a cura di STEFANO GENERALI eLUCIA FIGLI DELLA NUBE · La nube radioattiva contaminò 145mila...

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di EMANUELA ZUCCALÀ Speciale Cernobyl FIGLI DELLA NUBE Il sole delle undici è freddo e livido, riverbera sulla neve e tortura lo sguardo. Innervosisce più dell’attesa a questo check-point, 15 gradi sotto zero e un funzionario che ripassa all’in- finito passaporti, permessi, targa dell’auto, sco- po della visita. Il mondo è finito parecchi chi- lometri fa, superate le case di Ivankin e Orane, gli ultimi negozi con l’insegna Produkti,gliul- timi autostoppisti con scritto «Kiev» sopra un cartone, l’ultimo camminare lento di gente che gli schiaffi di questo odioso sole vuole pren- derseli tutti, come fossero regali. Poi soltanto neve. Betulle sofferenti. Le stalle dei kolchoz abitate dalle erbacce. Silenzio. Siamo sull’in- gresso della zona morta, a 40 chilometri c’è la centrale di Cernobyl. Vent’anni fa, la notte del 26 aprile, esplodeva il reattore numero 4: il più grave incidente nella storia del nucleare civile. La nube radioattiva contaminò 145mila chilo- metri quadrati tra Ucraina, Bielorussia e Rus- sia, abitati da 10 milioni di persone. Oggi sia- Il 26 aprile 1986 l’incidente che ha segnato la storia del nucleare. Siamo tornati a Cernobyl. Per dire ancora una volta no a cura di STEFANO GENERALI eLUCIA

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di E M A N U E L A Z U C C A L À

SpecialeCernobyl

FIGLI DELLA NUBEIl sole delle undici è freddo e livido, riverbera

sulla neve e tortura lo sguardo. Innervosisce

più dell’attesa a questo check-point, 15 gradi

sotto zero e un funzionario che ripassa all’in-

finito passaporti, permessi, targa dell’auto, sco-

po della visita. Il mondo è finito parecchi chi-

lometri fa, superate le case di Ivankin e Orane,

gli ultimi negozi con l’insegna Produkti, gli ul-

timi autostoppisti con scritto «Kiev» sopra un

cartone, l’ultimo camminare lento di gente che

gli schiaffi di questo odioso sole vuole pren-

derseli tutti, come fossero regali. Poi soltanto

neve. Betulle sofferenti. Le stalle dei kolchoz

abitate dalle erbacce. Silenzio. Siamo sull’in-

gresso della zona morta, a 40 chilometri c’è la

centrale di Cernobyl. Vent’anni fa, la notte del

26 aprile, esplodeva il reattore numero 4: il più

grave incidente nella storia del nucleare civile.

La nube radioattiva contaminò 145mila chilo-

metri quadrati tra Ucraina, Bielorussia e Rus-

sia, abitati da 10 milioni di persone. Oggi sia-

Il 26 aprile 1986 l’incidente che ha segnatola storia del nucleare. Siamo tornati aCernobyl. Per dire ancora una volta no

a cura di STEFANO GENERALI e LUCIA

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OLTRE IL CHECK-POINTAl check-point ci preleva unafunzionaria della centrale. Chie-de di non scrivere il suo nome,deve solo consegnarci ai suoi su-periori. Dopo mezz’ora di stra-da innevata, a velocità sostenu-ta, attraversiamo il paese diCernobyl: gli onnipresenti blocksovietici, qualche casa bassa, ilmonumento ai pompieri gettaticome sabbia sul reattore in fiam-me («A coloro che hanno difesoil mondo» recita la targa), tubiche passano sopra le strade tra-sformandole in sinistri tunnel acielo aperto. Il luogo è stato eva-cuato dopo l’avaria, ma in set-tecento sono tornati: «Non si so-no ambientati altrove» spiega lafunzionaria senza nome. Preci-sando: «Sono tutti anziani», co-me se la vecchiaia in esilio ucci-desse più delle radiazioni. Anco-ra neve e alberi spelacchiati, fi-no alla centrale. Qui possiamo fo-tografare soltanto la facciata delcentro amministrativo e il sar-cofago che ricopre il reattoreesploso. Il resto no. Ma all’usci-ta ci lasceranno soli e potremogirare ovunque, disturbati soloda cani randagi urlanti ma man-sueti. Ed è solo la prima, la piùinnocua, delle incoerenze chepercorrono questo agglomeratodi tralicci, tubi sospesi, costru-zioni incerte, via vai di mezzi e persone strette neicappotti…

LESSICO DA BUROCRATEL’appuntamento con Simeon Michailovich Stein, respon-sabile per l’informazione e la rappresentanza, è in unasala riempita dal modellino della centrale e dalle im-magini di Slavutiã: «La città è stata costruita a 60 chi-lometri da qui, a nordest, per alloggiare i lavoratori»spiega Stein. Quanto alle notizie sullo stato attuale del-lo stabilimento, è difficile riceverne da quest’uomo.Risponde vago alle domande, intervalla silenzi e lessi-co burocratico. Da lui apprendiamo solo che oggi, a re-attori spenti (l’ultimo è stato chiuso nel Duemila), gliimpiegati addetti al controllo del materiale radioatti-vo sono 3.600, che il sarcofago è sotto controllo e i

lavori per la sua messa in sicurezza procedono. E chel’anno scorso sono arrivate 400 delegazioni in visitada tutto il mondo. «Ci vorranno generazioni – aggiun-ge – per chiudere per sempre la centrale e farne unacollina verde. Per ora stiamo costruendo due fabbri-che per la lavorazione del combustibile radioattivo li-quido e solido. In più abbiamo allestito un magazzino perle scorie». Servirà (ma non è Stein a dirlo) per ripu-lire gli 800 siti di rifiuti radioattivi che ancora giac-ciono qui intorno, sotterrati in fretta dopo il disastro.Da Stein al riguardo otteniamo un’ennesima rassicura-zione sul fatto che nessuno, qui, mette in pericolo lasalute: «I livelli di radioattività sono tali da permet-tere di lavorare otto ore al giorno per cinque giorni lasettimana, senza rischi. Si assorbono al massimo due

L’incidente nellacentrale ucrainaha provocatomigliaia di morti e sconvolto lavita di milioni dipersone

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Massimo Tosti Balducci è medicoendocrinologo presso la Asl 9 di Grosseto.Si occupa dal 1995 del monitoraggio dellecondizioni di salute dei bambini ospitati inItalia nell’ambito del progetto diaccoglienza di Legambiente. Quali sono state le conseguenzedel fall-out radioattivo derivatodall’esplosione del 1986? L’effetto immediato del disastro è stata lamorte di vigili del fuoco e dei soldati cheall’indomani dell’incidente furono chiamatia contenere la fuoriuscita delle radiazioni.Sugli effetti a lungo termine invece èprovato scientificamente che la dispersionedei radionuclidi dello iodio ha provocato unmarcato aumento dei tumori alla tiroide,principalmente nei bambini che nel 1986avevano un’età compresa tra zero e cinqueanni. È stato inoltre rilevato un aumento dianticorpi antitiroidei, una sorta di effettoautoimmune chiaramente correlato conCernobyl: si tratterà di vedere negli anni sequesti anticorpi, che alterano la funzionetiroidea, daranno luogo a ulterioripatologie.

Ancora oggi milioni di personevivono nelle zone ad altaradioattività e si alimentano concibi contaminati. Quali effetti puòavere questa esposizione?Fino ad oggi non sono stati chiaramentedimostrati effetti derivati dall’esposizione

prolungata alle radiazioni ionizzanti.Tuttavia la vita in ambiente radioattivocostituisce un innegabile fattore di rischio:l’assunzione di una quantità anche minimadi radiazioni arreca alla salute danni la cuientità oggi non ci è ancora chiara. Aquesto bisogna aggiungere il problema delgenerale abbassamento delle difeseimmunitarie, derivato dalla difficilecondizione psicologica della popolazione.Qualunque patologia si fronteggia meglioquando il paziente non è sottoposto a

stress.Alcuni studiosi tendono aridimensionare gli effetti delleradiazioni sulla vita in territoriocontaminato, appellandosi allecapacità riparatrici della natura.Lei che cosa ne pensa?

Queste capacità sono dimostrate, maentro certi limiti. È necessario un periododi tempo lunghissimo perché questiprocessi avvengano e peraltro nessunogarantisce che le mutazioni tenderanno aricreare un ambiente favorevole alla vitadell’uomo. Inoltre la situazione sanitariadella popolazione non è certo ottimale. Dalmonitoraggio delle condizioni di salute deibambini giunti in Italia con i progetti diLegambiente vediamo come, oltre a unospecifico gruppo di soggetti affetti da

Oleg Voitsekhovich dirige il Dipartimentoper il monitoraggio delle radiazioniambientali all’Istituto idrometeorologicoucraino, l’omologo della nostra Apat, ed ètra gli autori del recente volume Cernobyl,catastrophe and consequences (edizioniSpringer). Lo abbiamo incontrato nel suoufficio, a Kiev, per parlare dei problemirimasti aperti dopo l’esplosione dellacentrale: la radioattività nel suolo e neifiumi, la sicurezza del sarcofago el’eliminazione delle scorie nucleari.Professore, qual è la situazione deiterreni contaminati dall’esplosionedell’86?È molto diversa da vent’anni fa, sebbene ilcesio e lo stronzio, due degli elementiliberati dopo l’avaria, abbiano un periodo didimezzamento di circa trent’anni e civorranno circa tre secoli perché si

estinguano del tutto. Ma la natura ha unagrande capacità di autopurificarsi: neglianni, i radionuclidi penetrano sempre più afondo nel terreno, abbandonando gli stratisuperficiali dove si trovano le radici dellepiante. Quindi le coltivazioni sono semprepiù pulite. Riguardo al cesio, però, la suacapacità di trasferirsi dal suolo alle piantedipende dal tipo di terreno: nei terreniorganici, come alcuni nell’area traBielorussia e Ucraina, sono ancora a rischioil latte, i funghi e i frutti di bosco, ma èpossibile ridurre la contaminazione agricolacon fertilizzanti chimici e tecniche dipurificazione del suolo.Esiste un problema legato aidepositi delle scorie?È il vero problema di oggi, le scorieradioattive interrate dopo l’incidente chepotrebbero essere portate via dall’acqua in

seguito a forti piogge. Bisogna progettareun sistema di drenaggio e soprattuttoindividuare le scorie, per rimuoverle eriallocarle in speciali magazzini. Ci stannolavorando, ma c’è ancora molto da fare.Così come è ancora allo studio un sistemadi ingegneria idraulica per gestire le acquenell’area di Cernobyl, ricca di fiumi e bacinid’acqua: occorre ad esempio ridurrel’evaporazione delle acque contaminatenegli stagni intorno a Cernobyl, con pompedi raffreddamento che evitino, nelle estaticalde, la dispersione di radionuclidinell’ambiente.E il rischio di un cedimento delsarcofago? Lo scenario più catastrofico sarebbe ilcrollo del tetto. Tonnellate di materialeradioattivo si libererebbero nell’ambiente eil livelli di radioattività sarebbero talmenteelevati da impedire qualsiasi azioneimmediata di protezione. Per questobisogna affrettarsi a costruire un nuovosarcofago: ormai è un problema politico edeconomico.Che cosa pensa del fatto che ilsuo paese vorrebbe costruire altre

MA PER LE AUTORITÀ QUI SI PUÒ TORNARE A VIVEREIl responsabile del monitoraggio: «La natura può autopurificarsi. Però se il tetto crollasse la radioattività

«L’EMERGENZA NON È ANCORA FINITA»Abbassamento delle difese immunitarie e danni alla psiche. Parla l’endocrinologo Massimo Tosti

‘Il vero problema oggi sono lescorie interrate. L’acqua potrebbeportarle via

‘Nessuno può garantire che siricrei un ambiente favorevole allavita dell’uomo.

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rem l’anno, secondo gli standard di sicurezza interna-zionali». Non può non tornare in mente che, per il go-verno sovietico, la quantità di radiazioni assorbite dachi spegneva il rogo di Cernobyl era un segreto milita-re.

RICHIESTA D’AIUTOCon un altro funzionario, IrinaKovbiã, raggiungiamo il sarcofagodel reattore numero 4, a meno diun chilometro dagli uffici, nel-l’estremo lembo nord della centra-

le. Un placido scafandro circondato da muri bassi e fi-lo spinato elettrificato, sovrastato da tre immobili gru.Nella piccola costruzione accanto ritroviamo il sarco-fago in miniatura: un soprammobile fra bandiere delmondo e pannelli che raccontano i malanni dell’agoniz-zante coperchio. Irina apre il modellino: un magma difili recisi, materiale fuso, tubi e lamiere simula le fat-tezze del reattore che fu. Compare anche una sala dicomando nella quale si può arrivare: «Basta seguire leprocedure di sicurezza», dice. Spingersi oltre, nel nu-cleo dell’inferno dove rimane sepolto un uomo, il capooperatore Valerij Chodemciuk, è proibito. E sarebbe fol-le: secondo il governo ucraino, il 95% del combustibi-le radioattivo, 200 tonnellate circa, si trova ancora làdentro. Uno studio russo-tedesco del 2002 ribaltava ildato, ma nessuno ha elementi concreti per avvicinarsialla verità. Una sola cosa è certa: «Ci vogliono moltisoldi per rendere sicuro il sarcofago» sospira Irina.Mentre continua a traballare fra un «è tutto sotto con-trollo» e un altro «la comunità internazionale deve aiu-tarci».

DENTRO IL SARCOFAGO

LA CATASTROFE IN 40 SECONDIUn esperimento mal riuscito e tanta leggerezza nelleprocedure.

Così la centrale ha raggiunto il collassoL’ANTEFATTOPer il 25 e 26 aprile viene programmato un espe-rimento sui sistemi elettrici della centrale.L’obiettivo: dimostrare che, nel caso di un abbas-samento di potenza, la turbina sarebbe in gradodi alimentare per inerzia i dispositivi di emergenzae le pompe di raffreddamento. Il 25 aprile, alleore 14.00, i tecnici spengono il sistema diraffreddamento d’emergenza e abbassano lapotenza prima di procedere al test.

26 APRILE 1986, ORE 00,28’Per errore, o forse per la cattiva taratura deglistrumenti, la potenza precipita a 30 Mw termici:insufficienti per far funzionare le pompe di refri-gerazione. Ricorrendo a sistemi manuali, intornoall’una gli operatori stabilizzano il reattore.

ORE 1H 23’, 04” L’esperimento è appena iniziato. Il personaleblocca la valvola d’emergenza, un dispositivoche avrebbe potuto evitare l’incidente. Quattropompe di raffreddamento rallentano, insiemeall’alternatore, e la pressione del vapore cominciaa crescere.

ORE 1H 23’ 10” Viene rimosso manualmente un gruppo dellebarre di controllo per aumentare la potenza. Nelgiro di 20 secondi la reattività del noccioloaumenta, alcune barre ridiscendono automati-camente per limitare la potenza ma non possonopiù compensare l’aumento di reattività.

ORE 1H 23’ 40”L’operatore preme il pulsante AZ-5 (arrestod’urgenza) ma ormai è troppo tardi. Il valore dicriticità è stato superato. Tre secondi doposcatta l’allarme, la temperatura del combusti-bile aumenta. La protezione d’emergenza nonriesce a fermare l’escursione incontrollata delreattore.

ORE 1H 23’ 44”Il reattore raggiunge una potenza 100 voltesuperiore al normale. Il combustibile siframmenta, il nocciolo si distrugge, il combusti-bile interagisce con l’acqua provocando unulteriore aumento della pressione. Avviene unaprima esplosione: il tetto della sala del reattoreviene gravemente danneggiato.

ORE 1H 23’ 47”Una seconda esplosione, forse provocata dallareazione dell’idrogeno con l’aria, rompe i canalidel combustibile. La piastra superiore della cavitàdel reattore, circa 1.000 tonnellate, si solleva.

Simeon MichailovichStein è ilresponsabileinformazione della

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SpecialeCernobyl

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IL NOCCIOLO DEL PROBLEMAUna tecnologia a rischio. E oggi rimane l’incognita del sarcofago indebolito dalle crepe

Il reattore 4 di Cernobyl è protetto da unsarcofago di cemento armato costruitoall’indomani dell’incidente, che a distanzadi vent’anni mostra vistose crepe e causala fuoriuscita di materiali ed acqua radioat-tiva. Per questo è allo studio un involucroad arco che ricoprirà il vecchio sarcofago:avrà un’altezza interna di 92,5 metri eun’ulteriore copertura alta 12 metri. Saràun complesso di 13 archi composti da tubid’acciaio e rivestiti all’interno da policarbo-nato per impedire l’accumularsi di parti-celle radioattive, con un sostegno di muriverticali. La larghezza interna della nuovastruttura misurerà 245 metri, quellaesterna 270. La maggior parte delle componenti delgrande arco verranno assemblate a 180metri dal vecchio sarcofago e poi fattescivolare sopra il reattore: sarà la più

grande struttura mobile mai realizzata.L’ultima fase prevede la demolizione delleparti instabili del vecchio sarcofago, attra-verso un sistema di ponteggi ed elevatori:il materiale verrà frammentato e sotto-posto a un lungo processo di decontami-nazione. Quanto all’eliminazione dellescorie nucleari, manca ancora unastrategia precisa. Sulla carta, l’ambiziosoprogetto è stato definito nel febbraio del2004 e approvato in marzo dal governoucraino. La posa delle fondamenta,prevista per questo mese, di certo slitteràper la carenza di finanziamenti. La Banca europea per la ricostruzione e losviluppo, che sta raccogliendo i fondi perla messa in sicurezza della centrale diCernobyl, prevede che la costruzionedell’arco sarà terminata nel 2010 e per unsecolo garantirà l’isolamento dei materiali radioattivi.

DENTRO IL REATTORE

1 Pompa direfrigerazione principale

2 Supporto metallico

3 Tubi acqua

4 Barre dicontrollo

5 Struttura metallica superiore

6 Collettore di vapore

7 Tubi di vapore ed acqua

8 Livello superiore al nocciolo

9 Piscina di decadimento

10 Sistema di carico e scarico barre

11 Copertura metallica

2 le esplosioni consequenziali la notte del 26 aprile 1986 al reattore della quarta

unità di Cernobyl

10 i giorni necessari

per spegnere gli incendi

180 le tonnellate dicombustibile

che si stima siano ancoraall’interno del reattore

1.000 i metri quadrati di crepe

sul sarcofago

5.000 tonnellate di sabbia, boro,piombo e fosfati versati

sulle macerie

150.000 i chilometri quadrati di

territorio ancoracontaminato

11 miliardi di miliardi

la radioattivà in Bequerelrilasciata nelle esplosioni,

30 miliardi di volte

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È l’insondabile contraddizione diCernobyl: vent’anni hanno cancel-lato questo ancora crepitante gru-mo di morte dall’elenco delle emer-genze globali. Eppure il sarcofagod’acciaio e cemento, costruito su-bito dopo l’avaria in condizioni di al-tissima radioattività (gli elicotterigettavano le coperture dall’alto e irobot radiocomandati andavano pre-sto in tilt), oggi è solcato da 100metri quadri di crepe che sputanopolveri radioattive. La pioggia vipenetra in 2.200 metri cubi l’annoe, insieme ai 1.650 dell’acqua dicondensa, può avvelenare la terrae le falde acquifere. Il muro occi-dentale è inclinato di 50 centimetri;il tetto è malfermo, come ci ha con-fermato anche lo scienziato ucrai-no Oleg Voitsekhovich nell’intervi-sta che riportiamo in questo servi-zio (vedi pag.41). Se il “pieded’elefante” – un’imponente stalag-mite di uranio, plutonio e altri ele-menti radioattivi – si sbriciolassee crollasse, la deflagrazione supe-rerebbe quella dell’86. Questa è zo-na sismica. Nulla è al sicuro qui. Lacostruzione di una nuova protezio-ne era prevista per il 2008, ma poiè stata rimandata al 2010 dalloShelter implementation plan (Sip):un programma europeo, statuniten-se e ucraino sposato dal G7 nove an-

ni fa. Un avveniristico arco d’acciaio ingloberà ilsarcofago isolandone il contenuto per un secolo.Doveva costare 768 milioni di euro, ora il pre-ventivo è lievitato a un miliardo: finora il Cer-nobyl shelter fund (costituito nel ’97 presso laBanca europea per la ricostruzione e lo sviluppo)ha raccolto 650 milioni, con l’ultima tranche ar-rivata nel maggio 2005 dall’Unione Europea, chein tutto ha donato 239,5 milioni. Il ministro ucrai-no per le Emergenze, Viktor Baloga, non perde oc-casione per battere cassa: solo la riparazione del-la ciminiera di ventilazione è costata 2,25 milio-ni di dollari. L’anno scorso, per la prima volta,anche la Russia si è impegnata a contribuire. Maprocedendo a colpi di protocolli e intese, a partequalche lavoro di manutenzione, è stato realiz-zato solo un grottesco edificio blu che ospiterà1.430 addetti alla costruzione del nuovo sarco-fago.

RITORNO A PRJPIAT

LATRAGEDIA IN NUMERI

4 i piloti di elicottero che morirono in volosopra la centrale

6 i pompieriintervenuti per spegnerel’incendio

e morti pochi giornidopo

24 i dipendenti della

centrale morti tra il26 aprile e il 31

luglio

31 i liquidatori mortipoco tempo dopol’intervento alla

centrale

1.800 i casi di cancro alla tiroide in

bambini tra 0 e 14 anni

50.000 gli abitanti di Prjpiat mai rientrati nelle

proprie case

130.000 gli abitanti dei 76

villaggi evacuati nelraggio di 30

chilometri dallacentrale

1,5 milioni le persone che

Prjpiat è una cittàfantasma a pochichilometri da Cernobyl,evacuata 36 oredopo l’incidente

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M I K A I L E G A L I A • Dal 26 aprile del 1986

una vasta area attorno alla centrale nucleare di Cer-

nobyl è tristemente famosa come la “zona morta” o

“zona d’esclusione”. Sono i trenta chilometri più ra-

dioattivi della Terra, un vero e proprio inferno, fat-

to di cittadine abbandonate e villaggi sovietici ancora

in piedi, dove spuntano sbiaditi qua e là i vecchi sim-

boli del regime comunista.

Nonostante il pericolo, in molti sono tornati a vivere

nei villaggi evacuati, in fuga dalla miseria che regna

nei sobborghi di Minsk, la capitale bielorussa. Per chi

è tornato l’esistenza è dura. È una vita di solitudine,

di figli e nipoti lontani, di amici che se ne sono andati.

Le abitazioni sono prive di acqua corrente, di servizi

igienici e spesso di corrente elettrica e durante il lungo

inverno sono frequentemente isolate, tagliate fuori dal

resto del mondo. Mikail e sua moglie Galia vivono in

un villaggio sperduto nella “zona morta” del quale

ormai si è persa anche la memoria del nome. «Poco

alla volta se ne sono andati tutti – dicono – Anche noi

eravamo andati via, a vivere con nostra figlia a Grodno,

in un block della periferia, ma poi non abbiamo

resistito. Siamo abituati alla campagna, al nostro

villaggio, alla nostra casa. Amiamo questa terra. Anche

Vivono in un villaggio nella zona morta, del quale si è persa memoria. «Se ne sono andati tutti ma noi amiamo questa terra. Anche se con-

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si è posto l’obiettivo di pervenire entro il 2030 a unprototipo di reattore in grado di tentare la sfida dellasicurezza e, quindi, dell’accettabilità sociale? Certo, ildibattito sulla scelta nucleare si è indubbiamente ria-perto. Ma i dati di cui disponiamo confermano e dannoanzi maggior forza agli argomenti che proponevamo,con rigore, nel confronto degli anni Ottanta. Vediamoper punti.

FONTE IN DECLINO Ben lontano da quel 15% che, prima di Cernobyl, stu-

di di fondazioni e fonti governativegli accreditavano, il nucleare è pas-sato dal 4,5% (1985) al 6,4%(2003) del fabbisogno mondiale dienergia in termini di fonti primarie.Gli ordinativi di reattori nucleari daparte delle società private che ope-rano nell’elettrico sono fermi dal1978 (!) negli Stati Uniti ma anchein Germania e nella stessa Francia(quello previsto per il 2010 è unprototipo ancora di terza generazio-ne). E non è davvero il recente pro-tagonismo della Finlandia, o la “re-sistenza” di paesi come Giappone eCorea del Sud, che può alterare ilquadro di uno stop di fatto al nuclea-re. Anzi: nel 2001 era la stessaAgenzia internazionale dell’energiaatomica (Aiea) a prevedere che ilritmo del 2000 (solo il 3% della nuo-va potenza elettrica entrata in eser-cizio proveniva da centrali nucleari)si sarebbe mantenuto simile nelprossimo futuro indicando, quindi, undeclino per tutto il decennio. Ma chivolesse rilanciare il nucleare per farfronte all’effetto serra, come da va-rie parti si continua a invocare, do-vrebbe fare i conti con le riserve diU235: l’uranio altamente radioattivoche, al ritmo di consumo attuale, ba-sta per qualche decennio. Se la ri-chiesta crescesse, si riproporrebbeuna situazione del tutto simile a quel-la della “guerra per il petrolio”.

SICUREZZA E TECNOLOGIA Proprio l’anno prima dell’incidentedi Cernobyl furono due conferenzeinternazionali dell’Aiea (a Roma eColumbus) a confermare un rischio

di GIANNI MATTIOLI e MASSIMO SCALIA

Avent’anni dalla tragedia di Cernobyl valgonoancora le ragioni che motivarono il movimen-to antinucleare e Legambiente a una lunga, evincente, battaglia contro il nucleare con il re-ferendum dell’87? Sgombriamo il campo, in-

nanzitutto, dai luoghi comuni e dalle chiacchiere che han-no caratterizzato gli atteggiamenti del governo Berlu-sconi. Se il governo era così convinto della necessità ditornare al nucleare, perché in questi cinque anni non hachiesto di far parte del consorzio Generation IV, che si

I NOSTRI CINQUE NO ALL’ATOMOL’attualità della scelta antinucleare secondo due protagonisti delle politiche energeticheitaliane

SCORIE DA INCUBOMolte barre di combustibile irraggiatogiacciono ancora nelle piscine dei “mostri”nucleari costruiti in Italia dagli anniSessanta in poi. Mentre i rifiuti radioattiviaspettano una sistemazione più sicura diquella attuale negli oltre 100 depositi“temporanei” che li ospitano ormai daqualche decennio. Si presenta così oggi lascottante eredità radioattiva, lasciata dallaventennale stagione dell’atomo italianoconclusasi col referendum del novembre1987. I numeri in gioco non sono propriotrascurabili. Stando a quanto riportatodall’Apat nell’Annuario dei dati ambientali2004 il volume dei rifiuti radioattivi in Italia ammonta a 26.137 m3, con un’attività pari a oltre7,2 milioni di miliardi di Becquerel (Bq). Sono invece le circa 250 tonnellate di combustibileirraggiato a presentare oltre il 99% della radioattività presente in tutta Italia, con oltre 2,1miliardi di miliardi di Bq. A queste vanno sommate le scorie che ancora oggi si producono inItalia per attività di ricerca, nell’industria o nella medicina (circa 1.500 m3 all’anno) e quelle chesi produrranno con lo smantellamento delle quattro centrali nucleari e dei cinque impianti delciclo del combustibile (le stime parlano di altri 80-90mila m3). Una montagna di rifiuti a bassa, media e alta attività che necessitano da tempo di un sicurosito di smaltimento definitivo e che il governo Berlusconi, insieme alla Sogin, alla fine del 2003volevano frettolosamente sistemare nell’ex miniera di salgemma a Scanzano Ionico, inBasilicata. Sbagliando sia nel merito (il sito non è stato studiato con rilievi sul campo ma soloattraverso indagini bibliografiche), sia nel metodo (non furono coinvolti né gli enti locali né icittadini). E creando un pericoloso precedente anche per la realizzazione del necessario sito dismaltimento definitivo delle scorie meno pericolose e longeve, come quelle di prima e secondacategoria.E quelle di terza categoria? Per ora il governo ha deciso di inviare le barre di combustibileall’estero per le onerose operazioni di reprocessing, senza risolvere il problema visto che lescorie torneranno in Italia vetrificate con tutto il loro carico di radioattività. I rifiuti ad altaattività, invece, dovrebbero essere smaltiti in un paese che continua a produrre energiaelettrica dal nucleare. Lo prevedono del resto anche la proposta di direttiva, la Com/2003/32,in discussione in sede europea e la stessa Convenzione comune sulla sicurezza della gestionedel combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, ratificata dall’Italia l’8 gennaio 2006. Si

TOTALE DELLE CENTRALI IN EUROPA287

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SpecialeCernobyl

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ASSEDIO NUCLEAREMOLTE LE CENTRALI IN EUROPA. A RISCHIO,NON SOLO NELL’EST

BWRPWRWWERCANDU/PHWRFBRRBMKGCR/AGR

DISMESSOIN COSTRUZIONE

Russia

LEGENDA

LA TIPOLOGIA DEI REATTORIB W R (Boiling water reactor).I reattori ad acquabollente sono i più comuni nel mondo. In Italia sial’impianto di Caorso che quelli mai terminati diMontalto di Castro e Trino Vercellese 2 erano diquesto tipo.

P W R (Pressurized light water reactors). Si tratta diimpianti ad acqua leggera in pressione, consentonodi ridurre la quantità di acqua radioattiva incircolazione e di evitare l’uso di vapore contaminato.

W W E R (Water water power reactor). Reattore adacqua leggera in pressione. È una variante dei Pwr,progettato in Unione Sovietica, ma permette direalizzare centrali più grandi (fino a 1.500 Mwelettrici per singolo reattore).

C A N D U / P H W R (Canada deuterium uraniumreactor). Reattori ad acqua pesante, sviluppati inCanada. Tra il 1997 e il 1998 il governo canadese hachiuso 22 dei propri impianti, uno solo dei qualiriattivato.

F B R (Fast breeder reactors). Sono i cosiddetti“autofertilizzanti”, poiché permettono di estrarrepiù plutonio di quanto ne consumino. Per moderare ineutroni si ricorre al sodio liquido, con gli annessiproblemi di sicurezza.

R B M K (Reaktor bol’shoi moshchnosty kanal’nyi).Reattori di fabbricazione sovietica ad acqua bollente,moderati a grafite. È di questo tipo il reattoreesploso nella centrale di Cernobyl, in Ucraina, nel1986.

Argentina 3

Armenia 2

Brasile 2

Bulgaria 8

Canada 2 5

Cina / Taiwan 2 0

Corea 2 0

Federazione Russa

4 0

Giappone 6 0

India 2 3

Iran 1

Kazakhstan 1

Messico 2

Pakistan 3

Romania 2

Sudafrica 2

Svizzera 5

Ucraina 2 1

Ungheria 4

Usa 0 50 100 150

OPERATI-DISMESSIIN COSTRU-

LEGENDA

Totale sul pia-

neta: 5 8 0

Sono venticinque ireattori in costruzionenel mondo: tra i paesipiù dinamici c'è laRussia, che ha inprogramma quattronuovi impianti, la Cinache ne prevede cinque el'India, che ha datol'avvio a otto nuoviprogetti. Nei paesi più"nuclearizzati" invece,

NEL RESTO DEL MONDO

Impianti nel continenteeuropeo: 287Impianti nell’UE: 209

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«residuo» di incidente catastrofico anche per i reat-tori di tipo occidentale. Il gran parlare di «sicurezzaintrinseca» a cavallo degli anni ’80-’90, si è risoltoin un flatus vocis. Vari progetti europei, in particola-re francesi e tedeschi, che in nome di una maggior si-curezza hanno riscosso l’attenzione del dibattito tec-nico-scientifico negli anni Novanta, sono rimasti neicassetti. La fissione nucleare è più vecchia del transi-stor: chi si sognerebbe di riproporlo oggi, nell’era dei microchip? Per di più non c’è stata alcuna significati-

va innovazione e la tecnologia è ferma alla terza gene-razione, cioè agli anni Settanta.

NON SOLO IRANNessuna delle tecnologie nucleari per la produzione dielettricità è esente dal rischio di proliferare armi ato-miche. Questa è la conclusione cui è pervenuto nel 1980,dopo tre anni di lavoro, l’Infce: la commissione ad hocvoluta dal presidente americano Jimmy Carter. Stri-dente, per chi vuole il nucleare, la contraddizione trala diffusione del suo mercato e gli “interdetti” con cuisi tenta di impedire la proliferazione: l’Iran di Ahma-dinejad è solo l’ultimo caso.

I COSTI DELLO SMALTIMENTOLa radioattività pone, a oltre un secolo dalla scopertadi Becquerel, problemi irrisolti. Mettiamo da parte laquestione dei rilasci radioattivi di un impianto nuclea-re in condizioni di routine, che non riguarda più il no-stro paese. E mettiamo da parte il famigerato decreto“Scanzano”: uno dei punti più bassi toccati dal gover-no Berlusconi. Il fatto è che la possibilità di “ridurrea ragione” i frammenti di fissione, cioè le scorie piùpericolose con tempi di dimezzamento che vanno al dilà di definizioni operative (per il Cs135, ad esempio, so-no 2,3 milioni di anni), è oggetto di ricerca dai primianni ’90. L’idea è quella dell’“incinerazione”, che pre-vede di bombardare i radionuclidi con i neutroni otte-nuti per “spallazione” da un bersaglio colpito da par-ticelle (protoni) accelerate ad alte velocità attraver-so una macchina acceleratrice (Accelerator driven sy-stem). Oppure di puntare un laser sul target e di uti-lizzare i raggi gamma che vengono generati per colpi-re il radionuclide. Progetti di questo tipo sono stati va-rati da tempo nell’Ue, negli Usa e in Giappone. Il livel-lo di organizzazione e di tecnologia richiesti comportaspese da un miliardo e mezzo di euro. Come si possanodefinire dei costi del Kilowattora quando non è ancorachiusa una parte del ciclo, anzi è oggetto di una ricer-ca i cui esiti sono tutt’altro che scontati è, forse, que-stione per palati fini. Ma anche accettando il costo delKwh nucleare, stimato al 2010 dal Department of ener-gy degli Stati Uniti come inclusivo dei costi di confina-mento delle scorie, siamo sui 6,1 cent di euro. Cioè uncosto maggiore non solo del Kwh ottenuto bruciando gas

CRONOLOGIA DEL RISCHIO I principali incidenti nucleari nel mondoLa gravità degli eventi è indicata con il sistema di classificazione Ines(International nuclear event scale) che va da 0 (semplice guasto) a 7(incidente molto grave).

7 OTTOBRE 1957 SELLAFIELD (GRAN BRETAGNA)Ines 5. Nel complesso nucleare di Windscale, dove si produce plutonio perscopi militari, un incendio nel nocciolo di un reattore a gas-grafite causa ladispersione di materiale radioattivo su un’area di 300 km quadrati e generaun’imponente nube radioattiva. I principali materiali rilasciati sono gliisotopi di xenon, iodio, cesio e polonio. I dati ufficiali parlano di 300 mortiper cause ricondotte all’incidente (malattie, leucemie, tumori).

28 MARZO 1979 THREE MILE ISLAND (USA) Ines 5. Il surriscaldamento del nocciolo di un reattore, a seguito dellarottura di una pompa nell’impianto di raffreddamento, provoca la parzialefusione del nucleo. A seguito dell’incidente vengono rilasciati nell’atmosferagas radioattivi pari a 15.000 Terabequerel (Tbq). Vengono evacuate dallearee prossime all’impianto oltre 3.500 persone.

26 APRILE 1986 CERNOBYL (UCRAINA)Ines 7. L’incidente nucleare in assoluto più grave di cui si abbia notizia. Il

surriscaldamento provoca la fusione del nucleo del reattore e l’esplosione delvapore radioattivo che sotto forma di una nube si disperde nell’aria, dallaScandinavia all’Italia. Non esistono dati ufficiali definitivi sui decessicomplessivamente ricollegabili al disastro.30 SETTEMBRE 1999 TOKAIMURA (GIAPPONE) Ines 4. Un incidente in una fabbrica di combustibile nucleare attiva unareazione a catena incontrollata, causa del più grave incidente nella storia

A destra, lacentrale di ThreeMile Island,Pennsylvania

SEGUE D A PAG.46

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CAORSO

Èla più recente e la più grandefra le centrali. Progettata dalraggruppamento Enel-Ansal-

do-Getsco, è stata realizzata apartire dal 1970 sulla riva destradel Po, tra Piacenza e Cremona,ed è entrata in funzione nel 1978.La centrale fermata per la quar-ta ricarica di combustibile nell’ot-tobre 1986, dopo il referendumdel 1987 non è più rientrata infunzione. Il decommissioning pre-vedeva l’immediata realizzazione di barriere per l’iso-lamento del materiale radioattivo presente all’internoe il successivo smantellamento. Nel periodo di eserci-zio la centrale, alimentata da un reattore ad acqua bol-lente (Bwr, ha prodotto 29 miliardi di Kwh. Pressol’impianto di Caorso è tuttora stoccato il combustibileutilizzato in fase di esercizio, ovvero 1.032 elementiirraggiati e 160 elementi freschi della quarta ricaricache non è mai stata effettuata. I 56 elementi nuovi so-no stati invece allontanati. Il combustibile è stato tra-sferito nelle piscine di decadimento ed ha un’attività(stimata al 2001) pari a circa 1,46x109 Gbq. Nell’im-pianto sono inoltre immagazzinati rifiuti radioattivi che

TRINO

La centrale di Trino Vercelleseè frutto della prima iniziativaindustriale avviata in Italia nel

campo del nucleare. Il 14 ottobre1955, all’indomani della Conferen-za di Ginevra Atoms for peace, laEdison chiese ai principali costrut-tori di reattori un’offerta per rea-lizzare la prima centrale nucleareitaliana. Due mesi dopo nasceva inItalia la Selni, società pubblico-privata per la gestione del futuroimpianto composta tra gli altri da Edison, Iri-Finelet-trica, Sme e Sip. Per la localizzazione dell’impianto fuaccettato un terreno offerto dal Comune di Trino. Co-struita tra il 1961 e il 1964, anno dell’entrata in fun-zione, nel 1966 per effetto della nazionalizzazione elet-trica la proprietà passò all’Enel. La centrale di Trino,che nella sua storia ha prodotto 26 miliardi di Kwh, èstata fermata nel 1987, mentre nel 1990 il Cipe ne hadisposto lo smantellamento. Il decommisioning è statopianificato ma realizzato soltanto in minima parte. Delcombustibile irraggiato presente al momento della chiu-sura, soltanto 47 elementi sono tuttora stoccati nellapiscina di decadimento. Il resto è stato in parte invia-

LA SCOMODA EREDITÀDEI REATTORI ITALIANIQuattro centrali e cinque impianti di trattamento delcombustibile. È ciò che resta dell’atomo di casa nostra. Il“decommissioning” affidato

L’ENEL VA ALL’ESTEROIl gruppo elettrico investe nell’atomo

Da qualche tempo, in Italia, il refrain quando si parla diatomo è sempre lo stesso: nucleare vuol dire energiasicura e a basso costo, utile a rispettare gli impegni diKyoto, evitare la crisi del gas e i black out. Il ministrouscente per le Attività produttive, Claudio Scajola, hapiù volte manifestato la necessità di recuperare ilknow-how atomico. Il rilancio del nucleare peròsembra difficile da pianificare. La partita è cominciatain trasferta: quando il decreto Marzano, nel 2003, haintrodotto la possibilità per le aziende italiane diinvestire in progetti di centrali elettronucleariall’estero. Da allora Enel e Ansaldo sono impegnatenel business dell’atomo d’oltreconfine mentre altreaziende si muovono a livelli diversi: la Camozzicostruisce macchine per centrali, la Duferco si èspecializzata in acciai. Mentre Sogin, Fincantieri oTechint mettono le proprie competenze a disposi-zione del decommissioning di sommergibili in Russia.«Sono scelte difficilmente comprensibili anche dalpunto di vista del mercato – spiega Gianni Silvestrini,direttore scientifico del Kyoto Club – Le aziendeitaliane rimangono sottodimensionate nei compartienergetici in crescita a livello internazionale, comel’eolico e il solare. E cercano spazi all’estero nelnucleare, un settore che ristagna da tempo». Matant’è: l’Enel, oltre a importare il 15% di elettricitàprodotta da impianti nucleari, ha esteso i suoiprogetti verso Est. Ha acquisito il 66% della SlovenkeElektrarne, il maggior produttore di energia elettricadella Slovacchia e il secondo dell’Europa Centro-orientale: 7.000 megawatt, di cui 2.600 provenientida sei reattori di tipo Vver 400. Sempre inSlovacchia, Enel si è impegnata per la costruzione didue nuovi reattori rimasti bloccati per mancanza difondi nel 1991. E nel 2005 l’interesse si è spostatoanche a Ovest grazie alla firma del Memorandum ofunderstanding con Edf (Electricité de France, il suocorrispondente d’Oltralpe): un impegno a svilupparecongiuntamente il programma francese sull’Europeanpressurized reactor, il nucleare di terza generazione.Per il gruppo elettrico italiano, la firma comporta lapartecipazione con una quota pari al 12,5% (circa375 milioni di euro) da investire per la centrale da2.000 megawatt di Flamanville in Normandia, periodidi studio e stage per i suoi ingegneri e la disponibilitàa investire anche nella costruzione di altre centrali.Ma le vicende recenti sul gas e la fusione Gaz deFrance-Suez potrebbero portare anche a conclusionidiverse nella chiusura dell’accordo tra Enel ed Edf. E Ansaldo? Ha resuscitato la Ansaldo Nucleare: unadivisione dell’azienda, formata da 150 dipendenti,che si occupa di tecnologie atomiche. Attualmente facapo a Finmeccanica, gestisce i lavori per la realizza-zione del secondo reattore di Cernavoda in Romania,che fornisce il 10% del fabbisogno nazionale. Unimpianto che, oltre a trovarsi in una zona sismicadove si sono verificati dal 1979 tre terremoti, è statoteatro negli ultimi anni di alcuni incidenti. Inoltre

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I DEPOSITI Cinque impianti per trattare il combusti-

SALUGGIA (VC), EUREX. L’impianto, realizzato nel periodo 1965-1970 per ilriprocessamento dei combustibili dei reattori diricerca europei, è localizzato lungo il corso dellaDora Baltea, a 2 km dalla confluenza con il Po, inun’area esposta ad eventi alluvionali. Contiene3.661 metri cubi di rifiuti di seconda categoria, chenecessitano fino a qualche centinaio di anni perraggiungere concentrazioni rientranti nei limitiprevisti per lo smaltimento. Inoltre 310 metri cubidi rifiuti di terza categoria, che richiedono tempimolto più lunghi, nell’ordine delle migliaia di anni.

ROTONDELLA (MT) - ITREC, TRISAIA. Costruito negli anni Sessanta come centro diriprocessamento degli elementi esauriti delcombustibile e per la sperimentazione della chiusuradel ciclo uranio-torio, l’impianto del Centro ricercheEnea custodisce 64 elementi, oltre a 433 fusti dirifiuti liquidi e 337 di rifiuti solidi. In totale 4.312metri cubi di rifiuti radioattivi di seconda categoriae 519 metri cubi di terza. Le condizioni di sicurezzadella struttura sono definite dalla stessa Sogin«accettabili».

ROMA, CENTRO RICERCHE CASACCIA. Il Centro Enea Casaccia ospita due depositi: illaboratorio Operazioni calde (Opec) e l’impiantoPlutonio, entrati in funzione negli anni Sessanta perfinalità di ricerca. Attualmente sono presenti nelcentro di ricerche Casaccia 3.136 metri cubi dirifiuti di seconda categoria e 1.083 metri cubi diterza categoria.

BOSCO MARENGO (AL), IMPIANTO FN. L’impianto di fabbricazione nucleare realizzato neglianni Settanta ha prodotto combustibili per lecentrali nucleari italiane e anche per il Superphenix

LATINA

Quella di Borgo Sabotino, aLatina, è la prima centralenucleare a entrare in funzio-

ne in Italia. Frutto dell’iniziativadell’Eni di Enrico Mattei, il pro-getto iniziò nel 1957 con la costi-tuzione della società Simea, concapitale sottoscritto da Agip Nu-cleare (75%) e dall’Iri (25%). Fucosì completato in quattro anni unimpianto basato su tecnologia GcrMagnox, un reattore a gas-gra-

fite di fabbricazione britannica. Dall’inizio della sua at-tività, nel 1964, fino al 1986, la centrale ha prodottocirca 26 miliardi di Kwh, mentre nel 1987 il Cipe ne hasancito la definitiva chiusura. Nell’aprile del 1991 la li-cenza di esercizio è stata modificata per portare a com-pimento le attività necessarie alla messa in custodia pro-tettiva passiva dell’impianto. La centrale è stata ogget-to di numerosi eventi anomali, riconducibili a malfunzio-namento delle apparecchiature. Il combustibile scarica-to dal reattore, fra l’avviamento dell’impianto e il com-pleto svuotamento del nocciolo, è pari a 1.425 tonnella-te. Non si trova nella centrale ma è stato inviato in In-ghilterra per il ritrattamento. Sono attualmente stocca-

GARIGLIANO

Progettata sul finire degli anni’50 al confine tra Lazio e Cam-pania, la centrale di Garigliano

appartiene alla prima generazione diimpianti nucleari dal gruppo Iri-Fi-nelettrica con un finanziamento del-la Banca internazionale per la rico-struzione e lo sviluppo. L’impiantoha avuto problemi di funzionamentosin dalla sua messa in esercizio, nel1964. Basato su una configurazione

complicata, presto abbandonata dallo stesso costrutto-re, l’impianto ebbe un funzionamento discontinuo, finoall’arresto del 1978 dovuto a un grave guasto, mentrenel 1980 la piena del fiume Garigliano raggiunse l’im-pianto, che liberò nelle campagne radionuclidi quali ilcesio 137, il cesio 134 e cobalto 60. Nel 1982 l’Enel nedispose la disattivazione. Oggi la Sogin ha predispostoun piano di smantellamento e ripristino ambientali che,dovrebbe concludersi nel 2016. Nella centrale non è pre-sente combustibile irraggiato, inviato in parte all’este-ro per il ritrattamento e in parte (322 elementi) allostoccaggio temporaneo presso l’impianto di Saluggia.L’impianto conserva 90 metri cubi di materiale radio-attivo condizionato con cementazione e 1.150 metri cu-

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R O M U A L D A • 46 anni, di origine polacca, è

un’insegnante e tutti i giorni si confronta con i “figli

di Cernobyl”: «In questi anni i bambini sono diventati

più deboli, si affaticano più facilmente e anche la loro

capacità di apprendimento è calata. In complesso lo

stato fisico-mentale dei bambini è peggiorato. Siamo

tutti molto preoccupati per il loro futuro perché molti

presentano sintomi di malattie». Questa drammatica

situazione viene confermata anche da Vladislav

Ostapenko dell’Istituto di medicina delle radiazioni

della Bielorussia: «La scienza non può ancora valutare

le conseguenze dell’incidente di Cernobyl, ma una

catastrofe demografica è avvenuta in Bielorussia. È

evidente che stiamo assistendo a mutazioni genetiche,

specialmente tra quelli che avevano meno di sei anni

di età all’epoca in cui furono esposti alle radiazioni.

Gente che oggi sta mettendo su famiglia. Nelle aree

contaminate il numero delle anormalità genetiche è

più del doppio che nelle aree non contaminate».

Nonostante questi pericoli in molti vivono ancora

nelle zone contaminate. La filosofia che sta dietro a

questa scelta è semplice. Tamara, 60 anni, racconta:

«Sono ritornata a vivere qui dopo anni perché

preferisco morire nella mia povera casa dove sono nata

Una maestra elementare: «I bambini sono deboli, il loro stato fisicoe mentale

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di E R M E T E R E A L A C C I

Vorrei cogliere l’anniversario del disastro diCernobyl per una riflessione non agiograficasu quanto accaduto nel 1986 e per risponde-re ad alcuni quesiti: perché solo l’Italia tra igrandi paesi industrializzati ha completamen-

te abbandonato, dopo Cernobyl, la produzione di energiaelettrica da fonte nucleare? Perché quella vittoria am-bientalista non si è tradotta, se non in parte, in un’azio-ne in positivo? Quella storia ha ancora qualcosa da inse-gnarci?

GLI ALIBI DI CHI GOVERNAPrima vorrei formulare un invito alla cautela: i tenta-tivi di tornare al nucleare nel nostro paese non hannoalcun fondamento. Rappresentano talvolta la reazione

di qualche no-stalgico, piùspesso un alibiper chi ci gover-na, rispetto aiguasti prodottidall’assenza diuna politicaenergetica. Co-m’è noto non so-no risolte le que-stioni legate allasicurezza dei re-attori, alla chiu-sura delle cen-

trali, allo smaltimento delle scorie. Ma la vera scon-fitta è quella economica: nel costo del chilovattora nu-cleare incidono in maniera rilevante la costruzione del-le centrali e la chiusura del ciclo. Molto meno, rispet-to alle altre fonti non rinnovabili, i costi di gestione.Questo spiega perché chi ha già nucleari in attività, ene dovrà in ogni caso sopportare per secoli i costi dichiusura del ciclo, tende a utilizzarle il più possibile.Nessun paese occidentale però, in una situazione di pro-duzione privatizzata dell’energia elettrica, ha ordina-to centrali negli ultimi vent’anni. Unica eccezione è laFinlandia, dove lo Stato si è impegnato a pagare l’ener-gia prodotta a un prezzo più alto e a sopportare gli one-ri dello smaltimento finale: altro che risposta al caro-energia!

DEBOLE ALLA NASCITAMa torniamo al 1986. La maggior efficacia della rea-zione italiana a Cernobyl è stata determinata da trefattori. Primo: il nucleare era debole. Quantitativa-

mente poco rilevante. La scelta del petrolio, operatanegli anni Sessanta, aveva indebolito le altre fonti masoprattutto il nucleare. Non era bastata Caorso, in an-ni successivi, a riaprire la prospettiva e l’opposizio-ne popolare aveva fortemente rallentato i faraonici pia-ni nucleari proposti dai governi di quegli anni. Quandoesplose il reattore di Cernobyl erano attivi in tutta Ita-lia meno di 1.500 Mw nucleari. Diversa era la situa-zione in altri paesi. Questo influenzò anche la manierain cui fu trattato l’incidente. Un paese che aveva for-temente investito sul nucleare civile come la Franciasi comportò ad esempio in maniera simile ad alcune na-zioni dell’Est. A cominciare dalla Russia di Gorbaciov,la cui credibilità subì un duro colpo.

MOVIMENTO SCIENTIFICOSecondo: il movimento ambientalista in Italia aveva ca-ratteristiche diverse dal resto d’Europa. Si era co-struito negli anni precedenti al 1986 con una strumen-tazione tecnico-scientifica e una credibilità molto mag-giore di quanto non fosse accaduto in altri paesi, doveerano prevalse componenti più ideologiche: in Italia ilmovimento fu molto orientato da figure che venivanodalle facoltà scientifiche, dagli enti di ricerca, da undibattito che attivò (e lacerò) la cultura scientifica delpaese. Centinaia di docenti universitari e tecnici ave-vano dibattuto, si erano accapigliati, avevano prodot-to elaborazioni che tornarono preziose nei giorni dellacatastrofe sia per informare correttamente i mass-media e i cittadini, di fronte alla reticenza delle fontiufficiali, sia per additare possibili alternative energe-tiche. Del resto erano anni in cui le stime formulate dalComitato per il controllo delle scelte energetiche pri-ma, e da Legambiente poi, sul futuro energetico del pae-se si dimostravano molto più serie e attendibili di quel-le dei grandi enti di Stato e del governo.

IL RUOLO DI LEGAMBIENTETerzo: in Italia il movimento antinucleare era più ca-pace di iniziativa politica che altrove. E questo soprat-tutto grazie alla presenza di Legambiente. Cercammoripetutamente in quello scorcio di 1986 di coordinarcicon altri movimenti europei. Non fu possibile neanchecon i Verdi tedeschi, che pure erano la forza emergen-te. L’unico paese europeo in cui ci fu una manifestazio-ne antinucleare fu l’Italia. Ricordo come e quando fu in-detta: eravamo nella notte, in una stanza della piccolasede romana di Legambiente vicino piazzale Flaminio.La discussione fu convulsa e accesa. Sapevamo che perla ristrettezza dei tempi e la limitatezza dei mezzi adisposizione erano contrarie o perplesse molte delleassociazioni e delle forze antinucleari, incluse gran

IL BIG BANG DELL’AMBIENTALISMO«Un movimento attendibile e organizzato». Cosa resta dopo Cernobyl secondo il presidente

Il movimentoantinucleareitaliano era attivogià prima deldisastro diCernobyl. Sopra,una protestacontro la centraledi Caorso neiprimi anniOttanta. A lato il corteodel 10 maggio1986

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parte delle strutture regionali di Legambiente. Ci pren-demmo la responsabilità di indirla. L’unico giornale chene diede notizia fu La Repubblica: Antonio Cianciullo,già allora uno dei giornalisti più attenti, fu raggiuntotelefonicamente a notte inoltrata, appena finita la riu-nione. Sabato 10 maggio oltre 200mila persone sfilaro-no per Roma dietro lo striscione «In nome del popolo in-quinato». Fu una manifestazione silenziosa, come si eradeciso. E questo provocò polemiche: qualcuno parlò di unmovimento impotente. Quel movimento impotente rac-colse in poche settimane oltre un milione di firme. Bloc-cò tutti gli impianti in maniera pacifica il 10 ottobre1986. Stravinse i referendum del novembre 1987 e por-tò all’abbandono del nucleare in Italia.

PUNTI FERMIIn questi anni il riferimento a Cernobyl è stato usa-to, spesso a sproposito, per ragioni propagandisti-che e giornalistiche. Ma ci sono degli insegnamentivalidi ancora oggi nella lezione del 1986 per quel che

LA PROPOSTAGiorgio Nebbia: «Dedichiamo una strada

«Ha rappresentato la fine di un sogno,quello dell’energia illimitata a bassoprezzo. Ma alla lunga l’incidente nonha lasciato nessun insegnamento sullanecessità di rivedere i consumienergetici, di liberarsi dalle fonti fossili

che incrementano l’effetto serra». La pensa cosìGiorgio Nebbia, professore emerito presso la facoltàdi Economia dell’Università di Bari, sull’eredità diCernobyl. Deputato e senatore, fra l’83 e il ’92, èfra i testimoni d’eccezione del movimento socialeche seguì la tragedia. Qual è oggi il suo ricordo di quei giorni?Innanzitutto va detto che la tragedia, tecnica eumana, di Cernobyl arrivò nel pieno del dibattitomondiale contro le centrali nucleari. In Italia tutto eracominciato nei primi anni Settanta, quando il governopropose di far fronte alla crisi petrolifera con un pianodi sessanta centrali nucleari, poi ridotte a venti esuccessivamente a sei. Ma nel 1979 si verificòun’esplosione nella centrale nucleare americana diHarrisburg, alla quale seguì in Italia un’inchiesta sullasicurezza degli impianti che mostrò gli errori dellacentrale di Caorso, chiusa poco dopo, e di quelle chesi sarebbero dovute costruire. L’incidente del 1986 siverificò proprio prima di una marcia antinucleare aMantova e segnò la fine dell’avventura nucleareitaliana.All’epoca lei era parlamentare: come sicomportò il governo italiano nellagestione dell’allarme radioattività?Perse la testa ondeggiando fra il tentativo diminimizzare i pericoli e la necessità di fare qualcosamano a mano che i dati internazionali indicavanol’avanzata della radioattività. Un disordine totale,dovuto all’ignoranza sulla radioattività e alla furbiziadi chi voleva rispondere alla paura delle persone. E cisi è dimenticati che la situazione avrebbe potutoessere ancora più catastrofica se tanti eroi sovieticisconosciuti non fossero volati sul reattore,esponendosi a intensissime dosi di radioattività perspegnere l’incendio, salvando milioni di vite anche inItalia. Eppure nemmeno una città italiana hadedicato una strada a ricordo dei martiri diCernobyl.Quali furono le conseguenze nella politicaenergetica italiana?L’Enea, l’agenzia che avrebbe dovuto sovrintendereallo sviluppo del nucleare, restò disorientata. Si èritrovata a gestire i rifiuti radioattivi delle centralispente e alcuni depositi di scorie radioattive. Con loscoramento e la disillusione dei tecnici ai quali erastato fatto balenare un radioso futuro nucleare.Così abbiamo lasciato declinare una culturauniversitaria che sarebbe stata utile per gestire lacoda avvelenata del passato, cioè la sistemazionedei rifiuti radioattivi.Ogni volta che si affaccia una crisi

«Il 10 maggio 200mila persone sfilaro-no mute per Roma. Si parlò di una folla

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di A N D R E A P O G G I O *

Il 30 aprile, con i primi dispacci d’agenzia che pre-annunciano l’arrivo della nube radioattiva in Italia,Legambiente e Verdi scoprono che il Presidio mul-tizonale d’igiene e profilassi (Pmp) di Milano, l’or-ganismo pubblico allora dedicato ai controlli am-

bientali, non disponeva della strumentazione adeguataper le analisi. Informiamo la stampa locale che la strut-tura pubblica non è pronta a dare garanzie ai cittadini.Dopo frenetiche consultazioni, Pmp e assessorato allaSanità della Regione Lombardia decidono di affidarsi al-l’Istituto di Fisica applicata dell’Università degli studidi Milano e al Cise (un centro di ricerca dell’Enel, og-gi smantellato), gli unici in grado di effettuare le mi-surazioni.

Le prime analisi sono di venerdì 2 maggio. Il giorno

dopo ambientalisti e Verdi costringono all’apertura lasede del Consiglio regionale e vi convocano un’affolla-ta conferenza stampa rendendo pubbliche le prime ana-lisi. Il ministero della Sanità ha appena sconsigliato ilconsumo di latte e verdura. Gli ambientalisti aggiungo-no un consiglio: tenere a casa i bambini per evitare chelo iodio presente nell’aria e gli altri isotopi discioltinell’acqua piovana comportino un’eccessiva esposizio-ne. La Regione è costretta a confermare a denti stret-ti.

Da quel giorno la cittadinanza milanese è stata pun-tualmente informata. Ma non basta comunicare i valoridella radioattività. Occorre spiegare anche a quale li-vello preoccuparsi della propria salute. E qui il proble-ma si complica. La Protezione civile aveva definito perlo iodio 131 due soglie di rischio: 15 e 150 nanocurie.Abbiamo allora cercato l’origine normativa di questivalori di rischio sanitario. Scopriamo così un decretodel ministero della Sanità datato agosto 1977, che fis-sa i limiti di concentrazione dei radio elementi nei din-torni delle installazioni nucleari. Si rifanno i conti, siconsultano esperti e legali: le soglie di rischio sembra-no non essere quelle. I dati confermano che abbiamo ab-bondantemente superato la «concentrazione massimaammissibile» e siamo giunti al limite dello «stato diemergenza nucleare».

L’applicazione della legge avrebbe comportato quin-di lo stop al commercio della verdura, almeno nelleregioni del Nord, per diversi mesi. Decisioni diffici-le. Così il governo ha deciso di mentire.

Con la tragedia di Cernobyl si sono rivelati tutti i li-miti delle norme e dei piani di emergenza nucleare. Glistrumenti per “annusare” la radioattività stavano in

IL BLACK-OUT DEI MEDIADopo tre giorni la Tass parlò dell’incidente. Ma le immagini in televisione furono mostrate soltanto il 30 Aprile

«I centri di controllo svedesi hanno registrato livelli di radioattività piùalti del normale che potrebbero essere causati da una perdita di unacentrale nucleare dell’Unione Sovietica». Recitava così un take dell’Ansadelle 17,58 del 28 aprile 1986, proveniente da Stoccolma. Eranotrascorse già 48 ore dal disastro di Cernobyl e il mondo intero loscopriva attraverso una notizia che non proveniva dall’Unione Sovietica.Da Mosca un silenzio assordante. Solo alle 19 (ore italiana) arrivava ilprimo laconico comunicato dell’agenzia di stampa sovietica Tass: «Unincidente è avvenuto nella centrale atomica di Cernobyl in seguito a undanneggiamento di un reattore atomico». Il dispaccio veniva ripreso neltelegiornale della sera, tra le notizie interne, in settima posizione, dopoventi minuti dall’inizio. Ci vollero 68 ore per far sapere ai 280 milioni dicittadini sovietici che la centrale atomica di Cernobyl era saltata. Furono necessarie altre 24 ore e un secondo comunicato del Politburo�,emesso martedì 29 aprile, per informare la popolazione che i morti eranodue: una scarna notizia trasmessa a metà dell’ultimo telegiornale, chenella prima parte si era occupato di nuovi camion, nuove strade e nuovimodelli femminili. Sulle cause dell’incidente, e su quello che stavaeffettivamente avvenendo, ancora silenzio e soprattutto nessunaimmagine. Solo il 30 aprile la tv avrebbe mostrato la prima fotografiadell’edificio danneggiato che conteneva il reattore esploso. Il 2 maggio,una settimana dopo l’incidente, ai cittadini sovietici e al mondo interoerano state elargite in tutto 100 righe dattiloscritte di informazione euna sola fotografia, da lontano, della centrale di Cernobyl. Finalmente il 6maggio venivano rese pubbliche la data, l’ora esatta e il numero dellevittime. Ormai il muro dell’omertà era crollato. Nello stesso giorno la Pravdapubblicava un lungo reportage da Cernobyl. E il 14 maggio si registrava

INCREDIBILI QUEI GIORNI«Costringemmo ad aprire il Consiglio regionale. E divulgammo le analisi». Le prime reazioni

Le istituzionicercarono di minimizzare il rischio. Ma lamobilitazione della societàcivile haobbligato a farluce sulla verità

SpecialeCernobyl

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LA POLITICA DELSILENZIO

Quello di Cernobyl, dopo quello diThree Miles Island, è stato il secondoincidente grave nello spazio di appenasette anni. Il ripetersi di un simileevento quindi non chiama in causa itecnici e il “fattore umano”, bensì la

“tecnica” stessa. Ma l’opinione pubblica ha avutomodo di scoprire non soltanto la pericolosità dellatecnologia nucleare negata dai suoisostenitori, bensì anche unaltro fatto non menoimportante sin qui tenuto inombra: e cioè che non esiste la“scienza” come una solida ecompatta roccaforte, sia diuomini che di idee, contestatasoltanto dai profani e da unristretto manipolo di chiericidiffidenti e stravaganti. Ilcontrasto tra l’intervistarilasciata da uno dei nostri medicidi maggiore prestigio scientifico,anche a livello internazionale (ilprofessore Umberto Veronesi),circa l’inconsistenza del concettodi «soglia di rischio» fatta dalministro della Protezione civile,continuamente ripetuta dalla Tv e,in Tv, dagli esperti dell’Enea (costretti, per ordinisuperiori, a coprirsi di ridicolo dando risposte folli adomande sensate), non è stato interpretatoqualunquisticamente come uno dei “soliti” contrastiuna delle “solite” manifestazioni di personalismo odi protagonismo, eccetera. Al contrario, ha resoevidente che esiste la scienza al servizio dell’uomo,della sua salute, della qualità della sua vita ed esisteuna scienza al servizio dei valori economici, cioè,della produttività, della competitività della nostraindustria con le industrie straniere, e via dicendo.Tra le due scienze c’è un contrasto: ma poi si èvisto che la contaminazione di quello che era il“granaio del mondo” ha aperto la prospettiva di unacrisi cerealicola a livello mondiale. E così, moltihanno capito per la prima volta quello che da annidicono gli ambientalisti, e cioè che la scienza messaa servizio dell’economia e della produttività creadelle diseconomie e minaccia la produzione dei benifondamentali per la vita. Grande assente, la politica. Mentre l’opinionepubblica scopriva grandi verità lungamentecontroverse, i grandi partiti e le organizzazionisindacali non scoprivano proprio niente e per più diuna settimana (cioè, almeno fino al momento in cuistiamo scrivendo questa nota), lasciavano lapopolazione in balia del falso concetto d’inesistenzadel rischio, propagandato assiduamente finchè ilpericolo era gestito in esclusiva dai tecnici delegatidel ministero per la Protezione civile e dal ministero

Riccardo Basosi Prorettore all’energia all’Università di Siena

Ricordo il corteo del 10 maggio a Roma, insieme aMattioli e Scalia: fu un avvenimento notevole, con

decine di migliaia di persone in piazza. Ma contro il nu-cleare lavoravamo da tempo: andavamo nelle parroc-chie o nei circoli Arci a raccontare l’incidente del 1979a Three Mile Island (Usa) oppure quello del 1985 a Ba-lakovo, in Russia, dove avevano perso la vita 14 per-sone e la mortalità prenatale era cresciuta del 600%.Quando avvenne la tragedia di Cernobyl, insomma, lagente aveva gli strumenti per capire. Fu importante,perché la stampa minimizzava: la gravità dell’inciden-te non fu resa nota prima di luglio.

Federico Butera Prof. di Sociologia dell’organizzazione all’Università di Milano Bi-cocca

Nei giorni dell’incidente mi trovavo a Palermo emi sentivo egoisticamente sollevato poiché era-

vamo in una posizione marginale rispetto allo sposta-mento della nube. L’incidente ha generato la scelta diabbandonare il nucleare. Al di là del fattore rischio,

però, questa scelta a mio avviso rimane valida poichéprevede una produzione concentrata di energia: tuttoil contrario delle fonti rinnovabili che invece si basa-no su piccoli impianti diffusi territorialmente. In piùl’uranio, come il petrolio e il gas, è destinato a esau-rirsi.Giuliano Cannata Esperto di pianificazione e segretario del bacino del Sarno

Ho un ricordo curioso di quei giorni: dirigevo unprogetto della Fao in Burkina Faso e ricevevamo

le notizie attraverso le radio francesi. Telefonavo amia moglie, che era spagnola, per dirle di portare ibambini a Madrid, lontano dalla nube tossica. Poi, unavolta in Italia, come ambientalisti abbiamo cercato dispiegare che il nucleare era una scelta sbagliata oltreche pericolosa. È un concetto che va ribadito: in Italia,dove la qualità della vita sarà dettata soprattutto dal-la cultura e dalla bellezza, non c’è bisogno di altra ener-gia. E poi bisogna puntare sulle rinnovabili, specialmen-te quelle “belle” come l’idrogeno immagazzinato nelsottosuolo.

All’incidente seguì una grande mobilitazione sociale. Il ricordo di dieci ambientalisti della prima ora

C’è chi stava all’estero e temevaper

la famiglia, chi preparava i dibattiti...

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Marcello CiniProfessore emerito di Fisica teorica all’Univer-sità di Roma La Sapienza

In quei giorni penso di essermi pre-so le maggiori radiazioni possibili

in Italia... Stavo sul ghiacciaio più alto,al confine con l’Austria, proprio dove èarrivata la nuvola radioattiva. A Mera-no e dintorni non si poteva mangiare ver-dura. Lo shock, insomma, è stato forte.Oggi si torna a dire che il nucleare è con-tro l’effetto serra. Ma non è vero: perevitare un aumento di 0,2 C° della tem-peratura globale entro questo secolo ci vorrebbero 700centrali contro le attuali 441, da tenere in attività peralmeno 50 anni. In più costa molto meno risparmiare 1Kw che non produrlo attraverso nuovi impianti.

Paolo Degli Espinosa

Responsabile energia dell’IssiRicordo che dopo l’incidente fu organizzato un di-battito a Roma sulla sicurezza nucleare. In quel-

l’occasione anche i socialisti, che erano al governo, sidichiararono contro il nucleare: fu un passaggio impor-tante perché segnò, insieme alla grande manifestazio-ne del 10 maggio, l’inizio della nostra uscita dal nu-cleare. Oggi per il nostro paese il problema non è quel-lo che si torni all’atomo. Sta piuttosto nel fatto che siinveste troppo poco nelle energie alternative. È comese fossimo rimasti a metà del guado: abbiamo ferma-to il nucleare senza liberarci dalle fonti fossili.

Nicoletta Marietti Esperta di alimentazione

L’incidente di Cernobyl è stato un traino impor-tante per l’ambientalismo, la gente capì che le

tecnologie portavano problemi di sicurezza. E soprat-tutto che doveva difendersi dal sistema politico: le pri-me notizie sulla frutta e la verdura furono parziali erassicuranti, poi si diffuse l’allarme. Comparve inol-tre una figura inedita: quella dello scienziato critico cherispondeva a esigenze immediate. Oggi abbiamo più in-formazioni e capacità di riflettere, una cultura politi-ca più diffusa. Sembra demenziale tornare al nuclearequando siamo alla vigilia del ciclo dell’idrogeno, più pu-

lito e più sicuro.

Fulvia SebregondiEditore

A quei tempi collaboravo con la rivista Qualener-gia. La notizia non ci ha sorpreso perché eravamo

consapevoli dei rischi che si correvano con il nucleare.Abbiamo mobilitato fisici ed esperti per spiegare, at-traverso la rivista, che cosa era successo. Gli italianivolevano sapere, abbiamo assistito ad una grande mo-bilitazione di massa fino al referendum dell’87. Oggil’attenzione è rivolta ad altri temi, non so se un refe-rendum di quel tipo otterrebbe la stessa partecipazio-ne. L’idea del nucleare pulito poi è insidiosa, anche per-ché la gente non ha più la stessa consapevolezza. E ilfatto che alcuni scienziati si siano dichiarati favorevo-li mi sembra preoccupante. Gianni SilvestriniDirettore di Qualenergia e del Kyoto Club

Alle prime notizie dalla Russia ho pensato con an-goscia al dramma dei soccorritori che sapevano

della morte cui andavano incontro. Con il passare deigiorni si delineava la gravità dell’incidente e la consa-pevolezza che nulla sarebbe rimasto come prima nelloscenario energetico mondiale. Vent’anni dopo rifannocapolino i fautori del nucleare con l’accelerazione del-l’emergenza climatica. Ma i problemi irrisolti e gli ele-vati costi fanno propendere per altre risposte, comin-ciando da una politica aggressiva sull’efficienza ener-getica.

Chicco Testa Presidente di Roma Metropolitane

Stavo per mettermi in viaggio verso il Parco del-l’Uccellina quando ho saputo dell’incidente. C’era

un’inquietudine impalpabile, non si riusciva a capire co-me stessero le cose. Ora che siamo lontani vent’anni esono lucido sull’argomento posso dire che eravamo inbalia dell’informazione. E proprio l’importanza dell’in-

La prima reazione fu pensare alreferendum. Ma c’è chi teme cheoggi si voterebbe

Un giovane GianniMattioli durante le proteste del1986

SpecialeCernobyl

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V I K T O R • A Valakhovshina, uno dei miseri

villaggi nella zona morta bielorussa, attualmente vivono

quattro uomini e un’anziana donna, che dice: «Sono

sola al mondo e non posso andarmene perché qui ho i

miei ricordi e qui sono sepolti i miei cari». Non hanno

mai voluto lasciare le proprie case, nonostante il

villaggio sia nella zona considerata ad alto rischio

contaminazione e “ufficialmente” chiuso alla

popolazione civile. In passato anche a loro era stata

offerta la possibilità di andarsene, ma hanno rifiutato.

Qui abbiamo incontrato Viktor, Ivan e Leonid. Età

indefinibile, occhio languido che testimonia le normali

frequentazioni con la vodka e una sigaretta, arrotolata

con la carta di un giornale, sempre accesa al lato della

bocca. Anche loro hanno avuto la possibilità di

andarsene, ma sono rimasti: «Qui è meglio di tanti

altri posti – raccontano – Le uniche due possibilità che

ci offrirono erano entrambe in zone radioattive, quindi

c’era ben poco da scegliere». Nella loro dieta alimentare

ci sono patate, latticini, pesce e selvaggina. Viktor è

Nella loro dieta alimentare ci sono patate, latticini, pesce. «Quello che non si vede non può far male e le radiazioni

noi non le abbiamo mai viste»

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di S I M O N E T T A G R E C H I

Numeri che impazziscono. Si fermano, salgo-no, poi riscendono. E una data, anzi un anno.Il 1994. Quello in cui vengono uccisi Ilaria Al-pi e il suo operatore Miran Hrovatin, in cuiun pazzo si schianta con un aereo sulla Casa

Bianca. Per Legambiente, l’anno in cui si aprono le por-te della solidarietà verso le zone colpite dall’incidentedi Cernobyl. I numeri impazziti invece appartengono aicontatori geiger che misurano la radioattività nelle areecontaminate, accompagnati da un ticchettio fastidioso.Ma dentro quelle cifre c’è anche una vicenda umana le-gata all’Italia e a quei paesi che in fondo non sono cosìlontani.

È la storia dell’accoglienza dei bambi-ni di Cernobyl, un’esperienza difficile daraccontare senza cadere nella retorica.Perché raccontarla significa dare voce atanti protagonisti di questa campagna cheha portato in Italia, fino ad oggi, oltre20mila bambini. L’obiettivo: fare in mo-do che trascorrano alcune settimane lon-tano dalle zone contaminate. E possanocosì liberarsi, come dice l’Enea, di unabuona percentuale (dal 30 al 50%) del Ce-sio 137 assorbito. Storie di accoglienza,dunque, di solidarietà ma anche di incon-tro fra realtà molto diverse. Come quel-la di Paolo e Yulia, un volontario italiano

e una bambina russa. Paolo, presidente del circolo diCaldana (Grosseto), ogni anno partecipava a viaggi didelegazione per seguire i progetti nelle zone contami-nate. Aveva ospitato per otto anni nel suo piccolo pae-se gruppi di bambini affetti da patologie tiroidee, con iquali restava sempre in contatto.

Quante lettere avrà fatto tradurre non si sa. Nel 2003Paolo è morto, lasciando in eredità alla moglie tutte quel-le carte che hanno continuato ad arrivare e che lei hasempre fatto tradurre. Tra le tante storie ha scopertoquella di Yulia, una bambina che dopo il suo ritorno inRussia aveva avuto bisogno di un’operazione per un tu-more alla tiroide, uno di quelli che gli scienziati diconoessere conseguenza diretta delle radiazioni. Paolo se-guiva tutti i suoi piccoli ospiti da lontano ed era statoallora, dopo aver ricevuto una di quelle lettere da par-te della madre di Yulia, che si era mosso per ridare, conl’operazione, una speranza a quella ragazzina. Ma non

LA SOLIDARIETÀÈ UN PROGETTODodici anni di attività, ventimila bambini ospitati. Migliaia di famiglie coinvolte. Gli interventi

LA TESTIMONIANZAAngelo Gentili: «Dall’amicizia con i ragazzi bielorussi è

natala nostra esperienza». Una storia che prosegue Arrivavano dalla Bielorussia con un pullman sconquassato.Erano giovanissimi, ma pieni di cultura, quasi tutti biondi,magri, con la pelle bianchissima e le guance rosse: erano ivolontari di un campo internazionale promosso da

Festambiente, la manifestazione nazionale di Legambiente in Maremma,edizione 1991.La notte, dopo le fatiche diurne legate alla realizzazione del festival,ognuno raccontava le sue storie. E qualcuno di loro, in una di quelleserate dilatate quasi fino al mattino, cominciò a raccontare di Cernobyl,del disastro nucleare. Le storie dei volontari parlavano di villaggi evacuati, di miserie, diqualcosa che non si sente, non si percepisce se non con la strumenta-zione adeguata o con i grafici che raramente si vedevano in giro e cheparlavano di impennate dei tumori tiroidei soprattutto nei bambini.Sembrava quasi incredibile perché in fondo in Italia non se ne sentivaparlare. Eppure era così. Fu allora che al campo di volontariato in Italia ne

Qualchesettimana fuoridalle zonecontaminateconsente aibambini diliberarsi fino al 50% del cesio137 assorbitodall’organismo

SpecialeCernobyl

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PARTECIPARE SI PUÒDodici anni di impegno in aree difficili del mondo, dal Kosovoall’Africa, dall’Amazzonia all’Ucraina, dove il degrado ambientalesi accompagna al disagio sociale. A partire dal Progetto Cernobyl:un’esperienza che ancora oggi coinvolge migliaia di famiglie,volontari, circoli e Comuni di tutta Italia. Una missione che si èrafforzata di anno in anno, grazie al coordinamento diFestambiente, e alla quale è ancora possibile partecipare.

lo aveva detto a nessuno, non aveva bisogno di parlar-ne. E in un’altra lettera la mamma di Yulia si chiedevaperché quell’uomo era improvvisamente sparito: nonreclamava niente, ma dava buone notizie sulla salutedella figlia che adesso aveva ripreso la scuola, grazieanche alla vicinanza di una persona lontana. Ormai trop-po.

Altre storie le racconteremo in nuove occasioni: diMascia che grazie a Legambiente Prato può contare suuna culla termica all’ospedale di Gomel, di Irina e del-le sue preghiere nella stanza della colonia in cui è sta-

SOS BIELORUSSIAPromuovere l’autosviluppo e costruire

A vent’anni dal disastro nucleare l’emergenzacontaminazione in Bielorussia è ancora alta. Anzi, èdiventata permanente e mette a rischio la salute di500mila bambini. Legambiente ha deciso perciò diimpegnarsi, oltre che con l’accoglienza dei giovanis-simi in Italia, attraverso interventi di cooperazioneche promuovano l’autosviluppo e costruiscanorisposte concrete nei territori colpiti. «Sebbene nellazona la percezione del rischio sanitario sia forte –spiega Roberto Rebecchi, di Legambiente Solidarietà– non si dispone ancora dei mezzi e delle cono-scenze adeguate per farvi fronte. I nostri progettiintendono quindi facilitare l’accesso ad alimenti noncontaminati e ad adeguati presidi medici».Tra le iniziative di Legambiente Solidarietà c’èl’Ambulatorio mobile che svolge una costanteattività diagnostica delle malattie tiroidee nelle zonecontaminate dall’incidente ma ancora non adeguata-mente monitorate, come la regione di Brest.

Partecipanoall’iniziativa,insieme aLegambiente,l’associazionelocale Help ealcune aziendesanitarie, sia delposto cheitaliane (il policli-nico di Modena ela Asl 9 diGrosseto).«L’adeguataformazione delpersonale locale– continuaRebecchi – ha

permesso di dare continuità a questo intervento: lepersone che ne hanno usufruito sono migliaia,soprattuto nelle zone rurali».L’accoglienza vera e propria è invece l’obiettivo delprogetto Il Cigno, ancora in fase di definizione, cheprevede la ristrutturazione di un centro di cura esoggiorno appartenente all’autorità bielorussa nellaregione di Minsk, dove i controlli hanno rilevatoassenza di contaminazione. I bambini potranno cosìessere curati all’interno del proprio paese ed essereassistiti da personale locale. «Il centro – riprendeRoberto Rebecchi – potrà accogliere 40 bambiniogni mese, che godranno degli stessi benefici fisicidel soggiorno all’estero». La cornice sembra quellaideale per restituire benessere ai giovanissimi anchedal punto di vista psicologico: situato in un bellis-simo bosco di abeti e betulle, costruito con impiantitecnologici e materiali ecosostenibili, il centroospiterà anche esperienze di educazione ambientaleaperte alla comunità locale e alle scuole della zona.Coinvolti nell’iniziativa sono l’associazione Help, il

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Un libro che ripercorre la storia e leconseguenze del più grave inciden-te nucleare civile della storia uma-na. Un documentario, due libri foto-grafici (Niet problema e Cernobyl:

vent’anni dopo), una mostra (Dal nucleare al-le rinnovabili). Sono soltanto alcune delle ini-ziative promosse da Legambiente in occasio-ne del ventennale della tragedia di Cernobyl.Per il prossimo 26 aprile è prevista anche aRoma, nella sala della Protomoteca in Campi-doglio, una conferenza internazionale sul fu-turo delle fonti energetiche. E ancora, permartedì 25, una manifestazione davanti allacentrale ucraina per chiederne la messa in si-c u r e z z a .«La ricorrenza del 26 aprile – spiega Ange-lo Gentili, coordinatore del Progetto Cerno-byl di Legambiente – è un’occasione impor-tante per ricordare all’opinione pubblica che

la situazione delle zone contaminate è ancoragrave. Attualmente si assiste a un progres-sivo e massiccio ritorno nei centri evacuatida parte di famiglie che fuggono da difficili si-tuazioni economiche e politiche o da aree conconflitti». E proprio il tema dei ritorni è unodegli ingredienti di Ti ricordi Cernobyl?: il li-bro curato da Lucia Venturi (Infinito Edizioni)che ospita una riflessione sul futuro delle fon-ti energetiche e le testimonianze di coloro chehanno vissuto o vivono nelle zone contamina-te.Sarà invece la conferenza internazionale diRoma (il 19 aprile nella sala della Protomo-teca, in Campidoglio), organizzata in colla-borazione con Greenpeace, a fare il puntosulla situazione della centrale di Cernobyl,sulla diffusione delle fonti rinnovabili e sul-le prospettive della produzione energetica.Per l’occasione saranno anche diffusi i ri-

NOI NONDIMENTICHIAMO

Ti ricordi Cerno-byl?A CURA DI LUCIAVENTURI, INFINITOEDIZIONI, RO M A, 2006,10 EURO. Una ricostruzionedettagliata dellacatastrofe ucraina,che ripercorre ivent’annidall’incidenteattraversotestimonianze digiornalisti, fisici,ambientalisti che dal1986 si sonooccupati del caso.Ospita gli interventitra gli altri di ErmeteRealacci, SergioZavoli, Gianni Mattioli

GLI APPUNTAMENTI

Martedì 18 aprile Reportage Cernobyl.L’atomo e la vanga. Lascienza e la terra.Spettacolo teatrale di RobertaBiagiarelli e Simona Gonnellabasato sul libro Preghiera perCernobyl della scrittrice egiornalista bielorussa SvetlanaAleksievic. Roma, Ridotto delBrancaccio, ore 21.00INFO www.babelia.org

Presentazione dei libriTi ricordi Cernobyl? eCernobyl 1986-2006Roberto Della Seta, ErmeteRealacci, Angelo Gentili, LuciaVenturi e Gianni Mattiolipresentano i libri realizzati daLegambiente in occasione delventennale del disastro del1986. Coordina AlessandroFarruggia.Roma, Sala del Carroccio inCampidoglio, ore 17,00

Mercoledì 19 aprile Cernobyl vent’annidopo. Per un futurosostenibile e senzanucleare Convegno promosso daLegambiente e Greenpeace incollaborazione con il Comune diRoma. Sala della Protomoteca inCampidoglio, ore 9,00

Cernobyl, vent’annidopo Incontro dibattito con letture dibrani da Preghiera per Cernobyldi Svetlana Aleksievic e daGuasto: notizie di un giorno diChrista Wolf. Roma, BibliotecaFranco Basaglia (via F.Borromeo 67)INFO 0645439330

Libri, video, mostre, conferenze. Più un nuovo monitoraggio nelle zone contaminate. Il ventennale conLegambiente

I LIBRI IL VIDEO

Niet problema DI PIERLUIGI SENATORE E

LUIGI OTTANI, EDIZIONIARTESTAMPA, MODENA,2006, 28 EUROUn libro fotograficoraccoglie storie etestimonianze dipersone che hannovissuto o che vivonoquotidianamente glieffetti del disastro diCernobyl. Il volume si apre conla prefazione di BeppeGrillo e ospita unasezione dedicata aiprogetti dicooperazioneinternazionalerealizzati da

Cernobyl 1986-2 0 0 6Una storia lunga20 anni A CURA DI LEGAMBIENTE,EDIZIONI DEL CAPRICORNO,TORINO, 2006, 25 EUROIl libro descrive iluoghi e racconta lestorie di unapopolazione cheancora oggi subiscegli effetti deldisastro,ripercorrendo letappe che hannoaccompagnato lastoria delle areecolpite durante gliultimi vent’anni.Raccoglie le immaginidi diversi fotografi

R B M KDentro il reatto-reREGIA DI ANDREA BOCCA,

PRODOTTO D A

LEGAMBIENTE/LO G OUT

TORINO.

Rbmk è la sigla che

identifica la tipologia

del reattore atomico

interessato dal

disastro del 1986.

Venti minuti che

ripercorrono

attraverso immagini

dell’epoca le fasi

SpecialeCernobyl

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V L A D I M I R • Le ragazze e i ragazzi nelle zone

dove si è abbattuta la pioggia radioattiva hanno

un’altissima probabilità di essere colpiti da

deformazioni o problemi al sistema riproduttivo. In

questi anni si è avuto, nei territori contaminati e tra

la popolazione evacuata, un aumento di suicidi e morti

violente con una costante e consistente diminuzione

della qualità della vita.

Dalla regione di Gomel, una delle più colpite, sono

migliaia i bambini che ogni anno vengono a curarsi in

Italia attraverso il progetto di accoglienza di

Legambiente. Spesso un mese nel nostro paese, grazie

a una alimentazione a base di cibo non contaminato,

può voler dire un anno di vita in più e soprattutto

controlli sanitari più accurati e precisi. In alcuni casi

il viaggio in Italia rappresenta la prima occasione per

sottoporsi a visite mediche, rare nel paese d’origine.

Vladimir è un adolescente sveglio e simpatico: occhi

azzurri, capelli biondi e la voglia di viaggiare: «Sono

stato in Italia due volte. Mi piace tanto perché si mangia

«In Italia si mangia bene e ci sono tante cose da vedere». Per i bambini un mese nel nostro paese

con