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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI Facoltà di scienze Corso di Laurea in Fisica Perovskiti miste organiche-inorganiche Relatore: Prof. Michele Saba Correlatore: Dr. Daniela Marongiu Tesi di laurea di Riccardo Pau Matricola n. 60/60/47938

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI

Facoltà di scienze

Corso di Laurea in Fisica

Perovskiti miste organiche-inorganiche

Relatore:

Prof. Michele Saba

Correlatore:

Dr. Daniela Marongiu

Tesi di laurea di

Riccardo Pau

Matricola n. 60/60/47938

Indice

1 Introduzione 1

2 Le perovskiti 2

2.1 Struttura chimica 2

2.2 Perovskiti organometalliche di alogeni 3

2.2.1 Applicazioni 4

2.2.2 Sintesi 5

3 Tecniche sperimentali 7

3.1 Spettroscopia di fotoluminescenza 7

3.2 Spettroscopia di assorbimento 8

3.3 Microscopia ottica a fluorescenza 10

4 Risultati sperimentali 11

4.1 Spettroscopia di fotoluminescenza 11

4.2 Spettroscopia di assorbimento 12

4.3 Osservazione con microscopio ottico a fluorescenza 14

5 Conclusioni 19

Appendice

A.1 Bande elettroniche nei solidi 20

A.2 Assorbimento e fotoluminescenza 21

Bibliografia 25

Ringraziamenti 26

1

1 | Introduzione

Recentemente i materiali a base di perovskiti organometalliche di alogeni sono diventati un

argomento di forte interesse nella ricerca scientifica in svariati settori. Le perovskiti hanno

trovato applicazioni in diversi campi, partendo dal fotovoltaico per arrivare ai più recenti

aspetti legati all’emissione luminosa.

Questa classe di materiali deve parte dell’interesse riscosso alla facile processabilità

mediante soluzione accompagnata da proprietà comparabili in efficienza ai migliori

materiali inorganici utilizzati nell’optoelettronica come l’arsenuro di gallio e il silicio. Nel

fotovoltaico, nell’arco di 3 anni, le efficienze sono aumentate da un valore iniziale del 3.8%

fino a oltre il 20% per lo ioduro metilammonio di piombo (MAPI), comunemente impiegato

come assorbitore di luce. Sono state già sviluppate le prime celle elettrochimiche ad

emissione di luce e i primi diodi emettitori di luce, con questi ultimi che mostrano delle

efficienze quantiche interne che superano il 15% e un ampio spettro di emissione

modificabile. Nonostante i vantaggi realizzativi, le perovskiti ad applicazione optoelettronica

presentano numerosi problemi che necessitano di essere superati prima che la tecnologia

possa diventare rilevante a livello industriale e possa essere considerata per applicazioni a

lungo termine. Tra i principali difetti vi sono sicuramente la sensibilità strutturale

all’umidità, le transizioni di fase della struttura nel regime di funzionamento del dispositivo

e la tossicità intrinseca del piombo.

Mentre si continuano a fare progressi nella stabilità e nell’efficienza delle prestazioni dei

dispositivi a base di perovskiti, si erge il problema di risolvere delle questioni fondamentali

sulla fisica e sulla stabilità di questi materiali. Il presente lavoro di tesi si inserisce in questo

ambito con il fine di comprendere alcuni aspetti fenomenologici sull’emissione e sulla

riproducibilità di perovskiti a film sottile realizzate mediante soluzione.

2

2 | Le perovskiti

La perovskite è un minerale di ossido di titanio e calcio scoperto nei monti Urali da Gustav

Rose, la cui formula chimica è CaTiO3. Il nome perovskite fu attribuito dal suo scopritore in

onore del mineralogista e nobiluomo russo Lev Perovski.

Attualmente con il termine perovskiti si fa riferimento a tutti quei materiali aventi la

medesima struttura cristallina del CaTiO3 (titanato di Calcio).

In natura sono presenti centinaia di materiali diversi che adottano questa struttura, ognuno

dei quali presenta differenti proprietà fisiche a seconda della loro composizione chimica.

Alcuni di essi presentano proprietà ferroelettriche, mentre altri proprietà piezoelettriche,

magnetiche o piroelettriche, oppure proprietà optoelettroniche e di superconduzione.

Questa moltitudine di proprietà ha rappresentato un incentivo per la ricerca scientifica sulle

perovskiti negli ultimi anni.

2.1 Struttura chimica

Le perovskiti sono descritte dalla formula chimica ABX3, dove X è un anione e A e B sono

cationi di dimensioni differenti. L’elemento B è un catione a piccolo raggio ed è posizionato

al centro di un ottaedro di cui gli anioni X occupano i vertici. Ciascun catione A possiede

invece un grande raggio e si colloca fra gli ottaedri, riequilibrando la carica della struttura

cristallina.

Figura 2.1: Struttura cristallina di una generica perovskite dalla formula chimica ABX3

3

Nella cella elementare della perovskite gli ioni A e B si dispongono a formare una struttura

cubica a corpo centrato, con i cationi A ai vertici e i cationi B al centro, mentre gli ioni X si

dispongono al centro di ogni faccia del cubo. Quella appena descritta rappresenta una

struttura ideale della perovskite che nella realtà può subire alcune distorsioni a causa di

interazioni a legame ionico o covalente, di moti vibrazionali o di legami idrogeno. Diverse

proprietà fisiche tra quelle descritte in precedenza dipendono fortemente dall’entità di

queste deviazioni e si può definire un fattore di tolleranza detto fattore di tolleranza di

Goldschmidt:

𝑡 =𝑟𝐴 + 𝑟0

√2(𝑟𝐵 + 𝑟0)

dove 𝑟𝐴, 𝑟𝐵 e 𝑟0 sono rispettivamente i raggi ionici di A, B e X. La struttura cubica perfetta si

ottiene per t=1; più il fattore di tolleranza si discosta da questo valore e più la struttura si

deforma, modificando la tipica struttura cubica in altre simmetrie.

2.2 Perovskiti organometalliche di alogeni

Come asserito in precedenza, esistono una larga varietà di composti chimici che

appartengono alla famiglia delle perovskiti e ognuno di questi presenta differenti proprietà

fisiche. Una classe di perovskiti è rappresentata dalle perovskiti organometalliche di alogeni,

che sono semiconduttori processati mediante soluzione. Le perovskiti organometalliche di

alogeni sono considerate molto promettenti per future applicazioni optoelettroniche. Sono

costituite da cationi organici A, cationi metallici B e una miscela di anioni alogenuri X. Negli

ibridi più comuni gli elementi o composti chimici A, B ed X sono, rispettivamente, lo ione

metilammonio (𝐶𝐻3𝑁𝐻3)+, 𝑃𝑏2+ ed un alogenuro (𝐼−, 𝐵𝑟−, o 𝐶𝑙−) o una miscela di alogenuri.

I campioni analizzati in questo lavoro di tesi appartengono a quest’ultima categoria e in

particolare la loro formula chimica è del tipo 𝐶𝐻3𝑁𝐻3𝑃𝑏𝑋3 anche chiamata MA𝑃𝑏𝑋3 per

semplicità di notazione. Semiconduttori di questo genere sono di grande interesse scientifico

per il loro elevato coefficiente di assorbimento e per la possibilità di variare il loro band gap

lungo lo spettro visibile mediante la sostituzione dell’alogeno.

4

2.2.1 Applicazioni

Le caratteristiche principali che rendono le perovskiti degli ottimi materiali nell’ambito

fotovoltaico sono la facilità e rapidità di fabbricazione, il forte assorbimento solare, i bassi

tassi di ricombinazione non radiativa ed elevata mobilità dei portatori di carica. Le efficienze

di conversione delle celle solari a base di perovskite hanno raggiunto e superato il 20%,

risultato che può ulteriormente migliorare in futuro tramite l’ottimizzazione delle tecnologie

già presenti. Le tipiche celle solari di perovskite sono caratterizzate da una struttura a layer

e ogni strato, che svolge una ben determinata funzione, può influire pesantemente sulle

prestazioni del dispositivo se non è propriamente ottimizzato. Nelle tipiche celle la

perovskite è inserita tra uno strato di trasporto elettronico e uno strato di trasporto delle

lacune. Questi due strati sono entrambi connessi ad un circuito esterno con dei contatti

solitamente realizzati in oro o argento. Nello schema in figura 2.2 è mostrata una tipica cella

solare basata sulle perovskiti, dove il materiale con la funzione di trasporto degli elettroni è

un film sottile di biossido di titanio (𝑇𝑖𝑂2). La perovskite viene depositata su quest’ultimo

strato che viene sistemato su un vetro conduttivo FTO (fluorine thin oxide) e su un substrato,

entrambi trasparenti alla luce solare.

Figura 2.2: Schema di una tipica cella solare a base di perovskite organica-inorganica di alogeni

5

La proprietà citate che fanno delle perovskiti degli ottimi assorbitori di luce le rendono anche

particolarmente interessanti nell’ambito dell’optoelettronica.

Le perovskiti organometalliche di alogenuri sono di grande interesse per applicazioni in

questo campo per l’intensa fotoluminescenza osservata sotto eccitazione mediante l’uso di

laser in composizioni sia pure che miste. Lo sviluppo di tecnologie quali diodi emettitori di

luce e fotorivelatori basati su perovskiti potrebbe rappresentare una nuova frontiera per

l’optoelettronica. Ad incentivare uno sviluppo in questa direzione si aggiunge la difficoltà

nel reperire i materiali attualmente utilizzati per la loro realizzazione nei mercati europei. Il

conseguente aumento dei prezzi potrebbe portare ad un potenziamento dei settori di studio

delle perovskiti in ambiti che non siano solo quello fotovoltaico.

Nonostante le vaste prospettive di ricerca presentate, la commercializzazione di dispositivi

a base di perovskiti ibride è ancora lontana. L’emissione di luce dalle perovskiti è stata

ottenuta finora solo mediante eccitazione laser, mentre le tecnologie LED e laser necessitano

di iniezioni di corrente elettrica dirette.

I rapidi progressi in questo settore sono accompagnati da incomprensioni e ambiguità

riguardanti la fisica e il funzionamento dei dispositivi.

Le perovskiti sono inoltre soggette a rapida degradazione se esposte all’umidità e alla

radiazione ultravioletta e ci sarebbe dunque bisogno di studiare la loro stabilità e i

meccanismi di degradazione, soprattutto nell’ottica di applicazioni su larga scala come il

fotovoltaico.

2.2.2 Sintesi

La sintesi da soluzione delle perovskiti MA𝑃𝑏𝑋3 richiede un apparato sperimentale e delle

condizioni ambientali relativamente semplici. I film di perovskite analizzati in questo lavoro

di tesi sono stati realizzati attraverso la tecnica dello spin coating dopo aver preparato la

soluzione dei precursori.

La tecnica dello spin coating prevede la deposizione in un substrato di una o più gocce della

soluzione contenente i precursori. Successivamente il substrato viene messo in movimento

con una velocità angolare elevata. La forza centrifuga, combinata con la tensione superficiale

della soluzione, permette di distribuire in maniera uniforme il fluido sul substrato. Poichè i

solventi utilizzati sono di solito molto volatili, la rotazione ne causa l’evaporazione. Al

termine del processo, cioè quando tutta la sostanza in eccesso è stata eliminata, si ottiene un

6

film il cui spessore è determinato dalla velocità di rotazione, dalla densità della soluzione,

dalla tensione superficiale e dalla velocità di evaporazione.

Figura 2.3: Schematizzazione in quattro fasi della procedura di spin coating

La soluzione dei precursori è stata preparata facendo reagire 𝑃𝑏𝐴𝑐2 ∙ 3𝐻2𝑂 (acetato di

piombo tri-idrato) con 𝑀𝐴𝐵𝑟 + 𝑀𝐴𝐼 in rapporto molare 1:3 e concentrazione 30% in

dimetilformammide. Il rapporto tra MAI e MABr è invece 1:10. I due sali MAI e MABr sono

stati sintetizzati dal gruppo di ricerca in cui ho lavorato e la cui procedura esula da questa

tesi. La soluzione così preparata è stata messa in agitazione per un’ora prima della

deposizione dei film per assicurarsi che i precursori fossero completamente dissolti nel

solvente. I film sottili sono stati deposti utilizzando un vetrino da microscopio come

substrato, depositando poche gocce di soluzione sulla superficie e facendo ruotare il

substrato nello spin coater a 7000 rpm per 30 secondi. Il film così ottenuto è stato poi

trattato termicamente per un’ora a 100°C su una piastra per eliminare il solvente residuo e

completare la cristallizzazione della perovskite 𝐶𝐻3𝑁𝐻3𝑃𝑏𝐵𝑟𝑥𝐼3−𝑥. L’intera procedura è

avvenuta all’interno di una camera a guanti in atmosfera inerte di 𝑁2 con umidità inferiore

a 0,1 ppm e concentrazione di 𝑂2 inferiore a 1 ppm. La conservazione dei campioni è

avvenuta in condizioni di vuoto.

7

3 | Tecniche sperimentali

I campioni di 𝐶𝐻3𝑁𝐻3𝑃𝑏𝐵𝑟𝑥𝐼3−𝑥 sono stati studiati mediante le tecniche di spettroscopia di

assorbimento, di spettroscopia di fotoluminescenza e di osservazione mediante microscopio

ottico a fluorescenza.

3.1 Spettroscopia di assorbimento

La spettroscopia di assorbimento permette di misurare l’assorbanza del campione e di

ricavare informazioni sulla sua struttura elettronica.

In figura 3.1 è mostrata una radiazione incidente su un materiale di spessore l e che subisce

un’attenuazione in termini di intensità descritta dalla legge di Lambert-Beer:

𝐼(𝑙) = 𝐼0𝑒−𝛼𝑙

dove il coefficiente 𝛼 rappresenta il coefficiente di assorbimento, che è funzione della

lunghezza d’onda della radiazione.

Figura 3.1: Attenuazione dell’intensità di una radiazione incidente su un mezzo ottico

L’assorbimento di un mezzo ottico può essere quantificato in termini di densità ottica o

assorbanza, definita come:

8

𝐴 = −𝑙𝑜𝑔10(𝐼(𝑙)

𝐼0

)

In figura 3.2 è mostrato l’apparato sperimentale utilizzato per le misure di assorbimento del

campione.

Figura 3.2: Spettrometro UV-Vis Varian Cary 50

Lo spettrometro utilizzato nell’esperimento è un UV-Vis Varian Cary 50. La sorgente

luminosa è una lampada allo xeno monocromata tramite un monocromatore a doppio fascio

in configurazione Czerny-Turner dotato di un reticolo olografico a 1200 tratti/mm con blaze

a 240 nm. La radiazione luminosa viene focalizzata sul campione e la radiazione trasmessa

è rivelata da un fotodiodo al silicio per ogni fascio. L’intervallo di funzionamento dello

strumento permette di effettuare le misure di assorbimento nelle regioni dell’ultravioletto

(UV), del visibile (Vis) e del vicino infrarosso (NIR), operando in un range di lunghezze

d’onda compreso tra 190 e 1100 nm. Prima della misura del campione è stato possibile

effettuare una misura del vetrino senza il campione, in modo da ottenere, per sottrazione,

uno spettro di assorbimento ripulito dal contributo introdotto dal supporto.

3.2 Spettroscopia di fotoluminescenza

Nello studio dei processi di emissione nei materiali sono utilizzate diverse tecniche

sperimentali tra cui la spettroscopia di fotoluminescenza (Photoluminescence Spectroscopy

PL). Questa tecnica permette di determinare lo spettro di fotoluminescenza di un campione

eccitato da una radiazione elettromagnetica.

9

L’apparato sperimentale utilizzato è schematizzato in figura 3.3.

Figura 3.3: Schematizzazione dell’apparato sperimentale per misure di fotoluminescenza

La radiazione di eccitazione nell’esperimento di spettroscopia di fotoluminescenza è un laser

al Ti:zaffiro pompato da un laser al Nd:YVO4. Utilizzato in mode-locking, la sorgente

fornisce impulsi di lunghezza 150 fs al tasso di ripetizione di 80 MHz e con una lunghezza

d’onda di 780 nm. La radiazione incide su un cristallo di beta-borato di bario (BBO) le cui

proprietà ottiche non lineari consentono di sfruttare l’elevata energia degli impulsi per

ottenere la seconda armonica della radiazione, a 390 nm. Un filtro, non mostrato in figura,

può essere usato per bloccare la prima armonica.

Il campione è posto in una camera sperimentale all’interno della quale è stato fatto il vuoto.

La luminescenza emessa del campione avviene a frequenze più basse e in tutte le direzioni:

una frazione viene raccolta e collimata da una lente e successivamente focalizzata da una

seconda lente all’ingresso di uno spettrometro. La radiazione laser diffusa dal campione può

essere filtrata prima che giunga allo spettrometro per evitare di danneggiare la

strumentazione o disturbare la misura. Lo spettro viene infine acquisito da un sensore CCD

(Charge Coupled Device) accoppiato allo spettrometro.

10

3.3 Microscopia ottica in fluorescenza

I campioni di perovskite sono stati analizzati mediante l’utilizzo di un microscopio ottico a

fluorescenza, che ha permesso una caratterizzazione ottica con un approccio di tipo

qualitativo.

Il microscopio utilizzato è un Nikon modello Eclipse TE-2000U, mostrato in figura 3.4.

Figura 3.4: Microscopio Nikon Eclipse TE-2000U

Lo strumento è dotato di una lampada mercurio-argon che emette radiazione ultravioletta.

La radiazione emessa è focalizzata sul campione e la sua intensità è regolabile mediante

l’inserimento di filtri neutri lungo il percorso del fascio. La radiazione ultravioletta viene

assorbita dal campione che emette secondo i fenomeni di fotoluminescenza descritti in

Appendice.

La radiazione emessa viene raccolta dall’obiettivo e inviato all’oculare o alla fotocamera

analogamente ad un microscopio tradizionale.

Questo ha permesso di osservare e registrare con una fotocamera la fotoluminescenza in

differenti aree del campione.

11

4 | Risultati sperimentali

In questa sezione sono riportate le misure di spettroscopia di assorbimento, di spettroscopia

di fotoluminescenza e di osservazione mediante microscopio ottico a fluorescenza del

campione di 𝐶𝐻3𝑁𝐻3𝑃𝑏𝐵𝑟𝑥𝐼3−𝑥 analizzato.

4.1 Spettroscopia di assorbimento

Lo spettro di assorbimento del campione di perovskite analizzato è mostrato in figura 4.1.

Figura 4.1: Spettro di assorbimento del campione di perovskite di 𝑀𝐴𝑃𝑏𝐵𝑟𝑥𝐼3−𝑥 acquisito con l’apparato sperimentale descritto nella sezione 3.1.

L’acquisizione è stata corretta per sottrazione dello spettro di assorbimento del substrato.

Emergono in maniera evidente le caratteristiche dell’assorbimento del MA𝑃𝑏𝐵𝑟3, con il picco

eccitonico ben pronunciato in corrispondenza di λ=527 nm e il continuo delle transizioni

interbanda alle energie più elevate. Non si nota nulla di altrettanto rilevante alle lunghezze

0.6

0.4

0.2

0.0

Assorb

anza

1000900800700600500400

Lunghezza d'onda (nm)

12

d’onda tipiche dell’assorbimento del MA𝑃𝑏𝐼3. La misura di assorbimento mostra quindi

come l’utilizzo di piccole quantità di iodio nella sintesi della perovskite non comporti la

presenza di quella stessa quantità nel campione.

4.2 Spettroscopia di fotoluminescenza

Figura 4.2: Spettri di fotoluminescenza del campione di perovskite di 𝑀𝐴𝑃𝑏𝐵𝑟𝑥𝐼3−𝑥 a diversi ritardi temporali e alla fluenza per singolo impulso laser di 0,0035 uJ/cm2

Per studiare la fotoluminescenza del campione si è utilizzato l’apparato sperimentale

descritto nella sez. 3.2. Le misure sono state automatizzate in modo che il sistema acquisisse

spettri a intervalli di tempo definiti, per mettere in evidenza l’evoluzione temporale della

luminescenza. L’operazione è stata ripetuta per diverse intensità di eccitazione. Il tempo

zero della misura coincide con l’inizio dell’eccitazione del campione.

La figura 4.2 mostra spettri di fotoluminescenza a diversi ritardi dal tempo zero

corrispondenti a una fluenza per singolo impulso laser di 0,0035 uJ/cm2. Gli spettri sono

caratterizzati dalla presenza di due picchi di fotoluminescenza, uno col massimo intorno ai

530 nm e l’altro attorno ai 700 nm che è pertanto associabile al MA𝑃𝑏𝐼3.

30x103

25

20

15

10

5

0

Inte

nsità

PL

(u

.a.)

750700650600550500

Lunghezza d'onda (nm)

t = 0 s t = 60 s t =140 s t = 260 s t = 600 s

13

Si nota un’evidente aumento dell’emissione a bassa energia col passare del tempo, mentre

l’emissione nel verde perde solo una frazione della sua intensità iniziale. Il fenomeno si può

studiare in maniera quantitativa integrando i conteggi dei due picchi nella loro larghezza

spettrale e rappresentanto questi valori in funzione del ritardo di acquisizione. L’andamento

temporale così ottenuto è mostrato in figura 4.3.

Figura 4.3: Andamento temporale dell’integrale dei conteggi dei picchi ad alta e bassa energia nella loro larghezza spettrale normalizzati al rispettivo valore massimo di intensità

Entrambi gli andamenti sono presentati in percentuale del valore di intensità iniziale o finale

per chiarezza espositiva. Nel grafico si può osservare come l’emissione a bassa energia

raggiunga un valore di saturazione dopo circa 600 secondi, mentre quella a bassa energia

perde circa il 45% nello stesso intervallo di tempo.

Durante la caratterizzazione del campione è stato osservato che, in caso di interruzione e di

successiva riaccensione della sorgente di eccitazione della perovskite, quest’ultima non ha

presentato continuità nella misura di fotoluminescenza. Si è reso dunque necessario

attendere lo scarico totale dell’eccitazione del materiale per poi successivamente

ricominciare una nuova misura.

1.0

0.8

0.6

0.4

0.2

0.0

Max P

L n

orm

. (u

.a.)

6005004003002001000

Tempo (s)

Picco alta energia Picco bassa energia

14

Il fenomeno può essere studiato in funzione dell’intensità di eccitazione del campione. La

figura 4.4 mostra l’integrale spettrale dell’emissione a bassa energia per diverse fluenze di

singolo impulso del laser utilizzato come sorgente di eccitazione.

Figura 4.4: Andamento temporale dell’integrale dei conteggi del picco a bassa energia nella sua larghezza spettrale in funzione dell’intensità di eccitazione normalizzato al massimo valore di

intensità

L’acquisizione è stata interrotta al raggiungimento della saturazione per limitare danni al

campione. Si osserva una netta riduzione del tempo di salita dell’emissione al crescere

dell’intensità di eccitazione.

4.3 Osservazione con microscopio ottico a fluorescenza

Mediante l’utilizzo di una fotocamera sono state acquisite, a intervalli di tempo costanti,

delle immagini della superficie del campione durante tutto il processo di illuminazione con

radiazione ultravioletta.

I campioni di 𝑀𝐴𝑃𝑏𝐵𝑟𝑥𝐼3−𝑥 osservati con il microscopio ottico a fluorescenza sono stati

realizzati secondo la tecnica di sintesi descritta nella sezione 2.2.2. Parte dei campioni sono

1.0

0.8

0.6

0.4

0.2

0.0

Max P

L (

u.a

.)

6005004003002001000

Tempo (s)

0.0035 uJ/cm2

0.03 uJ/cm2

0.1 uJ/cm2

15

stati osservati appena dopo la preparazione mentre altri soltanto successivamente, avendo

cura di effettuarne la conservazione in condizioni di vuoto.

In figura 4.5 è mostrata una sequenza della prima serie di acquisizioni da microscopio ottico

a fluorescenza che mostrano le fasi di luminescenza di un’area del campione di 𝑀𝐴𝑃𝑏𝐵𝑟𝑥𝐼3−𝑥

denominato 03144.

Figura 4.5: Sequenza di immagini di fotoluminescenza del campione di 𝑀𝐴𝑃𝑏𝐵𝑟𝑥𝐼3−𝑥 denominato 03144 acquisite da microscopio ottico a fluorescenza (Serie 1)

Le immagini mostrate in figura sono state acquisite rispettivamente a t=0, 10, 15, 20, 30 e

60 s, dove il tempo zero coincide con l’inizio dell’illuminazione. Si osserva la comparsa di

punti di colore rosso ben localizzati in una base di colore verde e la cui densità cresce con

l’aumentare del tempo di esposizione alla radiazione ultravioletta. La variazione tra le ultime

due immagini, corrispondenti a t=30s e t=60s, non è ben apprezzabile e di conseguenza le

serie di acquisizione sono state limitate a 60 secondi. Dopo questo intervallo temporale non

50 μm

16

si è osservata una variazione significativa nella concentrazione dei punti di emissione rossa,

indice del raggiungimento della saturazione. L’apparente discordanza con i tempi di

saturazione osservati nelle misure di fotoluminescenza è dovuta al fatto che il campione in

questo caso è stato eccitato da una sorgente continua. Al raggiungimento della

concentrazione massima si possono ancora osservare aree di colore verde, la cui intensità

non raggiunge dunque il completo annullamento, in completa analogia con quanto osservato

nella spettroscopia di fotoluminescenza.

Al termine della prima serie di acquisizioni è stato necessario attendere la completa

diseccitazione del campione prima di poter iniziare con la seconda serie. Dopo un’attesa di

circa 120 secondi i punti di emissione rossa si sono spenti e l’area del campione è tornata

completamente verde.

Una sequenza della seconda serie di acquisizioni sulla stessa area del campione 03144 è

mostrata in figura 4.6.

50 μm

17

Figura 4.6: Sequenza di immagini di fotoluminescenza del campione di 𝑀𝐴𝑃𝑏𝐵𝑟𝑥𝐼3−𝑥 denominato 03144 acquisite da microscopio ottico a fluorescenza (Serie 2)

Le immagini mostrate sono state acquisite nei medesimi intervalli temporali della prima

sequenza. Il campione mostra, a parità di tempo di illuminazione, una netta diminuzione

della concentrazione di spot di colore rosso, indice della degradazione subita dal campione

sotto la radiazione ultravioletta. Nonostante questo aspetto si ripresenta il medesimo

comportamento anche se l’intensità finale risulta ridotta.

In maniera del tutto analoga la terza serie non presenta differenze sostanziali, ad eccezion

fatta per l’ulteriore diminuzione della concentrazione finale dei punti di emissione rossa

nell’area del campione. Una sequenza della terza serie di acquisizioni sulla stessa area del

campione 03144 è mostrata in figura 4.7.

Figura 4.7: Sequenza di immagini di fotoluminescenza del campione di 𝑀𝐴𝑃𝑏𝐵𝑟𝑥𝐼3−𝑥 denominato 03144 acquisite da microscopio ottico a fluorescenza (Serie 3)

50 μm

18

Le aree rosse e verdi nell’area osservata del film di 𝑀𝐴𝑃𝑏𝐵𝑟𝑥𝐼3−𝑥 non cambiano nelle tre

diverse serie di immagini presentate. Questo aspetto può essere messo maggiormente in

evidenza confrontando immagini appartenenti a differenti serie ma allo stesso ritardo

temporale dal tempo zero di illuminazione.

In figura 4.8 sono riportate le immagini acquisite da microscopio ottico a fluorescenza del

campione 01344 al tempo t=60 s per le tre serie.

Figura 4.8: Immagini di fotoluminescenza del campione di 𝑀𝐴𝑃𝑏𝐵𝑟𝑥𝐼3−𝑥 denominato 03144 acquisite da microscopio ottico a fluorescenza corrispondenti ai tempi t=60 s delle 3 diverse serie

di acquisizione

Nonostante la differenza di intensità dovuta alla degradazione del campione è possibile

osservare come le aree di colore rosse e verde siano le stesse, ben localizzate all’interno del

campione.

50 μm

19

5 | Conclusioni

In questo lavoro di tesi è stato effettuato uno studio sulle proprietà ottiche di perovskiti

organometalliche di alogeni, la cui sintesi avviene mediante soluzione.

Lo spettro di assorbimento del campione di 𝑀𝐴𝑃𝑏𝐵𝑟𝑥𝐼3−𝑥 ha mostrato le caratteristiche di

assorbimento del 𝑀𝐴𝑃𝑏𝐵𝑟3 ma nulla che potesse indicare la presenza nel campione dello

ioduro nelle quantità utilizzate durante il processo di sintesi.

L’analisi dello spettro di fotoluminescenza ha mostrato la presenza di due picchi di intensità

variabile nel tempo. In particolare il picco in corrispondenza dei 700 nm è stato associato al

MA𝑃𝑏𝐼3 e la sua intensità, che cresce all’aumentare del tempo di eccitazione, è notevolmente

superiore a quella del picco associato alla perovskite di bromuro.

Lo ioduro, che come si evince dall’assorbimento rappresenta una componente minoritaria

del campione realizzato, risulta però dominante in emissione.

Le osservazioni effettuate con il microscopio ottico a fluorescenza mostrano inoltre come il

materiale preso in esame non sia una soluzione solida omogenea ma come in realtà si tratti

di una struttura di isole ben localizzate di un materiale al’interno di un altro. Il fenomeno è

stato osservato nei diversi campioni studiati, con variazioni di sola intensità dovute alla loro

disomogeneità e alla degradazione alla quale sono soggetti i film sottili di perovskite. Si può

dunque asserire che ciò che è stato osservato non è un fenomeno occasionale di scarsa

importanza bensì un comportamento di verificata riproducibilità.

In questa sperimentazione sono emersi aspetti di sicuro interesse per quanto concerne

l’emissione di questi materiali, i quali hanno mostrato l’elevata sensibilità che le loro

proprietà ottiche presentano in funzione della miscela di alogeni utilizzata. Infatti una

piccola concentrazione di ioduro nel campione ha caratterizzato gran parte dell’emissione di

fotoluminescenza di quest’ultimo. Sono state messi in evidenza alcuni aspetti morfologici

del materiale che si presenta non omogeneo bensì separato in fase.

Le potenzialità di questi materiali nel campo dell’optoelettronica sono molto vaste e ci si

aspetta che l’interesse destato nella comunità scientifica negli ultimi anni porti al

superamento delle problematiche che ne limitano l’applicazione su larga scala. In particolare

è stato osservato il rapido deterioramento dei film sotto una sorgente continua di radiazione

ultravioletta.

20

Appendice

A.1 Bande elettroniche nei solidi

I solidi cristallini sono caratterizzati da una disposizione di atomi con ordine a lungo raggio,

ovvero su una scala molto maggiore delle dimensioni atomiche.

Ogni atomo possiede un certo numero di elettroni ed ogni elettrone occupa uno stato

energetico definito da una funzione d’onda.

In un solido cristallino la funzione d’onda associata ad uno stato elettronico è scrivibile

mediante il teorema di Bloch:

𝜓𝒌 = 𝑢𝒌(𝒓)𝑒𝑖𝒌∙𝒓

dove 𝑢𝒌(𝒓) è una funzione con la stessa periodicità del reticolo e dove k è il vettore d’onda.

L’overlap tra le funzioni d’onda elettroniche corrispondenti agli orbitali più esterni dei

diversi atomi risulta in una forte interazione che porta alla formazione di bande di energia a

partire dai singoli livelli del singolo atomo.

Figura A.1: Passaggio dai livelli atomici discreti alle bande energetiche caratteristiche dei solidi in funzione della separazione interatomica

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Queste bande sono separate tra loro da intervalli di energia all’interno dei quali non sono

presenti stati elettronici.

A.2 Assorbimento e fotoluminescenza

Nei semiconduttori l’occupazione degli stati avviene compatibilmente con il principio di

esclusione di Pauli e in ordine crescente di energia ed è tale che le bande al di sotto

dell’energia di Fermi sono completamente occupate mentre quelle al di sopra sono

completamente vuote. La banda occupata con maggiore energia prende il nome di banda di

valenza (BV) mentre la banda vuota con minore energia è chiamata banda di conduzione

(BC). L’intervallo di energia tra le due bande è chiamato energy gap 𝐸𝑔.

Le proprietà ottiche dei semiconduttori sono determinate dalle transizioni tra le due bande

di energia, delle quali viene mostrato un esempio semplificato nel caso dell’assorbimento in

figura A.2.

Figura A.2: Transizione tra la banda di conduzione e di valenza di un semiconduttore in assorbimento

Un elettrone che si trova in uno stato energetico nella banda di valenza può passare in banda

di conduzione, in accordo con il principio di Pauli e con le regole di selezione, con

l’assorbimento di un fotone di opportuna energia:

𝐸 = ℏ𝜔 = 𝐸𝑓 − 𝐸𝑖

dove 𝐸𝑖 è l’energia dell’elettrone nello stato iniziale e 𝐸𝑓 l’energia dello stato finale.

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Dal momento che vi è un intervallo contino di stati all’interno delle bande le transizioni

possono avvenire in un intervallo continuo di energia, determinato dai limiti inferiore e

superiore dell’energia delle bande. Il valore minimo della differenza definita in precedenza,

che è 𝐸𝑔, corrisponde alla più bassa energia di transizione possibile e i fotoni con energia

inferiore a questa energia di soglia non saranno assorbiti. Il processo di assorbimento

interbanda genera una lacuna nella banda di valenza e promuove un elettrone in banda di

conduzione: per questa ragione può essere considerato come la creazione di una coppia

elettrone-buca.

Nei solidi il processo di emissione radiativa prende il nome di luminescenza.

Il fenomeno della luminescenza può avvenire mediante diversi processi, tra cui quello della

fotoluminescenza che consiste nella riemissione di luce successivamente all’assorbimento di

un fotone di maggiore energia.

Uno schema generale della luminescenza in un semiconduttore è presentato in figura A.3.

Figura A.3: Schema generale della luminescenza in un semiconduttore

Il fotone è emesso quando un elettrone che è stato eccitato nella banda di conduzione ricade

nella banda di valenza. Affinchè avvenga l’emissione occorre che un elettrone si trovi nella

banda di conduzione e che sia presente un livello non occupato nella banda di valenza.

Questa condizione viene soddisfatta mediante un’iniezione di cariche o con un’eccitazione

ottica. Gli elettroni iniettati nella banda di conduzione rapidamente rilassano sul fondo della

banda di conduzione e analogamente le lacune rilassano verso la cima della banda di

valenza.

Una volta raggiunti i livelli energetici disponibili con l’energia più bassa, gli elettroni

possono passare in banda di valenza ricombinandosi con le lacune. La ricombinazione può

essere radiativa oppure non radiativa.

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Nel primo caso la ricombinazione comporta l’emissione di un fotone, nel secondo caso

vengono emessi dei fononi o si ha dissipazione con difetti reticolari.

I processi di rilassamento, che coinvolgono l’emissione di fononi, fanno sì che le energie

delle emissioni radiative siano molto prossime all’energy gap 𝐸𝑔. Durante il processo si ha

simultaneamente una riduzione di un’unità del numero degli elettroni in banda di

conduzione e del numero di lacune nella banda di valenza, per cui la luminescenza è anche

nota come ricombinazione radiativa elettrone-buca.

Figura A.4: Schema dei processi che avvengono in un semiconduttore a gap diretto durante la fotoluminescenza

Considerando un semiconduttore a gap diretto, la distribuzione degli elettroni e delle lacune

eccitati otticamente nelle rispettive bande è determinata dalla statistica di Fermi-Dirac:

𝑓(𝐸) =1

𝑒−𝐸−𝐸𝑓

𝑘𝑇 + 1

dove all’energia di Fermi si sostituiscono i corrispondenti valori per gli elettroni o per le

lacune.

La densità totale degli elettroni (lacune) sarà data dall’integrale sull’energia del prodotto tra

la densità degli stati nella banda di conduzione (banda di valenza) per la distribuzione di

Fermi-Dirac per gli elettroni (lacune).

Nell’approssimazione di basse densità di portatori le distribuzioni di elettroni e lacune

possono essere descritte mediante la statistica classica e in particolare l’equazione

precedente può essere approssimata dalla statistica di Boltzmann:

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𝑓(𝐸) 𝛼 𝑒−𝐸−𝐸𝑓

𝑘𝑇

L’intensità della luminescenza alla frequenza ν si potrà scrivere come:

𝐼(ℎ𝜈) 𝛼 (ℎ𝜈 − 𝐸𝑔)12 exp (−

ℎ𝜈 − 𝐸𝑔

𝑘𝑇)

dove il fattore (ℎ𝜈 − 𝐸𝑔)1

2 deriva dalla densità comune degli stati per le transizioni

interbanda. Lo spettro di luminescenza descritto dall’equazione presenterà un picco di

larghezza dell’ordine di kT in corrispondenza dell’energy gap e dal quale decresce

esponenzialmente con una costante di decadimento di kT dovuta al fattore di Boltzmann.

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Bibliografia

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[2] M. A. Green, A. Ho-Baillie, H. J. Snaith. The emergence of perovskite solar cells. Nature

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[3] M. Cadelano, M. Saba, N. Sestu, V. Sarritzu, D. Marongiu, F. Chen, R. Piras, F. Quochi,

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Organometal Trihalide Perovskites, Perovskite Materials - Synthesis, Characterisation,

Properties, and Applications, Dr. Likun Pan (Ed.), InTech, DOI: 10.5772/61282.

Available from: http://www.intechopen.com/books/perovskite-materials-synthesis-

characterisation-properties-and-applications/photoexcitations-and-emission-processes-

in-organometal-trihalide-perovskites

[4] P. Docampo, T. Beirn. A long-term view on perovskite optoelectronics. Acc. Chem. Res.,

49, Abstract (2016).

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Ringraziamenti

Desidero in primo luogo ringraziare professor Saba per la sua disponibilità e per la sua

pazienza durante tutto il periodo di lavoro di questa tesi.

Ringrazio Daniela, Valerio e Xueqing per il loro prezioso aiuto in questa esperienza.

Ringrazio la mia famiglia per l’instancabile sostegno fornitomi in questi anni.

Ringrazio Alice per avermi sempre supportato e incoraggiato, per i tanti consigli e per avermi

dato la forza di andare avanti nei momenti difficili.

Infine ringrazio tutte le persone che mi vogliono bene e che mi hanno accompagnato, in un

modo o nell’altro, verso questa tappa del mio percorso.