Università degli Studi di Napoli “Federico II” 1.1.5 La legge del decadimento radioattivo pag.9...
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Università degli Studi di Napoli
“Federico II”
Facoltà di Ingegneria
CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN
INGEGNERIA BIOMEDICA
TESI DI LAUREA
IN
FISICA SANITARIA
UTILIZZO DELLA DOSIMETRIA A TERMOLUMINESCENZA
PER LA STIMA DELLA DOSE GAMMA IN ABITAZIONI DELLA
PENISOLA SORRENTINA
RELATORE CANDIDATO
Prof.ssa Mariagabriella PUGLIESE Luca PISCOPO
Matr. 080/287
CORRELATORE
Prof.ssa Maria QUARTO
ANNO ACCADEMICO 2011/2012
INDICE
I
Indice
INTRODUZIONE pag.1
CAPITOLO 1. LA RADIOATTIVITA’
1.1 Il fenomeno della radioattività
1.1.1 Cenni storici pag.5
1.1.2 I modelli atomici di Rutherford e di Bohr pag.7
1.1.3 La forza nucleare forte pag.8
1.1.4 La radioattività pag.9
1.1.5 La legge del decadimento radioattivo pag.9
1.1.6 Attività di una sorgente radioattiva pag.10
1.1.7 Il tempo di dimezzamento pag.11
1.1.8 Le unità di misura pag.11
1.2 Interazioni delle radiazioni con la materia
1.2.1 Radiazioni ionizzanti e non ionizzanti pag.13
1.2.2 Radiazioni direttamente e indirettamente ionizzanti pag.14
1.2.3 Esposizione a sorgenti radioattive pag.15
1.2.4 Irradiazione esterna ed interna pag.16
1.3 Effetti biologici delle radiazioni ionizzanti
1.3.1 Interazioni delle radiazioni con cellule e tessuti pag.17
1.3.2 Le fasi dell’ interazione pag.19
1.3.3 Grandezze dosimetriche pag.21
1.3.4 Kerma pag.21
1.3.5 Dose assorbita pag.22
1.3.6 Equivalente di dose e LET della radiazione pag.23
1.3.7 Equivalente di dose efficace pag.25
1.4 Aspetti biologici della radioprotezione
1.4.1 Effetti deterministici e stocastici pag.26
1.4.2 Limiti di esposizione pag.28
INDICE
II
1.5 La radioattività naturale
1.5.1 I materiali da costruzione pag.36
1.5.2 La problematica affrontata pag.38
CAPITOLO 2. TEORIA DELLA TERMOLUMINESCENZA
2.1 La fisica del processo di termoluminescenza
2.1.1 La luminescenza pag.41
2.1.2 Struttura a bande dei livelli energetici e Termoluminescenza pag.43
2.1.3 Glow-curve pag.47
2.2 Caratteristiche dei dosimetri a termoluminescenza
2.2.1 Annealing pag.50
2.2.2 Fading pag.53
2.2.3 Linearità della risposta pag.54
2.2.4 Sensibilità pag.56
2.2.5 Risposta in energia pag.56
2.2.6 Dose minima e dose massima rivelabili pag.58
2.2.7 Vantaggi e problematiche dei TLD pag.59
2.2.8 TLD al LiF:Mg,Ti pag.59
2.2.9 Impiego dei TLD in medicina pag.62
CAPITOLO 3. PROGETTO DI RICERCA
3.1 Scelta del campione pag.66
3.2 Preparazione dei TLD pag.67
3.2.1 Annealing dei TLD pag.68
3.2.2 Scopo degli irraggiamenti pag.70
3.2.3 La calibrazione dei TLD pag.71
3.2.4 Preparazione e posizionamento del dosimetro pag.74
3.3 Lettura dei TLD pag.75
INDICE
III
CAPITOLO 4. RISULTATI SPERIMENTALI
4.1 Analisi dei risultati ottenuti dalla lettura dei TLD pag.83
4.1.1 Correzione per i gamma outdoor pag.84
4.2 Confronto dei risultati ottenuti con quelli della campagna
nazionale pag.85
4.3 Dose in funzione dei materiali da costruzione pag.87
4.4 Dose in funzione del piano dell’ abitazione pag.90
4.5 Dose in funzione dell’ anno di costruzione dell’ abitazione pag.91
4.6 Dose efficace dei gamma indoor pag.93
CONCLUSIONI pag.94
APPENDICE A pag.97
APPENDICE B pag.100
APPENDICE C pag.106
APPENDICE D pag.115
BIBLIOGRAFIA pag.121
Introduzione
1
Introduzione
Il lavoro di tesi ha riguardato la determinazione della dose gamma dovuta
ai materiali da costruzione in abitazioni della penisola sorrentina mediante
Dosimetri a Termoluminescenza (TLD).
Per avere delle stime di dose assorbita dalla popolazione e dei conseguenti
effetti biologici su di essa, è necessario l’utilizzo di dosimetri. A tale scopo,
l’impiego dei TLD risulta comodo e conveniente, perché le loro dimensioni
sono ridotte e non hanno bisogno di alimentazioni esterne. Inoltre, vi è la
possibilità di riutilizzarli più volte dopo averli sottoposti ad una procedura
di azzeramento detta annealing, che serve a riportare i TLD nelle
condizioni di pre-irraggiamento.
I TLD sono solidi cristallini che conservano l’energia rilasciata al loro
interno dalla radiazione ionizzante fino a quando non vengono
opportunamente riscaldati (da cui il termine “termoluminescenza”): ciò
Introduzione
2
comporta l’emissione di fotoni da parte del cristallo, prevalentemente nella
regione visibile dello spettro, che può essere correlata alla dose di
radiazione assorbita. L’andamento dell’intensità della luce emessa in
funzione della temperatura fornisce la curva caratteristica dei TLD,
chiamata glow-curve, il cui integrale (chiamato risposta di
termoluminescenza del TLD) è correlato all’energia rilasciata nel
dosimetro dalla radiazione incidente.
Per avere una stima della dose ricevuta dagli abitanti delle case investigate,
i TLD che vengono utilizzati devono essere opportunamente calibrati.
Infatti, la lettura del TLD fornisce il valore della risposta di
termoluminescenza del dosimetro e non della dose da esso assorbita.
Pertanto, è necessario stimare il cosiddetto fattore di calibrazione che
consente di convertire la risposta del TLD nella dose incognita ricevuta da
esso.
La tesi è suddivisa in quattro capitoli e di seguito sono riassunti gli
argomenti trattati in essi:
Nel Capitolo 1 è presentata una introduzione alla radioattività
naturale e agli effetti biologici delle radiazioni, e viene analizzata la
normativa attualmente vigente finalizzata alla protezione della
popolazione.
Il Capitolo 2 è dedicato alla teoria della termoluminescenza.
Vengono descritti i processi che sono alla base di tale fenomeno e le
caratteristiche dei dosimetri utilizzati per avere informazioni sulla
dose di radiazione ionizzante assorbita. In particolare vengono
Introduzione
3
descritte le proprietà dei TLD al LiF utilizzati nella parte
sperimentale del presente lavoro di tesi.
Nel Capitolo 3 viene presentata la fase riguardante il trattamento dei
TLD, l’annealing, processo in cui i TLD vengono azzerati, la
procedura di calibrazione dei dosimetri mediante l’esposizione di
questi ad una dose nota di radiazione. Viene altresì descritta la
preparazione dei dosimetri che sono stati poi esposti per 6 mesi nelle
abitazioni investigate. Vengono poi presentati i risultati forniti dalla
lettura dei TLD ottenuti attraverso un lettore a termoluminescenza
(Harshaw 3500).
Nel Capitolo 4 vengono presentati e discussi i risultati ottenuti in
termini di stima della dose gamma rilevata nelle abitazioni
considerate, corrette per la dose gamma outdoor e di stima della
dipendenza della dose gamma dai materiali da costruzione.
Infine sono riportate le conclusioni.
CAPITOLO 1
La Radioattività
4
Capitolo 1. La Radioattività
La radioattività naturale rappresenta la principale fonte di esposizione
dell’uomo alle radiazioni ionizzanti. Essa rappresenta uno dei rischi per
la salute della popolazione, ed è quindi molto importante stimare la dose a
cui essa viene esposta.
In questo capitolo verrà descritta la radioattività naturale e gli effetti
biologici radioindotti, nonché la normativa attualmente vigente in materia
di protezione della popolazione.
CAPITOLO 1
La Radioattività
5
1.1 Il fenomeno della radioattività
1.1.1 Cenni storici
Nel 1896, sulla base degli studi effettuati da Wilhelm Conrad Röntgen,
Henri Becquerel scopre l’esistenza del fenomeno della radioattività.
Negli anni successivi daranno un contributo fondamentale allo studio di
questo fenomeno le scoperte e le intuizioni dei coniugi Curie e, in
particolare, di Ernest Rutherford, che scoprirà l’esistenza di tre differenti
tipologie di radiazioni (dando ad esse i nomi di raggi alfa, beta e gamma).
Di seguito vengono elencate le tappe fondamentali della storia della
radioattività:
1895, 8 novembre. Wilhelm Conrad Röntgen, docente di fisica
all’università di Würzburg, compiendo al buio degli esperimenti con
un tubo a raggi catodici, nota una luce verde proveniente da un pezzo
di cartone ricoperto da una sostanza chimica luminescente.
Röntgen si accorge che, togliendo la corrente al tubo catodico, la
luce verde scompare. Nel ridare corrente al tubo, pone la mano tra il
tubo stesso e il cartone: con suo grande stupore, sul cartone viene
proiettato l’ombra delle ossa della mano. “Non avevo idea di cosa
fossero quei raggi” scrisse in seguito “perciò li chiamai
semplicemente raggi X, essendo X il simbolo matematico di una
grandezza incognita” [1].
CAPITOLO 1
La Radioattività
6
1896, 1 marzo. Il fisico francese Henri Becquerel, dopo aver appreso
da Röntgen l’esistenza dei raggi X, cerca di scoprire se una
radiazione simile venga emessa spontaneamente da alcuni minerali
fluorescenti, come il solfato di uranio e potassio (uranile). Il 26
febbraio ricopre un cristallo di uranile con carta nera, lo appoggia su
carta fotografica ed espone il tutto al Sole, convinto che la luce sia
l’elemento che innesca la radiazione. Ma il Sole se ne va, cosicché
Becquerel ripone il tutto in un cassetto. Quando il 1 marzo il fisico
riprende il suo involto scopre che nel punto in cui aveva appoggiato
il cristallo alla carta fotografica c’è una macchia nera. Becquerel
intuisce che l’uranile ha una sua radiazione intrinseca che non ha
nulla a che fare col Sole o con altri processi fisici o chimici: ha
scoperto il fenomeno della radioattività (grazie a questi studi,
Becquerel vincerà il Nobel per la fisica nel 1903, insieme ai Curie).
1898. Pierre e Marie Curie decidono di esaminare il fenomeno della
radioattività utilizzando una metodologia di studio che consiste nel
misurare la ionizzazione indotta dal nuovo fenomeno: ciò permette
loro non solo di scoprire tutta un’altra serie di sostanze radioattive
(torio, polonio, radio), ma anche di arrivare alla conclusione che la
radioattività è una proprietà atomica degli elementi.
1899-1900. Sulla base degli studi dei coniugi Curie, nel 1899 Ernest
Rutherford scopre che l’uranio emette due tipi di radiazioni con
diversi poteri di penetrazione: dà loro i nomi di raggi alfa e beta, cui
nel 1990 si aggiungeranno i raggi gamma, scoperti da Paul Villard
ma così denominati dallo stesso Rutherford.
CAPITOLO 1
La Radioattività
7
1.1.2 I modelli atomici di Rutherford e di Bohr
La materia stabile che ci circonda è formata da tre costituenti elementari: il
protone, l’elettrone ed il neutrone; questi tre costituenti si aggregano in
strutture che si chiamano atomi. Rutherford ipotizzò che l’atomo fosse
strutturato come un microscopico sistema solare, in cui gli elettroni, simili
a pianeti, ruotassero intorno ad una massa positiva più tardi chiamata
nucleo. Il modello planetario di Rutherford creò subito alcune difficoltà
concettuali. Era infatti impossibile giustificare la stabilità temporale
dell’atomo: in base alle leggi dell’elettrodinamica classica, ogni carica che
si muove di moto non uniforme irradia onde elettromagnetiche a spese
della propria energia di moto, per cui in un tempo molto piccolo
(circa 10-8
s) un elettrone atomico sarebbe dovuto cadere sul nucleo.
Questo problema fu risolto da Bohr nel 1913: egli, ricorrendo alle nuove
ipotesi connesse con la teoria dei quanti elaborata da Plank ai primi del
‘900, definì un modello in cui gli elettroni occupano soltanto orbite ben
definite, nelle quali l’elettrone non irradi energia; si ha quindi emissione o
assorbimento di energia quantizzata soltanto nella transizione tra i vari
livelli atomici [2]. Il nucleo è invece costituito da protoni (cariche positive)
e neutroni (cariche neutre).
CAPITOLO 1
La Radioattività
8
1.1.3 La forza nucleare forte
L’altro problema concettuale del modello di Rutherford era il fatto che le
forze repulsive colombiane agenti tra le cariche positive protoniche,
confinate in un limitato volume (il nucleo), avrebbero dovuto dar luogo ad
una istantanea disgregazione del nucleo stesso. L’ assenza di questo
fenomeno di disgregazione del nucleo è stato spiegato ipotizzando
l’esistenza di un’altra forza detta forza nucleare forte. Questa è una forza a
corto raggio (cioè esiste per distanze di separazione delle particelle inferiori
ai 2 fm) ed è maggiore della forza repulsiva di Coulomb: assicura in questo
modo la stabilità del nucleo.
Esistono però in natura dei nuclei instabili, in cui cioè la forza nucleare non
supera quella repulsiva di Coulomb. Nei nuclei più pesanti infatti, essendo
più elevato il numero atomico Z (perché vi è una maggiore presenza di
protoni) le forze colombiane sono più elevate, ed è necessario un maggior
numero di neutroni per compensarle. In particolare, per Z=83, la forza
repulsiva fra i protoni non può più essere compensata aggiungendo
neutroni: ciò significa che gli elementi che contengono più di 83 protoni
non hanno nuclei stabili.
I nuclei instabili vengono definiti radionuclidi: essi tendono naturalmente a
raggiungere uno stato stabile trasformandosi in un altro nucleo ed
emettendo particelle di varia natura. Il processo di emissione di radiazioni
viene anche detto decadimento e un nucleo emettitore si dice che “decade”
in un altro nucleo [3].
CAPITOLO 1
La Radioattività
9
1.1.4 La radioattività
La radioattività è quindi l’emissione di energia da parte di un nucleo
instabile che decade rilasciando energia per raggiungere uno stato stabile.
A seguito di un decadimento l’atomo radioattivo si trasforma in un atomo
di un altro elemento perché viene modificato il numero di protoni nel
nucleo (quindi cambia il numero atomico).
Anche l’atomo ottenuto da un processo di decadimento può a sua volta non
essere stabile, per cui possono formarsi delle vere e proprie catene
radioattive (per esempio le serie naturali U-238, Th-232, U-235).
Un nucleo radioattivo decade spontaneamente attraverso i decadimenti α, β
e γ. Le caratteristiche di questi tre processi di decadimento radioattivo sono
trattati nell’Appendice A.
1.1.5 La legge del decadimento radioattivo
La rapidità con la quale in un campione radioattivo si verifica un
particolare processo di decadimento è proporzionale al numero di nuclei
radioattivi presenti (cioè quei nuclei che non sono ancora decaduti). Se
indichiamo con N il numero di nuclei radioattivi presenti in un certo
istante, il tasso di variazione di N è:
(dN / dt) = -λN (1.1)
dove λ è la costante di decadimento, ed ha valori diversi per nuclei diversi.
CAPITOLO 1
La Radioattività
10
Il segno negativo indica che N diminuisce nel tempo. Scrivendo
l’equazione (1.1) come:
(dN / N) = -λdt (1.2)
e integrando il secondo membro fra 0 e t ed il primo membro fra N0
(numero di nuclei radioattivi non decaduti a t=0) ed N, si ottiene:
N = N0 exp(-λt) (1.3)
Questa è l’espressione del decadimento esponenziale per i nuclei
radioattivi.
Il valore di λ indica la probabilità che un nucleo radioattivo ha di decadere.
Il decadimento è quindi un fenomeno probabilistico.
1.1.6 Attività di una sorgente radioattiva
Si definisce attività di una sorgente il numero di decadimenti o
disintegrazioni effettuati da quella stessa sorgente nell’unità di tempo.
Sostituendo l’equazione (1.1) alla (1.3) si ottiene:
A = (dN / dt) = N0 λ exp(-λt) (1.4)
CAPITOLO 1
La Radioattività
11
Scrivendo N0 λ come A0 si ottiene l’espressione dell’attività di una
sorgente:
A = A0 exp(-λt) (1.5)
1.1.7 Il tempo di dimezzamento
Si definisce tempo di dimezzamento, il tempo necessario affinché la metà
di un dato numero di nuclei radioattivi decadano, ovvero il tempo
necessario perché l’attività della sorgente si dimezzi. Esso vale:
T1/2 = (0.693 / λ) (1.6)
1.1.8 Le unità di misura
L’unità di misura dell’attività di una sorgente radioattiva nel Sistema
Internazionale è il Becquerel (Bq):
1 Bq = 1 decadimento/s (1.7)
CAPITOLO 1
La Radioattività
12
In alcuni casi si fa uso anche della vecchia unità di misura, il curie (Ci):
1 Ci = 3.7 x 1010
decadimenti/s = 3.7 x 1010
Bq (1.8)
che corrisponde all’incirca all’attività di 1 g di radio.
CAPITOLO 1
La Radioattività
13
1.2 Interazione delle radiazioni con la materia
1.2.1 Radiazioni ionizzanti e non ionizzanti
Le radiazioni, propagandosi nello spazio, interagiscono con la materia
circostante, vivente e non. I meccanismi di interazione sono diversi a
seconda del tipo di radiazione, della sua energia e delle caratteristiche del
materiale attraversato; ne segue una diversa capacità di penetrazione dei
vari tipi di radiazioni nei vari materiali.
Il principale effetto dell’interazione di queste radiazioni con la materia sarà
la cessione di parte o di tutta l’energia alla materia, con possibile
assorbimento della radiazione. Assorbimento che nel caso di particelle con
massa (tipo particelle α o particelle β) significa riduzione ad uno stato di
quiete all’interno del materiale, nel caso di fotoni la loro scomparsa (vedi
Appendice B).
Si distinguano in particolare due tipologie di radiazioni: le radiazioni
ionizzanti, ossia quelle in grado di produrre ionizzazione degli atomi e
delle molecole del mezzo attraversato, e le radiazioni non ionizzanti, per le
quali l’assorbimento è solamente in grado di creare una cessione di energia
di tipo termico. In quest’ultima categoria rientrano ad esempio le radiazioni
di tipo ottico o ultravioletto, che sono in grado di produrre assorbimenti
sotto forma termica. Le prime sono invece quelle in grado di provocare
mutazioni a livello atomico e molecolare e sono perciò quelle più
pericolose da un punto di vista biologico.
CAPITOLO 1
La Radioattività
14
1.2.2 Radiazioni direttamente e indirettamente ionizzanti
Le radiazioni ionizzanti sono particelle cariche: protoni, elettroni, particelle
α, particelle β, neutroni e fotoni. Le prime sono dette direttamente
ionizzanti in quanto il meccanismo di assorbimento implica una perdita di
energia che coinvolge direttamente un numero elevato di ionizzazioni,
mentre neutroni e fotoni sono dette indirettamente ionizzanti, perché
mettono in moto particelle a loro volta ionizzanti.
Tipologia di particelle Radiazione prodotta
Particelle cariche
(protoni, elettroni, particelle α…)
Direttamente ionizzante
Neutroni e fotoni
Indirettamente ionizzante
Tabella 1.1 - Radiazioni direttamente e indirettamente ionizzanti
CAPITOLO 1
La Radioattività
15
1.2.3 Esposizione a sorgenti radioattive
Le sorgenti di radiazioni ionizzanti si possono dividere in naturali e
artificiali, cioè prodotte da attività umana:
Radioattività naturale: le radiazioni ionizzanti sono dovute a raggi
cosmici oppure a decadimenti di elementi radioattivi presenti in
natura. I raggi cosmici sono particelle cariche di alta energia che
arrivano dallo spazio; all’ingresso dell’atmosfera sono costituiti per
lo più da protoni (86%) e da nuclei di elio (13%). I decadimenti
spontanei di elementi radioattivi che si trovano comunemente in
natura costituiscono una preponderante frazione della radioattività
naturale a cui si è soggetti. L’ elemento più comune è il radon, che è
un gas che si trova nella crosta terrestre e nei materiali da
costruzione.
Radioattività artificiale: si intendono con questo termine tutte le
radiazioni ionizzanti da addebitarsi all’attività umana. Possibili
sorgenti artificiali di radiazioni ionizzanti possono essere le
emissioni dell’industria dell’energia nucleare, fallout di incidenti
nucleari, come quello di Chernobyl o Fukushima, elementi
radioattivi rilasciati in atmosfera a seguito di esperimenti atomici,
l’irradiazione medica a fini diagnostici e terapeutici (tubo a raggi X
per TAC e radiologia, acceleratori di particelle per la radioterapia,
radionuclidi per PET, SPECT, medicina nucleare).
CAPITOLO 1
La Radioattività
16
1.2.4 Irradiazione esterna ed interna
Per quanto riguarda l’esposizione a sorgenti radioattive, si distingue tra
esposizione (o contaminazione) esterna e interna:
Esposizione esterna: intesa come l’esposizione alle radiazioni
emesse dalla sorgente senza contatto tra la sorgente stessa e la
persona esposta.
Esposizione interna: in questo caso il materiale radioattivo penetra
nell’organismo attraverso ferite, per inalazione, per ingestione o
depositandosi sulla pelle.
CAPITOLO 1
La Radioattività
17
1.3 Effetti biologici delle radiazioni ionizzanti
1.3.1 Interazioni delle radiazioni con cellule e tessuti
Gli effetti biologici delle radiazioni ionizzanti derivano dalle cessioni
energetiche conseguenti all’interazione con la materia di particelle cariche,
di neutroni o di fotoni.
Fra le numerose molecole che costituiscono la materia vivente, alcune,
come DNA ed enzimi, hanno una funzione privilegiata, e le alterazioni
delle stesse sono causa delle più importanti mutazioni radioindotte.
Queste molecole possono agire direttamente con l’agente ionizzante
(azione diretta), o essere secondariamente alterate (azione indiretta) dai
radicali liberi, formatisi prevalentemente per radiolisi dell’acqua [4].
Figura 1.1 – Azione diretta e indiretta
Bisogna considerare che le singole unità biologiche elementari, quali geni,
virus, batteriofagi, disposte in maniera discontinua nei substrati biologici,
CAPITOLO 1
La Radioattività
18
hanno differenti probabilità di interagire con le radiazioni ionizzanti, che
pure avvengono in maniera discontinua. Il trasferimento di energia per
azione diretta è quindi un fenomeno abbastanza raro, e in cui le probabilità
di lesione sono correlate alla dimensione del bersaglio “volume d’urto” ed
alla frequenza delle cessioni energetiche [4]. L’ azione diretta provoca
essenzialmente la rottura dei legami chimici all’ interno delle biomolecole:
le specie molecolari risultanti, che prendono il nome di radicali organici,
sono specie altamente reattive poiché hanno elettroni spaiati e possono
quindi reagire con altre molecole biologiche vicine, innescando cosi una
serie di reazioni secondarie.
Come detto, l’azione diretta è un fenomeno abbastanza raro; molto più
frequente invece è l’azione indiretta. Le cellule e i tessuti degli organismo
viventi sono infatti costituiti per circa il 70-80% di acqua, per cui è molto
probabile che si verifichi una ionizzazione dell’ H2O che porti alla
formazione di radicali liberi. Ecco come si formano questi radicali:
inizialmente si stacca un elettrone dalla molecola d’acqua
H2O + radiazione H2O+ + e
- (1.9)
Successivamente l’elettrone e- procede nell’acqua sino a quando viene
catturato da un’altra molecola d’acqua, trasformandola in una molecola a
carica negativa.
e- + H2O H2O
- (1.10)
CAPITOLO 1
La Radioattività
19
Né l’H2O+, né l’H2O
- sono stabili e ciascuno si dissocia a formare uno ione
e un radicale libero:
H2O H+
+ OH (1.11)
H2O-
H + OH-
(1.12)
Gli ioni H+ e OH
- si ricombinano per formare una molecola di acqua
mentre i radicali liberi agiscono sulle altre molecole che si trovano nella
soluzione acquosa creando composti chimici non presenti in precedenza.
Molti di questi composti chimici sono biologicamente dannosi o sono il
presupposto di reazioni a catene dannose. La presenza dell’ossigeno inoltre
potenzia questa serie di fenomeni.
1.3.2 Le fasi dell’interazione
Il processo di interazione radiazione-materia, che inizia con il trasferimento
di energia e termina con la risposta biologica del sistema, può essere
suddiviso in diversi stadi temporali:
Stadio fisico: caratterizzato da una durata di 10-4
s, costituisce la fase
in cui avviene il trasferimento di energia dalle particelle alla struttura
interna delle molecole del mezzo irradiato, con conseguente
provocazione di fenomeni di eccitazione e ionizzazione.
CAPITOLO 1
La Radioattività
20
Stadio fisico-chimico: durata di 10-12
s ed è il momento in cui
l’energia depositata durante lo stadio fisico viene termalizzata
mediante una riorganizzazione dei livelli elettronici ed una
ridistribuzione dell’energia, attivando moti oscillatori e vibrazionali
delle molecole.
Stadio chimico: della durata di 10-6
s, è caratterizzato dalla
formazione di radicali liberi.
Stadio biologico: è il momento successivo alla riparazione delle
lesioni (durata tra 104 s - 10
9 s); se la riparazione è avvenuta con
successo, le cellule sopravvissute alla radiazione sono in grado di
replicarsi per un tempo indefinito con immutata velocità. In caso
contrario, se le lesioni radio indotte sono gravi (poiché è stata
assorbita una dose massiccia di radiazioni), le cellule irradiate o
muoiono prima della successiva mitosi oppure (se le lesioni subite
sono gravi ma non letali) vi può essere una alterazione del materiale
genetico (aberrazioni cromosomiche). Se invece le lesioni subite non
sono particolarmente gravi, possono verificarsi delle modifiche nella
velocità di proliferazione cellulare (induzione di neoplasie, effetti
genetici).
CAPITOLO 1
La Radioattività
21
1.3.3 Grandezze dosimetriche
La dosimetria è la misura delle grandezze che consentono di calcolare il
danno biologico dovuto all’esposizione del corpo umano ai diversi tipi di
radiazioni ionizzanti.
Di seguito verranno descritte alcune grandezze dosimetriche di notevole
importanza in radioprotezione.
1.3.4 Kerma
Il kerma (Kinetic Energy Released in MAtter, energia cinetica rilasciata
nella materia) è una grandezza radiometrica. Viene definita come la somma
delle energie cinetiche di tutte le particelle cariche generate in un campione
da una radiazione ionizzante non carica (neutroni e fotoni) divisa per la
massa del campione.
L' unità di misura è il Gray (Gy). Nel caso di radiazione X, il kerma
coincide quasi esattamente con la dose assorbita, si è cioè in condizione di
equilibrio elettronico; per fotoni di energia maggiore, come i raggi gamma,
vi sono delle differenze.
L'interazione di questi fotoni con gli elettroni presenti nel mezzo (effetto
fotoelettrico o Compton) può liberare alcuni elettroni molto energetici che
rilasceranno la loro energia al di fuori della regione di interesse. Questa
energia viene contata nel kerma (energia cinetica trasferita dai fotoni agli
CAPITOLO 1
La Radioattività
22
elettroni) ma non nella dose assorbita (energia assorbita nel volume
considerato).
1.3.5 Dose assorbita
Nella radiobiologia, nella radiologia clinica e nella radioprotezione, la dose
assorbita D, è la grandezza dosimetrica fisica di base, ed è utilizzata per
tutti i tipi di radiazione ionizzante e per qualsiasi geometria d’irradiazione.
Essa è definita come l’energia depositata dalla radiazione ionizzante (α, β,
raggi γ e raggi X) nella materia:
D =
La dose assorbita si misura in Gray (Gy).
1 Gray corrisponde all’assorbimento di un Joule in un kg di materia:
1 Gy = 1 J / kg
In passato si usava un’unità di misura diversa e cioè il rad (rate adsorbed
dose):
1 rad = 0.01 Gy
CAPITOLO 1
La Radioattività
23
1.3.6 Equivalente di dose e LET della radiazione
L’ equivalente di dose tiene conto dei diversi effetti che i differenti tipi di
radiazione possono causare in un determinato organo o tessuto.
Essa è definita come:
HT = ∑R wR · DT,R
dove DT,R è la dose media assorbita dalla radiazione R in un tessuto od
organo T, e wR è una grandezza adimensionale detta fattore di
ponderazione della radiazione.
L’unità di misura dell’ equivalente di dose è il Sievert (Sv).
Il fattore di qualità Q (o ponderazione wR) caratterizza l’efficacia biologica
di una radiazione ed è basato sulla densità di ionizzazione lungo le tracce
delle particelle cariche nel tessuto. Esso è definito come una funzione del
trasferimento di energia lineare illimitato LET∞ (Linear Energy Transfer)
di particelle cariche nell’acqua.
Il LET è a sua volta definito come la perdita di energia della radiazione per
unità di lunghezza della traiettoria attraverso un materiale, ossia:
LET =
CAPITOLO 1
La Radioattività
24
dove dE è l’energia media persa localmente da una particella carica a causa
delle collisioni con gli elettroni del mezzo durante l’attraversamento di una
distanza dx.
Nel Sistema Internazionale l’unità di misura del LET è il J/m, anche se
molto più spesso viene utilizzato il keV/µm.
Il fattore di ponderazione della radiazione serve a sottolineare la maggiore
efficacia biologica delle radiazioni ad alto LET rispetto alle radiazioni a
basso LET.
In figura sono riportati i valori di wR raccomandati nel 2007 dall’ICRP [5]:
Figura 1.2 - Fattori di ponderazione per le radiazioni nelle Raccomandazioni del 2007
CAPITOLO 1
La Radioattività
25
1.3.7 Equivalente di dose efficace
L’ equivalente di dose efficace è la somma delle dosi equivalenti ponderate
per i vari organi o tessuti, secondo l’espressione:
E = ∑T wT · HT = ∑T wT ∑R wR · DT,R
dove HT è la dose equivalente in un tessuto o in un organo e wT è il fattore
di ponderazione del tessuto. Anche la dose efficace si misura in Sv nel
Sistema Internazionale.
Il fattore di ponderazione del tessuto è un fattore per il quale la dose
equivalente in un tessuto o organo T viene ponderata al fine di
rappresentare il contributo relativo di quel tessuto od organo al detrimento
sanitario totale che deriva dall’irradiazione uniforme dell’organismo. Ciò
vuol dire che gli organi e i tessuti non sono tutti ugualmente radiosensibili.
Quello che si osserva è che sono maggiormente radiosensibili gli organi e i
tessuti che si rigenerano più rapidamente.
In figura sono riportati i valori di wT raccomandati nel 2007 dall’ICRP [5]:
Figura 1.3 – Fattori di ponderazione per i tessuti nelle Raccomandazioni 2007
CAPITOLO 1
La Radioattività
26
1.4 Aspetti biologici della radioprotezione
All’ interazione tra strutture biologiche e radiazioni consegue una lunga
serie di modificazioni biochimiche, radiochimiche, morfologiche,
funzionali, che possono in alcuni casi tradursi in un evento finale: il danno
biologico.
La radioprotezione ha lo scopo generale di proteggere gli esseri umani e
l'ambiente dal danno causato dalle radiazioni ionizzanti a seguito di
esposizioni esterne e interne, e si estrinseca in una serie di principi e
raccomandazioni.
1.4.1 Effetti deterministici e stocastici
Come descritto nella Pubblicazione 103 del 2007 dell’ International
Commission on Radiological Protection (ICRP), essa tratta due tipi di
effetti biologici nocivi [5]:
Effetti deterministici (precoci)
Sono in genere causati da esposizioni a dosi elevate ed il periodo di
latenza è breve. Essi insorgono solo se la dose supera un certo valore
di soglia. L’ esistenza di un valore soglia sta nel fatto che il danno da
radiazione di una popolazione di cellule in un dato tessuto, deve
essere sostanziale prima che una lesione si esprima in forma
clinicamente rilevante. Al di sopra della dose soglia, la gravità della
lesione aumenta con il crescere della dose [6].
CAPITOLO 1
La Radioattività
27
Effetti stocastici (tardivi)
Possono essere provocati sia da dosi elevate che da basse dosi e
insorgono molto tempo dopo l’esposizione. Si tratta essenzialmente
di tumori o effetti ereditari. Per questo tipo di effetti non
sembrerebbe esistere una dose di soglia; la loro gravità è
indipendente dalla dose assorbita, ma la probabilità di insorgenza
aumenta con il crescere della dose.
Si differenziano due tipologie di danni stocastici: somatici (si
manifestano nel soggetto irradiato) e genetici (si manifestano nella
progenie dei soggetti irraggiati) [6].
Danni somatici
deterministici
Danni somatici
stocastici
Danni genetici
stocastici
Sindrome
ematologia midollare
Sindrome
gastrointestinale
Sindrome
neurologica
Carcinogenesi
radioindotta
Formazione di
cataratta
Radiodermite
cronica
Accorciamento
della vita
Tumori, leucemie
Mutazioni genetiche
Aberrazioni
cromosomiche
Aumento della
frequenza degli
aborti
Aumento della
mortalità infantile
Tabella 1.2 – alcuni esempi di danni deterministici e stocastici
CAPITOLO 1
La Radioattività
28
Va detto infine che alcuni effetti sanitari associati alle radiazioni, in
particolare alcuni effetti non cancerogeni, non sono ancora
sufficientemente ben compresi per poterli assegnare univocamente ad una
delle due categorie generali [5].
1.4.2 Limiti di esposizione
I limiti di esposizione sono finalizzati ad assicurare che l’insorgenza di
effetti stocastici sia tenuta al di sotto dei livelli giudicati inaccettabili, e che
siano evitati gli effetti deterministici.
I limiti di dose sono convenzionalmente espressi come una dose efficace
annuale (mSv/anno) e si applicano soltanto alle situazioni di esposizione
programmata, ma non alle esposizioni mediche di pazienti. Tali limiti si
applicano alla somma delle dosi dovute a esposizioni esterne e delle dosi
impegnate a causa delle esposizioni interne conseguenti all’incorporazione
di radionuclidi.
Il Decreto Legislativo 230/95 integrato dal Decreto Legislativo 241/00,
stabilisce le norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione
sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro i rischi derivanti dalle
radiazioni ionizzanti.
CAPITOLO 1
La Radioattività
29
Il limite di dose efficace per gli individui della popolazione è stabilito in
1mSv per anno solare.
“Fermo restando il rispetto del limite…”, sopra indicato, “…devono essere
altresì rispettati in un anno solare i seguenti limiti…”
a) 15 mSv di dose equivalente per il cristallino
b) 50 mSv di dose equivalente per la pelle
“…calcolato in media su 1cm2 qualsiasi di pelle, indipendentemente
dalla superficie esposta;…”
c) 50 mSv di dose equivalente per mani, avambracci, piedi e caviglie
Il limite di dose efficace per i lavoratori esposti è stabilito in 20mSv in un
anno solare.
Per i lavoratori esposti (con età maggiore di 18 anni):
a) 150 mSv di dose equivalente per il cristallino
b) 500 mSv di dose equivalente per la pelle
“…calcolato in media su 1cm2 qualsiasi di pelle, indipendentemente
dalla superficie esposta;…”
c) 500 mSv di dose equivalente per mani, avambracci, piedi e caviglie
Per i lavoratori non esposti:
“…i soggetti sottoposti ad una esposizione che non sia suscettibile di
superare uno qualsiasi dei limiti fissati per le persone del pubblico”
CAPITOLO 1
La Radioattività
30
Figura 1.4 - Limiti di dose raccomandati in situazioni di esposizione programmata
I lavoratori esposti sono così classificati:
1. Categoria A: “…sono suscettibili di un’esposizione superiore, in un
anno solare, ad uno dei seguenti valori:”
a) 6 mSv di dose efficace
b) i 3/10 di uno qualsiasi dei limiti di dose equivalente fissati per
il cristallino, per la pelle nonché per le mani, avambracci,
caviglie e piedi.
2. Categoria B: i lavoratori esposti non classificati nella categoria A
CAPITOLO 1
La Radioattività
31
1.5 La radioattività naturale
Nella radioattività ambientale di origine naturale si distinguono una
componente di origine extraterrestre ed una componente di origine
terrestre. La prima è costituita dai raggi cosmici e rappresenta circa il 13%
della porzione totale, la seconda è invece dovuta ai radionuclidi cosiddetti
primordiali presenti in varie quantità nei materiali inorganici della crosta
terrestre (rocce, minerali) fin dalla sua formazione. La concentrazione dei
radionuclidi naturali nel suolo e nelle rocce varia fortemente da luogo a
luogo in dipendenza dalla conformazione geologica delle diverse aree. In
figura sono indicate le diverse frazioni che contribuiscono alla radioattività
ambientale:
Figura 1.5 - Contributi alla radioattività ambientale
CAPITOLO 1
La Radioattività
32
Il radon costituisce quasi il 40% di tutta la radioattività ambientale ed è
presente in natura sottoforma di tre diversi isotopi: Rn 222, Rn 219, Rn
220, prodotti rispettivamente nelle serie radioattive dell’ Uranio 238,
l’Uranio 235 e Torio 232.
Gli isotopi 222, 220 e 219 presentano tre differenti tempi di dimezzamento
rispettivamente di 3.82 giorni, 55 secondi e 4 secondi.
Il Radon 222 grazie al suo tempo di vita media sopravvive in atmosfera per
tempi più lunghi ed è per tale motivo che l’interesse dal punto di vista di
protezione ambientale, ricade maggiormente su esso.
In natura esistono quattro famiglie radioattive, come visibile in tabella:
Tabella 1.3 – Le quattro serie radioattive
I capostipiti hanno vite medie dello stesso ordine di grandezza dell’età della
Terra (4.5·109 anni), fatta eccezione per il secondo, scoperto recentemente
tra i radionuclidi artificiali che in realtà non è presente in natura perché i
tempi di dimezzamento del Nettunio e di tutti i nuclei figli sono minori
CAPITOLO 1
La Radioattività
33
rispetto al tempo di vita della Terra e ciò ha comportato la loro completa
trasformazione nell’elemento finale (il Bismuto ordinario).
Le caratteristiche delle tre serie radioattive che presentano fra i loro
elementi il radon sono riassunte nelle figure che seguono.
Figura 1.6 – Schema del decadimento radioattivo dell’ Uranio 238
CAPITOLO 1
La Radioattività
34
Figura 1.7 – Schema del decadimento radioattivo del Torio 232 e dell’ Uranio 235
CAPITOLO 1
La Radioattività
35
In natura ogni roccia presenta un contenuto diverso di Uranio e Torio a
seconda della sua composizione chimica e del processo di genesi e
formazione. Le rocce intrusive acide (graniti, feldspati, feldspaoidi)
presentano ad esempio un alto contenuto di uranio, al contrario delle rocce
sedimentarie che ne contengono sempre quantità inferiori. Le rocce
metamorfiche, invece, per loro stessa definizione, presentano un contenuto
di uranio che dipende dalla roccia madre da cui deriva. Per tale motivo
rocce metamorfiche ignee presentano un contenuto di uranio maggiore
rispetto a rocce metamorfiche di origine sedimentaria. Nelle tabelle che
seguono, sono riportati i contenuti di uranio delle principali rocce che
costituiscono la crosta terrestre.
ROCCE IGNEE U238 (Bq/kg) Th232 (Bq/kg)
Acide (granito) 59 81
Intermedie (diorite) 23 32
Mafiche (basalto) 11 11
Ultrabasiche (durite) 0.4 24
Ultramafiche 0.2 0.2
Gabbri 10 15
Andesiti 29 32
Sieniti-nefaline 100 69
Condriti 0.1 0.2
Acondriti 0.9 1.5
Meteoriti ferrosi 0.1 0.04
Crosta superiore 34 45
Suolo 25 25
Tabella 1.4 – Contenuto di Uranio e Torio nelle rocce ignee
CAPITOLO 1
La Radioattività
36
ROCCE SEDIMENTARIE U238 (Bq/kg) Th232 (Bq/kg)
Calcari 27 7
Rocce carbonati che 26 8
Arenarie 18 11
Scisti 44 44
Crosta superiore 34 45
Suolo 25 25
Tabella 1.5 – Contenuto di Uranio e Torio nelle rocce sedimentarie
1.5.1 I materiali da costruzione
I materiali da costruzione sono considerati la seconda sorgente di radon
indoor.
L’esalazione di radon non dipende soltanto dal loro contenuto di radio ma
anche dal potere di emanazione del materiale (che dipende dalla porosità) e
dal tipo di intonaco con cui le superfici sono state trattate. I valori tipici di
radio e torio contenuti nei materiali da costruzione artefatti sono circa 50
Bq/kg o meno.
CAPITOLO 1
La Radioattività
37
MATERIALI DA
COSTRUZIONE
ARTEFATTI
ATTIVITA’ SPECIFICA (Bq/kg)
Th 232 Ra 226
Sabbia 10 15
Laterizi 20 14
Mattone di gesso 5 7
Mattone di tufo 4 26
Mattone di cemento 3 17
Sabbione 4 16
Calce 12 17
Siporex 10 7
Cemento edile 28 24
Tabella 1.6 - Contenuto di Radionuclidi nei materiali da costruzione
Tuttavia questi valori possono aumentare sino a parecchie centinaia di
Bq/m3 se i materiali sono stati estratti in zone con alti livelli di radioattività
naturale, come il caso dei tufi o delle pozzolane dove il contenuto di radio e
torio può superare i 200 Bq/kg. I materiali da costruzione costituiscono
inoltre la principale sorgente di radon 220 (toron). Data però la sua breve
emivita (55 s), il toron esalato dal suolo non riesce a diffondere all’interno
delle abitazioni. Per tale motivo la presenza di toron indoor si ritiene
trascurabile rispetto a quella del radon.
CAPITOLO 1
La Radioattività
38
MATERIALI DA
COSTRUZIONE DI
ORIGINE
VULCANICA
ATTIVITA’ SPECIFICA (Bq/kg)
Th 232
Ra 226
Tufo di Avellino 106 79
Tufo grigio 102 90
Tufo giallo 86 73
Tufo verde 93 61
Pomici 229 172
Lava vesuviana 93 438
Tabella 1.7 – Contenuto di radionuclidi nei materiali da costruzione di origine
vulcanica
1.5.2 La problematica affrontata
Le radiazioni ionizzanti provenienti da sorgenti naturali come i raggi
cosmici e la radiazione naturale, rappresenta il contributo maggiore a cui la
popolazione è esposta. L’esposizione ai raggi cosmici dipende
dall’altitudine e dall’attività solare, mentre la radiazione terrestre dipende
dai radionuclidi primordiali presenti nella crosta terrestre, la cui
distribuzione dipende dalle caratteristiche geologiche dei luoghi. Alcuni di
questi radioisotopi radioattivi, i più importanti dei quali sono 40K, 232Th e
238U sono naturalmente contenuti nei materiali da costruzione e la loro
presenza produce un’ulteriore esposizione alle radiazioni, rispetto al radon,
per le persone presenti in questi ambienti. In particolare, i raggi gamma da
materiali da costruzione, a causa del loro elevato fattore di penetrazione,
costituiscono la sorgente più intensa di contaminazione radioattiva umana
esterna.
CAPITOLO 1
La Radioattività
39
Oggi si ritiene che la maggior parte degli abitanti nelle aree urbane spende
circa l’80% del loro tempo in ambienti chiusi, quindi la loro esposizione a
radiazioni ionizzanti provenienti da materiali da costruzione potrebbe
essere rilevante.
Nella regione Campania, la presenza di tracce di uranio e di torio nei
materiali piroclastici, in gran parte utilizzati nella costruzione di case, rende
l’esposizione alle radiazioni naturali particolarmente significativa. Lo
scopo di tale lavoro di tesi è proprio quello di valutare l’esposizione ai
gamma indoor a partire dalle misure di dose in 81 abitazioni della penisola
sorrentina utilizzando dosimetri a termoluminescenza (TLD) attraverso i
quali misurare la dose di radiazione assorbita dal tessuto umano.
Ciò richiede l’utilizzo di un materiale tessuto-equivalente, ossia le cui
proprietà di assorbimento siano le più simili possibile a quelle del tessuto
umano.
CAPITOLO 2
Teoria della Termoluminescenza
40
Capitolo 2. Teoria della Termoluminescenza
Le applicazioni della termoluminescenza si basano quasi totalmente sulla
possibilità di effettuare misure di dose dovuta a radiazione ionizzante.
Alcuni solidi cristallini (isolanti o semiconduttori) termoluminescenti
vengono utilizzati in dosimetria personale e ambientale ed in fisica medica
e radiologica, nonché nella datazione sia di materiali archeologici che di
meteoriti. Essi conservano l’energia rilasciata al loro interno dalla
radiazione ionizzante fino a quando non vengono opportunamente
riscaldati: ciò comporta l’emissione di fotoni da parte del cristallo,
prevalentemente nella regione visibile dello spettro (400 ÷ 700 nm), che
può essere correlata alla dose di radiazione assorbita. In questo capitolo
verranno descritti i processi che sono alla base di tale fenomeno e le
caratteristiche dei dosimetri a termoluminescenza (TLD). In particolare,
verranno descritte le proprietà dei TLD al LiF utilizzati nella parte
sperimentale del presente lavoro di tesi.
CAPITOLO 2
Teoria della Termoluminescenza
41
2.1 La fisica del processo di termoluminescenza
2.1.1 La luminescenza
La luminescenza è l’emissione di luce da parte di alcuni tipi di solido,
chiamati fosfori. Tale emissione consiste nel rilascio di energia,
precedentemente immagazzinata nel solido, in seguito ad un processo di
eccitazione.
A seconda del metodo di eccitazione utilizzato, il fenomeno della
luminescenza prende un nome diverso, come mostrato in tabella.
Tabella 2.1 – Fenomeni di luminescenza e metodi di eccitazione [7]
CAPITOLO 2
Teoria della Termoluminescenza
42
L’emissione di luce può avvenire essenzialmente tramite due processi
differenti:
La fluorescenza: è un processo che persiste soltanto se l’eccitazione
viene portata avanti. Il tempo caratteristico τC è minore di 10-8
s, è
indipendente dalla temperatura ed è determinato dalla probabilità di
transizione da un livello eccitato Ee al livello fondamentale Eg
(Figura 2.1A).
La fosforescenza: è, invece, un processo osservabile anche in
seguito alla rimozione della sorgente di eccitazione. Il suo tempo
caratteristico τC è maggiore di 10-8
s e presenta una dipendenza
esponenziale dalla temperatura [8]. Facendo riferimento alla Figura
2.1B, osserviamo che la fosforescenza si presenta nel momento in
cui un elettrone eccitato dallo stato fondamentale Eg allo stato Ee
viene intrappolato in un livello metastabile Et (trappola), dal quale
non ritorna nel livello Eg perché la transizione Et → Eg è
completamente o parzialmente proibita. Supponiamo ora che il
sistema possa essere portato dal livello metastabile Et al livello
eccitato Ee assorbendo un’energia di eccitazione (termica, ottica, ecc)
pari almeno al salto (Ee – Et) e supponiamo che la transizione
Ee → Eg sia permessa: in tal caso, è possibile osservare l’emissione
luminosa anche dopo la rimozione della sorgente di eccitazione.
Infatti, l’emissione continua finché ci sono elettroni nella trappola e
l’intensità luminosa diminuisce con l’avanzare del processo. Se
l’energia di eccitazione aumenta, il ritmo con cui avviene la
transizione Et → Ee aumenta, per cui la fosforescenza risulta più
intensa ma breve.
CAPITOLO 2
Teoria della Termoluminescenza
43
Figura 2.1- (A) Fluorescenza e (B) Fosforescenza [9]
2.1.2 Struttura a bande dei livelli energetici e Termoluminescenza
In accordo con il modello più semplice che spiega le proprietà dei materiali
cristallini, in un cristallo ideale (senza difetti) gli elettroni debolmente
legati agli atomi occupano la banda di valenza (BV), che è separata da
quella di conduzione (BC) da un gap di energie proibite (Egap = Ec – Ev).
L’occupazione delle bande di energia da parte degli elettroni è descritta
dalla funzione densità degli stati N(E):
N(E) = Z(E) · f(E)
dove Z(E) è la densità dei livelli di energia permessi ed f(E) è la funzione di
distribuzione di Fermi-Dirac, che fornisce la densità di probabilità che un
elettrone abbia un’energia compresa in un dato intervallo dE:
f(E) =
CAPITOLO 2
Teoria della Termoluminescenza
44
dove Ef indica il livello di Fermi (che rappresenta il livello di massima
energia accessibile per gli elettroni liberi: per temperature prossime allo
zero assoluto, i livelli energetici al di sotto del livello di Fermi sono
completamente occupati, mentre quelli al di sopra sono completamente
vuoti), ossia il livello per il quale f(E) = ½ . In assenza di sollecitazioni
esterne, la banda di valenza è in genere completamente occupata, mentre la
banda di conduzione è parzialmente occupata dai pochi elettroni abbastanza
energetici che sono riusciti a superare il gap lasciando al proprio posto una
lacuna in banda di valenza.
In un cristallo reale i difetti, le impurità chimiche, che modificano la
struttura a bande del cristallo (si dice che il cristallo viene drogato),
alterano la periodicità del potenziale di legame degli elettroni con gli atomi,
determinando la formazione di nuovi livelli energetici all’interno della
banda proibita, dove i portatori che vi giungono rimangono intrappolati.
In un cristallo termoluminescente reale, facendo riferimento alla Figura 2.2,
la transizione (a) rappresenta l’eccitazione di un elettrone di valenza nella
banda di conduzione in seguito all’assorbimento di energia, con la
creazione di una rispettiva lacuna in banda di valenza.
In questo modo si crea una coppia elettrone-lacuna, che è libera di
muoversi nel cristallo fino al raggiungimento di uno dei difetti
precedentemente citati. Ciò comporta l’intrappolamento di un elettrone
(transizione (b)) e/o di una lacuna (transizione (e)). I portatori di carica che
rimangono intrappolati possono poi essere liberati tramite un processo di
eccitazione (transizioni (c) ed (f)).
CAPITOLO 2
Teoria della Termoluminescenza
45
Figura 2.2 - Schema dei livelli energetici di un cristallo TLD usato per dosimetria [8]
Oltre all’intrappolamento, una seconda possibilità che si presenta agli
elettroni e alle lacune libere è la ricombinazione con un portatore di segno
opposto; tale ricombinazione può essere diretta (transizione (h)) oppure
indiretta con un portatore precedentemente intrappolato (transizioni (d) e
(g)).
Come accennato precedentemente, se i processi di ricombinazione sono
accompagnati dall’emissione di luce allora si ha il fenomeno della
luminescenza.
Per quanto detto, i livelli energetici creati dai difetti del cristallo all’interno
del gap proibito fungono sia da trappole (T) che da centri di
ricombinazione (R). Nel caso degli elettroni, se la transizione (c) è più
probabile della (d) il centro è classificato come trappola, altrimenti è
classificato come centro di ricombinazione. Lo stesso discorso è valido per
i centri delle lacune con le transizioni (g) ed (f).
CAPITOLO 2
Teoria della Termoluminescenza
46
Supponiamo di esporre il cristallo termoluminescente ad una radiazione
ionizzante, che ceda agli elettroni di valenza un’energia sufficiente a
portarli in banda di conduzione. Se c’è una trappola molto profonda
(E»kT0, essendo T0 la temperatura assoluta alla quale avviene
l’irraggiamento, ossia la temperatura ambiente), tutte le cariche
intrappolate in essa resteranno tali per molto tempo. Di conseguenza le
cariche vengono a trovarsi in uno stato metastabile e, anche dopo
l’esposizione alla radiazione, la maggior parte di esse vi resterà
intrappolata, conservando di fatto l’informazione relativa all’energia della
radiazione incidente. La probabilità per unità di tempo che un portatore sia
liberato termicamente da una trappola è descritta dalla legge di Arrhenius:
p =
= s ·
dove s è un coefficiente dipendente dalla temperatura, T è la temperatura
assoluta, k è la costante di Boltzmann (8.617 ∙ 10-5
eV/K) ed E è la
profondità della trappola.
Riscaldando il cristallo, un elettrone intrappolato può assorbire l’energia
termica kT necessaria a liberarlo. Tale elettrone è poi libero di migrare nella
banda di conduzione, fino alla ricombinazione con una lacuna in
corrispondenza di un centro di ricombinazione R (transizione (g)): ciò
comporta in genere l’emissione di un fotone con energia pari al salto
energetico compiuto dall’elettrone. Questo fenomeno prende il nome di
Termoluminescenza (TL).
Dunque, la termoluminescenza si può definire come una fosforescenza
stimolata termicamente.
L’intensità della luce emessa è correlata all’energia rilasciata dalla
radiazione ionizzante nel cristallo termoluminescente, che prende il nome
CAPITOLO 2
Teoria della Termoluminescenza
47
di Dosimetro a Termoluminescenza (TLD). Tale intensità è funzione della
temperatura (o del tempo): la curva che si ottiene graficando l’intensità di
termoluminescenza al variare della temperatura è denominata glow-curve:
essa presenta uno o più massimi chiamati glow-peak, che dipendono dal
numero e dalla profondità delle trappole [7].
Figura 2.3 – Esempio di una tipica glow-curve [7]
2.1.3 Glow – curve
L’intensità dei fotoni di termoluminescenza emessa nell’unità di tempo
durante il riscaldamento del materiale, è proporzionale al ritmo di
ricombinazione tra elettroni e lacune nei centri di luminescenza R.
Con l’aumentare della temperatura alla quale viene sottoposto il cristallo e
quindi con l’aumentare del processo di ricombinazione, aumenta l’intensità
CAPITOLO 2
Teoria della Termoluminescenza
48
di termoluminescenza ma, allo stesso tempo, si ha una diminuzione del
numero dei portatori di carica a disposizione nelle trappole con
conseguente decremento dell’intensità emessa. Ciò produce il caratteristico
picco della glow-curve.
Inoltre, in termoluminescenza è necessario che la temperatura cresca
linearmente nel tempo, ossia:
T = T0 + βt
dove β = dT/dt, T è la temperatura assoluta e T0 è la temperatura alla quale
avviene l’irraggiamento, che assicura che sia verificata la condizione per
cui gli elettroni intrappolati rimangano tali per un lungo periodo, cioè
E»kT0.
Gli elettroni liberati termicamente, possono anche ricadere dalla banda di
conduzione in un’altra trappola. Ci sono, dunque, più trappole a profondità
diversa (Figura 2.4a), per cui la glow-curve risultante presenterà una serie
di picchi (Figura 2.4b) in corrispondenza delle temperature necessarie a
fornire agli elettroni un’energia termica sufficiente a liberarli dai suddetti
livelli all’interno della banda proibita.
Ovviamente, le trappole che si trovano più in profondità necessitano di una
maggiore temperatura per essere rivelate e per questo i picchi relativi ad
esse si trovano sulla parte destra della glow-curve.
CAPITOLO 2
Teoria della Termoluminescenza
49
Figura 2.4 – (a) Emissione dell’energia immagazzinata alle diverse profondità
sottoforma di fotoni di TL; (b) Esempio di glow-curve con più picchi
L’area sottesa dalla glow-curve, chiamata risposta del TLD, è
proporzionale al numero di fotoni di TL emessi e quindi al numero di
trappole liberate. Di conseguenza, è facile comprendere che l’integrale
della glow-curve sia proporzionale alla dose di radiazione assorbita dal
cristallo. Infatti, entro un certo intervallo di dose, si osserva un andamento
lineare tra la dose assorbita e la risposta del TLD. In generale, la relazione
che esiste tra la dose assorbita D e la risposta di termoluminescenza RTL è:
RTL = FC · D
dove FC è il cosiddetto fattore di calibrazione, che è una costante
nell’intervallo in cui la curva dose-risposta risulta lineare. Esso si può
ricavare dal rapporto:
FC =
dove Dref è la dose assorbita con un irraggiamento di riferimento e Rcal è la
risposta di termoluminescenza a tale dose (in genere si considera l’integrale
CAPITOLO 2
Teoria della Termoluminescenza
50
del picco di alta energia della glow-curve). La lunghezza d’onda λ dei
fotoni di TL dipende dal salto energetico compiuto dagli elettroni dalla
banda di conduzione verso i centri di ricombinazione.
2.2 Caratteristiche dei dosimetri a termoluminescenza
I materiali termoluminescenti possono essere di diversi tipi: tra essi i più
utilizzati sono i quarzi e gli alogenuri alcalini, tra cui spiccano LiF, BeO,
Li2B4O7, MgO • nB2 O3, MgF2, Al2 O3, Na4P2O7, Mg2O7 ed altri ancora.
La scelta del materiale dipende dallo scopo della misura da effettuare in
quanto, a seconda del tipo di materiale e delle diverse procedure di
drogaggio, variano le caratteristiche dei TLD tra cui la risposta, la
sensibilità, l’annealing, il fading, ed il numero di picchi delle glow-curve.
Nei seguenti paragrafi verranno analizzate le diverse proprietà dei TLD ed
in seguito ci soffermeremo sui TLD al LiF:Mg,Ti, che sono stati utilizzati
nel presente lavoro di tesi.
2.2.1 Annealing
Uno dei principali vantaggi dei TLD è che possono essere sottoposti ad una
procedura di azzeramento ed essere così riutilizzati. Tale procedura,
chiamata annealing, varia a seconda della composizione del TLD e serve a
cancellare da esso la memoria dell’irraggiamento precedente. Quindi è
molto importante effettuare correttamente questa operazione, altrimenti ci
sarebbero dei segnali residui che si andrebbero a sovrapporre alla risposta
del TLD, alterandola.
L’annealing consiste nel sottoporre i TLD ad alte temperature per un certo
intervallo di tempo, in modo da liberare la maggior parte degli elettroni
CAPITOLO 2
Teoria della Termoluminescenza
51
rimasti intrappolati nei livelli localizzati, che non si sono ricombinati
durante la fase di lettura.
I trattamenti termici cui vengono sottoposti i TLD sono i seguenti:
Trattamento di inizializzazione: viene eseguito quando il TLD si
utilizza per la prima volta. Lo scopo è di stabilizzare i livelli delle
trappole in modo che durante gli usi successivi il background e la
sensibilità possano essere riproducibili il più possibile. Tempo e
temperatura di tale annealing sono consigliati dalla casa produttrice.
Annealing standard: è il trattamento cui si sottopone il dosimetro
dopo ogni lettura o prima di irraggiarlo nuovamente. Tempo e
temperatura dipendono dal tipo di cristallo utilizzato.
Annealing post-irraggiamento: consiste nel riscaldare i dosimetri
ad una temperatura massima di 150°C per eliminare i picchi a bassa
energia che sono in genere soggetti al fenomeno del decadimento
spontaneo veloce (fading).
L’annealing va effettuato sempre prima di ogni esposizione. Se i dosimetri
vengono azzerati appena dopo la lettura e il tempo trascorso tra
l’azzeramento ed il successivo irraggiamento è abbastanza lungo, bisogna
ripetere nuovamente l’operazione prima di poterli irraggiare. Ciò è dovuto
al fatto che la radiazione ambientale può produrre nei TLD dosi di
radiazione aggiuntive ed indesiderate. Per limitare questo effetto, sia dopo
l’annealing che dopo l’esposizione, è consigliabile riporre i TLD in
contenitori schermanti di piombo.
CAPITOLO 2
Teoria della Termoluminescenza
52
Nella Tabella che segue vengono riportate le diverse procedure di
annealing per vari tipi di cristalli.
Tabella 2.2 – Differenti procedure di annealing per diversi tipi di TLD [10]
CAPITOLO 2
Teoria della Termoluminescenza
53
2.2.2 Fading
Prima della lettura di un TLD, è necessario sapere se la carica intrappolata
in esso possa essere persa a causa del calore (fading termico), a causa della
luce (fading ottico) o per qualsiasi altra causa (fading anomalo). In genere,
tale perdita di carica è chiamata fading, ed è un fenomeno dovuto allo
svuotamento spontaneo dei centri di luminescenza prima della lettura del
dosimetro, che può portare ad una sottostima della dose assorbita dal TLD.
Esso è legato alla composizione chimica del rivelatore, alla sua struttura
cristallina, all’annealing pre e post irraggiamento ed infine alle condizioni
climatiche e luminose durante la misura.
Il fading è dovuto al fatto che anche a temperatura ambiente c’è una certa
probabilità che gli elettroni e le lacune si ricombinino tra di loro (legge di
Arrhenius), quindi è un fenomeno che dipende fortemente dalla posizione
delle trappole nella banda proibita: infatti, se le trappole sono superficiali,
la probabilità di un detrappolamento spontaneo è maggiore anche a
temperatura ambiente; invece, se le trappole sono più profonde, la loro
stabilità è maggiore ed il fading ad esse associato risulta minore.
Per applicazioni in dosimetria, la temperatura ideale alla quale si osserva il
picco principale della glow-curve dovrebbe essere attorno ai 200-250°C:
generalmente, questo range di temperatura assicura che le trappole siano
abbastanza profonde da limitare il fading, ma assicura anche che le trappole
siano sufficientemente superficiali da avere un’intensa emissione durante la
lettura [8].
Ogni tipo di TLD è caratterizzato da una certa percentuale di fading che si
può ridurre, rendendo le trappole il più stabile possibile con opportuni
drogaggi.
CAPITOLO 2
Teoria della Termoluminescenza
54
Nella tabella che segue vengono presentate le percentuali di fading per
alcuni tipi di cristalli termoluminescenti.
Tabella 2.3 – Percentuale di fading per vari tipi di TLD [10]
Il fenomeno è particolarmente importante quando trascorre molto tempo tra
la fine dell’esposizione e la lettura del dosimetro.
2.2.3 Linearità della risposta
La linearità di un TLD è un parametro che descrive quanto il dosimetro
abbia una risposta di termoluminescenza lineare in funzione della dose.
Essa dipende dal tipo di cristallo termoluminescente, come mostrato in
Figura 2.5a.
CAPITOLO 2
Teoria della Termoluminescenza
55
In genere, per valori di dose dell’ordine di qualche Gy la maggior parte dei
dosimetri mostra un comportamento lineare, invece per dosi maggiori
l’andamento diventa prima sopralineare poi sub-lineare (Figura 2.5b).
Figura 2.5 – (a) Andamento della risposta in funzione della dose per tre diversi
materiali; (b) Andamento della risposta per un solo tipo di dosimetro irraggiato con
raggi γ [11]
La presenza di regioni di non linearità può portare a problemi di sovrastima
o sottostima della risposta del dosimetro. Tuttavia, ciò non preclude l’uso
del TLD in dosimetria, a patto che vengano eseguite opportune correzioni e
calibrazioni.
CAPITOLO 2
Teoria della Termoluminescenza
56
2.2.4 Sensibilità
La sensibilità di un fosforo è definita come il rapporto tra la risposta di
termoluminescenza del rivelatore (espressa sempre come l’area sottesa dal
picco di massima energia) e l’energia da esso assorbita durante
l’irraggiamento:
S =
=
dove m è la massa del rivelatore. In generale, la sensibilità dipende da molti
fattori, tra cui la composizione chimica del materiale, la concentrazione ed
il tipo delle impurezze presenti, la forma fisica del rivelatore ed il tipo di
lettore usato per la misura. Inoltre, essa dipende anche dai trattamenti
termici cui il dosimetro viene sottoposto nel tempo.
Dunque, la sensibilità è un parametro che varia da dosimetro a dosimetro.
2.2.5 Risposta in energia
L’interesse nel misurare la dose di radiazione assorbita dal tessuto umano
richiede l’utilizzo di un materiale tessuto-equivalente, ossia le cui proprietà
di assorbimento siano le più simili possibile a quelle del tessuto umano.
Pochissimi materiali posseggono tale caratteristica combinata con l’alta
efficienza, la linearità e la stabilità della risposta. Sotto questo punto di
vista, il LiF:Mg,Ti risulta essere la migliore scelta come materiale
dosimetrico.
In effetti, il numero atomico effettivo di questo materiale (Zef = 8.14), si
avvicina molto a quello dei tessuti biologici (Zef = 7.4).
CAPITOLO 2
Teoria della Termoluminescenza
57
La dose assorbita da un materiale termoluminescente, esposto ad un flusso
Φ di fotoni con una certa energia E, è pari a:
DTL = Φ · E ·
(2.11)
dove
è il coefficiente di assorbimento massico del materiale.
Se viene esposto del tessuto umano allo stesso flusso di fotoni e nelle stesse
condizioni, l’equazione (2.11) risulta identica a parte il coefficiente di
assorbimento relativo. Da queste considerazioni si può scrivere la seguente
relazione:
=
(2.12)
Se il rapporto tra i coefficienti massici è costante, conoscendo la dose
assorbita dal materiale termoluminescente dall’equazione (2.12) si può
ricavare immediatamente la dose assorbita dal tessuto umano.
CAPITOLO 2
Teoria della Termoluminescenza
58
2.2.6 Dose minima e dose massima rivelabili
Anche dopo l’annealing, leggendo un TLD si ha comunque un segnale di
uscita (Dose di Zero), che può essere causato da diversi fattori, tra cui:
l’emissione infrarossa dei sistemi di riscaldamento
la corrente di fondo del lettore
il segnale residuo dovuto a precedenti irraggiamenti
l’autoirraggiamento dovuto al contenuto radioattivo del TLD
Ogni TLD, in base alla propria composizione, presenta un certo intervallo
di dose rivelabile, per cui si possono definire una dose minima ed una dose
massima rivelabili:
Dose minima: E’ quella che produce una risposta pari a 3 volte la
Deviazione Standard della lettura di Dose di Zero [8]. Essa è
variabile e dipende dalla sensibilità intrinseca del materiale, dalle
dimensioni del rivelatore, dalla sensibilità del lettore e dai precedenti
trattamenti termici.
Dose massima: E’ il 20% inferiore a quella per cui si ha saturazione.
Essa dipende dal tipo di cristallo e dal drogaggio, che incide sul
numero e sulla profondità delle trappole.
Per il LiF:Mg,Ti l’intervallo di dose rivelabile è 10-1
÷ 105 mGy.
CAPITOLO 2
Teoria della Termoluminescenza
59
2.2.7 Vantaggi e problematiche dei TLD
Il principale vantaggio dei TLD è la possibilità di utilizzarli più volte, se
sottoposti ad una procedura di annealing. Il loro impiego risulta comodo e
conveniente anche perché sono piuttosto economici, le loro dimensioni
sono fortemente ridotte e non hanno bisogno di alimentazioni esterne.
Le piccole dimensioni (3.2 × 3.2 × 0.89 mm3) li rendono ideali per il
posizionamento all’interno di abitazioni, nonché per misure di dosimetria
interna ai tessuti biologici.
La prima applicazione in tale campo risale agli anni ’50 nell’ospedale
dell’Oak Ridge Insitute of Nuclear Studies con piccoli campioni di LiF,
ingoiati da pazienti trattati con isotopi radioattivi e recuperati prima del
passaggio nel sistema digerente. Negli anni successivi sono state sviluppate
ulteriori tecniche, come ad esempio la possibilità di impiantare i dosimetri
a termoluminescenza direttamente sotto la cute del paziente prima di
esporlo a trattamenti con radiazioni ionizzanti.
Ulteriori vantaggi che si presentano per i TLD al LiF:Mg,Ti, utilizzati nel
presente lavoro di tesi, sono la tessuto-equivalenza e la bassa percentuale di
fading (5% in un anno): ciò assicura che in sei mesi di esposizione nelle
abitazioni investigate, i TLD non perdano l’informazione in essi
immagazzinata.
2.2.8 TLD al LiF:Mg,Ti
Il floruro di litio, essendo un alogenuro alcalino, presenta una struttura
cristallina ideale. I cristalli di floruro di litio sono universalmente
riconosciuti come un eccellente materiale per applicazioni dosimetriche,
presentando piccole dimensioni, un’alta sensibilità, un basso valore di
CAPITOLO 2
Teoria della Termoluminescenza
60
fading ed un basso valore di fondo, una buona resistenza alle condizioni
ambientali e la tessuto-equivalenza [12].
Figura 2.6 – Cristalli di floruro di litio
Come accennato, nella parte sperimentale del presente lavoro di tesi sono
stati utilizzati dei TLD al LiF:Mg,Ti, cioè dei cristalli di floruro di litio
drogati con magnesio e titanio, per cui di seguito analizzeremo
esclusivamente le caratteristiche di tali dosimetri.
Esistono diversi tipi di TLD al LiF:Mg,Ti, denominati TLD 100, TLD 600
e TLD 700: la differenza tra questi tipi di TLD sta nella diversa
composizione isotopica del litio presente in essi, come si può osservare in
Tabella.
Tabella 2.4 - Percentuale di isotopi del Li nei TLD al Li [13]
Ciò che differenzia maggiormente i tre tipi di TLD sono le glow-curve. In
particolare, cambiano le temperature massime per la lettura (400°C per i
CAPITOLO 2
Teoria della Termoluminescenza
61
TLD 600 e 700; 300°C per i TLD 100) e le temperature alle quali
compaiono i picchi della glow-curve.
Figura 2.7 - Tipica glow-curve per TLD al LiF:Mg,Ti
I tre tipi di TLD, inoltre, presentano una differente sensibilità a diversi tipi
di particelle [13]. Questa differenza è particolarmente evidente per quanto
riguarda l’interazione con i neutroni termici: i TLD 600 presentano una
sezione d’urto per la cattura dei neutroni termici di 945 barn, mentre i TLD
700 presentano una sezione d’urto molto più piccola (0.04 barn). Ciò è
legato al fatto che la perdita di energia dei neutroni aumenta con la
diminuzione della massa del bersaglio e i TLD 600, essendo composti
principalmente da , risultano più leggeri rispetto ai TLD 700.
Quindi per rivelare i neutroni termici bisogna esporre alla radiazione sia i
TLD 600 che i TLD 700: la risposta dovuta ai neutroni termici sarà data
dalla differenza tra la risposta dei TLD 600 e quella dei TLD 700.
Si è osservato, però, che in seguito all’esposizione a fluenze di neutroni
termici superiori a 2 ∙ 1012
cm-2
i TLD 600, a differenza dei TLD 700,
CAPITOLO 2
Teoria della Termoluminescenza
62
subiscono dei danni da radiazione che la procedura di annealing non riesce
a riparare.
Inoltre, si è visto che i TLD 700 sono più adatti per la dosimetria di ioni
pesanti rispetto ai TLD 600.
Dunque, a seconda del tipo di radiazione incidente è necessario impiegare
molta attenzione nella scelta e nell’utilizzo di tali dosimetri.
2.2.9 Impiego dei TLD in medicina
L’esposizione a radiazioni ionizzanti è un elemento ineliminabile della
nostra vita sulla Terra. L’esposizione media pro capite dovuta alla
radiazione del fondo naturale ammonta all’88% dell’intera esposizione
mentre quella determinata da attività umane contribuisce per il restante
12%.
Il sempre crescete impiego diagnostico e terapeutico delle radiazioni
ionizzanti ha sicuramente aumentato il carico di dose alla popolazione,
rappresentando il contributo più significativo di equivalente di dose
efficace media annuale ai singoli individui, dopo quello del fondo naturale.
I TLD vengono impiegati anche in medicina per la valutazione della dose
al paziente. La dose efficace ad un paziente, quindi, può essere calcolata
previa determinazione della dose equivalente a tutti gli organi specificati
dall’ICRP. Si tratta di una procedura molto complessa che può essere
eseguita simulando l’esame su fantocci antropomorfi.
CAPITOLO 2
Teoria della Termoluminescenza
63
Distinguiamo due tipologie di fantocci:
Fantocci fisici: totalmente sintetici o costruiti sulla base di scheletri
umani e completati con resine e schiume sintetiche, hanno densità
tali da simulare le caratteristiche dei differenti tessuti.
Fantocci virtuali: modelli matematici del corpo umano.
I fantocci fisici generalmente sono costituiti da sezioni assiali contigue e
separabili, ciascuna provvista di fori cilindrici in cui è possibile andare ad
inserire TLD per effettuare la valutazione della dose.
L’esame diagnostico viene simulato usando il fantoccio come un vero
paziente e, dalla lettura dei dosimetri (TLD), si calcola la dose equivalente
ai vari organi e tessuti.
Figura 2.8 – Fantoccio fisico utilizzato per la valutazione di dose al paziente
CAPITOLO 2
Teoria della Termoluminescenza
64
Per il calcolo della dose efficace con fantocci virtuali, sono stati sviluppati
diversi modelli matematici del corpo umano, differenziati per sesso, età e
peso. Le tecniche di calcolo “Monte Carlo” vengono poi utilizzate per
simulare le interazioni della radiazione con il paziente per gli spettri,
proiezioni e dimensioni dei fasci più utilizzati.
I risultati di questi calcoli sono tabelle di dati che possono essere utilizzati
per stimare la dose agli organi e la dose efficace una volta note:
a) dimensioni, localizzazione e proiezioni geometriche del fascio
b) eventuale presenza di mezzi di contrasto
c) energia del fascio
d) condizioni di esposizione
I TLD vengono utilizzati anche per la valutazione della dose individuale
ricevuta dai lavoratori, dal personale che opera nelle zone dove viene fatto
uso di radiazioni ionizzanti, le cui letture vengono integrate con i risultati
della dosimetria ambientale. Il portare un dosimetro di per sé non serve a
prevenire l'esposizione alle radiazioni. Tuttavia la conoscenza del dato
dosimetrico consente di programmare opportunamente le successive
esposizioni, in modo da mantenere la dose ricevuta da ciascun lavoratore
quanto più bassa possibile e comunque al di sotto dei limiti stabiliti dalle
vigenti leggi.
CAPITOLO 3
Progetto di Ricerca
65
Capitolo 3. Progetto di Ricerca
In questo capitolo viene presentata la fase riguardante la preparazione dei
TLD, l’ annealing, e la procedura di calibrazione dei dosimetri mediante
l’esposizione di questi ad una dose nota di radiazione. Viene inoltre
descritta la preparazione dei dosimetri che sono stati poi esposti per 6 mesi
in abitazioni della costiera sorrentina e la modalità di lettura dei TLD
ottenuta attraverso un lettore a termoluminescenza (Harshaw 3500)
utilizzato in laboratorio.
CAPITOLO 3
Progetto di Ricerca
66
3.1 Scelta del campione
La Campania è una regione in cui i livelli di radioattività sono
particolarmente alti, in quanto sia il suolo che i materiali utilizzati in
edilizia, per la loro origine vulcanica, contengono elevate quantità di
Uranio e Potassio, quindi sono potenzialmente sorgenti attive di gas radon
e di radiazioni gamma.
Come già detto, da molti anni il problema della radioattività naturale, è
oggetto di attenzione per i potenziali danni alla salute.
La scelta delle abitazioni della costiera sorrentina da noi investigate, rientra
in uno studio che riguarda una rete di scuole, tra le quali quella della
penisola sorrentina, nelle quali sono state effettuate misure di monitoraggio
della radioattività. Al fine di estendere tale misurazione sul territorio, sono
state individuate altre strutture sul territorio e cioè diverse abitazioni (81) di
alcuni professori e diversi studenti facenti parte delle scuole investigate
precedentemente. Tutto ciò per contribuire alla costruzione di un archivio
regionale di dati sulla radioattività naturale in Campania.
CAPITOLO 3
Progetto di Ricerca
67
In figura vengono indicati i Comuni della Provincia di Napoli oggetto della
valutazione.
Figura 3.1 – Comuni coinvolti nello studio
3.2 Preparazione dei TLD
E’ stata effettuata in laboratorio la preparazione dei dosimetri prima che
venissero posizionati nelle abitazioni. Sono stati utilizzati i TLD 100
poiché sono quelli che hanno una maggiore sensibilità per i raggi γ e
presentano inoltre un basso costo.
Poiché la sensibilità dei TLD varia da dosimetro a dosimetro, prima di
cominciare una serie di misure, è necessario contrassegnare ciascuno di essi
con un codice in modo da poterli distinguere. Sono state utilizzate le lettere
maiuscole dell’alfabeto e i numeri.
CAPITOLO 3
Progetto di Ricerca
68
3.2.1 Annealing dei TLD
La prima fase della preparazione dei dosimetri a termoluminescenza
consiste nel sottoporli ad una procedura di azzeramento. Tale procedura,
chiamata annealing, serve a cancellare da esso la memoria
dell’irraggiamento precedente. Quindi è molto importante effettuare
correttamente questa operazione, altrimenti ci sarebbero dei segnali residui
che si andrebbero a sovrapporre alla risposta del TLD, alterandola.
L’annealing consiste nel sottoporre i TLD ad alte temperature per un certo
intervallo di tempo, in modo da liberare la maggior parte degli elettroni
rimasti intrappolati nei livelli localizzati, che non si sono ricombinati
durante la fase di lettura.
Durante la preparazione dei TLD al LiF:Mg,Ti utilizzati nel presente lavoro
di tesi, è stata effettuata in laboratorio una procedura di annealing che ha
previsto i seguenti passi [10]:
1. Inserire i TLD (riposti in un contenitore di ceramica) nel forno a
muffola preriscaldato a 400°C e lasciarli per un’ora a tale
temperatura.
2. Aprire lo sportello del forno e, senza estrarre i TLD, aspettare che la
temperatura scenda a 100°C.
3. Raggiunti i 100°C chiudere nuovamente il forno e lasciare i TLD a
tale temperatura per altre due ore.
CAPITOLO 3
Progetto di Ricerca
69
Figura 3.2 – Forno per l’azzeramento dei dosimetri TLD
E’ stato utilizzato un software, chiamato Thermosoft, che segue tutto il
processo di azzeramento (durata tre ore circa), permettendo cosi di
controllarlo. Dopo l’annealing, i TLD vengono riposti in contenitori
schermati di piombo per evitare che possano assorbire radiazioni
dall’ambiente prima del loro utilizzo. Segue poi una seconda fase in cui i
TLD vengono irraggiati.
CAPITOLO 3
Progetto di Ricerca
70
3.2.2 Scopo degli irraggiamenti
Quando un gruppo di TLD viene irraggiato con una dose di radiazione
incognita, per risalire ad essa non basta semplicemente leggere il valore
della risposta di termoluminescenza fornito dal lettore di TLD: per
convertire la risposta di un dosimetro nella dose da esso assorbita bisogna
conoscere il fattore di calibrazione (FC). Il fattore di calibrazione è
strettamente legato alla sensibilità di un cristallo termoluminescente e per
questo è variabile da dosimetro a dosimetro; per il gruppo di TLD scelto, è
quindi necessario ricavare un fattore di calibrazione medio.
Esso viene calcolato esponendo i dosimetri ad una dose di radiazione nota:
leggendo la risposta dei dosimetri (RTL) e conoscendo la dose da essi
assorbita (D), il fattore di calibrazione può essere facilmente ottenuto dal
rapporto:
FC =
=
(3.1)
Una volta effettuata la calibrazione, esponendo i dosimetri ad un campo di
radiazione incognita, è poi possibile ricavare la dose da essi assorbita
invertendo l’equazione (3.1).
D =
(3.2)
Dunque, per stimare la dose assorbita dalla popolazione durante il periodo
di osservazione, i dosimetri che vengono posizionati nelle abitazioni
investigate devono essere opportunamente calibrati.
CAPITOLO 3
Progetto di Ricerca
71
3.2.3 La calibrazione dei TLD
La calibrazione è stata effettuata esponendo i TLD al LiF:Mg,Ti a dosi note
di fotoni prodotti dal tubo radiogeno della Siemens messo a disposizione
dal laboratorio. Per il tubo radiogeno abbiamo impostato le seguenti
condizioni di lavoro:
200kV
20mA
0.5 mmCu (filtro)
E’ stato effettuato l’irraggiamento dei TLD 100 con quattro dosi differenti.
Irraggiamento Dose (mGy) Tempo di esposizione (s)
1° 500 36
2° 2000 144
3° 5000 360
4° 10000 720
Tabella 3.1 - Parametri con cui sono stati effettuati gli irraggiamenti dei TLD
I valori di dose riportati sono stati misurati con una camera a ionizzazione
con sonda tessuto-equivalente prima di effettuare l’irraggiamento dei
dosimetri.
Per ogni dose sono stati irraggiati 40 TLD per un totale di 160 TLD.
Un gruppo di 40 TLD è stato utilizzato come controllo, ossia non sono stati
irraggiati dal tubo radiogeno. Questo in modo tale che, la risposta media
dei controlli viene sottratta a ciascun valore delle risposta dei TLD
irraggiati, in modo tale da avere la risposta dovuta esclusivamente
CAPITOLO 3
Progetto di Ricerca
72
all’irraggiamento prodotto dal tubo radiogeno ed eliminare il contributo di
radioattività sempre presente nei TLD dovuto a radiazioni naturali, dato che
essi non sono schermati. Viene fatta cioè la correzione del fondo. Le
risposte medie di termoluminescenza dei TLD di controllo sono riportate in
tabella.
Controlli RTL media (nC) σRTL (nC)
TLD 100 0,4 0,05 Tabella 3.2 - Risposte di termoluminescenza medie con i rispettivi errori per i controlli
La risposta di termoluminescenza media per ciascun TLD è stata ottenuta
effettuando la media delle risposte dei singoli TLD (espresse in nC) fornite
dal lettore come integrale della glow-curve, mentre come errore è stato
assunto lo scarto quadratico medio.
Per ognuna delle quattro condizioni di irraggiamento sono stati utilizzati
come bersaglio 40 TLD diversi per un totale di 160 TLD.
Irraggiamento Dose (mGy) RTL media
(nC) FC medio (nC/mGy)
1° 500 2050 4,1
2° 2000 8400 4,2
3° 5000 22000 4,4
4° 10000 45000 4,5
Tabella 3.3 - Risultati ottenuti dall’irraggiamento dei TLD 100 nelle sei diverse
condizioni
CAPITOLO 3
Progetto di Ricerca
73
Nella seconda colonna è riportata la dose assorbita dai TLD durante
l’irraggiamento.
Nella terza colonna sono riportati i valori della risposta di
termoluminescenza media (relativa al singolo irraggiamento). Nella quarta
colonna, infine, sono riportati i valori del fattore di calibrazione medio (FC
medio) relativo al singolo irraggiamento. Il fattore di calibrazione medio è
stato ottenuto facendo la media dei fattori FCi relativi ai singoli TLD che, a
loro volta, sono stati ottenuti dal rapporto:
FCi =
Dove RTLi indica la risposta dei singoli TLD ad un dato irraggiamento.
Facendo un grafico della risposta di termoluminescenza media in funzione
della dose, si ottiene l’andamento mostrato nel grafico seguente:
0 2000 4000 6000 8000 10000
0
10000
20000
30000
40000
50000
RTLmedia(nC)
Dose(mGy)
Grafico 3.1 - Andamento della risposta di termoluminescenza media in funzione della
dose per i TLD
y = a + bx = 4,53x – 481,73
R2 = 0,9997
CAPITOLO 3
Progetto di Ricerca
74
È possibile notare un andamento lineare.
Per calcolare il fattore di calibrazione complessivo dei TLD, relativo
all’irraggiamento con fotoni, è stata effettuata una media aritmetica dei
fattori di calibrazione relativi a tutti i TLD irraggiati (cioè 160), in modo da
determinare la migliore stima del fattore di calibrazione che tenga conto
della variabilità all’interno della popolazione dei dosimetri.
Pertanto, tale fattore di calibrazione risulta pari a:
FCTLD = 4.3 ± 0.2
Bisogna osservare che tutte le misure sono affette da un errore di lettura
dello strumento pari al 5% della risposta.
3.2.4 Preparazione e posizionamento del dosimetro
I due cristalli di fluoruro di litio sono stati inseriti in una scatola di
polietilene di 2 1.5 0.4 cm.
I TLD sono stati poi messi in un astuccio termosaldato, con etichetta
applicata contenente indicazioni sul periodo di servizio (data
posizionamento e data ritiro), codice abitazione e codice di identificazione
del dosimetro con numerazione progressiva. Il dosimetro è stato poi
posizionato per sei mesi nelle abitazioni investigate, precisamente nel
locale notte (camera da letto) di suddette abitazioni, poiché in tale locale
(così come per il soggiorno) l’abitante trascorre la maggior parte del tempo.
Insieme ad esso è stato consegnato agli abitanti anche un questionario
contenente domande circa le caratteristiche rilevanti dell’abitazione
investigata (piano, materiali da costruzione, anno di costruzione,
rivestimento pareti e pavimento…) presente in Appendice C.
CAPITOLO 3
Progetto di Ricerca
75
Figura 3.3 – TLD pronto al posizionamento nell’abitazione
3.3 Lettura dei TLD
La lettura dei TLD deve essere effettuata con molta attenzione. Infatti, i
TLD devono essere manipolati mediante l’utilizzo di pinzette, facendo
attenzione a non applicare troppa pressione per evitare lesioni al cristallo.
In questo modo le proprietà dosimetriche dei TLD rimangono più a lungo
invariate nel tempo e ciò assicura il riutilizzo duraturo dei dosimetri.
L’utilizzo delle pinzette è necessario perché i TLD non vengano toccati con
le mani: le impurità della pelle, infatti, possono sporcare la superficie del
dosimetro, interferendo sia con l’emissione dei fotoni durante la fase di
lettura, sia con la radiazione incidente durante l’irraggiamento.
Per la lettura dei TLD irraggiati è stato utilizzato un TLD Reader, modello
3500 della Harshaw-Company Manifactures, collegato ad un computer
CAPITOLO 3
Progetto di Ricerca
76
dotato del software proprietario WinREMS (Windows Radiation
Evaluation and Management System).
Il processo di lettura cancella l’informazione presente nel cristallo
termoluminescente per cui può essere letto una sola volta.
Figura 3.4 - TLD Reader, modello 3500 della Harshaw-Company [14]
CAPITOLO 3
Progetto di Ricerca
77
Nella figura che segue è presentato uno schema semplificato dell’apparato
di lettura dei dosimetri a termoluminescenza.
Figura 3.5 - Schema semplificato dell’apparato di lettura dei TLD [14]
Il lettore è dotato di uno sportellino apribile con un alloggio metallico
(plancetta), in cui viene posizionato il singolo dosimetro. In questa zona,
viene fatto circolare dell’azoto mediante un tubicino che collega la
bombola al lettore. La presenza dell’azoto è necessaria per eliminare le
impurezze presenti nell’aria che, provocando segnali spuri, altererebbero
quello prodotto dal TLD.
La plancetta è collegata ad un circuito elettrico in cui il passaggio di
corrente determina il riscaldamento lento e graduale del TLD inducendo
CAPITOLO 3
Progetto di Ricerca
78
l’emissione di fotoni di termoluminescenza. Questi ultimi vengono
convogliati verso un tubo fotomoltiplicatore (PMT) presente all’interno del
lettore, che converte i fotoni in corrente, all’aumentare della temperatura.
La corrente in uscita al PMT viene poi amplificata ed integrata da un
circuito integratore.
I dati forniti dal fotomoltiplicatore vengono trasmessi al software
WinREMS , che li immagazzina finché il lettore non ha finito l’analisi del
TLD.
Anche nella zona del fotomoltiplicatore viene fatto circolare l’azoto, in
modo da eliminare le eventuali formazioni di condense dovute all’umidità.
L’aumento della temperatura avviene in modo lineare fino ad una
temperatura massima di 300°C per i TLD 100. Tale aumento è gestito
automaticamente dal lettore ed è visualizzato (mediante una retta) insieme
alla glow-curve sullo schermo del PC, nella finestra del software
WinREMS (figura riportata sotto).
Appena raggiunta la temperatura massima di lettura (300°C) il programma
esegue automaticamente l’integrale della glow-curve relativa al dosimetro
appena analizzato e fornisce il valore dell’energia immagazzinata
(proporzionale all’area sottesa alla glow-curve) in quantità di carica. A
questo punto, la lettura del TLD è terminata.
Il software consente di gestire i parametri di acquisizione del lettore,
permettendo di scegliere la variazione temporale della temperatura (°C/s) e
di stabilire la temperatura minima alla quale il software comincia ad
acquisire i dati e la temperatura massima di fine acquisizione. I tempi di
acquisizione variano da 10 a 300 secondi, mentre la velocità di
riscaldamento varia da 1°C/s a 50°C/s. La scelta delle velocità di
riscaldamento dipende dal tipo di TLD utilizzato e per i TLD al LiF:Mg,Ti
è di 5°C/s.
CAPITOLO 3
Progetto di Ricerca
79
Il pannello interattivo di WinREMS mostra la glow-curve in blu, ed una
linea rossa indica l’andamento delle temperatura nel tempo. Sulla glow-
curve è possibile agire scegliendo delle ROI (Region Of Interest): in questo
modo il programma fornisce informazioni solo sull’area selezionata. Sul
lato sinistro del pannello in cui è mostrata la glow-curve, alla fine
dell’acquisizione compaiono i valori forniti dall’analisi della curva in base
a come si sono impostate precedentemente le ROI.
Figura 3.6- Glow-curve di un TLD 100 irraggiato con il tubo radiogeno: in ascissa vi è
il numero di canali (da 0 a 200) ed in ordinata l’intensità di corrente (in nA) del
segnale fornito dal fotomoltiplicatore. L’area blu racchiusa nella ROI (linee verticali)
rappresenta la risposta del TLD; il valore di tale risposta (in µC) è visualizzato nella
parte sinistra del pannello. Oltre alla glow-curve si osserva anche una retta rossa che
rappresenta la crescita lineare della temperatura nel tempo: la temperatura minima
alla quale il software comincia ad acquisire i dati è di 100°C mentre quella massima è
di 300°C (dato che si tratta di un TLD 100).
CAPITOLO 3
Progetto di Ricerca
80
Inoltre vi è anche un sistema che permette di controllare e monitorare la
luce di riferimento. Se il lettore fuoriesce dall’intervallo stabilito, sullo
schermo compare un messaggio che richiede di reimpostare la luminosità
facendo fare al lettore una lettura a vuoto con la plancetta aperta e senza
TLD all’interno (Figura 3.7).
La stessa cosa vale per il rumore (o corrente di fondo) per il PMT: se esso
risulta maggiore della soglia stabilita dal costruttore, il sistema richiede la
rilettura del rumore di fondo che viene fatta senza TLD tenendo lo
sportellino semiaperto. Il valore del rumore di fondo viene poi
automaticamente sottratto al segnale in uscita dal PMT (Figura 3.8).
Figura 3. 7 - Misura della luce di riferimento effettuata dal lettore
CAPITOLO 4
Risultati sperimentali
82
Capitolo 4. Risultati sperimentali
In questo capitolo vengono presentati e discussi i risultati ottenuti in
termini di stima della dose gamma rilevata nelle abitazioni considerate,
corrette per la dose gamma outdoor (contributo dovuto ai raggi cosmici) e
di stima della dipendenza della dose gamma dai materiali da costruzione,
dall’anno di costruzione e dal piano dell’abitazione. Infine è stata stimata
anche la dose efficace.
CAPITOLO 4
Risultati sperimentali
83
4.1 Analisi dei risultati ottenuti dalla lettura dei TLD
Dalla lettura dei TLD otteniamo il valore della risposta di
termoluminescenza dei dosimetri (RTL). Per convertire la risposta di un
dosimetro nella dose da esso assorbita utilizziamo il fattore di calibrazione
calcolato prima dell’esposizione di esso. Quindi, poiché si tratta di
dosimetri tessuto-equivalente, otteniamo la dose di radiazione assorbita dal
tessuto umano.
Le case con informazioni incomplete sono state escluse dall’analisi (vedi
Appendice D).
I risultati di dose ottenuti tengono conto della radiazione γ proveniente sia
dai raggi cosmici che dai materiali da costruzione. Quindi poiché siamo
interessati solo al contributo proveniente da fonti terrestri, ossia al
contributo dei raggi γ dato dai materiali da costruzione, è stata fatta una
correzione per i gamma outdoor, andando a sottrarre il contributo della
componente cosmica, ottenendo quindi una stima di dose dovuta soltanto ai
raggi gamma provenienti dai materiali da costruzione delle abitazioni
investigate (vedi Appendice D).
CAPITOLO 4
Risultati sperimentali
84
4.1.1 Correzione per i gamma outdoor
Il tasso di dose assorbita dalla componente di radiazione cosmica dipende
principalmente dall’altitudine e può essere valutata in base allo studio di
Sakellariou [15]:
CEout = 30.80 + 2.57 y + 6.90 y2
dove CEout è espresso in nGy/h ed y è l'altitudine che va dal livello del
mare fino a 3 km. Il tasso di dose gamma indoor dovuta alle radiazioni
gamma terrestri è stato valutato utilizzando la formula:
γin = CTLD – 0.8 CEout
dove CTLD è il valore misurato espresso in nGy/h, 0.8 è il fattore di
schermatura medio dell’edificio per ottenere il tasso di dose indoor
effettivo [16].
Nella tabella presente in Appendice D, sono riportati i risultati delle
misurazioni nelle abitazioni realizzate con diversi materiali da costruzione
in cui la dose stimata è relativa soltanto al contributo terrestre.
La distribuzione di frequenza della dose gamma, nelle abitazioni,
proveniente da fonti terrestri è mostrata nel grafico 4.1.
CAPITOLO 4
Risultati sperimentali
85
100 200 300 400 500 600 700
0
2
4
6
8
10
12
14
16
18
20
22
Fre
qu
en
za
Gamma dose rate (nGy/h)
Grafico 4.1 - Distribuzione di frequenza del tasso di dose gamma indoor (nGy/ h) nelle
abitazioni investigate. Il contributo della radiazione cosmica è stato sottratto.
Le case con informazioni incomplete sono state escluse dall’analisi.
Il più basso valore di dose misurato è stato di 152 nGy/h, mentre il
massimo è stato di 593 nGy/h. La media aritmetica è risultata essere 332 ±
90 nGy/h.
4.2 Confronto dei risultati ottenuti con quelli della
campagna nazionale
Confrontando i risultati con quelli ottenuti dalla campagna nazionale
effettuata in Italia agli inizi degli anni ’90 si osserva che c’è una minima
differenza tra il valore di dose stimato per la Regione Campania nella
suddetta campagna (327 nGy/h) e il valore di dose da noi stimato per le
CAPITOLO 4
Risultati sperimentali
86
abitazioni della penisola sorrentina (332 nGy/h). Questo valore, invece, è
superiore rispetto alla dose media nazionale che risultò essere 105 ± 10
nGy/h [17], [18].
Questo risultato potrebbe essere dovuto alla presenza di vulcani attivi nella
zona costiera della provincia di Napoli, con la conseguenza della elevata
presenza di rocce piroclastiche [19], in gran parte utilizzate per la
costruzione degli edifici.
Per i paesi industrializzati, invece il valore di dose risultò essere pari a 83
nGy/h.
In tabella 4.1 sono riportati i valori di dose media stimata nella campagna
condotta negli anni ’90 mentre in tabella 4.2 vengono riportati quelli
registrati nelle abitazioni della penisola sorrentina.
Dose Regione Campania (nGy/h)
Dose nazionale (nGy/h)
Dose paesi industrializzati (nGy/h)
327 105 83
Tabella 4.1 – Valori di dose registrati negli anni ’90
Dose abitazioni penisola sorrentina (nGy/h) SD (nGy/h)
332 90
Tabella 4.2 – Valori di dose registrati nelle abitazioni della penisola sorrentina
investigate
CAPITOLO 4
Risultati sperimentali
87
4.3 Dose in funzione dei materiali da costruzione
Per valutare gli effetti dei materiali da costruzione, le abitazioni sono state
classificate in quattro gruppi in base al materiale da costruzione principale.
Struttura portante Codice materiale
Cemento 1
Mattoni 2
Pietra 3
Tufo 4
Tabella 4.3 – Codici materiali da costruzione
Di seguito viene presentata una tabella dove viene mostrata la stima di dose
media, e la deviazione standard relativa, in relazione al tipo di materiale da
costruzione utilizzato per l’abitazione; essa dipende dai radionuclidi
presenti nei materiali da costruzione.
Anche qui, le case con informazioni incomplete sui materiali da
costruzione sono state escluse dall’analisi.
CAPITOLO 4
Risultati sperimentali
88
Ai fini dell’analisi statistica, per ottenere una numerosità confrontabile le
abitazioni costruite in pietra e mattoni sono stata raggruppate.
Materiale da costruzione principale N°
Dose media (nGy/h)
SD (nGy/h) p.value
Tufo 10 407 57 < 0.001
Cemento 52 299 86
Mattoni e Pietra 15 375 60
Tabella 4.4 – Case in mattoni e pietra raggruppate per analisi statistica
Per verificare la dipendenza delle dosi gamma è stata fatta un’analisi della
varianza (ANOVA).
Dall’ analisi risulta che i valori medi stimati di dose gamma indoor è
significativamente diversa per le abitazioni realizzate con differenti
materiali da costruzione. Si osserva che i valori medi di dose gamma indoor
sono significativamente superiori per abitazioni costruite in tufo, pietra di
origine vulcanica particolarmente ricca di radionuclidi, e in quelle
realizzate in pietre e mattoni, nonostante una numerosità campionaria
minore, rispetto a quelle realizzate in cemento. Questo dipende dalla
concentrazione di radionuclidi presenti nel tufo, nelle pietre, nei mattoni e
nel cemento, dove in quest’ultimo risulta essere più bassa.
In aggiunta abbiamo anche esaminato l'impatto dei materiali che rivestono
le pareti e pavimenti sul tasso di dose gamma. Per valutare gli effetti dei
materiali che rivestono le pareti, le abitazioni sono state classificate in due
gruppi (in gesso e carta da parati), mentre per studiare l'effetto del
pavimento, le abitazioni sono state raggruppate in quattro categorie
(piastrelle, legno, granito e marmo). L'analisi statistica ha rivelato nessuna
differenza statisticamente significativa tra le varie pareti e materiali di
rivestimento pavimenti e quindi non è stata riporta la tabella. Ciò è dovuto
CAPITOLO 4
Risultati sperimentali
89
ad un’ attenuazione gamma molto bassa attraverso questi materiali. In
seguito viene riportata la codifica utilizzata per le pareti e per il pavimento.
Pareti Codice materiale
Intonaco 1
Piastrelle 2
Marmo 3
Pietra 4
Legno 5
Carta da parati 6
Altro 7
Non so 9
Tabella 4.5 – Codifica pareti abitazioni
Pavimenti Codice materiale
Cemento 1
Mattoni 2
Pietra 3
Marmo 4
Legno 5
Piastrelle 6
Linoleum 7
Altro 8
Tabella 4.6 – Codifica pavimenti abitazioni
CAPITOLO 4
Risultati sperimentali
90
4.4 Dose in funzione del piano dell’abitazione
Per ottenere una numerosità confrontabile, i piani delle abitazioni sono stati
associati ad un codice per permetterne il raggruppamento di essi ed
effettuare un confronto. I piani vanno dal piano seminterrato al 5° piano.
Codice piano Piano
1 Seminterrato e piano terra
2 1° piano
3 ≥ 2° piano
Tabella 4.7 – Codici per raggruppamento piani abitazioni
Codice piano N° Dose media
(nGy/h) SD
(nGy/h) p.value
1 18 362 97 < 0.05
2 26 349 81
3 34 305 88
Tabella 4.8 - Media tassi di dose gamma relativi ai diversi piani delle abitazioni
investigate
Anche per questa analisi, le case di cui non si disponeva dell’informazione
relativa al piano sono state escluse.
Si osserva che c’è una debole dipendenza della dose media dal piano.
CAPITOLO 4
Risultati sperimentali
91
In particolare notiamo che la dose gamma ai piani seminterrati e piani terra
risulta essere maggiore rispetto ai piani superiori. Ciò potrebbe essere
attribuito al contributo gamma dato anche dai gamma dovuti al radon, la
cui presenza, come sappiamo, è maggiore nei piani più a contatto con il
suolo. Allontanandoci dal suolo, e quindi considerando piani superiori,
notiamo una progressiva diminuzione della dose dato che in questi piani il
contributo ai gamma dovuti al radon risulta essere man mano minore.
4.5 Dose in funzione dell’ anno di costruzione dell’
abitazione
Per ottenere una numerosità confrontabile, gli anni di costruzione delle
abitazioni sono stati associati ad un codice per permetterne il
raggruppamento di essi ed effettuare un confronto.
Codice anno di costruzione Anno di costruzione
1 fino al 1918
2 dal 1919 fino al 1960
3 dopo il 1960
4 non so
Tabella 4.9 – Codici per raggruppamento anno di costruzione
CAPITOLO 4
Risultati sperimentali
92
Codice anno di costruzione N°
Dose media (nGy/h)
SD (nGy/h) p.value
1 17 398 61 <0.001
2 14 323 57
3 38 292 75
Tabella 4.10 - Media tassi di dose gamma relativi ai diversi anni di costruzione delle
abitazioni investigate
Dall’ analisi sono state escluse 7 abitazioni in cui non è stato specificato
l’anno di costruzione. Inoltre sono state escluse da questa valutazione
anche le case in cui non è stato specificato dall’abitante l’anno di
costruzione.
Anche da questa analisi si osserva che le case costruite più recentemente
presentano una dose gamma minore rispetto a quelle realizzate prima del
1960. Ciò può essere spiegato considerando il fatto che con il tempo si
sono aggiunti sempre più materiali nuovi per la costruzione. Il numero di
questi materiali, in passato relativamente limitato, va continuamente
aumentando col progredire delle tecniche, e allo stesso tempo si è avuta una
differenziazione dei sistemi impiegati per la loro produzione.
L'elevato numero di materiali da costruzione dipende dal fatto che ognuno
di essi presenta delle particolari proprietà, che lo fanno preferire agli altri a
seconda degli scopi per i quali deve essere utilizzato.
CAPITOLO 4
Risultati sperimentali
93
4.6 Dose efficace dei gamma indoor
La dose efficace indoor è stata stimata prendendo in considerazione che la
maggior parte degli abitanti delle aree urbane spende circa l’80% del loro
tempo in ambienti chiusi e utilizzando un fattore di conversione per la dose
efficace, stimato per la popolazione adulta, pari a 0.7 Sv/Gy [16]:
H = D T C O
dove,
H = dose efficace annua (Sv/y)
D = tasso di dose gamma indoor in nGy/h
T = tempo in ore (8760 h/y)
C = fattore di conversione (0.7 Sv/Gy)
O = fattore di occupazione (0.8)
Il valore di dose efficace ottenuto per le abitazioni investigate è riportato
nella seguente tabella.
Dose media (nGy/h) Dose efficace (mSv/y)
332 1.6
Tabella 4.11 – Tasso di dose efficace da radiazione gamma indoor
Questo risultato è conseguenza del largo utilizzo di materiali con elevata
concentrazione di radioisotopi nella costruzione di edifici. Anche il radon
che esala dal suolo, contribuisce alla dose efficace indoor.
CONCLUSIONI
94
Conclusioni
Il lavoro di tesi ha riguardato la determinazione della dose gamma relativa
al contributo terrestre in abitazioni della penisola sorrentina mediante
dosimetri a termoluminescenza (TLD).
La Campania è una regione in cui i livelli di radioattività sono
particolarmente alti, in quanto sia il suolo che i materiali utilizzati in
edilizia, per la loro origine vulcanica, contengono elevate quantità di
Uranio, Toron e Potassio, quindi sono potenzialmente sorgenti attive di gas
radon e di radiazioni gamma.
Da molti anni il problema della radioattività naturale, è oggetto di
attenzione per i potenziali danni alla salute.
CONCLUSIONI
95
La scelta delle abitazioni della costiera sorrentina da noi investigate, rientra
in uno studio che riguarda una rete di scuole, tra le quali quella della
penisola sorrentina, nelle quali sono state effettuate misure di monitoraggio
della radioattività. Al fine di estendere tale misurazione sul territorio, sono
state individuate altre strutture sul territorio e cioè diverse abitazioni (81) di
alcuni professori e diversi studenti facenti parte delle scuole investigate
precedentemente. Tutto ciò per contribuire alla costruzione di un archivio
regionale di dati sulla radioattività naturale in Campania.
Per fare ciò si è usata una tecnica di misura della dose gamma assorbita che
ha previsto l’ utilizzo di dosimetri a termoluminescenza, dosimetri di tipo
passivo, che sono stati posizionati nel locale notte delle abitazioni
investigate.
Dai risultati ottenuti dalle letture dei dosimetri è emerso che il più basso
valore di dose misurato è stato di 152 nGy/h, mentre il massimo è stato di
593 nGy/h. La media aritmetica è risultata essere 332 ± 90 nGy/h. Inoltre è
stata evidenziata una dipendenza della dose assorbita in relazione al tipo di
materiale da costruzione utilizzato per l’abitazione. E’ risultato che i valori
medi stimati di dose gamma indoor è significativamente diversa per le
abitazioni realizzate con differenti materiali. In particolare si è osservato
che i valori medi di dose gamma indoor sono significativamente superiori
per abitazioni costruite in tufo (407 nGy/h) e in quelle realizzate in pietre e
mattoni (375 nGy/h), nonostante una numerosità campionaria minore,
rispetto a quelle realizzate in cemento (299 nGy/h). Questo dipende dalla
concentrazione di radionuclidi presenti nel tufo, nelle pietre, nei mattoni e
nel cemento, dove in quest’ultimo risulta essere più bassa.
E’ stata valutata anche la dipendenza di tale dose dal piano in cui
l’abitazione è situata e da quest’analisi è emerso che c’è una debole
dipendenza della dose dal piano.
CONCLUSIONI
96
In particolare si è notato che la dose gamma ai piani seminterrati e piani
terra (362 nGy/h) risulta essere maggiore rispetto ai piani superiori (305
nGy/h). Ciò potrebbe essere attribuito al contributo gamma dato anche dai
gamma dovuti al radon, la cui presenza, come sappiamo, è maggiore nei
piani a contatto con il suolo. Allontanandoci dal suolo, e quindi
considerando piani superiori, notiamo una progressiva diminuzione della
dose dato che in questi piani il contributo ai gamma dovuti al radon risulta
essere man mano minore.
Infine, è stata fatta una valutazione della dose in base all’ anno di
costruzione delle abitazioni ed è emerso che le case costruite più
recentemente presentano una dose gamma minore rispetto a quelle
realizzate prima del 1960, per le quali il tufo rappresenta un materiale
ampiamente adoperato, e ciò può essere spiegato considerando il fatto che
con il tempo si sono aggiunti sempre più materiali nuovi per la costruzione.
E’ stata poi valutata la dose efficace che è risultata essere pari a 1.6 mSv/y,
un valore elevato dovuto al largo utilizzo dei materiali con elevata
concentrazione di radioisotopi nella costruzione degli edifici nella penisola
sorrentina.
APPENDICE A
I processi di decadimento radioattivo
97
I processi di decadimento radioattivo
Caratterizzazione dell’atomo
L’atomo è caratterizzato da:
Numero atomico: è il numero di protoni e quindi corrisponde alla carica
(positiva) del nucleo. Si indica con Z, e rappresenta anche il numero di
elettroni, dal momento che cariche positive e negative sono presenti nell’atomo
in numero uguale.
Massa atomica (o numero di massa): è la somma del numero di protoni più il
numero dei neutroni; gli elettroni hanno massa trascurabile. Si indica con A.
Con N si indica il numero di neutroni (ovviamente N = A-Z)
Decadimento α
Il decadimento α avviene tramite l’emissione di una particella, detta appunto
particella alfa, composta da due protoni e due neutroni (si tratta di un nucleo di elio):
in pratica il radionuclide, emettendo una particella alfa in un decadimento spontaneo,
perde due protoni e due neutroni (N e Z diminuiscono di due mentre A diminuisce di
quattro). Simbolicamente, possiamo scrivere questo processo come segue:
dove X è chiamato nucleo padre e Y è il nucleo figlio.
APPENDICE A
I processi di decadimento radioattivo
98
Osserviamo che in questo processo la somma dei numeri atomici del membro di
destra è uguale al numero atomico del membro di sinistra e un analogo
comportamento hanno i rispettivi numeri di massa.
Decadimento β
Le particelle β non sono altro che elettroni emessi dal nucleo: dal momento che però
la massa di un elettrone è una frazione irrisoria rispetto a quella del nucleo possiamo
dire che tutte le volte che un nucleo subisce un decadimento beta il suo numero di
massa A rimane costante. Il numero atomico invece varia di uno: la variazione sarà
positiva (decadimento β-) se nella reazione viene prodotto un elettrone, sarà invece
negativa ( decadimento β+) se viene prodotto un positrone.
Il terzo elemento prodotto nella trasformazione è il neutrino, una piccola unità
elettricamente neutra con massa piccola o nulla. Sostanzialmente ecco ciò che
accade: nel decadimento β- un neutrone si trasforma in un protone (quindi Z aumenta
di uno, e conseguentemente N diminuisce di un’unità in modo tale che A non vari)
emettendo un elettrone; nel decadimento β+ invece un protone si trasforma in un
neutrone (Z diminuisce di uno), con conseguente emissione di un positrone. Oltre ad
A c’è un’altra grandezza fisica che non varia in questo decadimento: è la carica
elettrica. Se infatti il neutrone che decade è caratterizzato dall’assenza di carica
elettrica, anche il protone e l’elettrone prodotti nel decadimento hanno una carica
elettrica complessiva nulla (hanno cariche elettriche uguali ma di segno opposto),
mentre il neutrino non ha alcuna carica.
APPENDICE A
I processi di decadimento radioattivo
99
Possiamo rappresentare questo processo come segue:
Analogamente, se un nucleo emette un positrone, il processo corrispondente è:
Decadimento γ
Il decadimento γ si ha tutte le volte che nel nucleo si hanno dei ri-arrangiamenti nella
disposizione dei neutroni e dei protoni verso configurazioni più stabili. In genere ciò
si ha subito dopo un decadimento α o β: molto spesso infatti, un nucleo che subisce
un decadimento radioattivo rimane in uno stato energetico eccitato; può quindi subire
un ulteriore decadimento ad uno stato energetico più basso, con conseguente
emissione di un fotone. I raggi γ sono appunto i fotoni emessi durante questo
processo.
Come esempio di una situazione in cui possono essere emessi raggi γ, consideriamo il
seguente decadimento beta:
* + + νe
L’asterisco sul simbolo dell’azoto indica che il nucleo dell’azoto è stato lasciato in
uno stato eccitato dopo il decadimento beta. Successivamente, il nucleo dell’azoto
può decadere al suo stato fondamentale con l’emissione di un raggio γ:
*
→
Osserviamo che né il numero atomico né il numero di massa sono cambiati in seguito
all’emissione di raggi γ.
APPENDICE B
Interazioni tra particelle e materia
100
Interazioni tra radiazione e materia
Interazione elettroni – materia
Nel momento in cui una carica elettrica interagisce con un materiale quindi,
a seguito dei numerosi urti coulombiani cui va incontro subisce una perdita
di energia: a fine percorso questa perdita di energia ha un picco, il picco di
Bragg, per poi cominciare a decrescere fino a diventare zero.
Figura B.1 – Picco di Bragg
APPENDICE B
Interazioni tra particelle e materia
101
Interazione fotoni – materia
Il comportamento dei fotoni (raggi X e γ) nella materia è molto diverso da
quello delle particelle cariche. Infatti la mancanza di carica elettrica rende
impossibili collisioni elastiche e anelastiche con gli elettroni atomici del
mezzo assorbitore. Sono, invece, possibili altri tipi di interazioni
caratteristiche dei fotoni: effetto fotoelettrico, effetto Compton e
produzione di coppie.
L’intensità della radiazione, numero di fotoni che incidono per unità di
tempo sull’unità di superficie, diminuisce esponenzialmente con lo
spessore attraversato:
I(x) = I0 exp(-µx)
dove I0 è l’intensità del fascio incidente, x lo spessore dell’assorbitore e µ il
coefficiente di assorbimento (o attenuazione).
Figura B.2 – Diminuzione esponenziale del rapporto I/I0 al variare dello spessore
attraversato
APPENDICE B
Interazioni tra particelle e materia
102
I fattori che influenzano il coefficiente di attenuazione µ (la cui unità di
misura è il cm-1
) sono l’energia dei fotoni e la densità del materiale
attraversato, quindi il suo numero atomico. Al crescere dell’energia della
radiazione aumenta il numero di fotoni trasmessi (cioè diminuisce
l’attenuazione); al contrario aumentando la densità, il numero atomico o il
numero di elettroni per grammo, diminuisce il numero di fotoni trasmessi
(cioè aumento l’attenuazione).
Effetto fotoelettrico
I raggi X con energia dell’ordine delle decine di keV possono estrarre gli
elettroni dagli orbitali interni; i fotoni vengono totalmente assorbiti e viene
emesso un elettrone, che prende il nome di fotoelettrone.
L’elettrone viene emesso con una energia cinetica Ec pari alla differenza tra
l’energia del fotone incidente h · ν ( prodotto tra la frequenza ν e la costante
di Plank h = 6.63 10-34
J · s) e l’energia di legame Eb dell’elettrone:
Ec = h · ν - Eb
Figura B.3 – Effetto fotoelettico
APPENDICE B
Interazioni tra particelle e materia
103
Il fotoelettrone prodotto viene assorbito quasi immediatamente dal mezzo
circostante, dato che le particelle cariche hanno un piccolo potere
penetrante. Dopo l’espulsione di un elettrone l’atomo rimane carico
positivamente con una vacanza elettrica che sarà riempita da un elettrone
proveniente da un orbitale più esterno.
Effetto Compton
Con questo nome si indica l’urto elastico del fotone con un elettrone degli
orbitali più esterni. Questa interazione provoca la liberazione dell’elettrone
e la deviazione del fotone incidente dalla direzione iniziale come
schematizzato in figura:
Figura B.4 – Effetto Compton
APPENDICE B
Interazioni tra particelle e materia
104
Il bilancio energetico del processo può essere espresso dalla seguente
relazione:
(h · ν)d = (h · ν)i – Eb – Ec
dove (h · ν)d è l’energia del fotone diffuso, (h · ν)i è l’energia del fotone
incidente, Eb l’energia di legame dell’elettrone nell’orbitale e Ec l’energia
cinetica dell’elettrone espulso.
Il fotone diffuso può subire ulteriori diffusioni Compton, fino a perdere
gran parte della propria energia e quindi scomparire per effetto
fotoelettrico. Si può quindi produrre quella che prende il nome di cascata
elettromagnetica: un unico fotone incidente produce uno sciame di fotoni
ed elettrone che si allarga penetrando nel materiale più o meno
profondamente.
APPENDICE B
Interazioni tra particelle e materia
105
Produzione di coppie
Se un fotone incidente ha sufficiente energia da poter superare l’interazione
con la nuvola elettronica e giungere al nucleo, può, interagendo con il
campo delle forze nucleari, materializzarsi dando luogo ad un elettrone ed
un positrone.
Figura B.5 – Produzione di coppie
Questo fenomeno si può verificare quando l’energia del fotone incidente è
superiore a 1.022 MeV, che corrisponde all’energia equivalente alla somma
della massa di un elettrone e di un positrone. Si tratta quindi di un processo
“a soglia”.
APPENDICE C
Questionario per abitazione
106
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II
Dipartimento di Scienze Fisiche
Misura della concentrazione
di radon e della dose gamma nelle abitazioni
Codice abitazione
Anno in cui sono fatte le misure di radon
|__||__||__||__|
Questionario abitazione
1. Nome e Cognome di chi compila il questionario
2. Data compilazione questionario |__| |__| |__||__| |__||__||__||__|
g g m m a a a a
Note informative
In caso di inconvenienti o di maggiori chiarimenti contattare il Prof. Raffaele Ortenzia tel:
Il rivelatore è costituito da materiale plastico assolutamente innocuo e non contiene materiale tossico e radioattivo. Al
fine di portare a buon fine la misura, il rivelatore non deve essere né aperto né manomesso.
La misura della concentrazione di radon nelle case prevede la compilazione del presente questionario informativo, che
verrà utilizzato unicamente per gli scopi connessi con la misura stessa.
APPENDICE C
Questionario per abitazione
107
I dati personali, le informazioni contenute nel questionario ed i dati connessi alla misura saranno conservati rispettando
tutte le norme ai sensi delle leggi 675/1996 e 196/2003.
APPENDICE C
Questionario per abitazione
108
Sez. A - DATI GENERALI
A1. Dislocazione dell’abitazione
1 = isolata
2 = centro abitato
A2. Indirizzo completo dell’abitazione
Via_______________________________
Palazzina________ Scala_______ Interno______ Piano________
Comune _______________________________________________
Località o Frazione ______________________________________
CAP __________________ Prov________________________ Nel caso abitazione su più piani indicare quello della porta di ingresso
Sez. B - DATI RELATIVI ALL’EDIFICIO
B1. Tipologia edificio
1 = casa/villetta unifamiliare
2 = casa unifamiliare attaccata ad altre a schiera
3 = casa/villetta bifamiliare (un appartamento accanto all’altro)
4 = casa/villetta bifamiliare (un appartamento sopra l’altro)
5 = palazzina con pochi appartamenti (meno di 10)
6 = grande edificio con molti appartamenti (10 o più)
8 = altro _______________________
9 = non so
B2. Numero di scale nell’edificio (in caso di palazzina o grande edificio)
1 = 1 scala
2 = 2 scale
3 = 3 o più
9 = non so
B3. Numero di piani dell’edificio Nel conteggio dei piani non inserire il piano terra o il piano rialzato, nonché
eventuali piani seminterrati o interrati. Se l’edificio ha solo il piano terra ed
eventuali seminterrati codificare con 0.
B4. In quale periodo è stato costruito l’edificio?
1 = prima del 1870 4 = dal 1946 al 1960
2 = dal 1871 al 1918 5 = dopo il 1960
3 = dal 1919 al 1945 9 = non so
B5. Una o più pareti del piano terra e dei piani
superiori sono a diretto contatto col terreno? (Aiutasi con il disegno. N.B. Gli edifici che hanno anche
poco spazio tra le pareti esterne ed il terreno o roccia non
vanno considerati a diretto contatto).
1 = no
APPENDICE C
Questionario per abitazione
109
2 = si
B6. Ci sono locali seminterrati o sotterranei?
1 = no 4 = sì (entrambi, uno sotto l’altro)
2 = sì (seminterrato) 9 = non so
3 = sì (sotterraneo)
B7. Presenza di intercapedini/vespaio?
1 = no
2 = si
9 = non so
B8. Materiali da costruzione:
1 = cemento
2 = elementi prefabbricati
3 = laterizi
4 = pietra
5 = altro__________________________________
APPENDICE C
Questionario per abitazione
110
Sez. C – DATI SULL’ABITAZIONE C1. Qual è il piano dell’abitazione (o il piano più basso, se l’abitazione ha più piani)?
T = piano terra S = seminterrato
R = rialzato ST = sotterraneo
n. del piano = _______
C2. Su quanti piani si estende l’abitazione? (Includere tutti i piani contigui e collegati tra loro da scale interne all’abitazione, anche se normalmente non
abitati, quali cantina o garage: es. ST,T,1)
n.___________________
C3. C’è un impianto di riscaldamento?
1 = no 8 = altro (stufette, etc)_______________________
2 = sì, centralizzato 9 = non so 3 = sì, autonomo
C4. Tipo di combustibile:
1 = legna 5 = carbone
2 = gas 6 = gasolio
3 = metano 7 = altro______________
4 = kerosene 9 = non so
C5. Tipo di riscaldamento:
1 = radiatori
2 = termo/ventil convettori
3 = aria condizionata (con ricambio)
4 = aria condizionata (senza ricambio)
5 = a pavimento
C6. Fornitura d’acqua:
1 = pozzo
2 = acquedotto (diretto)
3 = acquedotto (cassone)
4 = altro_______________________________
9 = non so
APPENDICE C
Questionario per abitazione
111
Sez. D – DATI SUI LOCALI RIVELATORI (LN = locale notte; LG = locale giorno)
D1. Di che tipo sono i locali rivelatori: LN______ LG______ 1 = monolocale
2 = stanza letto
3 = soggiorno/salone/tinello/studio
4 = cucina abitabile
5 = cucina
8 = altro (es. corridoi, etc.)
D2. A quale piano sono situati i locali rivelatori ? LN______ LG______ T = piano terra
R = piano rialzato
S = seminterrato
ST = sotterraneo
1°piano, 2° piano, 3°piano, ecc.ecc.
D3. Stato di tenuta delle aperture verso l’esterno: LN_____ LG______ 1= mediocre/scarso
2 = medio
3 = buono
4 = assenza di aperture
9 = non so
D4. La porta di comunicazione tra il locale ed il resto dell’abitazione: LN______ LG______ 1= abitualmente aperta
2 = abitualmente chiusa
9 = non so
D5. Una o più pareti (non il pavimento) dei locali rivelatori sono a contatto con il
terreno/roccia? LN______ LG______ 1= no 4 = 3 pareti
2 = si, 1 parete 5 = 4 pareti
3 = si, 2 pareti 9 = non so
D6. Cosa c’è sotto il pavimento dei locali rivelatori: LN______ LG______ 1= ci sono altri locali (inclusi garage e cantina) 4 = vespaio aperto
2 = terreno o roccia 5 = altro__________
3 = vespaio chiuso 9 = non so
D7. Presenza di un camino nei locali rivelatori: LN______ LG______ 1= no
2 = si
D8. Tipologia del rivestimento delle pareti dei locali rivelatori: LN______ LG______ (in caso di diversi rivestimenti riportare quello nettamente prevalente)
1= intonaco 5 = legno
2 = piastrelle 6 = carta da parati
3 = marmo 7 = altro_______________
APPENDICE C
Questionario per abitazione
112
4 = pietra 9 = non so
D9. Tipologia del rivestimento del pavimento dei locali rivelatori: LN______ LG______ (in caso di diversi rivestimenti riportare quello nettamente prevalente)
1= cemento 5 = legno
2 = mattone 6 = piastrelle
3 = pietra 7 = linoleum
4 = marmo 8 = altro__________
9 = non so
D10. Aerazione dei locali rivelatori: - periodo invernale: LN______ LG______
1= meno di 30 minuti al giorno
2 = più di 30 minuti al giorno
- periodo estivo: LN______ LG______ 1= prevalentemente diurna
2 = prevalentemente serale e diurna
3 = continua nelle 24 ore
APPENDICE C
Questionario per abitazione
113
Sez. E – DATI SUI RIVELATORI - Primo semestre
E1. Codice rivelatori Rn: LN______ LG______
E2. Codici dosimetri gamma ________________________
E3. Data posizionamento dei rivelatori I semestre
rivelatori Rn: LN |__| |__| |__||__| |__||__||__||__|
g g m m a a a a
LG |__| |__| |__||__| |__||__||__||__|
g g m m a a a a
dosimetro gamma: |__| |__| |__||__| |__||__||__||__|
g g m m a a a a
E4. Luogo posizionamento dei rivelatori Rn: LN______ LG______ 1 = sull’armadio 4 = sul comò
2 = su una mensola 5 = altrove_________
3 = sulla libreria
E5. Luogo posizionamento dei dosimetri gamma: 1 = sull’armadio 4 = sul comò
2 = su una mensola 5 = altrove_________
3 = sulla libreria
E6. Data ritiro dei rivelatori I semestre:
rivelatori Rn: LN |__| |__| |__||__| |__||__||__||__|
g g m m a a a a
LG |__| |__| |__||__| |__||__||__||__|
g g m m a a a a
dosimetro gamma: |__| |__| |__||__| |__||__||__||__|
g g m m a a a a
APPENDICE C
Questionario per abitazione
114
Sez. F – DATI SUI RIVELATORI – Secondo semestre
F1. Codice rivelatori Rn: LN______ LG______
F2. Data posizionamento dei rivelatori II semestre:
rivelatori Rn: LN |__| |__| |__||__| |__||__||__||__|
g g m m a a a a
LG |__| |__| |__||__| |__||__||__||__|
g g m m a a a a
F3. Luogo posizionamento dei rivelatori Rn: LN______ LG______ 1 = sull’armadio 4 = sul comò
2 = su una mensola 5 = altrove_________
3 = sulla libreria
F4. Data ritiro dei rivelatori II semestre:
rivelatori Rn: LN |__| |__| |__||__| |__||__||__||__|
g g m m a a a a
LG |__| |__| |__||__| |__||__||__||__|
g g m m a a a a
APPENDICE D
Risultati delle letture
115
Risultati delle letture dei TLD
lettura TLD(nC) nC ore (h) mGy nGy/h
cod. ab.* TLD1 TLD2 media Esposizone dose dose
001 5,7 5,7 5,7 4464 1,3 298
002 6,1 6,4 6,3 4344 1,5 336
003 6,5 6,3 6,4 3936 1,5 376
004 4,7 4,8 4,7 4464 1,1 247
005 6,5 6,6 6,5 4440 1,5 342
006 5,9 6,4 6,1 4416 1,4 322
007 5,8 5,2 5,5 4488 1,3 286
008 8,0 7,7 7,9 4440 1,8 412
009 6,1 6,1 6,1 4440 1,4 319
010 5,6 5,8 5,7 4440 1,3 298
011 5,3 5,4 5,4 4320 1,2 289
012 8,4 9,9 9,1 4344 2,1 489
013 6,0 6,8 6,4 4488 1,5 332
016 6,8 7,3 7,1 4464 1,6 368
017 5,8 5,3 5,5 4440 1,3 290
018 6,2 6,1 6,2 3144 1,4 456
019 7,1 6,9 7,0 8904 1,6 183
021 8,1 7,8 8,0 4416 1,9 421
022 5,4 5,7 5,6 4344 1,3 297
023 6,3 6,7 6,5 4416 1,5 340
024 3,2 3,6 3,4 4464 0,8 177
027 4,1 4,2 4,1 4416 1,0 217
028 7,4 7,9 7,7 4464 1,8 399
029 5,6 6,0 5,8 4416 1,3 305
030 6,2 6,0 6,1 3768 1,4 374
031 6,0 5,7 5,9 4056 1,4 337
032 6,0 5,8 5,9 4488 1,4 306
033 6,0 6,1 6,1 4320 1,4 326
034 6,7 7,1 6,9 4392 1,6 364
035 7,9 7,3 7,6 4200 1,8 421
036 9,1 9,1 9,1 4488 2,1 469
APPENDICE D
Risultati delle letture
116
037 8,5 9,2 8,8 3744 2,1 549
038 4,3 4,2 4,2 4416 1,0 224
039 5,5 5,9 5,7 3984 1,3 334
040 5,0 5,9 5,5 4296 1,3 296
042 4,9 4,7 4,8 4440 1,1 252
043 7,7 7,6 7,7 4152 1,8 428
044 6,0 6,5 6,3 4008 1,5 365
045 5,7 6,0 5,9 4392 1,4 310
046 4,7 5,2 5,0 4248 1,2 272
047 6,6 7,3 6,9 4440 1,6 362
048 5,4 5,2 5,3 4440 1,2 277
049 6,2 6,1 6,2 4368 1,4 327
050 6,1 6,2 6,2 4440 1,4 322
052 6,0 6,1 6,1 4488 1,4 315
053 4,6 4,3 4,5 4440 1,0 234
054 7,4 7,7 7,5 4344 1,8 404
055 5,3 5,7 5,5 4440 1,3 287
056 8,8 8,4 8,6 4440 2,0 450
057 7,3 6,6 7,0 4392 1,6 368
059 4,5 4,5 4,5 4392 1,0 238
060 8,7 8,9 8,8 3864 2,0 528
061 8,1 6,9 7,5 4320 1,7 402
062 6,5 6,4 6,4 3744 1,5 400
064 4,2 3,1 3,6 4440 0,8 190
065 5,2 6,2 5,7 4464 1,3 296
066 7,7 6,4 7,1 4056 1,6 405
067 6,9 7,0 7,0 4320 1,6 374
068 8,0 8,1 8,0 4464 1,9 419
069 5,6 6,2 5,9 4464 1,4 305
070 5,4 6,3 5,9 4512 1,4 303
071 8,0 8,0 8,0 4080 1,9 456
072 4,1 5,1 4,6 4416 1,1 243
073 9,6 9,3 9,4 4128 2,2 531
074 6,3 7,5 6,9 4440 1,6 361
075 6,6 6,6 6,6 3144 1,5 490
076 6,2 6,8 6,5 4248 1,5 354
APPENDICE D
Risultati delle letture
117
078 4,9 4,4 4,7 4416 1,1 246
079 6,3 7,5 6,9 3840 1,6 418
081 6,4 6,6 6,5 3864 1,5 391
083 4,2 4,0 4,1 3936 1,0 243
084 6,0 6,0 6,0 3888 1,4 361
085 7,9 7,7 7,8 3864 1,8 470
086 6,5 6,4 6,5 3672 1,5 410
087 7,0 8,3 7,7 3768 1,8 473
088 5,1 5,7 5,4 3864 1,3 325
089 8,7 7,5 8,1 3864 1,9 484
090 6,6 7,0 6,8 3816 1,6 413
091 8,7 7,7 8,2 3816 1,9 500
092 6,2 6,7 6,5 3888 1,5 388
093 5,6 5,9 5,7 2160 1,3 618
* Non sono state inserite in tabella le case in cui sono andati persi i
dosimetri.
APPENDICE D
Risultati delle letture
118
Correzione per i gamma outdoor
km
nGy/h nGy/h nGy/h
alt. (km) Cod. ab. * Dose media ab. CEout
Gamma indoor
Materiale da costruzione Cod. piano Anno di costruzione
0,090 1 298 31,087 273 Cemento 2 dal 1919 al 1960
0,067 2 336 31,003 311 Mattoni 3 fino al 1918
0,090 3 376 31,087 352 Pietra 3 fino al 1918
0,111 4 247 31,170 222 Cemento 3 dopo il 1960
0,121 5 342 31,212 317 Pietra 1 non so
0,067 6 322 31,003 297 Cemento 1 dopo il 1960
0,111 7 286 31,170 261 Cemento 3 dopo il 1960
0,067 8 412 31,003 387 Tufo 1 fino al 1918
0,090 9 319 31,087 294 Cemento 3 dal 1919 al 1960
0,111 10 298 31,170 273 Cemento 2 dopo il 1960
0,096 11 289 31,110 264 Cemento 3 dopo il 1960
0,096 12 489 31,110 464 Tufo 3 non so
0,121 16 368 31,212 343 Cemento 2 dopo il 1960
0,090 17 290 31,087 265 Cemento 1 dopo il 1960
0,090 18 456 31,087 431 Cemento 3 dopo il 1960
0,111 19 183 31,170 158 Cemento 3
0,067 21 421 31,003 396 Tufo 1
0,067 22 297 31,003 272 Cemento 3 dopo il 1960
APPENDICE D
Risultati delle letture
119
0,096 23 340 31,110 315 Cemento 3 dopo il 1960
0,121 24 177 31,212 152 Cemento 3 dopo il 1960
0,096 27 217 31,110 192 Cemento 2 dopo il 1960
0,090 28 399 31,087 374 Pietra 2 fino al 1918
0,067 29 305 31,003 280 Cemento 2 dopo il 1960
0,096 30 374 31,110 349 Cemento 1 dal 1919 al 1960
0,111 31 337 31,170 312 Cemento 2 dal 1919 al 1960
0,111 33 326 31,170 301 Cemento 3 dal 1919 al 1960
0,067 34 364 31,003 339 Tufo 2 dal 1919 al 1960
0,141 35 421 31,300 396 Pietra 2 fino al 1918
0,050 36 469 30,946 444 Cemento 1 dal 1919 al 1960
0,096 37 549 31,110 525 Pietra 2 fino al 1918
0,050 38 224 30,946 199 Cemento 1 dopo il 1960
0,096 39 334 31,110 309 Cemento 3 dal 1919 al 1960
0,111 40 296 31,170 271 Cemento 3 dopo il 1960
0,096 42 252 31,110 228 Cemento dopo il 1960
0,067 43 428 31,003 404 Pietra 3 fino al 1918
0,050 44 365 30,946 340 Mattoni 3 dal 1919 al 1960
0,096 45 310 31,110 285 Cemento 2 dal 1919 al 1960
0,096 46 272 31,110 247 Cemento 2 dopo il 1960
0,050 47 362 30,946 338 Mattoni 3 fino al 1918
0,067 48 277 31,003 253 Cemento 2 dopo il 1960
0,067 49 327 31,003 303 Cemento 1 dopo il 1960
0,121 50 322 31,212 297 Mattoni 3 non so
0,067 52 315 31,003 290 Cemento 3 dal 1919 al 1960
0,096 53 234 31,110 209 Cemento 3 non so
0,090 54 404 31,087 379 Pietra 3 fino al 1918
0,067 55 287 31,003 262 Cemento 3 dopo il 1960
APPENDICE D
Risultati delle letture
120
0,121 56 450 31,212 425 Cemento 2 non so
0,090 57 368 31,087 343 Cemento 2 dopo il 1960
0,050 59 238 30,946 214 Cemento 3 dal 1919 al 1960
0,121 60 528 31,212 503 3 non so
0,006 61 402 30,816 378 Cemento 3 dopo il 1960
0,050 62 400 30,946 376 Tufo 2 dal 1919 al 1960
0,004 64 190 30,810 165 Cemento 3 dopo il 1960
0,096 65 296 31,110 271 Cemento 2 dopo il 1960
0,050 66 405 30,946 380 Cemento 3 dopo il 1960
0,121 67 374 31,212 349 Cemento 3 dopo il 1960
0,096 68 419 31,110 394 Tufo 2 fino al 1918
0,090 69 305 31,087 280 Cemento 3 dopo il 1960
0,090 70 303 31,087 278 Cemento 2 dopo il 1960
0,111 71 456 31,170 431 Pietra 2 fino al 1918
0,096 72 243 31,110 218 Cemento 3 dopo il 1960
0,121 73 531 31,212 506 Tufo 1 fino al 1918
0,121 74 361 31,212 336 Tufo 2 dopo il 1960
0,050 75 490 30,946 466 Cemento 2
0,111 76 354 31,170 329 Pietra 1 fino al 1918
0,050 78 246 30,946 221 Cemento 3 dopo il 1960
0,096 79 418 31,110 393 Tufo 2 dal 1919 al 1960
0,096 81 391 31,110 366 Cemento 2 dopo il 1960
0,096 83 243 31,110 218 Cemento 1 dopo il 1960
0,090 84 361 31,087 336 Cemento 1 fino al 1918
0,067 85 470 31,003 445 Pietra 2 fino al 1918
0,067 86 410 31,003 385 Cemento 1 dopo il 1960
0,067 87 473 31,003 448 1 dopo il 1960
0,096 88 325 31,110 300 Cemento 3 dopo il 1960
APPENDICE D
Risultati delle letture
121
0,090 89 484 31,087 460 Cemento 2 dopo il 1960
0,090 90 413 31,087 389 Pietra 1 fino al 1918
0,090 91 500 31,087 475 Tufo 3 fino al 1918
0,121 92 388 31,212 363 Cemento 1 dopo il 1960
0,090 93 618 31,087 593 Cemento 1 non so
* Non sono state inserite in tabella le case in cui sono andati persi i dosimetri.
Bibliografia
122
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dicembre 1895 della rivista Sitzungsberichte der Physikalisch-Medizinischen
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