in cui le loro emozioni sono state coinvolte in maniera profonda e

soffrono quindi di “un deficit dell’immaginazione, di una perdita di flessibilità mentale”

(p. 21).

Van der Kolk spiega che ciò che ha capito studiando gli effetti di eventi traumatici e il

PTSD è che il trauma non è solo un’esperienza passata, ma è anche il marchio lasciato

da quell’evento nella mente della persona, nel suo cervello e addirittura sul suo corpo.

Questo lascito ha delle conseguenze sulla vita presente delle persone, nella loro

quotidianità e nel modo in cui l’individuo cerca di gestire la sua sopravvivenza.

Il trauma cambia il modo di pensare delle persone e addirittura compromette la capacità

stessa di pensare del soggetto.

Spesso esprimere a parole l’esperienza del trauma non è stato sufficiente per i pazienti

di van der Kolk, poiché il loro corpo continuava a rispondere in maniera automatica, sia

sotto l’aspetto fisico che ormonale, come se stesse per essere violentato o aggredito in

ogni momento, dunque il corpo restava ipervigile. Egli spiega che il corpo, per sentire il

cambiamento, deve capire e imparare che il pericolo è una cosa passata, non fa parte del

presente e deve abituarsi alla realtà attuale.

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Murdoch & Nichol (1995) hanno condotto uno studio in cui hanno valutato la

percezione della vulnerabilità e il desiderio di seguire un training sulla sicurezza e

l'auto-difesa di veterane che stavano ricevendo un trattamento sanitario per la cura del

disordine da stress post traumatico (PTSD) a causa di traumi sessuali e/o fisici.

Riportano che almeno il 90% delle veterane seguite da questi programmi, hanno avuto

esperienze di molestie durante la loro carriera militare I risultati dello studio dimostrano

che la maggior parte delle donne dello studio vede un training di auto-difesa come un

valido trattamento aggiuntivo al loro programma di cura poiché pensano che accresca le

loro abilità di difendersi in ipotetici attacchi futuri e aumenti il loro senso di sicurezza.

Per molte di loro avrebbe un effetto positivo anche nella fiducia in sé e sull'autostima.

Molte di queste donne, a causa dei loro traumi pregressi, hanno difficoltà a livello

sociale e di interazione poiché hanno sviluppato comportamenti evitanti e di agorafobia,

ma hanno comunque dimostrato grande entusiasmo all'idea di prendere parte ad un

training di auto-difesa. Nessuna delle donne ha riportato di temere conseguenze

negative dalla partecipazione al corso, come il diventare maggiormente ostili o

aggressive.

Rispetto a questo punto sottolineo che Smith (1999, p. 198) nel suo studio riporta che

quando le donne, dopo un training di autodifesa, percepiscono di essersi potenziate

grazie all'acquisizione di nuove abilità di auto-difesa, esse in generale diminuiscono la

loro ostilità e la loro rabbia. L'autore sottolinea come potrebbero addirittura diventare

meno aggressive fisicamente in situazioni in cui in precedenza avevano esibito un

comportamento aggressivo, forse perché consapevoli di aver imparato delle nuove

tecniche che permetterebbero loro di danneggiare realmente un'altra persona, se

volessero.

Questi studi comprendevano training psicoeducativo, di sicurezza e di auto-difesa. Il

corso di auto-difesa, tra i suoi benefici, comprende quello di abituare le donne a

rispondere e a reagire cognitivamente e fisicamente a stimoli paurosi, ciò ha un effetto

positivo nel rielaborare e padroneggiare emotivamente e fisicamente il trauma. I risultati

hanno indicato una riduzione di comportamenti evitanti, di iperattivazione tipica del

PTSD e di depressione, inoltre hanno riportato un aumento nell'auto-efficacia

interpersonale, di attività e di auto-difesa. Le autrici propongono che un programma di

questo genere, visti gli effetti positivi, diventi parte integrante della terapia per curare il

PTSD (David et al. 2004; David et al., 2006).

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Altre autrici (Westrup et al., 2005) hanno condotto uno studio per vedere che effetti

potesse avere un corso di auto-difesa su una veterana sessantenne con diagnosi di

PTSD. Ciò che volevano indagare era proprio l'impatto di un nuovo trattamento non

tradizionale, che comprendeva un training di auto-difesa, per affrontare i sintomi del

disturbo e migliorare la qualità di vita della donna, indirizzando le sue abilità personali

verso una maggior sicurezza e minor rischio di subire violenze. La donna in questione

presentava molti dei sintomi tipici del PTSD: ipervigilanza, iperattivazione, pensieri

intrusivi, incubi, evitamento, episodi di ansia e panico. Inoltre evitava i contatti sociali

ed era molto isolata e depressa.

La donna ha migliorato il suo equilibrio e la sua agilità, ha imparato a tirare un buon

pugno, eccellendo nelle tecniche coi calci, nelle tecniche di evasione e di assertività. Ha

lavorato molto sul respiro e sul controllo del panico quando non riusciva a eseguire tutti

i movimenti efficacemente.

Durante le parti psicoeducative è apparso quanto le sue tecniche riguardanti la sua

sicurezza in casa fossero inefficaci, ma dopo sei mesi ha riportato molti cambiamenti

nella vita quotidiana migliorando la sicurezza della casa, iniziando a socializzare e a

viaggiare di nuovo.

Anche Rosenblum (2007; 2014) ha condotto delle ricerche in cui ha usato dei training di

auto-difesa come trattamento alternativo e di supporto alla terapia tradizionale di donne

traumatizzate vittime di violenze. Ha incoraggiato sopravvissute ad attacchi sessuali,

durante la loro pratica clinica, ad intraprendere un corso di auto-difesa come forma di

terapia per affrontare le conseguenze traumatiche di quell'esperienza e spiega che

l’auto-difesa, unita alla ricerca e al trattamento del trauma, può diventare un trattamento

aggiuntivo importante se accostato ai giusti consigli di un terapeuta. Nella ricerca

fornisce una spiegazione dettagliata di un programma studiato per essere un intervento

esperienziale e psicoeducativo per donne sopravvissute ad un trauma.

Sono stati valutati soprattutto i benefici terapeutici dell’auto-difesa rispetto alle risposte

motorie che spesso si bloccano come conseguenza post-traumatica.

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Capitolo terzo

La ricerca

3.1 Il presente studio

L’obiettivo della ricerca è quello di esaminare l’esperienza di uomini e donne che hanno

partecipato negli ultimi due anni ad un corso di auto-difesa con lo scopo di esplorare le

motivazioni e le conseguenze fisiche ed emotive derivanti dalla frequentazione di un

training.

3.2 Metodo

Partecipanti

I partecipanti, allievi e istruttori di corsi di auto-difesa, sono stati reclutati in alcune

palestre dell’Italia Nord-orientale che proponevano questi training.

La descrizione della ricerca è stata data a voce, dando la possibilità, a coloro fossero

interessati, di mettersi in contatto con la sottoscritta.

Trentotto allievi hanno accettato di partecipare, 20 donne e 18 uomini e sono state

intervistate; uno di loro è stato successivamente escluso per la mancanza di alcuni dati.

Di conseguenza, un totale di 37 partecipanti ai corsi sono stati inclusi nell’analisi.

Krav Maga era la disciplina di auto-difesa maggiormente frequentata dal gruppo

analizzato (89,2%); la restante parte del gruppo era composta da tre donne che hanno

partecipato a training di auto-difesa femminile e un uomo che ha seguito un corso di

self-defence proposto dal Comune di residenza.

Cinque istruttori hanno dato la disponibilità a partecipare e sono stati inclusi nella

ricerca. Tutti di nazionalità italiana, età media 44,6 anni e tutti praticanti la disciplina

del Krav Maga.

Prima dell’intervista ogni persona ha riferito alcuni dati socio-anagrafici come: l’età, la

nazionalità, il genere, la religione, lo stato civile, il livello di istruzione e il possesso del

porto d’armi o di armi.

I partecipanti del campione avevano un’età compresa tra i 18 e 56 anni; l’età media dei

maschi è di 35 anni; mentre delle donne di 33,7 anni.

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Trentacinque partecipanti sono di nazionalità italiana (94,6%); un soggetto di

nazionalità rumena e un altro di nazionalità ungherese.

Per quanto riguarda lo Stato Civile, vediamo che esattamente lo stesso numero di

uomini e donne sono celibi o nubili (48,6% dei partecipanti); così come lo stesso

numero di uomini e donne all’interno del gruppo sono sposati (32,4%). Convivono col

partner solo due uomini del campione e una sola donna (8,1%).

Rispetto al livello di istruzione, il 60% delle donne ha un livello di istruzione alto

(laurea), contro il 29,4% degli uomini la cui maggioranza ha un diploma di scuola

superiore (58,8%).

Solo tre partecipanti hanno un diploma di scuola media (8,1%) e va sottolineato che due

di loro sono studenti che conseguiranno la matura l’anno prossimo.

0

2

4

6

8

10

Maschi Femmine

Stato Civile

Coniugati Celibi/nubili Divorziati Conviventi

0

2

4

6

8

10

12

14

Maschi Femmine

Livello di istruzione

Media Superiore Laurea

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L’ultima figura che riporto descrive la situazione del gruppo per quanto riguarda la

religione.

Il 78% dei partecipanti allo studio è di religione cristiana; il 16% ha dichiarato di non

essere credente e il 6% di essere di religione buddista.

Per quanto riguarda il possesso di un porto d’armi solo due persone (5,4%) hanno

dichiarato di possederne uno, nello specifico un uomo e una donna, conseguito per uso

sportivo e di possedere armi da fuoco come pistole e fucile.

Strumenti

Sono state usate interviste semi-strutturate a causa della scarsità di conoscenze

disponibili per l’argomento specifico.

La traccia seguita per l’intervista è stata costruita seguendo i punti salienti identificati in

letteratura (motivazioni, percezione di cos’è l’auto-difesa, senso di sicurezza, rapporti

con le Forze dell’Ordine, effetti nella vita quotidiana, auto-efficacia, consapevolezza

corporea, autostima, paure e violenze, valutazione del corso).

78%

6%

16%

Religione

Cristiana Buddista Non credenti

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Procedura

Ho intervistato i partecipanti individualmente a casa loro o in stanze appartate

all’interno delle palestre. Ogni intervista è durata approssimativamente dai 20 ai 50

minuti.

Tutte le interviste sono state audio registrate e trascritte. Ogni trascrizione è stata poi

analizzata usando un approccio di analisi tematica (Braun & Clarke, 2006) con il

supporto del programma Atlas.ti. Le quotazioni simili sono state codificate assieme per

formare i temi e le categorie principali che tutte assieme costituivano la gamma

completa di risposte dei partecipanti.

Tutta la ricerca, di impianto qualitativo, è stata condotta con una procedura ricorsiva

Top-down e Bottom-up.

3.3 Risultati

Motivazioni e aspettative

Basandosi sull’analisi, questo tema può essere diviso in cinque categorie, come

illustrato in Tabella 3.

La motivazione e aspettativa citata con più frequenza dai partecipanti era sicurezza nella

difesa (84% dei partecipanti, con fr. 31 per le donne, 75% del gruppo femminile, e fr. 43

per gli uomini, 94% del gruppo maschile).

Hanno riportato di essersi avvicinati ad un training di auto-difesa con l’aspettativa di

acquisire maggior sicurezza imparando a controllare e prevenire eventuali situazioni

pericolose, grazie anche all’apprendimento di tecniche di difesa utili per proteggere se e

i propri cari.

La seconda categoria riguarda la motivazione e aspettativa di fare movimento fisico

(51,4% dei partecipanti, con fr. 13 per le donne, 50% del gruppo femminile, e fr. 17 per

gli uomini, 53% del gruppo maschile).

Dunque il giovamento di fare del movimento che permetta di restare in forma e

accrescere la propria forza muscolare.

La categoria curiosità riguarda la terza motivazione e aspettativa citata con più

frequenza (43,3% dei partecipanti, con fr. 17 per le donne, 50% del gruppo femminile, e

fr. 9 per gli uomini, 35,3% del gruppo maschile).

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La curiosità dei partecipanti riguardava aspetti come provare qualcosa di nuovo o di cui

avevano sentito parlare in precedenza, ma che non avevano avuto occasione di provare

prima.

La categoria del stare in gruppo è stata riportato dall’8,1 % dei partecipanti, solo donne

(con fr. 4, 15 % del gruppo femminile), che hanno rimarcato di aver iniziato e

continuato il corso per il gruppo di persone amichevoli e accoglienti incontrate al

training.

Infine, la motivazione riportata meno frequentemente, 5,4 % dei partecipanti e, anche in

questo caso solo dalle donne, ricorre sotto la categoria aver subito aggressioni (con fr.

4, 10 % del gruppo femminile).

Tab. 3

Motivazione dei partecipanti

Frequenze

Tema Categorie Frequenza occorrenze % totale

Femmine Maschi

Motivazione Sicurezza

nella difesa

31(75%) 43(94%) 84%

Fare

movimento

fisico

13(50%) 17(53%) 51,4 %

Curiosità 17(50%) 9(35,3%) 43,3%

Gruppo

coinvolgente

4 (15%) / 8,1%

Aver subito

aggressioni

4 (10%) / 5,4%

L’auto-difesa nella percezione soggettiva

Come riportato in Tabella 4, per questo tema sono emerse quattro categorie. La

categoria difesa: sicurezza e prevenzione è la più citata dai partecipanti (92%; con fr. 24

per le donne, 85 % del gruppo femminile e fr. 32 per gli uomini, 100% del gruppo

maschile). I partecipanti hanno riportato di ritenere l’auto-difesa come un metodo di

difesa realistico che permette non solo di proteggersi in caso di attacco fisico, ma anche

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di prevenire e valutare anticipatamente eventuali situazioni pericolose. Ciò fa sì che la

disciplina sia un modo per acquisire più sicurezza e consapevolezza di quanto può

accadere per strada e su cosa fare per affrontarlo.

La seconda categoria riportata con più frequenza dai partecipanti come percezione

soggettiva dell’auto-difesa è la gestione delle paure e del panico (38% dei partecipanti,

con fr. 9 per le donne, 40% del gruppo femminile e fr. 11 per gli uomini, 35,3% del

gruppo maschile). Gli intervistati hanno dichiarato di considerare l’auto-difesa come un

metodo utile per gestire le emozioni di panico che si presentano in caso di aggressione o

di pericolo, in modo da non restare bloccati e reagire difendendosi.

La terza categoria riguarda lo stare in gruppo (11% dei partecipanti) riportato solo dalle

donne come percezione soggettiva di cos’è l’auto-difesa (con fr. 4, 20% del gruppo

femminile). Per le intervistate frequentare un corso di auto-difesa è diventato anche un

modo per fare parte di un gruppo.

In aggiunta, la quarta categoria riportata anch’essa solo dal gruppo femminile, riguarda

i. considerare l’auto-difesa un modo per fare allenamento fisico (8,1% dei partecipanti,

con fr. 3 per le donne, 5% del gruppo femminile).

Tab. 4

L’auto-difesa nella percezione soggettiva

Frequenze

Tema Categorie Frequenza occorrenze % totale

Femmine Maschi

L’autodifesa

nella

percezione

soggettiva

Difesa:

sicurezza e

prevenzione

24 (85%) 32 (100%) 92%

Gestione delle

paure e del

panico

9 (40%) 11 (35,3%) 38%

Stare in

gruppo

4(20%) / 11%

Allenamento

fisico

3(5%) / 8,1%

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Sicurezza

- Percezione soggettiva del senso di sicurezza

Basandosi sull’analisi, il tema della percezione soggettiva del senso di sicurezza

conseguente dalla frequentazione di un training di auto-difesa, riportato in Tabella 5,

può essere divisa in due sotto temi: senso di sicurezza aumentato e senso di sicurezza

immutato.

Il primo racchiude la maggioranza delle frequenze (78% dei partecipanti, con fr. 31 per

le donne, 95% del gruppo femminile e fr. 18 per gli uomini, 59% del gruppo maschile).

Gli intervistati hanno riportato di aver percepito un aumento generale del proprio senso

di sicurezza grazie alla frequentazione di un training di auto-difesa.

Il 22% degli intervistati ha riportato, invece, di non aver percepito un cambiamento del

proprio senso di sicurezza conseguentemente alla partecipazione di un corso nella

disciplina dell’auto-difesa (fr. 1 per le donne, 5% del gruppo femminile e fr. 7 per gli

uomini, 41,2% del gruppo maschile.

Tab. 5

Percezione soggettiva del senso di sicurezza

Frequenze

Tema Sotto tema Frequenza occorrenze % totale

Femmine Maschi

Senso di

sicurezza

Aumentato 31(95%) 18(59%) 78%

Immutato 1(5%) 7(41,2%) 22%

Il sotto tema del senso di sicurezza aumentato, basandosi sull’analisi, può essere diviso

in quattro categorie, riportate in Tabella 6, che corrispondono ai fattori del corso di

auto-difesa che i partecipanti hanno riportato come cause dell’aumento del senso di

sicurezza.

La prima categoria, riportata dal 65% dei partecipanti, riguarda l’importanza di aver

frequentato un corso realistico (con fr. 33 per le donne, 90% del gruppo femminile e fr.

11 per gli uomini, 35,3% del gruppo maschile). Gli intervistati hanno riportato come

fattore predominante per la crescita del senso di sicurezza, l’importanza che il corso sia

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realistico: devono essere condotte delle “prove sotto stress”, che consistono in

simulazioni di aggressioni che potrebbero realmente accadere per strada, in cui si cerca

di riproporre anche la sensazione di panico e stress causato dall’attacco fisico. Ciò ha

l’effetto di aumentare la consapevolezza dei rischi e dell’attenzione che è necessario

avere per strada, ma anche di cosa si può fare per affrontare la situazione di pericolo nel

pratico, grazie all’insegnamento di tecniche.

La seconda categoria, maggior sicurezza emotiva, è stata riportata anche dal 65% dei

partecipanti (con fr. 23 per le donne, 75% del gruppo femminile e fr. 17 per gli uomini,

53% del gruppo maschile). Gli intervistati considerano che la frequentazione di un

training di auto-difesa aumenti la tranquillità e la sicurezza poiché consiste in un

bagaglio in più di tecniche e conoscenze che permettono di gestire emotivamente

un’aggressione.

In aggiunta, la terza categoria riguarda il sentirsi più allenati e forti (16,2% dei

partecipanti, con fr. 3 per le donne, 15 % del gruppo femminile e fr. 3 per gli uomini,

18% del gruppo maschile). Per i partecipanti l’aumento di forza fisica e benessere

derivante dalla preparazione atletica conseguita durante il corso è un fattore che ha

aumentato il loro generale senso di sicurezza.

Infine, la quarta categoria riguarda lo stare in gruppo (5,4% dei partecipanti) è stato

riportato come fattore di aumento del senso di sicurezza solo dal gruppo di donne (con

fr. 2, 10 % del gruppo femminile). Per queste partecipanti, l’aver trovato un gruppo di

persone con cui hanno legato e fatto amicizia all’interno del corso, ha aumentato il loro

senso di sicurezza.

Tab. 6

Cause aumento del senso di sicurezza

Frequenze

Tema Sotto tema Categorie Frequenza occorrenze % totale Femmine Maschi Senso di

sicurezza

Senso di

sicurezza

aumentato

Corso realistico 33 (90%) 11 (35,3%) 65%

Maggior

sicurezza

emotiva

23 (75%) 17 (53%) 65%

Sentirsi più

allenati e forti

3 (15%) 3 (18%) 16,2%

Stare in gruppo 2 (10%) / 5,4%

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- Sistemi di sicurezza

Per quanto riguarda la considerazione dei partecipanti rispetto la presenza di sistemi di

sicurezza pensati e previsti per la popolazione sul territorio. Potremmo dividere il tema

in cinque categorie, riportate in Tabella 7. Le Forze dell’Ordine sono la categoria con

maggiori frequenze (57% dei partecipanti, con fr. 10 per le donne, 50% del gruppo

femminile e fr. 11 per gli uomini, 65% del gruppo maschile) Gli intervistati dichiarano

di considerare le Forze dell’Ordine un sistema di sicurezza attivo sul territorio.

La seconda categoria riguarda coloro che si sono espressi dicendo che non è presente

alcun sistema di sicurezza per la protezione dei cittadini (No sistemi di sicurezza: 27%

dei partecipanti, con fr. 6 per le donne, 30% del gruppo femminile e fr. 4 per gli uomini,

24% del gruppo maschile).

In aggiunta, la terza categoria è quella dei corsi di auto-difesa e racchiude il 24,3%

degli intervistati (con fr. 4 per le donne, 20% del gruppo femminile e fr. 5 per gli

uomini, 29,4% del gruppo maschile). I partecipanti considerano il fatto che ci sia la

possibilità di fare dei corsi di auto-difesa un modo per garantire più sicurezza ai

cittadini.

Le ultime due categorie hanno meno frequenze delle altre e riguardano: l’esistenza di

sistemi di sicurezza come video-sorveglianza e antifurti (5,4% dei partecipanti, con fr. 1

per le donne, 5,4% del gruppo femminile e fr. 1 per gli uomini, 6% del gruppo

maschile) e la possibilità di acquistare spray al peperoncino per la difesa personale,

riportato solo dalle donne come sistema di sicurezza (3% dei partecipanti, con fr. 1 per

le donne, 5% del gruppo femminile).

Tab. 7

Sistemi di sicurezza

Frequenze

Tema Categoria Frequenza occorrenze % totale

Femmine Maschi

Sistemi di

sicurezza

Forze

dell’Ordine

10(50%) 11(65%) 57 %

No sistemi di

sicurezza

6(30%) 4(24%) 27%

Corsi di auto-

difesa

4(20%) 5(29,4%) 24,3%

Video-

sorveglianza e

antifurti

1(5%) 1(6%) 5,4 %

Spray 1 (5%) / 3%

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- Percezione di sicurezza della propria città

Basandoci sull’analisi l’84% dei partecipanti considera la città in cui vive sicura (con fr.

23 per le donne, 80% del gruppo femminile e fr. 18 per gli uomini, 88,2% del gruppo

maschile).

Il 16% dei partecipanti non considera la città in cui vive sicura (con fr. 5 per le donne,

20% del gruppo femminile e fr. 2 per gli uomini, 12% del gruppo maschile).

I fattori che i partecipanti hanno riportato come cause della loro insicurezza sono

(Tabella 8): per il 30% dei partecipanti la poca fiducia per le istituzioni giudiziarie che

non garantiscono la protezione dei cittadini punendo adeguatamente chi compie crimini

e non tutelano chi si è dovuto difendere per legittima difesa (con fr. 7 per le donne, 35%

del gruppo femminile e fr. 9 per gli uomini, 24% del gruppo maschile); il secondo

fattore è la presenza di immigrati per il 24,3% (con fr. 8 per le donne, 30% del gruppo

femminile e fr. 3 per gli uomini, 18% del gruppo maschile) e il terzo fattore di

insicurezza sono la presenza di criminali (per l’11% dei partecipanti, con fr. 2 per le

donne, 10% del gruppo femminile e fr. 2 per gli uomini, 12% del gruppo maschile).

Tab. 8

Fattori di insicurezza

Frequenze

Tema Categorie Frequenza occorrenze % totale

Femmine Maschi

Fattori di

insicurezza

Poca fiducia

nelle

istituzioni

7 (35%) 9 (24%) 30 %

Presenza di

immigrati

8 (30%) 3 (18%) 24,3%

Presenza di

criminali

2 (10%) 2 (12%) 11%

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Rapporti con le Forze dell’Ordine

Il 97% dei partecipanti ha riportato di aver avuto a che fare nell’arco della vita con

rappresentati delle Forze dell’Ordine e hanno riportato le sensazioni provate sia quando

vengono fermati dagli agenti sia quando sono loro a rivolgersi per primi a questi

funzionari, ad esempio per chiedere informazioni.

Dall’analisi emergono tre categorie che rappresentano il sotto tema sensazioni dei

partecipanti quando vengono fermati dalle Forze dell’Ordine, rappresentate in Tabella

9.

La categoria riportata più frequentemente dagli intervistati è la sensazione di ansia e

timore (51,4 % dei partecipanti, con fr. 15 per le donne, 70% del gruppo femminile e fr.

5 per gli uomini, 29,4% del gruppo maschile). I partecipanti dichiarano di non essere

completamente tranquilli quando vengono fermati da rappresentanti delle Forze

dell’Ordine poiché hanno il timore o l’ansia di essere in torto per qualcosa e si sentono

di essere sotto esame, oppure perché la visione degli agenti in divisa con le armi

provoca loro un senso di ansia.

La seconda categoria riguarda coloro che hanno espresso di essere tranquilli (43,2% dei

partecipanti, con fr. 8 per le donne, 40 % del gruppo femminile e fr. 9 per gli uomini,

47% del gruppo maschile). Questi intervistati, se fermati dagli agenti, si sentono

tranquilli e normali.

La terza categoria riguarda il provare rispetto quando si è fermati (5,4% dei

partecipanti, con fr. 2 per le donne, 5% del gruppo femminile e fr. 1 per gli uomini, 6%

del gruppo maschile). Questi partecipanti sentono di dover portare rispetto alle Forze

dell’Ordine per il loro ruolo e il loro lavoro.

Sono emerse due categorie dall’analisi rispetto al sotto tema sensazioni provate dai

partecipanti ad avvicinarsi per primi a rappresentanti dell’Arma (Tabella 9).

L’84% degli intervistati sente tranquillità quando si avvicina per primo agli agenti per

chiedere qualcosa (con fr. 17 per le donne, 80% del gruppo femminile e fr. 15 per gli

uomini, 88,2% del gruppo maschile). Questi partecipanti hanno riportato di sapere che

gli agenti sono a loro disposizione e di non aver problemi nel rivolgersi a loro.

La seconda categoria riguarda il provare ansia nell’avvicinarsi agli agenti di polizia

(14% dei partecipanti, con fr. 4 per le donne, 20% del gruppo femminile e fr. 1 per gli

uomini, 6% del gruppo maschile). Questi partecipanti hanno riportato di provare un

senso di ansia e non completa tranquillità quando si rivolgono alle Forze dell’Ordine.

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52

Tab. 9

Rapporti con le Forze dell’Ordine

Frequenze

Tema Sotto tema Categorie Frequenza occorrenze % totale

Femmine Maschi

Rapporti con

le Forze

dell’Ordine

Sensazioni

dei

partecipanti

quando

vengono

fermati

Ansia e

timore

15 (70%) 5 (29,4%) 51,4%

Tranquillità 8 (40%) 9 (47%) 43,2%

Rispetto 2 (5%) 1 (6%) 5,4%

Sensazioni

provate dai

partecipanti

ad

avvicinarsi

Tranquillità 17 (80%) 15 (88,2%) 84%

Ansia 4 (20%) 1 (6%) 14%

Vita quotidiana

Basandoci sull’analisi, questo tema può essere suddiviso in quattro sotto temi, ognuno

dei quali contiene delle categorie, illustrate nella Tabella 10.

Il cambiamento nella vita quotidiana citato con più frequenza dai partecipanti è maggior

sicurezza e attenzione (59,4% dei partecipanti, con fr. 22 per le donne, 65% del gruppo

femminile e fr. 10 per gli uomini, 53% del gruppo maschile). I soggetti hanno dichiarato

di sentirsi più sicuri e decisi nel condurre attività della vita di ogni giorno, di essere più

attenti e consapevoli della realtà e dei movimenti che dovrebbero mettere in pratica in

caso di aggressione.

La seconda categoria riguarda chi non ha percepito cambiamenti nella vita quotidiana

(41% dei partecipanti, con fr. 7 per le donne, 35% del gruppo femminile e fr. 8 per gli

uomini, 47% del gruppo maschile).

Il secondo sotto tema riguarda gli aspetti a cui si pone maggior attenzione che

comprende tre categorie. Osservare di più è la categoria riportata con più frequenza

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(78,3% dei partecipanti, con fr. 15 per le donne, 75% del gruppo femminile e fr. 18 per

gli uomini, il 76,4% del gruppo maschile). I partecipanti riportano di osservare più di

prima l’ambiente e le persone intorno a loro con lo scopo di essere pronti in caso di

pericolo a prevenirlo o affrontarlo, se si trovano in un luogo chiuso o delimitato con

attorno estranei controllano le vie di fuga e chi hanno attorno.

La seconda categoria di questo sotto tema riguarda il non avere aspetti cui si pone

maggior attenzione (27% dei partecipanti, con fr. 5 per le donne, 25% del gruppo

femminile e fr. 5 per gli uomini, 29,4% del gruppo maschile).

Infine, la terza categoria riguarda il valorizzarsi riportato come aspetto di maggior

attenzione dal 5,4% dei partecipanti, solo donne (con fr. 3, 10% del gruppo femminile).

Per le partecipanti il corso ha portato a voler fare più attenzione a se stesse rispetto al

cercare di valorizzarsi di più come persone.

Il terzo sotto tema riguarda l’aver cambiato dei comportamenti nella vita quotidiana e,

basandoci sull’analisi, la categoria riportata più frequentemente riguarda l’essere più

attenti (43,2 % dei partecipanti, con fr. 11 per le donne, 55% del gruppo femminile e fr.

6 per gli uomini, 29,4% del gruppo maschile). I partecipanti riportano di aver aumentato

la loro attenzione, cercando di adottare comportamenti suggeriti durante il corso e non

mettendo più in pratica atteggiamenti che potrebbero portarli in situazioni pericolose, e

di aver affinato la capacità di osservazione di quello che succede attorno a loro dopo la

frequentazione di un training di auto-difesa.

La seconda categoria del sotto tema con più frequenze riguarda il non aver cambiato

comportamenti dopo aver frequentato un corso di auto-difesa (41 % dei partecipanti,

con fr. 5 per le donne, 25% del gruppo femminile e fr. 10 per gli uomini, 59% del

gruppo maschile).

La terza categoria riguarda il sentire meno ansia nella vita di ogni giorno (38% dei

partecipanti, con fr. 4 per le donne, 20% del gruppo femminile e fr. 1 per gli uomini, 6%

del gruppo maschile).

Infine, l’ultima categoria è quella che ha raccolto meno frequenze e riguarda l’aver più

curiosità nella vita quotidiana, riportata solo dagli uomini (3% dei partecipanti, con fr.

1, 6% del campione maschile).

L’ultimo sotto tema è il cambiamento nell’interazione con gli altri che si suddivide in

tre categorie. Nessun cambiamento è la categoria con più frequenze (62,2% dei

partecipanti, con fr. 9 per le donne, 45% del gruppo femminile e fr. 14 per gli uomini,

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82,3% del gruppo maschile). I partecipanti non hanno notato cambiamenti nel modo in

cui interagiscono con le altre persone dopo il corso di auto-difesa.

La seconda categoria è la maggior sicurezza (24,3% dei partecipanti, con fr. 7 per le

donne, 35% del gruppo femminile e fr. 3 per gli uomini, 12% del gruppo maschile).

Questi partecipanti hanno riportato di sentirsi più sicuri quando devono rapportarsi con

gli altri nella vita quotidiana, dopo il training di auto-difesa.

Infine, la terza categoria è la maggior cautela (14% dei partecipanti, con fr. 4 per le

donne, 20% del gruppo femminile e fr. 2 per gli uomini, 6% del gruppo maschile).

I partecipanti hanno dichiarato di essere più cauti quando devono rapportarsi con

qualcuno che non conoscono nella vita quotidiana.

Tab. 10

Vita quotidiana

Frequenze

Tema Sotto tema Categorie Frequenza occorrenze % totale

Femmine Maschi

Vita

quotidiana

Cambiamenti Sicurezza e

attenzione

22 (65%) 10 (53%) 59,4%

No

cambiamenti

7 (35%) 8 (47%) 41%

Aspetti di

maggior

attenzione

Osservare di

più

15 (75%) 18 (76,4%) 78,3%

No aspetti

maggior

attenzione

5 (25%) 5 (29,4%) 27%

Valorizzarsi 3 (10%) / 5,4 %

Comportamenti

diversi

Essere più

attenti

11 (55%) 6 (29,4%) 43,2%

No

comportamenti

diversi

5 (25%) 10 (59%) 41%

Meno ansia 4 (20%) 1 (6%) 38%

Più curiosità / 1 (6%) 3%

Interazione con

gli altri

Nessun

cambiamento

9 (45%) 14 (82,3) 62,2%

Più sicurezza 7 (35%) 3 (12%) 24,3%

Più cautela 4 (20%) 2 (6%) 14%

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Self-efficacy

L’auto-efficacia dei partecipanti si divide in auto-efficacia emotiva e auto-efficacia

fisica. Per entrambi gli aspetti gli intervistati si sono espressi sia riguardo alla

percezione attuale sia sulla percezione del cambiamento della loro self-efficacy.

Per quanto riguarda l’auto-efficacia emotiva attuale il 54% dei partecipanti ha dichiarato

di non sapere se ritenersi o meno efficaci emotivamente in caso si trovassero in

pericolo, poiché dipende dal tipo di situazione che gli si presenta davanti (con fr. 10 per

le donne, 50% del gruppo femminile e fr. 15 per gli uomini, 59% del gruppo maschile).

Il 27% dei soggetti ha dichiarato di sentirsi efficace emotivamente quando si trova in

una situazione pericolosa (con fr. 5 per le donne, 25% del gruppo femminile e fr. 5 per

gli uomini, 29,4% del gruppo maschile) e il 22% dei partecipanti ha dichiarato di non

sentirsi efficace emotivamente davanti a una situazione di pericolo (con fr. 6 per le

donne, 30% del gruppo femminile e fr. 2 per gli uomini, 6% del gruppo maschile).

Sul cambiamento dell’auto-efficacia emotiva (Tabella 11), conseguentemente a un corso

di auto-difesa, il 70% dei partecipanti ha dichiarato di sentirsi più tranquillo e sicuro

emotivamente e quindi più efficace di gestire le emozioni paralizzanti in caso di pericolo

(con fr. 16 per le donne, 80% del gruppo femminile e fr. 12 per gli uomini, 59% del

gruppo maschile).

La seconda categoria riportata più frequentemente dai partecipanti è non so, ovvero il

non sapere se ci sonno stati effettivi cambiamenti nella propria auto-efficacia emotiva

ad esempio perché non si sono trovati in una situazione pericolosa e non pensano

dunque di poter giudicare se c’è stato un cambiamento (16,2% dei partecipanti, con fr. 3

per le donne, 15% del gruppo femminile e fr. 3 per gli uomini, 18% del gruppo

maschile).

La terza categoria riguarda il sentire più determinazione (14% dei partecipanti, con fr. 2

per le donne, 10% del gruppo femminile e fr. 3 per gli uomini, 18% del gruppo

maschile). Questi partecipanti hanno percepito di sentirsi più determinati ed aggressivi,

e quindi più efficaci emotivamente, grazie al corso di auto-difesa.

Infine, l’ultima categoria riguarda il non aver percepito cambiamenti nella propria auto-

efficacia dopo un corso di auto-difesa (8,1% dei partecipanti, con fr. 2 per le donne,

12% del gruppo femminile e fr. 1 per gli uomini, 5% del gruppo maschile).

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Rispetto l’auto-efficacia fisica attuale il 49% dei partecipanti ha dichiarato di sentirsi

efficace fisicamente quando si trova in una situazione pericolosa (con fr. 10 per le

donne, 50% del gruppo femminile e fr. 9 per gli uomini, 47% del gruppo maschile).

Il 32,4% degli intervistati non sa se ritenersi efficace o meno allo stato attuale ad

esempio poiché non si sono trovati di recente in una situazione tale per cui potessero

giudicare la loro auto-efficacia fisica (con fr. 8 per le donne, 40% del gruppo femminile

e fr. 5 per gli uomini, 24% del gruppo maschile).

Il 19% dei partecipanti ha dichiarato di non sentirsi efficace fisicamente (con fr. 2 per le

donne, 10% del gruppo femminile e fr. 5 per gli uomini, 30% del gruppo maschile).

Il cambiamento dell’auto-efficacia fisica conseguente al training di auto-difesa, si veda

Tabella 11, si divide in sei categorie di cui la più frequente è più capacità di difesa

(62,2% dei partecipanti, con fr. 23 per le donne, 70% del gruppo femminile e fr. 15 per

gli uomini, 53% del gruppo maschile). I partecipanti riportano di sentirsi più efficaci

fisicamente grazie all’aver acquisito metodi e tecniche utili alla difesa grazie al corso.

La seconda categoria con più frequenze è essere più allenati (30% dei partecipanti, con

fr. 5 per le donne, 20% del gruppo femminile e fr. 9 per gli uomini, 41,2% del gruppo

maschile). Gli intervistati hanno dichiarato che l’allenamento aerobico costante

praticato durante il training ha accresciuto la loro forza e resistenza e per questo si

sentono maggiormente efficaci.

In aggiunta, la terza categoria riportata dal 19% dei partecipanti, è la consapevolezza dei

propri limiti fisici (con fr. 1 per le donne, 5% del gruppo femminile e fr. 6 per gli

uomini, 35,2% del gruppo maschile). Per questi partecipanti conoscere i propri limiti

fisici è un fattore che contribuito alla crescita della loro auto-efficacia, poiché

conoscono quanto possono fare e dove possono arrivare fisicamente.

La quarta categoria, chiamata non so, riguarda l’8,1% dei partecipanti, solo donne (con

fr. 3, 15% del gruppo femminile), che non sanno se la loro efficacia fisica ha subito dei

cambiamenti dopo aver preso parte ad un corso di auto-difesa.

Infine l’ultima categoria no cambiamenti riguarda il 5,4% degli intervistati, solo uomini

(con fr. 2, 12% del gruppo maschile), che sostengono di non aver percepito

cambiamenti nella loro auto-efficacia fisica.

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Tab. 11

Self-efficacy

Frequenze

Tema Categorie Frequenza occorrenze % totale

Femmine Maschi

Cambiamento

auto-efficacia

emotiva

Più tranquillità

e sicurezza

emotiva

16 (80%) 12(59%) 70%

Non so 3 (15%) 3 (18%) 16,2%

Più

determinazione

2 (10%) 3 (18%) 14%

No

cambiamenti

1 (5%) 2 (12%) 8,1%

Cambiamenti

auto-efficacia

fisica

Più capacità

difesa

23 (70%) 15 (53%) 62,2%

Essere più

allenati

5 (20%) 9 (41,2%) 30%

Più

consapevolezza

propri limiti

1 (5%) 6 (32,2%) 19%

Non so 3 (15%) / 8,1%

No

cambiamenti

/ 2 (12%) 5,4%

Consapevolezza corporea

Dall’analisi vediamo che le reazioni corporee che i partecipanti riportano di provare

quando si trovano in situazioni pericolose possono essere divise in sei categorie.

Attivarsi e prepararsi alla fuga è la categoria riportata con più frequenza (35% dei

partecipanti, con fr. 7 per le donne, 30% del gruppo femminile e fr. 8 per gli uomini,

41,2% del gruppo maschile).

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Irrigidirsi e bloccarsi per la paura è la seconda categoria con più frequenze (30 % dei

partecipanti, con fr. 7 per le donne, 35% del gruppo femminile e fr. 7 per gli uomini,

24% del gruppo maschile).

Avere scariche adrenaliniche è la terza categoria riportata dal 19% dei partecipanti (con

fr. 3 per le donne, 15% del gruppo femminile e fr. 4 per gli uomini, 24% del gruppo

maschile).

La quarta categoria, non so, comprende il 16,2% dei partecipanti che non hanno

consapevolezza di quale sia la reazione del loro corpo in situazioni pericolose (con fr. 2

per le donne, 10% del gruppo femminile e fr. 4 per gli uomini, 24% del gruppo

maschile).

Le ultime due categorie sono state riportate solo dal gruppo femminile e riguardano

l’accelerazione del battito cardiaco (11% dei partecipanti, con fr. 4 per le donne, 20%

del gruppo femminile) e restare calmi, ovvero non provare agitazione in situazioni di

pericolo (3% dei partecipanti, con fr. 1 per le donne, 5% del gruppo femminile).

La Tabella 12 riporta le differenze di gestione corporea riportate dai partecipanti come

conseguenza della frequentazione di un training di auto-difesa.

Tab. 12

Differenze nella gestione corporea

Frequenze

Tema Categorie Frequenza occorrenze % totale

Femmine Maschi

Differenze

nella

gestione

corporea

Reazione di

difesa

11 (50%) 7 (35,3%) 43,2%

Più calma 3 (15%) 6 (29,4%) 22%

Più

consapevolezza

proprie

capacità

9 (35%) / 19%

Corpo più

allenato

3 (10%) 4 (24%) 16,2%

Non so 4 (20%) 2 (12%) 16,2%

No differenze 1 (5%) 4 (24%) 14%

Basandoci sull’analisi, il tema differenze nella gestione corporea si suddivide in sei

categorie. Posizionarsi per la difesa è la categoria con maggiori frequenze (43,2% dei

partecipanti, con fr. 11 per le donne, 50% del gruppo femminile e fr. 7 per gli uomini,

35,3% del gruppo maschile). i partecipanti hanno dichiarato di aver percepito come

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differenza corporea il fatto di posizionarsi automaticamente in guardia in modo da

essere pronti alla fuga o alla difesa.

La seconda categoria, più calma, riguarda il 22% dei partecipanti (con fr. 3 per le

donne, 15% del gruppo femminile e fr. 6 per gli uomini, 29,4% del gruppo maschile)

che hanno riportato di sentirsi più calmi a livello corporeo in una situazione che

ritengono pericolosa dopo il corso di auto-difesa.

La terza categoria con maggiori frequenze è stata riportata dal gruppo di donne e

riguarda l’essere più consapevoli delle proprie capacità, ovvero di cosa sono in grado

di fare a livello corporeo grazie agli insegnamenti ottenuti dal training (19% dei

partecipanti, con fr. 9 per le donne, 35% del gruppo femminile).

La quarta categoria, sentirsi più allenati, è stata riportata dal 16,2% dei partecipanti che

considerano questo aspetto una differenza importante che permette di gestire

diversamente il proprio corpo in situazioni pericolose (con fr. 3 per le donne, 10% del

gruppo femminile e fr. 4 per gli uomini, 24% del gruppo maschile).

La quinta categoria, non so, comprende coloro che non sanno se ci siano differenze

nella gestione corporea di una situazione pericolosa da dopo il corso di auto-difesa

(16,2% dei partecipanti, con fr. 4 per le donne, 20% del gruppo femminile e fr. 2 per gli

uomini, 12% del gruppo maschile).

Infine, l’ultima categoria no differenze è stata riportata dal 14% dei partecipanti e

comprende coloro che non hanno percepito differenze nella gestione del proprio corpo

dopo un corso di auto-difesa (con fr. 1 per le donne, 5% del gruppo femminile e fr. 4 per

gli uomini, 24% del gruppo maschile).

Autostima

Il 70,3% dei partecipanti ha riportato un aumento dell’autostima conseguentemente ad

un corso di auto-difesa (con fr. 22 per le donne, 85% del gruppo femminile e fr. 11 per

gli uomini, 53% del gruppo maschile). Il 30% dei partecipanti ha dichiarato che il

livello di autostima è rimasto invariato (con fr. 3 per le donne, 15% del gruppo

femminile e fr. 8 per gli uomini, 47% del gruppo maschile).

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Paure e violenze

- Paure

Basandosi sull’analisi sono otto le categorie in cui si dividono le paure dei partecipanti

(Tabella 13), in ordine di frequenza: subire aggressioni (51,3% dei partecipanti);

perdere una persona cara (27%); fallire nella vita (16,2%); claustrofobia e mancanza

del respiro (14%); non poter difendere qualcuno che ci è caro (8%); vertigini (8%);

perdere l’autonomia fisica (8%) e nessuna paura particolare (3%).

Tab. 13

Paure

Frequenze

Tema Categorie Frequenza occorrenze % totale

Femmine Maschi

Paure Subire

aggressioni

11 (55%) 8 (47%) 51,3%

Perdere un

caro

8 (40%) 2 (12%) 27%

Fallire nella

vita

4 (20%) 2 (12%) 16,2%

Claustrofobia

e mancanza

respiro

/ 5 (29,4%) 14%

Non poter

difendere un

caro

/ 3 (18%) 8%

Vertigini 1 (5%) 2 (12%) 8%

Perdere

l’autonomia

fisica

1 (5%) 2 (12%) 8%

No paure

particolari

/ 1 (6%) 3%

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Il 92% dei partecipanti (con fr. 19 per le donne, 95% del gruppo femminile e fr. 15 per

gli uomini, 88,2% del gruppo maschile) ritiene il corso di auto-difesa utile per affrontare

e gestire le proprie paure.

L’8% non lo ritiene utile per questo aspetto (con fr. 1 per le donne, 5% del gruppo

femminile e fr. 2 per gli uomini, 12% del gruppo maschile).

- Violenze

Il tema delle violenze (fisiche e verbali), basandoci sull’analisi, può essere diviso in due

sotto temi (Tabella 14): gli episodi di violenza recenti (diretti o indiretti) e gli episodi di

violenza pregressi salienti (diretti o indiretti).

Tab. 14

Violenze

Frequenze

Tema Sotto tema Categorie Frequenza occorrenze % totale

Violenze Femmine Maschi

Episodi di

violenza

pregressi

salienti

Diretto 17 (65%) 3 (18%) 43,2%

Indiretto 4 (15%) 7 (29,4%) 22%

Episodi

recenti di

violenza

Diretto 3 (15%) 3 (18%) 16,2%

Indiretto 7 (30%) / 16,2%

Gli episodi diretti di violenza pregressa, considerati salienti dai partecipanti, sono stati

riportati con maggior frequenza (43,2% dai partecipanti). Il 65% del gruppo femminile

ha riportato episodi di violenza passata che le ha colpite particolarmente. Il 22% dei

partecipanti ha riportato degli episodi di violenza pregressa indiretta, con maggior

frequenza per il gruppo maschile (29,4%).

Gli episodi di violenza recenti sono stati riportati con minor frequenza, rispetto a quelli

pregressi, (16,2% dei partecipanti), sia per la categoria dei diretti che per quella degli

indiretti.

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Il sotto tema situazioni pericolose, riportato in Tabella 15, chiarifica il genere di episodi

violenza riportati dai partecipanti durante l’intervista.

Tabella 15

Situazioni pericolose

Frequenze

Tema Sotto tema Categorie Frequenza occorrenze % totale

Violenze Femmine Maschi

Situazioni

pericolose

Pericoli per

strada (es.

risse o

rapine)

4 (20%) 12 (59%) 38%

Violenze

fisiche e

verbali

18 (40%) 8 (24%) 32,4%

Pericoli sul

lavoro

1 (5%) 2 (12%) 8,1%

Ladri in casa 3 (5%) / 3%

La categoria pericoli per strada è stata riportata con maggior frequenza dai partecipanti

(38%). Essa riguarda episodi come l’essere stati coinvolti in risse o l’aver subito rapine

per strada.

La seconda categoria, violenze fisiche e verbali, è stata riportata dal 32,4% dei

partecipanti e racchiude episodi di violenza familiare o domestica perpetrata dal partner,

aggressioni subite e abusi e maltrattamenti sia fisici che verbali subiti durante l’infanzia.

I pericoli sul lavoro (8,1% dei partecipanti) riguardano episodi come, ad esempio,

situazioni di emergenza per coloro che sono occupati nell’ambito della sanità.

La quarta categoria, ladri in casa, è stata riportata dal 3% dei partecipanti e solo per il

gruppo femminile.

Il 41% dei partecipanti, che hanno subito violenza, ha dichiarato di essersi avvicinato ad

un corso di auto-difesa a causa della violenza subita (con fr. 11 per le donne, 55% del

gruppo femminile e fr. 4 per gli uomini, 24% del gruppo maschile).

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Inoltre il 32, 4% degli intervistati che hanno subito una qualche forma di violenza, ha

dichiarato che il corso di auto-difesa ha avuto degli effetti positivi sulla gestione dello

stress causato dall’episodio spiacevole vissuto.

Il 78,4% dei partecipanti ha dichiarato di aver avuto a che fare con persone aggressive

sia verbalmente che fisicamente, nello specifico il 71% del gruppo maschile e l’85% del

gruppo femminile. Il 22% dei soggetti ha riportato di non aver mai avuto a che fare con

individui aggressivi di alcun genere.

Valutazione del corso

- Perché è utile

Il tema sulla valutazione del corso si divide in sette categorie corrispondenti ai motivi,

riportati dai partecipanti, per cui considerano un corso di auto-difesa utile (Tabella 16).

Le categorie, in ordine di frequenza, sono: imparare a difendersi (59,4% dei

partecipanti); aumentare la propria sicurezza e gestire le emozioni negative (57%);

diventare più forti e allenati (51,3%); empowerment, ovvero più consapevolezza delle

proprie capacità di poter reagire e più determinazione (43,2%); ha effetti terapeutici,

ovvero aiuta a superare e affrontare gli episodi di violenza subiti, imparando a gestire le

emozioni negative legate all’episodio (19%); un modo per sfidare se stessi mettendosi

alla prova (14%) e essere parte di un gruppo (8,1%).

Tab. 16

Valutazione del corso

Frequenze

Tema Categorie Frequenza occorrenze % totale

Femmine Maschi Valutazione del

corso

Imparare a

difendersi

21 (70%) 10 (47%) 59,4%

Più sicurezza e

gestione

emotiva

18 (70%) 9 (41,2%) 57%

Essere più

allenati e forti

12 (45%) 13 (59%) 51,3%

Empowerment 23 (60%) 9 (24%) 43,2%

Effetti

terapeutici

6 (30%) 1 (6%) 19%

Sfidare se stessi 2 (10%) 3 (18%) 14%

Essere parte di

un gruppo

3 (15%) / 8,1%

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Per il gruppo delle donne le categorie con la frequenza più alta sono: imparare a

difendersi (70% delle donne); acquisire più sicurezza e capacità nella gestione emotiva

(70%) e empowerment. Questi tre aspetti sono gli effetti della frequentazione di un

training di auto-difesa considerati dalle partecipanti come più utili.

Per il 60% del gruppo maschile essere più forti e allenati è l’aspetto più utile del corso.

Il 51,3% dei partecipanti ha riportato l’importanza che il corso venga condotto in modo

realistico, proponendo simulazioni di aggressioni o di situazioni che potrebbero

realmente accadere per strada, così da aumentare la consapevolezza dei pericoli e delle

emozioni che si provano quando si viene aggrediti. Nello specifico il 71% degli uomini

e il 35% delle donne lo ha riportato come aspetto fondamentale di un corso di auto-

difesa.

Inoltre, il 30% dei partecipanti considera fondamentale per la buona riuscita di un

training che l’istruttore sia preparato e capace. Questo aspetto è stato riportato dal 41%

dei partecipanti maschi e dal 20% delle donne.

- Accessibilità del corso

Il 76% dei partecipanti ha dichiarato che un corso di auto-difesa potrebbe essere utile

per tutte le categorie di persone, nello specifico l’82% del gruppo maschile e il 70% del

gruppo femminile.

L’11% dei soggetti intervistati ha riportato che a questo tipo di training non dovrebbero

partecipare le persone violente o esaltate dall’idea di imparare delle tecniche per

aggredire e attaccare per primi gli altri.

Un altro 11% dei partecipanti crede che chi frequenti questi corsi debba essere

determinato e motivato poiché richiedono un certo grado di impegno e di fatica.

Il 5,4% degli intervistati crede che percorsi di auto-difesa non siano indicati per coloro

che sono molto sensibili, a cause delle simulazioni sotto stress che possono essere

piuttosto intense da sopportare.

- Target più indicato

Il 71% degli uomini e il 70% del gruppo femminile considerano la donna il target più

indicato a frequentare un corso di auto-difesa.

Il 14% dei partecipanti crede che possa essere utile anche per bambini e adolescenti.

In aggiunta, 8,1% dei partecipanti crede che un training di auto-difesa sia più indicato

per tutti i target di persone che sono da considerare come maggiormente aggredibili.

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La visione degli istruttori

Ora che sono stati sviluppati i risultati ottenuti da questa analisi qualitativa, riporterò,

toccandone i punti nevralgici e maggiormente salienti, la visione dei cinque istruttori

che ho intervistato. Tutti di sesso maschile e tutti praticanti la disciplina del Krav Maga.

Due di loro fanno parte delle Forze dell’Ordine.

Tutti loro hanno esperienze pregresse nelle arti marziali che li hanno spinti, per diversi

motivi, a voler conoscere la disciplina dell’auto-difesa. Tre di loro si sono avvicinati da

allievi, poiché cercavano metodi di difesa concreti e perché appassionati di arti marziali

in generale e dopo qualche tempo hanno intrapreso il corso da istruttori poiché portati

nella disciplina. Agli altri due insegnanti, agonisti di arti marziali con preparazioni

elevate, sono stati riconosciuti i livelli di istruttori, senza dover praticare un corso.

Hanno descritto l’auto-difesa come un metodo efficace per imparare a difendersi e per

aumentare la propria sicurezza sia da un punto di vista fisico, poiché accresce il

potenziamento muscolare e la conoscenza delle tecniche, che da quello mentale ed

emotivo, imparando a gestire le emozioni negative che la persona prova durante

un’aggressione. Uno di loro ha sottolineato l’importanza preventiva dell’auto-difesa,

come metodo per imparare ad evitare gli scontri, notando precocemente le situazioni

pericolose.

Quattro istruttori su cinque hanno affermato che negli ultimi anni sono molte di più le

donne che frequentano i corsi di auto-difesa e che in generale la partecipazione ai

training è aumentata negli ultimi tempi.

Quattro istruttori ritengono che non ci siano mezzi di sicurezza messi a disposizione

della popolazione, mentre uno considera le Forze di Polizia e lo spray al peperoncino

come mezzi utili ed efficaci per la protezione dei cittadini.

Dalla loro esperienza hanno appreso che le persone sono interessate ad imparare l’auto-

difesa soprattutto per sentirsi più sicure e per poter vivere la propria quotidianità con

meno timore e più libertà. Per alcuni partecipanti è importante l’aspetto aerobico delle

lezioni e seguono il corso principalmente per mantenersi in forma. Mentre altri hanno

confidato ai loro maestri di aver iniziato a causa di aver subito un’aggressione o una

violenza.

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Due istruttori del gruppo ritengono che i corsi di auto-difesa non siano utili per

chiunque, poiché richiedono impegno e costanza che non tutte le persone sono disposte

a sostenere. In ogni caso, pensano possano essere indicati per qualsiasi target di

soggetti, anche bambini e adolescenti e che le donne sono coloro che ricaverebbero

maggiori benefici da questi corsi perché rischiano, più degli uomini, di essere aggredite

per strada. Inoltre, hanno sottolineato l’utilità del corso per gestire emozioni negative,

come rabbia e panico, magari conseguenti a episodi pregressi di violenza.

I loro corsi non prevedono solo l’apprendimento di tecniche ma anche la gestione

emotiva di situazioni pericolose grazie alla simulazione di aggressioni che potrebbero

avvenire nella realtà. Fondamentale anche la parte di prevenzione che tutti loro

praticano in cui viene spiegata l’importanza di guardarsi attorno, di essere pronti prima

di tutto a fuggire, di prevedere quali situazioni potrebbero diventare pericolose e

vengono consigliati accorgimenti da adottare come camminare in strade illuminate,

possibilmente non da soli, avere lo spray al peperoncino con sé e tener presente dove

sono le vie di fuga nei luoghi chiusi o delimitati.

Gli insegnanti hanno spiegato che lo scopo del corso non è insegnare l’uso della forza

agli allievi, ma piuttosto delle strategie di prevenzione e, solo in extremis, di difesa. Per

tale ragione non si prevede che l’allievo debba acquisire particolare forza fisica. Hanno

sottolineato l’importanza di insegnare alle persone come ragionare per evitare lo scontro

fisico. L’auto-difesa non deve essere usata a scopo di attacco e coloro che vogliono

apprenderla a tal fine vengono immediatamente allontanati dai corsi.

Tre istruttori hanno affermato di aver trovato qualche difficoltà ad insegnare alle donne

a reagire quando attaccate fisicamente poiché molte si bloccano durante le simulazioni

di aggressioni, soprattutto se hanno vissuto qualche esperienza negativa passata.

Hanno notato che solitamente i loro allievi, dopo un tempo comprensibile di

conoscenza, tendono ad aprirsi e a confidare loro se hanno subito in passato violenze.

Considerano questo aspetto importante poiché permette loro, non solo di fare maggiore

attenzione quando praticano tecniche invasive, cercando di rispettare i tempi della

persona, ma anche di dare consigli pratici per evitare in futuro esperienze simili.

Rispetto ai benefici che secondo loro le persone ricavano da un training di auto-difesa,

tutti loro credono che migliori l’auto-efficacia, tanto quella emotiva, poiché si apprende

come gestire emozioni di panico e si acquisisce maggior sicurezza in se stessi, quanto

l’auto-efficacia fisica poiché vengono insegnate tecniche che col tempo diventano

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istintive. Oltre tutto ciò vi è il potenziamento muscolare che fa sentire meglio i

partecipanti.

Anche per quanto riguarda la vita quotidiana degli allievi, gli istruttori ritengono che le

abilità acquisite siano determinanti.

Quattro istruttori hanno dichiarato che l’aumento dell’autostima è un beneficio

conseguente alla frequentazione di un corso di auto-difesa. Ritengono che questo

aspetto sia determinato dal fatto che si affrontano le paure, si accresce la

consapevolezza delle proprie abilità e la sicurezza in sé. Solo un istruttore crede che

questo aspetto sia molto soggettivo e che non necessariamente il training abbia degli

effetti su di esso.

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Capitolo Quarto

Discussione e Conclusioni

4.1 Discussione

In questa ricerca con impianto qualitativo sono stati analizzati diversi argomenti

riguardanti le motivazioni che hanno spinto le persone ad intraprendere un corso di

auto-difesa e gli eventuali benefici conseguenti alla frequentazione di questi training.

Il primo risultato emerso dall’analisi, riguardante le motivazioni riportate con più

frequenza dai partecipanti, mostra che la maggioranza degli intervistati ricercava un

metodo che accrescesse il loro livello di sicurezza imparando delle tecniche utili alla

difesa in caso di aggressione, nonché delle modalità per gestire emotivamente quelle

situazioni.

Anche il volersi tenere in forma facendo dell’attività aerobica che rinforza il tono

muscolare e aumenta il benessere fisico è un motivo che ha contribuito ad avvicinarsi a

questa disciplina, assieme alla mera curiosità di provare qualcosa di nuovo.

Il secondo risultato emerso dall’analisi, relativo alla percezione soggettiva dell’auto-

difesa, presenta che i partecipanti considerano questa disciplina principalmente come un

metodo di prevenzione e difesa che ha lo scopo di far sentire più tranquilli e sicuri,

poiché accresce la consapevolezza di ciò che potrebbe accadere nella realtà e fornisce

consigli pratici su come evitare, prima di tutto, le situazioni spiacevoli e, se costretti,

affrontarle. Ciò grazie all’insegnamento di tecniche pratiche di auto-difesa e ai consigli

pratici degli istruttori che invitano a porre maggior attenzione quando si è per strada.

Il terzo risultato, basandoci sull’analisi, rivela che la maggioranza dei partecipanti

(78%) ha percepito un aumento del proprio senso di sicurezza come beneficio derivante

dalla frequentazione di un corso di auto-difesa. Gli aspetti del corso riportati dagli

intervistati come principali cause di questo aumento riguardano l’importanza che il

corso venga condotto in maniera realistica, mostrando i pericoli che realmente

potrebbero presentarsi nella vita quotidiana di ognuno e come affrontarli, senza

tralasciare le difficoltà di sapersi difendere in caso di reale aggressione. I partecipanti

hanno considerato dunque fondamentali le simulazioni sotto stress che pongono gli

allievi davanti ai propri limiti sotto l’aspetto sia fisico che emotivo, ma che abituano alla

sensazione di smarrimento e panico che generalmente si prova quando si subisce un

attacco fisico diventando fondamentali nella gestione di quelle emozioni. I corsisti

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hanno dichiarato di sentirsi più sicuri emotivamente e che questo aspetto ha contribuito

all’aumento del senso di sicurezza generale.

L’ 80% dei partecipanti considera la città in cui vive sicura, soprattutto poiché si tratta

di città piccole e di provincia in cui gli abitanti si conoscono e in cui c’è poca

criminalità. Dall’ analisi emergono quali fattori i partecipanti hanno riportato come

cause della loro insicurezza: la poca fiducia nelle istituzioni e negli impianti giuridici, la

presenza di immigrati e di criminali. I partecipanti che si sono espressi sul primo fattore

hanno riportato critiche rispetto ai fatti di cronaca che riguardavano la legittima difesa

poiché hanno avuto la percezione che fosse stato punito dagli organi giudiziari chi si era

difeso e non l’aggressore e hanno espresso il timore di non essere tutelati in questo

senso dalle leggi o da chi giudica.

Dai risultati emerge che i rappresentanti delle Forze di Polizia sono considerati il

sistema di sicurezza principale che i partecipanti considerano messo a disposizione della

popolazione.

Rispetto ai rapporti con le Forze dell’ordine, quarto argomento di analisi, è emerso che

la maggioranza degli intervistati (51,4%) provano ansia e timore quando sono fermati

dagli agenti di polizia ad esempio per controlli stradali o dei documenti. Si sentono

tranquilli (84%) quando sono loro ad avvicinarsi agli agenti per chiedere informazioni.

Nel primo caso, è la paura di essere in torto e sotto esame dalle Forze dell’Ordine che

crea nei soggetti questo senso di timore e ansia mentre, nel secondo caso, sentono di

potersi rivolgere a loro con assoluta tranquillità poiché adibiti anche per quello.

Il quinto risultato emerso dall’analisi è la percezione di maggior sicurezza e attenzione

riportato più frequentemente dai partecipanti come cambiamento nella vita quotidiana.

Così come riportato da Hollander (2004), il corso ha avuto effetti sulla quotidianità

poiché insegna ad evitare o prevenire situazioni pericolose.

L’attenzione maggiore riguarda aspetti come osservare di più i luoghi in cui si trovano,

le vie di fuga e le persone che hanno attorno con lo scopo di prevenire ed evitare

situazioni spiacevoli che potrebbero presentarsi. Dunque, hanno la percezione di aver

cambiato alcuni comportamenti della vita quotidiana sempre sotto l’aspetto della

maggior attenzione, ad esempio in situazioni in cui si trovano in locali chiusi e affollati

o per strada la sera.

L’aspetto dell’interazione con gli altri nella vita quotidiana non ha subito cambiamenti

per il 62% dei partecipanti. Per coloro che hanno percepito delle differenze, è emerso

che gli intervistati percepiscono di essere in alcuni casi più sicuri e determinati nel

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modo di porsi o di approccio con l’altro, in altri casi più cauti quando non conoscono la

persona con cui stanno interagendo.

Rispetto al sesto argomento della ricerca, i partecipanti hanno riportato più

frequentemente la percezione di un cambiamento nell’auto-efficacia emotiva nei termini

di maggior tranquillità e sicurezza quando si trovano davanti una situazione pericolosa,

ma nello specifico la maggioranza di loro (54%) non sa se ritenersi efficace a gestire

emotivamente un’aggressione.

Il cambiamento nell’efficacia fisica riportato più di frequente dagli intervistati concerne

l’essere più capaci di difendersi fisicamente da un attacco fisico, grazie

all’apprendimento di tecniche e movimenti propri della disciplina. La maggioranza dei

partecipanti (49%) ha dichiarato di sentirsi allo stato attuale efficace fisicamente

nell’affrontare una situazione pericolosa.

I ricercatori concordano che le donne che frequentano corsi di auto-difesa hanno

riportato un livello minore di paura e più confidenza nelle loro abilità di difendersi dopo

un training (Cohn, Kidder, & Harvey, 1978; McCaughey, 1997; McDaniel, 1993; Ozer

& Bandura, 1990; Weitlauf, Smith, & Cervone, 2000).

Basandoci sull’analisi, riguardo il settimo argomento della ricerca, i partecipanti hanno

riportato con più frequenza, come differenza nella gestione corporea in contesti di

pericolo, il fatto di posizionare in automatico il proprio corpo per la difesa, mettendosi

in posizione di guardia, pronti a fuggire o a difendersi.

L’ottavo risultato emerso riguarda l’autostima dei partecipanti, aumentata per il 70,3%

del gruppo di intervistati. Le donne hanno riportato con maggior frequenza rispetto agli

uomini l’aumento dell’autostima come beneficio conseguente ad un percorso di auto-

difesa, infatti, come emerso dall’analisi è stato riportato dall’85% del gruppo femminile

e dal 53% del gruppo maschile.

Dal nono argomento, paure e violenze, è emerso che la paura più frequentemente

riportata dai partecipanti riguarda il subire aggressioni o violenze e che il 92% di loro

ritiene il corso di auto-difesa utile per gestire e affrontare le proprie paure.

Le violenze dirette pregresse sono state riportate con maggior frequenza dai partecipanti

della ricerca, soprattutto dal gruppo delle donne che per il 65% ha dichiarato di aver

subito qualche forma di violenza diretta alla propria persona in passato che le ha

particolarmente segnate (Follansbee, 1982)

Il genere di situazioni pericolose vissute dai partecipanti riportate con maggior

frequenza sono, in primis, l’essersi trovati in contesti pericolosi per strada come il

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trovarsi coinvolti in risse, essere seguiti da estranei o aver subito rapine;

secondariamente aver subito violenze fisiche e/o verbali ad esempio in contesti familiari

o perpetrati da un partner, ma anche in contesti lavorativi o per strada.

È emerso che il 78,4% degli intervistati ha avuto a che fare con persone aggressive sia

fisicamente che verbalmente.

Il 41% dei partecipanti che ha subito qualche forma di violenza crede che ciò abbia

contribuito a farli avvicinare al mondo dell’auto-difesa e, come emerso dalla ricerca di

Follansbee (1982), il corso ha avuto degli effetti positivi sulla gestione dello stress

causato dall’episodio di violenza per il 32,4% di loro.

Il decimo e ultimo argomento, riguardante la valutazione del corso, ha fatto emergere

che i partecipanti considerano un corso di auto-difesa utile principalmente perché

insegna a difendersi da aggressioni e violenze e perché si apprende come gestire

emotivamente queste situazioni di pericolo con il conseguente beneficio di sentirsi più

sicuri. Queste utilità sono state riportate con più frequenza dal gruppo di donne, assieme

anche all’empowerment, che consiste nell’aver acquisito più consapevolezza delle

proprie capacità e determinazione, forti del fatto di aver compreso di poter reagire in

caso di aggressione. Come sottolineò McCaughey (1998), la donna che si auto difende

rifiuta lo status di debole poiché l'autodifesa opera non solo a livello di idee e di

relazioni sociali ma cambia il significato di avere un corpo femminile. I ricercatori,

inoltre, concordano sul fatto che i corsi migliorano i livelli di autostima, di auto-

efficacia, di percezione del controllo, oltre che di empowerment e diminuiscono la paura

di subire aggressioni (Brecklin, 2004; Brecklin & Ullman, 2004; Brecklin & Ullman,

2005; Brecklin, 2008; Hollander 2010).

Il gruppo di uomini considera il corso di auto-difesa utile soprattutto perché

contribuisce a mantenersi in forma e a diventare più forti grazie all’allenamento costante

che potenzia la struttura muscolare.

Inoltre, è emerso che il 76% degli intervistati crede che un training di self-defence possa

essere indicato per tutti. In ogni caso, il target di persone considerato dai partecipanti

più indicato e che potrebbe ricevere più benefici da un corso del genere, sono le donne.

4.2 Conclusioni

L’analisi qualitativa dei dati sembra mostrare che chi si avvicina a questi corsi di auto-

difesa lo fa per scopi essenzialmente utilitaristici, ovvero per supplire a un deficit di

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efficienza ordinamentale nella difesa privata, dalle aggressioni spicciole ma sempre più

diffuse, che ingenerano nei singoli un senso di ansia, se non di paura.

È innegabile che le donne sono state e sono più esposte dei maschi a prepotenze e a

molestie, quando non a veri propri atti di violenza.

La novità risiede nella recente tendenza delle donne ad abbracciare modalità di difesa

diretta e autonoma, dunque non più delegata al mondo maschile, cui affidare, almeno in

parte, la propria sicurezza fisica, ma di conseguenza anche quella emotiva e psicologica

quale mezzo di prevenzione e, molto spesso, quale strumento lenitivo degli effetti

spesso devastanti di un trauma subito.

Tutto quanto precede, potrebbe costituire un campo di intervento integrato (Rosenblum,

2007; 2014), psicologico e atletico, utile alla generalità delle persone che, maschi o

femmine che siano, pur non avendo mai avuto la disavventura di qualche brutta

esperienza subita, avvertano tuttavia l’ansia tipica del presente e, purtroppo

ingravescente, del pericolo reale o presunto di trovarsi esposti a una qualche forma di

altrui prepotenza che non possa venir adeguatamente contrastata nell’immediatezza dai

soggetti ordinamentali preposti, quali Forze dell’Ordine e sistema giudiziario.

Si tratta comunque di forme di auto-difesa fisica e psicologica strettamente canalizzate,

guidate da mani esperte e rigorosamente normate nelle loro modalità di espletazione: “in

primis, commodus discessus”, ovvero, se puoi, comodamente scappa, e solo

secondariamente “pugnare licet”, ovvero combattere solo se costretti.

Dunque la scelta di chi si accosta a queste modalità auto-difensive sembra essere ben

lontana, se non diametralmente opposta, ad accogliere la tentazione socialmente

distruttiva e disgregante, oltre che inaccettabile sul piano della convivenza civile e del

diritto, di correre alle armi riprendendosi così individualmente quella forza che i singoli

hanno delegato allo Stato, “ne cives ad arma ruant”.

La decisione di escludere dal gruppo di partecipanti i soggetti che fanno parte delle

Forze dell’Ordine è dovuta al fatto che ritenevo primariamente importante comprendere

quali fossero le motivazioni che spingono le persone comuni ad intraprendere un

training di auto-difesa e l’integrazione di rappresentanti dell’Arma nel campione

avrebbe potuto alterare le ragioni e i benefici che spingono “i civili” a voler imparare a

difendersi.

Penso che sarebbe interessante, come spunto per ricerche future, capire per quali ragioni

rappresentanti delle Forze dell’Ordine decidono di intraprendere, durante il tempo

libero, corsi di auto-difesa, nello specifico Krav Maga. Si potrebbe indagare se le

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motivazioni sono legate prettamente alla voglia di mantenersi in forma o se pensano di

dover integrare la loro preparazione professionale con questo tipo di training poiché non

considerano sufficiente quella standard.

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