UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MODENA E REGGIO EMILIA · la fidelizzazione del cliente risparmiatore...

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MODENA E REGGIO EMILIA FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE E DELL’ECONOMIA Corso di Laurea in Comunicazione e Marketing LA FIDELIZZAZIONE DEL CLIENTE RISPARMIATORE EVOLUZIONE DELLA CONSULENZA FINANZIARIA PROFESSIONALE Relatore Laureando Prof. Giovanna Galli Dario Cambi Anno Accademico 2005-2006

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MODENA E REGGIO EMILIA

FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE E

DELL’ECONOMIA

Corso di Laurea in Comunicazione e Marketing

LA FIDELIZZAZIONE DEL CLIENTE RISPARMIATORE

EVOLUZIONE DELLA CONSULENZA FINANZIARIA PROFESSIONALE

Relatore Laureando Prof. Giovanna Galli Dario Cambi

Anno Accademico 2005-2006

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INDICE

Introduzione……………………………………………………………….. 4

Capitolo 1. Da promotore a private banker. Un ruolo in evoluzione………………. 10

1.1 Il mercato e la nascita dei promotori finanziari……………………………. 10

1.2 Il marketing nella fase pionieristica della vendita dei prodotti finanziari…. 13

1.3 La professione del promotore finanziario partner della banca…………….. 17 L’ampliamento dell’offerta e la sua qualificazione.

1.4 Il caso Banca Fideuram: una leadership nel settore……………………….. 23

Capitolo 2 L’ era della complessità……………………………………………………….. 31

2.1 Il “boom”dei mercati e la crisi storica d’inizio 2000.

Conseguenze nel rapporto di fiducia tra clienti e sistema bancario……….. 31 2.2 Il cliente “al centro”. Segmentazione del portafoglio basata sulla tipologia dei benefici ricercati e sulla qualità della relazione……….. 36 2.3 Un modello di marketing individuale. L’analisi dei bisogni attraverso il ciclo di vita del risparmio…………………………………………………. 46 2.4 Il marketing del promotore finanziario. Diagnosi e pianificazione del portafoglio clienti con l’obiettivo della redditività di lungo periodo….. 51 2.5 Dal private banking al wealth management, verso la “consulenza oggettiva” 60

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Capitolo 3. Un marketing innovativo della consulenza finanziaria …………………… 74

3.1 Customer satisfaction e customer loyalty: verso la fidelizzazione del cliente risparmiatore………………………….. 74 3.2 Il marketing relazionale e la partnership fra consulente e cliente………... 83 3.3 Un nuovo paradigma. Il marketing dell’etica…………………………….. 89 3.4 Oltre la fidelizzazione…………………………………………………….. 98

Conclusioni…………………………………………………………………… 107

Bibliografia…………………………………………………………………… 109

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INTRODUZIONE

La storia del mercato finanziario in Italia ha incontrato, nel corso degli

ultimi venti anni, profonde trasformazioni, frutto di fenomeni interni ed

esterni di portata rivoluzionaria . Il passaggio delle risorse del

risparmio dai tradizionali libretti e depositi di c/c bancario e postale

verso i titoli di stato prima e, progressivamente, dalla metà degli anni

’80, verso forme innovative di risparmio gestito e previdenziale (fondi

comuni d’investimento, polizze vita di rendita e capitalizzazione,

gestioni patrimoniali), ha introdotto nuove figure professionali ed ha

cambiato radicalmente il rapporto fra cliente-risparmiatore e

intermediario finanziario, fino ad allora basato sul ruolo consolidato e

di “aspetto” degli Istituti Bancari tradizionali.

In particolare le macro tendenze economico-finanziarie possono essere

di seguito così sintetizzate:

- la disintermediazione del risparmio allocato dai depositi verso i titoli

di stato, in coincidenza con il periodo più buio del deficit pubblico dello

Stato ( inizi anni ’80), per la loro capacità di fornire tassi di rendimento

molto alti a fronte peraltro di un altissimo tasso d’inflazione. Si

assisteva, pertanto, al triste fenomeno (tutto italiano) della nuova

ricchezza finanziaria proveniente dalle rendite degli interessi, che in

realtà nascondeva tassi reali bassissimi, se non negativi, e provocava

parallelamente una corsa ai consumi drogata, contrassegnando nello

stesso tempo un periodo di alti deficit dei bilanci pubblici di cui ancora

oggi paghiamo le conseguenze.

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- il successivo e salutare forte calo dei rendimenti dei titoli di stato

(dopo la drammatica crisi finanziaria del 1992), che ha eliminato la

possibilità per il risparmiatore di fruire di facili rendite “garantite”. In

un primo momento questo fenomeno ha indotto i risparmiatori ad

avvicinarsi rapidamente a strumenti finanziari a più alto contenuto di

rischio (azioni, fondi comuni d’investimento ecc.) rimanendo, però, in

seguito, per lo più delusi per i tracolli finanziari che hanno

caratterizzato il mercato obbligazionario nel 1999 e quello azionario

negli anni 2000-2002;

- l’aumento dell’instabilità dei mercati finanziari ed il downgrading

delle attese sui rendimenti medi degli investimenti;

- la revisione dello stato assistenziale e dei sistemi pensionistici (in

Italia ed altrove) che sta costringendo i risparmiatori a pensare di

destinare una parte del risparmio verso forme di previdenza

complementare ( polizze vita, fondi pensione);

- una progressiva crescita dell’informazione a tutti i livelli che ha

permesso al cliente-risparmiatore di formarsi un quadro di cultura

finanziaria sempre crescente e, attraverso lo sviluppo d’Internet, la

creazione di un nuovo e diffuso canale di distribuzione dei servizi

finanziari on line, fenomeno questo che contribuirà a cambiare in modo

profondo l’intero sistema finanziario.

In questo contesto la nascita della figura del Promotore Finanziario,

istituzionalizzata con la Legge 1/91, ha introdotto un elemento di novità

nel panorama italiano (mentre nei Paesi anglosassoni questo era già

realtà da diversi anni) venendo incontro soprattutto ad un accresciuto

bisogno del risparmiatore di meglio orientare le proprie scelte di

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investimento, di fruire di un servizio di consulenza volto a far luce sulla

complessità dei mercati dopo i rapidi e frequenti sconvolgimenti in atto.

Naturalmente la figura del P.F. non nasceva dal niente, ma prendeva

spunto dalle esperienze, già in atto nel nostro paese, di un certo tipo di

collocamento dei servizi finanziari fuori dal ristretto ambito bancario.

N’erano un esempio pionieristico il collocamento dei primi fondi

comuni d’investimento di diritto lussemburghese ( Fonditalia-

Interfund) e dei successivi primi fondi di diritto italiano (Imicapital-

Imirend) fatto dall’allora società leader del Gruppo I.M.I nel settore

(Fideuram) e da altri strumenti analoghi collocati dai gruppi Monte dei

Paschi di Siena e RAS, così come da altre numerose esperienze

successive.

Nell’ottica di estendere il collocamento dei prodotti finanziari

attraverso l’uso di tecniche di vendita molto incisive, di emanazione

anglosassone, si sono distinte poi le Banche e tutte le S.I.M. (società di

intermediazione mobiliare) di emanazione bancaria createsi negli anni

’90, il cui sviluppo ha coinciso peraltro con la forte crescita del

risparmio gestito in Italia e con significative performance reddituali

degli Istituti Bancari.

I fenomeni macro economici suddetti hanno poi, nel corso degli ultimi

anni, provocato una crescita della “complessità” nella gestione delle

risorse finanziarie, ma anche e soprattutto nella domanda di servizi di

consulenza da parte dei clienti risparmiatori, spesso vittime della scarsa

attenzione delle banche e di alcuni P.F. verso una giusta asset

allocation dei risparmi loro affidati nonchè di un’inadeguata analisi

della propensione al rischio dei clienti stessi, ma bensì verso una logica

commerciale non più legata alla vendita dei prodotti finanziari, ma

piuttosto volta a capire le vere esigenze derivanti dal ciclo di vita del

risparmio delle famiglie.

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Fenomeni definiti di “risparmio tradito”, coincidenti con crack

finanziari nazionali ed internazionali ( Enron, Argentina, Cirio,

Parmalat ecc. ) hanno poi completato l’opera di sfiducia già alimentata

dalla stampa e dall’informazione verso il sistema bancario, dando luogo

a fenomeni di disaffezione nel sistema tout court e di chiusura di una

buona parte delle famiglie verso gli operatori tradizionali, fino a

favorire fenomeni d’ulteriore allargamento dell’offerta di natura

transattiva (Banco-Posta) .

Da queste considerazioni e dall’analisi della professione del Promotore

Finanziario, questo lavoro tenta di descrivere l’impresa alle prese con il

marketing interno, con il rapporto che generalmente la lega ad una

Banca, con la quale ha un tipo di partnership particolare, attraverso il

passaggio dalla “vendita di prodotto” degli anni 80-90 verso un

progressiva relationship con il cliente. Quest’ultimo si pone sempre più

al centro dell’interesse e del “marketing di contatto”che il P.F. deve

mettere in atto, resosi necessario da un’accresciuta concorrenzialità nel

settore. Si tenterà quindi di analizzare quali sono gli strumenti per

sviluppare una vera fidelizzazione del cliente risparmiatore, che ha

magari già scelto uno o più servizi finanziari, ma che è sempre più

attratto dalle “sirene” del mercato.

La “Relazione” quindi, come soluzione verso la fiducia e verso la

“retention”, passando per una prospettiva di qualità totale del servizio

in tutte le sue componenti, tale da ottenere la customer satisfaction..

Spazio quindi per un nuovo modo di comunicare il servizio al cliente,

per renderlo partecipe attivo delle scelte di investimento, della miglior

composizione personalizzata dello stesso servizio, per offrire quella

relazione che spesso tuttora è carente nel rapporto fra Banca/Promotore

e cliente risparmiatore. Questo attraverso un impiego strategico del

S.I.M (sistema informativo di marketing), un ruolo attivo e sempre più

decisivo della Banca partner nel fornire strumenti tecnici, logistica,

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supporto formativo e gestionale adeguati, un importante ruolo del

personale di contatto adeguatamente formato e reso pienamente

partecipe del progetto di fidelizzazione.

Nel frattempo il P.F. si sta avviando verso l’ulteriore fase di sviluppo

della sua professione, la “consulenza oggettiva”; dovrà definire scelte

di marketing adeguate al contesto di riferimento specifico di ogni

impresa ( non tutte le aree presentano medesime risorse e medesimo

livello di cultura finanziaria, ogni cliente presenta proprie attitudini

verso un servizio, verso l’innovazione, ogni segmento di clientela di un

portafoglio ha necessità di specifiche strategie ); comporta anche di

percepire nuovi paradigmi con i quali affrontare la domanda ed i

bisogni emergenti. Un “marketing dell’etica”, per esempio, può

rappresentare uno dei principali volani con cui si dovrà misurare il

professionista della consulenza finanziaria nel prossimo futuro,

consapevole di incontrare una domanda sempre più esplicita di pulizia e

di trasparenza nel mondo degli affari economico-finanziari.

Un capitolo a parte il lavoro lo dedica ad uno specifico studio sulla

fidelizzazione del portafoglio clienti di un consulente/promotore

finanziario. Un modello teorico, ripreso da studiosi del settore, che si

accosta molto allo specifico marketing di chi oggi, se vuole mantenere

vivo il proprio ruolo nel mercato e assicurarsi un futuro di successo,

non può non considerare. Esso si basa innanzitutto sul concetto di

“disaggregazione bidirezionale della performance, intendendo per tale

un’approfondita analisi sia della performance sul cliente che della

performance del cliente. Questo con l’obiettivo di andare appunto

“oltre la fidelizzazione”, per ottenere una maggior consapevolezza del

proprio potere discrezionale nei suoi confronti e nei confronti della

concorrenza. Capire in sostanza da una parte i veri motivi per i quali il

cliente ci ha scelto come partner consulenziale (fattori chiave

d’acquisto), distinguendoli fra fattori tecnici (il prodotto finanziario), di

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servizio (la consulenza ed il contesto) e personali (il cliente ha scelto

noi come persona per la relazione che abbiamo saputo creare); dall’altra

esaminare il vero valore del cliente attraverso una matrice di

fidelizzazione che, aldilà della RFA (ricchezza finanziaria

amministrata) o del fatturato procurato, focalizzi meglio fattori

prospettici del potenziale di ogni cliente. Tutto quanto al fine di operare

in un Marketing personalizzato e di settore capace di attivare le

strategie di contatto necessarie a valorizzare una relazione duratura nel

tempo e performance reddituali proiettate verso il futuro, al di là di

ogni evento di mercato.

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Capitolo 1

Da promotore a consulente finanziario. Un ruolo che

cambia.

1.1 Il mercato e la nascita dei Promotori Finanziari.

Sono certamente le situazioni interne ed internazionali accennate

nell’introduzione ad aver favorito, agli inizi degli anni ’90, la nascita di

soggetti imprenditoriali come appunto lo sono i Promotori Finanziari. Il

bisogno crescente, da parte dei risparmiatori, di trovare interlocutori

professionali competenti e motivati al punto di informare e contribuire

ad accrescere la cultura finanziaria, di capire le sempre più raffinate

esigenze d’allocazione del risparmio da parte delle famiglie, di

suggerire soluzioni adeguate alle esigenze stesse e soprattutto di

assistere personalmente e con la dovuta discrezionalità i clienti sempre

meno inclini ad accontentarsi dei prodotti bancari generalisti, hanno

progressivamente creato le condizioni per un riconoscimento giuridico

di una nuova categoria di professionisti-imprenditori.

La figura del Promotore Finanziario (P.F.) è stata introdotta nel

sistema finanziario italiano dalla Legge 1/1991, che lo definisce come

l’unico soggetto di cui l’intermediario bancario può avvalersi per

l’offerta dei propri servizi fuori delle proprie sedi. L’esercizio di tale

attività presuppone l’iscrizione ad un Albo Nazionale, previa il

superamento di un esame a cura d’apposite commissioni regionali

tenute presso le Camere di Commercio, di nomina Consob.

Attualmente l’attività del P.F. è disciplinata dal Testo Unico della

Finanza e da una serie di Regolamenti Consob molto precisi, che ne

attuano di fatto un controllo molto severo nel rapporto con la clientela e

negli obblighi di esercizio della stessa attività, pena sospensioni e/o

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radiazione dall’Albo. Ciò ha determinato, nei fatti, un primo grande

cambiamento nelle modalità di collocamento dei prodotti finanziari ,

creando una discontinuità con la precedente attività “porta a porta” di

alcuni venditori specializzati che agivano per conto di società

fiduciarie, in attività dalla metà degli anni ’70. Il legislatore voleva in

sostanza venire incontro alle mutate esigenze del mercato del risparmio,

dettate in primis dalla necessità di evitare esperienze precedenti poco

edificanti come i crack di alcune società finanziarie (Europrogramme,

OTC ecc.), avvenute in Italia a danno di molti risparmiatori per la

mancanza di norme chiare nella sollecitazione del risparmio pubblico e,

in secondo luogo, per seguire l’esperienza positiva del mercato

finanziario statunitense, laddove figure professionali simili ai promotori

finanziari stavano ormai da anni realizzando importanti risultati nella

pianificazione finanziaria delle famiglie.

Dall’introduzione della legge 1/91, buona parte dei gruppi bancari ed

assicurativi italiani hanno creato reti di vendita formate da promotori

finanziari con contratti d’agenzia, attraverso due modalità: costituendo

una S.I.M., quindi un soggetto giuridico a sé, che distribuisce i suoi

servizi esclusivamente attraverso i promotori, oppure creando una rete

interna alla banca (soluzione meno praticata per i problemi di

coordinamento e di concorrenza interna alla banca fra gli sportelli ed i

promotori).

Le finalità perseguite con la scelta di avvalersi anche di questo specifico

canale sono varie e si possono così riassumere:

a) la necessità di sviluppo orizzontale del portafoglio clienti, attraverso

l’acquisizione di nuova clientela, tanto nelle zone tradizionalmente

presidiate quanto in quelle di nuova espansione, nelle quali l’azione di

sviluppo del promotore poteva efficacemente affiancare e anche

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anticipare, se non addirittura sostituire, la presenza di sportelli della

banca;

b) l’assistenza e la consulenza ai clienti, per consolidarne la fiducia con

un rapporto continuo e realmente personalizzato;

c) lo sviluppo di clientela marginale, ma di alta potenzialità o di

clientela attiva su di una gamma ristretta, ma mirata, con servizi ad alta

redditività;

d) lo sviluppo commerciale di particolari tipologie di prodotto o

particolari segmenti di nicchia del mercato;

e) una strategia di marketing che, sviluppando clientela di target

elevato in un’ottica di personalizzazione del servizio, aumentava le

masse con prodotti prevalentemente di risparmio gestito, in alternativa

ai tradizionali strumenti di deposito e di raccolta in vigore nel decennio

precedente (titoli di stato, certificati di deposito bancari), tipici del

rapporto con gli uffici titoli delle filiali.

Molte delle SIM costituitesi agli inizi degli anni ’90 si sono poi

trasformate in Banche (vedi la fusione di Fideuram SIM con Banca

Manusardi per dar luogo all’attuale Banca Fideuram), grazie all’utilizzo

delle nuove tecnologie, che hanno permesso l’utilizzo dei servizi

bancari anche in assenza di agenzie diffuse su tutto il territorio. Ciò ha

consentito altresì lo sviluppo di sportelli “leggeri” per supportare la rete

dei promotori nella gestione dei conti correnti, dei servizi accessori e

nelle operazioni in titoli. In quest’ottica il mercato si è così ampliato, si

è concentrato intorno alle Reti più importanti, ed oggi più della metà dei

promotori attivi opera per conto delle prime cinque-sei società (Banca

Fideuram, Xelion Banca, Banca Generali, Banca Mediolanum, Azimut,

RasBank).

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1.2 Il marketing nella fase pionieristica della vendita dei

prodotti finanziari.

Prima della nascita della figura del P.F., il mercato finanziario

conosceva, come si è detto, figure di venditori (si definivano allora

impropriamente consulenti finanziari) reclutati per lo più dalle Società

fiduciarie di Istituti Bancari ( Fideuram era la società fiduciaria del

Gruppo IMI già dal 1970 ), allo scopo di collocare esclusivamente

alcuni tipi di prodotti finanziari innovativi che in Italia stavano

entrando, dopo alcune esperienze di collocamento attraverso

multinazionali americane (IOS). I primi fondi comuni erano di diritto

lussemburghese (Fonditalia, Interfund, ISF, Italfortune ecc.), strumenti

collettivi di gestione del risparmio già attivi in Europa e, sull’onda del

successo già avuto da analoghi strumenti negli USA, divenuti attraenti

per i risultati che riuscirono a realizzare in quegli anni.

La logica dei venditori reclutati da queste società pionieristiche

(Fideuram, Dival), era soprattutto quella di collocare quel tipo di

prodotti nella cerchia dei clienti potenziali più evoluti ed informati

(professionisti, lavoratori autonomi ecc.) e soprattutto nelle famiglie

che affidavano loro i risparmi sulla base del prestigio e del carisma del

consulente (spesso uscito dalle Banche per intraprendere quel tipo di

attività in proprio) e quindi in possesso di un bagaglio di fiducia già

acquisito in precedenti rapporti.

Si trattava della vendita di un prodotto finanziario innovativo, quindi,

presentato con brochure e grafici sulle caratteristiche e sui rendimenti

fino ad allora realizzati, ma soprattutto frutto di un impatto nuovo con

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un risparmiatore disinformato, tradizionale, timoroso e nello stesso

tempo sognatore, sospettoso di ogni novità che potesse in qualche modo

mettere a rischio il risparmio faticosamente accumulato, ma attratto da

rendimenti molto interessanti. Di fronte a questo difficile mercato, il

venditore di prodotti finanziari dei primi anni ’80 veniva reclutato e

successivamente addestrato, più che per conoscere il mercato

finanziario e l’offerta esistente dei prodotti bancari e postali, per

attrezzarlo con tecniche di vendita persuasiva particolarmente

aggressive (ad imbuto) che, in ogni caso, presupponevano un duro e

paziente lavoro di contatto con il mercato per ottenere un risultato. Una

palestra importante di vita e di relazioni, una dura selezione fatta dal

mercato, nella quale i più assertivi e professionali (oltrechè onesti)

hanno saputo forgiarsi ed hanno gettato le basi per una dimensione

professionale futura di grande utilità sociale ed economica. Pochi

“consulenti” a quel tempo possedevano uffici propri, le riunioni di

formazione venivano effettuate dai Manager negli alberghi ed il training

consisteva in ripetuti “role playing” per testare il livello di autonomia

del neo-reclutato ad affrontare il potenziale cliente da solo, senza il

supporto del supervisore di gruppo. Si analizzavano in sostanza le

tecniche per la telefonata (con l’unico scopo di avere un appuntamento),

per l’approccio iniziale (tendente a rompere il ghiaccio), per la vendita

dell’intervista (allo scopo di rilevare le principali esigenze del cliente e

la sua posizione finanziaria), per la successiva presentazione del

prodotto (in realtà erano inizialmente uno o due fondi comuni in forma

unica o attraverso Piani d’accumulo mensili) e soprattutto per il

superamento delle obiezioni necessarie per poi concludere la trattativa

con la firma della proposta di investimento. Importantissima in quel

contesto era poi, dopo la conclusione del contratto e l’inizio del

rapporto con il nuovo cliente, la richiesta di altri nominativi (conoscenti

e/o parenti) per alimentare delle referenze attive in grado di agevolare il

compito del consulente nel pianificare il suo lavoro di nuove telefonate

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ed incontri. Una programmazione del lavoro meticolosa, parcellizzata

sugli obiettivi di vendita, verificata attraverso incontri con il

supervisore ed il manager per la trasmissione degli obiettivi ( per lo più

quantitativi) e per la gestione delle motivazioni, sempre essenziali in

quel duro impegno commerciale. I guadagni dei “consulenti” migliori,

in compenso, erano molto buoni ed alimentati da incentivazioni e

contest molto ambiti, frutto di una politica retributiva che, partendo

dalle elevate commissioni di collocamento e d’acquisizione dei clienti,

nei primi anni d’attività non consentivano soste o rallentamenti nel

lavoro, ma bensì un costante sforzo verso il raggiungimento dei sempre

crescenti obiettivi assegnati della società mandante. Solo nel tempo si è

raggiunto un equilibrio fra le provvigioni di acquisizione e quelle di

mantenimento, quando le società presenti sul mercato hanno

incrementato l’offerta e la concorrenza per attirare a sé i migliori

consulenti, dando vita ad un progressivo miglioramento dei margini per

il mantenimento del portafoglio, che così rappresentava il miglior

incentivo verso una vera pratica di assistenza al cliente e di difesa dello

stesso dalla concorrenza del mercato.

Si iniziò a quel punto a parlare di offerta diversificata del consulente,

attraverso l’aggiunta di altri tipi di prodotti (polizze, certificati di

deposito, gestioni patrimoniali personalizzate, prodotto finanziari

atipici), frutto dell’innovazione delle case prodotto e talvolta degli

stessi “consulenti” che sapevano cogliere, attraverso il metodo costante

delle riunioni e laboratori di gruppo, i vantaggi espressi dalla creatività

dai singoli e dal desiderio di emulazione nei confronti dei migliori. Con

questo metodico lavoro individuale e di gruppo all’interno delle Reti di

vendita, si sono andate innovando sempre di più le tecniche di gestione

del cliente e del superamento degli ostacoli posti dai cattivi andamenti

dei mercati azionari e obbligazionari che concorrevano, in certe fasi,

alle cattive performance dei prodotti venduti.

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Una logica di marketing quindi, che passava dall’orientamento al

prodotto all’orientamento alle vendite in uno scenario caratterizzato

inizialmente da una domanda sostenuta con il concorso di una limitata

competizione tra aziende, con prodotti poco numerosi e con lunghi

cicli di vita, sulla selezione dei migliori venditori e sulla psicologia

della vendita (nel quale contesto aziende come Fideuram si sono

conquistate la leadership di importanti nicchie di mercato, fino a

raggiungere risultati di rilievo europeo nella gestione delle masse

finanziarie e nel numero di clienti). Un mercato che era ancora

sostanzialmente dominato dalla presenza di una pressoché assoluta

inerzia innovativa da parte degli Istituti Bancari tradizionali, i quali,

forti della loro presenza sul territorio, non operavano nessun tipo di

marketing, ma sfruttavano passivamente gli importanti spread che

ancora esistevano fra raccolta ed impieghi finanziari al fine di

presentare bilanci molto ricchi.

L’ambiente in cui, successivamente alla fase dell’orientamento al

prodotto, si sviluppa l’orientamento alle vendite, è contrassegnato da

una sopravvenuta (e via via sempre più intensa) competizione tra

aziende concorrenti. I prodotti ed i servizi messi a disposizione di una

clientela sempre più ampia, hanno cicli di vita più brevi, ma aumentano

nel numero e nel tasso di innovazione. La relazione tra domanda ed

offerta è in tendenziale equilibrio, ragion per cui si diffonde la

convinzione che non basti più semplicemente produrre per vendere e

che, di conseguenza, è necessario stimolare la clientela all’acquisto. Si

passa quindi dalla fase pionieristica della vendita dei prodotti finanziari,

ad una stagione dove le Banche escono dal loro letargo ed entrano in

competizione, spinte anche dai sempre più ridotti margini di

intermediazione e dal calo progressivo dei tassi di interesse per cui, con

i “vituperati” prodotti e servizi di innovazione finanziaria, fino ad allora

territorio esclusivo di poche Reti di consulenti, si avvia la rivoluzione

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del mondo del credito, verso l’offerta di “Risparmio gestito”in

alternativa ai tranquilli ma meno remunerativi Titoli di Stato.

Nascono così, con la Legge n° 1/91, nuove figure di operatori; si parla

da allora di Promotori Finanziari, di S.I.M. e la concorrenza nell’offerta

dei prodotti di risparmio diventa globale ed investe tutte le aziende di

credito,oltre alle più forti Reti di distribuzione sopravvissute alla

selezione del mercato.

1.3 La professione del Promotore finanziario partner della

Banca. L’ampliamento dell’offerta e la sua qualificazione.

Gli anni dopo la crisi del 1992 rappresentano un primo grande

cambiamento nel mondo del risparmio in Italia ed i Promotori finanziari

si avviano a diventare una figura di primo piano nel rapporto con le

sempre maggiori esigenze delle famiglie per la pianificazione del

risparmio. Ai fattori di natura demografica (progressivo invecchiamento

della popolazione) si aggiungono via via fattori micro e

macroeconomici (globalizzazione, politiche di rientro dai deficit

pubblici, abbassamento e successiva stabilizzazione dei tassi di

interesse, nascita dell’Euro) e fattori tecnologici (esplosione di internet,

innovazione nei software, infrastrutture tecnologiche); da essi prendono

spunto importanti fattori di cambiamento finanziari (evoluzione del

corporate, volatilità e correlazione dei mercati finanziari, sviluppo

mercati telematici, ingegneria finanziaria, finanza on-line).

Le SIM principali, come detto prima, si trasformarono in Banche-Reti;

alcune delle quali puntarono ad una presenza territoriale di “sportelli

leggeri” che affiancava la Rete dei Promotori fornendo i servizi tipici

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della filiale bancaria, altre puntarono su “banche virtuali”, ed il ruolo

dei P.F. si legò, attraverso mandati d’agenzia con l’azienda bancaria, ad

un tipo particolare di partnership nella quale il Promotore si impegnava

a sviluppare, assistere e presidiare la clientela dei risparmiatori con i

servizi, prodotti e strumenti tecnologici e logistici che l’Azienda

bancaria metteva a sua disposizione. Nascevano così reti d’Agenzie

territoriali ed Uffici di Promotori Finanziari in tutto il paese, ognuno dei

quali era attrezzato con ambienti, dipendenti, tecnologie adatte a

ricevere con la massima discrezionalità i clienti risparmiatori. Le reti di

distribuzione, attraverso le strutture manageriali, avviarono un

aggressivo programma di reclutamento (per lo più orientato a target

medio-alti di operatori degli uffici titoli e dirigenti di filiali del mondo

bancario territoriale) e nel contempo si iniziarono corsi di formazione

sempre più qualificanti (orientati alla professione del P.F, in

preparazione dell’esame Consob per l’iscrizione all’albo, sui prodotti

finanziari e sulle nuove tecniche di pianificazione finanziaria) .

La caratteristica principale di questo tipo nuovo di Partnership, che si

instaurava tra la Banca ed un sempre crescente numero di imprenditori-

professionisti (in quanto iscritti ad un Albo), era proprio la comunione

di interessi relativa alla gestione della risorsa principale comune, il

cliente risparmiatore. Addirittura il cliente poteva, in un certo qual

modo, far valere il proprio interesse in un’ottica di reciprocità con chi

ne curava i risparmi, in quanto la soddisfazione del cliente stesso

diveniva causa-effetto della redditività del promotore e della stessa

banca, in un ciclo virtuoso che tutelava il risparmiatore, oggetto di

un’attenzione che fino ad allora le tradizionali relazioni con le banche

non avevano potuto produrre. Solo in un’ottica di soddisfazione del

cliente, infatti, si poteva aspirare ad un passaparola favorevole (vero

strumento di marketing per il P.F.) e si poteva di conseguenza ampliare

senza grossi costi di ricerca, il proprio portafoglio clienti. Così in quegli

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anni si realizzò un’imponente crescita delle masse di risparmio da parte

delle Banche-Reti e la qualità della raccolta fu potenziata

dall’accresciuta offerta di prodotti di risparmio gestito ( fondi comuni-

gestioni patrimoniali- polizze previdenziali- polizze finanziarie) grazie

ad un’efficace politica di up-selling e di cross-selling operata dai

promotori sui portafogli dei risparmiatori.

Naturalmente vi erano, ed in parte vi sono tuttora, elementi che hanno

riportato invece a conflitti d’interesse fra Banche-Promotori e fra

Banche-Promotori-Clienti. Mi riferisco alle commissioni di

Management-fee ( mantenimento del portafoglio) derivanti dalla

retrocessione dalla Banca al P.F., di una percentuale delle commissioni

di gestione che il cliente paga sui prodotti di risparmio gestito, diventate

frutto di controversie e motivo spesso anche di reclutamento

“concorrenziale” di alcune reti nei confronti di altre. Così come motivi

di conflitto d’interesse talvolta sono state le politiche di budget di

alcune Banche-Reti nei confronti dei P.F., ai quali talvolta si è chiesto

di collocare determinati prodotti e la comunicazione si è soffermata su

elementi commerciali poco in linea con i veri interessi dei clienti, e

magari poco lungimiranti anche per gli stessi P.F.

Naturalmente gli elementi di discontinuità e di differenziazione, in

questo contesto, derivano, come in tutti i campi, dai differenti livelli di

professionalità, dall’etica che sovrasta i rapporti fra i tre soggetti

interlocutori e dalla cultura finanziaria con cui i soggetti stessi devono

fare sempre i conti in ogni specifico ambiente territoriale.

La partnership che lo legava alla Banca non impediva, anzi

valorizzava, la crescita in termini imprenditoriali del Promotore

Finanziario. Attraverso la propria creatività, la propria capacità

organizzativa e di programmazione, questi in generale è riuscito a

sviluppare in quegli anni una crescente redditività media, una maggiore

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stabilità professionale, un prestigio sociale sempre più elevato e

soprattutto oggi si può accreditare come una fra le professioni più

ricercate dai giovani per il futuro.

Quello che caratterizza il cuore della professione, oltre alle necessarie

doti personali di tenacia, assertività, organizzazione e capacità di

relazionarsi, sono le attitudini alla pianificazione. Ciò si ritrova nel

modo stesso di concepire la giornata tipica di lavoro del Promotore,

trascorsa a partire dall’informazione mattutina (rassegne stampa, notizie

specializzate, lettura di giornali finanziari, circolari aziendali), alla

periodica formazione sui prodotti e sulle novità del mercato, alle

telefonate per organizzare gli incontri con i potenziali clienti e con i

clienti in assistenza, alla preparazione meticolosa delle visite attraverso

piani di investimento personalizzati studiati al computer, alle visite a

domicilio o in ufficio a seconda del tipo di cliente, il tutto intervallato

da riunioni periodiche con il manager di rete o di gruppo per analizzare

dati di vendita e novità aziendali da presentare ai clienti.

Pianificazione che si ritrova poi nella logica sostanziale della

professione: quella del MbO ( direzione per obiettivi) che permea tutti i

gradini dell’attività bancaria e del P.F. Una logica che ha dato il senso

alla Struttura di Rete, creata dall’azienda bancaria per coordinare

l’attività di budget ed attuabile solo se la stessa filosofia è fatta propria

dall’ impresa di ogni singolo Promotore Finanziario. In quest’ottica gli

obiettivi, le ambizioni, le motivazioni principali, i successi del P.F.

concorrono al successo di una strategia unica dell’Azienda in tutte le

sue articolazioni di rete. Fondamentali nel fare la differenza quindi, in

positivo o in negativo, saranno tutti gli strumenti gestionali adottati

dalla struttura di rete verso le risorse umane (clienti interni = promotori

e clienti esterni = risparmiatori ) nel realizzare quel clima di comunanza

di obiettivi e di sinergie tipico delle organizzazioni di successo.

21

Pianificazione che, in fondo, rappresenta un po’ il salto di qualità anche

nel rapporto con il cliente di quegli anni ’90, nel momento in cui il

mercato finanziario italiano subiva quei cambiamenti che lo portava ad

avere caratteristiche simili a quelle dei mercati finanziari più evoluti:

bassa inflazione e bassi rendimenti dei titoli di stato. Per l’investitore

italiano era sempre più difficile orientarsi nel panorama globale, senza

seguire un “ metodo” e delle “ regole” che lo potessero guidare

efficacemente nella pianificazione degli investimenti . Le Aziende più

evolute di quegli anni svilupparono per i propri clienti strumenti di

gestione globale e personalizzata (Personal Financial Planning).

Attraverso le linee guida della Teoria del Ciclo di Vita di Modigliani, il

Promotore Finanziario cercava di attuare una Pianificazione Finanziaria

e Previdenziale del nucleo familiare del cliente attraverso le specifiche

esigenze di questi nel tempo, allo scopo di affrontare serenamente gli

eventi con la gestione dei risparmi accumulati o in via di formazione. A

tale fine era importante non solo individuare gli obiettivi che si

desideravano raggiungere nel tempo (educazione scolastica dei figli,

acquisto di una casa, rendita finanziaria, pensione integrativa ecc.), ma

anche definirne il loro ordine d’importanza. Tali obiettivi potevano

essere raggiunti diversificando opportunamente gli investimenti,

partendo dall’assunto che, nel lungo periodo e nei mercati finanziari

evoluti, l’investimento azionario genera crescite reali significative del

capitale, mentre l’investimento obbligazionario ed i titoli di stato

generano prevalentemente interessi che compensano l’erosione del

potere di acquisto. Per poter fare questo il Promotore, una volta

individuati gli obiettivi personalizzati del cliente, doveva valutare se i

capitali ed i flussi di risparmio posseduti avrebbero consentito di

raggiungere gli obiettivi prefissati e proporre eventuali adeguamenti;

oltre a ciò doveva definire globalmente la migliore combinazione di

strumenti da adottare per soddisfare tali esigenze (titoli, gestioni di

fondi, polizze ecc) e definire così la più “efficiente” ripartizione di

22

portafoglio che consentisse, con la maggior probabilità, di raggiungere

gli obiettivi individuati nel tempo dal cliente. Tutto questo,

naturalmente, tenendo conto delle attitudini al rapporto

rischio/rendimento percepito dal cliente. Il metodo poi era completato

con una seria attività di monitoraggio periodico e d’assistenza, al fine di

verificare gli scostamenti e le variazioni soggettive ed oggettive

derivanti da cambiamenti d’esigenze o dall’andamento dei mercati,

cercando di salvaguardare da eventuali congiunture sfavorevoli.

Il Promotore Finanziario, per utilizzare questo metodo, aveva in

dotazione una work-station integrata (PC, modem, stampante) che

consentiva il collegamento con il data-base della Banca/SIM per

l’aggiornamento automatico dei dati anagrafici, contabili e commerciali

della propria clientela, oltre ai valori dei principali indicatori di

mercato, grazie ad una serie di software sviluppati appositamente

(Sistema Informativo di Marketing). Questo permetteva al P.F. di

pianificare e gestire il portafoglio di ogni cliente e la propria attività

professionale in un’ottica di marketing sulla clientela potenziale ed

acquisita. In particolare il P.F. utilizzava il SIM per:

- programmare e controllare la propria attività commerciale in

relazione ai propri obiettivi;

- individuare opportunità di incremento della penetrazione

commerciale (cross-selling e up-selling);

- segmentare la propria clientela;

- verificare e pianificare il portafoglio del cliente per l’attività di

assistenza;

- pianificare i contatti e le visite con la clientela

- produrre grafici e tabelle di supporto all’attività commerciale e di

assistenza.

23

Nella borsa del P.F. non potevano mancare inoltre, come strumenti di

lavoro ordinari, una serie di brochure contenenti:

- una presentazione sintetica dell’Azienda mandante e della sua

mission;

- un’illustrazione del metodo adottato per pianificare (P.F.P.);

- depliants, sotto forma di Kit, riguardanti le caratteristiche dei

principali servizi e prodotti dell’Azienda con relativi supporti di

vendita;

- analisi dei mercati, delle varie performance della banca e della

concorrenza ed articoli interessanti di riviste specializzate come

supporto alle argomentazioni di vendita;

- vademecum fiscale recante spiegazioni di natura fiscale sui servizi

finanziari;

- gli “indirizzi di investimento” forniti dagli Uffici Studi della Banca

per orientarsi sulle scelte di asset class e di asset allocation dei

portafogli dei clienti;

- un osservatorio sui tassi di interesse con tabelle e grafici sulla

struttura dei tassi a livello mondiale.

1.4 Il caso Banca Fideuram : una leadership nel settore.

Fideuram è stata ed è tuttora la leader del mercato nella promozione e

gestione dei servizi di investimento alla clientela privata. Si può dire

che leader lo è sempre stata, fin da quando, Fiduciaria dell’IMI, per

prima nel 1970 attraverso l’attività di “porta a porta” collocava in Italia

i primi fondi comuni esteri Fonditalia e Interfund; lo era quando nel

1983, dietro anche la sua spinta e collaborazione, nacque la Legge che

in Italia istituì i Fondi Comuni di Investimento; dette il nome all’indice

finanziario di riferimento per i fondi comuni nel Paese; fu artefice del

24

primo “boom” degli investimenti finanziari nelle famiglie (di cui i

Fondi rappresentarono la vera locomotiva) nei successivi anni fino alla

prima crisi finanziaria di Wall Street del 1987; lo è stata poi quando,

nel 1992, interpretando i fondamentali cambiamenti nel contesto

finanziario, decise di trasformarsi nella prima Banca specializzata nel

risparmio delle famiglie, attraverso la fusione con la Banca Manusardi e

quotarsi alla Borsa di Milano. Nel 1996 entrava a far parte del Mib30,

l’elenco delle principali 30 società italiane quotate in borsa per

capitalizzazione; nel 1997 introduceva, anticipando la concorrenza

bancaria con un buon anticipo, un servizio personalizzato di

pianificazione finanziaria e previdenziale ad elevatissimo contenuto

tecnologico come il “personal financial planning ”, poi divenuto un

elemento di svolta con varie applicazioni nelle società di consulenza

finanziaria.

L’essere costantemente proiettata verso il futuro per anticiparne le

tendenze con una politica di innovazione non solo di prodotto, ma di

metodo e di relazione con il cliente, ha fatto di questa Azienda un punto

di riferimento da sempre per il mercato ed anche per la concorrenza la

quale, a più riprese, ha attinto dai suoi quadri manageriali e dai suoi

quadri di vendita, l’esperienza necessaria per favorire Start Up di nuove

società o per sviluppare progetti di crescita basati sul know-out della

leader.

Banca Fideuram costituisce tuttora un elemento di spinta e di

innovazione per il settore, proiettato sempre verso nuove sfide e

cambiamenti. Oggi la Banca è una Holding di cui fanno parte diverse

società in Italia e all’estero con presenze in Svizzera, Lussemburgo,

Irlanda e Francia relative a settori di Private Banking, Asset

Management e Distribuzione di Servizi retail. All’interno di

quest’ultimo si avvale di due Reti di distribuzione dopo la recente

acquisizione di San Paolo Invest che è andata ad affiancare la già

25

esistente Rete di Banca Fideuram. Dal 2006, dopo la fusione fra le

Società del risparmio gestito e previdenziale nell’ambito della

controllante San Paolo Imi, Banca Fideuram è controllata direttamente

dal Gruppo Eurizon e si appresta a partecipare all’interno dello stesso al

futuro progetto di fusione che costituirà il primo grande gruppo

bancario italiano ed il terzo a livello europeo, fra Banca San Paolo Imi e

Banca Intesa..

La caratteristica peculiare di Banca Fideuram è rimasta fino ad oggi

legata alla sua specializzazione nella produzione e nella gestione di

prodotti finanziari, che vengono distribuiti in esclusiva dai propri P.F.

(definiti Private Banker). Al 31/12/2005 la Società amministrava oltre

64 miliardi di € di attività, comprendenti i prodotti di risparmio gestito

della casa (fondi comuni, GPF, Polizze unit linked, fondi pensione),

certificati di investimento, titoli intermediati sui c/c della banca per

conto dei clienti, oltre ai Premi delle polizze assicurative e previdenziali

emessi dalle società prodotto.

Dal luglio 2004 Banca Fideuram ha ampliato ulteriormente la gamma

dei prodotti offerti ai clienti, mettendo a loro disposizione e

selezionando, con sofisticati software di ricerca, fondi comuni di

investimento delle più importanti case internazionali. La scelta di aprire

al Multibrand come stile di approccio gestionale all’interno dei

portafogli-clienti, ha rappresentato l’ulteriore evoluzione dell’offerta

che, partita appunto dalla vendita di prodotti finanziari generici, si è

sviluppata nel tempo verso gli asset class, la diversificazione per aree

geografiche di investimento, gli strumenti per investimento settoriali, i

fondi di fondi ed i fondi di terzi, guardando così sempre più alla

consulenza globale verso il cliente e meno agli interessi commerciali

stretti delle società prodotto integrate; ciò ha permesso di ulteriormente

diversificare e specializzare la gamma degli strumenti a disposizione

26

del P.F. nella pianificazione finanziaria del cliente e di avviarlo verso

una nuova fase di consulenza.

I clienti della Banca sono oggi circa 700.000, assistiti in esclusiva e con

un rapporto di esclusiva privacy dai 4150 Private Banker, 3111 dei

quali appartenenti alla Rete Fideuram e 1039 alla Rete S.Paolo Invest.

Questo modello di business garantisce flessibilità, rapidità decisionale e

grande capacità di adattamento alle condizioni di mercato che mutano,

anche in maniera radicale, sempre più frequentemente. Tale modello si

struttura su una piattaforma integrata con un governo unitario di

Gruppo, sulle due Reti autonome e distinte di P.B, che ha il compito di

formulare le strategie, allocare le risorse umane e finanziarie per il

perseguimento degli obiettivi ed esercitare i controlli. Dopo che

nell’ultimo biennio la strategia della Banca era stata principalmente

focalizzata, parzialmente a scapito della crescita dimensionale, sul

miglioramento del mix di prodotti e sulla generazione di valore, il 2005

si è presentato nuovamente come un anno di svolta. Con un nuovo

piano di crescita, il rinnovo della squadra manageriale e la collocazione

di Banca Fideuram all’interno del Polo Risparmio e Previdenza

(Eurizon Financial Group) creato dall’azionista di controllo, si è

iniziato a sfruttare appieno il posizionamento della Banca nell’industria

del risparmio gestito, ponendo le basi per una crescita qualitativa

sostenibile nel tempo, affiancata al mantenimento di una redditività

d’eccellenza (l’ultimo bilancio presenta un ROE semestrale al

36,8% ed un utile netto del primo semestre 2006 di € 123,6 milioni,

con un incremento del +27% sullo scorso anno).

Certi risultati sono frutto anche di importanti sinergie tra il servizio

capillare e personalizzato offerto ai clienti dai suoi P.F,. la presenza sul

territorio di 91 filiali bancarie “leggere”denominate P.E (punti di

erogazione) e di 257 Uffici dei Promotori Finanziari, a supporto

dell’attività degli stessi. La rete dei Private Banker è organizzata in aree

27

(attualmente otto) con l’obiettivo di potenziare il presidio del territorio

e lo sviluppo commerciale.Tale rete è articolata su 5 livelli piramidali:

-il Promotore Finanziario è il responsabile della relazione con la

propria clientela;

-il Supervisore ricopre il ruolo di trainer nei confronti dei neo-pf, che

rimangono sotto la sua supervisione per i primi 24 mesi di attività;

-il Regional Manager coordina l’attività commerciale e monitora la

realizzazione del budget delle risorse affidate. Coadiuva inoltre le

attività del Divisional Manager con un impegno mirato al reclutamento

di nuovi P.F;

-il Divisional Manager coadiuva l’Area Manager con particolare

attenzione allo sviluppo delle risorse affidate. Si dedica in particolare

alla formazione dei P.F;

-L’Area Manager sovrintende e coordina l’attività dei P.F. nella

propria area territoriale (di solito una o più regioni) e partecipa con

l’Azienda alla definizione delle azioni commerciali.

Essendo l’azienda una struttura dinamica ed in continua crescita, il

Promotore Finanziario che diviene in possesso di adeguate competenze

professionali e manageriali, ha la possibilità di accedere, nella struttura

di rete, a ruoli con più elevata responsabilità ed intraprendere la carriera

di gestore di risorse umane. Banca Fideuram, infatti, dispone di un

sistema interno di valutazione che garantisce il continuo monitoraggio

delle capacità necessarie a gestire il ruolo di manager. Tutti i ruoli

manageriali sono puntualmente supportati da uno specifico Training

Program.

28

Il Promotore di Banca Fideuram viene supportato, durante la sua

attività, dalla Struttura di Rete mediante un Piano specifico di incontri

articolato:

- Riunione Plenaria di Gruppo ( tenuta dal Regional Manager o dal

Divisional Manager ogni 1/2 mesi) per l’analisi dei mercati e dei

potenziali di sviluppo, per gli indirizzi di investimento trasmessi

dall’Azienda ed i relativi commenti, per l’analisi dei risultati della

produzione e le azioni consigliate da intraprendere.

- Incontri Individuali Supervisore/Promotore (ogni 7/15 gg.) che

sono una costante dell’attività nei primi 24 mesi perché rappresentano

un momento costruttivo di sostegno, confronto ed indirizzo oltre che di

analisi e verifica dei risultati e di accordo sulle azioni da intraprendere.

- Affiancamento del Supervisore al P.F. in modo da trasmettere

informazioni, conoscenze, tecniche relative alla Pianificazione

Finanziaria ed alla gestione della relazione con il cliente.

- Sales Meeting (tenuti dal Supervisore ogni settimana) consistenti

in incontri operativi di confronto e di raccolta di esperienze della

settimana e di simulazioni di situazioni tipiche cliente/pf.

- Incontri con i colleghi P.F. per scambi di informazioni e di

esperienze su clienti/tipologia di operazioni/formulazione di proposte di

investimento.

- Incontri Individuali Regional Manager/P.F. (ogni 1/2 mesi) in

cui si verificano insieme la situazione e le prospettive di sviluppo

dell’attività e della professione.

Il Training Program rappresenta una vera e propria “scuola di

formazione” in continua evoluzione per il Promotore Finanziario di

Banca Fideuram. Segue e affianca infatti le varie fasi che portano il

neo-promotore dall’inserimento in azienda alla crescita ed allo sviluppo

professionale. L’entità dell’impegno formativo e la qualità dei Corsi,

nei quali l’Azienda si fa spesso affiancare da partner primari come la

29

SDA Bocconi, consentono a ciascun P.F. di acquisire, sviluppare e

consolidare le competenze necessarie per gestire con efficacia la

propria clientela. Per ogni innovazione che viene introdotta, si

predispongono Piani formativi on line con un’apposita piattaforma E-

learning . Sempre con questo metodo i private banker possono

realizzare un percorso formativo in piena autonomia on-line

frequentando: corsi sulle novità legislative (Formazione ABI su D.Lgs

231/2001-Antiriciclaggio-Misure di Sicurezza-Privacy), corsi

nell’ambito dell’Iniziativa Patti Chiari a cui l’Azienda ha aderito (c/c a

confronto e obbligazioni a basso rischio), corsi sui prodotti finanziari e

assicurativi , corsi finalizzati al superamento dell’Esame Consob per

l’iscrizione all’Albo Professionale.

Solo nel 2005, ad esempio, sono state erogate complessivamente circa

56.000 ore di formazione fra interventi in aula e a distanza. Di notevole

importanza per la crescita professionale di ogni P.F sono poi i Corsi

gestiti a livello universitario per l’acquisizione di Master riconosciuti

con la Qualifica EFPA (European Financial Planner Adviser) in

modalità blended, ai quali l’Azienda contribuisce finanziariamente

nell’intento di accrescere lo spessore della rete dei P.F. e di prepararsi

ad un futuro selettivo per ogni attore del mercato.

Gli anni ’90 hanno rappresentato indubbiamente un momento di grande

crescita per il ruolo del Promotore Finanziario e per lo sviluppo delle

masse di risparmio gestito e amministrato delle Banche, anche e

soprattutto per le tecnologie messe a punto e per gli strumenti di

gestione delle relazioni con i clienti ( piattaforme on line per la

Pianificazione finanziaria dei portafogli-clienti). Ma sono stati anche

anni di contraddizioni fra offerta massiccia di nuovi servizi e

consapevolezza dei livelli di rischio da parte della clientela, di

confusione emotiva dovuta alla variabilità dei mercati ed alle ripetute

crisi finanziarie, culminate con i primi anni del nuovo secolo con un

30

crack dei mercati internazionali di portata storica. Soprattutto si sono

manifestati i primi segnali di disaffezione dei clienti verso il sistema

bancario in generale che, preso dagli obiettivi di crescita e di

posizionamento frenetico sul mercato, ha trascurato talvolta di prestare

la giusta attenzione alla sua risorsa principale, il cliente, ed alle sue reali

esigenze ed aspettative di servizio.

In questo nuovo contesto di sfida Banca Fideuram sta operando un

cambiamento profondo di tipo strategico. In una fase, caratterizzata

sempre più da una riduzione dei margini di interesse delle banche, dei

margini unitari di prodotto, da una maggior attenzione da parte dei

clienti al rischio, c’era la necessità di creare elementi distintivi aziendali

che andassero sempre più nell’ottica della “Consulting” sul modello

della Merrill Lynch americana: una Rete di moderni Advisors nella

selezione dei prodotti, nella pianificazione finanziaria e previdenziale,

nell’asset allocation, nella consulenza fiscale. Da qui la scelta di

potenziare il ruolo dei P.F. della Banca Fideuram verso la clientela

Affluent e Private, nella gestione integrata della ricchezza familiare con

soluzioni personalizzate e supportando i clienti in modo

“indipendente”a 360°. Dunque una vera e propria Rifocalizzazione

sull’Advisory, nella quale il focus non sia più sulle performances

storiche dei principali assets o prodotti (utilizzo della frontiera

dell’efficienza dei portafogli usata negli anni ’95-’05 ), quanto piuttosto

sul controllo della volatilità (misurazione del rischio), sull’intensità

delle loro variazioni e sulla complessità dei fattori che ne spiegano in

termini semplici il trend.

La forza della relazione del P.F. con il cliente non potrà che iniziare con

l’ascoltarne attentamente i bisogni e valutarne l’emotività. La volatilità

dei mercati aumenta inevitabilmente gli aspetti emotivi del cliente e, di

conseguenza, oltre a quella sulle scelte di investimento, anche quella

sulla scelta del partner finanziario.

31

Se oggi la Rete dei P.F. di Banca Fideuram eccelle nelle capacità

tecniche e professionali legate alla gestione del risparmio dei clienti ed

in quelle relazionali, dovrà necessariamente migliorare nell’attitudine a

“servire il cliente” e a fornirgli assistenza su più fronti, nel far precedere

tutto ciò da un adeguato Percorso Formativo e da un Approccio

Metodologico, ma soprattutto nel rendere coerenti i sistemi di

guadagno/incentivazione con l’obiettivo di Wealth Management che

vuole realizzare, attraverso nuovi investimenti, riorganizzazioni e

indipendenza da conflitti di interesse.

32

Capitolo 2

L’era della complessità

2.1 Il “boom” dei mercati e la crisi storica di inizio 2000.

Conseguenze nel rapporto di fiducia fra clienti e sistema

bancario.

Se gli anni ’90 hanno rappresentato il massiccio e rapido passaggio di

ingenti asset di risparmio, prima allocato in “comodi e sicuri” Titoli di

Stato, verso forme più complesse di Risparmio Gestito ( le banche

tradizionali per la verità hanno concentrato questo passaggio in

pochissimo tempo a differenza di quelle “specializzate” che avevano

iniziato questo percorso già da tempo), i primi anni del nuovo millennio

hanno subito fatto percepire quanto tale “passaggio storico” fosse stato

sottovalutato nelle possibili conseguenze. In effetti questa storica

operazione di trasferimento di asset, gestita attraverso un forte

orientamento alle vendite degli operatori bancari, più che da una

risposta alle poco percepite esigenze dei clienti, si è realizzata nella

maggioranza dei casi in presenza di un’insufficiente cultura finanziaria

della grande massa dei risparmiatori (pensionati e famiglie) sui rischi

legati alla volatilità dei mercati, sull’assenza di una vision di lungo

periodo legata al concetto di risparmio gestito e in una fase di

vertiginosa crescita dei prezzi azionari . Ciò ha provocato, come sempre

accade, una rincorsa all’emulazione della performance da parte di una

massa di investitori che, allettati da guadagni crescenti sui mercati

azionari e sui fondi comuni, non hanno impiegato molto tempo a

trasferirvi i loro risparmi, come le Banche suggerivano. Addirittura in

molti casi vi è stata la richiesta diretta agli sportelli bancari di semplici

ed inesperti risparmiatori, insoddisfatti dei rendimenti in calo dei Bot,

che però hanno finito inesorabilmente per acquistare strumenti ad alto

33

contenuto azionario a prezzi altissimi e nel momento in cui il boom

stava per lasciare spazio alla più lunga, difficile ed intensa crisi

finanziaria avvenuta sui mercati di tutto il mondo dai tempi del 1929.

Tutto questo ha lasciato nel settore e, in generale, nel mondo dei

risparmiatori, dei segni che, a tutt’oggi, per molti clienti rappresentano

ferite da rimarginare, e non solo per le perdite ancora non riassorbite,

ma soprattutto per il senso di sfiducia generalizzata e per la disaffezione

verso il mondo bancario che si è diffusa indistintamente. Possiamo dire

che nella propensione all’investimento finanziario delle famiglie è stato

compiuto un passo indietro di dieci anni. Naturalmente questo

fenomeno ha prodotto, come tutti i cambiamenti, dinamiche nuove (non

sempre innovative) nell’offerta dei servizi finanziari. Innanzitutto un

ritorno di ingenti asset verso la liquidità e verso gli investimenti

immobiliari; sul fronte dell’offerta finanziaria però si sono presentati

anche strumenti di forte richiamo come il prodotto Banco Posta, il

nuovo conto corrente postale a cui faranno seguito strumenti di

risparmio e di previdenza che, attraverso Poste Italiane, alimenteranno

una maggior concorrenzialità nel settore dei servizi bancari . Così come

nasce il nuovo super- reclamizzato Conto Arancio di Ing., servizio di

liquidità che rispolvera, in chiave rinnovata di marketing, il conto-

deposito semplice e sicuro. Nello stesso tempo si fa strada con forza

l’offerta di conti e di trading on-line da piattaforme che sfruttano

l’innovazione tecnologica come elemento di fidelizzazione dei clienti

fai da te.

Un vero e proprio sconvolgimento ambientale, insomma, nel quale un

po’ tutti gli operatori si sono trovati a fare i conti con un cliente di tipo

nuovo.

Anche il Promotore Finanziario, in quanto imprenditore, ha dovuto

ripensare il suo modo di essere, di porsi sul mercato, di progettare il suo

34

ruolo di partner con l’Azienda in un’ottica diversa, in questo aiutato

dalla svolta che le principali Banche –Reti hanno dovuto intraprendere

nell’attenzione verso il cliente, verso il suo mantenimento e quindi

verso un Marketing meno improntato alla redditività di breve periodo e

più alla Retention di lungo periodo.

Un cliente di tipo nuovo che peraltro, dopo il boom ed il successivo

sboom di inizio anni 2000, ha dovuto vivere sulla propria pelle,

direttamente o indirettamente, anche gli scandali delle varie Cirio,

Parmalat e dei colossi mondiali come Argentina ed Enron, i cui crack

si sono ripercossi sul mancato rimborso ai risparmiatori dei bond andati

in default . Un cliente che, dopo la fuga verso la qualità, si è comunque

trovato davanti al sempre più emblematico ed irrisolto problema: come

affrontare le incertezze e la complessità dei mercati finanziari, sempre

più disorientanti, per difendere i propri risparmi faticosamente

accumulati?

E’ necessario fare un passo indietro per capire intanto, al di là

dell’imponderabile o dell’irrazionale che molto ha influito in quegli

avvenimenti e degli errori e/o negligenze di natura tecnica ed etica

commessi da molteplici soggetti (analisti, operatori bancari, organismi

di controllo, organi di governance societari ), quelli che per esempio

sono stati i principali limiti che hanno in parte condizionato il rapporto

di fiducia fra clienti e operatori del mondo creditizio, con riferimento

specifico al ruolo del P.F.

Si è già detto delle importanti innovazioni di prodotto, di servizio e di

processo introdotte negli ultimi anni dello scorso secolo dalle aziende

bancarie specializzate per aggredire la propria clientela retail e private

(Sistema Informativo di Marketing, Personal Financial Planning,

segmentazione della clientela e nuovi prodotti specifici per ogni

segmento), ed attuare così il trasferimento verso il Risparmio Gestito

35

dai Bot amministrati. Ciò non avrebbe rappresentato di per sé

un’operazione impropria né inadeguata se non si fosse scontrata, nella

stragrande maggioranza dei casi, con una cultura finanziaria propria di

un Paese arretrato, vissuta sul debito pubblico, fondata sul concetto del

risultato “certo”, misurabile nel breve periodo, con cedole di interessi

elevati da far concorrenza a qualsiasi altra forma di investimento di

reddito variabile. Soprattutto una cultura finanziaria che non aveva mai

dovuto misurarsi con la volatilità dei mercati, con l’informazione

specializzata fino ad allora dormiente e di nicchia, con l’assoluta

mancanza di network a parlare di risparmio se non per addetti ai lavori

o per clienti pionieri dell’innovazione. E poi il rapporto con la Banca,

fino ad allora un tabù nell’ambito della sicurezza e della solidità (ne

sanno qualcosa i vecchi promotori che si contendevano minuscoli

segmenti di risparmio nei primi anni ‘80 con i colossi bancari). Si è

pensato insomma che le innovazioni potessero passare nella testa di

quel tipo di risparmiatori per il solo fatto che a proporle ed a

“venderle” erano gli stessi soggetti che da anni vivacchiavano

tranquillamente sulla massa dei clienti tranquilli sui titoli di stato a

lucrare rendite free risk, oppure nuovi soggetti talmente preparati e

credibili da far vedere a breve il “sogno”che ogni cliente si aspetta

sempre di realizzare.

Il “Nuovo Marketing”, negli intenti strategici orientato al cliente, ma

con ancora troppa operatività di orientamento alle vendite ed al

prodotto, alle prime difficoltà era già entrato in crisi.

Un vecchio slogan del Promotore Finanziario di Banca Fideuram citava

“guadagnamo solo se guadagnate voi”, ed era rivolto ai clienti per

presentare l’innovativa scelta di una Banca che, nel 1992, fu la prima a

specializzarsi nella gestione integrata del risparmio. Operare per

rendere attuale anche oggi quello slogan significa mettersi di nuovo in

discussione partendo dai limiti e dagli errori che anche degli specialisti

36

possono commettere: questo è oggi il compito prioritario di una Rete di

professionisti che voglia mantenere la leadership!

Partire per esempio dalle contraddizioni che si possono creare quando si

interpreta il rapporto triangolare di partnership fra cliente-P.F.-banca

in un’ottica di “rigidità” sul raggiungimento di obiettivi, che in teoria

dovrebbero essere comuni per realizzare un vero rapporto di fiducia e di

fedeltà, ma che a volte possono divergere invece sul piano della logica

temporale. Nello specifico di quel periodo, si trattava per esempio di

gestire con maggiore flessibilità e con un’ottica diversa la dicotomia

fra la cultura verso l’investimento (di per sé legato al medio-lungo

periodo) e la Pianificazione Finanziaria, affatto presente in un cliente

generalmente abituato alla logica della rendita di breve periodo, rispetto

agli obiettivi di budget dell’intermediario finanziario che producevano

soluzioni di investimento (fondi comuni, GPF, Polizze Unit Linked ) i

cui benefici erano legati ad una necessaria vision di lungo periodo, ma

che rappresentano redditività immediata ed anche differita sia per il

promotore che per la banca (commissioni di acquisizione e di gestione).

In questo purtroppo hanno giocato anche delle rilevazioni di esigenze

del cliente non realmente percepite dallo stesso o rese poco palesi, a cui

si è talvolta risposto con soluzioni non adeguate per il reale profilo di

rischio del cliente. E’ evidente come i fenomeni avvenuti abbiano in

certi casi prodotto pesanti elementi di insoddisfazione e di mobilità di

vaste fasce di clientela da una banca all’altra.

Una soluzione ai limiti ed alle contraddizioni di questo tipo deve essere

messa al centro, proprio a partire da un’ottica di recupero del rapporto

con il cliente, da parte del promotore finanziario che voglia adottare un

diverso approccio al Marketing sul proprio portafoglio . Tale risposta

può essere anzitutto basata su un tipo di segmentazione del portafoglio

ed una diversificazione di approccio ai clienti che sia per tipologia dei

37

benefici ricercati e nella focalizzazione sul ciclo di vita del portafoglio

clienti.

2.2. Il Cliente “al centro”. Segmentazione dei portafogli

basata sulla tipologia dei benefici ricercati e sulla qualità

della relazione.

L’elemento forse più importante nelle strategie di marketing di un

Promotore finanziario è l’analisi del proprio Portafoglio clienti

attraverso vari criteri di lettura.

Questo aspetto richiama la complessità e la specificità di ogni singolo

cliente, ogni singola area geografica ed ogni ambiente socio-culturale in

cui egli vive e dovrebbe servire a ricordare che i segmenti, in realtà, non

esistono in natura: esistono gli individui, ognuno con i propri bisogni

(ai vari livelli della scala gerarchica masloviana), con le proprie

esigenze(spesso latenti), atteggiamenti, preferenze, comportamenti

d’acquisto. E’ vero che l’ambiente in cui si vive spesso condiziona e

influenza tali peculiarità, ma è pur vero che la segmentazione adottata,

il voler in qualche modo raggruppare questi individui, è un modo con

cui le aziende tendono a ridurre la complessità del mercato di

riferimento per avere un orientamento quanto più stabile possibile al

fine di organizzare la propria attività per raggiungere i propri obiettivi.

Tanto più la segmentazione dei clienti sarà efficace nel realizzare gli

obiettivi gestionali, tanto più sarà riconosciuta valida.

Ma se in questa fase storica, sopratutto per un impresa di consulenza

finanziaria, diventa prioritario il ricreare un legame di fiducia con il

cliente, mantenendo il giusto focus sulla redditività dalla quale non

possiamo prescindere nel medio e lungo termine, si deve allora porre la

38

massima attenzione a quale tipo di classificazione (cluster) approdare e

da quale metro di valutazione partire per attuare le necessarie strategie e

scelte operative. Ecco che, nel rapporto fra Banca mandante e

Promotore finanziario, l’orientarsi sic et simpliciter su parametri di

segmentazione che genericamente suddividono i clienti in funzione

organizzativa, sulla base della RFA (ricchezza finanziaria amministrata)

o in funzione geo-demografica o ancora sulla base dei comportamenti

di utilizzo dei servizi bancari, potrebbe rappresentare una

sottovalutazione delle specificità dei clienti, quando ognuno di essi, in

realtà, sente il bisogno di un rapporto di contatto “ unico” con il suo

gestore di risparmio.

Il P.F. ha bisogno di utilizzare la segmentazione del portafoglio per poi

offrire il miglior servizio al cliente, guardando al suo ambito socio-

economico specifico, alla cultura finanziaria che lo distingue ed al

conseguente livello di comunicazione a cui far ricorso, all’esperienza in

materia di investimenti dello stesso, all’orizzonte temporale a cui tende

per ogni sua esigenza specifica, creando barriere competitive tali da

costituire condizioni di monopolio inattaccabili

Poi,infine, puntare all’obiettivo del wealth management.

In questa prospettiva la segmentazione è davvero il presupposto della

differenziazione dell’offerta e sta alla base dell’innovazione di prodotto

e di processo. Se questo è vero, è evidente che un criterio di

clusterizzazione è tanto più efficace quanto più è originale e quanto

meno può essere replicato nel breve periodo dalla concorrenza, ma

poiché lo stesso, quando ha successo, viene inevitabilmente imitato, il

suo vantaggio competitivo è purtroppo limitato nel tempo e si può dire

che l’utilità che genera ad ogni azienda ha uno specifico ciclo di vita.

Ecco perché, poi lo vedremo, il ciclo di vita del criterio di

39

segmentazione di successo, ha una sua propria correlazione con il ciclo

di vita del Portafoglio Clienti dell’impresa.

Abbiamo prima accennato a quanto influiscono le peculiarità dei clienti

sulla percezione delle loro scelte di investimento. E’ ormai ampiamente

dimostrato come gli individui non agiscono seguendo i principi

economici razionali, ma sono influenzati dalle loro esperienze passate,

dalle loro credenze, dal contesto, dal formato di presentazione delle

informazioni e dall’incompletezza informativa frequente nei contesti

reali (Kahneman e Tversky, 2000). Una possibile spiegazione fa

riferimento al fatto che gli individui avrebbero delle risorse cognitive

limitate che in molte occasioni li costringono a semplificare lo spazio

del problema, che sarebbe altrimenti ingestibile perché eccessivamente

complesso (Simon,1982). Un’altra spiegazione fa invece riferimento al

fatto che le scelte delle persone sembrano essere governate da

atteggiamenti e valutazioni affettive piuttosto che da preferenze

economiche basate sul calcolo dell’utilità attesa (Kahneman, Ritov e

Schkade, 1999). Quello dei mercati finanziari, per esempio, è uno dei

settori economici in cui maggiormente si evidenzia la mancanza di

razionalità, tanto è vero che il loro andamento è spesso descritto

utilizzando termini come euforia, depressione, disillusione o addirittura

irrazionalità (Shiller, 2000). Da un’analisi sempre più comprovata di

questi aspetti che concernono la Psicologia dei mercati finanziari, si è

fatta strada, negli addetti ai lavori, la necessità di spiegare

scientificamente il modo in cui gli individui appunto utilizzano le

sempre maggiori informazioni dei media per prendere le loro decisioni

di investimento.

La Teoria del Prospetto di Kahneman e Tversky (1979-2000),ad

esempio, si è dimostrata particolarmente efficace nell’analizzare il reale

comportamento di acquisto dei risparmiatori di fronte ad un diverso

modo di presentare un servizio. Poggiando sulla constatazione che gli

40

individui valutano ogni possibile esito di una decisione sulla base di un

punto di riferimento (status quo) quale può essere per esempio la loro

situazione attuale al momento della decisione di cambiamento (es. il

cliente che aveva fino ad allora solo effettuato acquisti di Titoli di

Stato), la Teoria spiegherebbe che gli individui si comportano in modo

differente quando sono messi di fronte a possibili guadagni o a possibili

perdite; nel primo caso sono più avversi al rischio di nuovi tipi di

investimento, mentre nel caso di possibili perdite essi sono propensi ad

assumersi dei rischi aggiuntivi. Non solo, ma diversi altri studi hanno

anche dimostrato che le persone pongono maggior enfasi su risultati

codificati come perdite piuttosto che su risultati codificati come

guadagni (Slovic, 1987). Olsen (1997) infine ha dimostrato che gli

investitori definiscono il rischio degli investimenti come il pericolo di

ottenere dei risultati inferiori ad un obiettivo prefissato che è stato

utilizzato ( come sostiene la Teoria del Prospetto) come punto di

riferimento per valutare la resa degli investimenti fatti in precedenza.

Altri studi correlati, poi, hanno dimostrato che gli investitori

preferiscono tendenzialmente attività finanziarie con bassa volatilità e

quindi con ritorni più contenuti, ma sicuri, quando sono posti di fronte

ad uno scenario di possibile guadagno e che i consulenti finanziari

hanno la tendenza a scegliere investimenti con diverso grado di rischio

a seconda dell’orizzonte temporale con cui i clienti desiderano ottenere

il rendimento prefissato; vengono scelti titoli o fondi con bassa

volatilità quando l’orizzonte temporale è breve e titoli con volatilità più

elevata quando l’orizzonte è a lungo termine. Di per sé non si tratta di

una strategia scorretta, tuttavia i clienti hanno spesso una bassa

tolleranza alla variabilità dell’andamento dei titoli e dei mercati. Perciò

essi non sono particolarmente disposti ad investire su servizi più volatili

e quindi più rischiosi solo perché il loro orizzonte temporale è a lungo

termine.

41

Il problema è che talvolta questo aspetto non viene focalizzato a

sufficienza nel contatto fra cliente e Promotore/Banca..

E’ anche guardando a queste considerazioni che diventa essenziale

assumere, nel rapporto con il proprio portafoglio-clienti, un ventaglio di

atteggiamenti nuovi che abbiano come denominatore comune quello

dell’attenzione al cliente-individuo, con le proprie convinzioni, i propri

atteggiamenti e a ciò che in realtà percepisce del contesto in cui si trova

per decidere dei suoi risparmi.

Non sarà tanto importante quindi, classificarlo come cliente massa,

affluent o private, bensì adottare un metodo, facilitato dalle ripetute

occasioni di contatto, che consenta di utilizzare le informazioni di

profilatura di ogni specifico cliente ai fini di una segmentazione per

benefici ricercati, identificando così un profilo ideale di preferenze con

cui misurare il proprio posizionamento competitivo e le azioni di

risposta. Certo che da solo, questo metodo, non può essere sufficiente a

risolvere le problematiche di redditività, che difficilmente potrebbero

essere pianificate; il collegamento con i risultati attesi, non solo in

termini di costi, ma anche di ricavi, è indispensabile per fornire alla

Banca elementi utili per decidere su quali segmenti di preferenze sia

utile intervenire nella fase di produzione di servizi .

Ma da qui occorre partire: dal capire ogni cliente, dal saper comunicare

con lui utilizzando un sempre più analitico Sistema Formativo di

Relazione, dal non anteporre i propri obiettivi di vendita a quelli che lui

realmente percepisce essere i propri obiettivi, dall’avere una forte

attenzione alla psicologia del cliente, dal cercare con lui un “vero

rapporto”.

Un rapporto è correlato in genere ad un atteggiamento. Una persona o

un gruppo sente di “avere qualcosa in comune con un altro”. Qualunque

42

sia la natura di questo collante, non dovrebbe essere possibile

scioglierlo facilmente. Non si tratta di una sensazione che si sviluppa

dal nulla però: il Promotore finanziario deve conquistarsela.

Il Rapporto si conquista in base al modo con cui si attua il Marketing

dei Rapporti, come sostiene Gronroos. Il professionista dovrebbe creare

processi di interazione e comunicazione tali da facilitare un rapporto,

ma è il cliente, non lui, a decidere se si è instaurato un rapporto vero

oppure no.

Intanto dobbiamo partire da un aspetto fondamentale: il cliente ha un

vissuto con la Banca e con il Promotore finanziario che ne determina il

suo livello di fiducia. Come noto, infatti, esistono determinati eventi (“i

momenti della verità”) i cui esiti determinano lo stato di fiducia che il

cliente ha con il suo referente d’affari. Una vendita effettuata ad un

cliente che è in “posizione positiva” con la banca/pf sarà una vendita

semplice (in quanto egli “crede” in quel rapporto). Una vendita

effettuata invece ad un cliente in posizione di “indifferenza” o, peggio

ancora, di “negatività”, non sarà così semplice e potrebbe addirittura

comportare un ulteriore deterioramento della relazione ed avviare un

sotterraneo, lento e inesorabile processo di multibancarizzazione e, in

ultimo, di chiusura/inattività dei rapporti. Una ricerca effettuata da

Mckinsey nel 2004 sui “momenti delle verità” della clientela ha

empiricamente dimostrato questo pattern comportamentale. Un ulteriore

elemento di complessità nella valutazione del rapporto, è data dal

livello di multibancarizzazione del portafoglio clienti, che chiaramente

non è dato conoscere completamente dalla pura analisi dei dati rilevati

dal SIM. Le interviste possono rilevare se un cliente è multibanca o no,

ma difficilmente possono definire, per ogni cliente, la propria “share

pocket”con esattezza. Valutare, quindi, il livello di relazione del cliente

e la sua “share of pocket” con la banca/pf, diventa un cruciale criterio di

segmentazione della clientela.

43

Tavola 1.

Segmentazione della clientela in base alla qualità della relazione (%del

totale della clientela)

4

zona a “rischio”

10-20 %

3

zona “ideale”

10- 15 %

5

zona “pericolo”

10-20 %

1

zona di

“equilibrio

instabile”

40-60 %

2

zona “fertile”

10-15 %

Alta (>80%)

Media (50-80%)

Bassa (<50%)

Rabbia Sfiducia

Fiducia passiva

Fiducia

Soddisfazione

INTENSITA’

DELLA

RELAZIONE

(SHARE OF

POCKET)

NUMERO

INDICE

QUALITA’ DELLA RELAZIONE

Sulla base di alcune esperienze concrete, verificate su portafogli tipo

dei P.F., il quadro che ne emerge è simile a quanto si evince in Tav.1:

solo una piccola parte di clienti è pronto ad accettare con favore ed

attenzione una proposta commerciale, mentre la maggioranza della

44

clientela si posiziona o su un profilo di “fiducia passiva” o addirittura

peggio. E’ chiaro che, in questa situazione, l’hit rate delle vendite non

sarà particolarmente elevato.

Anche questo tipo di segmentazione presenta da un lato il vantaggio di

dare una fotografia della clientela “a tutto tondo” e non basata sulla sola

interpretazione dei dati interni al SIM che, per quanto sofisticata questa

possa essere, fornisce un quadro solo parziale della situazione e non

coglie gli aspetti più “soft” (come ad esempio la qualità della

relazione). Tuttavia, il valore di tale metodo di segmentazione sta

nell’introduzione di un differente approccio alla vendita, caratterizzato

da un processo più “maieutico”, meno aggressivo, ma più sostenibile

nel medio lungo termine, caratterizzato da:

- capire in quale quadrante sta il cliente; il che implica conoscerlo a

fondo ed instaurare una relazione, superando le semplificazioni ed i

pregiudizi che portano a cercare un rapporto solo con i clienti di fascia

alta di RFA.

- per ciascun quadrante adottare uno stile di vendita differente, che

tocchi le giuste “corde” e vada alla radice della comprensione delle

cause della multibancarizzazione. In sintesi : definire approcci

commerciali specifici in funzione del cliente che si ha davanti.

In questo la segmentazione di cui sopra è il “kick off” di un lungo

processo di trasformazione dell’approccio commerciale del P.f. che può

spingerlo ad intraprendere una nuova ondata di miglioramento della

performance commerciale e di incremento della produttività, passando

dal recupero della fiducia personale dei clienti e acquisendo così

benefici sostenibili nel tempo. In tavola 2 viene esemplificato un

possibile approccio commerciale per ciascuno dei segmenti visti sopra.

Se ne deduce che l’approccio tradizionale di vendita si applica solo ad

una ristretta porzione di clienti. Per la stragrande maggioranza di questi

45

lo sviluppo commerciale darà risultati meno immediati, ma più di lungo

periodo.

Possibile approccio commerciale per Segmento del Portafoglio-Clienti

Segmento “zona pericolo” : conoscere a fondo il cliente, comprendere bene le motivazioni di

insoddisfazione della relazione, ammettere preventivamente un servizio non adeguato/errori.

Valutare potenziale di recupero della relazione. Non effettuare alcuna iniziativa commerciale.

Instaurare iniziative di marketing di contatto.

Segmento “zona a rischio”: conoscere meglio il cliente, effettuare azioni di contatto di pura

relazione. Informarlo su alcuni movimenti del suo conto o sull’andamento dei mercati finanziari.

Non effettuare alcuna iniziativa commerciale.

Segmento “zona di equilibrio instabile”: effettuare azioni commerciali di lungo periodo. Fare

emergere i bisogni e fare in modo che il cliente richieda di sua spontanea volontà il

servizio/prodotto. Adottare tecniche di vendita maieutiche dopo 2-3 incontri preliminari:

Segmento “zona fertile”: valutare il potenziale disponibile e discutere apertamente dove la

banca è inferiore alla concorrenza e come si potrebbe rimediare. Effettuare una vendita come

invito al recupero di ruolo di “partner primario”.

Segmento “zona ideale” : Effettuare la vendita in modo “tradizionale”.

Tabella 2

Abbiamo così introdotto alcuni elementi di fondo sui quali costruire una

strategia innovativa di intervento sul Portafoglio di un P.F..L’obiettivo

è il recupero e /o il consolidamento del rapporto di fiducia con il

proprio cliente in una precisa fase storica nella quale “complessità” fa

rima con evoluzione continua, crescita della consapevolezza, ma anche

del disorientamento della clientela. C’è sempre più bisogno di tradurre

in modo semplice e trasparente al cliente la complessità dei mercati,

riuscendo a canalizzare altresì le caratteristiche dei prodotti/servizio

coerentemente con ogni singola esigenza espressa.

46

Se analizziamo i limiti forse più evidenti manifestati dalla prima

applicazione dei programmi di Personal Financial Planning, negli

anni dal 1997 al 2000, questi si caratterizzavano come una soluzione

unica ai bisogni, guardavano ad un obiettivo target, vi era sicuramente

un concetto di rischio poco marcato ed erano applicati dalle reti di

vendita con supporti formativi inadeguati. Oggi i moderni strumenti di

Pianificazione Finanziaria non possono non basarsi su dei Processi

strutturati e iterativi, facendo perno sull’utilizzo di concetti di

rischio/rendimento applicati ad personam ed alla selezione degli

strumenti più adatti a rispondere alle esigenze specifiche e temporali del

cliente.

2.3 Il Modello di Marketing individuale. L’analisi dei

bisogni attraverso il ciclo di vita del risparmio.

Abbiamo già accennato alla Teoria del Ciclo di Vita elaborata dal

Premio Nobel Franco Modigliani e dal collega Albert Ando. Questa

consente ai P.F., nell’interazione con i clienti, di capire meglio quali

possono essere le fasi del risparmio ed i relativi bisogni da soddisfare

lungo il ciclo della vita di un soggetto. Permette di organizzare, di

conseguenza, un modello di marketing individuale che abbiamo visto

essere reso necessario dalla complessità che stiamo vivendo nel campo

finanziario.

47

Tab 3 Il Modello di Marketing Individuale

Il Modello del Marketing Individuale (Tab.3) affronta il cliente e il

mercato in due momenti e con due componenti diverse: i modelli di

investimento ed i sistemi di interazione. Questi blocchi trovano la loro

coerenza:

- attraverso la corretta costruzione di percorsi di decisione per il

cliente;

Modelli di

investimento

Piano

personalizzato

del cliente

Sistema di

interazione

Il percorso

decisionale Cliente

Mercato

coer

enza

48

- nel rapporto tra sistema di interazione e modelli di investimento, che

porterà alla creazione di un Piano personalizzato.

Tra il modello di investimento ed il cliente ci deve essere un sistema di

interazione che, quale che sia il canale utilizzato, consenta di assumere

delle decisioni di investimento. In altre parole: non basta un motore di

investimento che assicuri la massima efficacia (raggiungimento

probabilistico del risultato perseguito) e la massima efficienza ( con il

minimo di risorse); per arrivare a una soluzione, e dunque al giusto

prodotto, coerente con l’esigenza dell’investitore, occorre disporre di

un imput che permetta di definire, in termini qualitativi e quantitativi, le

coordinate dell’esigenza stessa e di produrre così un Piano

personalizzato. Il percorso decisionale presenta due aspetti: di

contenuto e di sistema.

Il contenuto definisce l’ambito di operatività del sistema dato dalle

esigenze dell’investitore, le quali devono essere codificate in linguaggio

“naturale”, cioè nel linguaggio del cliente e del suo quotidiano; dunque

dei fini (acquistare casa, sostenere il tenore di vita ecc.) e non dei mezzi

(gestione professionale, performance ecc.). Per tale scopo è funzionale

adottare come riferimento il modello del ciclo di vita.

Il sistema di decisione deve invece supportare l’investitore a prendere le

decisioni seguendo le sue inclinazioni circa il grado di coinvolgimento

desiderato tra totale delega e totale personalizzazione: un processo che

si adatti continuamente agli input che l’investitore via via fornisce.

Il punto di partenza , per l’analisi dei bisogni, non può che essere

l’oggi: per poter affrontare il futuro con serenità, ogni lavoratore

dovrebbe infatti pensare da oggi a come proteggere dagli imprevisti il

reddito, i consumi ed il patrimonio, per sé e per i propri cari. La

protezione del proprio reddito personale interesserà i soggetti privi di

famiglia o con famiglie e affetti economicamente autosufficienti; la

protezione del patrimonio e del reddito dei familiari interesserà i

49

capifamiglia e comunque chi ha la responsabilità del tenore di vita dei

propri conviventi. Assicurare bene il carico alla stiva è condizione

necessaria per poter abbandonare il porto con animo sereno: l’esigenza

è quindi nello stesso tempo immediata e tale da coinvolgere ogni fascia

d’età e ogni individuo. Inizia qui il viaggio del proprio denaro. Prende

avvio dalla riflessione su come creare e gestire le risorse per il futuro,

investendo al meglio: investire al meglio significa modellare gli

investimenti in funzione del proprio ciclo di vita; la creazione del

patrimonio interesserà soprattutto i soggetti più giovani; mentre la

gestione del patrimonio riguarderà soprattutto i soggetti in età più

avanzata e tutti coloro che, di fatto, un patrimonio lo hanno già

costituito.

La terza fase inizia con la definizione di obiettivi di vita: acquistare

casa, provvedere all’educazione e all’istruzione dei figli, realizzare il

sogno di un’attività autonoma sono alcuni degli obiettivi principali,

tipici e spesso irrinunciabili, che il cliente risparmiatore si propone di

raggiungere nelle varie fasi del ciclo di vita. Obiettivi che hanno in

comune la necessità di costituire in un tempo determinato un

capitale finale, con il minimo di risorse iniziali. Infine, quando

l’attività lavorativa termina, ci si avvia verso un lungo tempo di

pensionamento nel quale è necessario mantenere un tenore di vita

adeguato, avendo come obiettivo che il denaro non finisca… prima

della fine della vita. E’ il tema della gestione della longevità, cioè della

pianificazione pensionistica.

Il ciclo di vita può essere descritto mediante le classi di esigenze che

accompagnano il tempo della vita. Ed ecco una prima scoperta: tutta la

vita economica è riconducibile a poche classi di bisogni che

esauriscono qualsiasi esigenza economico-finanziaria legata al ciclo di

vita di un risparmiatore e degli eventuali familiari. La prima è la tutela

della propria capacità economica e della serenità dei propri cari,

perché gli imprevisti possono capitare dall’oggi al domani. La parola

50

guida delle prime fasi della vita economica è tutelare. Il senso è che, per

poter affrontare il futuro con serenità, bisogna innanzitutto proteggere il

reddito ed il patrimonio, cioè rimuovere le ansie derivanti dai rischi

immediati. La protezione riguarda anche la trasmissione ereditaria della

ricchezza e dei frutti del proprio lavoro accumulati; da qui una

particolare cura per la pianificazione successoria.

Risolto il problema più immediato, si pone il tema delle risorse

finanziarie sulle quali costruire il proprio futuro ed eventualmente

quello dei cari. Non sempre tuttavia le risorse sono finalizzate ad uno

scopo specifico: la vita di un risparmiatore comprende anche riflessioni

e decisioni rivolte a creare e gestire il proprio risparmio per il futuro,

semplicemente. Proseguendo sulla strada della semplificazione,

tuttavia, si deve notare come alcuni temi, ad esempio l’acquisto della

casa e lo studio dei figli, racchiudono sotto diverse destinazioni un

unico tipo di processo, che consiste nella finalizzazione del risparmio e

del patrimonio al raggiungimento di un obiettivo di vita quantificato in

termini temporali ed economici; raggruppare temi simili è dunque

possibile ed efficace per adeguarsi in particolare al linguaggio del

cliente, e la sintesi porta a evidenziare come qualsiasi obiettivo

economico possa racchiudersi in una delle fasi seguenti,

cronologicamente sequenziali e coerenti con il ciclo di vita:

un individuo nasce con un deficit di reddito che qualcun altro deve

colmare; al crescere dell’età tendono ad aumentare il suo tenore di vita

ed i consumi; termina la propria esistenza in fase calante, in

corrispondenza di quel pensionamento che inizia intorno ai 60-65 anni e

conduce fino ad età avanzatissime grazie al prolungamento della

longevità.

51

Tabella 4 Classificazione del tempo di vita per bisogni.

2.4 Il Marketing del Promotore Finanziario. Diagnosi e

pianificazione del portafoglio clienti con l’obiettivo della

redditività di lungo periodo.

Senza dubbio chi inizia oggi la professione del P.F. si trova ad

affrontare un contesto ben più complesso e competitivo di chi iniziava

pensando alla vendita come l’unico vero volano della propria impresa.

Le tecniche di vendita oggi sono state sostituite da tecniche di

Obiettivi/età 30 40 60

Obiettivi definiti

Costituzione scorta monetaria

Acquisto casa

Rimborso debiti

Educazione figli

Sostegno dote figli

Disponibilità da allocare

Incremento standard di vita

Accumulo previdenziale

Imprevisti

Previdenza e tutela

Tutela familiari

Mantenimento tenore di vita

52

relazione; il marketing, solo negli ultimi anni, e non sempre dobbiamo

dirlo, è un elemento presente nella formazione dei professionisti della

consulenza; gli strumenti della pianificazione e la conoscenza dei

prodotti finanziari sono importanti, ma non possono rappresentare da

soli il bagaglio tecnico che oggi un P.F. è chiamato ad arricchire per

incontrare un successo duraturo nel tempo. Fare marketing rappresenta

sempre più un elemento essenziale. Ma anche su questo occorre fare

una precisazione. Non di un marketing “tout court” che replica, nello

stesso modo, il metodo della definizione della strategia a monte

integrata dal marketing mix e che stabilisce con certezza percorsi

virtuosi, quali ad esempio il “successo”, lo sviluppo della quota di

mercato o l’acquisizione dei clienti. Credere che il Marketing abbia una

formula evergreen è sbagliato. La motivazione risiede nella velocità

con cui il settore finanziario si sta evolvendo. Occorrono quindi

innovazioni e forme originali di marketing per puntare ad obiettivi

definibili di successo in questa professione. Basti pensare al fenomeno

dell’ipercompetizione, che sposta continuamente in avanti il livello di

offerta e, di conseguenza, innalza il livello di soddisfazione attesa dalla

clientela (che sta perfettamente al gioco del “più a meno”), che riduce i

margini (comunque sempre sufficientemente elevati se paragonati con il

resto d’Europa) e sposta l’attenzione più sulla conquista del cliente che

sul suo effettivo appagamento. C’è bisogno di un nuovo tipo di

Marketing, quindi, con il quale l’impresa che punta a crearsi un

portafoglio di clienti soddisfatti, fedeli e che soddisfano di conseguenza

nel tempo le aspettative reddituali del professionista, possa farsi notare

rispetto alla concorrenza, farsi apprezzare per l’approccio differenziale

che riesce ad avere. Il farsi notare, la comunicazione quindi, oggi può

essere il paradigma vincente, l’asse intorno al quale ruotano tutti gli

altri meccanismi del marketing mix . Analizziamo brevemente quello

che di nuovo sta emergendo a proposito delle variabili classiche del

marketing, in questo settore specifico.

53

- Il Prodotto (la qualità percepita/diversificazione dell’offerta).

Nel prodotto da sempre rientrano le fasi del ciclo di vita e tutti gli

elementi relativi alle linee dello stesso, alla sostituzione di nuovi

prodotti, alla pietrificazione, alla maturità innovativa. Oggi questi

concetti si legano a quello di qualità, intesa non come quello che

l’azienda è in grado di fare, ma come ciò che il cliente desidera

ricevere.

- Il Prezzo (il valore per il cliente).

Il prezzo è sempre stato sinonimo dei “metodi per la determinazione

del prezzo”, ovvero: imitazione del leader, studio del margine di

contribuzione, teoria del mercato (domanda/offerta) e del valore

percepito dal cliente. Oggi l’accezione totale del valore va intesa come

valore olistico che il cliente ricerca, non l’ammontare di denaro che

scambia per ottenere un determinato servizio. I fattori intangibili

(tranquillità, sicurezza, semplicità, servizio, notorietà, immagine)

stanno diventando nel settore finanziario più importanti di quelli

tangibili (prodotto, assistenza, costi).

- La Politica distributiva ( i canali e la virtualità)

La distribuzione oggi non si limita più alla scelta fra canale indiretto

(breve e lungo) e diretto, ma si assiste alla trasformazione epocale data

dalla virtualità dei canali attraverso il telefono, internet ed altri

approcci a distanza.

- La Pubblicità (la comunicazione integrata).

La pubblicità, da sempre intesa come variabile istituzionale (esterna,

insegne luminose, giornali, radio, tv, media, oppure sotto la linea,

marketing diretto piuttosto che telemarketing), oggi è diventata

comunicazione integrata. Essa considera contemporaneamente sia il

mix di pubblicità volta verso l’esterno, che quella volta verso l’interno.

Diventa infatti fondamentale comunicare ai collaboratori quali siano

valori, visioni, linee guida.

54

Tutto ciò non annulla il vecchio concetto di marketing, anzi lo

evidenzia ed attualizza.

Analizzando per esempio il Portafoglio clienti di un Promotore

Finanziario, si vede che, a seconda dell’attenzione e della tipologia che

i clienti si aspettano dalla stessa, il marketing deve essere più o meno

evoluto. Chi però si adagia sulle vecchie scelte, chi rimane fermo,

seppur ad un successo del passato, è destinato a chiudere o a

vivacchiare fino all’insuccesso. E’ oggi obbligo realizzare sempre un

marketing “up to date”, un marketing alla moda, “fresco di giornata”,

che cambia, che evolve nelle sue piccole componenti, ma che non si

distacca dalla sovranità e dalla centralità del cliente.

Fare marketing per un P.F. vuol dire essenzialmente lavorare intorno ad

una continua diagnosi della propria risorsa principale: il Portafoglio

Clienti e poi pianificare la propria attività partendo da una

classificazione degli obiettivi prioritari, legandoli al ciclo di vita del

rapporto con i clienti stessi.

Volendo qui analizzare gli obiettivi di un’impresa che ha già un

portafoglio consolidato nel tempo e che quindi non si trova nella fase di

start up, e perciò obbligato a rivolgere quasi tutti i suoi sforzi per la

fase di acquisizione dei clienti, dovremo partire dall’analizzare quelle

che sono da considerare le Aree di Criticità da presidiare. In modo

schematico possiamo individuare le seguenti aree, da analizzare

attraverso il Sistema Informativo di Marketing, uno strumento sempre

più dinamico da implementare con le informazioni interne ( interviste

ai clienti) ed esterne (dati e notizie della Banca , aggiornamenti, indici

di riferimento ecc.).

- Soddisfazione –Fiducia dei clienti ( livello di ripetitività delle

transazioni- retention media del portafoglio)

- Clienti attivi – passivi nel passaparola (referals)

55

- Costi (tempi di acquisizione, di assistenza e mantenimento)

- Cross selling ( grado di diversificazione prodotti )

- Up selling ( livello di sensibilità al prezzo )

- Età media del portafoglio ( anagrafica clienti- ciclo di vita del

cliente)

- Contribuzione ( rapporto fra commissioni di gestione e di

sottoscrizione )

- Redditività degli stocks di risparmio ( rapporto fra risparmio gestito

e amministrato)

- Rischiosità del portafoglio ( asset class del portafoglio)

- Immobilizzo e rotazione del portafoglio prodotti (rapporto fra

strumenti a breve-medio termine e strumenti a medio-lungo

termine)

- Piramide del risparmio ( pianificazione risorse per aree di bisogno)

- Rotazione e ciclo di vita del portafoglio ( indice di rotazione clienti

nuovi, riassegnati e persi ).

Guardare quindi, come abbiamo anticipato prima, al connubio stretto

fra mettere al centro il cliente, con i suoi bisogni e le esigenze

specifiche da soddisfare, con la ricerca di una redditività sostenibile nel

tempo, significa tendere a mantenere in perfetto equilibrio il Portafoglio

clienti in un’ottica di ottimizzazione dei fattori considerati chiave e che

si possono così individuare e analizzare brevemente:

1) La soddisfazione del cliente è la premessa del successo ed il primo

scalino per rimanere competitivi in un contesto di saturazione del

mercato e di concorrenza aggressiva come l’attuale. Nel successivo

capitolo vedremo come dovrebbe articolarsi l’attività di un

professionista nel ricercarla e nel trasformarla in fedeltà prima ed in

fidelizzazione poi, livelli obiettivo a cui far tendere i propri clienti. E’

ovvio che nella customer satisfaction occorre investirci (costo

temporale del corteggiamento, dell’acquisizione e soprattutto

56

dell’assistenza post-vendita) con un’ottica non di breve termine nella

vendita di un servizio finanziario, poiché potrà in seguito risultare

determinante sia per la redditività di transazioni ripetute nel tempo che

per la rendita prodotta dalla fedeltà.

2) Il tempo da dedicare al cliente è un fattore da monitorare e da

pianificare, proprio per la scarsità di questa risorsa fondamentale. Nel

classificare la clientela dovremo perciò non trascurare i diversi livelli di

impegno che comportano segmenti diversi in funzione di atteggiamenti

personali del cliente verso il servizio di consulenza finanziaria, di stili

di relazione, di disponibilità verso la delega, di informazione e

consapevolezza, di bisogno di rapporti umani ecc. , ma soprattutto in

funzione delle strategie adottate dall’impresa nel predisporre un piano

personalizzato di “Marketing di contatto”, suddiviso fra le fasi diverse

della ricerca del cliente, della sua acquisizione e del processo di

mantenimento, tenendo conto di una stima ormai consolidata

statisticamente, per cui il costo di acquisizione di un cliente nuovo è

circa 5 volte superiore al costo di mantenimento di un cliente esistente.

3) La diversificazione dei prodotti/servizio è un fattore che indica, da

un lato, l’innalzamento di maggiori barriere intorno al cliente e

dall’altro una ripetuta disposizione del cliente stesso alla soluzione di

più esigenze e quindi ad una progressiva fedeltà. Ma per il settore della

consulenza finanziaria, la diversificazione rappresenta soprattutto una

maggior sicurezza e minore volatilità del portafoglio servizi del cliente

stesso, il quale sarà normalmente meno soggetto all’andamento, anche

psicologico, di un unico mercato o di un unico prodotto. Fare cross

selling quindi è uno dei principali elementi di pianificazione

dell’attività del P.F.. La diversificazione poi, quando va nella direzione

dell’up selling, significa che il rapporto con il cliente ha intrapreso la

strada giusta in un’ottica di redditività, poiché si opera con una minor

sensibilità al costo del servizio da parte del cliente, che percepisce il

valore aggiunto della consulenza, dell’assistenza personalizzata e

57

dell’attenzione a lui rivolta dal P.F. ed è disposto ad acquistare servizi a

più alto contenuto di valore ( tipico l’esempio del cliente che, partendo

dal c/c bancario, inizia progressivamente ad usufruire di servizi

aggiuntivi specifici come le carte di credito, l’accredito di stipendi e

pensioni , l’addebito utenze, e poi accetta di affrontare esigenze via via

più complesse come un fondo pensione per la previdenza integrativa,

una gestione patrimoniale per l’accumulo delle risorse nel tempo ecc.).

4) La soddisfazione del cliente si misura anche in relazione al grado di

attività-passività dello stesso nel fornire referenze di nuovi clenti e nel

passaparola, elemento di fondamentale importanza nella crescita della

quota di mercato di un P.F. A questo obiettivo bisogna però lavorare,

nello specifico prestando un’attenzione peculiare al cliente che si

dimostra soddisfatto della relazione e dei risultati ottenuti con il P.F.

Tale cliente è certamente da inserire nella prima fascia della

segmentazione ideale del portafoglio, poiché è quello che rappresenta la

più importante risorsa di sviluppo in un’ottica futura, specialmente se il

P.F. riuscirà a gratificarlo con le più ricercate leve di fidelizzazione. Per

il cliente ancora passivo da questo punto di vista, dopo un’analisi

attenta delle specifiche motivazioni da rilevare con un’intervista aperta

( insoddisfazione latente, riservatezza, poca predisposizione al

passaparola), si tratta di intraprendere iniziative di marketing specifiche

che forniscano dei vantaggi specifici al cliente, nell’ambito delle sue

aspettative ricercate. Investire molto, quindi, in questo aspetto, è un

utile attività che favorisce la rotazione produttiva del portafoglio verso

una redditività di lungo periodo.

5) La rotazione del portafoglio, intesa proprio come attenzione

all’equilibrio del ciclo di vita dello stesso. Equilibrio che si deve

sostanziare sia nella miglior composizione media, per età anagrafica,

dei clienti ( ottimale sarebbe un portafoglio con età media intorno ai 40-

45 anni, che coincide con il massimo momento di accumulazione del

risparmio di un lavoratore), sia come flussi di turn-over tendenti ad una

58

durata di retention del cliente mediamente crescente. Questa

rappresenta nel tempo la più importante area da presidiare (perché la

più lungimirante). Gli strumenti da utilizzare in tal senso sono, oltre a

quelli della qualità del servizio per il mantenimento del cliente,

dell’innovazione, e del rapporto (partnership con il cliente), quelli del

marketing indirizzato verso le nuove generazioni di clienti (innanzitutto

i figli ed i nipoti dei clienti stessi), ma anche verso nuovi segmenti di

mercato potenziale, da attrarre con iniziative specifiche di

comunicazione, sponsorizzazione, pubblicità, utilizzo dell’internet

marketing e degli sms telefonici, in linea con i gusti e le tendenze delle

nuove generazioni. Promuovere servizi specifici per un cliente di nuova

generazione significa non solamente attenzione alle esigenze di questa

fascia (Mutui prima casa, carte di debito, bancomat gratuiti per studenti

universitari, finanziamenti per master scolastici o corsi all’estero), ma

anche parlare la “stessa lingua”, colpire con la fantasia dei sistemi di

comunicazione e cogliere in anticipo i sogni di questa generazione di

clienti del futuro. Anche qui si tratta di investire, puntando non ad una

redditività che difficilmente potrà venire nel breve da queste tipologie

di transazioni, ma guardando oltre, al rinnovamento di un parco clienti

che sta invecchiando e che, al momento della trasmissione ereditaria

delle risorse finanziarie in gestione, non potrà trasferire anche la

fedeltà, senza che questa non sia viceversa acquisita prima con pazienza

e lavoro sui beneficiari di nuova generazione della stessa.

6) Un’importante area da monitorare per il P.F. è rappresentata dal

rapporto fra le commissioni di acquisizione e di gestione nel fatturato

prodotto; in pratica fra l’attenzione alla redditività prodotta dalle

transazioni sui nuovi servizi collocati a clienti (nuovi acquisizioni e/o in

assistenza) ed alla remunerazione che la banca mandante storna al P.F.

per l’attività di mantenimento del patrimonio gestito alla clientela.

Essendo quest’ultima parte delle commissioni di gestione che i clienti

versano direttamente alla banca nel corso della vita di un prodotto

59

gestito ( Fondi comuni, GPF, Fondi di fondi, Polizze Unit Linked ed

altro) l’equilibrio, che deve certamente tendere al rafforzamento della

componente “fissa” del Portafoglio, non deve però mai trascurare la

visione fondamentale, legata alla soddisfazione del cliente e quindi al

giusto mix di prodotti-servizi in grado di affrontare adeguatamente le

sue esigenze, le sue aspettative, le sue attitudini e propensioni verso il

rischio-volatilità dei prodotti in gestione. Non si dovrà mai scambiare

insomma l’esigenza di una maggiore redditività e stabilità di guadagno

di un Professionista a scapito degli stessi valori ricercati dal cliente,

specie se ritenuto strategico. Qui sta a volte il senso delle contraddizioni

e dei conflitti di interesse che si possono aprire fra il P.F., la Banca ed il

Cliente: e qui si vede il diverso senso di chi opera con una visione, non

solo etica, ma anche di lungo respiro della professione e chi invece

guarda al breve, con una logica di miopia professionale sicuramente

perdente in un contesto ambientale di questo tipo.

7) La stessa considerazione va fatta, nella composizione del portafoglio

di un P.F.,fra i prodotti di risparmio gestito (più redditizi, ma

mediamente più volatili e da valutare in ottica di lungo periodo) e di

risparmio amministrato (depositi di c/c, titoli di stato, obbligazioni,

titoli azionari, pct ecc.). La giusta Asset allocation del Portafoglio,

globalmente inteso fra i clienti di un P.F., determina quindi sia il livello

di redditività dello stesso, sia il livello di volatilità-rischiosità

complessivo ed orienta verso considerazioni di vario tipo il

professionista che desideri puntare al mantenimento di un cliente nel

lungo periodo piuttosto che alla massima incidenza dell’utile nel

contingente. Certamente, a prescindere dalle considerazioni precedenti

sull’etica e sulla “vision” di periodo, vi è la forte necessità di operare

per favorire una crescita culturale dei clienti, orientandoli a soddisfare

esigenze di lungo termine con gli strumenti più adeguati (risparmio

gestito) piuttosto che con quelli che mirano solo una alla “disponibilità

60

immediata” del denaro, ai quali spesso tende il risparmiatore medio

italiano, specie dopo ogni ciclo negativo dei mercati finanziari.

In quest’ottica va presidiato il Portafoglio anche sotto il profilo

dell’eccesso di risparmio “immobilizzato” o a forte componente di

gestito azionario e di polizze, contro l’eccesso opposto di liquidità e/o

disponibilità garantita da titoli a breve, depositi in conto, pct, e altri

strumenti molto liquidi ma poco redditizi sia per il cliente che per il

promotore. Anche qui l’equilibrio deve essere ricercato a partire da una

giusta allocazione delle risorse in funzione soprattutto della Piramide

del risparmio, lo strumento che meglio degli altri rimanda ai diversi

bisogni del cliente ed alla selezione delle priorità ( liquidità, riserva ,

investimento, previdenza, extra-rendimento, protezione economica) con

servizi adeguati che li soddisfano in una dimensione temporale e di

rischiosità specifica. La Piramide è il driver del processo commerciale e

rappresenta il benchmark a cui tendere, permettendo il controllo

costante sull’effettiva allocazione del portafoglio rispetto alle strategie

scelte.

2.5 Dal Private Banking al Wealth Management, verso la

“ consulenza oggettiva”.

Abbiamo già introdotto in precedenza il concetto di Private Banking

quando, dagli inizi degli anni ’90, certi Istituti di Credito si sono

avvicinati con divisioni specifiche ad una fascia di clienti più facoltosi e

bisognosi di un servizio particolarmente personalizzato.

Una definizione di private banking potrebbe essere infatti quella in cui

lo si interpreta come “ l’offerta di servizi personalizzati e di elevata

qualità ad un numero limitato di clienti con grandi disponibilità e

bisogni finanziari complessi”.

61

Abbiamo anche fatto l’esempio di Banca Fideuram che, come target di

riferimento, ha scelto proprio la clientela di fascia medio-alta per

implementare la sua offerta di consulenza attraverso la sua Rete di

promotori finanziari.

In realtà il termine private banking dovrebbe comprendere al suo

interno un tipo di servizio che difficilmente in Italia fino ad oggi è stato

erogato da parte del sistema bancario tradizionale, ma che sempre più si

sta affermando come una nuova importante frontiera competitiva. I

servizi predisposti per la clientela con patrimoni finanziari elevati ( a

partire da € 500.000), non dovrebbero essere solo di investimento, ma

abbracciare un certo numero di attività di questa fascia di famiglie

target, spaziando dal tax planning ai servizi di finanziamento, dai

servizi previdenziali- assicurativi alla gestione del patrimonio

immobiliare, dalla consulenza su opere d’arte a quella su altri beni di

lusso (preziosi, vino pregiato). L’idea è quindi quella di offrire un

ventaglio di servizi, il più completo possibile, finalizzato alla

soddisfazione di tutte le esigenze della sfera finanziaria del cliente,

proponendosi in questo modo come consulente di fiducia del cliente

stesso. Da qui nasce l’importanza per la cura della relazione, vista come

elemento distintivo di questo servizio.

Oggi in Italia, riportando i dati di recenti ricerche svolte per conto

dell’Aipb (Associazione Italiana Private Banking), ci sono oltre

700mila famiglie di questa fascia di patrimoni ( esclusi immobili,arte,

preziosi) per un patrimonio globale stimato di oltre 780 miliardi di euro,

rispetto ai 740 miliardi del 2004. I capitali di questo target sono dunque

in aumento. In quanto alla tipologia, il 98% delle famiglie Hnwi (High

net worth individual, la parte più ricca di popolazione) si concentra

nella fascia più bassa, compresa fra 0,5 milioni e 5 milioni di euro. Il

2% si colloca nella fascia intermedia fra 5 e 50 milioni e solo lo 0,1%

ha un patrimonio che supera i 50 milioni. Il polo principale è costituito

dalla Lombardia dove, essendovi prodotto il 20,8% del Pil, si concentra

62

invece il 25,9 % dei capitali investiti, principalmente nella piazza

milanese. Il Lazio e l’Emilia rappresentano le altre due regioni più

importanti per destinazione degli investimenti superiori al Pil prodotto.

Ciò vuol significare che la tendenza ad investire anche fuori della

regione di appartenenza è un fenomeno importante che prelude a scelte

basate sulla professionalità e sul consolidamento degli operatori

presenti su certe piazze, con strutture, organizzazione e risorse umane

più sofisticate ed attrezzate pronte anche ad attrarre una mobilità

interregionale dei capitali. D’altra parte è ben noto il fenomeno dell’off

shore che ha visto per anni i nostri capitali in fuga verso l’estero, in

direzione di Banche specializzate e con una esperienza di decenni in

materia . In Italia, secondo una fotografia del settore scattata lo scorso

anno dal centro studi Magstat di Bologna, la fetta più consistente dei

patrimoni, pari a 291 miliardi, è gestito dalle banche italiane che hanno

una divisione interna di private banking; seguono, ma con una porzione

ridotta pari a 42,3 miliardi di asset in gestione, le banche specializzate

italiane, poi con 41 miliardi, arrivano le banche d’affari straniere. In

crescita è anche la quota di mercato gestita dalle reti di promotori

finanziari con strutture ad hoc per il private, mentre più che un

raddoppio sull’anno precedente hanno fatto registrare le strutture di

family office, segno chiaro di come le famiglie di super-ricchi siano

sempre più alla ricerca di strutture di gestione esclusive, focalizzate

solo su un patrimonio o sul patrimonio di una cerchia ristretta di

famiglie.

Il numero di clienti private è ovviamente molto inferiore a quello dei

clienti retail : ciononostante sono molte le banche che già affollano il

ricco ma piccolo segmento private. Lo scenario è destinato a diventare

ancor più competitivo con un conseguente calo della redditività e la

necessità di grossi investimenti per battere la concorrenza. Le pure

private banks stanno investendo grandi somme nell’asset management e

nel settore della consulenza d’arte, sulla pianificazione fiscale e

63

successoria, sugli aspetti legali e societari, sulle transazioni

immobiliari; ciò è possibile creando professionalità interne, ma

soprattutto dando vita ad alleanze e partnership con istituzioni

specializzate nei singoli segmenti di attività. A livello strategico si

aprono nuovi scenari e la competizione per assicurarsi clientela top

diventa quindi trasversale lungo una molteplicità di settori che prima

erano alleati nel fornire servizi e prodotti integrati verticalmente e

orizzontalmente proprio verso la clientela top.

Il grande interesse per il private banking è da ricercarsi nella reale e

potenziale redditività ottenibile da questo particolare tipo di clientela,

che può portare un rilevante contributo al conto economico di molti

operatori, basandosi sulle caratteristiche del nostro paese ( assai

superiore alla media europea nella produzione di risparmio, in ritardo

per quanto riguarda lo sviluppo potenziale connesso al grande business

dei Fondi Pensione e con un tessuto di piccola e media impresa che

supporta la creazione di ricchezza in modo ancora molto diffuso).

Ciò che particolarmente ci interessa nella nostra analisi è rilevare

come, alla nozione di Private Banking, si collega un “modo di essere e

di fare banca” del tutto particolare, caratterizzato da personalizzazione

del prodotto-servizio offerto, livello di servizio elevato e orientamento

all’eccellenza nella produzione delle migliori soluzioni alle

problematiche finanziarie dei clienti, in un’ottica di gestione finanziaria

globale. Ciò richiede una particolare modalità di relazione tra

l’intermediario ed il cliente comunemente indicata con l’espressione di

“relationship banking”, cioè di esercizio dell’attività bancaria sul

fondamento di una relazione forte, duratura e multifunzionale con il

cliente. Diversamente, il retail banking si caratterizza per un’offerta

centrata sull’efficienza delle transazioni e non sulla relazione con la

clientela. Si sviluppa infatti, in questo secondo tipo di servizio, una

strategia competitiva che, attuando una segmentazione di clientela

64

fondata sull’uniformità dei bisogni, offre un prodotto-servizio, nella

maggior parte dei casi, standardizzato; si parla in questo caso di

“transaction banking”.

Dal confronto risulta molto evidente che l’attività proposta alla clientela

di elevato standing è diversa dall’offerta per il pubblico retail fin dalle

sue basi. Gli operatori di private banking, così come del resto i

promotori finanziari per il loro portafoglio, sono lontani dalla logica

della mass customization sulla quale invece si basa l’odierna attività

bancaria al dettaglio, orientandosi verso servizi tailor made costruiti su

misura. Il cliente tipo, ha oggi esigenze più sofisticate rispetto al

passato, che richiedono, quindi, sempre maggiori competenze ed

esperienza nel costruire tali soluzioni ad hoc. Il modello del private

banking è quindi orientato al cliente ed al soddisfacimento dei suoi

bisogni. Per un operatore di private banking e per un promotore

finanziario diventa così fondamentale avere un’opportuna delimitazione

della propria base clienti ed una conoscenza chiara di ognuno dei loro

bisogni per affinare l’offerta seguendo i distinti segmenti di mercato.

Oggi infatti il private banker o relationship manager non si misura più

tanto e solo sulla capacità di avere un grande portafoglio o clienti

facoltosi al seguito, ma lo si valuta sul servizio che è in grado di offrire,

perché è su quello che i big del settore possono fare la differenza nei

prossimi anni. Le persone con un’esperienza adeguata per diventare

davvero dei private banker oggi sono poche; non basta segmentare la

clientela e creare dal nulla una divisione dedicata con prodotti

sofisticati ed un’offerta ampia, magari riconvertendo alcuni bancari nel

campo dei titoli al nuovo ruolo, per vincere la sfida con le aziende

straniere che da tempo sono attive nel settore. Tutti gli operatori della

distribuzione si stanno convertendo alla consulenza, ma la differenza la

faranno ancora una volta gli uomini più preparati.

Il ruolo primario che il private banker ricopre nella relazione con il

cliente lo rende un asset importante per tutti gli operatori presenti sul

65

mercato. Egli è quindi fondamentalmente un professionista che deve

poter essere indipendente da pressioni commerciali, deve rappresentare

per il cliente un reale problem solver e non apparire come gestore o

venditore di prodotti finanziari; deve essere una figura professionale

completa in possesso di elevate ed ampie competenze sul piano

relazionale, tecnico e consulenziale. In certi casi si va appunto

affermando e diffondendo un modello organizzativo che prevede il

private banker come gestore virtualmente esclusivo della relazione,

nella veste di relationship manager, affiancato da uno staff di

specialisti che egli stesso coordina nel servizio al cliente.

Gli aspetti cruciali sui quali poggia l’attività di private banking

dovrebbero essere sempre presenti all’operatore e ben visibili al cliente

in ogni momento della relazione: il livello di personalizzazione, la

fiducia e l’affidamento totale del cliente al suo interlocutore, la

riservatezza che connota la relazione professionale, la trasparenza

assoluta nel rapporto.

Abbiamo già visto che i clienti private sono diversi e più sofisticati

rispetto ai clienti retail tradizionali. Dall’analisi del profilo di rischio

nascono quindi sentieri che portano alla scoperta degli aspetti rilevanti

del comportamento e del carattere o delle abitudini della clientela per

superare le vecchie logiche di prodotto o di asset class ed evolvere

verso la logica delle strategie e degli stili di investimento. Questi

richiedono una conoscenza approfondita sia del carattere che del

comportamento della clientela al fine di evitare potenziali conflitti o

insoddisfazioni. Dalla strategia di vendita quindi si sta passando ad una

vendita di strategie di investimento.

La segmentazione abbiamo visto essere il primo passo in una reale

strategia di marketing. Una volta che gli operatori di marketing

dividono il mercato in vari gruppi, possono poi selezionare i loro

66

“segmenti obiettivo” e disegnare “modelli di servizio” che soddisfino le

loro esigenze.

Nel complesso mercato del Private Banking, l’approccio tradizionale

ha dimostrato di non funzionare efficientemente, specialmente durante i

crolli dei mercati o dei tassi dove la relazione subisce un periodo di

stress non certamente benefico per il tipo di rapporto. Prima di

realizzare qualsiasi strategia di segmentazione occorre aver ben chiari

quali sono gli obiettivi che si vogliono perseguire. Nel settore

finanziario, in particolare nel private banking, un obiettivo particolare è

la verifica dell’esistenza di comunità relazionali interne; esso può

diventare un punto di arrivo per poi realizzare ulteriori innovazioni di

marketing finalizzate al rinforzo della relazione e della fiducia della

clientela. E’ evidente, a tal proposito, come tale obiettivo debba essere

perseguito cercando di identificare comunità con passioni condivise tra

i clienti e con i clienti oppure gruppi omogenei di aspettative, bisogni e

visioni, ricercando inoltre le affinità elettive tra i clienti ed il private

banker. Molti professionisti utilizzano solo dati demografici per

profilare i propri clienti e, così facendo, può darsi che trascurino le

percezioni che li condurrebbero a migliori clienti o li aiuterebbero a

lavorare più produttivamente con gli attuali clienti. Per superare questi

limiti allora è necessario coniugare gli approcci di segmentazione

operativa con quelli maggiormente legati alla psicologia ed ai

comportamenti dei clienti, poiché solo in questo modo sarà possibile

conoscerli nelle loro differenti dimensioni umane, lavorative e sociali.

E’ evidente che trattandosi di un’analisi all’interno del segmento

private, la finalità principale è quella di creare valore attraverso la

relazione e la soddisfazione del cliente nel lungo periodo. Considerando

le caratteristiche personali e finanziarie dei clienti private e che spesso

essi prendono decisioni su complicati livelli psicologici, occorre

identificare nuovi paradigmi di analisi che consentano di incrociare

contemporaneamente i loro aspetti patrimoniali, emotivi,

67

comportamentali ed attitudinali. Occorre quindi valicare il muro

anagrafico (sesso, età, professione) ed entrare in un’analisi molto più

complessa e difficile, ma assolutamente necessaria per costruire il

rapporto di fiducia con la propria clientela.

In questo senso allora la segmentazione assume dimensioni differenti:

• una dimensione orizzontale, quando cioè l’attenzione è posta su

variabili non modificabili e/o non determinate dall’ambiente

esterno.

• Una dimensione verticale, quando cioè vengono analizzate nella

loro mutevole complessità quelle informazioni variabili nel

tempo, come la professione, il patrimonio, i bisogni, gli stili di

vita, la salute, le emozioni, le aspettative, i desideri.

• Una dimensione trasversale, quando cioè vengono analizzate

contemporaneamente in un dato momento due classi di variabili

tra loro correlate come l’avversione al rischio e l’età, oppure gli

obiettivi patrimoniali e l’aumentare della complessità familiare.

• Una dimensione circolare, quella più completa e utile, che

consente di analizzare contemporaneamente più variabili e la

loro auto-correlazione in un’ottica evolutiva nel tempo, tenendo

conto anche degli aspetti psicologici e comportamentali dei

clienti. Questa dimensione consente di profilare correttamente la

clientela tenendo conto di quelle variabili considerate rilevanti

dalle strutture di marketing in funzione dei modelli di servizio

adottabili che vanno dal personal financial planning al family

office.

I fattori quindi alla base di un complesso processo di segmentazione

possono poi essere molteplici: a) segmentazione su variabili personali e

famiglia; b) su variabili patrimoniali e finanziarie; c) sull’approccio agli

investimenti; d) su base psico-comportamentale (relazione con la

ricchezza).

68

Il fatto che molte strutture riservate alla fornitura di servizi di private

banking “tradizionale” si siano dimostrate alle volte inadeguate, nel

rispondere in modo puntuale e completo alle esigenze consulenziali

espresse dalla clientela e nel soddisfare le stesse, ha dato vita ad una

specie di “vuoto operativo”. In questo spazio hanno trovato

collocazione alcuni intermediari con un’idea di sviluppo per questo

settore assai diversa. Essi hanno iniziato a proporre alla clientela servizi

detti di “wealth management ”, cioè servizi di gestione della ricchezza

complessiva del cliente attuata con un approccio di personalizzazione

estrema, ponendo l’accento sul fatto di curare il cliente a 360 gradi in

modo individuale.

Alcuni autori definiscono appunto il wealth management come “quel

complesso equilibrio tra la domanda e l’offerta di un elevato numero di

servizi e prodotti che dovrebbero consentire alla banca di diventare il

centro di fiducia dei clienti per tutto ciò che riguarda il loro

patrimonio”. In realtà l’innovativo termine non nasconde un vero e

proprio concetto rivoluzionario: si tratta semplicemente del recupero di

quei valori originari che hanno caratterizzato l’attività di global private

banking.

Nella sua concezione primitiva, essa richiedeva la valorizzazione, non

tanto della capacità di un private banker di offrire validi prodotti,

quanto di costruirli su misura in base alle esigenze specifiche del

singolo cliente. Con il wealth management si assiste al cambiamento

dell’ampiezza dell’ambito di interesse che guida la relazione con il

cliente. L’attenzione viene posta sulle esigenze complessive del cliente

lungo l’arco temporale della sua intera vita, in una visione più globale,

il che vuol dire considerare la famiglia del cliente ed il patrimonio della

stessa nel suo insieme, anche se multibancarizzato. L’enfasi è posta

sulla relazione, sulla capacità non di offrire un prodotto standardizzato,

ma di costruirlo ad hoc, sulle esigenze specifiche e mutevoli del cliente.

69

Il passaggio dal private banking al “wealth management approach” si

concretizza ed identifica con il Servizio di Advisory: un approccio

fondato sulle esigenze del cliente e sui conseguenti interventi

consulenziali atti a soddisfarle e non più su prodotti meramente

finanziari. Per rendere possibile questa sorta di cambiamento di

approccio, il wealth management richiede che vengano distribuiti al

cliente non solo prodotti interni, ma anche prodotti di terzi. E’

necessaria perciò un’evoluzione delle modalità distributive che si

devono sempre più ispirare a strategie di “open architecture”.

Con questo termine si intende quell’approccio che permette al cliente di

avere un rapporto con la sua controparte che è, contemporaneamente,

gestore principale, consulente e amministratore del conto con cui aprirà

un mandato di gestione delegato in parte o nella sua totalità a gestori

terzi. Il gestore, in questo modo, si pone in veste di controllore dei

rischi e garantisce una gestione oculata. L’orientamento verso questo

tipo di modello strategico implica al professionista o alla banca una

serie di scelte gestionali di rilievo: in primis l’identificazione delle

“attività core” per il cliente che verranno svolte in via diretta, e di

quelle “no core” che saranno oggetto di esternalizzazione. Con il

collocamento di prodotti di terzi, che caratterizza tale approccio, si

rende necessario il ricorso ad una serie di tecnici e specialisti esterni

che attuano i loro interventi consulenziali in quelle aree di attività in cui

l’intermediario non ha competenza specifica o che ritiene comunque

opportuno delegare all’esterno. L’attivazione di qualificati consulenti

esterni è importante anche perché rende snella e flessibile la struttura,

non implicando una crescita dei costi fissi.

I principali limiti dell’approccio tradizionale al private banking, elencati

nella tabella 5, hanno costituito i veri fattori critici su cui puntare

nell’attività di wealth management per conseguire reali vantaggi

competitivi durevoli.

70

Tabella 5 – Private banking tradizionale e wealth management: limiti e fattori

critici di successo

Limiti private banking tradizionale Fattori critici di successo del Wealth

Management

Business model Focus sulla gestione dei patrimoni

finanziari della clientela, spesso

svolta in house.

Consulenza a valore aggiunto con gestione

integrata di tutti gli asset della clientela

tramite un modello di open architecture

Cliente target Fissazione di soglie patrimoniali

spesso basse: servizio rivolto a clienti

private di fascia bassa e upper

affluent.

Tipico cliente da private banking con

disponibilità di patrimonio più ampie e

problematiche diversificate.

Value proposition Incentrata sul servizio di asset

management

Incentrata sui servizi di advisory, in tutte le

sue forme, in base alle esigenze del cliente.

Relationship

manager

Semplice interfaccia relazionale della

clientela. Broker/gestore della

relazione.

Problem solver nei confronti dei bisogni che

un cliente private può manifestare.

Offerta Offerta standardizzata e scarsa

capacità di visione delle

problematiche dei portafogli private.

Offerta altamente personalizzata sulla base

delle esigenze dei singoli clienti.

Leva competitiva Focus sul prezzo Focus sulla differenziazione dei servizi

offerti per segmenti di clientela specifica.

Politica di pricing Commissioni di sottoscrizione dei

prodotti significative e di gestione in

calo per la concorrenza del settore.

Minor sensibilizzazione al prezzo della

clientela che percepisce l’importanza del

servizio consulenziale a maggior valore.

L’abbassamento delle soglie di accesso ed un tentativo di ridurre i costi

attraverso un certo livello di standardizzazione, unito alle difficoltà

incontrate nell’essere davvero problem solver per tutte le necessità del

cliente top, hanno cancellato parte dell’effettiva esclusività del private

banking. Il tentativo di abbracciare tutte le esigenze del cliente

rispondendo in ogni momento in maniera efficiente, soprattutto con

prodotti acquistati all’esterno, rappresenta l’idea davvero innovativa

del. wealth management.

71

Di recente, e precisamente con la Direttiva 2004/39/CE, nota anche

come MIFID, la Consulenza in materia di investimenti è stata

inquadrata tra le attività soggette ad autorizzazione, innalzandola per la

prima volta a livello di servizio primario e non più meramente

accessorio. Con questo importante passo, storico nel settore finanziario,

la Consulenza Finanziaria Oggettiva, nata per supportare l’investitore

individuale nelle proprie scelte di investimento, avrà sicuramente un

grande sviluppo sul mercato italiano dei servizi finanziari dei prossimi

anni.

Sotto il profilo del mercato, l’attività di consulenza finanziaria

oggettiva è fortemente coerente con una serie di tendenze in atto nella

gestione e distribuzione dei servizi di investimento ai privati. Rapporti

tra fabbrica-prodotto e distribuzione, rendimenti e costi del risparmio

gestito, proliferazione di canali e di prodotti, costituiscono i principali

elementi di contesto per il suo sviluppo. E’ in corso infatti un vivace

dibattito sul tema dell’integrazione verticale tra produzione e

distribuzione dei prodotti e servizi finanziari e assicurativi, I primi dieci

gruppi bancari italiani risultano in controllo delle fabbriche prodotto,

con una conseguente distribuzione baricentrata sui prodotti di casa. Nei

Paesi anglosassoni, invece, questa discussione non è presente in quanto

il settore finanziario è assai più specializzato e la consulenza oggettiva è

già una realtà consolidata da moltissimi anni.

Alcune banche-reti di promozione finanziaria fra le quali Banca

Fideuram e Xelion Banca, sono state le prime a sentire l’esigenza di

sviluppare un servizio specifico di consulenza per i propri clienti che

hanno i promotori come referenti (contrattualizzato, con un prezzo ad

hoc ecc,) e si stanno avviando ad applicare la MIFID in tempi brevi per

i loro P.F.

Nell’ambito del private banking, il servizio di consulenza finanziaria

oggettiva è necessario in considerazione dell’ampiezza e tipologia della

gamma servizi offerta. Inoltre tale servizio può diventare

72

particolarmente attrattivo in un’ottica di sviluppo e acquisizione di

clientela raffinata come quella private. Grand’attenzione dovrà in ogni

caso essere prestata alla definizione delle politiche di prezzo, data la

sostanziale abitudine del cliente a ricevere un servizio di consulenza, sia

pure implicitamente, compreso nei costi dei servizi-prodotti.

Nel retail banking, nell’ambito dei clienti affluent, si giocherà la sfida

più difficile e, forse, più avvincente. Diverse motivazioni spingono a

favore dell’adozione di un approccio consulenziale.

Innanzi tutto esiste una domanda non soddisfatta. Alcune ricerche

parlano di un 20% circa di clientela affluent e private già interessati al

servizio di consulenza a pagamento. Tra i clienti affluent è elevata la

necessità di pianificare per tempo la propria gestione finanziaria, anche

alla luce della riforma del sistema previdenziale. Inoltre alcuni segmenti

affluent hanno chiare propensioni verso l’autonomia nelle proprie scelte

di gestione degli investimenti, che la consulenza finanziaria non

collegata alla vendita di prodotti specifici può consentire di indirizzare

con efficacia, almeno per la fase d’advisory, disgiuntamente da quella

d’esecuzione degli ordini.

Il recepimento della Direttiva MIFID da parte dello Stato italiano,

indubbiamente contribuirà allo sviluppo della figura dell’Indipendent

Financial Advisory ( IFA), in altre parole del consulente che opera in

modo indipendente dalle banche e dalle reti di promotori e che, per i

servizi resi, percepirà un compenso direttamente dal cliente attraverso

emissione di fattura, da cui l’acronimo Consulenti Fee only. L’IFA

potrà essere una persona fisica o giuridica ( il dibattito è ancora aperto

su questo) appositamente autorizzata alla prestazione del servizio di

consulenza. Come tale esso sarà considerato impresa e dovrà essere

iscritto in un apposito registro tenuto dalle competenti autorità. In

particolare, chi ha intenzione di esercitare esclusivamente tale attività,

dovrà dotarsi di un capitale minimo iniziale di 50.000 euro o

sottoscrivere un’assicurazione che copra 1.500.000 euro di indennizzo

73

ai clienti per eventuali danni patrimoniali provocati da negligenza

professionale. E’ prevedibile per questo che la maggior parte dei

professionisti, più che aprire un’impresa individuale, decideranno di

aderire piuttosto ad un network di consulenza o a studi associati. Ciò al

fine di abbattere gli elevati costi inerenti ai controlli cui sono sottoposte

le imprese di investimento, che sono gli stessi previsti per le imprese di

intermediazione.

74

Capitolo 3

Un marketing innovativo della consulenza finanziaria.

3.1 Customer satisfaction e customer loyalty : verso la

fidelizzazione del cliente risparmiatore.

Questo lavoro ha voluto innanzi tutto evidenziare l’evoluzione che,

negli ultimi venti anni, ha attraversato il settore della distribuzione dei

servizi finanziari e della consulenza, cogliendo in particolare le

peculiarità dell’approccio al cliente risparmiatore da parte del

Promotore finanziario.

Nel passaggio ad un contesto assai più complesso del mercato

finanziario, quale quello in cui oggi viviamo, una costante si è andata

affermandosi come il focus di riferimento per le varie figure

professionali che sono nate (P.F, Private Banker, Relationship Manager,

Consulente finanziario) e operano nei vari segmenti di mercato:

l’attenzione al cliente, sempre più considerato come la vera risorsa

scarsa del futuro. Ciò che in definitiva un’impresa bancaria e, a maggior

ragione, un’impresa di consulenza finanziaria dovrà necessariamente

fare per puntare ad un successo permanente nell’era della cosiddetta

complessità, sarà migliorare il livello di qualità delle proprie prestazioni

di servizi e, di conseguenza, partire dalla soddisfazione del cliente. La

clientela soddisfatta costituisce per ogni azienda di questo settore il

patrimonio più prezioso (il cui grande valore non risulta peraltro in

nessun bilancio). Ecco che dunque la tutela e la valorizzazione di

questo patrimonio diventano una priorità indiscutibile nella strategia

aziendale.

75

Fino a non molti anni fa la gestione di un’impresa di promozione dei

servizi finanziari era impostata sulla crescita del portafoglio clienti ed il

marketing significava per lo più conquista di nuovi clienti. Anche con

l’avvento della fase di maturità del mercato, in questo settore l’azione

di marketing ha continuato ad essere orientata alla conquista (sottrarre

quota di mercato e clienti alla concorrenza), assumendo perciò un’ottica

spiccata di “marketing competitivo”. Siamo oggi in quella fase invece

che ha richiesto un’ulteriore evoluzione del marketing in cui, appunto,

si rafforza in modo determinante la gestione della fidelizzazione, perché

essa costa assai meno della conquista. Il cliente risparmiatore, sempre

più esperto, tende a dare ormai per scontati i basics dell’offerta

(affidabilità del prodotto, prezzi competitivi, comunicazione corretta e

senza eccessi, accessibilità del prodotto, scelta di gamma ecc.). Inoltre i

prodotti sono fra loro sempre più simili e vengono imitati con rapidità

crescente. Sempre più diffuso è il ricorso al servizio di alta qualità per

disporre di un elemento differenziale capace di soddisfare e quindi

fidelizzare il cliente. Ecco dunque alcuni dei riferimenti capaci di

arricchire l’approccio verso un “nuovo marketing”: fidelizzazione,

qualità totale del servizio, grado di soddisfazione, gestione della

relazione con il cliente.

La soddisfazione dei clienti passa innanzi tutto dal mantenimento della

parola data e dal fatto che le promesse iniziali collimino con le attese

della clientela. Ciò implica alcune fondamentali priorità:

1) ascoltare il cliente per tutta la durata del rapporto : nella fase iniziale

del corteggiamento e del primo incontro, per poterne definire le

attitudini, i comportamenti, i modi di pensare e soprattutto i bisogni e le

attese; durante l’erogazione del primo servizio per monitorare le

attività; nella fase successiva alla vendita per verificarne l’esito. Per

questo motivo è indispensabile che il consulente guardi ai propri servizi

con gli occhi del cliente, che ci sia una coerenza tra i sistemi di ascolto

76

e gli indicatori interni di qualità e di processo. Il professionista deve

sempre anticipare e gestire le attese della clientela., dimostrando un

comportamento proattivo rispetto ai mutamenti in atto, valorizzando il

rapporto relazionale con i segmenti di domanda interessati.

L’integrazione è massima, quando i processi aziendali si fondono con

quelli dei clienti in un’ottica di creazione di valore. In altre parole si

passa da una logica give/get ad una di partnership, propria

dell’economia di collaborazione, dove il cliente, normalmente

considerato dal consulente come destinatario dei servizi, diviene co-

progettista e co-produttore. Quindi l’ascolto del cliente non deve essere

uno slogan: è inutile avere precise informazioni sulla persona se poi

non esiste la capacità/volontà di interpretarle e tradurle rapidamente in

azioni di miglioramento. Un corretto sistema di ascolto deve presidiare:

• la soddisfazione complessiva del cliente, con la finalità di conoscere la

sua percezione globale, di consentire controlli e confronti nel tempo e

di confrontarsi con la concorrenza, puntando ad un’ottica di wealth

management;

• la sua soddisfazione per specifici eventi chiave, con lo scopo di

raccoglierne la valutazione su particolari aspetti e di incentivare

l’emissione di giudizi affinché il suo ricordo rimanga vivo;

• lo stimolo e la raccolta di reclami, osservazioni e suggerimenti, che

consentono al cliente di comunicare con l’azienda quando lo ritiene

utile, permettono all’impresa di capire dove si concentrano gli elementi

di insoddisfazione e di dare la prova di saper gestire il recupero del

disservizio;

2) considerare i problemi dal punto di vista del cliente e strutturare

di conseguenza l’azienda, ripercorrendo tutti gli step che il cliente

compie (dalla ricerca del fornitore del servizio alla valutazione del suo

stato dopo l’erogazione dello stesso);

77

3) costante capacità e volontà di apprendere e, soprattutto, di mettere

in pratica ciò che si è imparato. L’impresa che investe solamente nelle

competenze tecnico-professionali riesce a migliorare il suo servizio di

consulenza finanziaria, ma questo è un aspetto che può essere

facilmente imitabile. Se invece investe contemporaneamente nelle

competenze socio-culturali, contribuisce a creare una cultura aziendale

orientata al cambiamento ed all’innovazione;

4) dimostrare responsabilità, esclusivamente nell’interesse del cliente;

5) aumentare la redditività dell’azienda attraverso il miglior

equilibrio interno di risorse;

6) stabilizzare ed espandere i flussi di profitto presenti e futuri

(cross- up selling, referals, controllo del ciclo di vita del portafoglio,

wealth management);

7) fidelizzare per attuare la miglior difesa contro le manovre

concorrenziali. Le preferenze generate nella domanda si traducono in

“meccanismi d’isolamento”, suscettibili di dilatare le distanze

concorrenziali. Inoltre la customer satisfaction implica l’ottimizzazione

dei processi aziendali critici, generando sistematici incrementi in

termini di benefici e contenendo, simultaneamente, i costi che il cliente

deve sostenere per acquisire i suddetti benefici.

8) non dimenticare che la customer satisfaction è un traguardo

mobile, spostato in avanti dall’azione dell’azienda e da quella dei

concorrenti.

Rimane tuttavia da precisare che lavorare in un’ottica di qualità totale,

alla ricerca dell’obiettivo della customer satisfaction, è un fattore

necessario, ma di per sè non sufficiente per assicurarsi la fedeltà del

cliente. Una cosa è avere un cliente che diventa fedele sulla scorta di

78

un’impressione buona, confermata da una scelta consapevole che ha

tenuto di conto delle diverse opzioni che il mercato offre e dei vari

elementi del servizio acquistato, primo dei quali la buona relazione

ritenuta un valore in sé; altra cosa è avere un cliente che non cambia,

perché nel contingente vede troppi ostacoli a tale mutamento, ma che

aspetta il momento propizio per andarsene, per vari motivi, pur se il

nostro servizio lo ha soddisfatto. È la differenza fra la partnership del

cliente e l’ownership. In quest’ultimo caso abbiamo solo la “detention”

del cliente, l’esatto opposto della loyalty, la fedeltà.

Per realizzare appieno le potenzialità derivanti da un portafoglio di

clienti fedeli è necessario essere molto selettivi: focalizzare in pratica

gli sforzi e gli investimenti per fidelizzare i clienti migliori, i clienti

giusti, non necessariamente i più facili da attrarre o i più redditizi entro

poco tempo, ma quelli che hanno intenzione di rapportarsi all’azienda

anche nel lungo termine.

Quante volte è capitato, ad un promotore finanziario di lunga

esperienza, constatare con una certa incredulità come certi clienti siano

rimasti fedeli, nonostante le performances dei loro portafogli non

abbiano corrisposto alle loro attese per lunghi periodi. E’ in questi casi

che, da una parte, si devono ripercorrere le tappe di una fidelizzazione

reale basata su fattori personali positivi, per estenderne il modello ad

altri clienti che presentano caratteristiche simili, ma anche per non

cullarsi mai sugli allori e verificare se non ci siano invece fattori di

abitudine e di inerzia in quei rapporti (che potrebbero venir meno in

qualsiasi momento la concorrenza abbia la capacità di individuarli). C’è

bisogno insomma di un continuo monitoraggio del rapporto e di rendere

il cliente attivo nella partnership propositiva e progettuale, piuttosto che

passivo e statico sulle posizioni acquisite.

79

Ci sono poi tutta una serie di piccoli accorgimenti e di modelli di

comportamento virtuosi che un consulente o un promotore non può non

tener di conto nella gestione quotidiana dei rapporti, utilizzando vecchi

e nuovi strumenti :

• non dimenticare mai di ringraziare il cliente per la fiducia

accordatagli: al cliente piace sentirsi apprezzato;

• capire se si sta lavorando bene e, se ci sono dei problemi,

reagire rapidamente;

• assicurarsi sempre che il cliente ritenga di aver fatto la scelta

giusta;

• riconoscere che nel processo di acquisto potrebbero esserci

concorrenti capaci di farsi apprezzare dai nostri clienti e dare

quindi sempre il meglio di noi;

• creare un cliente esigente: se ciò avviene sarà più difficile per la

concorrenza riuscire a fidelizzarlo. Il cliente ha bisogno di

sentirsi speciale ed è necessario prendersi cura di lui;

• creare momenti particolari nei quali far sentire al cliente la

nostra esclusiva attenzione a lui: i cosiddetti “momenti speciali”,

sul tipo della giornata del cliente;

• venire incontro al cliente rispetto alle sue esigenze temporali ed

agli spazi di vita privata che non vanno troppo invasi (incontri

nei luoghi giusti, all’ora più adatta, con la giusta

ambientazione); rendersi disponibile anche in momenti extra-

lavoro facendogli percepire il valore;

• comunicare con il cliente non solo in occasione di un’offerta di

servizio, ma anche per informazioni utili, utilizzando i canali

innovativi tipo email, sms, news group;

• ricompensare i clienti di lungo periodo e coloro che si rendono

attivi nelle referenze di nuovi potenziali clienti;

80

• fare sempre promesse che possono essere mantenute, ma

mantenere anche vivo il “sogno” del cliente; dare divertimento

ed eccitazione per combattere la noia del cliente, che può

sempre spingerlo a trovare aria nuova con la concorrenza;

• aiutare e consigliare il cliente anche in ambiti esterni o

complementari al campo di servizio (tipo evidenziare al cliente

come fare a risparmiare o come ottimizzare una scelta di

consumo).

Perché si possa parlare di fedeltà, e non di semplice abitudine, è

necessario che nel cliente si verifichino due condizioni:

- uno stato psicologico, cioè un’attitudine della mente, che lo spinge

nelle sue scelte di investimento a prendere in esame un’unica

azienda e ad escludere le altre;

- un modo di agire, cioè un comportamento di acquisto esclusivo.

Questo aspetto comportamentale è, a sua volta, influenzato da due

variabili:

- l’importanza del servizio per il cliente;

- la frequenza d’acquisto.

Al crescere delle stesse, aumenta il livello di esclusività nei confronti di

un’ unica impresa di consulenza finanziaria. L’obiettivo quindi di ogni

impresa sarà quello di spingere il comportamento della propria

clientela, da una situazione d’impulso verso quella esclusiva. E’ altresì

importante, affinché fra le due parti si instauri il circolo virtuoso della

fedeltà, che il loro rapporto sia fondato su due presupposti essenziali:

a) la reciproca fiducia

b) il commitment alla continuazione della relazione.

81

E’ già stato affermato che la Fidelizzazione (customer retention) ha un

effetto più potente sui profitti rispetto all’aumento della quota di

mercato, alle economie di scala ed alle altre variabili che comunemente

sono associate al vantaggio competitivo. Essa può apportare i seguenti

benefici, assolutamente importanti nel settore dei servizi di natura

finanziaria :

1) gli acquisti del cliente aumentano nel tempo

2) servire i clienti abituali costa meno

3) i clienti risparmiatori soddisfatti fanno un passaparola (referal) positivo

4) i costi di vendita e di marketing sono ammortizzati nel corso di una lunga relazione

5) il cliente soddisfatto potrebbe essere disposto a pagare un premium price.

Il mercato dei servizi finanziari identifica oggi tre macrocategorie di

clienti, secondo fonti della McKinsey:

1) Service Seekers (35%): sensibili al livello di servizio e di consulenza

nell’acquisto.

2) Transactional (25%): molto attenti e sensibili al prezzo.

3) Relationship driver (40%): attenti alla relazione e poco sensibili al

prezzo.

I service seekers sono quei clienti molto attenti a ciò che viene loro

offerto in termini di servizio e di consulenza; hanno bisogno di consigli,

di essere indirizzati nel processo decisionale e riconoscono nel loro

interlocutore la persona esperta in materia, che si assume la

responsabilità di guidarli nella scelta migliore per loro.

82

Affini a questa tipologia sono i clienti attenti alla relazione e poco

sensibili al prezzo (relationship driver): sono persone che amano

essere coccolate, seguite, informate e che si aspettano che il loro

interlocutore si interessi a loro, che li informi sulle novità, che si “faccia

vivo” ad intervalli regolari e che non “sparisca” dopo aver venduto il

proprio prodotto. Si tratta di clienti molto attenti all’After Market e che

considerano il consulente come colui che deve essere continuamente in

contatto con loro perché venga mantenuto il rapporto nel tempo.

La terza categoria ( transactional) raccoglie persone che, essendo molto

attente al prezzo, cambiano fornitore in base alla convenienza del

momento. Chi opera on line, per esempio, ed in “fai da te” ha spesso

questa logica del risparmio ed inoltre si sentono spesso preparati a

sufficienza per fare a meno dell’esperto.

Possiamo evidenziare a questo punto, dopo questa analisi tipologica dei

clienti, la differenza esistente fra riacquisto e fidelizzazione: essa

risiede nel concetto di coinvolgimento.

Il coinvolgimento, infatti, costituisce la discriminante che differenzia i

due concetti, e si identifica con l’atto che esprime la volontà del cliente

nel desiderare la continuità del rapporto con il fornitore del servizio.

Esso può risultare spontaneo, se il cliente si muove autonomamente, o

stimolato se il risultato di un’attività di marketing aziendale. Questo

stimolo può essere causato, per esempio, da una campagna

promozionale o da un’azione di sensibilizzazione realizzata attraverso

direct-marketing, da incontri con opinion leader o da elementi facenti

parte del gruppo di riferimento del cliente: in questo caso il cliente si

attiva non solo per essere il nuovo acquirente di un nuovo servizio, ma

per essere un cliente fedele, confermando così la volontà di continuare

il rapporto con l’azienda di consulenza. Tale tipologia di motivazione,

spinta dal coinvolgimento, può essere riferita a fattori:

83

- emotivi (legati alla situazione/momento);

- emozionali (legati alle sensazioni provate);

- ludici (legati al piacere del gioco),

e che sono, in ogni caso, attivanti. Come accennato, il coinvolgimento

del cliente può essere spontaneo (autoattivante), quando il cliente si

rende conto che vuol continuare ad avere un rapporto con il fornitore,

per cui non ha bisogno di essere sollecitato per ripetere l’acquisto e

rimanere fedele (lo ritiene buono e buono per lui). Questo primo tipo di

coinvolgimento, quindi permette la fidelizzazione. Il secondo tipo di

coinvolgimento è quello stimolato dall’azienda, che, resasi conto

dell’importanza di innalzare il livello dello zoccolo duro della clientela,

si attiva per la fidelizzazione della stessa. Questo avviene, per esempio,

attraverso il marketing relazionale o la personalizzazione del rapporto

con il cliente che, in questo modo, si sente oggetto di attenzioni che

rinforzano la sua percezione positiva al punto da confermare l’acquisto

e ottenere la fidelizzazione. Ciò si analizza attraverso il customer

retention rate, l’indice di ritenzione o fidelizzazione della clientela.

3.2 Il marketing relazionale e la partnership fra consulente

e cliente.

Nell’approccio fondato sul marketing della transazione (focus su

vendite e quote di mercato), il cliente viene considerato tale quando

l’individuo è il target delle iniziative di marketing e di vendita, mentre

nella prospettiva del marketing relazionale la situazione è diversa. Un

rapporto è un processo in atto. In certi casi avvengono collocamenti di

servizi o di prodotti, ma la relazione sussiste ininterrottamente, anche

negli intervalli tra una vendita e l’altra. Il cliente deve percepire la

sensazione che il promotore finanziario o il consulente è pronto ad

84

aiutarlo e sostenerlo sempre, nei suoi bisogni ed esigenze più varie, non

solo quando acquista un servizio-prodotto da lui proposto. Quindi una

volta che si stabilisce un rapporto, il cliente rimane tale nel tempo e

così deve essere considerato costantemente, in ogni manifestazione di

interazione. Le imprese che comprendono questo principio, e cercano

di applicarlo, trattano i loro clienti come clienti relazionali.

I motivi per cui i clienti adottano e partecipano ad una modalità

“relazionale” con il consulente e scelgono di reagire in modo

favorevole a questo approccio di marketing basato sul rapporto, sono

stati poco studiati. E’ possibile che il motivo principale sia il desiderio

di semplificare e di ridurre le possibilità di scelta (strategia delle

euristiche). Quando si trova un consulente affidabile le altre alternative

diventano meno interessanti (ancoraggio) per il cliente e ciò consente

di non prenderle adeguatamente in considerazione con un’ottica

razionale (ottimizzazione). Un’altra motivazione addotta è che,

instaurando una relazione, i clienti possono realizzare in maniera più

efficace gli obiettivi che si erano posti o che si volevano prefiggere.

Tali obiettivi possono essere i più vari come : la performance, la

riduzione dei costi, la riduzione della volatilità negli investimenti, la

semplicità, la liquidabilità dei propri risparmi, la pianificazione del

ciclo di vita familiare. Addirittura qualche studioso ha suggerito che i

clienti hanno la sensazione che essere coinvolti in una relazione sia un

fine in sé.

Si può ipotizzare che i benefici, che può rappresentare per i clienti il

mantenimento di una relazione con un professionista della consulenza

finanziaria, possono essere di tre tipologie:

• sicurezza: minore ansia, fiducia nel consulente finanziario,

sensazione di affidabilità dello stesso;

85

• benefici sociali: riconoscimento personale da parte dei

dipendenti, dei parenti ed amici, sviluppo di amicizie personali con

il consulente;

• trattamenti speciali: servizi extra, prezzi di favore, precedenza

sugli altri clienti, gratificazioni ricorrenti.

I vantaggi relazionali legati alla sicurezza sono certamente quelli più

importanti nella valutazione della maggioranza dei clienti. Ciò significa

che il maggior risultato realizzabile da parte di un’azienda che adotti

una strategia di marketing relazionale, consiste nel dare ai suoi clienti

più sicurezza riguardo alla loro scelta di quanta ne proverebbero

rivolgendosi a qualsiasi altra azienda. In questo modo è possibile

ridurre al minimo od eliminare del tutto la dissonanza cognitiva, ossia

la sensazione di aver fatto in fondo una scelta che non è quella ottimale.

E’ chiaro poi che i vantaggi legati alla fiducia sono il risultato chiave di

relazioni di lungo periodo che risultano essere positive per entrambi.

Gli altri tipi di vantaggi relazionali sono anch’essi importanti.

Dovunque esistono contatti interpersonali, è possibile sviluppare

vantaggi sociali. I contatti di questo genere dovrebbero essere esaltati,

di modo che i clienti, per esempio, abbiano la sensazione di avere a

disposizione “il proprio professionista personale”. Sicuramente poi, per

quanto anche i trattamenti speciali siano considerati importanti da

molti clienti, il loro ruolo sarà meno rilevante.

Nel marketing relazionale un ruolo importante spetta ai concetti di

fiducia, impegno e attrazione.

La fiducia nel professionista può essere definita, per esempio, come

l’aspettativa che lo stesso, in una certa situazione, si comporterà in un

certo modo prevedibile. Se egli non lo farà, il cliente sperimenterà esiti

più negativi che nel caso contrario. Secondo certi studiosi poi (Johnson,

86

Grayson, 2000; Lane, Bachmann, 1996), il concetto di fiducia stesso si

può dividere in quattro sottocategorie, che possono derivare da fonti

diverse : fiducia generalizzata, fiducia nel sistema, fiducia basata sulla

personalità e fiducia basata sul processo. Per cui la fiducia dipenderà in

parte da esperienze passate nell’interazione con altre situazioni; in parte

da altri fattori, come contratti, regolamenti e norme sociali da un lato, e

fattori della personalità dall’altro lato, che ci si può aspettare inducano a

comportarsi in modo prevedibile secondo le aspettative.

Impegno significa che una delle due parti si sente motivata in qualche

misura ad intrattenere una relazione con l’altra. L’impegno è stato

definito anche come il desiderio perdurante di mantenere un rapporto

ritenuto prezioso. Un cliente si può sentire impegnato con un

consulente, per esempio, perché quest’ultimo si è rivelato affidabile ed

ha dimostrato di saper offrire delle soluzioni che sostengono in modo

positivo i processi di creazione del valore per il cliente. Se poi il

Consulente- Promotore finanziario si è preso un disturbo

supplementare per farlo, per esempio venendo incontro al cliente in un

momento per lui di forti richieste di lavoro, l’impegno sentito diventerà

ancora più profondo.

Il terzo concetto chiave nel marketing relazionale è l’attrazione. Questo

significa che ci deve essere qualcosa che rende un consulente

interessante per un determinato cliente, e viceversa. L’attrazione può

essere basata, per esempio, su fattori finanziari, tecnologici o sociali. Se

fra due parti esiste attrazione, vi sono le basi per lo sviluppo di un

rapporto; se invece l’attrazione manca, probabilmente le due parti non

avvieranno neppure il rapporto.

Non è ancora chiaro quale sia il rapporto tra fiducia, impegno ed

attrazione da un lato e lo sviluppo di relazioni d’affari dall’altro.

Tuttavia si ha l’impressione che l’esistenza della fiducia in un

87

professionista e l’impegno con quel partner, possa avere un peso

maggiore per i clienti che attribuiscono maggior valore alla relazione in

sé.

Nel Marketing Relazionale diventa centrale il concetto di promesse:

• stabilire un rapporto implica fare delle promesse;

• per conservare un rapporto occorre mantenere le promesse;

• sviluppare e rafforzare un rapporto significa che si fa una serie

di nuove promesse dopo aver immancabilmente mantenuto le

promesse precedenti.

Un’azienda di un promotore finanziario, una banca o un professionista

della consulenza che si preoccupa di fare promesse, può attirare nuovi

clienti nella prima fase della sua attività; tuttavia, se le promesse non

vengono mantenute, sarà impossibile tener vivo o rafforzare la

relazione in evoluzione. Mantenere le promesse fatte è altrettanto

importante per ottenere la soddisfazione del cliente, realizzare la

fidelizzazione della base della clientela e realizzare profitti a lungo

termine. Inoltre l’azienda deve prendere le giuste misure per accertarsi

di avere, da sola o insieme con i partner che fanno parte del network cui

appartiene, le risorse, le conoscenze, le competenze e le motivazioni

necessarie per mantenere le promesse fatte. E’ necessario insomma fare

sforzi sufficienti per legittimare le promesse.

Sappiamo anche che non è possibile fare marketing relazionale in

un’azienda di promozione finanziaria o di un professionista senza che

tutta la struttura a cui si collega (la banca-rete nel caso del pf) sia

partecipe con tutte le sue funzioni in questo “processo”. E’necessario

fare un salto di qualità di fondo in tutti coloro che incidono,

direttamente o indirettamente, sul modo in cui i clienti percepiscono

l’azienda, i suoi prodotti e servizi e la sua capacità di prendersi cura del

88

cliente stesso, a prescindere dal ruolo e responsabilità che le persone o

le funzioni possono avere all’interno dell’organizzazione.

Per concludere questo aspetto relativo al marketing relazionale ed alla

prospettiva della fidelizzazione, ci sono due elementi fondamentali che

possono sviare dalla “missione”. Tra le numerose implicazioni, è

necessario analizzare a fondo le istanze relative ai concetti di “customer

detention” e dell’ avvitamento senza fine della soddisfazione.

La “customer detention” è un vero e proprio deterrente per la crescita

ed il successo, in quanto vincola la scelta delle aziende creando una

fedeltà viziata, che in alcuni contesti diventa perfino obbligata.

Abbiamo già visto in precedenza l’appropriatezza del concetto di

partner rispetto a quello di owner, riferito al ruolo della clientela; il

“rapporto sinallagmatico” con la clientela si concretizza, in tal senso, in

ottica di lungo periodo, nel concetto di “matrimonio con il cliente”, in

modo che costui si trasformi in un partner realmente fedele (in quanto

non interessato dalle sirene della concorrenza). Una fedeltà obbligata,

invece, (detention) è tipica di quei casi di rapporto dove il numero dei

prodotti venduti è sinonimo di fedeltà, dove l’ingessamento dei

portafogli e le penalità per l’uscita, o anche le lunghe trafile

burocratiche più semplicemente, rappresentano barriere per un cliente

insoddisfatto propenso a cambiare banca o consulente. Alla lunga la

concorrenza riesce sempre in questi contesti a far breccia e comunque,

in quel rapporto, il cliente è sempre alla ricerca di una via di fuga.

L’avvitamento senza fine della soddisfazione è la trappola in cui le

aziende rischiano di cadere quando non sono consce (o non

sanno/vogliono verificare) del valore che offrono alla loro clientela.

Può accadere che, per accontentare la clientela, il promotore finanziario

decida di offrire prestazioni a valore aggiunto incrementale o a costo

zero, e quindi con redditività contratta o nulla. Se la situazione si

89

allarga o diventa una costante, questo crea un circolo vizioso, un vortice

che crea sconvolgimenti all’interno delle prestazioni del service mix e

che compromette la permanenza sul mercato, poiché sottrae margine di

contribuzione al businesss. Questa trappola può essere attivata dalle

aziende che cercano di erogare sempre extra-soddisfazione, al fine di

incrementare l’appeal, il valore della propria offerta e la fidelizzazione

del cliente, o magari semplicemente per timore della concorrenza: il

problema è che il cliente adegua subito le proprie aspettative alle nuove

offerte. Questo atteggiamento spinge anche la concorrenza ad offrire di

più; ma il cliente esigerà sempre di più e vorrà spendere sempre di

meno. “Fare di più con meno” diventerà in futuro una richiesta sempre

più pressante, con buona pace di ogni tentativo di fidelizzazione.

Infine, ma non per ultimo, ritengo opportuno focalizzare l’attenzione su

un aspetto che introduce al nuovo paragrafo di questo lavoro: i valori ed

il valore. Si tratta del modo in cui si può e si deve fare un passo in

avanti oggi, proprio partendo dalle esperienze negative del recente

passato nel settore finanziario.

Operare con la filosofia di dare valore ai valori, vuol dire comportarsi in

modo etico, riconoscendo appunto i valori che ci rendono partecipi e

consapevoli della società in cui viviamo, capire quanto oggi i

consumatori ed i risparmiatori ci chiedono prima di tutto : garantire

quanto promesso loro. Essi, infatti, non richiedono nulla di più di

questo. Quindi agire in una prospettiva di eticità significa mantenere le

promesse fatte. Il valore, che anche se apparentemente riduttivo, riporta

il concetto di customer satisfaction, è l’elemento guida nella tensione a

realizzare quanto il cliente ricerca, ovvero la massimizzazione relativa

del profitto del proprio investimento. Il modo etico di operare e la

massimizzazione dell’interesse verso il cliente si intersecano ancora una

volta nella filosofia win-win e nella partnership della clientela.

90

3.3 Un nuovo paradigma: il marketing dell’etica

L’incerto avvio del XXI secolo chiama gli imprenditori ed i manager a

profondi cambiamenti nella gestione delle aziende. I consumatori

stanno divenendo sempre più sensibili ai temi dell’etica. Le imprese, se

vorranno rimanere sul mercato, saranno chiamate a produrre beni e

servizi rispettando i lavoratori, l’ambiente ed i clienti. Dovranno

pensare, oltre alla remunerazione degli azionisti o ai loro utili ed alle

stock-options, anche alla trasparenza, fornendo corrette e dettagliate

informazioni. Chi lavorerà bene nel rispetto di queste regole avrà come

ricompensa il riconoscimento di moltissimi consumatori che saranno,

nel futuro, sempre più disposti a spendere di più e ad investire per

prodotti e servizi forniti da imprese che seguono principi etici.

Correvano gli anni ’70 quando, sulle pagine del New York Times,

Milton Friedman scriveva: “ L’unico dovere sociale dell’impresa è la

massimizzazione del profitto”. Erano gli anni del capitalismo

insofferente ad ogni regola. Fortunatamente le cose stanno cambiando.

Non a caso, recentemente, il Sole 24 Ore ha titolato un articolo così:

“L’impresa scopre l’utile dell’etica”. Due autori, W.Evan e E.Freeman,

hanno elaborato nel frattempo la teoria dell’impresa basata sul modello

degli stakeolders. Questa sovverte il principio per cui i manager devono

rispondere delle proprie azioni quasi esclusivamente agli azionisti,

sostituendolo con il dovere verso una serie di “stakeolders”(portatori di

interessi) dell’impresa, intendendo con questo termine fornitori, clienti,

dipendenti,azionisti e comunità locale. Il fondamento morale della

teoria risiede nel principio kantiano del rispetto delle persone secondo

cui esse (nel caso dell’azienda gli stakeolders) devono essere trattate

come fini in sé e non solo come mezzi.

Bisogna impegnarsi a considerare il cliente, non più solo come un

numero, ma una persona ricca di valori ed attenta ai principi etici.

91

Questo deve avvenire non solo perché gli imprenditori hanno il dovere

di diventare “buoni”, non solo perché è giusto seguire il principio

kantiano, ma soprattutto per il bene della stessa azienda. Gli americani

riassumono il concetto con il loro slogan : “ Good ethics is good

business”. L’etica risulta, infatti, rappresentare per le aziende un

differenziale competitivo molto forte, anche nel settore specifico della

consulenza finanziaria e nella distribuzione di servizi finanziari. Avere

comportamenti etici aumenta la capacità in generale di competere e fa

lavorare con maggiori soddisfazioni, ma può anche fare davvero la

differenza, in materia di fidelizzazione e di redditività, fra aziende di

consulenza che punteranno ad agire e a differenziarsi sul fronte della

chiarezza delle informazioni, della trasparenza dei costi e del rapporto

benefici/rischi per i clienti risparmiatori. L’utile rappresenterà, in

questo modo, non un fine per il professionista, ma la semplice

conseguenza di un lavoro che produce benefici ed utilità concreta per la

collettività.

Come ha detto un noto imprenditore italiano del caffè recentemente:

“L’immagine aziendale si può comprare, mentre la reputazione si può

solo conquistare”.

Oggi i clienti, che in tutte le imprese rappresentano il patrimonio più

importante, si accorgono subito, di solito, con che tipo di azienda hanno

a che fare. Un marketing dell’etica valorizza gli aspetti immateriali

dell’immagine aziendale, puntando ad una piena legittimazione

dell’azienda come portatrice di valori sani e soprattutto attenta

veramente, in primis, alle esigenze dei clienti partners.

Nella letteratura del marketing che ha dominato fino ad oggi, abbiamo

imparato che vi possono essere fondamentalmente tre orientamenti: al

prodotto, al mercato ed al cliente. Credo che è venuto il tempo di

92

aggiungere un orientamento all’etica. I principali benefici di questo

nuovo paradigma di cambiamento possono essere così sintetizzati:

• miglioramento dei rapporti interpersonali;

• realizzazione di un buon sistema che accolga i reclami dei

clienti;

• creazione di un clima di fiducia tra tutti i collaboratori;

• eliminazione dell’uso di qualsiasi pratica illegale;

• aumento del fatturato.

Il passaggio dal marketing tradizionale al marketing dell’etica può

determinare, a fronte di limitati investimenti, notevoli vantaggi:

- aumenta la notorietà,

- rafforza la fedeltà nella marca,

- promuove l’immagine ed il valore dei servizi di consulenza,

- garantisce un posizionamento competitivo,

- consente un radicamento specifico dell’impresa sul mercato.

Kotler ha definito il marketing mix come la “combinazione delle

variabili controllabili di marketing che l’impresa impiega al fine di

conseguire gli obiettivi predefiniti nel mercato obiettivo”. Quando

parliamo delle 4 P del marketing ci riferiamo, come noto, a: Prodotto

(product), Prezzo (price), Promozione (promotion), Distribuzione

(placement). Esprimendo quindi il concetto di marketing mix in termini

tradizionali, si potrebbe dire che un buon prodotto, dal giusto prezzo,

ben pubblicizzato e ben distribuito capillarmente sul territorio, ha molte

probabilità di incontrare le preferenze dell’acquirente. Questo concetto

esprime, nella letteratura prevalente finora, una visione del mercato

secondo l’interesse del venditore lasciando in secondo piano il punto di

vista dell’acquirente. Con l’applicazione di un marketing dell’etica,

cambia radicalmente l’approccio. Diventa cioè necessario pensare a

93

strategie aziendali avendo a riferimento il miglioramento della società

in cui viviamo ed il nostro microcosmo di attività. Possiamo, in

quest’ottica, ridefinire il marketing mix affermando che un prodotto o

un servizio può essere distribuito prestando attenzione all’etica.

Parleremo così dell’etica del prodotto, di etica del prezzo, di etica della

promozione e di etica della distribuzione, nel nostro caso riferite al

settore dei servizi finanziari.

Etica del Prodotto: si tratta di valutare la sostenibilità etica del

prodotto-servizio. Capire se ciò che si propone ai clienti è utile alla

società. I servizi finanziari e di consulenza devono essere valutati

rispetto ai criteri del grado di utilità, dell’impatto socio-ambientale con

i bisogni dei clienti risparmiatori, della semplicità , della flessibilità,

della disponibilità in rapporto al ciclo di vita, del rapporto rischio-

rendimento. In relazione a questi criteri, mi piace ricordare che accurate

ricerche scientifiche hanno dimostrato che il cliente è disposto anche a

pagare di più per ricevere un servizio che corrisponda totalmente alle

sue esigenze e che sia distribuito seguendo criteri etici. Perseguire la

soddisfazione del cliente è un’attività fondamentale per ogni azienda.

Un cliente insoddisfatto è un cliente perso prima o poi; inoltre i risultati

di alcune ricerche mostrano che dare ad un cliente semplicemente ciò

che si aspetta non è sufficiente per ottenere la sua fedeltà. L’obiettivo

dovrebbe essere dargli di più di quanto si attende e quindi avere clienti

soddisfatti. Compito di un marketing etico, potrà dunque essere anche

quello di dare soddisfazione a tutta la “sfera dei bisogni”, inserendoli

in una più ampia concezione di servizio.

Etica del Prezzo: il promotore finanziario/consulente, che segue i

principi del marketing etico, deve considerare questa variabile come

uno strumento importante per lavorare in modo corretto. Quindi sarà

auspicabile che, pur essendo l’elemento principale per determinare

l’utile aziendale a cui si dovrà comunque tendere, la politica dei prezzi

94

dei servizi di consulenza e sui prodotti collocati sia equamente

rapportata anche alle aspettative di performance ed ai tempi di durata

del servizio stesso per il cliente. Bisogna pur tener conto, tuttavia che,

quando il cliente pone un problema di “prezzo eccessivo”, di solito non

è quello al centro della vera contestazione; in realtà ciò che vorrà

esprimere è che la somma dei benefici che ritiene di ottenere da quel

tipo di servizio non giustifica il prezzo richiesto.Di conseguenza ciò a

cui si dovrà tendere maggiormente sarà la condivisione, all’interno

della relazione, dei valori complessivi per il cliente che il servizio dovrà

contenere.

Etica della Promozione: Non è mai sufficiente sviluppare un “buon

servizio”, determinarne il prezzo eticamente corretto e metterlo a

disposizione del cliente; bisogna anche comunicare con lui per farlo

conoscere nell’insieme e farlo apprezzare. Nella scelta del messaggio

bisogna tener conto che i clienti non vogliono solo conoscere i benefici

di un prodotto, ma anche i possibili rischi rispetto agli obiettivi

prefissati, e soprattutto vogliono sapere quali problemi quel

prodotto/servizio risolverà. La Pubblicità, per esempio, per essere etica

deve fornire tutte le informazioni necessarie e non deve far uso di

tecniche che hanno l’obiettivo di manipolare o di suggestionare (come

siamo lontani dalla vendita a imbuto degli anni ’80). Una pubblicità

scorretta non solo non è etica, ma è anche disonesta. Non si potrà certo

far uso di comunicazioni che nascondono volutamente informazioni

utili e che mirano a far percepire al cliente elementi falsi rispetto al

servizio. I professionisti etici dovranno impegnarsi, in ogni campagna

pubblicitaria, a divulgare informazioni reali e corrispondenti a verità.

Naturalmente siamo ancora lontani da questi atteggiamenti, nella

maggior parte dei casi; ma è proprio questa la sfida per un impresa o

un’organizzazione che voglia fare del marketing etico la sua distinzione

sul mercato. Presentare per esempio un servizio di investimento,

95

fornendo informazioni parziali sui rischi, sulla volatilità, sui conflitti di

interesse, sui reali costi complessivi, rilevando solo le performance

dell’ultimo periodo (quando positive) , rappresenta un vecchio modo

(seppur ancora molto diffuso) di fare questa professione e lascia aperta

la strada per ogni impresa che voglia, con il cliente appunto,

condividere la costruzione stessa della soluzione riferendosi a tutti i

parametri informativi che sono ormai a disposizione su piattaforme

specializzate. Oltre alla pubblicità, nel marketing etico anche le

pubbliche relazioni possono rappresentare un altro utile strumento per

consentire il raggiungimento di elevati livelli di efficacia, poiché

mirano ad ottenere il consenso attraverso atteggiamenti di interesse

verso la socialità e comportamenti non puramente commerciali.

Etica della Distribuzione: I problemi relativi alla distribuzione di

servizi e prodotti finanziari, attengono principalmente alla struttura

della rete di vendita ed alla gestione della stessa. Le decisioni più

importanti da prendere in questo senso riguardano aspetti quali la

remunerazione e la motivazione del personale; la fissazione degli

obiettivi commerciali e la valutazione dei risultati; il reclutamento, la

selezione e la formazione continua dei promotori. Qui si torna sul

rapporto fra Azienda partner e la rete delle imprese dei P.F, già

affrontato in precedenza. E’ dalla scelta di reclutamento in poi che le

Aziende devono puntare sul marchio dell’eticità, privilegiando

competenze, onestà e dirittura morale delle persone reclutate e

promuovendo un marchio etico fin dalla mission. Non è più possibile

investire risorse nel creare un servizio eticamente corretto, nello

stabilire prezzi adeguati, nell’investire in una promozione eticamente

corretta e poi farlo distribuire da promotori senza scrupoli che, pur di

vendere, per le pressioni commerciali e per l’errato rapporto di

relazione di partnership instaurato, imbrogliano o manipolano i clienti

proponendo servizi utili solo a procurare commissioni. A lungo andare

96

l’immagine dell’intero marchio aziendale perderà rapidamente valore

ed i clienti diffideranno di altre iniziative. Riconquistare la reputazione,

in molti casi, non sarà più possibile. Starà quindi all’estensione di una

cultura aziendale dell’eticità, di cui i manager dovranno farsi carico in

ogni tipo di comportamento, il futuro affermarsi di questa nuova logica

competitiva. Questo a partire dall’incentivazione dei P.F. che, anziché

basarsi solo su parametri di natura quantitativa (volumi di raccolta di

risparmio, premi assicurativi, risparmio gestito e qualunque altro fattore

di mera redditività aziendale che potrebbero produrre comportamenti

antietici), dovrà sempre più spostarsi su parametri di misurazione della

soddisfazione del cliente e sulla redditività prodotta dall’estendersi

delle relazioni improntate all’etica del rapporto, sul numero dei clienti e

sull’efficacia (cross e up selling) di un’azione assistenziale. E così

anche per le logiche a cui riferire la fissazione degli obiettivi aziendali e

la loro valutazione.

Prendendo in considerazione i clienti, fra gli attori da rispettare nel

Marketing dell’etica (gli altri non possono non essere i collaboratori

dipendenti, gli azionisti ed i fornitori), chi sceglierà di operare

eticamente, si dovrà impegnare a curare i rapporti anche cercando

risposte a domande come queste :

• chi sono i nostri clienti?

• Perché acquistano?

• In che modo compiono le decisioni di acquisto?

I clienti sono prima di tutto persone e l’azienda stessa è formata da

persone; quindi il rispetto degli stessi inizia all’interno dell’impresa, nei

luoghi di accoglienza dei clienti, nella cura dei dettagli del servizio, e si

espande all’esterno applicando in modo coscienzioso le strategie di

marketing, anche quelle più aggressive. Essere parte di un’azienda

promotrice di iniziative ispirate al rispetto ed alla qualità, rafforza

97

la condivisione della mission aziendale e trasmette entusiasmo e

fedeltà.

Il cliente chiede all’azienda integrità, trasparenza e rispetto. Per

effettuare i propri acquisti ha bisogno di informazioni relativamente

semplici sui servizi e sui prodotti, è sempre più esigente ed attento, è

disposto a cambiare interlocutore se si rende conto che l’azienda non

soddisfa le proprie aspettative. Una recente indagine curata da Eurisko

ha messo in evidenza che il 60% dei consumatori è disponibile a non

acquistare i prodotti di una società che viola valori etici. Da qui il

valore economico, oltre che morale, di una scelta improntata verso

l’eticità.

La dichiarazione delle aziende di essere vicine ed attente ai propri

clienti spesso si scontra con la percezione degli stessi di essere visti

esclusivamente come “consumatori”. Riuscire invece ad instaurare una

relazione con il cliente, in quanto “uomo sociale”, può diventare per le

imprese un differenziale competitivo molto forte e rivoluzionario. Il

Marketing dell’etica garantisce proprio questo vantaggio: l’azienda si

presenta agli occhi del suo cliente come soggetto concentrato sul

sociale, come un soggetto attento a “tutti” i bisogni dei suoi clienti. La

grande sfida è già iniziata: la preparazione e la competenza tecnica di

un consulente finanziario stanno per essere superati per “valore” dalla

preparazione e competenza relazionale etica, laddove l’obiettivo

primario da “vincere” diventa “convincere”(win-win, vincere assieme)

e la leadership si fa etica per assolvere al suo compito originario, ossia

guidare con onestà e trasparenza verso la frontiera di un nuovo, diverso

successo. Dobbiamo iniziare tutti a vivere con un’altra mentalità,

eliminando l’io e vivendo il noi, passando dal come saremo al come

saranno quelli che verranno dopo di noi.

98

3.4 Oltre la fidelizzazione.

L’obiettivo di questo paragrafo è di andare ad approfondire un modello

di ricerca di nuovi, ulteriori sentieri, anche latenti, per riuscire ad

incoraggiare la fidelizzazione della clientela di un promotore o di un

consulente finanziario. Andare “oltre” la fidelizzazione è inteso in

quest’ottica secondo due diversi aspetti: un primo modo di concepire il

termine “oltre” è addizionale. In tal senso, con l’oltre ci riferiamo a ciò

che l’azienda può fare di più, ciò che può aggiungere e che può

realizzare di diverso per ottenere la fidelizzazione della clientela. Il

secondo modo di concepire il termine è esplorativo, e si riferisce

all’analisi di che cosa ci sia di importante e strategico all’interno della

gestione dell’azienda del consulente, che possa aiutare ad ottenere il

successo, non considerando, però, il cliente.

Il primo momento di riflessione è riuscire ad osservare la realtà

contestuale in cui vive l’impresa con un metodo di visione globale a

360°. Analizzare perciò le performance aziendali secondo ottiche

diverse: uno sguardo ai sistemi di sintesi ( performance dei prodotti,

performance dei mercati, concetto di valore), uno sguardo alla

destrutturazione (disaggregando ogni singola variabile, cercando di

cogliere tutti quegli aspetti importanti per il cliente), uno sguardo al

budget d’impresa, uno sguardo ai “processi”, uno sguardo alla

concorrenza, uno ai risultati, un occhio al presente ed uno al futuro. La

miopia e la presbiopia sono visioni sfasate che un moderno

imprenditore deve correggere al più presto. Avere una giusta visione “a

breve” ed “a lungo” serve quindi a combinare gli obiettivi di breve

periodo con quelli di più lungo periodo.Un processo di

iperfidelizzazione vede, come secondo momento importante, quello

dell’analisi delle performance sul cliente e del cliente con il metodo

della “disaggregazione bidirezionale della performance”.

99

Con il termine “performance sul cliente” ci si riferisce all’analisi dei

motivi per cui il cliente ci ha preferito alla concorrenza. Analizzando la

performance sul cliente si vogliono evidenziare con chiarezza e

precisione i fattori chiave di acquisto (FCA), che hanno costituito le

motivazioni del cliente nello scegliere la nostra combinazione prodotto-

servizio. E’ importante riuscire a dividere gli stessi fattori chiave tra

quelli relativi alla prestazione del prodotto (tecnici), quelli di servizio

(accessori) e quelli personali (relazionali). La combinazione pesata

degli stessi fattori ci permette di avere una chiara idea del perché il

cliente ha preferito la nostra offerta (combinazione prodotto-servizio-

relazione). Solo quando ha una chiara percezione di queste motivazioni,

l’azienda di consulenza finanziaria si rende conto del proprio potere

discrezionale nei confronti del cliente e della concorrenza.

Tab.6 Fattori chiave di acquisto di un servizio di consulenza finanziaria.

� Accoglienza � Aggiornamento � Ascolto del cliente � Assistenza post-vendita � Attenzione al sociale � Banca telefonica � Barriere architettoniche � Burocrazia � Chiarezza � Clima interno � Coerenza � Collaborazione � Competenza professionale � Condizioni agevolate � Considerazione � Consulenza � Continuità di performance � Convenienza � Cordialità � Cortesia � Disponibilità � Disposizione ambientale � Esclusività � Estetica � Etica commerciale

� Fiducia � Flessibilità condizioni � Garanzia � Gentilezza � Home banking � Immagine � Impegno personale � Informazioni dettagliate � Innovazione � Internet � Notorietà � Orari flessibili � Organizzazione � Parcheggio � Partnership con il cliente � Passaparola � Personalizzazione � Portafoglio diversificato � Precisione � Presenza sul territorio � Prezzo � Privacy � Professionalità � Promesse mantenute � Promozioni e regali

� Pubblicità � Performance � Qualità del servizio � Riservatezza � Sconti tariffari � Sensibilità alle esigenze � Serietà � Servizi accessori � Sicurezza � Simpatia � Solidità � Specializzazione � Storia passata � Strutture della rete � Trasparenza � Ubicazione � Velocità nel servizio

100

Successivamente, elevando le barriere all’ingresso, rinforzando i fattori

critici di successo emersi nella citata indagine e mettendo a fuoco i

vantaggi competitivi dinamici ad essi legati, si è in grado di creare quel

differenziale che permettono lo sviluppo ed il successo futuri.

Si tratta cioè di aumentare la consapevolezza nei confronti di ciò che il

cliente apprezza rispetto a quanto erogato; in termini di marketing

significa aumentare la propria sensibilità percettiva e confrontare ciò

per cui ci si ritiene forti con ciò che il cliente ritiene forte di noi. Per

fare ciò sarà opportuno determinare la performance sul cliente

analizzando i dati ottenuti attraverso una ricerca qualitativa sui nostri

clienti; il questionario, opportunamente predisposto, va somministrato

ad un significativo numero di clienti rappresentativi del portafoglio

individuale di ogni promotore/consulente finanziario.

La seconda disaggregazione riguarda le performance del cliente: si

esamina, in questo caso, il valore totale del cliente, componendo in

dettaglio la sua performance complessiva “sgranata” per ogni singolo

elemento tecnico e relazionale che la compone, senza limitarsi a

considerarlo come un semplice portatore di fatturato o di numero di

servizi sottoscritti. E’ opportuno in tal senso produrre una “matrice

della fidelizzazione” come riportata nella tabella 7. La sua costruzione

avviene in questo modo:

1) In prima analisi, si riportano i nomi dei principali clienti nella prima

casella in ordine di importanza percepita, posizionando al primo posto

quello ritenuto più importante, e così via in ordine decrescente. Questo

metodo di valutazione della clientela è esatto, ma riduttivo, in quanto

considera la gerarchia della clientela solo secondo una variabile (di

norma la RFA, ricchezza finanziaria amministrata). Suggerisco, invece,

di prendere in considerazione un novero di variabili (tecniche e

personali/relazionali più ampio, che permette di considerare la

101

performance dei clienti da un punto di vista olistico, e quindi più

completo rispetto alle esigenze delle imprese di consulenza finanziaria.

Potrebbero essere per esempio 5 fattori di natura tecnica e 5 di natura

personale, tutti elementi che devono rappresentare la scelta strategica

dell’azienda ( ciò a cui si guarda quando si sceglie un cliente e la loro

somma è la strategia aziendale).

Tab. 7 Matrice della fidelizzazione

Fattori tecnici Fattori personali

ST SP

Graduatoria inizialedella clientela(A)

Ric

chez

za f

inan

ziar

ia

Com

mis

sion

i pro

cura

te

Pot

enzi

alit

à d

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rson

a

Som

ma

ST +

SP

Gra

duat

oria

fin

ale

real

e

(B)

1.Bianchi 10 6 3 4 6 29 3 4 2 1 1 11 40 1.Renzi

2.Rossi 10 8 6 8 4 36 5 3 3 1 1 13 49 2.Ferri

3.Ferri 9 6 6 10 8 43 6 2 4 2 1 15 58 3.Magni

4. Poli 8 4 4 6 7 29 5 3 4 3 1 16 45 4.Adami

5. Renzi 8 10 8 7 8 41 4 5 4 3 3 19 60 5.Corti

6. Adami 8 9 8 0 3 28 4 4 3 6 6 23 51 6.Carli

7. Pieri 7 7 6 2 5 27 3 4 3 3 4 17 44 7.Rossi

8. Corti 7 6 8 6 6 33 3 3 4 4 3 17 50 8.Poli

9.Magni 7 8 10 4 2 31 5 6 5 3 6 25 56 9.Pieri

10. Carli 6 8 10 6 4 34 3 2 3 4 3 15 49 10.Bianchi

102

Il numero di elementi tecnici e personali da inserire nella matrice può

variare a seconda di come si vuole impostare l’analisi e ancora di più in

base alla sensibilità verso gli uni o gli altri fattori.

2) Il secondo passo consiste nel dare una votazione da uno a dieci per

ogni singolo fattore, considerando di volta in volta tutti i clienti, e

valutandoli per quello che apportano in relazione al fattore considerato.

La valutazione finale del cliente si ottiene sommando in orizzontale la

contribuzione di ogni singolo fattore: ciò costituisce una “nuova

classifica”. Non c’è da meravigliarsi se la nuova classificazione

gerarchica della clientela riportata nel quadrante A è diversa da quella

del quadrante B, proprio perché, nella norma, il quadrante A riporta la

classifica dei clienti valutati in relazione ad un solo elemento (RFA);

nel quadrante B, invece, la somma dei giudizi estrapolati dai fattori

tecnici, personali, “strategici” per l’azienda, può evidenziare qualche

cambiamento, ma è la reale classifica della clientela. Il fatto poi che

qualcuno si ritrovi declassato, significa che la nostra considerazione nei

suoi confronti è alta, ma che il suo apporto totale reale è diverso e

quindi dovremo essere consapevoli che il suo posizionamento reale non

è quello iniziale, ma quello finale; lo stesso vale per chi risulta invece

promosso in classifica. Da questa valutazione matematica si evince

l’importanza di non considerare mai i clienti da un solo punto di vista,

che è al contempo miope e pericoloso. Nell’attribuire i punteggi si

procede con la logica aritmetica: elevata contribuzione, voto alto; scarsa

contribuzione, voto basso, ma con alcune eccezioni.

- La concorrenza: più è presente e pressante sul cliente in questione,

più il voto sarà basso (la pressione concorrenziale obbliga a extra

prestazioni, anche solo in termini di attenzione al cliente, e questa

rappresenta un costo cui, in questo caso, si attribuisce un voto basso).

Lo stesso vale per le voci assistenza, difficoltà di gestione e rapidità

di richiesta che, essendo elementi di costo, tanto più sono richiesti

103

tanto più concorrono negativamente alla creazione di valore per

l’azienda (riducendone i margini).Come si può notare, valutando i

clienti in base a diversi fattori, il giudizio globale cambia con eventuali

spostamenti in classifica. Il commento può essere fatto anche

analizzando solamente i fattori tecnici o quelli personali con grande

flessibilità perché la matrice va costruita in modo autoriferito ed in base

alle singole sensibilità nei confronti dei diversi fattori che la

compongono. Un cliente con basso fatturato, ma con una certa

potenzialità, va visto con un’ottica prospettica, ed è diametralmente

opposto a chi ha un alto fatturato e poca potenzialità. Va da sé che in

base alle priorità ed agli obiettivi si creano diverse classifiche. In

secondo luogo, nonostante certi clienti possono rimanere “bassi” nella

classifica, è giusto considerarli per il valore aggiunto che apportano; in

altre parole, nel momento in cui un cliente non crea problemi dal punto

di vista della concorrenza, perché è totalmente fidelizzato, anche se il

suo apporto di commissioni procurate o di cross selling non è elevato,

egli rappresenta comunque per l’azienda un elemento di contribuzione.

Un basso volume di provvigioni procurate può essere compensato da

una bassa pressione della concorrenza che avrà positivi risultati

nell’area della contribuzione. Ricordo infatti che l’area di redditività

non è solo quella economica, data dalla differenza tra i ricavi ed i costi,

ma è anche quella virtuale, data dall’assenza di necessità di sostenere

dei “costi di comportamento” in quanto il cliente non ha bisogno di

essere presidiato.

Il fine ultimo è quindi quello di considerare la clientela da diversi punti

di vista e la matrice della fidelizzazione, che in pratica è un vero e

proprio “scooring” della clientela, è uno stimolo di facile applicazione e

supportato dalla imparzialità dei numeri rispetto ai giudizi di valore.

Abbiamo già detto quali sono i presupposti per andare verso l’obiettivo

della fidelizzazione del cliente: attraverso un marketing relazionale ed

104

etico essa si implementa in tutte quelle azioni che un’azienda (sia essa

un promotore finanziario o un consulente o una banca ) compie e nelle

strategie che elabora per rendersi interessante agli occhi del cliente

risparmiatore, affinché questo non desideri cambiare fornitore.

Diversamente, andare “oltre la fidelizzazione” implica un piacere, da

parte del cliente stesso, a lavorare con quella particolare impresa.

Una strategia di marketing correttamente impostata non tende a

conquistare il cliente con una buona proposta di investimento

finanziario per poi abbandonarlo a se stesso: piuttosto è orientata a

mantenere un rapporto di fiducia e di aiuto, in alcuni casi perfino di

amicizia. Nel corso del tempo, si deve verificare se la scelta fatta

continua ad essere la migliore possibile; le situazioni, sia dei mercati

che del risparmiatore, possono cambiare: possono esserci occasioni più

interessanti e nuove opportunità nell’ambito del profilo di rischio

stabilito e della pianificazione del ciclo di vita familiare. Per questo

promotori finanziari e clienti si dovrebbero incontrare periodicamente.

Un contatto frequente e diretto è un fortissimo stimolo a migliorare, a

cercare opzioni più adeguate, e ad andare oltre. Si ha la fidelizzazione

di solito quando il professionista riesce a capire in via anticipata le

esigenze del cliente e riesce a soddisfarle nel miglior modo possibile,

non solo in materia di tassi e rendimenti, ma anche di rapporto

continuativo nel tempo. E’ stato dimostrato più volte che un cliente non

lascia una banca o un promotore per la differenza di mezzo punto

percentuale di rendimento o per la differenza di poche decine di euro

sui costi di un conto corrente, ma ciò può accadere se il cliente ricerca

una persona di fiducia o un vero consulente.

Il livello “oltre” si raggiunge quando il risparmiatore già fidelizzato è

disposto a collaborare con il proprio consulente finanziario, diventando

un “opinion leader”. Oltre la fidelizzazione può implicare di investire

105

risorse per motivare il cliente con la qualità; fornire un servizio

qualitativamente superiore e curarlo con attenzioni specifiche. Per altri

può esprimersi nello stimolare dei momenti in cui le idee possono

essere liberamente scambiate tra azienda e cliente; organizzare

periodicamente degli incontri per assicurarsi che, nel tempo, il servizio

erogato risponda sempre ai bisogni della clientela. Infine andare “oltre”

significa saper coniugare efficienza con localismo, servizi

concorrenziali con il dialogo consulente- cliente; il dialogo non è solo

un mezzo per avvicinarsi meglio all’utenza, ma la leva su cui agire per

generare vantaggio competitivo.

Il secondo modo di concepire il termine “oltre la fidelizzazione” è di

natura esplorativa. E’ infatti importante considerare anche cosa sia

fondamentale presidiare, al di là del rapporto con il cliente, per

conseguire il successo. Una strategia che non può non considerare altri

aspetti, oltre a quelli riferiti al cliente, si deve focalizzare sui concetti di

redditività, di lungimiranza, di virtualità, di dimensione, di

investimento.

- La redditività rappresenterà sempre comunque l’obiettivo

determinante per ogni impresa che voglia rimanere sul mercato in

posizione di successo, la cartina di tornasole che prova se le idee

strategiche sono state correttamente trasformate in marketing

operativo e percepite positivamente dal cliente.

- La lungimiranza è una variabile di risultato e crea la storia

dell’azienda. Essa, nel terzo millennio, di sicuro sarà legata al

disaffezionarsi dalle precedenti decisioni di successo. Non cullarsi

sugli allori insomma sarà il dovere di ogni imprenditore di

successo, chiamato a guardare con rapidità e flessibilità ai sempre

più repentini cambiamenti del contesto in cui ci muoviamo.

- La virtualità è l’altra scommessa del futuro per cui nessun

professionista o imprenditore potrà sottrarsi al confronto con lo

106

strumento di Internet e delle innovazioni che continuamente

saranno chiamati ad applicare in tal senso, pena una

marginalizzazione rapida dei propri fattori competitivi.

- La dimensione delle imprese in tal senso non costituirà un

particolare discriminante; essa sarà importante nei termini di

struttura di capitale e di diffusione rapida delle conoscenze oltre

che nel numero dei clienti ottimali per una proficuo relazione, ma la

variabile che l’accompagna e secondo cui essa acquista un senso,

sarà ancora una volta la redditività.

- Gli investimenti di mercato sono un’altra variabile imprescindibile.

Oggi più che mai la ricerca e la conoscenza sono strumenti decisivi.

Per tutti diventa imprescindibile quindi investire nella ricerca di

ogni utile innovazione per il proprio settore: nei nuovi prodotti, nei

nuovi canali, nei nuovi modi di distribuire, nei nuovi modi di creare

soddisfazione.

107

Conclusioni

Questo lavoro vuole essere uno spunto per chi, soprattutto fra i

promotori finanziari con una certa esperienza professionale e chi si

accinge ad intraprendere magari nuove strade verso la consulenza

finanziaria “oggettiva”, intende sviluppare e sperimentare modelli

nuovi di approccio alla professione. Con uno sguardo al passato ed alle

grandi trasformazioni intervenute in questo settore:dalla fase

pionieristica della vendita di prodotto, che tanto ha insegnato a quei

venditori che, con costanza, forza di volontà e metodo invidiabili, si

presentavano ad una fascia ristretta di clienti per presentare servizi e

prodotti che da lì a poco avrebbero aperto, anche ai tradizionali

risparmiatori italiani, le strade per i mercati di investimento di tutto il

mondo; dalle esperienze che hanno visto crescere e professionalizzarsi

queste figure, in un legame esclusivo di supporto con le più importanti

banche specializzate; dai boom alle crisi ricorrenti dei mercati finanziari

e dalle alterne vicende nei rapporti fra risparmiatori e consulenti, spesso

con importanti crisi di sfiducia degli utenti nel sistema bancario tout

court.

Da tutte queste fasi si è andata nel tempo consolidando una tesi, che ho

voluto qui sostenere e arricchire con un contributo di esperienza

personale da operatore che lavora da venti anni in questo settore: quella

che un’impresa di servizi finanziari si deve oggi più che mai orientare a

fornire qualità totale in tutte le sue espressioni e considerare

definitivamente il cliente al centro delle sue operazioni di marketing

interno ed esterno. Il marketing non è morto, come sostiene qualcuno.

E’ certamente però arrivato il tempo di aggiornare il tradizionale

concetto legato alla crescita , alla conquista di nuovi clienti, con uno più

vicino al contesto competitivo attuale, fatto di un’offerta assai più

ampia della domanda e dove la fidelizzazione dei clienti esistenti

rappresenterà sempre più il focus a cui prestare ogni tipo di attenzione.

108

E allora è importante capire quanto possiamo fare per presidiare ciascun

cliente e considerarlo innanzitutto una persona, assumere atteggiamenti

etici in ogni fase aziendale, non solo perché è moralmente giusto, ma

perché conviene; passare dalla fase della classificazione (cluster) in

segmenti a quella della personalizzazione (custom) del servizio; partire

dalle esigenze specifiche di ognuno, coglierne il diverso peso e priorità

in funzione del ciclo di vita della propria famiglia; stabilire con il

cliente una vera e propria relazione che sfoci in una partnership, nella

quale si ottengano reciproci vantaggi e gratificazioni; lavorare per la

fidelizzazione a tutela del nostro vantaggio competitivo verso la

concorrenza, andare “oltre la fidelizzazione” con metodi nuovi di

approccio alla gestione del portafoglio e comportamenti aziendali tali

da far lievitare il rapporto.

L’avvento ed il rapido sviluppo di Internet non fa che accelerare questo

tipo di processo. Le innovazioni, anche attraverso il marketing virtuale,

vedranno competere sempre più selettivamente solo quelle imprese che

ne anticiperanno i contenuti e li sapranno trasferire in operatività

aziendale. Si apre un’era straordinaria per la complessità dei contesti e

per la rapidità di cambiamento degli scenari. Sta a noi accettare la sfida

che ci farà progredire verso una maggiore democratizzazione negli

affari e nei rapporti commerciali.

109

BIBLIOGRAFIA

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