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Università degli Studi di Firenze FACOLTA’ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria IL SIGNIFICATO DELLA “MISURA” NELLE SCIENZE SPERIMENTALI: UN PROGETTO DIDATTICO PER LA SCUOLA PRIMARIA Relatore: Dott. Samuele Straulino Studentessa: Virginia Tognaccini Anno Accademico 2011/2012

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Università degli Studi di Firenze

FACOLTA’ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE

Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria

IL SIGNIFICATO DELLA “MISURA” NELLE SCIENZE

SPERIMENTALI: UN PROGETTO DIDATTICO PER LA

SCUOLA PRIMARIA

Relatore:

Dott. Samuele Straulino

Studentessa:

Virginia Tognaccini

Anno Accademico 2011/2012

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Ai miei genitori

che hanno reso possibile questo cammino

A mia sorella Elena

per avermi trasmesso la voglia d’insegnare

A Luca

che mi è stato vicino lungo il percorso

A tutti coloro che

come me amano questa professione

Grazie al prof. Samuele Straulino

per la serietà e la disponibilità dimostrata,

e alla Scuola Primaria di Reggello

per l’importante esperienza vissuta

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INDICE

INTRODUZIONE .................................................................................................... 4

1. LE SCIENZE SPERIMENTALI NELLA SCUOLA PRIMARIA.................. 8

1.1 IL VALORE DELLA SCIENZA OGGI..................................................................................... 8

1.2 IL RUOLO DELLA MATEMATICA ALL’ INTERNO DELLE SCIENZE

SPERIMETALI .................................................................................................................................. 11

1.2.1 La costruzione delle competenze matematiche nella scuola primaria ........ 13

1.3 METODOLOGIE PER L’APPROCCIO AI CONCETTI FISICI .................................... 15

1.3.1 L’approccio al concetto di misura.................................................................................. 17

1.4 APPRENDERE LA CONOSCENZA SCIENTIFICA ....................................................... 18

1.4.1 La conoscenza a scuola ..................................................................................................... 19

1.5 L’EDUCAZIONE SCIENTIFICA NEI PROGRAMMI DEL 1985 .............................. 23

1.6 CONOSCENZA SCIENTIFICA E CONOSCENZA DI SENSO COMUNE ................ 25

1.7 LO SVILUPPO DELLE QUANTITA’ FISICHE NEL BAMBINO .............................. 28

1.7.1 Genesi delle nozioni di conservazione .......................................................................... 30

1.7.2 Come spiegano i bambini le differenze di densità ................................................... 32

2. LA MISURA ....................................................................................................... 35

2.1 IL CONCETTO DI MISURA NELLA STORIA ................................................................. 35

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2.1.1 La misura e gli Egizi ............................................................................................................ 36

2.1.2 La misura presso i Greci ..................................................................................................... 39

2.1.3 Le unità di misura romane................................................................................................ 40

2.1.4 La misura del tempo in antichità ................................................................................... 42

2.2 IL SISTEMA DI MISURA ANGLOSASSONE .................................................................. 44

2.3 L’ ESIGENZA DI UN SISTEMA UNIVERSALE .............................................................. 46

2.4 GRANDEZZE FISICHE E UNITA’ DI MISURA .............................................................. 50

2.5 MISURA DI LUNGHEZZA, AREA E VOLUME ............................................................... 52

2.6 LA MISURA DEL TEMPO ..................................................................................................... 53

2.6.1 Il pendolo .................................................................................................................................. 55

2.7 LA MISURA DI MASSA E DI PESO ................................................................................... 57

2.8 LA MISURA DELLA DENSITA’ ........................................................................................... 59

2.9 GLI STRUMENTI DI MISURA ............................................................................................. 60

2.10 ERRORE DI MISURA ........................................................................................................... 62

3. LA MISURA: IL PROGETTO DIDATTICO ............................................... 66

3.1 INTRODUZIONE ...................................................................................................................... 66

3.2 LA PROGETTAZIONE ............................................................................................................ 68

3.3 GLI INCONTRI E LA DIDATTICA IN CLASSE ............................................................. 72

3.3.1 Iniziamo dalle preconoscenze: il questionario iniziale......................................... 72

3.3.2 Dall’osservazione alla misura: la misura della lunghezza .................................. 79

3.3.3 La misura del tempo ............................................................................................................ 87

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3.3.4 La misura di massa e la densità ...................................................................................... 94

3.4 IL QUESTIONARIO DI VERIFICA INIZIALE ............................................................... 106

3.4.1 La stesura del questionario ........................................................................................... 106

3.4.2 I risultati del questionario ............................................................................................. 107

3.5 CONCLUSIONI ........................................................................................................................ 113

ALLEGATI ........................................................................................................... 115

BIBLIOGRAFIA ................................................................................................. 123

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INTRODUZIONE

“Pesi e misure possono essere annoverati fra gli strumenti

indispensabili della vita per ogni componente della

società. Essi trovano spazio nelle decisioni economiche e

nelle faccende quotidiane di ogni famiglia. Sono necessari

ad ogni aspetto della vita umana. [….] La loro

conoscenza, secondo l’uso stabilito, rientra fra i rudimenti

dell’istruzione”.

John Quincy Adams1

Ogni adulto ha avuto nel corso della sua vita esperienza pratica del

procedimento di misura, e lo stesso si può affermare per quanto riguarda i

bambini.

I bambini fin da piccoli usano termini di confronto quali “è più grande di”, “è

più piccolo di”, “è più lontano” ecc.… e operano confronti diretti per

verificare il loro pensiero e le loro affermazioni.

Gli alunni già prima dell’ingresso a scuola hanno già qualche tipo di

conoscenza in merito alla misura, dovuta all’osservazione o alla

partecipazione ad alcune attività o all’ascolto o all’uso del linguaggio. Questa

realtà non può essere ignorata, anzi è stata assunta come punto di partenza

favorendo situazioni in cui i bambini hanno potuto mettere in atto questa

loro prima capacità, che stimola ed esercita abilità quali il saper valutare ad

occhio e saper eseguire un controllo delle supposizioni.

Dopo aver sottolineato l’importanza che l’attività di misurazione ricopre

nella vita di tutti i giorni e nei processi di conoscenza in generale, la

1 Relazione al congresso degli Stati uniti, 1821

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complessità di tale attività e la vastità dei campi di applicazione, si tratta

adesso di vedere quali e quanti problemi devono esser tenuti presenti nel

progettare o nel condurre esperienze con i bambini.

In questa tesi vorrei dare un esempio di come si può progettare

un’esperienza guidata in tal senso.

Il procedimento di misura è uno dei procedimenti principali sia della

conoscenza scientifica sia della conoscenza comune. La differenza dell’uso di

questo procedimento nella scienza e nella vita comune dipende dal fine che

si vuol raggiungere: nel primo caso si misura per scopi conoscitivi, nel

secondo caso si misura per fini pratici.

Il progetto svolto ha inizio dalla conoscenza comune dei bambini sulla

misurazione, per poi giungere ad un uso “scientifico” del procedimento di

misura.

L’idea da cui parte la mia ricerca riguarda il rapporto tra esperienza e

educazione. Come sosteneva il filosofo e pedagogista John Dewey “c’è

un’intima e necessaria relazione fra il processo dell’esperienza effettiva e

l’educazione”. Secondo questo principio l’educazione deve sempre essere

legata all’esperienza pratica.

Il progetto di questa tesi è stato ideato tenendo conto di queste teorie,

lasciando che l’allievo non impari dal maestro, ma dalla natura stessa, e

quindi dall’esperienza, com’è dichiarato nell’Emilio di Rousseau.

L’apprendere attraverso il fare esperienza diventa fondamentale soprattutto

nelle attività proposte nella Scuola Primaria, poiché a quest’età i bambini

non hanno ancora sviluppato un tipo di pensiero astratto al pari di quello

adulto. Inoltre le discipline scientifiche richiedono ancor più questo tipo di

approccio.

A conclusione degli incontri svolti in classe, gli stessi bambini hanno

sostenuto che a scuola si impara meglio con gli esperimenti che con i libri.

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Questa tesi descrive sia le attività sperimentali svolte in classe, sia la teoria

(pedagogica e scientifica) che supporta l’intero progetto. Il lavoro è

suddiviso in tre capitoli.

Il primo capitolo dà spazio ad alcune riflessioni sul valore della scienza e

sull’importanza dell’insegnamento scientifico nella scuola primaria con

riferimento agli obiettivi designati nelle Indicazioni per il Curricolo del 2007.

Viene poi descritto il ruolo della matematica all’interno delle scienze

sperimentali, sottolineando lo stretto rapporto che esiste con le altre

discipline scientifiche. Infine si fa riferimento alla costruzione delle

competenze matematiche nella scuola primaria

Inoltre viene illustrato lo sviluppo della conoscenza delle quantità fisiche nel

bambino, secondo gli studi effettuati da Piaget. In particolare viene

ripercorsa l’acquisizione all’interno della mente dei bambini di concetti fisici

come massa, peso, volume e densità che costituiscono l’oggetto di una parte

degli esperimenti svolti in classe con i bambini.

Il secondo capitolo è dedicato alla metrologia, intesa come scienza della

misurazione e ha lo scopo di introdurre il concetto di misura e di spiegarne

il significato, ripercorrendo il processo storico che ha portato alla metrologia

attuale.

In tempi antichi le misure venivano effettuate in base ad elementi del corpo

umano. Le prime unità di misura provengono dall’Oriente, passando poi in

Egitto, Grecia e Roma, dove subirono alcune trasformazioni. Infine viene

data particolare attenzione alla nascita del sistema metrico decimale e

all’attuale Sistema Internazionale.

Il terzo capitolo è il fondamento di questa tesi: contiene la descrizione del

progetto da me ideato e realizzato in classe.

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L’obiettivo del progetto è stato quello di far capire ai bambini il significato

della misura nelle scienze sperimentali attraverso molteplici attività

laboratoriali sulle principali grandezze fisiche.

Questa proposta didattica nasce dall’esigenza di una costruzione più

consapevole del concetto di misura: la misura come valore di una grandezza

fisica in un dato sistema di unità e la misura come numero soggetto a

un’inevitabile incertezza, dovuta sia allo strumento utilizzato che

all’esecutore della misurazione.

L’itinerario didattico proposto ha avuto un notevole successo, testimoniato

sia dall’entusiasmo e dalla partecipazione dei bambini nello svolgere le

attività, sia dai risultati dei questionari di verifica finale descritti nell’ultimo

capitolo.

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Capitolo I

LE SCIENZE SPERIMENTALI NELLA SCUOLA

PRIMARIA

La parola “scienza” fu impiegata nel pensiero greco antico per indicare il

sapere certo, la conoscenza esatta delle cose, in contrapposizione al termine

“opinione” che rappresentava il sapere volgare, incerto e vago. Secondo i

Greci, in particolare per Aristotele, la conoscenza scientifica si esprimeva

attraverso leggi collegate tra loro in maniera logicamente rigorosa così da

formare un sistema coerente.

A partire dal ‘600 la scienza viene caratterizzata da un importante

rinnovamento grazie all’approccio matematico e sperimentale che le viene

dato.

Oggi possiamo definire la scienza come il complesso delle conoscenze che

l’uomo possiede intorno a se stesso e al mondo che lo circonda; queste

conoscenze sono organizzate in un sistema che permette di controllarne la

validità. Quest’ultimo aspetto è ciò che caratterizza la scienza rispetto ad

altre attività dello spirito umano, come il senso comune, la filosofia e tutte le

altre forme in cui si manifesta il pensiero dell’uomo.

1.1 IL VALORE DELLA SCIENZA OGGI Oggi il valore inestimabile della scienza e della ricerca scientifica è

ampiamente riconosciuto all’interno della società. E’ ormai diffusa la

consapevolezza che senza ricerca scientifica il mondo non può compiere

progressi.

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“Alla scienza va riconosciuto di essere un valore. Essa può dare ordine e senso

al mondo in cui abitiamo e all’uomo stesso che deve abitarlo secondo libertà,

sottoponendolo anche e sempre più al suo controllo.” 2

Il valore della scienza possiede molteplici sfaccettature, essa è valore

cognitivo, sociale, culturale e formativo insieme.

Il valore cognitivo della scienza risiede nel fatto che essa è in grado di

sottoporre il pensiero a una serie di regole e lo sottrae al relativismo. Grazie

alla scienza il pensiero si vincola ad un modello di verità che si fonda sulla

ricerca, la quale si vincola a sua volta al rigore procedurale che si basa sul

metodo. Così la scienza, grazie alla formazione di una nuova forma di

pensiero, elimina il pregiudizio ed ogni forma di dogmatismo.

Il valore sociale che essa possiede è connesso all’uso che viene fatto della

scienza nella società. La scienza ha sviluppato nuove forme di

organizzazione della vita umana, ha liberato l’uomo da vincoli reali oltre che

ideali.

La scienza possiede inoltre un alto valore culturale specialmente nella

cultura contemporanea.

Non meno significativo è il valore formativo della scienza, capace di creare

un pensiero libero, una mentalità razionale aperta e antidogmatica.

Grazie a questo riconoscimento del valore formativo della scienza,

all’educazione scientifica viene riservato un posto speciale all’interno del

percorso scolastico, già a partire dalla scuola di base.

L’educazione scientifica deve contribuire alla formazione culturale del

cittadino, consentendogli così di partecipare alla vita sociale con

consapevolezza e capacità critica.

La direzione in cui si sono mossi i curricoli scolastici è stata quella di porre

l’educazione scientifica-tecnologica come indispensabile per la formazione

intellettuale di ogni futuro cittadino. 2 F. Cambi, Introduzione al libro “Leggere il mondo oltre le apparenze. Per una didattica dei concetti fondamentali della chimica” di AA.VV, Armando Editore, Roma, 2007

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“Infatti, la conoscenza dei linguaggi scientifici….. si rivela sempre più

essenziale per l’acquisizione di una corretta capacità di giudizio.”3

Come si sottolinea anche nelle Indicazioni per il curricolo del 2007 elaborate

dal Ministro Fioroni, le conoscenze proposte dalle discipline matematiche,

scientifiche e tecnologiche sviluppano modi di pensare, esperienze,

linguaggi, modi di agire che incidono su ogni dimensione della vita

quotidiana propria e degli altri. Tali conoscenze contribuiscono in modo

importante e determinante alla formazione culturale della persona,

“sviluppando le capacità di mettere in stretto rapporto il pensare e il fare”.4

Le discipline scientifiche fanno parte dell’area matematico-scientifico-

tecnologica. Questa area è articolata in tre discipline: matematica, scienze

naturali e sperimentali, tecnologia, che devono essere concepite in

collegamento tra loro ma anche con le altre aree.

Elemento di fondamentale importanza per queste discipline è il laboratorio,

“inteso sia come luogo fisico sia come momento in cui l’alunno è attivo,

formula le proprie ipotesi e ne controlla le conseguenze, progetta e

sperimenta, discute e argomenta le proprie scelte, impara a raccogliere dati e

a confrontarli con le ipotesi formulate, negozia e costruisce significati

interindividuali, porta a conclusioni temporanee e a nuove aperture per la

costruzione delle conoscenze personali e collettive.”5

L’insegnamento delle discipline scientifiche dovrebbe utilizzare l’esperienza

di laboratorio non come attività straordinaria, ma come prassi usuale per

permettere l’acquisizione di una mentalità scientifica attraverso

l’applicazione diretta del metodo scientifico.

Rispetto alla lezione tradizionale, l’attività di laboratorio, intesa non solo

come spazio ma anche come metodologia didattica, è certamente più

3 Atti del XXII Convegno UMI-CIIM, Ischia 15-17 novembre 2001

4 M.P.I. Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione 2007 5 Ibidem

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affascinante e coinvolgente e sviluppa nel bambino un atteggiamento di

disponibilità ed entusiasmo stimolando la curiosità.

Infatti, durante una lezione di stampo tradizionale, il bambino è relegato al

compito di ascoltare ma, come ben sappiamo, ascoltare con attenzione è

faticoso anche per molti adulti: c’è il rischio di farsi sfuggire qualche parola o

concetto o peggio ancora di dimenticare successivamente.

Al contrario, apprendere “facendo” significa fissare le idee nella mente

attraverso non le parole, ma i fatti, le immagini e i ragionamenti.

“Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco” è un antico

proverbio cinese che vorrei proporre come efficace slogan che racchiude in

sé un’ importante teoria pedagogico-didattica.

1.2 IL RUOLO DELLA MATEMATICA ALL’ INTERNO DELLE SCIENZE

SPERIMETALI

“La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che

continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io

dico universo), ma non si può intendere se prima

non s’impara a intendere la lingua, e conoscer i

caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua

matematica […]”

Galileo Galilei

Il saggiatore

Secondo gli antichi la matematica non doveva essere impiegata nello studio

della natura. La scienza della natura doveva perciò impiegare il linguaggio

qualitativo; la matematica poteva servire come strumento utile per calcolare

dati necessari alla vita pratica, ma le formule matematiche impiegate non

venivano considerate come delle spiegazioni dei fenomeni fisici.

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Anche l’astronomia antica impiegò la matematica, ma venne considerata

solo uno strumento di calcolo per la costruzione del calendario più che una

spiegazione di com’è fatto il cosmo.

Solo nel XVII secolo, grazie all’opera di Galileo, Cartesio, Newton e molte

altre personalità di rilievo, la matematica non fu più considerata un semplice

strumento di calcolo, ma un solido fondamento su cui costruire la

descrizione della realtà fisica.

Il linguaggio usato dal ricercatore per la formulazione delle leggi fisiche è il

linguaggio matematico, che in modo naturale si presta a descrivere le

relazioni tra i dati numerici che individuano i fenomeni, le loro variazioni ed

i loro rapporti reciproci; il procedimento usato per giungere a tale

formulazione è il metodo scientifico , la cui introduzione si fa storicamente

risalire a Galileo Galilei. Esso può essere descritto distinguendone alcune fasi

successive:

•Una fase preliminare in cui, basandosi sul bagaglio delle conoscenze

precedentemente acquisite, si determinano sia le grandezze rilevanti per la

descrizione del fenomeno che quelle che presumibilmente influenzano le

modalità con cui esso si presenterà.

•Una fase sperimentale in cui si compiono osservazioni accurate del

fenomeno, controllando e misurando sia le grandezze che possono

influenzarlo, sia le caratteristiche quantitative che lo individuano e lo

descrivono. Il fenomeno, infatti, viene studiato in maniera controllata, per

metterne in evidenza gli aspetti che interessano allo sperimentatore. In

questo consiste specificamente il lavoro dei fisici sperimentali.

•Una fase di sintesi o congettura in cui, partendo dai dati numerici raccolti

nella fase precedente, si introducono delle relazioni matematiche tra le

grandezze misurate che siano in grado di render conto delle osservazioni

stesse; si formulano cioè delle leggi fisiche ipotetiche, controllando se esse

sono in grado di spiegare il fenomeno.

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•Una fase deduttiva, in cui dalle ipotesi formulate si traggono tutte le

immaginabili conseguenze: particolarmente la previsione di fenomeni non

ancora osservati (almeno non con la necessaria precisione); e questo è

specificamente il compito dei fisici teorici.

•Infine una fase di verifica delle ipotesi prima congetturate e poi sviluppate

nei due passi precedenti, in cui si compiono ulteriori osservazioni sulle

nuove speculazioni della teoria per accertarne l’esattezza.

1.2.1 La costruzione delle competenze matematiche nella scuola

primaria

La scuola ha il compito di promuovere e diffondere una “cultura

matematica”, che spesso viene trascurata a vantaggio delle tecniche di

calcolo, presentando questa disciplina in modo comprensivo e interessante.

La matematica è uno strumento potente e insostituibile per indagare,

interpretare e gestire la realtà. Matematica e fisica sono due discipline in

stretto rapporto. Come aveva già intuito Galileo, solo la matematica può

essere considerata uno strumento sufficientemente potente e preciso per

interpretare le leggi dell’universo. Emerge da queste considerazioni l’idea

della matematica come strumento di pensiero.

E’ necessario quindi che i giovani acquisiscano la metodologia e le regole

proprie di questa disciplina per potersi muovere in modo autonomo e

consapevole in ogni ambito e circostanza.

Al fine di costruire le competenze matematiche dell’allievo sono stati

individuati6 quattro nuclei tematici che fanno parte dell’educazione

matematica nella scuola primaria e nella secondaria di primo grado. Essi

sono il numero, lo spazio e le figure, le relazioni, i dati e le previsioni.

6 Si fa riferimento agli atti del XXII Convegno UMI-CIIM Ischia 15-17 novembre 2001 e alle Indicazioni per il Curricolo del 2007

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Vi sono poi tre nuclei trasversali, basati invece sui processi: misurare,

argomentare e congetturare, risolvere e porsi problemi.

In particolare il primo di essi offre l’occasione di un approccio corporeo ed

esperienziale alle grandezze, per poi ricavare relazioni tra di esse e costruire

modelli sui fenomeni studiati.

All’interno delle competenze matematiche, presenti nei vari nuclei, ho

ritenuto opportuno soffermarmi sulla descrizione del processo del

“misurare”.

A livello generale, le competenze su tale processo riguardano diversi aspetti:

misurare grandezze e rappresentare le misure, stimare misure, risolvere

problemi e creare modelli di fatti e fenomeni a partire dai dati di misura.

Le competenze specifiche individuate per il primo biennio di scuola primaria

sono:

Osservare oggetti e fenomeni individuando in essi alcune grandezze

misurabili; compiere confronti diretti e indiretti in relazione alle

grandezze individuate; ordinare grandezze;

Effettuare misure per conteggio di grandezze discrete;

Effettuare misure di grandezze continue con oggetti e strumenti;

Esprimere le misure effettuate utilizzando le unità di misura scelte e

rappresentarle adeguatamente.

Per quanto riguarda il 3°-4°-5° anno di scuola primaria, invece, le

competenze specifiche sulla misura riguardano:

Analizzare oggetti e fenomeni individuando in essi grandezze

misurabili;

Effettuare misure dirette e indirette di grandezze ed esprimerle

secondo unità di misura convenzionali;

Passare da una misura espressa in una data unità ad una stessa

misura espressa in un suo multiplo o sottomultiplo; riconoscere e

usare espressioni equivalenti delle misure di una stessa grandezza;

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Stimare misure in casi semplici anche attraverso strategie di calcolo

mentale e di calcolo approssimato;

Rappresentare graficamente misure di grandezze;

Risolvere problemi di calcolo con le misure;

Mettere in relazione misure di due grandezze.

Per quanto riguarda la didattica delle discipline scientifiche e più in

particolare la didattica della matematica, D’Amore7 ha messo in evidenza

come gli allievi siano condizionati negativamente nell’apprendimento a

causa del semplice fatto di trovarsi davanti a queste discipline.

La teoria del contratto didattico8 sottolinea che in contesti scolastici è

sempre presente un implicito e tacito “accordo” tra studenti ed insegnanti:

per contratto didattico si intende infatti l’insieme delle abitudini attese

dall’allievo da parte del docente e l’insieme dei comportamenti attesi dal

docente da parte degli allievi.

Queste “attese” non sono quindi dovute ad accordi espliciti ma alla

concezione della scuola e delle discipline scientifiche che gli allievi

possiedono a causa del comportamento ripetitivo e delle abitudini didattiche

dell’insegnante.

Questo concetto, elaborato inizialmente per la didattica della matematica, è

stato poi esteso a tutte le discipline scientifiche, in particolare alla didattica

della fisica e delle scienze.

1.3 METODOLOGIE PER L’APPROCCIO AI CONCETTI FISICI Una precoce introduzione dell’educazione scientifica nella scuola primaria è

importante perché promuove lo sviluppo della logica, del linguaggio e delle

capacità di risolvere problemi, e stimola il bambino ad agire e pensare in

7 B. D’Amore, S. Sbaragli, Principi di base di didattica della matematica, Pitagora, Bologna, 2011 8 D’Amore riprende questo concetto già elaborato dalla teoria di Brousseau

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modo indipendente. Infatti lo studio delle scienze sperimentali è

fondamentale non solo per le conoscenze trasmesse, ma soprattutto per lo

sviluppo di senso critico e di capacità di fare ipotesi e previsioni.

Attuare un processo di insegnamento-apprendimento attraverso modalità di

problem solving, che insegnino a ragionare e che aiutino a utilizzare la più

vasta gamma possibile delle interconnessioni neuronali e sinaptiche, agevola

lo sviluppo del pensiero creativo e divergente a discapito di un pensiero

standardizzato legato ad un sapere contenutistico, appreso in modo

meccanico e non attraverso il ragionamento.9

Le scienze sperimentali, a differenza di altre discipline, stimolano la

conoscenza a livello sensoriale10 ed è proprio attraverso il canale senso-

motorio che si giunge ad una prima forma conoscitiva percettiva, fino al

raggiungimento del pensiero astratto, secondo la teoria piagetiana degli

stadi di sviluppo.

Tenendo conto dei suggerimenti forniti dalla recente ricerca didattica, per

sviluppare un’educazione scientifica nella scuola primaria è consigliabile

costituire un adeguato ambiente d’apprendimento al fine di facilitare il

processo di trasformazione, lo sviluppo e l’arricchimento di conoscenze,

competenze e concetti.

Tra le metodologie didattiche suggerite, sono ritenute più adeguate la

narrazione, il brainstorming, il gioco di ruolo e la drammatizzazione.

E’ stato dimostrato che la narrazione è efficace per introdurre un nuovo

argomento, in particolare con i bambini della scuola dell’infanzia e primaria.

Infatti, i personaggi della storia coinvolgono i bambini nelle loro avventure

stimolando la loro curiosità e immaginazione ed evocando le loro emozioni.

9 Cfr. L. Collacchioni, Insegnare emozionando, emozionare insegnando. Il ruolo delle emozioni nella dimensione conoscitiva, ECIG, Genova, 2009 10 Ibidem. Orefice delinea la teoria dei domini conoscitivi e individua i tre domini: dominio sensoriale, dominio cognitivo e dominio emozionale.

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Il brainstorming invece, può essere utilizzato per stimolare le idee e le

conoscenze dei bambini. Questo metodo aiuta a concentrarsi sul tema in

discussione, stimola il flusso dei pensieri e delle connessioni spontanee con

esperienze precedenti, è “democratico” e costruisce la fiducia e il pensiero

creativo.

Proporre attività sperimentali nella scuola primaria fornisce ai bambini

l’opportunità di fare ipotesi, porsi domande e cercare le risposte, fare

indagini ed imparare ad applicare capacità di problem solving.

In tali contesti d’apprendimento risulta utile proporre attività di complessità

crescente, in modo da incoraggiare lo sviluppo del ragionamento. Inoltre è

consigliabile e utilizzare diverse strategie, quali l’apprendimento

cooperativo, il tutoraggio o peer education, e incoraggiare la discussione tra

bambini; infatti la discussione aiuta gli studenti ad organizzare le idee, mette

in evidenza il processo di acquisizione della conoscenza e migliora anche le

competenze sociali.

Il gioco di ruolo e la drammatizzazione sono considerati buoni metodi per

creare interesse per la scienza, sia in età prescolare che nella scuola

primaria: il gioco infatti ha un ruolo importante nella comunicazione e

nell’educazione al rispetto delle regole. Il disegno di fenomeni scientifici,

proposto all’inizio dell’attività, ha lo scopo di indagare i modelli mentali dei

bambini; proposto invece al termine di un’attività può essere considerato un

buon metodo di verifica.

Utilizzando le opportune metodologie didattiche è quindi possibile

presentare agli alunni alcuni concetti della Fisica anche ad una giovane età,

come è quella degli allievi della scuola dell’infanzia e della scuola primaria.

1.3.1 L’approccio al concetto di misura L’approccio alla misura della lunghezza è un argomento piuttosto comune in

età prescolare e nella scuola primaria. Di solito i bambini a quell’età sono in

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18

grado di dire se un oggetto è più lungo di un altro o se un bambino è più alto

di un altro; essi sono cioè in grado di confrontare e classificare due o più

“oggetti”. I risultati delle sperimentazioni11 hanno mostrato che bambini di

5 anni sono già in grado di utilizzare un’unità di misura arbitraria per

misurare un oggetto, sebbene abbiano poi difficoltà nel descrivere la

procedura di misurazione ed esprimere il risultato.

A livello di scuola primaria si possono introdurre attività connesse alla

presentazione del Sistema Internazionale di unità di misura: partendo da un

approccio storico basato sulle unità di misura antiche, e quindi con

riferimenti anche alle unità connesse alle varie parti del corpo umano, può

essere possibile creare con i bambini un sistema di misura arbitrario, per

mostrare poi la necessità di adottare un sistema di misura convenzionale e

universale.

1.4 APPRENDERE LA CONOSCENZA SCIENTIFICA12

I programmi del 1985 per la scuola elementare, oggi scuola primaria,

costituiscono un grande passo in avanti per le scienze, poiché vi compaiono

a pieno titolo, alla pari con la matematica e la lingua.

La conoscenza scientifica può essere definita come quella conoscenza che è

rivolta alla natura oggettiva e fisica delle cose.

Nella nostra società troviamo diverse concezioni relative alla conoscenza.

Di tutti gli oggetti e i fenomeni che ci circondano e che sono conoscibili

scientificamente, solo una parte entra nella nostra esperienza personale e

soltanto una parte ancora più piccola di essi cattura la nostra attenzione.

11 Si fa riferimento ai risultati di alcune sperimentazioni fisiche condotte alla scuola dell’infanzia e alla scuola primaria da studenti di Scienze della Formazione di Torino, durante la preparazione di tesi sperimentali, descritti nell’articolo di E. Durisi, Approach to physical concepts in preschool and primary school, in Il Nuovo Cimento, 2012 12

Rielaborazione del saggio di M. Bandiera del libro di G. Torosantucci, M. Vicentini Missoni, L’insegnamento delle scienze nella scuola elementare, La Nuova Italia, Firenze, 1987

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19

Più spesso di quanto possiamo immaginare, noi stessi arriviamo a conoscere

“scientificamente”: poiché quando ci troviamo davanti ad un fatto che ci

incuriosisce ci chiediamo perché accada una certa cosa ed iniziamo così a

cercare delle risposte ricorrendo al bagaglio di informazioni ed esperienze

che disponiamo. Selezioniamo quelle che riteniamo più utili e cominciamo a

fare prove, confronti e analogie mettendo quindi alla prova la nostra

capacità di conoscere in modo approfondito.

Quando ci troviamo davanti ad un qualsiasi oggetto che fa parte della realtà

che ci circonda, possediamo un certo bagaglio di conoscenze relative a

quello stesso oggetto che possono variare da persona a persona; questo

accade perché esistono più livelli e forme di conoscenza che corrispondono

ad una differenziazione dei ruoli sociali e degli interessi individuali.

Questa prospettiva di differenziazione dovrebbe essere rispettata anche

quando viene definito un progetto educativo, cioè risulta importante

conciliare la pluralità dei modi di conoscere di cui dispone il bambino e la

visione che ha del mondo, con un’ educazione scientifica, o meglio con una

educazione alla conoscenza scientifica.

1.4.1 La conoscenza a scuola

“Rendete il vostro allievo attento ai fenomeni della

natura, ben presto lo renderete curioso; ma per

nutrire la sua curiosità, non affrettatevi mai a

soddisfarla”13.

Rousseau nella sua opera si dimostra polemico nei confronti della tradizione

educativa e scolastica, proponendo un’educazione “naturale”.

Il principio che sorregge il suo pensiero è che l’uomo nasce buono, ma il

male scaturisce dalla corruzione della società e da un’educazione non

13 J. J. Rousseau, Emilio, a cura di A. Visalberghi, Laterza, Bari, 1985

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20

corretta, che non asseconda lo sviluppo armonioso delle potenzialità

naturali.

Secondo Rousseau l’allievo deve ricevere solo pochi stimoli da parte del

maestro, in modo da essere libero di sviluppare le proprie facoltà; compito

del maestro non è quello di dare risposte ma quello di porre domande e

problemi alla portata degli alunni, lasciando a loro la risoluzione;

permettere quindi che ciascun fanciullo “ non impari la scienza, ma la

inventi.”14

L’importanza di questi scritti risiede nel fatto che duecentocinquanta anni fa

sia stato illustrato un progetto di educazione scientifica che sembra

assomigliare a quei ruoli e quelle interazioni che sono stati enfatizzati

soprattutto a partire dai programmi del 1985.

Si prefigura così il triangolo alunno-realtà-maestro; ma questo modello non

si è sviluppato nella tradizione scolastica italiana se non negli ultimi

cinquant’anni, grazie alla ricerca pedagogico-didattica.

L’insegnamento quindi non consiste in una semplice trasmissione di

informazioni da docente a discente, ma quest’ultimo deve assumere un ruolo

fortemente attivo nel rapporto educativo, a differenza di quanto avviene

nella pedagogia tradizionale.

Questo modello educativo privilegia quindi l’apprendimento attraverso il

gioco e l’attività spontanea. Tale impostazione centrata sul bambino verrà

ripresa poi oltre cento anni più tardi dall’attivismo, in polemica con le

metodologie didattiche tradizionali e autoritarie.

Insegnare le scienze a scuola ha significato per molto tempo trasmettere

saperi e conoscenze ai bambini, concentrandosi esclusivamente sui

contenuti. Con questo approccio, come afferma il filosofo Morin,15 gli

insegnanti contribuiscono a creare “teste piene” e non “teste ben fatte”.

14 Ibidem 15 E. Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e del pensiero, R. Cortina, Milano, 2000

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21

Le discipline scientifiche, infatti, non solo soddisfano curiosità e spiegano la

realtà in cui viviamo, ma contribuiscono alla formazione della persona e allo

sviluppo di capacità critiche.

Pur riconoscendo l’importanza di nozioni e informazioni contenutistiche

nelle discipline, si rende però necessario attuare anche il processo di

insegnamento-apprendimento attraverso modalità di problem solving che,

come ho sottolineato precedentemente, insegnino a ragionare. Al contrario,

la schematicità “non agevola lo sviluppo del pensiero creativo e divergente, ma

produce un pensiero standardizzato, omologato e non riflessivo, legato ad un

sapere contenutistico, appreso in modo meccanico e non attraverso il

ragionamento.”16

Inoltre, conoscere una disciplina non significa soltanto conoscere le sue idee

fondamentali ed i suoi contenuti, ma anche il suo metodo. Questo principio è

ancor più determinante per quanto riguarda l’educazione alle scienze

sperimentali, poiché apprenderle significa fare proprie le strutture e le

metodologie che caratterizzano le discipline scientifiche.

Infatti mentre un processo entra a far parte delle nostre competenze e

capacità, con possibilità di applicazione anche in contesti diversi, le nozioni

possono venir dimenticate.

L’apprendimento dell’allievo sarà quindi davvero significativo se

l’insegnante proporrà modelli più che leggi e definizioni, e sarà in grado di

coinvolgere e condurre alle scoperte piuttosto che dare risposte.

Al bambino dovrebbe essere riconosciuto il diritto di essere “bambino”

prima ancora che futuro adulto, poiché le diverse età dell’uomo

corrispondono anche a modi diversi di rapportarsi alla realtà.

Questa immagine del bambino condiziona il ruolo dell’insegnante, al quale

non viene richiesto solo di essere un qualificato operatore, ma un promotore

del processo di crescita dei suoi allievi.

16 L. Collacchioni, Insegnare emozionando, emozionare insegnando, ECIG, Genova, 2009

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22

Tutti noi incontriamo difficoltà quando ci troviamo davanti ad esperienze

che non abbiamo mai fatto e che ci risultano nuove e sconosciute; così è

difficile per il bambino vedere, capire, dare significato ad attività scolastiche

diverse dalle attività a lui familiari.

Per questo motivo sarebbe importante proporre oggetti, fenomeni, forme di

interazione che il bambino è in grado di connettere con le esperienze

precedenti che per lui sono “naturali”.

“Ogni esperienza possibile è in qualche modo la prosecuzione (continuità) di

quelle precedenti: il campo d’azione del bambino gradatamente si allarga ed

integra ciò che via via arriva alla portata della sua percezione e curiosità”.17

Per proporre e sviluppare abilità e nuovi strumenti è opportuna quindi

un’introduzione graduale, avvalendosi della funzione di raccordo e di

rassicurazione dei concetti vecchi.

E’ quindi possibile e consigliabile arricchire le conoscenze utilizzando quelle

già acquisite dal bambino, sfruttando i modi consolidati di conoscere, per

consentirgli di vedere oggetti nuovi e l’esigenza di potenziare strumenti

vecchi. Nelle materie scientifiche si deve però porre attenzione a non

procedere per analogia, perché rischiamo di avvicinare tra loro concetti che

possono essere accostati solo apparentemente e che scaturiscono invece da

cause fisiche molto diverse.

Quando si tratta di pensare alle attività scolastiche il vero problema

dell’insegnante è quello di individuare situazioni che abbiano caratteristiche

adatte. Per quanto abituato al rapporto con i bambini ed esperto di

psicologia infantile e di pedagogia, l’insegnante è infatti un adulto e, in

quanto tale, non può pensare di vedere il mondo come lo vede un bambino.

Però può provarci, lasciando il bambino libero di agire e parlare dopo

avergli fornito spunti differenti, idonei a stimolare conoscenze e abilità.

17 G. Torosantucci, M. Vicentini Missoni, L’insegnamento delle scienze nella scuola elementare, La Nuova Italia, Firenze 1987

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23

La proposta di una situazione stimolante rende il bambino così curioso da

portarlo a stabilire un contatto vero con il fenomeno fisico; probabilmente

cercherà di difendere ciò che sa, ma si porrà anche delle domande e cercherà

le risposte nei fatti, “riaggiustando” in seguito le sue precedenti convinzioni.

Il bambino affronta così quello che gli esperti chiamano “conflitto cognitivo” ,

che si verifica nell’individuo pronto ad arricchire le sue conoscenze. Ed è

proprio tramite l’educazione scientifica che si può arricchire il bagaglio di

informazioni sulla realtà di cui il bambino dispone e nello stesso tempo

sollecitarlo a ricercare un’organizzazione delle idee più ordinata e

interconnessa.

1.5 L’EDUCAZIONE SCIENTIFICA NEI PROGRAMMI DEL 1985 Negli anni precedenti ai programmi del 1985, che hanno dato una svolta

all’educazione scientifica, era diffusa la concezione che la scuola elementare,

oggi scuola primaria, dovesse sviluppare negli allievi quelle che erano

ritenute le abilità di base come il leggere, lo scrivere e il far di conto.

Non era ancora condivisa la concezione secondo la quale si può insegnare

tutto a qualsiasi età, e così si riteneva che i bambini dovessero raggiungere

la maturità prima di dedicarsi all’apprendimento della scienza.

Successivamente ci si è resi conto che la stimolazione dell’intelligenza è di

fondamentale importanza durante gli anni formativi.

Esempi di situazioni stimolanti riportati nei programmi del 1985 possono

essere questi:

formulazione di ipotesi e spiegazioni; l'abitudine a identificare entro

situazioni complesse singoli elementi ed eventi facendo attenzione

alle loro relazioni; l'esigenza di trovare criteri unitari per descrivere e

interpretare fenomeni anche assai diversi; l'autonomia del giudizio,

accompagnato da disponibilità a considerare le opinioni altrui ed a

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24

confrontare queste e le proprie con i fatti; il rispetto consapevole per

l'ambiente;

l'acquisizione di abilità cognitive generali quali, per esempio, la

capacità di analisi delle situazioni e dei loro elementi costitutivi, la

capacità di collegare i dati dell'esperienza in sequenze e schemi che

consentano di prospettare soluzioni ed interpretazioni e, in certi casi,

di effettuare previsioni, la capacità di distinguere ciò che è certo da ciò

che è probabile, la capacità di formulare semplici ragionamenti

ipotetico-deduttivi;

la crescente padronanza di tecniche di indagine, da quelle di tipo

osservativo, sino all'impiego in situazioni pratiche del procedimento

sperimentale;

lo sviluppo di un rapporto sempre più stretto e articolato tra il "fare"

ed il "pensare". Il fare, inteso come attività concreta manuale e

osservativa, è riferimento insostituibile di conoscenze sia per le

scienze della natura, sia per lo sviluppo di competenze tecnologiche.

Tutti questi obiettivi, in parte comuni ad altre aree disciplinari, vanno

perseguiti attraverso lo svolgimento di attività e l'acquisizione di

conoscenze riguardanti aspetti fondamentali sia del mondo fisico sia del

mondo biologico, considerati nelle loro reciproche relazioni e nel loro

rapporto con l'uomo. Il possesso di tali conoscenze può essere considerato

come un ulteriore obiettivo collegato ai precedenti da uno stretto rapporto

di interdipendenza.

Una delle principali novità di questi programmi è non solo la presenza di

un’area disciplinare dedicata alle scienze naturali, ma il passaggio da un

atteggiamento osservativo-contemplativo ad un atteggiamento attivo-

costruttivo verso la comprensione dei fenomeni naturali.

Come è stato detto nei programmi, una delle principali caratteristiche delle

scienze è il rapporto fare-pensare, cioè il rapporto esperienza-teoria. Per

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25

giungere alla conoscenza sono allora necessarie sia abilità pratiche sia

abilità teoriche.

Le moderne teorie costruttiviste dell’apprendimento ritengono che la

conoscenza individuale sia costruita attivamente dalla persona. In questo

processo è presente un’interazione tra le abilità cognitive dell’individuo e gli

stimoli dell’ambiente; così vengono affinate tali abilità e costruiti schemi

interpretativi della realtà.

“ La conoscenza scientifica, come corpo di conoscenze elaborate dagli uomini

nel corso dei secoli riguardo alla realtà naturale, ha stabilito alcuni schemi

interpretativi esplicitamente condivisi dalla realtà scientifica.”18

Il compito dell’educazione scientifica è far conoscere alle persone gli schemi

stabiliti. Tali schemi sono spesso diversi da quelli intuitivi, elaborati

dall’individuo attraverso l’interazione con una piccola realtà quotidiana.

La diversità nasce dall’esperienza scientifica e dalla necessità di elaborare

schemi generali e non parziali, capaci di descrivere e prevedere una più

vasta gamma di fenomeni.

Possono quindi sorgere conflitti tra conoscenza individuale, che è costruita

spontaneamente, e conoscenza scientifica.

1.6 CONOSCENZA SCIENTIFICA E CONOSCENZA DI SENSO COMUNE Molti pedagogisti e psicologi sono concordi nell’individuare la “conoscenza”

come prodotto culturale che subisce processi di adattamento e

riorganizzazione del sapere attraverso gli schemi mentali dell’individuo.

Ogni bambino, quindi, è attivo nel proprio processo di costruzione del

sapere e il compito dell’insegnante è guidare questo processo e costruire

situazioni di stimolo.

Quando il bambino giunge a scuola, possiede già alcune conoscenze che egli

acquisisce attraverso l’interazione con l’ambiente.

18 Ibidem

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26

Nel processo d’apprendimento del bambino, davanti ad una disciplina

scientifica, possiamo allora distinguere tra conoscenza di senso comune e

conoscenza scientifica.

Tuttavia ogni essere umano costruisce rappresentazioni del mondo

circostante avvalendosi di strumenti conoscitivi dati dal senso comune.

La conoscenza di senso comune può variare da soggetto a soggetto poiché

dipende dalle esperienze vissute, dalla società e dalla cultura in cui siamo

stati immersi.

“Con senso comune si intende di solito un complesso di atteggiamenti

conoscitivi e di relativi contenuti che un certo gruppo sociale o una

determinata epoca storica condividono.”19

Esso costituisce quindi una sorta di patrimonio conoscitivo comune. Molto

spesso il senso comune incorre in errori che poi la scienza progressivamente

corregge, creando una vera e propria opposizione tra “mondo del senso

comune” e “mondo della scienza”, tra conoscenza di senso comune e

conoscenza scientifica.

Il senso comune è per i bambini il loro abituale rapporto con il mondo, anzi è

il loro mondo. E’ la conoscenza delle cose che li circonda così come appaiono

loro in prima istanza.

Come scrive M. Mayer,20 alcune ricerche mostrano che non solo per i

bambini ma anche per gli adulti il rapporto tra un’esperienza vissuta e una

nozione scientifica non è chiaro. Il passaggio da una concezione di senso

comune ad una scientifica ha comportato più di duemila anni di storia, di

intuizioni, di osservazioni, di esperimenti; anni che devono essere ripercorsi

in un iter individuale di conoscenza. Spesso alcuni concetti scientifici,

tutt’altro che evidenti, rimangono affermazioni dogmatiche se non si dà la

possibilità agli studenti di verificare e sperimentare.

19

E. Agazzi (a cura di), Valori e limiti del senso comune, Franco Angeli, Milano, 2004 20 Saggio di M. Mayer, La Terra e il suo posto nell’universo. G. Torosantucci, M. Vicentini Missoni, L’insegnamento delle scienze nella scuola elementare, La Nuova Italia, Firenze 1987

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La storia della scienza è stata caratterizzata da questa opposizione, basta

pensare alla fisica aristotelica o all’astronomia tolemaica. Sradicare queste

teorie è stata per gli scienziati dell’epoca una vera e propria impresa, poiché

esse poggiavano il loro largo consenso su una conoscenza di senso comune

largamente diffusa.

Il senso comune può infatti contenere teorie ingenue, incomplete, erronei

contenuti ai quali si oppongono le teorie scientifiche.

La conoscenza di senso comune potrebbe per esempio portarci a sostenere

che un oggetto leggero cade più lentamente di un oggetto pesante. In realtà il

peso non influisce sulla velocità di caduta, che dipende invece dalla

resistenza dell’aria.

Per capire questo principio fisico occorre andare oltre l’apparenza, occorre

uno studio scientifico.

Questa opposizione non implica però che la scienza si sostituisca

radicalmente al senso comune. Anzi, la scienza si è sviluppata proprio a

partire dal senso comune. Di fatto, in questa prospettiva “ la scienza non

sconfessa il senso comune , ma piuttosto lo presuppone.”21

L’ambiente ideale di incontro tra i due saperi è senza dubbio l’ambito

educativo scolastico, nel quale le conoscenze di senso comune sono

considerate il punto di partenza per la successiva acquisizione scientifica.

Talvolta tali conoscenze risultano essere talmente radicate che possono

costituire un ostacolo per la conoscenza scientifica.

Il rapporto tra senso comune e conoscenza scientifica è stato un tema

centrale anche nella storia del pensiero filosofico; secondo il filosofo Popper,

tutti i tipi di conoscenza razionale, ordinaria o scientifica, procedono

secondo il metodo dei tentativi e dell’eliminazione degli errori.

Per acquisire una nuova conoscenza è necessario un processo ipotetico-

deduttivo, che consiste nel formulare un’ipotesi e verificarla. Questo metodo

21 Ibidem

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28

implica una mentalità critica e razionale, consapevole che niente può

condurci alla certezza, e che le ipotesi verificate sono vere fin quando non ci

imbattiamo in un controesempio. Definire la conoscenza di senso comune

ingenua e banale non sarebbe corretto; essa ha invece molto in comune con

quella scientifica. Entrambe utilizzano come risorse l’esperienza e il

ragionamento, ma questi due elementi sono utilizzati con scopi e modalità

diversi nella conoscenza ordinaria e nella scienza empirica.

In conclusione la conoscenza scientifica spesso rifiuta il modo di ragionare

quotidiano del “senso comune”. Tuttavia scienza e senso comune spesso si

intrecciano e si occupano degli stessi argomenti; guardano agli stessi

“oggetti” ma da punti di vista assai diversi.

1.7 LO SVILUPPO DELLE QUANTITA’ FISICHE NEL BAMBINO

“La qualità sostanza è il carattere di ciò che può

essere afferrato e ritrovato; il peso è il carattere di

ciò che può essere sollevato e il volume di ciò che

può essere circondato o aggirato.

In che modo il bambino, partendo da queste qualità,

che sono dapprima fenomenistiche ed egocentriche,

ne farà delle quantità estensive e persino

misurabili?”22

A partire dalla metà del secolo scorso, all’interno della pedagogia si sono

sviluppate alcune ricerche sulla psicologia dello sviluppo, che iniziarono ad

indagare la mente umana soffermandosi sulle strutture del pensiero e della

22 J. Piaget, B. Inhelder, Lo sviluppo delle quantità fisiche nel bambino. Conservazione e atomismo, La nuova Italia, Firenze, 1971

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formazione di concetti, contribuendo alla comprensione di alcuni aspetti

dell’apprendimento e dello sviluppo cognitivo.

Jean Piaget, psicologo svizzero, è tra i nomi più importanti del periodo; egli

si è occupato di studiare lo sviluppo psichico del bambino elaborando una

teoria dello sviluppo per stadi:

- lo stadio senso-motorio (dalla nascita fino ai due anni), in cui il

bambino non distingue il sé dal mondo circostante, ma attraverso il

corpo inizia ad interagire con esso; sposta gli oggetti, li manipola, li

smonta e li rimonta;

- lo stadio preoperatorio (dai due ai sette anni) è ancora caratterizzato

da un pensiero egocentrico; il bambino si percepisce come distinto

dalla realtà ma non riesce ancora ad avere punti di vista diversi dal

proprio. A questo stadio ha inizio lo sviluppo del pensiero, inteso

come “sequenza di processi mentali”; grazie allo sviluppo della

funzione simbolica e del linguaggio il bambino diviene capace di

raccontare azioni passate o fare ipotesi future (strutture fondamentali

che verranno messe in atto nell’apprendimento delle conoscenze

scientifiche);

- lo stadio operatorio concreto (dai sette agli undici anni) si

caratterizza per la perdita di rigidità del pensiero a favore della

componibilità e della reversibilità; il bambino sa compiere operazioni

mentali sugli oggetti, usando i concetti di numero, peso ecc., sempre

però riferiti ad enti concreti, persone o cose. Fondamentale in questo

stadio è l’acquisizione del concetto di conservazione. In questo stadio

il bambino riconosce che la quantità di un certo materiale è

conservata indipendentemente dalla forma assunta dal recipiente che

lo contiene;

- lo stadio operatorio astratto (dagli undici ai quindici anni),

rappresenta il livello in cui il pensiero diviene adulto, raggiungendo il

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massimo sviluppo strutturale, operando in astratto su semplici

ipotesi; riesce ad affrontare la risoluzione di problemi scientifici

tramite il metodo ipotetico-deduttivo.

Allo stesso modo, Piaget ha elaborato una teoria stadiale più specifica, che

si lega alla precedente, sul processo di acquisizione delle quantità fisiche nel

bambino.

Ritengo opportuno soffermarmi sullo studio del processo di acquisizione di

quei concetti, che fanno parte dei contenuti del progetto didattico illustrato

nell’ultimo capitolo di questa tesi.

Nel lavoro di Piaget e Inhelder23 viene analizzato in che modo il bambino,

una volta in possesso delle nozioni elementari della quantità logica e

numerica, le generalizzi e le applichi ai principali dati materiali dei quali può

fare esperienza, come la quantità di materia, il peso e il volume.

Avviene quindi nel bambino un processo di “quantificazione” delle qualità,

che successivamente porterà alla loro misurazione.

Ricorrere agli strumenti di misura significa ricorrere all’esperienza e

organizzare l’induzione sperimentale.

Il bambino scopre quindi induttivamente le leggi sperimentali, che sono

però suggerite dai suoi contatti con i dati materiali del mondo circostante.

1.7.1 Genesi delle nozioni di conservazione

Nel pensiero dei bambini dai 4 ai 12 anni compaiono i tre principi di

conservazione: quello della materia come tale, o sostanza, quello del peso e

quello del volume.

Stadio 1: età 7- 8 anni

23 Ibidem

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31

Questo stadio è caratterizzato dall’assenza di conservazione. Il

bambino non ammette la conservazione della sostanza, né quella del

peso, né quella del volume.

I bambini non riescono ad intuire l’invarianza della quantità di

materia, quando ne viene alterata la forma, attribuendo aumenti o

diminuzioni di sostanza ad ogni trasformazione.

Ecco un esempio24 a proposito di una pallottola di creta trasformata in

salamino:

<<Sono ancora pesanti lo stesso?>>

Fra ( 7anni) : <<No. Quella (la pallottola) è più pesante.>>

<<Perché?>>

<<Perché è più grossa, è più pesante.>>

Stadio 2: età 8-10 anni

E’ lo stadio della scoperta della conservazione della sostanza, ma non

quella del peso né quella del volume.

Ecco un esempio25 a proposito della pallottola di creta trasformata in

disco:

Lip.(9 anni): <<Non pesa lo stesso perché è più sottile (disco). Eppure è

la stessa cosa perché è larga, mentre prima era una palla.>>

Stadio 3: età 10-11 anni

Ammette la conversazione della sostanza e del peso ma non ancora

quella volume.

In questo stadio il bambino riesce a capire che il peso della somma

delle parti di un “oggetto” è uguale al peso totale dell’oggetto stesso.

Scopre una relazione tra sostanza e peso.

“Il raggruppamento che dà la certezza della conservazione della

sostanza si estenderà di conseguenza anche a quella del peso, poiché

24 ibidem 25 ibidem

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ogni unità di materia sarà dotata di un peso invariante e il peso totale

risulterà dall’addizione di questi elementi.”26

Stadio 4: dall’età di 11-12 anni

Il bambino ammette le tre forme di conservazione.

1.7.2 Come spiegano i bambini le differenze di densità

Nelle sue ricerche Piaget ha utilizzato anche metodi sperimentali dove

l’osservazione si lega con la sperimentazione. Dalle ricerche effettuate27

emerge che il bambino arriva a spiegare le diverse densità della materia

attraverso quattro stadi:

Stadio 1: Il bambino non dissocia il peso né dal volume né dalla

quantità di sostanza.

Questo primo stadio è caratterizzato quindi dalla catena di

relazioni: peso ↔ volume ↔ quantità di materia

In conseguenza di ciò il bambino prevede che un corpo sarà pesante

in proporzione a quanto è “grosso”.

Stadio 2: Qui il bambino dissocia il peso dalla quantità apparente di

materia e dal volume, ma le differenze di densità vengono ancora

spiegate per mezzo delle differenze intuitive, senza riferimento al

peso o al volume.

In questo stadio il bambino scopre che il peso non dipende soltanto

dal volume esteriore dell’oggetto, ma anche da “ciò che c’è dentro”.

Stadio 3: il bambino spiega la densità mediante il contenuto più o

meno “pieno” della materia.

26 Ibidem 27 Si fa riferimento a dati statistici ottenuti da B. Inhelder e da Vinh-Bang su 25 soggetti di età compresa dai 5 agli 11 anni. Le prove operative sono state poi riproposte da K. Lovell all’ Università di Leeds su 322 e su 364 bambini dai 7 agli 11 anni, confermando i risultati ottenuti da Piaget presso l’Istituto J.-J. Rousseau a Ginevra. I risultati delle ricerche sono esposti nel lavoro di J. Piaget, B. Inhelder, Lo sviluppo delle quantità fisiche nel bambino. Conservazione e atomismo , La nuova Italia, Firenze, 1971.

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33

Ecco un esempio28 relativo al confronto tra due pietre: un sasso e una

pietra pomice:

Olt. (10 anni): <<Una è un po’ vuota dentro (pomice) forse ha dei

buchini, l’altra (sasso) è tutta piena.>>

Le differenze di peso, a parità di volume, sono ridotte alle quantità e al

peso degli elementi che compongono i corpi.

Tuttavia se il bambino solleva due oggetti, riconosce le differenze di

peso e cerca una spiegazione ma senza riuscire a mettere il peso in

relazione quantitativa con il volume.

Stadio 4: in questo stadio il bambino giunge al concetto che il peso di

un corpo è proporzionale alla quantità di materia di cui è composto e

al concetto che i corpuscoli che costituiscono un corpo possono essere

più o meno ravvicinati.

Le differenze di densità vengono quindi spiegate attraverso il

concetto di compressione o decompressione degli elementi, cioè a dei

modi di distribuzione puramente spaziali.

Ecco un esempio29 in cui viene presentato ai soggetti un pezzo di

turacciolo e un sasso, più piccolo ma più pesante. Viene chiesto ai

bambini quale dei due è più pesante e perché.

Ric.(10 anni): <<Il sasso è più pesante del turacciolo. – Perché?- Perché,

se lo mettiamo nell’acqua va a fondo e il turacciolo no.- Come mai?- Il

sasso è più compatto.- Che cosa significa?- E’ più uno contro l’altro.- Che

cosa?- Le cosine che ci sono nella pietra.”

In conclusione, lo studio delle nozioni infantili riguardanti la densità indica

che, dopo un primo stadio nel quale il bambino pensa che il peso di un corpo

28 L’esempio si trova nel testo di J. Piaget, B. Inhelder, Lo sviluppo delle quantità fisiche nel bambino. Conservazione e atomismo, La nuova Italia, Firenze, 1971 29 Ibidem

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34

sia sempre proporzionale al suo volume, indipendentemente dalla natura

dell’oggetto, i bambini arrivano, nel corso del secondo stadio, a dissociare il

peso dal volume e dalla quantità di materia. Nel corso del terzo stadio il peso

viene di nuovo associato alla quantità di materia, ma quest’ultima viene

adesso immaginata come corpuscolare e indipendente dal volume

percettivo. Infine nel corso del quarto stadio, attraverso lo schema di

compressione e decompressione, i bambini attribuiscono una disposizione

nello spazio alla quantità di materia.

Il peso, la sostanza e il volume sono quindi inizialmente “confusi in un tutto

percettivo”, per poi essere dissociati e riuniti in un sistema di relazioni.

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35

Capitolo II

LA MISURA

2.1 IL CONCETTO DI MISURA NELLA STORIA

Riflettendo sulla nostra vita quotidiana possiamo notare che stime e

valutazioni riferite alla quantità fanno parte della vita di tutti i giorni. Molto

spesso nel linguaggio comune vengono usate parole che richiamano il

concetto di quantità e di misura come “di più”, “di meno”, “tanto - quanto”,

“più (o meno) lungo, corto, alto, basso, caldo, freddo”, “abbastanza”, “poco”…

Anche molte attività quotidiane possono richiedere di usare misure, come

cucinare, eseguire lavori artigianali come quello del falegname, del fabbro,

del vetraio, del contadino o le attività di scambio commerciale.

Il concetto di “misura” ha caratterizzato la società sin dalle origini della

civiltà umana. La necessità di misurare lunghezza, area, volume, peso,

tempo, angolo è nata dall’esigenza di definire territori, coltivare, costruire,

commerciare….si può dire che da sempre nella storia dell’uomo la misura è

stato uno dei procedimenti della vita quotidiana necessari alla

sopravvivenza e alla vita di relazione.30

Come testimoniano i reperti archeologici, l’uomo conosce strumenti per

misurare già da 8.000 anni prima di Cristo.31

Nell’antichità, in mancanza di strumenti adeguati, le misure per gli scambi

commerciali erano basate su confronti di grandezze unitarie utilizzando le

dimensioni del corpo umano come il piede e il cubito (misura

30

Cfr. R. Andrew, La storia della misurazione. Dall’abaco al satellite, Touring Club Italiano, Milano, 2007 31 Secondo quanto affermato nell’articolo di R. Sandri “Misurare, progettare e costruire nell’antica Roma. Sacralità e rigore tecnico-scientifico” nel sito www.ingegneri-ca.net

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36

dell’avanbraccio) per le lunghezze o utilizzando oggetti della vita comune

come l’anfora per le misure di volume e la libbra per le misure di peso.

Molte sono le testimonianze che provano l’uso del procedimento di misura e

dei suoi strumenti che troviamo presso le civiltà antiche.

Le origini dei sistemi di misurazione vanno ricercate in Egitto, in Grecia e

infine a Roma.

2.1.1 La misura e gli Egizi La civiltà egizia, con i suoi monumenti, i suoi papiri e i suoi strumenti,

dimostra come la misurazione fosse ben presente nella vita di questo

popolo.32

Le unità di misura nel Vicino Oriente antico sono variate a seconda dei

luoghi e dei periodi. E’ possibile però riconoscere dei sistemi standardizzati

di misura. La conversione delle antiche unità di misura con le corrispondenti

nostre misure può essere solo approssimativa.33

Gli antichi Egizi utilizzavano un sistema di unità di misura per grandezze

fisiche quali la lunghezza, la superficie, il volume e il peso.

Le loro conoscenze astronomiche erano tali che riuscivano a misurare

correttamente il tempo.

Ciascuna unità di misura possedeva i rispettivi multipli e sottomultipli.

Si ritiene che le misure di lunghezza siano state le prime ad essere codificate.

L’unità di misura di base per la lunghezza era il cubito (fig.1), che era la

misura dell’avambraccio, dal gomito alla punta del dito medio.

Il cubito egizio rappresentò un elemento fondante nei sistemi generali di

misura di tutto il Mediterraneo.

In Egitto esistevano due diversi tipi di cubito: il cubito piccolo, usato per la

vita quotidiana, e il cubito reale, usato per le costruzioni architettoniche.

32

Come si può dedurre dalla lettura del testo di A. Cartocci, La matematica degli Egizi: i papiri matematici del Medio Regno, Firenze University press, Firenze, 2007 33 Cfr. www.treccani.it

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37

Figura 2 Le piramidi di Giza

Gli strumenti di misura egizi erano frutto di una lenta evoluzione che ha

origine con l’uomo stesso.

Tabella 1 Unità di misure dell’Antico Egitto e loro equivalenze34

Misure di lunghezza

1 cubito piccolo= 45 cm= 6 palmi=24

dita

1 cubito reale= 55 cm circa= 7 palmi=

28 dita

1 canna= 100 cubiti

1 fiume=20.000 cubiti reali= 10.5 km

Misure di superficie 1 canna quadrata= 2735 mq

Misure di capacità 1 barile=0.5 l circa

Misure di peso 1 deben= 91 g

Figura 1 Cubito egizio

Le piramidi mostrano come gli Egizi

fossero dei “grandi matematici” ed una

civiltà molto avanzata, in grado di

costruire edifici con misure di una

precisione millimetrica impressionante

per l’epoca.

La piramide è probabilmente la figura

34 www.treccani.it

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geometrica meglio nota agli Egizi; oltre al calcolo del volume, che è il punto

più alto raggiunto dalla geometria egizia, sono giunti a noi anche problemi

legati alla pendenza delle facce della piramide, che in egizio era detta seked.

Il seked era espresso come il rapporto tra l’unità di misura orizzontale e

quella verticale, e corrisponde all’attuale cotangente.

All’interno delle piramidi di Giza sono state trovate grandi casse o scatole di

pietra che secondo alcuni archeologi, erano contenitori per l’insieme dei

campioni dei pesi e dei volumi, così come delle barre di misurazione per la

lunghezza.

La stessa nascita della geometria, che significa “misurazione della terra”,

viene fatta risalire da storici greci (tra cui anche Erodoto, nel capitolo II delle

Historiae) a questa civiltà, spiegandone l’origine con l’esigenza di misurare

le variazioni di estensione della proprietà terriera dovute all’erosione del

Nilo. Grazie ai libri dei morti ritrovati in varie tombe, si può notare che gli

Egizi conoscevano bene il processo di misurazione ed il concetto di

campione.

La figura 3, che riproduce il rito della “pesatura del cuore” del defunto,

attesta l’utilizzo della bilancia a braccia uguali.

Figura 3 La bilancia a braccia uguali viene utilizzata per confrontare il cuore del defunto con una piuma

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39

2.1.2 La misura presso i Greci

La civiltà dell’antica Grecia offrì enormi contributi alla nostra cultura

moderna, tra cui anche quelli relativi alla tecnologia della misura.

L’insegnamento della matematica rappresentava uno degli aspetti più

importanti dell’istruzione. Paolo Agnoli35 afferma che la prima “teoria” della

misura fu elaborata da Euclide, quando scrisse nei suoi Elementi che “due

segmenti hanno uguale lunghezza se, sovrapponendoli, le loro estremità

coincidono; che si deve assumere come unitaria la lunghezza di un segmento

campione; che la somma della lunghezza di due segmenti è uguale a quella di

un terzo segmento ottenuto ponendo i due segmenti sulla stessa linea retta

con due estremi coincidenti.”

L’Agorà di Atene era il centro commerciale delle città e proprio all’interno di

essa sono stati ritrovati i pesi e le misure di ispettori ufficiali (metronomoi).

La soggettività nella determinazione delle misure comporta una certa

variabilità di queste e rende quindi necessaria la creazione di un sistema che

non dipenda più da rappresentazioni concrete (il "mio" dito o il "tuo" piede),

ma che si fondi su misure oggettive, astratte e quindi fisse. L'ufficialità delle

misure era garantita dallo Stato, attraverso l'opera di magistrati preposti al

loro controllo nell'ambito del campo commerciale che consisteva nel

misurare e stabilire i confini dei terreni, gestire gli affitti, sovrintendere alla

consegna dei cereali.

Le misure di lunghezza greche erano anch’esse basate sulle parti del corpo,

come il piede o la falange di un dito, e sui loro rapporti.

Il sistema principale nell’antica Grecia è quello attico, che sarà poi adottato

anche dalla civiltà romana.

35 P. Agnoli, Il senso della misura: La codifica della realtà tra filosofia, scienza ed esistenza umana,

Armando Editore, Roma, 2004

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40

Tabella 2 Unità di misura di lunghezza nell’antica Grecia36

Unità Equivalente

Dito -

Condilo 2 dita

Palmo 4 dita

Spanna 12 dita

Piede 16 dita

Pigone 20 dita

Cubito 24 dita (2 spanne)

Cubito reale 27 dita

Orgìa 6 piedi

Pletro 100 piedi

Stadio 600 piedi

Parasanga 30 stadi

Nell'antica Grecia le misure di capacità variavano a seconda che fossero

destinate ai liquidi o ai solidi, ossia alle sostanze "secche", ed erano utilizzate

per misurare rispettivamente il vino e il grano. In entrambi i casi l'unità di

misura era la stessa, il cotile, che corrispondeva approssimativamente ad

una coppa.

In molti casi, i termini utilizzati per indicare i valori ponderali sono gli stessi

usati per le unità monetarie, poiché la moneta corrispondeva a una quantità

ben precisa di un determinato metallo.

Obolo, Dracma, Mina e Talento costituiscono il sistema monetario greco ma

anche le unità di misura di peso.

2.1.3 Le unità di misura romane

I sistemi di misura creati dai Greci furono ripresi in seguito dai Romani che a

loro volta li esportarono in tutta Europa.

36 www. treccani.it

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41

Tracce di questi sistemi sono ancora riscontrabili nelle culture occidentali

moderne.

La libbra e il miglio di oggi derivano infatti rispettivamente dai termini latini

libra (che significa bilancia) e mille passum (milliare), cioè “mille passi”.

Il passum romano corrispondeva al passo di un legionario durante la marcia.

A Roma, proprio come in Grecia la più piccola unità di misura per la

lunghezza, era il digitus, che equivaleva alla larghezza di un dito.

Tabella 3 Unità di misura di lunghezza romane37

Unità Equivalente

Digitus (dito) Larghezza di un dito

Uncia (oncia) 12 in un piede

Palmus (palmo) 4 dita

Pes (piede) 4 palmi

palimpes 1 piede + 1 palmo

Cubitus (cubito) ½ piede

Passus (passo) 5 piedi

Pertica (pertica) 625 piedi

Stadium (stadio) 625 piedi

Milliare (miglio) 1000 passi o 5000 piedi

Lega 1500 passi o 7500 piedi

Le misure di capacità degli “aridi” e dei liquidi erano analoghe a quelle

greche e l’amphora, la più grande, pesava ottanta libbre d’acqua. Il congius,

l’unità di misura di base, poteva essere un qualsiasi vaso contenente il peso

di dieci libbre di vino.

Nel mondo romano, la pesatura avveniva con due tipi di bilance, restituite in

gran numero dall'indagine archeologica: la bilancia a due piatti (trutina o

libra) e la stadera, in genere a più portate (statera, trutina campana). La

37 www.wikipedia.org

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42

prima era usata da tempo nel bacino del Mediterraneo; la seconda, che con

ogni probabilità era già nota in ambiente campano in età ellenistica, è il tipo

più comune in età romana; ancora oggi è molto diffusa.

Bilance, stadere e pesi venivano controllati alla fabbricazione per mezzo di

campioni conservati presso i templi o edifici pubblici.

Per quanto riguarda il sistema ponderale, a Roma come in Grecia, vi era

identità di nomi tra unità di peso e monete.

Figura 4 Figura 5 Figura 6

Peso da bilancia Esempio di unità di misura di capacità per i liquidi Moggio, unità per gli aridi

2.1.4 La misura del tempo in antichità

Un discorso a parte merita il tempo per il quale fin dall’antichità l’uomo

aveva a disposizione l’alternarsi del giorno e della notte o la durata delle

stagioni.

Nelle civiltà antiche la misura del tempo era in stretta connessione con lo

sviluppo delle conoscenze astronomiche, che erano possedute dalla casta dei

sacerdoti prima di divenire patrimonio degli scienziati.

Dunque la prima forma di misurazione del tempo consisteva nel suddividere

il tempo che intercorre tra i periodi di plenilunio in trenta giorni. Così l’anno

fu diviso in dodici lune, o mesi, di trenta giorni ciascuno per un totale di 360

giorni nell’arco dell’anno.

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Per i piccoli intervalli di tempo, non misurabili tramite fenomeni

astronomici, sono stati inventati vari oggetti. (Fig. 8 e 9)

Il tempo ha due accezioni: la data, cioè quando si è verificato un evento, e la

durata, cioè quanto è durato un evento.

Sono nate quindi fin dall’antichità “due necessità” legate allo stesso

problema di misurazione, che hanno richiesto in ogni cultura, l’adozione di

una serie di convenzioni. Per risolvere la prima necessità, l’uomo ha

inventato i calendari, per la seconda gli orologi.

Il calendario romano cambiò forma diverse volte fra la fondazione di Roma e

la caduta dell’Impero romano. In origine era un calendario lunare diviso in

10 mesi (calendario di Romolo). In totale, quindi il calendario durava 304

giorni e c’erano 61 giorni d’inverno che non venivano assegnati ad alcun

mese: in pratica, dopo dicembre, si smetteva di contare i giorni per

riprendere nuovamente il conteggio al marzo successivo.38 Il calendario

regolava anche la vita degli agricoltori e stabiliva i giorni giusti per gli affari.

Numa Pompilio, il secondo dei sette re di Roma, modificò il calendario

aggiungendo due mesi ai dieci precedenti. Successivamente venne adottato

38 Cfr. www.wikipedia.org

Figura 8 Clessidra ad acqua egizia

Figura 7 Ricostruzione dello gnomone (meridiana egizia). Il più antico strumento per la misurazione del tempo con il sole.

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44

il calendario giuliano che portò la durata dell’anno a 365 giorni e introdusse

l’anno bisestile.

Dopo varie riforme si giunse al calendario gregoriano che è ancora in vigore.

Fu istituito nel 1582 grazie alla riforma di Papa Gregorio XIII.

2.2 IL SISTEMA DI MISURA ANGLOSASSONE

Nel sistema di misura anglosassone si possono riscontrare tracce storiche di

unità di misura utilizzate dai Romani, come la libbra, il piede, il pollice e il

miglio.

Un’antica unità di origine sassone è la iarda, tratta anch’essa dal corpo

umano, ma fatta derivare come campione naturale non dalla lunghezza degli

arti ma dal girovita o dalla circonferenza del petto.39

La iarda dei Sassoni appartiene a un sistema primitivo di misure diverso da

quello dei Greci e dei Romani, in cui il modello era il piede, e diverso da

quello egizio dove l’unità di riferimento era il cubito.

Può tuttavia essere considerata un’altra dimostrazione di come l’uomo si sia

rivolto inizialmente al corpo umano e alle sue proporzioni per individuare

campioni delle misure lineari.

Si dice, comunque, che la iarda, col tempo, perse il suo carattere di girth,

“giro vita”, e che il suo modello sia stato adeguato alla lunghezza del braccio

di re Enrico I. Secondo la leggenda, il re d’Inghilterra Enrico I stabilì che i

suoi sudditi dovessero usare tutti la stessa unità di misura: la distanza che

passava tra la punta del suo naso e la punta della sua mano quando teneva il

braccio teso in fuori. Questa curiosa unità di misura fu chiamata appunto

iarda.

Si dice inoltre che sia stato scoperto che era pari a un multiplo del piede o

che sia stata resa tale, adattandola in tal modo al resto del sistema: questa

39 Sull’origine della iarda esistono varie ipotesi.

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potrebbe essere la causa della differenza tra l’attuale piede inglese e quello

dei Romani, da cui era stato introdotto come misura.40

Nei paesi di lingua inglese sono ancora usate unità di misura che non fanno

parte del sistema metrico decimale. I metodi di calcolo sono abbastanza

complessi essendo un sistema di multipli e sottomultipli costruiti in modo

non decimale o comunque regolare.

L’unità di misura della lunghezza è il pollice, l’inch, dal latino “uncia”, cioè

dodicesima parte.

Come si può notare dalla tabella 4, il sistema anglosassone rappresenta

un’evoluzione delle misure anticamente utilizzate e riconducibili ai Romani.

Tabella 4 Principali unità di misura di lunghezza anglosassoni41

Unità di misura Nome inglese Equivalenza SI

miglio mile 1.609,344 m

braccio fathom 1,8288 m

iarda yard 0,9144 m

gomito cubit 457,2 mm

piede foot 304,8 mm

spanna span 228,6 mm

palmo hand 101,6 mm

pollice inch 25,39 mm

40 Altre tre famose unità di origine sassone che si sono tramandate sino ad oggi nel sistema tradizionale britannico ed in quello americano sono la libbra avoirdupois (letteralmente avere peso) per i pesi, il gallone per la capacità dei liquidi, e il bushel (tradotto talvolta in staio) per la capacità degli aridi. 41 www.mathubi.com

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2.3 L’ ESIGENZA DI UN SISTEMA UNIVERSALE

Una certa uniformità caratterizzò l’Europa fino all’inizio dell’era cristiana,

epoca in cui le misure romane erano ancora ampiamente diffuse.

Con la caduta dell’impero romano d’occidente venne a crearsi molta

confusione tra i diversi sistemi di misura anche per la formazione della

società feudale e dei feudi, nei quali venivano adottati sistemi diversi tra

loro.

Si deve a Carlo Magno una fondamentale riforma del sistema metrico; nel

789 egli cercò infatti di ovviare al disordine formatosi promulgando un

decreto per unificare i campioni di misura in tutto l’impero carolingio; dopo

la caduta dello stesso però le misure ufficiali si sovrapposero a quelle locali

che erano sopravvissute.

E’ evidente che questo sistema presentava alcuni problemi, poiché ogni

paese, regione e professione possedeva un proprio sistema di misura; ad

esempio per la misura della lunghezza c’erano tre sistemi di unità per le

stoffe, uno per le distanze, uno per il cordame.

Alla vigilia della Rivoluzione Francese solo sul territorio francese erano

ancora presenti ben più di ottocento unità di misura.

Una tale eterogeneità favoriva equivoci, frodi e truffe specialmente nelle

occasioni di scambi commerciali e pagamenti di imposte.

“Un re, una legge, un peso, una misura”42 era la frase che circolava fra il

popolo.

Già dall’inizio del ‘600, Galileo Galilei con l’invenzione del metodo

sperimentale aveva posto le basi del metodo scientifico moderno. Da Galileo

in poi, si susseguono con ritmo crescente le scoperte delle leggi

fondamentali della natura e, parallelamente, si costruiscono macchine

sempre più evolute. Si fa strada l’idea che i risultati scientifici non possono

42 J.-P. Uzan ,B. Leclercq, L’importanza di essere costante. I pilastri della fisica sono davvero solidi?, Dedalo, Bari, 2008

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essere apprezzati e condivisi fino a che non vengono comunicati e verificati

in base alle misure effettuate. Ciò è alla base della nascita dello stesso

concetto di comunità scientifica. In questo clima di fermento scientifico,

diventa sempre più forte l’esigenza di un sistema di unità di misura

universale. La comunità scientifica, infatti, per prima avanzò proposte di

sistemi di unità di misura oggettivi e possibilmente basati su costanti della

natura.

E’ con il pieno affermarsi del metodo sperimentale da una parte e la spinta

alla collaborazione internazionale dall’altra (si pensi alle esigenze maturate

dall’accrescersi degli scambi commerciali e culturali) che, nel XVIII secolo,

venne per la prima volta fortemente sottolineata la necessità di disporre di

unità di misura unificate in sostituzione dell'enorme numero di unità in uso

nei diversi paesi, situazione che rendeva impossibile anche il confronto dei

risultati ottenuti da ricercatori di diversa nazionalità nell'osservazione dello

stesso fenomeno fisico.

I disagi di questa situazione vennero sottolineati in maniera efficace anche

dal geografo Charles de La Condamine nel 1774: “E’ del tutto evidente che la

diversità dei pesi e delle misure utilizzati nei vari paesi e, spesso, anche

all’interno di una stessa provincia, è causa di imbarazzo nel commercio, nello

studio della fisica, nella storia e perfino nella politica; i nomi delle misure

straniere che ci appaiono ignoti, la pigrizia e la difficoltà nel convertire i loro

valori nei nostri sono motivo di confusione e ci impediscono di conoscere fatti

che potrebbero esserci utili.”

Tutte queste motivazioni spinsero diversi studiosi e scienziati a ricercare

unità che non fossero arbitrarie come le parti del corpo umano.

Campioni presi dalla natura furono visti come la sola possibilità di

raggiungere una riforma accettabile da tutte le nazioni.

In Francia per la prima volta si affermò un sistema di misura universale, il

sistema metrico decimale, vero antenato dell’attuale sistema internazionale.

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48

Alla Rivoluzione Francese si deve anche l’unificazione dei Pesi e delle

Misure. Nel 1790 l’Assemblea francese incaricò una commissione

dell’Accademia delle Scienze di Parigi di elaborare un sistema di unità di

misura da adottare su tutto il territorio nazionale. Già agli inizi del ‘700

prevaleva l’idea di legare la misura di lunghezza alle dimensioni della Terra,

prendendo come campione un sottomultiplo adeguato alle dimensioni

umane. La commissione decise così di adottare il metro come unità di

misura della lunghezza, definendolo come la quarantamilionesima parte del

meridiano terrestre.

Il 7 aprile 1795 fu promulgato il sistema metrico decimale di unità di misura.

Con esso nascevano: il metro, il kilogrammo, il litro, il metro quadrato ed il

metro cubo. Il sistema metrico veniva così a fondarsi su tre unità di misura

indipendenti: il metro per le lunghezze, il secondo per il tempo ed il

kilogrammo per la massa.

La diffusione del sistema metrico decimale è stata molto lenta. Napoleone ne

sospese l’obbligatorietà, ristabilendo le vecchie unità di misura, mentre il

mondo anglosassone diffondeva e difendeva il sistema imperiale. Solo nel

1837 il sistema metrico decimale tornò ad essere obbligatorio in Francia.

Il 20 maggio 1875 i rappresentanti di 17 paesi firmarono la "Convenzione

del metro". Si decise di fondare un Ufficio internazionale di Pesi e Misure a

Sèvres (presso Parigi) ed istituire una commissione internazionale di pesi e

misure con lo scopo di migliorare, diffondere ed unificare i sistemi esistenti

di unità di misura e infine di indire conferenze generali periodiche.

Venne allora creato il metro campione definito come la distanza tra due

tacche su una sbarra di platino-iridio.

Nel 1899 si riunì a Parigi la prima Conferenza Generale dei Pesi e Misure

(CGPM), durante la quale vennero ufficialmente riconosciuti i campioni di

lunghezza (il metro) e di massa (il kilogrammo), conservati nel padiglione di

Breteuil a Sèvres.

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49

Dopo la XI Conferenza di Pesi e Misure svoltasi a Parigi nell’ottobre 1960 è

stato introdotto un sistema, quasi universalmente riconosciuto, che gode

delle proprietà di essere omogeneo, coerente, assoluto, decimale e

razionalizzato. Attraverso successive modifiche si è giunti all’attuale Sistema

Internazionale che fu adottato dalla XIV Conferenza Generale dei Pesi e

Misure del 1971 e poi modificato nel 1983.

Il Sistema Internazionale designa l’insieme delle unità di misura, multipli e

sottomultipli decimali di sette grandezze fondamentali, come riportato nella

tabella 5.

Tabella 5 Unità fondamentali del Sistema Internazionale (SI)

GRANDEZZA SIMBOLO UNITA’ SIMBOLO UNITA’

Lunghezza l metro m

Massa m kilogrammo kg

Intervallo di tempo t secondo s

Intensità di corrente

elettrica I, i ampere A

Temperatura T kelvin K

Quantità di sostanza n mole mol

Intensità luminosa Iv candela cd

La tendenza attuale è quella di svincolare le unità di misura fondamentali da

qualsiasi campione materiale, per basarle sulle costanti universali e sul

secondo. Questa metodologia presenta due grandi vantaggi: le unità non

dipendono più da campioni che si possono alterare nel tempo e possono

venire misurate con errori sempre più piccoli, in quanto le costanti

universali sono conosciute con errori piccolissimi.

Tale sistema è quindi suscettibile di miglioramenti poiché il progresso

scientifico e tecnologico può offrire campioni più stabili e consentire misure

più precise.

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50

Queste unità sono state scelte in modo tale e in numero tale da poter

rappresentare qualunque grandezza fisica che si voglia misurare.

2.4 GRANDEZZE FISICHE E UNITA’ DI MISURA

Scopo della Fisica è lo studio dei fenomeni naturali, dei quali essa cerca di

dare una descrizione quantitativa. Questo richiede di individuare, all’interno

del fenomeno, le grandezze fisiche in grado di caratterizzarlo.

Come è stato affermato in precedenza, fissare un sistema di misura significa

fissare le grandezze fondamentali e i loro campioni unitari.

Il Sistema Internazionale ha scelto alcune grandezze fondamentali ed è

possibile esprimere tutte le altre grandezze in funzione di esse mediante una

relazione analitica. Partendo dalle sette unità di misura fondamentali è

possibile ricavare le unità di misura di tutte le altre grandezze fisiche, che

sono dette perciò unità derivate. In alcuni casi le unità di misura

fondamentali e derivate sono troppo piccole o troppo grandi per l’uso

pratico. Si introducono perciò, dei multipli o dei sottomultipli di esse,

caratterizzati da prefissi (vedi tabella 6).

Tabella 6 Prefissi decimali più usati

PREFISSI DEI MULTIPLI VALORE PREFISSI DEI SOTTOMULTIPLI

VALORE

kilo (k) 103 milli (m) 10-3

mega (M) 106 micro () 10-6

giga (G) 109 nano (n) 10-9

Come è già stato accennato, le grandezze fondamentali e quelle derivate

sono grandezze fisiche, poiché si possono misurare.

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Misurare significa confrontare l’unità di misura scelta con la grandezza da

misurare contando quante volte l’unità di misura è contenuta nella

grandezza.

Il campione da utilizzare deve essere scelto secondo alcuni criteri di

praticità:

deve essere confrontabile con la grandezza che si vuole misurare (non

deve essere né troppo grande né troppo piccolo)

deve essere facilmente riproducibile

non deve cambiare nel tempo

deve essere identico per tutti in modo che sia possibile comunicare e

capire il risultato delle misure.

Tra grandezze fisiche è possibile compiere alcune operazioni: due

grandezze omogenee, cioè dello stesso tipo, possono essere confrontate per

stabilire se sono uguali o se una è maggiore dell’altra (relazione di ordine).

Inoltre possiamo sommare o sottrarre le due grandezze tra loro, ottenendo

una terza grandezza omogenea alle prime due.

Non ha invece senso confrontare due grandezze non omogenee: non è

possibile sommarle o sottrarle tra loro, ma possiamo moltiplicarle o

dividerle ottenendo una nuova grandezza non omogenea a nessuna di quelle

di partenza.

Una misura può essere effettuata in modo diretto o indiretto.

La misura si dice diretta quando si confronta direttamente la grandezza

misurata con l’unità di misura (campione) o con i suoi multipli e

sottomultipli; per esempio, la misura di una lunghezza mediante un regolo

graduato è una misura diretta.

Misure indirette sono invece quelle in cui non si può misurare subito la

grandezza che ci interessa, ma dobbiamo prima misurarne altre che

risultino ad essa legate da una qualche relazione funzionale (ad esempio la

determinazione di un volume).

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2.5 MISURA DI LUNGHEZZA, AREA E VOLUME

Per le lunghezze, il metro è un’unità di misura che si adatta alla maggior

parte degli oggetti che ci circondano. Tuttavia, per misurare distanze molto

grandi o molto piccole è preferibile ricorrere ai suoi multipli e sottomultipli.

L’area di una superficie si ottiene come prodotto di due lunghezze, perciò

l’unità di misura delle aree nel Sistema Internazionale è il metro quadrato

(simbolo m2), che rappresenta l’area di un quadrato di lato uguale a 1 metro.

L’unità di misura del volume è invece il metro cubo (simbolo m3), cioè un

cubo che ha lo spigolo lungo 1 metro.

Tabella 7 multipli e sottomultipli del metro

Nome Simbolo Valore

kilometro km 103 m

ettometro hm 102 m

decametro dam 101 m

metro m 100 m

decimetro dm 10-1 m

centimetro cm 10-2 m

millimetro mm 10-3 m

micrometro m 10-6 m

nanometro nm 10-9 m

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2.6 LA MISURA DEL TEMPO

“Che cos’ è il tempo? Se nessuno mi interroga, lo so;

se volessi spiegarlo a chi mi interroga, non lo so”.

Sant’Agostino

Confessioni

Il concetto di tempo è stato variamente interpretato da filosofi e scienziati di

varie epoche, ma lo scorrere del tempo è un’esperienza che tutti facciamo

quotidianamente. In ogni attimo della nostra vita ci troviamo infatti,

consapevolmente o inconsapevolmente, a percepire il passaggio del tempo.

“Il concetto fisico di durata (o intervallo di tempo) deriva dall’idea intuitiva di

tempo, quale ci è suggerita dal susseguirsi dei nostri stati mentali (tempo

psicologico)”43.

Secondo il filosofo inglese Broad il concetto di tempo è legato alla variabilità

delle nostre percezioni al variare della realtà, nella relazione di un “prima” e

di un “dopo” tra gli eventi. Infatti il tempo può essere inteso come la

dimensione nella quale si concepisce e si misura il trascorrere degli eventi.

I fisici, oggi, non si preoccupano di rispondere alla domanda “che cos’è il

tempo?”, ma piuttosto di misurarlo. Si interessano infatti alla misura della

durata di un fenomeno, confrontandola con quella di un altro fenomeno

assunta come unità di misura.

La durata di un fenomeno può essere operativamente definita come la

differenza tra due istanti di tempo letti sullo strumento di misura.

Per misurare l’intervallo di tempo tra due istanti è necessario utilizzare

come termine di raffronto un fenomeno periodico, cioè che si ripeta sempre

uguale a se stesso.

43 M. Ageno, Elementi di fisica, Bollati Boringhieri, Torino 1976

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Sono esempi di fenomeni periodici il battito del cuore, l’alternarsi del giorno

e della notte, il movimento oscillatorio di un pendolo.

Sono moti periodici per esempio quei movimenti nei quali un punto mobile

assume tante volte la stessa serie di posizioni, nello stesso ordine, e ogni

ciclo di movimento risulta uguale a tutti gli altri.

Nel caso di un pendolo semplice, non considerando la resistenza offerta

dall’aria, la pallina appesa al filo assume successivamente una serie di

posizioni e ritorna sempre alla posizione iniziale, ripercorrendo

nuovamente tutte le fasi del moto nello stesso ordine in cui le ha percorse la

prima volta. Ogni oscillazione risulta quindi sotto ogni aspetto

indistinguibile dalle precedenti.

L’intervallo di tempo che intercorre tra due posizioni uguali della pallina

assunte in due cicli successivi con le stesse condizioni di moto è detto

periodo. Il termine “periodico” indica infatti il ripetersi di un fenomeno ad

intervalli costanti di tempo.

Dello stesso tipo è anche il moto della Terra attorno al Sole. Un giorno solare

è il tempo che intercorre tra due passaggi successivi del Sole sullo stesso

meridiano.

In passato l’unità di misura del tempo veniva riferita al moto apparente del

Sole attorno alla Terra. Per esempio il giorno solare medio è la media

aritmetica della durata dei giorni solari presenti in un anno.

Oggi è noto che la durata del giorno non è rigorosamente costante nel

tempo, ma aumenta di qualche millesimo di secondo ogni secolo. Perciò si è

deciso di prendere come campione di tempo il periodo di oscillazione delle

onde luminose emesse da un atomo di cesio.

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Tabella 8 Multipli e sottomultipli del secondo

Nome Simbolo Valore in secondi

anno a circa 3.15 x 107 s

giorno solare medio d 864 x 102 s

ora h 3.6 x 103 s

minuto min 6x101 s

secondo s 100 s

millisecondo ms 1 x 10-3 s

microsecondo s 1 x 10-6 s

nanosecondo ns 1 x 10-9 s

2.6.1 Il pendolo

Spesso il pendolo può venir considerato soltanto una specie di accessorio

dell’orologio, e non come vero orologio quale è nella realtà. Infatti, in un

orologio a pendolo tutte le rotelle, le catene, le leve e le lancette servono solo

a contare le oscillazioni e a indicare quello che il pendolo fa in intervalli

temporali esatti. Il pendolo semplice è costituito da un filo alla cui estremità

inferiore è attaccato un peso che oscilla, tuttavia il pendolo è stato uno

strumento molto utile, che ha reso possibili osservazioni astronomiche più

precise, prove del movimento della terra attorno a sé stessa, conclusioni

sulla sua forma, sulla sua massa e sull’azione della sua forza attrattiva.

Il pendolo e la sua principale proprietà, l’isocronismo, richiamano

immediatamente alla mente il loro scopritore: Galileo Galilei.

Galilei era entrato non ancora ventenne all’Università di Pisa nel 1581, per

studiarvi filosofia e medicina. Durante gli studi si era appassionato alla fisica

ed in tale scienza aveva compiuto diverse importanti scoperte.

Galileo era da sempre interessato a dare un approccio matematico alla

questione del moto e fin da giovane analizzò criticamente la fisica

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aristotelica sempre attraverso uno studio pratico, quindi con la

sperimentazione diretta.

La leggenda44 racconta come un giorno Galileo, entrato nel duomo di Pisa

vide una lampada appesa al soffitto con una catena che al momento

dell’accensione, aveva ricevuto un forte colpo che la fece dondolare; questo

fenomeno attrasse l’attenzione dello studente. Notò che le oscillazioni

diventavano sempre più brevi, la lampada descriveva archi sempre più

piccoli ma, ciò nonostante, il periodo delle oscillazioni restava sempre lo

stesso. Galileo scoprì che il tempo impiegato da un pendolo semplice per

compiere un’oscillazione rimane sempre lo stesso, e dipende solo dalla

lunghezza del pendolo e non dall’ampiezza dell’arco che il pendolo descrive

o dalla massa appesa all’estremità. La scoperta di questa “legge del pendolo”

ha avuto un’enorme importanza per il progresso delle scienze naturali.

Questa si è rivelata molto fruttuosa per la scienza e per la vita pratica.

Nel “Dialogo sui massimi sistemi”, Galileo per bocca di Salviati, enuncia le

proprietà dell’isocronismo: “L’altro particolare, veramente maraviglioso, è

che il medesimo pendolo fa le sue vibrazioni con l’istessa frequenza o

pochissimo e quasi insensibilmente differente, sien elleno fatte per archi

grandissimi o per piccolissimi dell’istessa circonferenza”.

In realtà, un pendolo è strettamente isocrono soltanto se le sue oscillazioni

sono di piccola ampiezza, come fu scoperto dal fisico Christiaan Huygens

pochi decenni più tardi.

Subito dopo il pendolo trovò applicazione per esempio in medicina, come

misuratore delle pulsazioni cardiache. Molti anni più tardi, Galileo propose

l'utilizzo del pendolo come meccanismo regolatore degli orologi, ne abbozzò

un progetto, ma ormai vecchio e cieco, non riuscì a realizzarlo, e l'orologio a

pendolo venne costruito solo nel 1657, ancora da Huygens.

44 Non esistono documenti attendibili del fatto. Le lettere in cui Galileo si occupa della legge dell’isocronismo sono infatti posteriori al periodo pisano.

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Un pendolo semplice di lunghezza l, sottoposto all’accelerazione di gravità g,

oscilla in un tempo T descritto da questa equazione:

Dalla precedente formula, si nota come il periodo del pendolo aumenti con

l’aumentare della lunghezza del filo del pendolo, ma non in maniera lineare:

le due grandezze non sono direttamente proporzionali tra loro.

Infatti dalla relazione che esprime il periodo del pendolo seguono alcune

proprietà fondamentali: il periodo è indipendente dalla massa del pendolo e

dall’ampiezza dell’oscillazione, è direttamente proporzionale alla radice

quadrata della lunghezza e inversamente proporzionale alla radice quadrata

dell’accelerazione di gravità.

2.7 LA MISURA DI MASSA E DI PESO

La massa è la quantità di materia che compone un corpo. Secondo il fisico

inglese Isaac Newton, che introdusse il concetto di massa alla fine del XVII

secolo, la massa di un corpo è strettamente legata alla sua inerzia, cioè alla

sua tendenza di rimanere nello stato di quiete o di moto in cui si trova.

La massa è una proprietà intrinseca dei corpi, non dipende cioè dalla

condizione particolare in cui il corpo può trovarsi.

Nel Sistema Internazionale la massa è misurata in kilogrammi. Il

kilogrammo è definito come la massa di un cilindro di platino-iridio di

altezza e diametro pari a 39 mm.

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Figura 9 Il Kilogrammo campione conservato a Parigi

Tabella 9 Multipli e sottomultipli del kilogrammo

Nome Simbolo Valore in kg

tonnellata t 103 kg

kilogrammo kg 100 kg

ettogrammo hg 10-1 kg

decagrammo dag 10-2 kg

grammo g 10-3 kg

milligrammo mg 10-6 kg

L’utilizzo del quintale, che equivale a 100 kg, è stato abolito nel 1979.

Lo strumento che permette di misurare le masse è la bilancia a bracci uguali.

Essa è costituita da un’asta rigida che può oscillare attorno al suo punto

centrale. Agli estremi dell’asta ci sono due piatti. Questo strumento permette

di misurare la massa di un oggetto per confronto con una più masse

campione. Quando i piatti della bilancia sono scarichi, il sistema è in

equilibrio.

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I due corpi posti sui rispettivi piatti hanno la stessa massa quando

l’equilibrio del sistema è ristabilito.

Nella vita quotidiana spesso si confonde la massa con il peso; nel linguaggio

comune sono spesso utilizzati come sinonimi. Il peso a differenza della

massa non è una caratteristica propria del corpo e quindi non è costante, ma

può variare a seconda del luogo in cui si trova il corpo. Infatti il peso è la

forza con cui ogni corpo viene attratto verso il centro della Terra. La sua

unità di misura è quindi il newton ( simbolo N). Il newton è un’unità di

misura derivata e viene definita come la quantità di forza necessaria per

imprimere a un chilogrammo di massa un’accelerazione di un metro al

secondo quadrato:

1 N = 1

2.8 LA MISURA DELLA DENSITA’

La densità d di una sostanza è il rapporto tra la massa m e il volume V che

essa occupa:

La densità è una grandezza derivata. Nel SI la sua unità di misura si ottiene

facendo il rapporto fra l’unità di massa (kg) e l’unità di volume (m3). La

densità si misura quindi in kg/m3.

Per misurare la densità si possono utilizzare varie tipologie di procementi

per determinare il volume a seconda delle caratteristiche della sostanza:

Sostanza solida. Se il solido è regolare:

si misurano le dimensioni e si determina il volume V con una formula

geometrica;

si misura la massa m;

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si calcola la densità con la formula

.

Se invece il solido è irregolare:

si può immergere il solido nell’acqua contenuta in un contenitore

graduato e misurare così l’aumento di volume dell’acqua che è pari al

volume del solido.

Sostanza liquida.

il volume di un liquido viene misurato con un contenitore graduato.

Sostanza gassosa. Per misurare la densità di un gas si può:

mettere il gas in un recipiente rigido di volume noto;

misurare la massa m1 del recipiente pieno di gas;

collegare il recipiente a una pompa aspirante e togliere il gas per poi

misurare la massa m2 del recipiente vuoto;

Calcolare la massa del gas per differenza: m1 - m2

Calcolare la desnità con la formula

2.9 GLI STRUMENTI DI MISURA

Ad ogni grandezza fisica si deve, almeno in linea di principio, poter associare

un valore numerico in modo univoco ed oggettivo, cioè riproducibile nelle

stesse condizioni da qualsiasi osservatore; valore pari al rapporto fra la

grandezza stessa e l’unità di misura per essa prescelta. Per eseguire tale

associazione dobbiamo disporre di strumenti e che ci permettano di mettere

in relazione da una parte la grandezza da misurare, e dall’altra l’unità di

misura (oppure suoi multipli o sottomultipli); e ci dicano se esse sono uguali

o, altrimenti, quale delle due è maggiore.

Lo strumento di misura è un apparato che permette il confronto tra la

grandezza misurata e l’unità prescelta.

Nella scelta di uno strumento è importante tenere presenti alcune proprietà.

Le caratteristiche più importanti di uno strumento sono le seguenti:

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La portata: è il valore massimo che lo strumento può misurare (in

una sola volta);

La prontezza: è determinata dal tempo necessario perché lo

strumento risponda in modo completo ad una variazione della

sollecitazione; ad esempio, per avere una risposta corretta da un

termometro si deve attendere che si raggiunga l’equilibrio termico tra

il mercurio e ciò di cui si misura la temperatura.

La sensibilità : è il numero di divisioni di cui si sposta l’indice dello

strumento per una variazione unitaria della grandezza da misurare.

La precisione dello strumento è legata alla riproducibilità del risultato

della misura di una stessa grandezza. Uno strumento è tanto più

preciso quanto minore è lo scarto tra le misure trovate con una serie

di misurazioni ripetute della stessa grandezza. In altre parole è la

capacità di fornire valori corrispondenti a quello ritenuto “vero” e

posseduto realmente dalla grandezza in esame. Il risultato della

misura può variare da una parte per difetti dello strumento dovuti

alla costruzione, che non può mai essere perfetta, e per il logoramento

in conseguenza dell’uso prolungato o improprio, o

dell’invecchiamento; inoltre, per la presenza di varie cause di

disturbo ineliminabili anche in condizioni normali d’uso dello

strumento stesso. Tutto questo fa sì che misure ripetute di una stessa

grandezza fisica si distribuiscano in un intervallo più o meno ampio

intorno al valore vero; questa caratteristica degli strumenti è legata

alla presenza di errori sistematici.

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2.10 ERRORE DI MISURA

Nella scienza la parola errore non implica il solito significato di sbaglio o

svista. Errore in una misura scientifica significa l’inevitabile incertezza che è

presente in tutte le misure. Nessuna misura, per quanto fatta con cura, può

essere completamente libera da incertezze. Il meglio che si possa fare è

assicurarsi che gli errori siano il più ragionevolmente piccoli possibile, e

avere una stima realistica di quanto essi sono grandi.45

In ogni misura ci possono essere due tipi di errori: errori casuali e errori

sistematici. Gli errori casuali sono quelli che capitano per caso, e in quanto

tali non sono prevedibili. Gli errori sistematici invece si ripetono sempre allo

stesso modo.

Si possono quindi definire casuali quegli errori regolati dalla “legge del caso”

la cui origine è attribuibile ad una somma di fattori non sempre ben

identificabili e che sono solo in parte prodotti dalla limitata precisione degli

strumenti.

Tali errori hanno le seguenti caratteristiche:

- sono perfettamente casuali, cioè si distribuiscono in ugual modo sia in

eccesso che in difetto rispetto al valore “vero” della misura

- non possono essere eliminati, in quanto connaturali ad ogni esperimento

di laboratorio.

- possono e devono, però, essere correttamente analizzati con uno studio di

tipo statistico in cui si prenda in considerazione un numero molto elevato di

misure eseguite con la stessa strumentazione e nelle stesse condizioni

ambientali.

45 Cfr. J. Taylor, Introduzione all’analisi degli errori, Zanichelli, Bologna ,2000

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Esempi di errori casuali possono essere dovuti all’osservatore, alle

variazioni casuali delle condizioni ambientali, all’impossibilità di ripetere un

esperimento più volte con modalità veramente identiche.

Si definiscono errori sistematici tutti quegli errori dovuti alla errata taratura

di uno strumento oppure al suo uso improprio.

Riporterò di seguito alcuni errori di questo tipo che caratterizzano le

tipologie di attività svolte in classe dai bambini e descritte nel successivo

capitolo di questa tesi.

Un esempio tipico di uso improprio é l’imprecisione che accompagna il

cronometraggio manuale di intervalli di tempo estremamente brevi.

L’inevitabile ritardo dovuto ai riflessi dello sperimentatore introduce un

errore.

Un altro esempio di uso improprio si ha quando lo strumento é difettoso o

tarato male. Una bilancia con l’indicatore di peso non perfettamente

azzerato risulterà alterare sempre nello stesso senso (cioè sempre in

eccesso o sempre in difetto) ogni misura effettuata.

Anche il cosiddetto errore di parallasse, errore dovuto ad un cattivo

allineamento tra l’occhio dell’osservatore e la scala graduata dello

strumento utilizzato, è causa di errori sistematici.

In conclusione, possiamo affermare che gli errori sistematici:

- su misure ripetute della stessa grandezza fisica alterano sempre della

stessa quantità e sempre nello stesso verso il risultato finale (quindi in modo

non casuale)

- a differenza dagli errori casuali e di sensibilità quelli sistematici sono errori

veri, nel senso che introducono nel processo di misura uno “sbaglio”.

Possono (e devono) essere eliminati migliorando lo strumento utilizzato,

correggendone i difetti e le modalità d’impiego, controllandone con

attenzione il funzionamento e la taratura.

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Quando l’errore è espresso nelle stesse unità di misura del valore

sperimentale, si parla di errore assoluto.

Per poter confrontare misure eseguite su oggetti diversi con errori assoluti

differenti è necessario considerare l’errore relativo, definito come il

rapporto tra l’errore assoluto e il valore della misura.

Le incertezze fanno sì che la misura di una grandezza non sia espressa da un

numero, ma da un intervallo all’interno del quale riteniamo

ragionevolmente che si trovi la “misura vera” della grandezza considerata. In

altre parole, il risultato di una misura non è un valore, ma è un insieme di

valori di ampiezza variabile.

La misura dal punto di vista delle scienze sperimentali assume quindi un

significato completamente diverso rispetto ad un punto di vista matematico:

mentre la misura matematica è sempre un numero reale e esatto, la misura

sperimentale è un numero sempre affetto da una qualche incertezza.

Per tutto quanto detto in precedenza, affinché il nostro processo di misura

sia scientificamente corretto, dovremo sempre comunicare il risultato con

l’errore ad esso associato:

risultato = misura ± errore

Se di una grandezza fisica abbiamo a disposizione una sola misurazione, non

abbiamo molte possibilità di scelta: l’errore assoluto da associare a tale

valore deve necessariamente essere l’errore di sensibilità dello strumento

usato.

Nel caso in cui sia possibile ripetere più volte l’esperimento può accadere di

ottenere misure tutte leggermente diverse tra loro a causa della presenza

degli errori casuali. Si può allora dimostrare matematicamente che la

“migliore stima” della grandezza studiata è semplicemente fornita dal valore

medio delle misure ottenute, e che tale valore è tanto più attendibile quanto

più è elevato il numero di misure effettuate.

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In altre parole, gli errori in una misura non possono essere eliminati ma

possono essere stimati e ridotti ripetendo la stessa misura molte volte e

calcolando la media aritmetica dei valori ottenuti.

La stima degli errori di ogni misura può essere fatta con metodi statistici più

o meno sofisticati che danno un’indicazione della “dispersione” di valori

attorno al valore medio. La deviazione standard è uno dei parametri più

utilizzati.

Nel calcolare la media è possibile ottenere un valore numerico composto da

infinite cifre decimali, frutto di un procedimento aritmetico e non di un reale

processo di misurazione. In questo caso il risultato deve essere riscritto

considerando solo le cifre significative, il cui numero corrisponde al numero

di cifre dei valori misurati (l’ultima cifra deve essere opportunamente

arrotondata).

Perché il risultato di una misura abbia un significato scientifico, è quindi

fondamentale applicare le considerazioni appena descritte. Inoltre possiamo

dire che l’incertezza di una misura è anche collegata alla qualità del risultato

ottenuto.

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Capitolo III

LA MISURA: IL PROGETTO DIDATTICO

3.1 INTRODUZIONE

Il lavoro da me progettato e realizzato si è svolto presso la Scuola Primaria

Alfredo Oriani, che fa parte dell’Istituto Comprensivo Statale di Reggello

(Firenze).

Le esperienze sono state svolte in una classe V, con cui avevo effettuato

anche il tirocinio degli anni passati. Questo aspetto si è dimostrato un

vantaggio per entrambe le parti, perché io conoscevo già la classe e il suo

andamento generale e gli alunni erano già abituati a lavorare con me: infatti

mi hanno accolto con molto entusiasmo.

La classe si compone di 21 alunni e all’interno non sono presenti né alunni

stranieri né alunni con certificazione.

Per venire incontro alle esigenze della maestra dell’area logico-matematica,

gli incontri si sono svolti un po’ dilazionati nel tempo, cioè un incontro ogni

due settimane. La maggior parte degli incontri hanno avuto la durata di due

ore circa.

L’ideazione del progetto didattico e delle sue attività è iniziata subito dopo la

scelta dell’argomento della tesi: la misura nelle scienze sperimentali.

Nella prima fase è stato per me necessario documentarmi su testi di fisica,

riflettendo sui concetti che avrei voluto presentare e pensando a come

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proporli attraverso semplici esperienze. Una volta scelti i concetti principali

da trattare ho iniziato a pensare a come progettare il lavoro.

Ho riflettuto sul fatto che i bambini quando arrivano a scuola portano con sé

un certo bagaglio di esperienze e di conoscenze che si sommano a tutte

quelle vissute e studiate a scuola. In particolare, avendo scelto di lavorare

con una classe V, sapevo che alcuni dei concetti che avrei trattato erano già

stati presentati in passato all’interno del programma di matematica.

L’obiettivo principale del mio progetto è stato quello di insegnare ai bambini

il concetto di misura o meglio che cosa significa misurare.

Questa tematica è certamente presente nel vissuto dei bambini fin da molto

piccoli. L’idea della misura non è sicuramente risultata nuova; il concetto era

infatti molto familiare ai bambini, ma il vero scopo del progetto era proprio

proporre la misura secondo un altro tipo di approccio, un approccio

scientifico. I bambini hanno potuto riflettere su concetti già acquisiti ed

iniziare a vederli sotto altre prospettive.

Al di là dei concetti trasmessi, il progetto ha avuto anche l’obiettivo di

approcciarsi al mondo della fisica e al metodo sperimentale.

Mi sono infatti resa conto che per questi bambini la parola “esperimento”

significava chissà quale intruglio, qualcosa di inusuale che deve stupire.

Così dopo la prima esperienza una bambina ha obiettato: “Maestra, ma

questi non sono proprio degli esperimenti!!”. Questa frase mi ha sorpreso ed

ha reso necessaria una piccola spiegazione sul metodo scientifico e

sull’esperimento. Questo fatto dimostra come una progettazione non può

essere fatta a priori e in modo stabile, ma necessita di continui

aggiustamenti ed approfondimenti che sono dettati dalle esigenze che

l’insegnante riscontra.

Nel progetto ho deciso di trattare la misura delle grandezze fisiche

fondamentali: lunghezza, tempo e massa.

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Le esperienze su queste grandezze mi hanno permesso di introdurre il

concetto di errore della misura e di far riflettere i bambini sugli strumenti

utilizzati e sulle loro caratteristiche.

Oltre a progettare le attività, ho ritenuto di fondamentale importanza

proporre un questionario iniziale per valutare le preconoscenze dei

bambini, che è servito poi anche come spunto per l’inizio delle attività.

Una volta terminati gli incontri ho verificato l’apprendimento degli alunni

attraverso una verifica scritta, che mi ha permesso di valutare il successo e i

limiti del progetto da me presentato.

In realtà è stata effettuata una sorta di verifica dell’apprendimento anche in

itinere, attraverso le risposte che ricevevo dai bambini; infatti ogni incontro

è stato caratterizzato da discussioni collettive che hanno consentito ai

bambini di esprimersi e di formulare ipotesi e osservazioni.

3.2 LA PROGETTAZIONE La progettazione costituisce una parte di vitale importanza per il progetto,

poiché con essa si definisce la struttura degli incontri ed è quindi da

realizzarsi con molta cura.

In letteratura esistono vari modelli di progettazione:

a) progettazione per obiettivi;

b) progettazione per concetti;

c) progettazione per ricerca-azione.

a) La progettazione per obiettivi definisce innanzitutto gli obiettivi a breve,

medio e lungo termine, considerando la relazione insegnamento-

apprendimento come un processo dinamico e intenzionale teso al

conseguimento degli obiettivi programmati. La progettazione ha lo scopo di

rendere più scientifica e rigorosa l’attività di insegnamento per di

verificarne costantemente l’efficacia.

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b) La progettazione per concetti risente dell’influenza di Piaget, in quanto

viene fatto un parallelismo tra processi cognitivi ed epistemologia dei saperi.

E’ una forma di progettazione non lineare, ma con collegamenti tra i vari

concetti. Infatti lo strumento principale è la mappa concettuale, che

presuppone interdisciplinarità e riassume il lavoro svolto.

c) Il principio su cui si fonda invece la progettazione per ricerca-azione è che

la cultura d’appartenenza e l’interazione sociale influenzano

l’apprendimento. Sono due variabili non conoscibili in fase di progettazione:

quindi i risultati non sono esattamente prevedibili poiché i contesti nei quali

il progetto si applica sono differenti. Questo modello dà enfasi al sapere

extra-scolastico e alle preconoscenze. L’insegnante formula delle ipotesi e le

verifica poi sul campo dell’esperienza; questo modello si definisce quindi

ricerca-azione poiché ogni volta il risultato può essere qualcosa di

innovativo.

Per progettare l’itinerario didattico, basandomi sulle conoscenze acquisite

nei corsi universitari e nelle esperienze di tirocinio già svolte mi sono

avvalsa del seguente schema di progettazione:

Analisi della situazione di partenza;

Definizione degli obiettivi generali e specifici;

Scelta di contenuti, attività, strumenti e materiali;

Valutazione delle strategie e metodologie più appropriate;

Definizione di tempi e spazi adeguati ai contenuti e agli esperimenti

da proporre;

Criteri di verifica e valutazione.

Per quanto riguarda il clima relazionale ed i livelli d’apprendimento della

classe, avevo già un’idea maturata attraverso lo svolgimento del tirocinio,

quindi per valutare la situazione di partenza ho ritenuto sufficiente

sottoporre agli alunni un questionario iniziale.

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70

La struttura del mio progetto si articola nella definizione di un obiettivo

generale e di successivi obiettivi specifici. Dopo aver determinato tutti gli

obiettivi che mi ero imposta di far raggiungere agli allievi, ho pensato a quali

fossero le attività più adeguate da realizzare.

Una volta decise le esperienze e dopo aver elaborato una bozza di

progettazione, mi sono impegnata per reperire il materiale necessario e

costruire il questionario iniziale. Prima di svolgere le attività in classe, ho

dovuto provare a casa tutti gli esperimenti, per allenarmi e per verificare che

tutto procedesse secondo quanto previsto. Questa fase di preparazione e

verifica è fondamentale per la riuscita dell’esperimento che desideriamo

proporre.

Una copia del progetto è stata consegnata anche al dirigente scolastico, che

lo ha accolto con entusiasmo essendo un’ex insegnante di matematica e

fisica.

Infine ho concordato con l’insegnante dell’area logico-matematica un

calendario delle attività, in modo da fissare tutte le date per gli incontri.

Per avere una visione globale del progetto, riporto una tabella che sintetizza

i contenuti affrontati in ciascun incontro.

L’impianto progettuale può essere così schematizzato:

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Obiettivo generale: comprendere il significato della misura nell’ambito della

fisica, con particolare riferimento alla misura di lunghezza, di tempo, di massa e di

densità.

Obiettivi specifici Attività

Tempi

e

spazi

Materiali e

strumenti

Strategie e

metodologie

Indagare le preconoscenze degli alunni

Primo incontro questionario; presentazione del progetto

- 40 minuti - aula

Questionario, lavagna

-Questionario - Lezione frontale

Conoscere il concetto di misura di una lunghezza, unità di misura ed errore; riflettere sulla necessità di utilizzare unità di misura universali; riflettere sugli strumenti di misura

Secondo incontro: la misura di lunghezza Costruzione del metro utilizzando regoli di legno; misurazione del banco e dell’aula attraverso unità di misura non convenzionali (spanne e passi) e successivamente con unità di misura convenzionali (metro)

2 ore

aula

Regoli di legno; lavagna

-Lezione frontale -Cooperative learning -Discussione Collettiva -metodo scientifico

Conoscere alcuni strumenti per misurare il tempo; misurare la durata di un fenomeno; riflettere sul concetto di errore

Terzo incontro: la misura di tempo Misurare più volte il tempo impiegato dal pendolo a compiere 10 oscillazioni e calcolare il tempo impiegato a compiere una singola oscillazione

2 ore

aula

Clessidra; cronometro; pendolo; filo e palline diverse tra loro

-Discussione collettiva -Metodo scientifico

Capire la differenza tra massa e peso; misurare la massa di oggetti; determinare il volume di oggetti irregolari; saper calcolare la densità

Quarto incontro: la misura di massa e la densità Confrontare alcuni e oggetti e misurarne la massa; determinare il volume degli stessi oggetti e calcolare la densità

2 ore

aula

Bilancia a piatti; pietre; barretta di ferro; sassolini di vetro; cilindro graduato; vaso di “troppo pieno”

-Discussione collettiva -Metodo scientifico

Valutare e verificare gli apprendimenti e il successo del progetto

Compilazione del questionario; impressioni sul progetto e su ciò che è stato appreso

1 ora

aula

Questionario -Valutazione e verifica attraverso un questionario a domande chiuse e aperte

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3.3 GLI INCONTRI E LA DIDATTICA IN CLASSE

3.3.1 Iniziamo dalle preconoscenze: il questionario iniziale

“ Se dovessi condensare in un unico principio l’intera

psicologia dell’educazione direi che il singolo fattore

più importante che influenza l’apprendimento sono

le conoscenze che lo studente già possiede.

Accertatele e comportatevi in conformità con il

vostro insegnamento”

David Ausubel

Primo incontro: 30 ottobre 2012

Prima di svolgere le attività progettate, ho ritenuto opportuno

somministrare un questionario contenente alcune domande sugli argomenti

che avrei trattato successivamente.

Questa prima fase ha lo scopo di indagare le preconoscenze dei bambini

apprese sia a scuola sia nella vita quotidiana. Questo mi ha permesso di

avere un’idea sulla loro preparazione e sul loro pensiero riguardo al lavoro

che avrei poi svolto.

Conoscere le preconoscenze dei bambini è fondamentale perché rende

l’insegnante più consapevole del bagaglio di esperienze e conoscenze che i

bambini portano con sé.

Un’attività di indagine preliminare serve quindi per:

- Rendersi conto di quali siano i punti di partenza da cui ogni bambino

prende l’avvio per capire;

- Mettere in evidenza ciò che sanno i bambini;

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- Capire lo scarto esistente tra quello che i bambini sanno e quello che

l’insegnante ritiene che debbano sapere;

- Individuare le difficoltà che si dovranno affrontare nel successivo

apprendimento.

Sull’importanza di indagare le preconoscenze vorrei ricordare la teoria

dell’ “organizzatore propedeutico” di Ausubel. Questa teoria è basata

sull’idea che l’apprendimento sia facilitato qualora all’allievo venga

consentito di correlare le nuove informazioni con le vecchie conoscenze.

L’organizzatore propedeutico è un ponte che connette per analogia le cose

note con quelle ignote ed aiuta a strutturare la nuova informazione.

La pratica didattica di partire dalle preconoscenze risponde all’esigenza di

conoscere la situazione cognitiva di partenza di ciascun bambino e

dell’intera classe.

Il termine “preconoscenze” può avere varie sfumature di significato:

preconoscenze come conoscenze “extra fonti”, preconoscenze come pre-

requisiti46 e preconoscenze come conoscenze spontanee.

Ormai molto diffusa, la rilevazione delle preconoscenze è considerata una

pratica irrinunciabile soprattutto per la scuola primaria.

“Si tratta, dunque, non tanto di verificare quanto i bambini sanno o sanno

operare in rapporto con le conoscenze e i requisiti presupposti o necessari, ma

piuttosto scandagliare le idee, le immagini, le parole che si sono istallate nella

loro mente e i loro modi di farle emergere e organizzarle poiché lo scopo è

quello di creare un ponte affettivo e cognitivo verso l’acquisizione di nuovo

sapere…” 47

Grazie al questionario ho potuto anche riflettere sul mio progetto e valutare

se fosse stato adeguato. Inoltre, dai risultati ho ricavato validi suggerimenti

46 Faccio riferimento alla definizione di Gagnè: “La classe di condizioni più importante per distinguere una forma di apprendimento dall’altra è lo stato iniziale dell’apprendimento: in altre parole, i suoi prerequisiti. ” (R. M. Gagnè , Le condizioni dell’apprendimento, Armando ,Roma, 1996) 47 L. Coltri, Il bambino, “un alieno cognitivo” ricco di preconoscenze, in Quaderno di didattica a cura di E. Felisatti, Cleup, Padova, 2002

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su quali fossero i concetti che più necessitavano di attenzione da parte mia e

che riscontravano maggiori difficoltà tra gli alunni.

I risultati di questa prima, ma importante indagine hanno mostrato come la

classe fosse “spaccata” in due sul significato della parola misurare.

Riporto qui di seguito i grafici di alcune risposte chiuse e gli esempi più

significativi e rappresentativi di alcune risposte aperte.

Figura 10 domanda n. 1

Figura 11 domanda n.2

0

10

2010

0

11

0

Secondo te misurare significa

0

5

10

15

20

0

18

0

8

0

19 19

Indica con una X ciò che si può misurare in modo "scientifico"

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Come si nota dal grafico della figura 11 , l’alternativa “ la durata di un film” è

stata la risposta corretta meno individuata rispetto alle altre.

Nella domanda seguente infatti è possibile capirne il motivo.

Quasi tutti i bambini hanno associato l’idea del “poter misurare con quella di

astratto e concreto. Molti hanno risposto che si può misurare solo ciò che si

può “toccare” e questo ha portato alcuni bambini ad escludere quella

risposta perché più “astratta” rispetto alle altre.

Ecco alcuni esempi:

Esempio 1

Esempio 2

Esempio 3

Ci sono poi stati bambini che, pur esprimendo lo stesso concetto, hanno

però individuato “la durata del film” come qualcosa di misurabile.

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Esempio 4

Esempio 5

Esempio 6

Negli esempi 5 e 6 emerge anche l’idea che si può misurare tutto ciò per cui

esiste uno strumento per farlo.

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Figura 12 domanda n. 4

1° affermazione: la misura del tempo si basa sull’anno solare. 2° affermazione: l’unità di misura del tempo è il secondo. 3°affermazione: le misure non sono mai completamente esatte perché dipendono dagli strumenti utilizzati e da chi misura. 4° affermazione: a seconda dell’unità di misura scelta si possono avere misure diverse. Per questo occorre un sistema di misura universale.

5° affermazione: il passo è un’unità di misura per lunghezze.

Figura 13 domanda n. 7

Sopra ad uno dei due piatti di una bilancia c’è una certa quantità di ferro mentre sopra l’altro piatto c’è del legno. Quale dei due piatti peserà di più? Quello con il ferro

Quello con il legno

Occorre sapere la quantità di ciascuno dei due materiali

0

5

10

15 13

5

11

15

7 6

14

10

5

14

2 2 1

Corretta

Errata

Nessuna risposta

Vero o Falso

0

10

20

Ferro Legno Occorresapere la

quantità deidue materiali

7

0

14

Concetto di densità

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L’ ultima domanda invece era utile per capire la loro idea di misura e del

procedimento necessario per eseguire una misurazione: nella maggior parte

delle risposte l’idea di misura richiama essenzialmente la misura della

lunghezza.

Esempio 7

Esempio 8

Esempio 9

Una sola bambina si è avvicinata al significato di “misura”.

Esempio 10

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In questo primo incontro sono stati presentati anche il progetto e gli incontri

successivi.

I bambini erano curiosi di sapere il perché di questo progetto, così ho

spiegato loro quale era il mio obiettivo ed in che cosa consista una tesi di

laurea.

3.3.2 Dall’osservazione alla misura: la misura della lunghezza

Secondo incontro: 6 novembre 2012

Obiettivi specifici:

Comprendere la necessità di utilizzare un sistema di misura

universale

Comprendere cosa significa misurare

Conoscere le caratteristiche dello strumento di misura

Descrizione dell’attività

Il questionario iniziale mi è servito come spunto per iniziare a parlare del

percorso da svolgere partendo da quello che già sapevano i bambini.

Nel corso della discussione, della spiegazione e delle attività, ho spesso fatto

riferimento alle risposte date nell’indagine svolta.

Dopo la correzione dei questionari, ho ritenuto opportuno non mostrare ai

bambini gli errori commessi, perché ho pensato che fosse più educativo

lasciare che li scoprissero da soli durante il percorso.

Ho introdotto l’argomento del progetto leggendo una breve fiaba: “Una gara

di corsa.”

Un Cinghiale presuntuoso si vantava di saper correre veloce come il vento. II

Camaleonte volle punirlo e lo sfidò ad una gara di corsa. La Rana faceva da

arbitro. Il traguardo era una macchia di sterpi. Appena la Rana diede il via, il

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Cinghiale prese a galoppare più forte che poteva, senza accorgersi che il

Camaleonte gli era saltato sul dorso, ove stava aggrappato al pelo tenendosi

ben forte per non essere sbalzato via. Quando raggiunse il traguardo, il

Cinghiale frenò di colpo, felice di aver vinto. Ma la brusca frenata sbalzò il

Camaleonte qualche passo più avanti del Cinghiale. Tranquillamente seduto

sul musco, fregandosi le zampe, il Camaleonte si rivolse al Cinghiale dicendo: “

Ebbene, mi pare che tu sia arrivato dopo di me. Guarda:

sono più avanti di te almeno dieci volte la lunghezza della mia coda.

Riconosciti sconfitto”.

(fiaba africana)

Per dare un'idea della distanza che lo separava dal Cinghiale, il Camaleonte

ha contato quante code come la propria ci stavano: ha confrontato la

lunghezza della propria coda con la distanza tra sé e il Cinghiale. Il

Camaleonte ha dunque misurato quella distanza usando la propria coda

come unità di misura. Anche gli uomini dell'antichità che, come noi, avevano

la necessità di misurare i terreni di loro proprietà o gli edifici che

costruivano, usarono parti del proprio corpo come unità di misura.

Ho proposto ai bambini un’attività che ripercorresse un po’ la storia della

misura, cominciando a fare delle misurazioni partendo dall’utilizzo di unità

di misura che riguardano il corpo umano fino ad arrivare ad utilizzare unità

di misura convenzionali come il metro.

I bambini hanno iniziato col misurare il proprio banco utilizzando come

unità di misura la spanna. La spanna è un’unità di misura, usata soprattutto

anticamente, che si basa sulla distanza tra le punte del pollice e del mignolo

in una mano aperta.

Successivamente sono state misurate le dimensioni dell’aula utilizzando

come unità il passo.

Abbiamo poi raccolto tutte le misure in una tabella:

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Una volta raccolti tutti i risultati, abbiamo iniziato una riflessione sui dati.

I bambini hanno subito notato che le misure erano diverse tra loro.

Ho chiesto loro quale fosse il motivo.

Alunno Lunghezza banco Lunghezza aula Larghezza aula

n. 1 4 + ½ spanne 7 passi 6 passi

n. 2 4 + ½ spanne 7 + ½ passi 6 passi

n. 3 4 spanne 7 passi 6 passi

n. 4 4 spanne 7 passi 6 passi

n. 5 4 spanne 6 passi 5 passi

n. 6 4 +½ spanne 7 + ½ passi 7 passi

n. 7 4 spanne 7 + ½ passi 6 + ½ passi

n. 8 4 spanne 7 passi 6 passi

n. 9 4 spanne 7 + ¼ passi 6 passi

n. 10 4 spanne 7 passi 6 passi

n. 11 4 + ¼ spanne 7 + ½ passi 6 passi

n. 12 5 + ½ spanne 7 + ½ passi 6 + ½ passi

n. 13 4 spanne 7 passi 6 passi

n. 14 4 spanne 6 + ½ passi 5 + ½ passi

n. 15 4 + ¼ spanne 7 passi 6 passi

n. 16 4 + ½ spanne 7 + ¼ passi 6 passi

n. 17 4 + ½ spanne 7 + ½ passi 6 +½ passi

n. 18 4+ ½ spanne 7 + ½ passi 6 +½ passi

n. 19 4 + ¼ spanne 7 + ½ passi 6 + ¼ passi

n. 20 4 + ¼ spanne 7 + ½ passi 6 + ¼ passi

n. 21 4 spanne 7 + ½ passi 6 passi

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V.48 : Chi di voi è in grado di spiegare perché abbiamo misurato tutti le

stesse cose ma abbiamo ottenuto misure diverse?

Samuele: Perché ognuno è diverso. Tommaso è più alto di tutti e il suo

passo è più grande.

Giulia: Sì ,perché non sono misure precise. Sono tutte diverse perché non

sono precise.

Matteo: Sì ,però non di tanto…

V. : Come potremmo fare allora per ottenere delle misure più “precise”?

Leonardo ed altri: Bisogna misurare con il metro!

V. : Molto bene! Ma perché avete pensato proprio al metro?

Bambini: Perché per vedere quanto è lunga una cosa di preciso si usa il

metro.

Leonardo: Perché è l’unità di misura della lunghezza.

V. : E’ giusto! Il metro è un’unità di misura universale, cioè uguale per tutti!

Mentre le unità di misura che abbiamo utilizzato noi non sono universali,

perché come avete detto prima possono cambiare da persona a persona.

Adesso costruiremo alcuni “metri” e riproveremo a misurare il banco e

l’aula.

Il dialogo mette in evidenza che i bambini hanno riconosciuto l'importanza

di utilizzare una unità di misura comune.

L’attività si è svolta dividendo la classe in sei gruppi (tre gruppi da quattro

alunni e tre gruppi da tre alunni). Ho consegnato ad ogni gruppo un regolo di

legno ed una striscia di cartoncino lunga un decimetro, graduata fino al

mezzo centimetro, che è servita come “campione” per la costruzione del

metro.

Ho poi fornito tre diverse consegne:

-GRUPPI 1 e 5: costruire un metro graduato fino al decimetro

-GRUPPI 2 e 6: costruire un metro graduato fino al centimetro

48 Con questo simbolo verranno indicati tutti gli interventi fatti da me nelle discussioni della classe.

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-GRUPPI 3 e 4: costruire un metro graduato fino al mezzo centimetro

L’occasione è stata utile per parlare anche della storia del metro e del “metro

campione”.

Prima di effettuare le misurazioni però ho chiesto ai bambini di fornirmi

alcune previsioni, cioè ho chiesto loro di stimare ad occhio la lunghezza del

banco e lunghezza e larghezza dell’aula. Questo esercizio ha richiesto un

grande sforzo ai bambini, ma ho ritenuto opportuno farli provare a

formulare alcune stime perché ritengo sia un’abilità importante. E’ utile

nella vita quotidiana saper stimare ad occhio alcune misure.

L’abilità di stimare ad occhio è legata alla conoscenza e all’uso del campione

di misura e si perfeziona con l’esercizio di stima-misura-controllo.

Solo successivamente ho chiesto loro di misurare il proprio banco

utilizzando il metro del proprio gruppo.

Una volta raccolte le misure, ho chiesto ai bambini di scambiare il proprio

metro con quello di un altro gruppo.

Dopo che ciascun gruppo aveva provato ad utilizzare tutti i righelli, ho

chiesto ai bambini di riflettere sulle misure ottenute e sulla differenza e

uguaglianza dei vari strumenti.

I bambini hanno osservato che tutti gli strumenti erano “uguali perché tutti

metri” ma “diversi perché alcuni erano più precisi”.

Usando il metro tarato in decimetri, infatti i bambini erano incerti sulla

misura finale.

In figura 14 sono riportate le misure del banco fatte dai vari gruppi

utilizzando i regoli costruiti.

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Figura 14 Misure del banco effettuate con i vari regoli

Osservando tutte le misure fatte , i bambini hanno concluso che le misure

più “precise” erano quelle fatte con gli strumenti più “precisi”.

A questo punto ho ritenuto opportuno fare chiarezza su alcuni termini e

concetti, cercando di spiegare le caratteristiche degli strumenti di misura

pur semplificando il più possibile.

Ho fatto scrivere sul quaderno dei bambini che cosa significa misurare ed ho

poi spiegato anche alcune caratteristiche degli strumenti di misura dando

prima alcune definizioni e poi fornendo alcuni esempi.

Dopo aver fatto chiarezza su questi termini, i bambini sono arrivati a

concludere che i tre tipi di metro costruiti erano strumenti per misurare la

lunghezza che avevano la stessa portata (di 1 metro) ma diversa sensibilità

(di 1 dm, 1 cm, 0,5 cm).

Questa esperienza ha portato i bambini a riflettere sulle differenze che si

riscontrano utilizzando due strumenti con sensibilità diversa (quindi con

due scale graduate suddivise in modo diverso).

Il metro era per i bambini uno strumento conosciuto e familiare, così come il

sistema di misura metrico, ma non avevano mai riflettuto su di essi

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soffermandosi sul significato che questi concetti assumono nelle scienze

sperimentali.

Figura 15 Pagina di quaderno di un alunno

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Figura 16 I tre tipi di metro

costruiti

Figura 17 I sei regoli costruiti dai bambini

Figura 18 Esempio di decimetro usato come campione

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3.3.3 La misura del tempo

Terzo incontro: 20 novembre 2012

Obiettivi specifici:

Conoscere alcuni strumenti di misura del tempo

Comprendere il fenomeno dell’oscillazione del pendolo

Comprendere il concetto di errore della misura

Descrizione attività

La lezione è iniziata riassumendo l’attività e i concetti trovati nella lezione

precedente.

Per introdurre la lezione ho raccontato ai bambini l’aneddoto di Galileo nel

Duomo di Pisa, descritto nel Capitolo II.

I bambini non avevano mai visto un pendolo, così ho spiegato loro come si

costruisce un pendolo semplice e qual è la sua funzione.

Figura 19 Pendolo utilizzato

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All’inizio abbiamo determinato quante oscillazioni del pendolo si potevano

contare in un minuto, utilizzando per la misura una clessidra di quella

portata.

Eseguite diverse misurazioni con la clessidra, siamo passati a misurare le

dieci oscillazioni con lo strumento del cronometro.

Dopo aver spiegato ai bambini le caratteristiche dello strumento e come

leggere la misura ottenuta, ho chiesto loro di riflettere sulla differenza fra i

due strumenti utilizzati ed i bambini hanno concluso che il cronometro

rispetto alla clessidra è più “preciso” e più “sensibile”.

Scopo di questa indagine è verificare da quali grandezze dipende il periodo,

cioè la durata di un’oscillazione completa, di un pendolo semplice.

Per eseguire questa esperienza mi sono munita di diversi pesetti (sfere con

ganci) e di alcuni fili sottili ed inestensibili di varie lunghezze.

Le grandezze che ragionevolmente potrebbero influire sul periodo

d’oscillazione del pendolo sono la natura e le dimensioni della massa

oscillante, la lunghezza del filo, l’ampiezza dell’oscillazione.

Ho progettato tre prove distinte, in ciascuna delle quali controllare il

comportamento del periodo al variare di una sola delle grandezze.

Il periodo è, per definizione, la durata di un’oscillazione completa; per

ridurre l’incertezza sulla misura è opportuno misurare ogni volta la durata

di almeno dieci oscillazioni consecutive e calcolare poi la durata di una sola

oscillazione.

L’attività si è quindi svolta in tre fasi:

a) Misura del periodo di pendoli di massa diversa

Alcuni allievi hanno misurato il tempo corrispondente a dieci oscillazioni di

pendoli con uguale lunghezza del filo ma diversa massa oscillante.

Sono state utilizzate due sfere di piombo e due sfere di legno con le

dimensioni relative mostrate in figura 20.

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Figura 20 I vari tipi di sfere utilizzate

b) Misura del periodo di un pendolo che oscilla con diverse ampiezze

Alcuni allievi hanno misurato il periodo di oscillazione di un pendolo con

lunghezza e massa fissate, variando soltanto l’ampiezza iniziale

dell’oscillazione.

c) Misura del periodo del pendolo con diversa lunghezza

Alcuni allievi hanno misurato il periodo di oscillazione di un pendolo con un

filo di lunghezza diversa rispetto ai precedenti.

Prima di passare da una fase all’altra ho chiesto ai bambini di formulare

alcune ipotesi. All’inizio ho chiesto:

V. : Da cosa dipende secondo voi il tempo d’oscillazione di un pendolo?

Bambini (tutti in coro) : Dalla pallina!!!

Secondo le ipotesi formulate dai bambini le “palline” di dimensioni maggiori

o più pesanti avrebbero dovuto imprimere all’oscillazione una durata

maggiore.

Oltre ad effettuare tutte le misure, gli alunni hanno voluto provare a far

partire contemporaneamente due pendoli con massa oscillante diversa.

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90

Dopo che i bambini avevano effettuato varie prove, con sfere di diverso

materiale e dimensioni, abbiamo riflettuto sui risultati ottenuti.

I bambini hanno osservato che i tempi erano tutti più o meno uguali; ho

riproposto allora la domanda.

V. : Se il tempo d’oscillazione non dipende dalla “pallina”, come avete detto

voi, da cosa potrebbe dipendere?

Leonardo: Dalla forza che si dà alla pallina!!”

Questa affermazione ha introdotto la verifica della seconda fase: misurare

l’oscillazione di un pendolo variando soltanto l’ampiezza iniziale

dell’oscillazione.

Il risultato di questa esperienza ha lasciato tutta la classe molto sorpresa e

quasi incredula. I risultati empirici erano in contrasto con il loro intuito.

Così ho spiegato che cambiando l’angolo d’oscillazione, per esempio facendo

partire l’oscillazione da un punto più alto, la sferetta certamente acquista

una velocità maggiore ma è più grande anche lo spazio che deve percorrere.

A questo punto pongo altre domande alla classe e interviene un bambino:

V. : Se la durata di un’oscillazione non dipende né dalla sferetta appesa al filo

né dall’ampiezza dell’angolo da cui parte l’oscillazione, da che cosa può

dipendere?

Leonardo: Dal filo!

V. : Sì, o meglio…….

Tommaso: Dalla lunghezza del filo!!!

A questo punto i bambini hanno verificato empiricamente l’ipotesi

formulata, misurando le dieci oscillazioni del pendolo con una sferetta di

piombo uguale alla precedente ma con una lunghezza del filo maggiore.

Dopo aver eseguito le misurazioni, i bambini hanno osservato che il tempo

del periodo del pendolo adesso era aumentato.

Una volta capito che la durata dell’oscillazione dipende unicamente dalla

lunghezza del filo, ho chiesto alla classe:

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V. : Se raddoppio la lunghezza del filo che cosa succede al tempo

d’oscillazione?

Tutti: Raddoppia!

Abbiamo allora provato a misurare il tempo d’oscillazione di un pendolo con

un filo lungo il doppio di quello usato precedentemente. Una volta raccolti

tutti i dati i bambini hanno notato che il periodo era aumentato ma non

raddoppiato.

Quindi ho spiegato ai bambini il funzionamento dell’orologio a pendolo.

Prima di iniziare l’esperienza i bambini non conoscevano il funzionamento

di un pendolo e non riuscivano a capire come questo strumento potesse

servire a misurare il tempo.

Così ho spiegato che l’orologio a pendolo è costruito in modo che

un’oscillazione abbia la durata di un secondo.

Ho quindi costruito un pendolo semplice con una lunghezza tale da battere il

secondo, ed ho mostrato ai bambini come sia facile costruire un “orologio a

pendolo semplice”. E’ stato doveroso precisare che l’orologio a pendolo è

costruito in modo che il pendolo mantenga la sua oscillazione molto a lungo,

grazie ad un meccanismo che gli fornisce una piccola spinta, mentre il

pendolo semplice finisce col fermarsi presto a causa dell’attrito dell’aria.

Prima di iniziare a raccogliere le misure in una tabella, è stato necessario far

eseguire ai bambini un po’ di prove, visto che le misure risultavano molto

diverse tra loro, anche di qualche secondo.

Non tutti i bambini hanno subito capito come eseguire una misurazione

corretta, ovvero come si contano dieci oscillazioni complete.

In particolare ho dovuto spiegare più volte la procedura soprattutto per i

primi alunni che si accingevano a misurare; una volta ripetuto il

procedimento varie volte non è stato più necessario rispiegarlo.

Ho chiesto loro di concentrarsi e impegnarsi il più possibile e alla fine

abbiamo ottenuto dei risultati abbastanza soddisfacenti.

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Figura 21 Un’alunna durante la misurazione

Per raccogliere e confrontare i dati ottenuti è stata costruita una tabella con

tutte le misure effettuate dai bambini per ciascun tipo di pendolo. La tabella

10 permette di confrontare il valore medio della singola oscillazione dei

pendoli con il filo più corto e quello del pendolo con il filo più lungo.

Come si può notare il valore medio di una singola oscillazione dei primi

quattro pendoli risulta uguale, dimostrando che l’esperimento sulla legge

dell’isocronismo è riuscito.49

Osservando la tabella con le misure, i bambini hanno notato che i tempi

misurati per uno stesso pendolo erano più o meno uguali nelle cifre che

esprimevano i secondi ma non per quanto riguardava i decimi e i centesimi

di secondo. Ogni misura differiva non solo da bambino a bambino ma anche

all’interno delle quattro misure effettuate da ciascun allievo.

I bambini hanno inoltre constatato che, nonostante il filo del pendolo 5 fosse

molto più lungo del filo del pendolo 1, la differenza dei tempi si riduceva a

pochi secondi di scarto. 49 Se assumiamo che l’incertezza delle singole misure (corrispondente al tempo di reazione umano) sia dell’ordine di 0,1 secondi, i valori del periodo (ottenuti dividendo per 10 i tempi misurati) sono affetti da un’incertezza dell’ordine di 0,01 s. Per questo li ho scritti con due cifre dopo la virgola. Entro questo margine di errore, le medie dei primi quattro periodi risultano uguali.

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Tabella 10 Raccolta delle misure ottenute

Pendolo 1 Filo corto Sfera di piombo

Pendolo 2 Filo corto

Sfera di legno

Pendolo 3 Filo corto Sfera di

piombo piccola

Pendolo 4 Filo corto

Sfera di legno grande

Pendolo 5 Filo lungo Sfera di piombo

16.00 s 15.92 s 15.90 s 16.00 s 19.06 s

15.98 s 16.03 s 16.03 s 16.03 s 19.03 s

16.03 s 16.00 s 15.97 s 15.98 s 19.03 s 16.03 s 15.88 s 16.00 s 15.95 s 19.00 s

15.79 s 15.67 s 15.85 s 15.66 s 18.97 s

15.68 s 15.74 s 15.73 s 15.72 s 18.95 s

15.74 s 15.88 s 15.80 s 15.88 s 19.00 s 15.83 s 15.70 s 15.68 s 15.77 s 19.03 s

15.60 s 15.78 s 15.81 s 15.77 s 18.90 s

15.79 s 15.65 s 15.87 s 15.80 s 19.00 s 15.80 s 15.65 s 15.87 s 15.91 s 18.92 s

15. 72 s 15.70 s 15.78 s 15.78 s 18.82 s

15.75 s 15.90 s 15.74 s 15.73 s 19.00 s 15.64 s 15.82 s 15.85 s 15.79 s 19.03 s

15.70 s 15.81 s 15.79 s 15.82 s 18.88 s

15.82 s 15.82 s 15.74 s 15.80 s 18.85 s

15.63 s 15.78 s 15.79 s 15.78 s 18.88 s

15.75 s 15.80 s 15.88 s 15.82 s 19.00 s

15.82 s 15.74 s 15.82 s 15.90 s 18.89 s

15.70 s 15.92 s 15. 85 s 15.82 s 18.78 s

15.68 s 15.75 s 15.69 s 15.80 s 18.86 s

15.70 s 15.78 s 15.78 s 15.79 s 18.92 s

15.82 s 15.78 s 15.77 s 15.77 s 18.88 s

15.74 s 15.80 s 15.67 s 15.82 s 19.00 s

15.75 s 15.79 s 15.80 s 15.75 s 19.03 s

15.83 s 15.79 s 15.82 s 15.80 s 18.93 s

15.74 s 15.80 s 15.74 s 15.78 s 18.85 s

15.69 s 15.87 s 15.80 s 15.69 s 18.90 s

15.80 s 15.82 s 15.75 s 15.80 s 18.89 s

15.78 s 15.80 s 15.80 s 15.79 s 19.00 s

15.72 s 15.89 s 15.80 s 15.74 s 18.88 s

15.82 s 15.78 s 15.76 s 15.69 s 18.80 s

15.85 s 15.79 s 15.74 s 15.71 s 19.02 s

15.80 s 15.69 s 15.80 s 15.83 s 18.79 s

15.74 s 15.81 s 15.78 s 15.83 s 18.88 s

15.80 s 15.70 s 15.83 s 15.75 s 18.89 s

15.75 s 15.82 s 15.80 s 15.69 s 19.00 s

15.81 s 15.76 s 15.80 s 15.75 s 18.87 s

15.68 s 15.75 s 15.79 s 15.80 s 18.90 s

15.70 s 15.79 s 15.73 s 15.78 s 19.01 s

Valore medio 15.78 s 15.80 s 15.81 s 15.80 s 18.93 s

Valore medio di una singola

oscillazione 1.58 s 1.58 s 1.58 s 1.58 s 1.89 s

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Utilizzando uno strumento abbastanza sensibile come il cronometro ho

quindi potuto introdurre il concetto di errore di misura.

Da quanto è emerso dai questionari iniziali, per la maggior parte dei bambini

la misura era un qualcosa di certo e determinato che non contiene al suo

interno nessun errore possibile.

Osservando i dati raccolti, però, i bambini hanno osservato subito che non

era possibile dare una “misura precisa e perfettamente esatta”.

Infatti, nonostante l’impegno e la concentrazione impiegata nel misurare,

nessuno riusciva ad ottenere una serie di misure perfettamente identiche.

Questo fatto dimostra che quando misuriamo commettiamo sempre “un

errore” che può dipendere dallo strumento usato e dall’osservatore.

I bambini hanno intuito che misurare con il cronometro richiede una certa

capacità di riflessi, che può variare da persona a persona, ma anche dalla

propria concentrazione.

3.3.4 La misura di massa e la densità

IV incontro: 4 dicembre 2012

Obiettivi specifici:

Comprendere la differenza tra massa e peso

Misurare la massa di alcuni oggetti con unità di misura non

convenzionali e convenzionali

Comprendere il concetto di densità di una sostanza

Calcolare il volume di oggetti non regolari

Determinare la densità di alcuni oggetti

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Descrizione attività:

Il quarto incontro è iniziato con la spiegazione dei concetti di massa e di

peso che, come è emerso dai questionari, erano due concetti di cui i bambini

non conoscevano quasi niente.

Ho iniziato la lezione spiegando che le parole massa e peso sono spesso

utilizzate nel linguaggio comune in modo sbagliato, come sinonimi. In realtà

si tratta di due diversi concetti. La massa indica la quantità di materia che

compone un corpo indipendentemente dal luogo in cui si trova. Ho portato

come esempio il fatto che se potessimo andare sulla Luna, avremmo lì la

stessa massa che abbiamo sulla Terra. Per far capire meglio questo concetto

ai bambini ho spiegato che, andando sulla Luna, avremmo anche lì una testa,

due braccia, due gambe. Ho introdotto poi il concetto di peso, spiegando che

esso invece misura la forza con cui un corpo viene attratto dalla Terra. Ho

spiegato che, a differenza della massa, il peso può variare a seconda del

luogo in cui si trova il corpo. Ho portato come primo esempio il fatto che il

nostro peso sulla Terra è diverso da quello che avremmo sulla Luna a causa

della gravità terrestre. Per far riflettere i bambini ho cercato un altro

esempio più vicino al loro mondo e alla loro esperienza. Li ho fatti riflettere

sul fatto che quando siamo in acqua abbiamo una situazione simile: la nostra

massa rimane la stessa, noi rimaniamo gli stessi ma siamo più leggeri, a

causa della spinta che riceviamo dall’acqua. Quindi la massa non cambia mai,

ma il peso sì perché dipende da dove ci troviamo. Per mostrare ai bambini

l’esistenza dell’attrazione terrestre ho lasciato cadere un libro ed ho

spiegato che esso cade perché è attratto verso il centro della Terra.

Infine ho chiarito che i due concetti vengono spesso confusi perché sono

molto legati tra loro, infatti sulla Terra il peso dipende dalla gravità, alla

quale un corpo è soggetto, ma anche dalla massa dell’oggetto.

Successivamente ho mostrato ai bambini la bilancia ed ho spiegato che serve

per misurare la massa di un corpo. La bilancia a piatti è uno strumento che ci

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permette di mettere a confronto due oggetti e di stabilire quali dei due sia

più pesante. A questo punto ho chiesto ai bambini se utilizzando la

bilancia a piatti è possibile dire di quanto un oggetto è più pesante di un

altro.

Figura 22 Bilancia a piatti con una pietra e i bottoncini di vetro usati come contrappeso

Dal silenzio della classe, ho capito che non erano abituati ad usare questo

tipo di bilancia, mentre avevano più familiarità con la bilancia da cucina. Ho

quindi proposto di provare a misurare la massa di alcune pietre, utilizzando

come contrappeso alcuni bottoncini di vetro tutti uguali.

Dopo la mia proposta i bambini hanno capito subito che questa soluzione

consentiva di vedere di quanti bottoncini, o meglio unità, un oggetto

differiva dagli altri. Ho ricordato ai bambini che misurare significa

confrontare, e la bilancia a piatti è adattissima a mostrare questo concetto,

in quanto richiede di confrontare i due piatti.

Ho spiegato alla classe che la misurazione della massa di un oggetto consiste

nel mettere in un piatto l’oggetto da misurare e nell’altro tante unità quante

sono necessarie affinché i due piatti siano in equilibrio.

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Durante le misurazioni i bambini si sono accorti che utilizzando questa unità

di misura è possibile stabilire quanto un oggetto è più pesante di un altro ma

ciò comporta alcuni problemi.

In qualche caso infatti, i bambini hanno notato che non era possibile

ottenere l’equilibrio perfetto dei piatti, perché un bottoncino in più risultava

troppo ed uno in meno poco.

Le misure ottenute quindi non erano misure precise.

Questo “sistema di misura” non è stato ritenuto né valido né universale.

A questo punto sono stati i bambini stessi ad esprimere la necessità di

utilizzare un’ unità di misura convenzionale.

Così abbiamo ripetuto tutte le pesate utilizzando i campioni di massa.

I campioni di massa utilizzati erano così suddivisi: 500 g, 200 g, 100g, 50 g,

20 g, 10 g, 5g, 1 g.

Durante l’uso della bilancia, osservando che alcuni bambini non si

posizionavano correttamente, ho approfittato dell’occasione per far notare

loro che anche in questo caso l’osservatore che compie la misura può

commettere un errore, come quello di posizionarsi non perfettamente

davanti all’ago della bilancia ma un po’ di lato.

Figura 23 Misurazione di una pietra con i “campioni di massa”

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Una volta misurate tutte le masse degli oggetti, e raccolti tutti i dati in una

tabella, siamo passati allo svolgimento della seconda fase dell’incontro.

Ho iniziato ricordando ai bambini la domanda del questionario iniziale: “in

una bilancia a bracci in un piatto c’è una certa quantità di legno e nell’altro c’è

del ferro. Quale peserà di più?”

Ho informato la classe che alcuni di loro avevano risposto che pesava di più

“quello con il ferro”. Ho allora chiarito che il ferro a parità di volume col

legno pesa più del legno ma la domanda non riportava la quantità dei

materiali.

Abbiamo poi riflettuto insieme sul fatto che se pensiamo al ferro, lo

pensiamo come un qualcosa di più pesante rispetto al legno, poiché una

pallina di ferro e una pallina di legno, che hanno le stesse dimensioni hanno

un peso molto diverso. Se le palline sono uguali ma con peso diverso

significa che deve esserci qualcosa che le differenzia. Senza dubbio quella

più pesante è di ferro. Questo dipende da una caratteristica specifica della

sostanza che non dipende dalla sua quantità ed è chiamata densità.

I bambini non avevano ancora affrontato il volume dei solidi regolari a

geometria, così ho chiarito che il volume è quella proprietà che misura la

porzione di spazio occupato da un corpo.

Ho chiesto ai bambini di calcolare la densità

di alcuni oggetti, attraverso il rapporto tra

massa e volume di quest’ultimi.

Ho mostrato agli alunni alcune pietre e ho

spiegato che, poiché hanno una forma

irregolare, non si riesce a stabilire quale tra

le pietre abbia un volume maggiore. Per

determinare il volume di oggetti irregolari, si

ricorre alla misura del liquido che l’oggetto Figura 24 Disegno del vaso del “troppo pieno”

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sposta immergendolo in un recipiente. A questo scopo ho mostrato ai

bambini il vaso del “troppo pieno”(fig. 24) che avremmo utilizzato. Questo

particolare recipiente ha un’apertura che consente la fuoriuscita del liquido

una volta superato il limite. Per misurare il volume di un oggetto basta

quindi riempire il vaso d’acqua fino al limite, immergere l’oggetto e misurare

con un cilindro graduato in ml il volume d’acqua fuoriuscito. La misura

ottenuta è il volume dell’oggetto in questione.

Ho ritenuto opportuno precisare che questo è solo uno dei modi utilizzati

per determinare il volume. Ho chiarito che 1 ml è la millesima parte del litro,

unità di misura nel Sistema Internazionale e che utilizzeremo il ml come

unità di misura del volume nei nostri calcoli.

Per l’occasione ho scelto alcune pietre di tipo diverso tra cui alcune con

massa uguale e una barretta di ferro.

Figura 25 Il ferro e le pietre utilizzate

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Prima di iniziare ho chiesto ai bambini quale degli oggetti proposti avesse

secondo loro una densità maggiore. Tutti sono stati concordi nel rispondere

“quello che ha una massa maggiore”.

Una volta terminate le misurazioni del volume, abbiamo completato la

tabella (tabella 12) ed abbiamo calcolato la densità, utilizzando la formula:

Dopo aver compilato la tabella, ho chiesto ai bambini di osservare i risultati

ottenuti.

I bambini hanno osservato che il sasso con massa minore rispetto a tutti gli

altri non ha la densità più bassa.

Hanno riflettuto poi sul fatto che oggetti di uguale massa non hanno uguale

densità e che “il sasso bianco con massa di 180 g ha una densità più piccola di

quelli con massa 100 g”.

Chiedo allora agli alunni di riflettere anche sui volumi. Viene osservato che il

ferro ha una massa maggiore rispetto a tutti gli altri oggetti, così come la

maggiore è la densità, ma ciò non vale per il volume.

A questo punto chiedo alla classe cosa accadrebbe se tagliassi uno dei sassi o

la barretta di ferro a metà.

I bambini rispondono che la massa dimezzerebbe. “ E la densità?” domando,

molti bambini rispondono in coro : “dimezza!”.

Ricordo allora alla classe che la densità è una

caratteristica specifica della sostanza che non

dipende dalla quantità. Gli alunni hanno riflettuto

allora sul fatto che un piccolo pezzetto di ferro ha

la stessa densità di un pezzetto di ferro più grande,

perché è comunque sempre ferro. Per dare una

prova empirica a queste riflessioni, hanno provato a misurare la

densità di pezzetto più piccolo di ferro (Figura 26).

Figura 26 Pezzo di ferro più piccolo

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A questo punto ho ritenuto utile verificare la comprensione di questo

concetto provando anche a calcolare la densità dimezzando sia la massa che

il volume. Eseguendo queste prove i bambini hanno capito che la densità

rimane la stessa, perché si tratta di un rapporto e quindi dividendo o

moltiplicando per uno stesso numero sia la massa che il volume il risultato

non cambia.

Osservando l’unità di misura, i bambini hanno chiesto il motivo per cui la

densità “non possieda una unità di misura sua” ma il rapporto dell’unità di

misura della massa e del volume.

Si è reso necessario spiegare quindi che la lunghezza, il tempo e la massa

sono grandezze dette “fondamentali” e che su di esse si possono eseguire

misure dirette.

La densità invece è una grandezza “derivata”, si ottiene cioè attraverso altre

grandezze e non si misura direttamente.

Per concludere l’esperienza sulla densità, ho mostrato ai bambini due

bottigliette da 500 ml, una riempita d’ olio e l’altra d’acqua.

Ho chiesto quale pesasse di più, e quasi tutti hanno risposto “pesano uguale”,

mentre solo alcuni “pesa di più l’acqua perché l’olio pesa meno”.

Dopo aver eseguito questa dimostrazione sulla bilancia a due piatti, dove si

vedeva molto bene che l’olio era più leggero, ho versato alcune gocce d’olio

in un contenitore pieno d’acqua.

Osservandolo i bambini hanno affermato che l’olio galleggia perché è più

leggero dell’acqua, ed allora io ho spiegato che l’olio ha una densità minore

rispetto all’acqua: per questo motivo galleggia e per questo motivo a parità

di volume, come nel caso delle bottigliette, quella piena d’olio è più leggera.

Terminate tutte le esperienze i bambini hanno concluso che la massa degli

oggetti non dipende unicamente dalle loro dimensioni, e la densità non

dipende dalla quantità.

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Al termine della lezione, in vista dell’incontro successivo e della verifica

finale, ho ritenuto utile riassumere i principali concetti trattati in ogni

incontro.

In particolare ho posto ai bambini alcune domande e ho chiesto loro di

rispiegare i concetti trattati precedentemente .

Figura 27 Bambini mentre misurano la massa di un sasso utilizzando i bottoncini di vetro

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Figura 28 Alcuni alunni mentre misurano la massa degli oggetti utilizzando i “campioni di massa”

Riporto qui di seguito le tabelle con tutte le misurazioni fatte dai bambini.

Nella Tabella 11 sono riportate le misure dei vari sassi utilizzando come

unità di misura i bottoncini di vetro.

Tabella 11

OGGETTO NUMERO BOTTONCINI DI VETRO

Sasso piatto 21

Sasso bianco e rosa 21

Sasso bianco fra 37 e 38

Lava vulcanica 21

Sasso piccolo fra 14 e 15

Ferro fra 31 e 32

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Nella Tabella 12, invece, sono riportate la misura della massa, ottenuta

utilizzando la bilancia con i “campioni di massa”, il volume misurato con il

vaso del “troppo pieno” e la densità, risultato del rapporto tra massa e

volume.

OGGETTO MASSA VOLUME DENSITA’

Sasso piatto 100 g 42 ml 2.38 g/ml

Sasso bianco e

rosa 100 g 45 ml 2.22 g/ml

Sasso bianco 180 g 76 ml 2.37 g/ml

Lava vulcanica 100 g 51 ml 1.96 g/ml

Sasso piccolo 70 g 23 ml 3.04 g/ml

Ferro 150 g 18 ml 8.33 g/ml

Ferro grande 550 g 66 ml 8.33 g/ml

Tabella 12

Figura 29 Alunno durante la misura del volume Figura 30 Un’altra alunna compie la stessa operazione

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Figura 32 Recipiente con acqua ed olio

Figura 31 Confronto tra la bottiglietta d’acqua e quella d’olio

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3.4 IL QUESTIONARIO DI VERIFICA

3.4.1 La stesura del questionario

Una volta effettuati gli incontri in classe previsti dal progetto, ho ritenuto

utile sia per loro, sia per me, elaborare un questionario finale che

riassumesse tutte le conoscenze fondamentali che i bambini avrebbero

dovuto acquisire durante il percorso svolto.

La valutazione finale è la parte più importante di qualsiasi progetto, poiché

permette di verificarne il successo o l’insuccesso.

Ho quindi proposto alcuni quesiti inerenti alle esperienze fatte in classe,

alcuni volutamente simili a quelli del questionario iniziale.

Ho ritenuto importante inserire anche una domanda che chiedesse ai

bambini di esprimere la loro opinione sulle esperienze svolte, per sapere in

che modo avevano affrontato gli incontri, se erano stati apprezzati e se

erano stati utili.

Per rendere la verifica più interessante e attraente per i bambini, ho pensato

di elaborare un cruciverba, inserendo tutte le parole-chiave incontrate nel

percorso.

Per realizzarlo ho scelto le parole da inserire ed ho iniziato a fare alcune

prove per incrociarle. Scelta la soluzione migliore, ho ideato le

corrispondenti definizioni.

Il cruciverba può divenire un importante sussidio didattico per la

valutazione e l’apprendimento di molte discipline, compresa la fisica.

Questa tecnica, che può essere definita “dell’imparare giocando”, consiste

nel proporre un gioco enigmistico, che stimola gli allievi a trovare parole e

concetti ricercandoli nel bagaglio di conoscenze possedute.

Perciò gli allievi vengono chiamati a fare uno sforzo di memoria, un’attenta

riflessione sulle conoscenze e competenze riguardanti il tema scelto.

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L’insegnante, a sua volta, avrà a disposizione un utile strumento per la

valutazione.

3.4.2 I risultati del questionario Il questionario finale ha rilevato che tutta classe ha seguito con attenzione

più o meno costante il lavoro svolto. Attraverso i dieci quesiti sono state

messe in evidenza le conoscenze di ognuno (il questionario è riportato fra gli

allegati posti in fondo al volume, pag.119).

In particolare dalla prima domanda è emerso che tutti all’interno della

classe, sulla base delle esperienze svolte, sono riusciti a superare la

concezione per cui misurare significhi calcolare qualcosa. Al di là della

completezza della definizione che ciascuno ha fornito, tutti gli alunni hanno

comunque riconosciuto che il procedimento della misurazione consista nel

fare un confronto.

A tale proposito ritengo interessante mostrare una risposta di un alunno,

che è stata certamente la più precisa e completa rispetto al lavoro svolto.

Esempio 11

Alla seconda e alla terza domanda, riportate di seguito, hanno risposto

correttamente quasi tutti i bambini salvo qualche errore.

2) Portata, sensibilità, prontezza e precisione sono caratteristiche degli………………………. ………………………………………………………………………………………………………………………………………

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108

3)

Anche la quarta domanda ha avuto la quasi totalità di risposte corrette, fatta

eccezione di due alunni, tra l’altro assenti all’incontro precedente in cui è

stato svolto il ripasso dei concetti principali.

4) L’orologio a pendolo è costruito in modo che una oscillazione abbia la durata

di........................................................................................................................... .............

La quinta domanda ha avuto anch’essa quasi la totalità di risposte corrette

eccetto quelle date da quattro alunni.

5) Il tempo di durata di un’oscillazione del pendolo dipende soltanto

dalla……………………………………………………………………………………………………………………………

Per i risultati della sesta domanda invece ho elaborato invece un grafico

delle risposte.

Grandezza Unità di misura

Lunghezza

Tempo

Massa

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Figura 33

Affermazione 1: La densità è una caratteristica specifica della sostanza e non dipende dalla sua quantità.

Affermazione 2: Se due oggetti hanno la stessa massa, allora hanno anche le stesse dimensioni.

Affermazione 3: Le misure non sono mai completamente esatte perché dipendono dagli strumenti utilizzati e da

chi misura.

Affermazione 4: A seconda dell’unità di misura scelta si possono avere misure diverse. Per questo occorre un

sistema di misura universale.

Affermazione 5: La massa di un oggetto non varia mai.

La domanda n. 7 si è rivelata utile, per comprendere se i bambini avevano

capito come è fatto un pendolo e se erano in grado di riprodurlo.

In alcuni casi questo disegno ha fatto trapelare anche qualche informazione

in più, come nella figura 34.

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110

Figura 34

L’ottava domanda, riportata di seguito, è stata intuita da 16 bambini su 20.

8) Alcuni bambini hanno misurato la parete di una stanza a spanne. Le misure riportate

sono le seguenti:

MISURA 1: 35 spanne

MISURA 2: 37 spanne

MISURA 3: 90 spanne

MISURA 4: 36 spanne

MISURA 5: 34 spanne

MISURA 6: 35 spanne

MISURA 7: 20 spanne

Elimina quelle che ritieni sbagliate motivando la tua scelta.

………………………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………………………

Infine l’opinione sugli esperimenti svolti è stata in generale molto positiva.

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I bambini hanno apprezzato molto le attività fatte in classe, che sono state

definite da molti “divertenti e non noiose come sono invece le lezioni di solito a

scuola”.

Gli esperimenti sono stati valutati dai bambini utili e di facile comprensione.

Qualche alunno ha espresso anche la volontà di voler proseguire con questo

tipo di attività, come riporto negli esempi seguenti:

Esempio 12

Esempio 13

L’ultimo quesito prevedeva la risoluzione del cruciverba da me elaborato.

Il cruciverba è stato completato totalmente da 17 alunni su 20 (era infatti

assente 1 alunno), i restanti 3 hanno completato il cruciverba parzialmente

lasciando in bianco dalle 2 alle 3 definizioni. Questa modalità di quesito ha

riscontrato un grande successo tra i bambini.

Attribuendo ad ogni domanda un certo punteggio, ho poi assegnato ad ogni

verifica una valutazione su scala decimale, in modo da far capire ai bambini

abituati a questo tipo di valutazione, quali fossero i risultati ottenuti.

Elaborare una scala di valutazione mi ha permesso poi di capire il successo

del progetto.

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112

Nel grafico seguente ho riportato la votazione in decimi conseguita dagli

alunni:

Figura 35

Nessun alunno ha ottenuto un voto inferiore al 7 e la maggioranza dei

bambini ha ottenuto il massimo. La media aritmetica è quasi 9, quindi molto

vicina alla votazione massima.

Da questi risultati possiamo quindi concludere che gli obiettivi prefissati

sono stati raggiunti da tutti gli alunni, con molte punte d’eccellenza.

In conclusione i risultati di questo progetto sono stati molto positivi ed al di

sopra delle mie iniziali prospettive e posso perciò ritenermi soddisfatta di

come ho lavorato con la classe.

La constatazione del successo del progetto passa anche attraverso la

valutazione della distribuzione delle risposte: corrette, errate o incomplete.

Nel conteggio è stata esclusa la domanda n.9 perché richiedeva di esprimere

un giudizio, e non era quindi destinata alla valutazione.

I bambini hanno risposto bene a quasi tutti i quesiti e non ci sono state

particolari difficoltà nel rispondere alle domande.

15%

25%

25%

35%

n. alunni per voto in %

7

8

9

10

Voti

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113

Nel seguente grafico sono riportati in percentuale il numero delle risposte

corrette, delle risposte errate e delle risposte incomplete o parzialmente

corrette.

Figura 36

3.5 CONCLUSIONI La proposta didattica è stata stilata, considerando non solo la componente

dell’insegnamento, ma anche quella dell’interesse e del divertimento da

parte dei bambini.

Le esperienze sono state ben accolte dagli studenti, soprattutto perché

uscivano da quella routine quotidiana che a volte caratterizza la scuola.

Le esperienze che hanno suscitato più interesse sono state quelle sulla

misura del tempo e sulla densità.

Il lavoro è stato soddisfacente poiché alla fine del percorso la maggioranza

della classe possiede una buona comprensione dei concetti chiave: gli alunni

hanno quindi raggiunto gli obiettivi che mi ero proposta nell’ambito dei

contenuti.

Lavorare con i bambini è un’esperienza unica e imprevedibile, apre la nostra

mente e ci costringe ad uscire da quegli schemi rigidi che talvolta limitano la

nostra immaginazione.

92,7%

2,7% 4,7%

Totale delle risposte in %

Risposte corrette

Risposte parzialmentecorrette

Risposte errate

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114

La parte che ha richiesto più impegno da parte mia è stata certamente la

progettazione dei modi con cui presentare questi argomenti in classe, vista

anche la mia poca esperienza nel lavorare insieme ai bambini.

Ho ritenuto giusto coinvolgere il più possibile tutti gli alunni e lasciare che

fossero loro a fare le previsioni e a verificare le loro ipotesi.

Ho cercato di creare un ambiente adatto all’apprendimento attraverso la

formulazione di domande e commenti; ho cercato il più possibile di

incoraggiare gli alunni a porre domande e condividere con la classe dubbi e

riflessioni.

Lavorando con i bambini mi sono convinta sempre più che non esistono

contenuti che non possono essere loro proposti: bisogna soltanto scegliere

la forma e i modi giusti.

Il punto di forza che caratterizza questa proposta didattica è l’aver fatto

svolgere ai bambini delle semplici attività che racchiudevano in sé concetti

molto complessi, come quello di errore di misura, di densità ed anche di

massa e peso. Il progetto ha chiamato in causa concetti complessi, non

sempre di facile intuizione, ma gli esperimenti proposti sono stati di

semplice comprensione e attuazione, permettendo così l’apprendimento dei

concetti più difficili.

Inoltre i bambini, essendo poco abituati all’approccio sperimentale nelle

discipline scientifiche, hanno accolto con entusiasmo questo metodo

d’insegnamento.

Ho potuto osservare che gli alunni, dopo ogni incontro, aspettavano con

ansia quello successivo, vivendo queste esperienze come qualcosa di nuovo

o come se si trattasse di momenti di svago e di gioco e non di lezioni

didattiche. Questo aspetto ha contribuito alla riuscita del progetto e ad

accrescere la mia soddisfazione personale.

Al di là del successo riscontrato dal progetto, questa esperienza è stata un

importante contributo alla mia formazione personale e professionale.

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Allegati

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116

QUESTIONARIO 1) Secondo te misurare significa:

Confrontare

Avvicinare

Calcolare

Scegliere

2) Indica con una X ciò che si può misurare in modo “scientifico”:

Tutto

Una stanza

Un sentimento

La durata di un film

L’amicizia

L’altezza di una persona

La temperatura del corpo

Sapresti spiegare perché le risposte che hai scelto sono quantità misurabili e le altre

no?

………………………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………………………………..

3) Conosci una unità di misura della lunghezza? Quale?

………………………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………………………

4) Indica con una X se le seguenti affermazioni sono vere oppure false

V F

La misura del tempo si basa sull’anno solare.

L’unità di misura del tempo è il secondo.

Le misure non sono mai completamente esatte perché dipendono dagli strumenti utilizzati e da chi misura.

A seconda dell’unità di misura scelta si possono avere misure diverse. Per questo occorre un sistema di misura universale.

Il passo è un’unità di misura per lunghezze.

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117

5) Hai mai sentito parlare di massa? Sai che cos è? Prova a spiegarlo.

………………………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………………………………..

6) Sapresti dire che cos è invece il peso?

………………………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………………………………..

7) Sopra ad uno dei due piatti di una bilancia c’è una certa quantità di ferro mentre

sopra l’altro piatto c’è del legno. Quale dei due piatti peserà di più?

Quello con il ferro

Quello con il legno

Occorre sapere la quantità di ciascuno dei due materiali

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118

8) Un righello è stato appoggiato su un piccolo disco bianco (vedi figura). Qual è la

dimensione del disco?

Il disco misura……………………………………………………………………………………………………………

9) Unisci con una freccia gli strumenti alle rispettive grandezze.

Pendolo

Cronometro

TEMPO

Metro

Bilancia

LUNGHEZZA

Dinamometro

Clessidra

MASSA

Contakilometri

10) Secondo te, che cosa significa misurare?

………………………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………………………………..

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119

VERIFICA

Completa

1) Misurare significa................................................................................. ..........................

………………………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………………………

2) Portata, sensibilità, prontezza e precisione sono caratteristiche degli………………………. ………………………………………………………………………………………………………………………………………

3)

4) L’orologio a pendolo è costruito in modo che una oscillazione abbia la durata

di........................................................................................................................... .............

5) Il tempo di durata di un’oscillazione del pendolo dipende soltanto

dalla……………………………………………………………………………………………………………………………

6) Indica con una X se le seguenti affermazioni sono vere oppure false.

V F

La densità è una caratteristica specifica della sostanza e non dipende dalla sua quantità

Se due oggetti hanno la stessa massa, allora hanno anche le stesse dimensioni

Le misure non sono mai completamente esatte perché dipendono dagli strumenti utilizzati e da chi misura.

A seconda dell’unità di misura scelta si possono avere misure diverse. Per questo occorre un sistema di misura universale.

La massa di un oggetto non varia mai

Grandezza Unità di misura

Lunghezza

Tempo

Massa

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120

7) Disegna un pendolo

8) Alcuni bambini hanno misurato la parete di una stanza a spanne. Le misure riportate

sono le seguenti:

MISURA 1: 35 spanne

MISURA 2: 37 spanne

MISURA 3: 90 spanne

MISURA 4: 36 spanne

MISURA 5: 34 spanne

MISURA 6: 35 spanne

MISURA 7: 20 spanne

Elimina quelle che ritieni sbagliate motivando la tua scelta.

………………………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………………………………..

9) Esprimi la tua opinione sulle esperienze fatte in classe

………………………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………………………

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10) Completa il cruciverba ORIZZONTALI

1 E’ l’unità di misura del tempo 3 E’ il risultato del procedimento di misurazione 5 Può essere espressa in km ,hm, dam, m, dm, cm ,mm 7 Esprime il valore della misura e precede il simbolo dell’unità di misura 8 Serve per misurare il tempo. Molti di noi lo portano al polso

9 Può essere misurato con il cronometro

11 Si può costruire legando un peso in fondo ad un filo

12 Lo commettiamo misurando e può dipendere sia dallo strumento che dall’osservatore

13 E’ l’unità di misura della massa

15 E’ l’unità di misura della lunghezza

16 Misura il tempo ed è formata da 60 minuti

VERTICALI

2 Misurare significa……

3 E’ formato da 60 secondi

4 E’ la parte del corpo che si utilizza per misurare a spanne

6 E’ una caratteristica dello strumento di misura

10 Indica il valore massimo che lo strumento può dare

11 Nel linguaggio comune viene spesso confuso con il concetto di massa

14 E’ la quantità di materia che compone un corpo

1

S 2

C

3

M 4

M 5

L

6

S 7

N

8

O

9

T 10

P

11

P

12

E

13

K 14

M

15

M

16

O

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122

Cruciverba risolto da un alunno

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