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Università della Calabria Facoltà di Economia _____________________________________________ Corso di Laurea Magistrale in Discipline Economiche e Sociali per lo Sviluppo e la Cooperazione TESI DI LAUREA PRATICHE E POLITICHE DI ECONOMIA SOLIDALE: ESPERIENZA NELLO STATO DI BAHIA, BRASILE Relatrice: Candidata: Annamaria Vitale Carmela Guarascio 145150 Anno Accademico 2011/2012

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Università della Calabria

Facoltà di Economia

_____________________________________________

Corso di Laurea Magistrale in Discipline Economiche e

Sociali per lo Sviluppo e la Cooperazione

TESI DI LAUREA

PRATICHE E POLITICHE DI ECONOMIA SOLIDALE:

ESPERIENZA NELLO STATO DI BAHIA, BRASILE

Relatrice: Candidata:

Annamaria Vitale Carmela Guarascio

145150

Anno Accademico 2011/2012

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INDICE

Introduzione. Economia solidale, riflessi di arcobaleno 8

1. ECONOMIA SOLIDALE, DEFINIZIONE E FILONI

TEORICI 11

1.1. Introduzione all’economia solidale 11

1.2. Dall’economia sociale all’economia

solidale 13

1.3. Verso una definizione di economia

solidale 16

1.4. Economia solidale: il dibattito

contemporaneo 20

2. ELEMENTI COSTITUTIVI DELL’ECONOMIA SOLIDALE NEL DIBATTITO TEORICO

24

2.1. Lavoro e redistribuzione 24

2.2. Democrazia e rapporti col potere pubblico 26

2.3. Reti 29

2.4. Consumo solidale 33

2.5. Liberazione degli oppressi 35

3. BRASILE, ANIME A CONFRONTO 37

3.1. Neoliberismo e povertà mondiale 37

3.1.1. Un paese, molteplici anime 41

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3.1.2. Periferizzazione del Brasile 44

3.2. Povertà mondiale e movimenti sociali:

verso un’alternativa 46

3.3. Dipendenza del Brasile 48

4. ECONOMIA SOLIDALE: L’ESPERIENZA DEL

BRASILE 51

4.1. Il Sud America: i movimenti sociali 51

4.2. La scelta politica del Brasile 53

4.3. Mappa delle esperienze e intervento

istituzionale 56

4.4. Incubatori tecnologici di cooperative

popolari e concetto di estensione 58

4.5. Reti di produzione e consumo 62

5. ECONOMIA SOLIDALE NELLA BAHIA. UN CASO

DI INCUBATORE TECNOLOGICO DI ECONOMIA

SOLIDALE

66

5.1. Periferia nella periferia: Bahia 66

5.2. Lavorare con le comunità attraverso la

metodologia dell’incubatore 70

5.3. L’esperienza dell’incubatore a Matarandiba

e Santa Luzia 74

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5.4. Rapporti tra le comunità e le imprese private

finanziatrici 76

5.5. Il problema della sostenibilità 80

5.6. Prospettive delle esperienze 85

6. ECONOMIA SOLIDALE NELLA BAHIA. IL CASO

DELLA REDEMOINHO 88

6.1. Introduzione 88

6.2. Le misure istituzionali per la sicurezza

alimentare 88

6.3. L’esperienza della RedeMoinho 90

6.4. I consumatori 92

6.5. I Produttori 95

6.6. Relazione tra consumatori e produttori 98

6.7. Il rapporto con il territorio 99

7. Conclusioni 101

8. Bibliografia 108

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ABSTRACT

Il presente lavoro si propone di ripercorrere il dibattito sull’economia

solidale, analizzandone la natura e studiandone le pratiche nel Brasile e nello Stato

della Bahia attraverso l’analisi qualitativa e quantitativa di due casi studio:

l’esperienza degli incubatori tecnologici di economia solidale e quella delle reti di

commercio equo e solidale.

Il primo presupposto da cui si parte è che il Brasile ha una condizione socio-

economica particolare e si afferma sulla scena politica come attore istituzionale delle

pratiche solidali, attuando negli anni precise scelte politiche.

Il secondo presupposto è che le scelte solidali rappresentano una seconda

opportunità per chi verte in condizioni di estrema povertà.

A partire da questi presupposti abbiamo cercato di verificare se le esperienze

solidali sul territorio baiano producono uno sviluppo sostenibile e auspicabile,

migliore di quello neoliberista e se possono rappresentare un’alternativa dal punto di

vista economico e culturale.

I due casi studio analizzati sono l’Incubatore tecnologico di economia

solidale dell’Università Federale della Bahia e il caso della RedeMoinho: essi sono

per noi esempio di pratiche di economia solidale rispettivamente di economia plurale

e di pratiche post-capitaliste.

La ricerca ha mostrato che mentre da una parte le esperienze soffrono di

dipendenza nei confronti di finanziamenti privati e fondi pubblici, indebolendo la

proposta di un’alternativa economica, dall’altra, a livello territoriale locale,

rappresentano un’uscita dalla condizione di oppressi.

La sfida è stimolare la forza di queste esperienze così da potersi estendere sul

territorio intero e valorizzarne l’autonomia rispetto ai meccanismi di finanziamento

usuali.

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ABSTRACT

The main purpose of this work is to analyze the nature and the role of

solidarity economy in Brasil, in the State of Bahia, through a qualitative and

quantitative survey about two case studies.

The first assumption is that Brasil has a particular socio-economic condition

and on the international political scene, is an important institutional actor in the

implementation of solidarity economy, doing through years important political

choices.

The second assumption is that choosing solidarity economy is a possible

chance and opportunity for those oppressed by hunger and poverty.

Since these assumptions we tried to verify if solidarity practices, into Bahia,

can produce a sustainable development, better than that neoliberal, and if they can

produce an alternative from the economic and cultural point the view.

The two case studies are the Tecnologic incubator of solidarity economy from

the Federal University of Bahia and the RedeMoinho. They are two example of

solidarity practices respectively of plural economy and post-capitalistic practices.

The research showed that in one hand experiences are dependent from private

financing and public funds, and this weaken a possible alternative economy, and

from the other hand on a local level they can represent an economic alternative for

the oppressed.

The challenge is to strengthen these experiences so they could extend their

selves on the territory, and to value their autonomy far from the normal financial

mechanism.

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INTRODUZIONE

Economia solidale: riflessi di arcobaleno

Questo lavoro si sforza di proporre una sintesi di una realtà che appare molto

complessa, che vive in questo momento il suo pieno processo di strutturazione. Il

campo dell’economia solidale deve essere considerato soprattutto per le sue diversità

e complessità, legate soprattutto alle differenza di contesto, di origine, di

organizzazione, ai diversi livelli di istituzionalizzazione, di organizzazione politica.

La proposta è quella di indagare le pratiche di economia solidale brasiliane

per capire se questo tipo di economia può rappresentare una via percorribile di

sviluppo contribuendo alla formazione di un’identità brasiliana che meglio si addice

alla molteplicità di culture e popoli presenti nel Brasile, stimolando uno sviluppo

sostenibile e inclusivo.

La nostra tesi è che l’economia solidale può rappresentare una via di sviluppo

sostenibile dal punto di vista socio-economico e ambientale attuabile per il Brasile,

se propone nuovi meccanismi riqualificanti l’economia.

Nel primo capitolo si propone una definizione di economia solidale. Nel secondo

capitolo si analizza il dibattito teorico europeo e sud-americano. Nel terzo si propone

una lettura socio-economica del Brasile attuale, mentre nei capitoli quattro e cinque

si tratta la tematica delle pratiche di economia solidale per mezzo di due casi studio.

I due casi studio riguardano l’intervento dell’incubatore tecnologico di economia

solidale nelle comunità di Matarandiba e Santa Luzia e l’esperienza della

RedeMoinho. Analizzeremo i casi studio come esempio di proposte concrete operanti

sul territorio, per evidenziarne le criticità.

Nelle conclusioni cercheremo di capire se i due casi studio, sebbene rispondendo

a logiche differenti, possono rappresentare una via di sviluppo percorribile e coerente

con la storia e la cultura del territorio che le ospita. Nella comparazione vedremo

quali possono essere le sfide e le contraddizioni che esperienze del genere affrontano

esplicitandosi nel reale.

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Il neologismo “economia solidale” è nato negli ultimi decenni per intendere

delle pratiche economiche innovatrici che inscrivono comportamenti di solidarietà in

campo economico, sociale e culturale. Esso insiste nell’identificare come economico

non solo il luogo nel quale circolano il denaro e il profitto, ma il luogo dello scambio

e del dono.

Con questo neologismo si vogliono intendere moltissime pratiche tra loro

differenti, tuttavia che presentano un obiettivo comune. È ben noto che la luce solare

si scompone in sette colori che danno vita all’arcobaleno. Esso in molte civiltà è

simbolo di un’era nuova, di cambiamento sociale, di speranza; in molte filosofie e

religioni è simbolo di pace, di rinnovamento e cooperazione, di diversità. Così come

l’arcobaleno racconta ad ogni persona la diversità e la speranza, l’economia solidale

ha la pretesa di costruire una nuova era. Così come l’arcobaleno è composto da

diversi colori che in realtà sono la scomposizione di una sola luce, così l’economia

solidale sembra essere un insieme di differenti prospettive, che unite ripropongono

una immagine nuova dell’economia, un nuovo agire, uno sguardo diverso verso il

futuro che parli alle generazioni future di sostenibilità, democrazia, solidarietà,

eguaglianza, collaborazione, creatività, educazione, giustizia, libertà. Le esperienze

che la compongono assumono forme diverse in relazione ai contesti che le

accolgono.

La questione dello sviluppo è molto importante in un paese che sta

conoscendo alti tassi di incremento del PIL e che si sta affacciando con forza sulla

scena mondiale.

Vedremo come emergono in modo chiaro almeno due anime del continente:

quella del capitalismo - lepre e quella dell’economia solidale - tartaruga. Una delle

contraddizioni più rilevanti infatti per il nostro studio è che se da una parte, nei

forum sociali, nelle comunità, nelle banche del popolo, nelle imprese solidali, nelle

economie locali, prende forma l’anima speranzosa dell’economia solidale, dall’altra

cresce e si rafforza l’anima della potenza economica del Bric che mira a rivestire la

posizione di centro nel sistema-mondo. Due anime, in perfetta antitesi, che hanno

ognuna una proposta di sviluppo per il paese.

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Come nella celebre favola di Esopo ancora una volta la lepre e la tartaruga si

sfidano alla solita gara di corsa, proponendo questa volta un’ipotesi di sviluppo per il

paese completamente diversa ed opposta. Che sia la tartaruga del solidale anche in

questo caso la più furba e la soluzione migliore per lo sviluppo paritario e

democratico del paese? che valga anche stavolta dire <<non importa correre,

l’importante è partire per tempo?>>

L’interesse per questo tema sorse in seguito ad alcuni seminari

extracurriculari del corso di laurea sulla tematica interessata. Il lavoro inoltre si è

avvalorato di un periodo all’estero, reso possibile grazie ad una borsa di studio

presso l’università federale della Bahia che ospita l’incubatore tecnologico di

economia solidale.

Sono stati scelti il Brasile prima e lo stato della Bahia poi, come luogo di

ricerca, per la vastità di esperienze inerenti al tema del lavoro di tesi. Soprattutto

perché presente un struttura istituzionale interessante all’interno della quale è

incastonata l’economia solidale.

La scelta di trattare i casi studio nasce innanzitutto dalla conoscenza diretta delle

esperienze. Il periodo si studio presso l’incubatore ha infatti favorito l’incontro con le

comunità di Matarandiba e di Santa Luzia.

La permanenza si è inoltre arricchita della partecipazione all’evento mondiale del

“Summit dei Popoli” che si è tenuto a Rio de Janeiro, dal 19 al 23 Giugno in

concomitanza al vertice ONU “RIO+20”. In questo modo è stato possibile toccare

con mano e conoscere le realtà solidali di altri stati brasiliani, conoscere la realtà del

forum nazionale dell’economia solidale e venire a contatto con i movimenti sociali

riunitisi nei giorni dell’evento.

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Primo Capitolo

ECONOMIA SOLIDALE, DEFINIZIONE E FILONI TEORICI

1.1. Introduzione all’economia solidale

Il termine solidale è l’aggettivo del nome “solidarietà”, che il dizionario

etimologico Bonomi definisce come derivante da “solido”, dal latino solidus: intero,

consistente. La terminazione idus indica qualcosa di durevole, perciò potremmo

definire solido un corpo le cui molecole abbiano una forte e durevole coesione.

L’espressione a noi comune è quella di corpo sociale solido, nel senso che è solidale

nelle sue parti, l’una a difesa dell’altra.

<<Vincolo di assistenza reciproca nel bisogno che unisce degli individui tra loro; l’insieme dei legami affettivi e morali che uniscono l’uomo singolo alla comunità di cui fa parte, e questa a lui>> (Dizionario Garzanti)

Nel tempo tuttavia la solidarietà ha assunto diversi significati. Il termine nato in

ambito giuridico, precisamente nel diritto romano, solo alla fine del 1700 è stato

applicato anche all’ambito politico e sociale affiancando e sostituendo il concetto di

fraternità della rivoluzione francese. Normalmente infatti si tende ad identificare la

solidarietà con l’altruismo, relegandola in un atteggiamento morale di partecipazione

alle sofferenze altrui, un atteggiamento unilaterale di farsi carico delle sofferenze

altrui tipicamente cristiano, di beneficienza e di trasferimento di denaro. Mentre la

solidarietà come corpo solido che crea legami interpersonali orizzontali tra le persone

che partecipano attivamente e per scelta all’azione, è proprio dell’economia solidale.

Pur consci che la riflessione sulla solidarietà potrebbe portare ad importanti

riflessioni sul senso di comunità, ai fini della nostra riflessione vorremmo

concentrarci su tre caratteristiche della definizione di solidarietà a nostro parere

fondamentali; il vincolo sociale, la responsabilità collettiva e la coesione sociale.

La prima caratteristica è definita da Mauss dono (cit. in Godbout 1999) nel suo

“Saggio sul dono”. Mauss, antropologo, impiegò la sua vita nello studio delle società

arcaiche dove concettualizzò il dono come un sistema di scambio fondato su tre

momenti; il dare, il ricevere, il retribuire. Il primo fonda il sistema nel senso che dà

inizio all’azione; il secondo riguarda il destinatario dell’azione; l’ultimo, che in realtà

riprende la prima azione, rappresenta il vincolo di un gesto ad un altro svolto in un

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passato recente. Questo sistema è volto a costituire il vincolo, la relazione tra i

soggetti partecipanti all’azione. La mancata retribuzione non è punita ai sensi della

legge, perché non è un’obbligazione regolata da norme giuridiche, bensì da norme

sociali. In questo senso si spiega perché il dono è a servizio del vincolo sociale, nel

senso che lo arricchisce di senso. Può succedere che non ci sia alcun ritorno o che al

contrario ce ne sia uno maggiore di quello ricevuto, la cosa importante da

sottolineare a nostro parere è che questo tipo di relazioni sociali vanno oltre quelle

realizzate per interesse ma riprendono tutta una forma di socializzazione che riguarda

il quotidiano e che comunque prevede lo scambio e la retribuzione di beni. Mauss

(cit. in Godbout 1999) afferma quindi che queste forme di scambio e di esistenza

abitavano le comunità prima del nascere di qualsiasi scambio di tipo economico e

che erano la realtà quotidiana delle relazioni. Nelle pratiche di economia solidale

come vedremo si cerca di puntare molto a questo aspetto costruendo relazioni delle

quali l’individuo si senta responsabile.

La seconda caratteristica definisce l’azione solidale come soggettiva, nel senso

che ognuno è chiamato a mettersi in opera. Essa pone l’accento sull’intera società e

sulla responsabilità di ciascun individuo, distribuita quindi in maniera orizzontale.

La terza infine fa riferimento al’obiettivo finale di queste azioni che riguarda la

creazione di forti vincoli sociali che producono una forte coesione.

Bayertz (cit. in Ambrosini 2005) nel definire il nucleo della solidarietà riprende

tre elementi:

- Un legame reciproco non solo oggettivo, ma percepito e vissuto come

soggettivamente significativo dai partecipanti, che si sentono emotivamente

legati l’un l’altro e formano quindi una comunità.

- Una dimensione di mutuo aiuto in caso di bisogno.

- La legittimità della comunità in questione e dei suoi obiettivi che istituisce la

fondatezza della tutela degli interessi dei membri.

Mentre il primo aspetto ci parla di una condizione soggettiva per cui ci si sente

affiliati ad un corpo solido che ci spinge ad agire di conseguenza, la terza definizione

riprende la questione della coesione dal momento in cui la stessa solidarietà legittima

la comunità di cui facciamo parte. Possiamo dedurre che non per forza devono

esserci delle persone di uguali condizioni materiali, ci sarà infatti chi ha di più e chi

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di meno, tuttavia si esplicita chiaramente che le persone si reputano nelle stesse

condizioni e lavorano per raggiungere degli obiettivi comuni di coesione sociale.

Così la solidarietà declina un modo di porsi nella società che è diverso da quello

proposto dai canoni individualisti capitalistici, e che è molto più antico. Essa

permette di inscriversi in un nuovo immaginario che è lontano dall’individualismo a

fini egoistici di cui parla Bauman nel “La solitudine del cittadino globale” (2000),

che ci rende insicuri e fragili.

1.2. Dall’economia sociale all’economia solidale

Spesso, riferendosi alle pratiche solidali, le si identifica quasi in maniera

equivalente col nome di economia sociale o solidale. Tuttavia queste definizioni

presentano delle differenze importanti che ne definiscono i margini in maniera

chiara.

In Europa il termine di economia solidale è spesso accostato oltre che a quello

di economia sociale a quello di terzo settore, facendo riferimento sia a quelle azioni

che occupano lo spazio lasciato libero dallo Stato e dal mercato e i cui soggetti

principali sono le cooperative, le mutue, le Ong, le associazioni e fondazioni, e sia

alle esperienze dei GAS (gruppi di acquisto solidale), e dei DES (distretti di

economia solidale), pratiche di democrazia partecipativa, scambi relazionali e

sostenibilità.

Il termine di economia sociale come quello di terzo settore individua quel

complesso di istituzioni private che si collocano tra lo Stato e il mercato e che

producono però beni e servizi di destinazione pubblica. I soggetti di questo settore

sono diversi perché la domanda da soddisfare è molto variegata, non hanno quindi

una forma giuridica consolidata.

Laville (cit. in França Filho 2002:9) assume che in Europa l’economia sociale

riveste un ruolo importante nella generazione di nuovi modi di regolazione sociale

perché capace di generare forme inedite di azione pubblica. Le azioni di economia

solidale sono inserite in un quadro più ampio di economia sociale che si struttura a

partire dalla seconda metà dell’Ottocento e che coinvolge esperienza di

cooperativismo e di mutualismo all’interno di contesti informali, di resistenza

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rispetto alle logiche del mercato. Con i movimenti cooperativi infatti, i movimenti

operai della seconda metà dell’800, ci si pose in un’ottica di organizzazione civile lì

dove lo Stato sociale o il mercato non erano efficienti. Il loro obiettivo era quello di

difendere il valore reale del salario, combattere la disoccupazione, dimostrare che era

possibile lavorare senza padrone, migliorare le condizioni familiari dei soci. Furono

queste esperienze associative che per primo concepirono una idea di protezione

sociale. Questi movimenti inoltre si riunivano in cooperative per gestire i mezzi di

produzione, (latterie, mulini), dei veri e proprio nuclei di resistenza quindi. In

Germania nacquero anche le prime cooperative di credito per lottare contro l’usura e

difendere quindi i piccoli artigiani e agricoltori. Andavano costituendosi anche le

cooperative di consumo per garantire l’approvvigionamento di beni di consumo di

qualità e con un prezzo accessibile; questo dava lo stimolo per costituire anche

cooperative di produzione cooperativa.

In Italia in modo specifico nella seconda metà dell’Ottocento si delineò un

movimento operaio moderno che trova nelle società operaie di mutuo soccorso una

prima forma di aggregazione sindacale. Tali società erano fondate sulla mutualità e la

solidarietà tra i soci e su un forte legame col territorio. Lo strumento più forte che

avevano in mano per promuovere il miglioramento della loro condizione economico-

sociale era la presa di coscienza da parte dei lavoratori in merito alla propria

condizione di sfruttamento. Esistevano inoltre forme organizzate di redistribuzione

dei tributi; ogni socio infatti versava settimanalmente un contributo che gli dava il

diritto ad un’assistenza reciproca, alla mutua. Forme di previdenza auto-organizzate

insomma che miravano a colmare lì dove lo Stato non agiva e che rifiutavano le

forme proposte dal principio economico dominante, cioè quello del lavoro salariato.

Si parlava quindi di forme di economia alternativa a quelle proposte dal mercato che

miravano a proteggere le persone partecipanti al circuito economico e non solamente

alla produzione di profitto.

Laville (França Filho, Laville 2004) dice che questi movimenti furono molto

forti in Europa proprio perché fronteggiavano l’esclusione sociale di fette di

popolazione dai servizi che lo Stato doveva garantire. Si fortificarono infatti in

seguito ad una forte assenza di meccanismi di regolazione economica e politica della

società, cioè il cambiamento alla condizione salariata.

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França Filho (França Filho, Laville 2004:177) sottolinea come la

rivendicazione del diritto al lavoro che cominciava a non essere assicurato fosse il

motore di queste azioni. Questi movimenti rappresentano quindi una resistenza

popolare che si declina in diverse forme come il cooperativismo, l’associazionismo,

il mutualismo. Quando in questo momento storico si cominciò ad adulare l’utopia di

un mercato auto regolato la società si organizzò in associazioni e generò un dibattito

politico molto forte che rifiutava la divisione dell’aspetto economico da quello

sociale, politico e culturale. Un germe molto importante questo, alla luce di quello

che rappresenta oggi l’economia solidale, ma che tuttavia non la rappresenta in

pienezza.

La concezione dell’economia solidale è più ampia di quella del settore non

profit. Alle associazioni senza fini di lucro essa include un tipo di impresa, la

cooperativa, che incarna la ricerca di una terza via tra capitalismo e centralismo dello

Stato. Il fine della cooperativa è anche quello di produrre reddito per le persone

coinvolte e per promuovere la sostenibilità della cooperativa. Si inserisce quindi in

un segmento pienamente economico che cerca di costruire l’alternativa tramite la

costruzione di processi partecipativi democratici, nuovi modi di produzione,

consumo e commercializzazione volti al locale e al sostenibile.

Per França e Laville (2004) l’economia solidale in Europa è una

attualizzazione e innovazione dell’economia sociale, attraverso l’affermazione della

dimensione politica delle sue azioni. Questo bisogno di attualizzazione prende piede

dal momento in cui le forme di cooperazione prima esplicitate cominciarono ad

istituzionalizzarsi; i militanti politici furono sostituiti da professionisti che

trasformarono queste azioni in forme politiche e in questa prospettiva la solidarietà

scomparve e l’economia sociale diventò uno strumento dello Stato.

Per Laville questo processo di rinnovazione implica una:

<<Democratizzazione dell’economia a partire dagli impegni cittadini>> (cit.in França Filho, 2002:13)

Quindi una acquisizione nuova del ruolo di protagonista da parte della società

civile. Nel dizionario dell’altra economia la definizione di economia sociale è

appunto definita come:

<<Quelle attività legate ad associazioni di persone che cercano democrazia economica, associata ad utilità sociale>> (Cattani; Laville; 2006)

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Anche in questa descrizione si fa risalire la storia dell’economia sociale alle

forme di associazionismo umano non gestito da qualche potere, ma definito come

libero. Le numerose iniziative di cooperativismo e mutualismo all’inizio infatti

incarnarono questa libertà socioeconomica. I tratti comuni delle organizzazioni che la

compongono vengono così raggruppati per finalità:

- Prestazioni di servizi rivolte ai membri del gruppo o della collettività avendo

il lucro come fine secondario. In questo senso eventuali eccedenti sono un

mezzo per realizzare il servizio e non la motivazione principale dell’attività.

- Autonomia di gestione rispetto ai poteri pubblici.

- Controllo democratico attraverso i suoi soci membri

- Nella ripartizione degli utili primato delle persone e dell’oggetto sociale

rispetto al capitale.

Il segmento di azione dell’economia solidale oggi è compreso in tutte quelle

attività di sviluppo di servizi di prossimità, riabilitazione dei quartieri poveri,

commercio giusto, finanza etica, agricoltura sostenibile, gestione dei rifiuti, che

prevedono un’organizzazione della società civile per fini comuni e condivisi. Inoltre

esse oggi non prescindono mai da un’attenzione alla sostenibilità ambientale.

1.3. Verso una definizione di economia solidale

Vediamo adesso quali sono le caratteristiche che gli autori definiscono come

fondamentali per identificare le esperienze solidali. Innanzitutto per chiarire il

concetto di economia solidale, bisogna rivalutare quello di economia, pulendolo

degli appellativi e degli stereotipi che gli sono stati costruiti intorno.

Marcos Arruda, direttore dell’istituto Politiche Alternative per il Cono Sud di Rio

de Janeiro, riporta (2006:39) un pensiero di Albert Tévoédjreè e Arno Peters che

invitano il lettore a viaggiare nella Grecia classica attraverso uno scritto di Aristotele

che fa la differenza tra economia, da oikos + nomia, che significa gestione della casa,

e crematistica che sta invece solamente per arricchimento, descritta come un uso

innaturale delle abilità dell’uomo, un disordine economico.

<<L’economia è il nome che viene dato all’arte dell’acquisizione la cui attitudine è la creazione dei mezzi necessari alla sussistenza della famiglia e dello Stato. […] il secondo tipo di arte dell’acquisizione, al contrario del primo non risponde ai bisogni della natura, ma al contrario a ciò che le è

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stato artificialmente aggiunto. Questa non appartiene all’economia ma rappresenta un fenomeno a parte, la crematistica>> (Albert Tévoédjreè e Arno Peters cit in Arruda 2006:39)

L’economia quindi non è descritta come un’attitudine passiva, ma come

un’azione della gestione, del prendersi cura della casa. Questa definizione

presuppone un movimento da parte del soggetto e soprattutto un’assunzione di

responsabilità.

Arruda descrive l’economia di mercato capitalista come una relazione del

vinci-perdi (2006:67), sia tra capitale e lavoro, che tra i capitalisti, che tra i

lavoratori, che tra i produttori e i consumatori. Qualcuno ha sempre la meglio su di

un altro, una dimostrazione di forza basata sul possedimento del denaro. Una

“cultura della morte” (2006:69) che vede tutto – natura, beni comuni, esseri umani,

educazione, salute, tempo libero, fede – come uno strumento per l’accumulazione

privata della ricchezza, anche a costo di distruzione e degrado. L’economia della

solidarietà è descritta invece come una relazione vinci-vinci, in cui la forma

dell’associazionismo autogestito afferma la possibilità per l’uomo di ritornare

soggetto dell’economia, e non più marionetta in mano ad altri o alle sue stesse

creazioni: il capitale, il denaro, la ricchezza, la tecnologia, le macchine.

Mentre in quella che abbiamo descritto come crematistica il denaro è potere

anche sulla vita delle persone, nella rete solidale il denaro ha potere solo se viene

esteso tra i partecipanti e viene usato al fine di soddisfarne i bisogni, organizzando

anche una diminuzione dell’orario di lavoro per permettere una miglior fruizione

dell’aspetto sociale e culturale di cui la rete è promotrice.

Nel 1994 Laville definiva l’economia solidale come:

<<Un’unione di attività economiche la cui logica è distinta sia dalla logica di mercato che da quello dello Stato. Al contrario dell’economia capitalista, centrata sul carattere accumulato, che funziona a partire da relazioni competitive il cui obiettivo sono gli interessi individuali, l’economia solidale si organizza a partire dai fattori umani favorendo relazioni nelle quali è valorizzato il legame sociale attraverso la reciprocità e adotta forme comunitarie di proprietà. Si distingue anche dall’economia statale che suppone un’autorità centrale e forme di proprietà istituzionali >> (Laville, 1994:211)

Con Laville apprendiamo dunque che l’economia solidale è una pratica che

non afferisce né alle logiche di mercato, né a quelle dello Stato, ma che punta alla

costruzione di un corpo solido che costruisca relazioni orizzontali tra gli individui

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che decidono autonomamente di collaborare e di mettere insieme le forze riuscire in

un’azione politica.

Il comportamento economico proprio dell’economia solidale è molto vicino ai

concetti di reciprocità (Polanyi 2000) e di dono (Mauss cit in Godbout 1999). In

questi autori la reciprocità è ripresa nel senso di mutuo aiuto, ma anche in quello di

vincolo sociale come nel concetto di dono di Mauss. Reciprocità e dono vengono

analizzate da Polanyi (2000) nel libro “La grande trasformazione”.

- Mercato autoregolato

- Redistribuzione

- Reciprocità

- Economia domestica

Questi comportamenti economici sono raggruppati in tre forme di economia:

- Un’economia mercantile. Fondata sul mercato autoregolato, dall’utilitarismo,

dallo scambio basato sull’equivalenza di moneta

- Un’economia non mercantile. Fondata sul principio della redistribuzione. Una

istituzione centrale che gestisce e ridistribuisce le risorse alla collettività.

- Un’economia non monetaria. Fondata sui principi di reciprocità ed economia

domestica. Il concetto chiave è quello di dono di M. Mauss per cui i beni

circolano di maniera orizzontale.

L’economia solidale quindi si avvale delle caratteristiche di un’economia non

monetaria, ma non solo. Essa infatti produce relazioni nuove anche nei segmenti

economici, riprendendo però lo scambio benché economico non come relazione

sociale iniqua, ma come costruzione di relazione, basato quindi su reciprocità e dono.

Nelle pratiche di economia solidale inoltre si cerca di articolare la dimensione

economica con quella sociale, politica e ambientale.

<<L’insieme delle attività economiche sottomesse alla volontà di un agire democratico dove i rapporti sociali di solidarietà vincono sull’interesse individuale o sul profitto materiale; contribuisce dunque alla democratizzazione dell’economia partendo dall’impegno dei cittadini>> (Laville 1998:108)

Da questa descrizioni traspare chiaramente che un progetto solidale non solo è

economico ma anche politico e sociale, nel senso che prevede un’integrazione tra

individui preoccupati di costruire insieme, partendo da attività economiche governate

in modo democratico. L’attenzione a questioni di ingiustizia o di ineguaglianza è

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sempre crescente tra i cittadini e gli attivisti a partire dagli anni Novanta quando ci fu

l’esplosione della partecipazione. I presupposti infatti dell’agire solidale sono proprio

quelli che nascono dal basso e che mettono la persona al centro dell’agire, che

costruiscono reticoli solidali all’interno dei quali circola liberamente l’informazione.

Il presupposto poi delle pratiche di economia solidale è chiarito da Mance

quando assume che:

<<L’esercizio concreto della libertà democratica presuppone necessariamente mediazioni materiali, politiche, informativo-educative ed etiche, che devono essere garantite a tutte le persone in vista di uno sviluppo migliore delle loro rispettive qualità umane. A partire da questo presupposto la pratica economica della collaborazione solidale, così come quella politica e culturale, è concepita come mediazione per l’ampliamento dell’esercizio della libertà di quanti partecipano alle reti, poiché la finalità della vita umana non si riduce alla politica o all’economia, ma è la realizzazione del bem-viver libero, personale e sociale, che presuppone la garanzia delle mediazioni menzionate.>> (Mance 2003:16)

<<L’obiettivo del bem viver è una vita buona, che è buona se lo è anche per gli altri. Una vita buona che liberi dalla miseria e dallo sfruttamento, che garantisca a tutti di che vivere, ma nel dialogo e nella ricchezza di relazioni. Il concetto di bem-viver ha la sua radice nel concetto di “prossimità” di Emmanuel Levinas e Enrique Dussel, come “realizzazione di un rapporto etico, di un incontro delle persone che si riconoscono nelle loro differenze; un rapporto che, attraverso il dialogo, cerca una relazione di giustizia, che vede il dialogo come possibilità di incontro con gli altri>> (Mance 2010:20)

Mance (2003; 2010) assume che le pratiche solidali costruiscono un’economia

che favorisce l’esercizio della libertà delle persone, la cui vita è inserita nella cultura

del bem viver sociale ed umano, che rivaluta soprattutto il rapporto con la natura. In

questo discorso prende forma per Mance la dimensione democratico-partecipativa

delle azioni solidali.

La questione poi dello sviluppo del territorio e dalla sua emancipazione dalla

povertà non può essere rimandata solo ad una questione di denaro, ma anche e

soprattutto ad una relazione di contesto, una relazione degli aspetti sociali,

economici, politici e ambientali, relazionati in una prospettiva di “rete economica di

collaborazione solidale”.

<<Possono essere considerate da tre punti di vista: economico, politico e culturale. In questo modo vogliamo affermare che non si tratta di tre reti che si sovrappongono, ma di un’unica rete che contemporaneamente canalizza flussi le cui proprietà possono essere considerate da tre punti di vista, ed effettua azioni che concretizzano, in maggiore o minore misura, alcuni di questi elementi. Infatti, se è impossibile sviluppare qualsiasi politica senza la mediazione vincolante di elementi economici e culturali, ugualmente

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ogni azione economica suppone una certa organizzazione collettiva del potere e un insieme di mediazioni simboliche. Infine, le azioni culturali, allo stesso modo, sono intrinsecamente condizionate da elementi economici e politici>> (Mance 2001:51)

Le pratiche di economia solidale sono molteplici e profondamente influenzate

dal contesto storico in cui sono inserite.

<<L’economia solidale è un modo di organizzare la produzione, la distribuzione, il consumo e la finanza nel quale tutte le unità economiche sono possedute collettivamente dai lavoratori (nel caso delle cooperative di lavoro) o dai consumatori (nel caso del credito cooperativo o delle cooperative di abitazione).[---] Tutto è autogestito: le decisioni vengono prese insieme e ogni membro ha a disposizione un voto>> 1

Infine in questa definizione Singer ci aiuta a capire l’aspetto democratico delle

relazioni solidali che si costruiscono in maniera collettiva e orizzontale tra i membri

partecipanti. L’economia solidale quindi è un’economia che presuppone relazioni

che puntano alla coscienza di forza e alla co-costruzione della libertà.

1.4 Economia solidale: il dibattito contemporaneo

In maniera generale possiamo dire che in tutta la letteratura che la riguarda,

l’economia solidale è intesa come una forte potenza trasformatrice la realtà.

La differenza più evidente tra i vari filoni teorici è legata al ruolo che essa

riveste rispetto al sistema economico di mercato odierno e alle finalità che si

prefigge. Alcune realtà presentano un percorso all’avanguardia puntando a costruire

un’alternativa post-capitalista attraverso una struttura economica nuova, mentre altre

lavorano alla ristrutturazione dello Stato sociale inserendovi esperienze solidali

extra-economiche, culturali, ambientali. Caillé (2009) sintetizza questa differenza

utilizzando due nomi: l’approccio sostitutivo e quello complementare rispetto al

sistema economico odierno, un’economia solidale e popolare ed una sociale e

solidale. Questa distinzione può fare riferimento a diversi territori, sia quelli europei

che quelli latini e all’interno dello stesso territorio le realtà si mischiano e si

sovrappongono creando sempre nuove prospettive e sfumature.

1 Singer, direttore della Seneas, nel discorso sull’economia solidale a Rio+20

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L’approccio complementare è portato avanti dal filone teorico legato agli

studi di Polanyi (2000) e al concetto di economia plurale, e a quelli di Marcel Mauss

(cit. in França Filho 2007) e al concetto di dono. Esso include quei teorici e quelle

esperienze più vicine ad una visione improntata sulla attualizzazione dell’economia

sociale europea e sul ruolo complementare dell’economia solidale. Essa è vista

quindi come un nuovo modo di fare economia che ristruttura dall’interno l’economia

attuale. Incontriamo in questa letteratura studiosi come Paul Singer, Jean Louis

Laville, André Caillé, Genauto França Filho.

L’approccio sostitutivo è legato all’idea di un progetto politico post-

capitalista. Il ruolo che riveste l’economia solidale è quello di alternativa al

paradigma economico attuale. La comunità si auto-organizza politicamente seguendo

modelli come le reti e i forum sociali. Un gruppo di lavoro trainante questo filone è

quello dell’Istituto di Filosofia della Liberazione, di cui Euclides Mance fu uno dei

fondatori. Questo filone reputa gli argomenti solidali una rivoluzione degli oppressi

contro il capitalismo, verso una nuova via socialmente costruita attraverso una

consistente movimentazione civile. Protagonisti ulteriori di queste tesi sono autori

come Marcos Arruda, Luis Razeto, Davide Biolghini.

<<Costruzione quotidiana di nuove relazioni e di nuove società da cui sia bandita ogni forma di oppressione economica, politica e culturale>> (Mance, 2010:11)

<<Essa costituisce un tentativo di problematizzare pratiche sociali che sono messe in opera, il più delle volte localmente, per rispondere a problemi sociali. Si tratta di dimostrare che la società sperimenta e inventa qua e là, negli interstizi lasciati dalle grandi logiche dominanti o in spazi conquistati a spese delle sfere funzionali (Laville, 1998:65)

Queste due citazioni esprimono bene i molteplici orizzonti dell’economia

solidale. La prima infatti, che ci propone una visione sostitutiva rispetto al modello

economico odierno, definisce l’economia solidale come un modo per costruire nuove

relazioni non su logiche di oppressione ma su nuove logiche. È evidente quindi il

contrasto con le logiche economiche dominanti.

La seconda affermazione invece lascia trasparire la visione plurale del pensiero di

Laville che vede l’economia solidale solo una forma dell’economia, che costruisce

negli spazi lasciati liberi dalle logiche dominanti, specialmente a livello locale e che

interessa il territorio e il cittadino da più vicino in una logica di ricostruzione delle

relazioni economiche e sociali.

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Distinguere tra questi due filoni ha fini di studio perché nella realtà queste

esperienze si confondono e si mescolano in diversi modi dando luogo ad esperienze

sempre nuove, in accordo con la creatività del territorio che le concepisce. Questo è

tanto più valido quando si guarda a queste esperienze dal punto di vista della

metodologia; esse infatti si avvalgono di strumenti più o meno uguali.

Il filone teorico dell’economia solidale che considera maggiormente l’aspetto

antropologico e sociale delle esperienze pone una prospettiva trasversale nel senso

che propone una divisione tra diverse forme di economia e che l’economia solidale le

abbracci tutte. La definizione appropriata è proprio quella di economia plurale di cui

ci parla Laville. Essa è quella forma di economia che prende in considerazione la

pluralità delle forme di produzione e distribuzione della ricchezza. In altre parole,

riprendendo Polanyi, l’economia plurale vedrebbe la collaborazione dell’economia

mercantile, quella non mercantile e quella non monetaria.

L’economia non monetaria è quella che per il filone socio economico è il

grembo nel quale coltivare le esperienze solidali. Queste pratiche infatti nella realtà

si avvalgono di tutte queste esperienze insieme, di mercato, di redistribuzione e di

logiche di dono, combinandole di maniera differente per costruire la base di un’altra

economia.

<<Servizi solidali in Francia, cooperative sociali in Italia, ma anche movimento popolare in America Latina, movimento comunitario nell’America del Nord, […] queste microazioni collettive diversificate […] propongono di reinserire la solidarietà nel cuore dell’economia invece di correggerne gli effetti secondo i metodi propri dello Stato sociale […] tutte microazioni collettive […] che propongono di ritessere la solidarietà nel cuore dell’economia invece di correggerne gli effetti secondo i metodi propri dello Stato sociale >> (Laville, 1998:140)

In questa descrizione è chiara la differenza con l’approccio post-capitalista che

assume le esperienze solidali come l’alternativa all’economia capitalista.

La prospettiva post-capitalista invece propone pratiche che organizzino sistemi

economici su basi nuove, inclusive e democratiche, diverse dall’economia di

mercato. Per cogliere ancora più chiaramente questa distinzione concludiamo con un

pezzo tratto dal libro di Mance:

<<Se da un lato la produzione capitalistica ha bisogno di una quantità minore di lavoratori stipendiati per produrre una quantità sempre maggiore di merci ad un costo sempre più basso, dall’altro gli esclusi iniziano il processo di gestazione di nuovi rapporti di produzione centrati sulla

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collaborazione solidale, proponendosi di soddisfare le proprie necessità>> (Mance 2001:32)

Mance demanda quindi il potere di cambiamento alle fasce più deboli, agli

esclusi, al mondo dei poveri come direbbe Razeto (2003), che possono sopravvivere

al capitale solo promuovendo il consumo solidale. Una volta che saranno integrati

nel sistema di reti saranno capaci di produrre alternativa nella prospettiva del bem

viver.

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Secondo Capitolo

ELEMENTI COSTITUTIVI DELL’ECONOMIA SOLIDALE NEL

DIBATTITO TEORICO

Una pratica di economia solidale presenta in maniera concomitante alcune

importanti caratteristiche. Innanzitutto una particolare concezione del lavoro e della

relazione sociale, all’interno della quale si cercano di costruire procedimenti

democratici e partecipativi, con il potere parallelamente distribuito tra le persone

partecipanti. Questa nuova forma di partecipazione implica una nuova relazione con

lo Stato e con i meccanismi di fruizione dei servizi sul territorio.

2.1. Lavoro e redistribuzione

Alcuni autori (Mance, Arruda, Razeto) assumono che non possono esserci delle

trasformazioni sociali senza trasformazioni economiche e soprattutto culturali, ma

sono soprattutto propositori dell’idea secondo cui il cambiamento di prospettiva

rispetto al lavoro è l’unica soluzione che porta ad un cambiamento di paradigma

reale.

Nella cultura dell’economia della solidarietà per Arruda c’è “un’etica

costruttiva” (2006:68) per cui è buono tutto ciò che ci aiuta a condividere i mezzi

della sopravvivenza e la ricchezza con gli altri.

Una vita, come afferma Mance (2010) volta al bem viver che attraverso la

collaborazione solidale costruisce l’alternativa alla globalizzazione capitalistica,

puntando alla distribuzione della ricchezza invece della concentrazione dei capitali.

Egli scrive che:

<<Il capitalista per indurre gli individui a consumare forzosamente o in modo alienato, in funzione del proprio interesse privato, è costretto a ridurre il prezzo delle merci che vende per conquistare il mercato o a produrre soggettività che consumino i suoi prodotti. Con l’innovazione tecnologica e la crescita della disoccupazione, le industrie distribuiscono sempre meno risorse in forma di salario e aumentano l’accumulazione delle eccedenze, visto che c’è la concentrazione del capitale. In senso completamente opposto la rete solidale per crescere continuamente ha bisogno di distribuire sempre più la ricchezza prodotta, incorporando un numero progressivamente maggiore di lavoratori riducendo a poco a poco l’orario di lavoro>>

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Secondo Razeto, filosofo e sociologo cileno, per il settore privato il fattore

organizzativo è il capitale, per il settore pubblico è l’amministrazione pubblica, e per

l’economia solidale è il lavoro. La concezione del lavoro è uno degli aspetti peculiari

dell’economia solidale perché cerca di riproporre la figura dell’uomo al centro e di

contrastare gli effetti dannosi dell’economia capitalista, considerando l’economia

solidale come un’alternativa economia del lavoro, in opposizione all’economia

capitalista.

Com’è noto il capitalismo è un modo di produzione che si basa

sull’accumulazione privata del profitto da parte dei capitalisti. Il capitale è pluslavoro

accumulato all’interno di un determinato rapporto sociale, tra proprietari dei mezzi di

produzione e salariati. Esso viene immesso in un processo di produzione per

ricavarne un profitto che è l’appropriazione privata da parte del capitalista di un

pluslavoro e quindi plusvalore generato dal lavoro.

Riconoscendo nel capitale la ragione dell’esasperazione del sistema economico

odierno le esperienze solidali propongono una tipologia di redistribuzione del valore

e del lavoro all’interno della comunità stessa.

<<L’obiettivo principale di una rete solidale è creare lavoro e reddito per persone disoccupate e marginalizzate o che desiderino costruire nuove relazioni produttive, migliorando i modelli di consumo di tutti i componenti la rete stessa, proteggere l’ambiente e costruire una nuova società in cui non ci sia sfruttamento degli esseri umani e distruzione dell’equilibrio ecologico>> (Mance, 2003:131)

<<Nella distribuzione dei prodotti economici tra i vari membri della comunità e le diverse famiglie e comunità che costituiscono un popolo economicamente integrato, non predominano i rapporti commerciali, ma piuttosto rapporti di scambio reciproco, che mirano a un’equilibrata soddisfazione dei bisogni fondamentali di tutti, riconosciuti come ugualmente necessari per la vita, la conservazione e la riproduzione della comunità nel tempo>>(Razeto 2003:148)

Nelle prospettive teoriche di Mance una rete ha diverse possibilità per

sostenersi. Una delle forme più utilizzate per l’autofinanziamento è quella del

found raising, che può essere impiegato poi nella costruzione di centri

comunitari, asili, orfanotrofi, ospedali, etc,. Inoltre ogni cellula della rete,

proporzionalmente alle eccedenze realizzate, partecipa alla costruzione di un

fondo locale che ha come fine primario l’espansione della rete nel suo insieme.

Le eccedenze quindi non sono accumulate ma ridistribuite nella rete col fine di

rafforzarla con nuove iniziative che diversificano la produzione per ridurre i

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prodotti comprati dal mercato capitalista favorendone l’accumulazione. In

sequenza questa forma di finanziamento genera nuove cellule. Mance riporta

come caso pratico le esperienze delle banche del popolo, cioè delle istituzioni

finanziarie di microcredito che corrispondono denaro a gruppi solidali o

persone della comunità. In Italia possiamo parlare di Banca Etica, in Svizzera

di Alternative Bank Schweiz, delle Ökobank in Germania, di Triodosbank nei

Paesi Bassi, di Cre$ol in Brasile.

È interessante notare che il microcredito delle banche del popolo non è

corrisposto alle persone in una condizione di unilateralità, ma piuttosto è un sostegno

affinché le popolazioni locali prendano in consegna la loro condizione e lavorino per

migliorarla. Le banche del popolo infatti non funzionano come le banche normali,

ma hanno delle linee di finanziamento particolari che presuppongono innanzitutto la

costruzione di una relazione tra il tecnico che concede il credito e la persona, per

ridurre al minimo le inadempienze. Le linee di finanziamento possono essere per il

consumo o per la produzione. In questo modo si ha una distribuzione del reddito

nella comunità che si organizza per costruire attività nei settori dove mancano e

sostenere comunque il consumo e la circolazione di moneta sociale all’interno della

comunità.

2.2. Democrazia e rapporti col potere pubblico

Le esperienze di cooperativismo e di movimenti operai della seconda metà

dell’800 per França Filho (2004) sono un embrione della concezione di solidarietà

insita nella funzione redistributiva dello Stato. Molte forme da loro utilizzate infatti

saranno poi integrate dallo Stato.

Parafrasando Laville la democratizzazione della società è il prodotto di azioni

collettive, dell’auto-organizzazione e del movimento sociale. Essa suppone una

parità di diritto tra le persone che sono coinvolte partendo dalla libertà di accesso per

tutti i cittadini allo spazio pubblico, e si sforza di aumentare la democrazia politica

attraverso quella economica e sociale. Questo tipo di democrazia è quello che rende

solidale l’economia.

Alla base della solidarietà delineata da Laville, ritroviamo quella valenza

politica che si riferisce all’esercizio della cittadinanza, alla responsabilità e alla

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libertà propria dei movimenti solidali, legati ad un contesto di resistenza al

capitalismo e alla finanziarizzazione. Essa nega l’assunto secondo cui i meccanismi e

i servizi del mercato concorrenziale siano superiori rispetto ai servizi pubblici, che

tendono quindi ad essere privatizzati in nome dell’efficienza economica. La

protezione sociale è mercificata e questo mette a rischio moltissime persone visto

l’aggravamento delle disuguaglianze. I meno capaci di sopravvivere vengono espulsi

dai meccanismi di protezione, e non viene garantito il diritto alla salute,

all’educazione per chi non può competere sul mercato comprando i servizi.

L’economia sembra quindi sganciarsi dal campo sociale e politico che prima

l’avevano inquadrata e va integrandosi sempre più come unico strumento di

regolazione sociale, disembeddedment (Polanyi, 1983:53-54).

In questo contesto magmatico assume notevole importanza il valore che

l’economia solidale attribuisce al lavoro che nell’economia odierna è considerato

come una variabile flessibile.

Un altro valore importante è quello legato alla presa di coscienza civile,

riguardo l’ambiente e i rischi legati alla sopravvivenza della sua popolazione. In un

contesto di mercificazione delle vita sociale e di indebolimento delle regolazioni

statali, l’economia solidale costituisce una riappropriazione delle questioni

economiche da parte della cittadinanza. Ne sono esperienze evidenti quelle dei Gas e

Res italiani, delle esperienze solidali di produzione e consumo in Francia, i servizi

comunitari di quartiere; esperienze che realizzano un nuovo modo di vivere, che

mettono l’accento su una nuova qualità di vita.

Esperienze come quelle dei Gas mirano a costruire un’economia alternativa

che possa sostituirsi all’economia attuale creando filiere di autogestione e di giustizia

per quanto riguarda il prezzo e la qualità dei prodotti commerciati. Queste esperienze

dei Gas sono molto impregnate di una visione che presenta l’economia solidale come

una concezione di doposviluppo, cioè come azione de-globalizzante che parli di a-

crescita, come afferma Latouche.

<<Più che di de-crescita bisognerebbe parlare di a-crescita, così come parliamo di a-teismo, poiché si tratta di abbandonare una fede e una religione: quella dell’economia, della crescita, del progresso e dello sviluppo. Decrescita è semplicemente uno slogan che raccoglie gruppi e individui che hanno formulato una critica radicale dello sviluppo e sono interessati a individuare gli elementi di un progetto alternativo per una politica del dopo sviluppo. È dunque una proposta per riaprire lo spazio dell’inventiva e della

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creatività dell’immaginario, bloccato dal totalitarismo economicista, sviluppista e progressista>> (Latouche 2009:11)

L’economia solidale in generale come paradigma economico propone un

modello di sviluppo alternativo a quello capitalista che tiene conto della dignità dei

lavoratori, della parità di genere, della sostenibilità ambientale, economica e sociale

di ogni azione.

In un contesto di dopo sviluppo è molto importante determinare che posto

riveste lo Stato. Mance, rispetto alla collaborazione tra cittadini e Stato, sottolinea

che è importante ricordare sempre che lo Stato è formato dai cittadini che

interagiscono democraticamente. Egli definisce questo spazio settore pubblico non

statale:

<<Una sfera di relazioni nella società civile in cui si realizzano innumerevoli azioni volte a garantire i supporti materiali, politici e culturali indispensabili all’affermazione delle libertà pubbliche e private, mediante la promozione del bene comune>>(Mance, 2003:22)

Mance quindi afferma che ci deve essere collaborazione con lo Stato, proprio

perché è formato da cittadini. La presenza di un’entità pubblica è importante perché è

possibile spendere per il pubblico, per mettere a disposizione servizi pubblici.

Facendo così aumenta anche il reddito dello Stato e le persone possono essere capaci

di spendere. Chi non è inserito nei circoli di economia solidale deve comunque avere

un sostentamento. Anche le pensioni aiutano le piccole imprenditorie nel senso che

sono di sostegno alle persone.

Differente è la prospettiva dell’economia plurale che vede le tre forme di

stato, mercato e reciprocità e domesticità in equilibrio.

La presenza dello Stato pone l’accento su un altro importante tema che è

quello della gestione dello spazio pubblico. Quello che occupa l’economia solidale è

molto variegato, coprendo una serie di funzioni in campi come quello della salute,

dell’educazione, e della preservazione ambientale. Essa diventa un campo di azione

nel quale attori diversi inventano alternative economiche e politiche innovative per la

risoluzione di problemi quotidiani del territorio con il quale si relazionano.

Questo fenomeno fa si che si realizzi una democratizzazione delle relazioni di

produzione e si favoriscano processi di autogestione; si affermi quindi un nuovo

spazio pubblico all’interno del quale queste esperienze crescono e si confrontano. In

questo senso l’economia solidale propone nuove strade alla formazione di nuove

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esperienze che abbiano un nuovo rapporto con il lavoro e che preveda una fruizione

dello spazio pubblico da parte di tutti come protagonisti responsabili.

Una così determinata caratterizzazione della solidarietà non fa trasparire una

relazione caritatevole unilaterale tra chi ha di più e chi ha di meno, ma una

condizione politica di costruzione dello spazio pubblico. Questa differenza è

fondamentale perché le esperienze non diventino stampella del terzo settore cercando

di sopperire solo dove lo Stato non funziona creando dei servizi alternativi.

2.3. Reti

Le reti sono le forme di organizzazione per eccellenza dei movimenti oggi e si

estendono a diversi livelli: locale, regionale, nazionale e internazionale. I movimenti

solidali si avvalgono di questo strumento anche per lo scambio e la diffusione di

esperienze. L’economia solidale come definizione prende forma nei forum sociali

mondiali, soprattutto in quello tenutosi a Porto Alegre nel 2002 che fu un insieme di

reti di movimenti. Venne intesa come una forza capace di richiamare all’ordine tutte

le forze della società sbrindellate e affaticate dal potere economico capitalista e per

questo capace di costruire il nuovo che consta proprio dei legami solidali in reti

all’interno del mondo economico2. In una parola costruire rete significa abolire la

divisione tra mondo economico e sociale, politico e ambientale, ma anche significa

costruire movimenti sociali forti ed estesi.

La solidarietà che si realizza in queste reti ha come fine quello di tenere insieme i

membri della società; il concetto di solidus, cioè di un corpo che lavora unito per

perseguire un fine, è l’obiettivo reale che si dirama tra i nodi della rete. Questo si

capisce dal sentimento di solidarietà che si respira nelle piccole comunità che

sviluppano realtà solidali; esse tendono a coinvolgere grosse fette di popolazione a

lavorare insieme per un unico obiettivo cercando di cooperare insieme per la vita

dell’insieme sociale da cui dipendono. Questo non deve lasciare intendere che i

rapporti tra le persone siano utopici perché altrimenti si rischia di proporre un

modello inesistente. Si vuole intendere piuttosto che il presupposto è quello di

generare solidarietà nei legami. La relazione inscritta nell’economia solidale mette in

2 Dal forum sociale mondiale al forum brasiliano di economia solidale. Relazione della plenaria brasiliana di economia solidale. Gtbes-Fsm (2002) San Paolo

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rete non solo le attitudini e le aspettative di ognuno rispetto al futuro, ma producendo

proprio il legame costituisce un flusso continuo di riflessione che è il concime

necessario al cambiamento. Tutto questo quindi si riassume nel concetto di rete, cioè

di una messa in relazione di diversi nodi integrati tra di loro, che produce

innovazione.

Il concetto di rete è molto utilizzato dalle organizzazioni oggi giorno come

strumento capace di mettere insieme le diverse organizzazioni all’interno di forum e

coordinamenti impegnati in precise azioni di produzione, consumo e commercio.

Con la rivoluzione di internet degli anni Novanta poi il concetto di rete ha assunto

una declinazione particolare nel senso di strumento di comunicazione informatica

atta a sviluppare forme di collegamento sempre più articolate. Essa descrive:

<<Un’articolazione fra diverse unità che, attraverso alcuni contatti, scambiano elementi fra di loro, rafforzandosi reciprocamente, e che si possono moltiplicare in nuove unità le quali, a loro volta, rafforzano tutto l’insieme nella misura in cui sono rafforzate da esso, permettendogli di espandersi in nuove unità o di mantenersi in un equilibrio sostenibile>> (Mance 2001:24)

Per Mance la rete è un sistema autopoietico, cioè che si auto-riproduce. Proprio

il collegamento tra i diversi nodi fa si che essi si rafforzino l’uno con l’altro e

favoriscano la nascita di nuovi. Questo succede quando ad esempio i movimenti si

estendono ad altre città; questo permette di ampliare e consolidare le lotte in cui

ciascun movimento è impegnato e al tempo stesso potenziare la lotta comune verso

un cambiamento di paradigma. Il secondo principio è l’intensità che definisce il

grado di coinvolgimento delle persone in un luogo specifico. Infatti più la rete riesce

a coinvolgere le persone nel luogo in cui opera più è coesa e forte, capace di dar vita

ad altri nodi. Il principio di estensione intende proprio quel processo per cui la rete

tende a creare nuovi nodi in territori nuovi. La crescita della rete è condizionata

soprattutto in modo particolare dai principi di diversità, integralità e alimentazione.

<<Ciascun nodo della rete rappresenta un’unità e ciascun filo un canale, per cui queste unità si articolano attraverso i diversi flussi >> (Mance 2001:24)

Essa si costruisce in maniera tale da favorire la connessione solidale tra i

diversi movimenti che la compongono e questi sono chiamati quindi a collaborare

alla distribuzione delle risorse mantenendo un costante flusso tra di essi. In questo

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senso integralità significa che i diversi obiettivi sono riconosciuti dall’insieme della

rete. Così le rivendicazioni dei diversi movimenti si intersecano nell’obiettivo

comune e nessuna è marginale o debole, ma assume la stessa importanza.

Alimentazione infine è proprio quel processo per cui si generano nuovi nodi

connessi.

Come si può notare il concetto del rafforzarsi reciprocamente è centrale,

presente anche nel concetto di solidarietà. È interessante rilevare come la rete sia uno

strumento di connessione tra le organizzazioni di produzione e consumo e che

produce innovazione creando connessioni sempre più articolate anche in altri campi

sganciati dalle logiche dell’economia capitalista. In questo senso si può produrre un

immaginario innovativo e alternativo.

Il concetto di rete è un concetto chiave dell’economia popolare. In essa infatti

le reti di legami solidali tessute all’interno di gruppi primari comunitari sono molto

forti. França Filho ce ne presenta un esempio molto forte, quello del mutirão.

<<Il Mutirão è una forma di auto-organizzazione popolare e comunitaria per la concretizzazione di progetti o per la risoluzione di problemi pubblici concreti vissuti dalle persone nel loro quotidiano. Consiste nell’associare l’insieme degli abitanti di una comunità nella realizzazione di propri progetti collettivi. Un esempio può essere la costruzione delle abitazioni. Si tratta di attività che sono indissociabili dalla vita sociale del quartiere. Alla fine del giorno è abitudine che esso termini in una grande festa collettiva popolare, marcata in generale dalla feijoada (fagiolata)>> (França Filho, 2006:59)

Questa ultima definizione introduce un elemento nuovo che è la concezione

non-monetaria degli scambi, tipica dell’economia popolare. È un elemento che

caratterizza alcune esperienza, ma non tutte. Infatti esiste un’idea di rete che ha come

obiettivo quello di collegare imprese produttive che possano produrre denaro e

sviluppo per il territorio, presente nelle descrizioni delle cellule produttive costituite

in reti di cui parla Mance.

Un altro aspetto importante delle reti è quello sottolineato da Laville (1998)

che parla di libertà positiva; l’individuo impegnato in un’esperienza solidale crea

capitale sociale e partecipa volontariamente alla costruzione cooperativa di una rete

di relazioni. Questa libertà è un impulso alla reciprocità che valorizza il legame

sociale. Questo capitale sociale genera un riconoscimento reciproco e una fiducia tra

le parti. Nella rete infatti vengono rafforzate le energie di ogni nodo, in modo da

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permettere una connessione tale da rendere reale e alla portata di tutti la diffusione

delle informazioni e delle buone pratiche.

2.4. Consumo solidale

Mance (2001) descrive un modello di produzione e consumo innovativo, la

rete economica della collaborazione solidale, nel quale le masse impoverite dalle

politiche neoliberali trovano una possibile via d’azione. La concezione di rete in

Mance è molto importante, perché viene articolata in tutta la sua diversità e

estensione.

L’unità di base della rete è la cellula e ciò che permette di creare rete è il

collegamento tra queste attraverso movimenti di consumo e produzione. Ogni cellula

produttiva infatti è innanzitutto una cellula di consumo. Questa è una differenza con

il mercato capitalistico perché mentre lì è la produzione che produce la domanda per

soddisfare un bisogno di produzione legato al profitto, nella cellula sono presenti sia

consumo finale, cioè le domande del consumatore finale, e sia quello produttivo, vale

a dire relativo alle risorse produttive. Questo meccanismo permette che la rete di

estenda e si generino altre cellule, in sintesi si permette l’auto-poiesi della rete.

Riportiamo un esempio tratto dal libro di Mance con l’intento di chiarire

quest’idea:

<<Il consumo di un piatto di pasta durante un pranzo è consumo finale, mentre il consumo di farina, uova, olio, sale, energia elettrica, prodotti per le pulizie, etc, richiesto dalla cellula che produce pasta è consumo produttivo, poiché questi elementi vengono consumati nell’elaborazione di un nuovo bene o prodotto. Il medesimo prodotto, a determinate condizioni, può soddisfare sia un consumo finale che un consumo produttivo, come accade con le uova, l’olio, i prodotti per la pulizia dell’esempio citato, che potrebbero servire anche al consumo finale>> Mance (2001:53)

I principi poi della rete descritti sopra ci ricordano che affinché la rete si

rafforzi c’è bisogno che le cellule si differenzino e interessino il soddisfacimento di

consumi sempre più diversificati sul territorio.

In questa prospettiva il consumo è inteso come soddisfacimento di necessità

naturali e biologiche, ma anche culturali, che ciascuna società produce secondo il

proprio modello di vita. Non bisogna quindi intendere per consumo quello inteso

all’interno delle economie capitaliste. La delocalizzazione infatti e la produzione

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industriale non riportano nulla del territorio in cui sono iscritte ma producono solo al

fine di vendere.

Il consumo inteso nelle cellule è quindi detto solidale. Mance distingue infatti

tra tre diverse modalità di consumo: alienante, forzoso, come mediazione del bem

viver. Il consumo solidale è una specificazione della terza modalità. Analizzandole

nel dettaglio possiamo vedere come il consumo alienante sia quello dell’attuale

sistema economico. Mance definisce questo tipo di merci come capaci di una

<<mediazione semiotica>> (Mance 2001:26) nel senso che le persone riconoscono

nelle merci qualcosa in più delle qualità oggettive; riversano nel consumo

insoddisfazioni legate alla vita e sperano che comprando una determinata merce

possano comprare anche la felicità, il successo professionale e il prestigio. Alcune

merci vengono comprate più di altre non perché più utili ma perché più capaci di

essere mediatrici di messaggi pubblicitari coercitivi rispetto all’acquisto. Il consumo

forzoso riguarda i poveri e i marginali che non dispongono di risorse da poter

consumare. Essi tendono a comprare generi quantitativamente sufficienti e della

migliore qualità in relazione alle risorse che dispongono, acquistando quindi beni

non sempre salutari, come l’economico junk food, né molto educativi come le varie

telenovelas, fiacca anime. Essi comprano prodotti non utili ma che emulano le classi

più agiate, che raffigurano l’appartenenza di classe.

Infine la terza modalità è quella che pone al primo posto la conservazione

della salute e del benessere personale piuttosto che il soddisfacimento di immaginari

collettivi. Soprattutto non è un consumo omologato perché ciò che può essere

importante per qualcuno può non esserlo per un altro. I soggetti coinvolti sono spinti

ad approfondire una certa criticità per affinare i criteri di valutazione in base ai quali

selezionare gli oggetti da consumare approfondendo l’attenzione al benessere della

vita.

Una particolare specifica ne è il consumo solidale, quando cioè ci si riferisce

al bem viver non solo personale ma collettivo. L’intento diviene quello di preservare

l’ambiente e non favorire lo sfruttamento dei lavoratori, rispetto all’ecosistema e alla

società in genere. Benché a volte la scelta non cada sul prodotto di qualità migliore,

ciò che rimane più importante è che la persona che l’ha prodotto abbia la possibilità

di continuare a vivere del proprio lavoro con dignità e che non si abbiano impatti

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sull’ambiente. Questo tipo di consumo è ciò che muove i Gas (Gruppi di Acquisto

Solidale) ad esempio, ma anche tantissime organizzazioni in Brasile in cui si

fabbricano prodotti di prima necessità in regime di cooperazione.

2.5. Liberazione degli oppressi

In tutti i filoni teorici del Sud America, affiancato al tema della costruzione della

cittadinanza è sempre presente il tema della liberazione degli oppressi (Freire 2011),

che trova le sue basi filosofiche e concettuali anche nella Teologia della Liberazione.

All’interno di questo filone prende forma il termine bem viver che sintetizza la

relazione che intercorre sia tra le persone, che tra le persone e l’ambiente e che

Mance intesse all’interno della più ampia riflessione della Filosofia della

Liberazione. Un concetto chiave della Filosofia della Liberazione dice che

<<nessuno libera nessuno, nessuno si libera da solo, ma tutti si liberano insieme>>.

La Teologia della Liberazione è una corrente di pensiero cristiano-cattolica

sviluppatasi in America latina negli anni ‘70, che valorizza i valori di emancipazione

politica e sociale interni al messaggio cristiano. Approcciando questa riflessione

Mance e altri studiosi brasiliani fondano l’istituto di Filosofia della Liberazione, un

istituto di ricerca pedagogica e filosofica brasiliano che si occupa di divulgare le

riflessioni sulla liberazione degli oppressi dal capitale. Così si può meglio

comprendere il significato dell’espressione bem viver all’interno della cornice

dell’economia solidale. Esso traduce il principio chiave della Filosofia della

Liberazione che è la liberazione degli oppressi, la sola etica possibile in un processo

di costruzione di una nuova identità. Egli (2003) assume che per parlare di bem viver

è necessario nominare la dimensione collettiva della libertà, nel senso che se si vuole

parlare di vita in pienezza si deve realizzare la piena libertà di tutti e di ciascuno

coniugandone la dimensione pubblica e privata.

<<La collaborazione solidale è sia un’attitudine etica che orienta la nostra vita, sia una posizione politica di fronte alla società in cui siamo inseriti>> (Mance, 2003)

Della costruzione del bem viver infatti per Mance ognuno è responsabile e la

solidarietà nasce dall’incontro umano tra le persone che realizzano il bem viver nella

vita di tutti i giorni.

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Gli oppressi sono identificati da Razeto (2003) come quella fetta di popolazione

che non è riuscita ad integrarsi nella vita moderna con le infrastrutture urbane e

produttive tipiche dell’epoca industriale. Tale emarginazione è causata dalla

riorganizzazione dell’economia e della struttura sociale in seguito all’espansione

industriale che ha emarginato le tradizionali attività di produzione, distribuzione e

consumo, disarticolando il tessuto sociale. Razeto individua nelle organizzazioni

economiche popolari una forma di resistenza a tutto questo e ne evidenzia dieci

caratteristiche: si sviluppano nei settori poveri; sono esperienze associative di piccoli

gruppi e comunità; sono forme di organizzazione proprio perché organizzano

puntualmente le risorse e i mezzi; sono entità economiche, benché indirizzino le loro

attività verso altre dimensioni della vita sociale; la loro azione è diretta, cioè cercano

di soddisfare i propri bisogni utilizzando le proprie risorse; le loro azioni implicano

relazioni e valori solidali; sono organizzazioni partecipative, democratiche,

autogestite e autonome; sono integrali nel senso che non si dedicano ad una sola

attività; sono diverse e alternative rispetto alle forme organizzative predominanti;

cercano di superare l’emarginazione e l’isolamento tramite ordinamenti e reti.

Queste realtà quindi creano strumenti necessari per un processo pedagogico di

uscita dalle trame dell’economia con riferimento unico all’economia capitalista che

accumula privatamente marginalizzando la maggior parte della popolazione,

costringendola allo stremo.

Euclides Mance (2010) considera una tappa fondamentale del processo di

cambiamento di paradigma quella dell’educazione solidale, che è proprio una delle

condizioni necessarie all’esercizio della libertà umana. Definendo quindi questo

progetto pedagogico stabilisce l’economia solidale come progetto innanzitutto

politico e poi economico. È così importante questo aspetto pedagogico che nel suo

libro, “Organizzare reti solidali: strategie e strumenti per un altro sviluppo” egli

dedica il primo capitolo alla questione pedagogico educativa, come primo passo

possibile per il cambiamento.

<<Un movimento che abbia una forte capacità di mobilitazione per lotte specifiche, ma che conquistato l’obiettivo immediato non abbia una base organizzativa e non promuova la coscientizzazione dei suoi partecipanti, risulterà inefficiente nell’asse strategico della sua azione: costruire l’egemonia della cittadinanza>> (Mance, 2003:29)

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Questo concetto di educazione come valore pedagogico è molto forte anche

perché riguarda il discorso dell’ambiente, della solidarietà, del bem viver. La

liberazione dall’oppressione passa quindi anche e soprattutto per la coscientizzazione

di cui egli parla, che si costruisce di un approccio multidisciplinare della vita.

<<La costruzione di un mondo nuovo in cui ognuno può contribuire al bem viver di tutti e di tutte per mezzo di pratiche economiche e sociali solidali rappresenta l’affermazione della libertà umana>> (Mance, 2003)

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Terzo Capitolo

BRASILE, ANIME A CONFRONTO

3.1. Neoliberismo e povertà mondiale

Il contesto storico ed economico ha prodotto nella realtà moltissime differenze tra

le esperienze solidali in Europa ed in America Latina. Se è vero che la svolta prende

piede sempre in condizioni inaspettate, è proprio il contesto neoliberale che in

Brasile favorisce l’emergere ed il rafforzarsi delle pratiche di economia solidale che

cominciano a strutturarsi come forme di resistenza alle condizioni dettate dal

neoliberalismo. Negli anni Ottanta infatti emergono importanti protagonisti a livello

globale, i movimenti sociali, che in Brasile si strutturano in maniera importante e

capillare, come i movimenti contadini, quelli operai che occupano le fabbriche, dei

Sem Terra, ambientalisti, studenteschi, femministi e per la parità di genere.

Mentre in Europa non abbiamo riscontrato una diretta relazione tra le

conseguenze dell’impoverimento causate dalle politiche neoliberiste attuate a livello

internazionale e la nascita e il rafforzamento delle pratiche solidali, in America

Latina e in Brasile riscontriamo moltissime correlazioni soprattutto nella

strutturazione sempre più definita dei movimenti sociali che fanno sentire la loro

voce contro l’esclusione dei meccanismi di mercato capitalisti e per il

riconoscimento dell’identità del Brasile a partire dai movimenti indigeni e dalle

tradizioni del paese.

L’economia solidale rappresenta una forma di sviluppo delle comunità più

povere brasiliane che non ottenendo spazi nei circuiti dei mercati globali, se non di

sfruttamento, creano circuiti locali di sviluppo, all’interno di forme di

democratizzazione del lavoro e della vita sociale.

A partire dagli anni Settanta ci fu una ristrutturazione economica e politica del

sistema-mondo. Negli anni Ottanta cominciò ad evolversi un sistema politico ed

economico neoliberista. A livello internazionale si crearono condizioni di estrema

povertà in quanto questo sistema comportò un irrigidimento della spesa pubblica. La

forte propensione a liberalizzare inoltre pregiudicò l’accesso ai servizi di assistenza e

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previdenza pubblica che smisero quindi di crescere portandosi giù anche la stabilità

economica delle famiglie e il loro reddito.

Questo equilibrio globale mutò definitivamente negli anni Novanta;

simbolicamente il 1989, col crollo del muro di Berlino, ci trasporta in una nuova

epoca segnata da una serie di conflitti riguardanti il controllo delle fonti energetiche.

Il pensiero neoliberista aggredì gli assunti keynesiani che prevedono

l’intervento statale, identificando in questi la causa del deficit. Il mercato, libero da

interferenze quali i sindacati e il welfare state in generale, può garantire il massimo

sviluppo delle condizioni date favorendo le imprese, riducendo i salari,

ridimensionando il welfare state, privatizzando i servizi pubblici.

Aggiunta a queste politiche inoltre la forte innovazione tecnologica accelerò

di molto i tempi del cambiamento. I cambiamenti si sono prodotti in maniera più

veloce e integrata, producendo trasformazioni con effetti in tutti i campi della vita

umana; l’automazione ha sconvolto la vita negli uffici, il toyotismo (Fiocco 1998) ha

impattato sull’organizzazione del processo lavorativo nelle fabbriche, le

comunicazioni a grande distanza sono aumentate.

Dagli anni Ottanta si è poi assistito ad una forte integrazione del sistema

economico globale e il mercato finanziario ne è la creatura più importante; egli ha

accresciuto le possibilità di pochi di arricchirsi allargando sempre il più il gap tra

economia reale e economia fittizia finanziaria. Il capitale finanziario dà il via al

processo che molti economisti chiamano finanziarizzazione dell’economia o sistema

“post-fordista” (Laville 1998; Fiocco 1998): un progressivo sganciamento

dell’economia dalla realtà. Protagoniste di questo cambiamento sono le

multinazionali che mirarono a generare profitti attraverso due importanti processi: la

delocalizzazione della produzione nelle zone nel Sud del mondo col fine di

massimizzare il profitto visto la debole difesa dei diritti umani e dell’ecosistema e la

sua razionalizzazione, con la conseguente flessibilizzazione del mercato del lavoro.

Cambiamenti questi indissolubilmente legati a quelli attuati in campo politico in

senso neo-liberale. Infine troviamo le diverse organizzazioni internazionali che

imbrigliano il commercio globale nelle logiche del profitto. Questa integrazione

globale ha variegato ancora di più il bisogno di consumismo, costruendo il mondo

come un grande centro commerciale.

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Sicuramente questo periodo è significato un evidente avanzo scientifico e un

progresso umano nell’utilizzo della tecnologia. Tuttavia lo sprigionamento di queste

libertà, di movimento e di comunicazione, non ha però riguardato tutte le fasce di

popolazione ma solo chi era capace di entrare nel mercato. Si è andata sviluppando

dunque una popolazione ai margini del mercato, disoccupata, che ha visto peggiorare

le condizioni di vita e calpestati i propri diritti, insieme ai propri conti in banca,

deteriorati a causa di un serio processo di indebitamento. Questo processo non ha

lasciato indifferente lo Stato che ha visto crescere sempre più le casse del debito.

In sintesi a livello globale questo processo di ristrutturazione capitalista ha

prodotto una sempre più vasta accumulazione di profitto presso i centri di potere e un

dilagare della disoccupazione e delle condizioni precarie di vita nelle periferie del

mondo.

Già Polanyi (2000) descrive questo periodo come sganciamento dei

comportamenti economici dalla realtà sociale, dal momento in cui la produzione

diventò in senso relativo meno rilevante messa a confronto con il profitto generato

dalle speculazioni finanziarie. Questo processo di divisione tra economia, società e

politica è quello che Polanyi definisce disembeddement. Il mercato disloca il più

possibile per raggiungere il maggior numero di vendite possibili. Viene incentivato

quindi il consumo che diventa essenziale insieme alla veloce circolazione delle

merci. Questo dà ossigeno ad un sistema corroso dalla speculazione che ricerca

sempre più l’over-profitto. Si spinge quindi sempre di più verso uno stile di vita

consumistico.

Se prendiamo alcuni dati sulla povertà, nello specifico quelli sulla

denutrizione elaborati dalla Fao3, vediamo che nonostante la diminuzione dovuta alla

caduta dei prezzi alimentari interni ed esterni avutasi nel 2008, la prima in quindici

anni, nel 2010 il numero di persone sottonutrite nel mondo rimane vicino alla soglia

del miliardo. Per poveri si intende quelli che guadagnano, a parità di potere

d’acquisto, meno di 1,25 dollari al giorno. Ben il sedici per cento di questa

popolazione vive in paesi in via di sviluppo e questa soglia è superiore a quella che

avevano davanti i leader mondiali quando al vertice mondiale sull’alimentazione del

3 Rapporto FAO sulla fame nel mondo 2011. “The state of food insecurity in the world” (SOFI 2011)

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1996 convennero sull’obiettivo di ridurre della metà il numero degli affamati nel

mondo, o quando nel 2000 stabilirono nella “Dichiarazione del millennio” che il

primo obiettivo di sviluppo fosse quello di ridurre questa percentuale.

A nostro avviso trattare così l’argomento pone i poveri in una condizione

irreversibile di richiedenti aiuto, come se gli aiuti dei leader mondiali fossero l’unica

soluzione. Eppure i dati ci dicono che pure con il loro intervento è impossibile

invertire questa tendenza d’impoverimento.

Se vogliamo analizzare il complesso fenomeno della povertà mondiale

possiamo presentare i dati usciti nel rapporto sullo sviluppo umano del 2010

dell’Undp (United Nations Development programs). I ricercatori dell’OPHI (Oxford

Poverty & Human Development Iniziative) utilizzando il Mpi (Multidimensional

Poverty Index) da loro elaborato, per il report sullo sviluppo umano 20104 hanno

analizzato dati relativi a 104 paesi con una popolazione di 5,2 miliardi di persone (il

78% della popolazione mondiale) indicando che 1,7 miliardi di queste sono

interessate da povertà multidimensionale, cioè che tiene conto di tre dimensioni:

salute, istruzione e standard di vita. 1,3 miliardi di persone invece sono quelle che

vivono sulla soglia del 1,25 dollaro al giorno. Questo ci dice che i dati presi in

considerazione ai vertici mondiali sulla fame tenevano conto della povertà legata

solo al reddito e non di tutte le altre dimensioni che in caso di statistiche negative

affliggono e in caso di statistiche positive arricchiscono la dignità dei poveri.

A nostro avviso i dati sulla povertà ci dimostrano come innanzitutto non si

riesce a invertire la tendenza, ma soprattutto che in alcuni casi la questione non viene

presa seriamente in considerazione e che gli aiuti finanziari non solo sono lenti nel

diminuire le statistiche sul reddito, ma non intaccano quelle riguardanti la

multidimensionalità della povertà.

Oltre a tutto questo, dagli anni Ottanta in poi le povertà si sono radicalizzate

anche lì dove fino ad ora la ricchezza era uno stile di vita. La precarietà ha

cominciato a bussare alla porta anche dei medio borghesi riducendo sempre di più

questa fascia di mezzo ed esasperando il divario tra i ricchissimi e i poverissimi. In

questo contesto di precarizzazione anche le forme della vita sociale si sono

polverizzate tendendo verso una coesione sociale sempre più eterea.

4 Human development report 2010 of UNDP (United nations development programme)

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Tuttavia fu nei paesi in via di sviluppo, di cui fa parte il Brasile, che si

inasprirono le condizioni di povertà e di esclusione, causando altissimi indici di

mortalità e violenza.

3.1.1. Un paese, molteplici anime

Dal sito ufficiale della repubblica federale del Brasile scopriamo che la sua

superficie è grande come quella del continente Europa e che accoglie una vasta

ricchezza naturale: 275 cascate, il Rio della Amazzoni, la Foresta dell’Amazzonia

polmone della terra, sei diversi tipi climatici, due fusi orari e 190 milioni di persone.

In questo ambiente magmatico convivono molteplici anime e contraddizioni

tipiche di un territorio vastissimo. Si riescono a distinguere almeno due anime, quella

della potenza Bric e quella delle pratiche di economia solidale. Sono molteplici i

segnali di questa contrapposizione; la compresenza ad esempio di due ministeri,

quello dell’agricoltura, bestiame e forniture e quello dello sviluppo rurale; essi

rappresentano le inconciliabili posizioni degli esponenti dell’agribusiness con quelle

degli agricoltori contadini e delle pratiche di resistenza dei Sem Terra. Realtà che

riescono a convivere proprio perché in un territorio come questo gli interessi sono

compositi e di difficile identificazione e unione, ma che in uno spazio limitato creano

contraddizioni enormi.

Da un punto di vista geopolitico, secondo il modello di analisi del sistema-

mondo, non è difficile identificare il Brasile come periferia dell’economia mondo.

Tuttavia da un decennio a questa parte la costante crescita del Pil brasiliano lascia

pensare ad una grande rimonta; sesta potenza al mondo ad oggi con 2,48 bilioni di

dollari di Pil.

Tabella 1 Fonte: Banca Mondiale - Aggiornato fino al 13 luglio 2012 in miliardi di dollari

Country 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011

Brasile 587 645 554 504 552 664 882 1,089

bil

1, 37

bil

1,65

bil

1,62

bil

2,14

bil

2,48

bil

Fonte: www.worldbank.org

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Tra il 2003 e il 2008 il tasso di aumento medio annuo del Pil è stato del 4,2%;

dopo che nel 2009 le cose, a causa della crisi, erano andate abbastanza male, la

crescita si è fortemente ripresa nel 2010, anno nel quale essa è stata del 7,5%. Per

l’anno 2011 invece l’aumento è stato solo del 2,7% contro la previsione del governo

del 3,5%, a dimostrazione del fatto che la crescita economica non è illimitata e che

incontra sempre delle fasi di stallo. A prezzi di mercato il Pil del paese ha superato

nel 2010 quello dell’Italia, mentre, usando il criterio della parità dei poteri di

acquisto, esso si colloca ormai anche davanti a Francia e Gran Bretagna. Secondo

uno studio della Getulio Vargas Foundation negli ultimi dieci anni il reddito pro-

capite in termini reali del 50% più povero della popolazione è cresciuto del 68%,

mentre quello del 10% più ricco è aumentato del 10%. Il livello del reddito è

aumentato più velocemente, tra l’altro, tra i gruppi collocati tradizionalmente ai

margini della società, nonché quelli che vivono nelle regioni più povere del paese e

nelle favelas5.

Dal 2008 il Brasile ha smesso di essere un paese debitore nei confronti della

comunità internazionale, e anzi ne è diventato creditore, e fa parte dei quattro paesi

BRIC, quindi si delinea come una potenza mondiale in cammino. Tuttavia se si

guarda alla condizione reale del paese ci si accorge di quanto sia difficile rimediare

ad un passato di debito educazionale e socio-economico. Benché i dati economici ci

presentino un Brasile in forte crescita economica, quanto questo possa farne un paese

realmente in crescita sociale e politica è cosa difficile da comprendere; questo

dipende non solo dallo scarto tra gli indicatori statistici e la reale condizione del

paese, ma anche dal fatto che lo sviluppo abbraccia così tante realtà che è difficile

con un solo indicatore economico constatare le condizioni reali del paese.

Un esempio di questa contraddizione può essere la larga diffusione delle

anonime favelas come effetto negativo dell’onda delle politiche neo-liberiste che

hanno investito il mondo dagli anni ’80, nelle quali vivono persone che per le

statistiche e i documenti istituzionali non esistono. Milioni di bambini senza tetto che

muoiono nell’anonimato, che lavorano in nero, che soffrono abusi sessuali, sono una

delle grandi zavorre del Brasile.

5 Fonte: “Il brasile tra rottura e continuità” 18/05/2011 di Vincenzo Comito www.sbilanciamoci.it

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A livello internazionale inoltre assistiamo ad una forte connessione con la

Cina, che si comporta in questo caso da centro poiché vende prodotti industriali a

forte valore aggiunto e acquista materie prime a basso costo. L’ago della bilancia

quindi a livello internazionale non sembra puntare completamente sul Brasile.

I dati che ci fornisce la delegazione del Social Watch (rapporto Brasile 2012)

in relazione allo sviluppo del Brasile sono infatti molto diversi. Essi mettono in luce

come in realtà questo modello economico stia concentrando il potere e il reddito

nelle mani dei grandi capitalisti agro-industriali e finanziari e che la monocoltura di

soia e di canna per la produzione di zucchero ed etanolo, e le grandi infrastrutture,

stiano portando alla distruzione la varietà naturale del paese. Il recente studio del

Social Watch sugli stati e municipi brasiliani, che ha preso in considerazione l’indice

di capacità di base (BCI), da loro formulato per misurare l’indice di sviluppo di una

nazione, riporta dati che identificano stati come Parà, Acre e Amazonas come i più

sfruttati dalle grandi multinazionali; questi stati infatti detengono i tre peggiori BCI

del paese. L’indice di capacità formula dati in grado di valutare i paesi in base ai loro

progressi nello sviluppo sociale in termini di capacità basiche. Esso infatti prende in

considerazione il numero di parti assistiti da personale qualificato, mortalità dei

bambini sotto i cinque anni e continuazione della scuola sopra i cinque anni. Esso ha

subito un enorme incremento dagli anni novanta in poi quando l’indice di capacità

era basso con un valore di 83, mentre nel 2000 era medio con un valore di 92 e nel

2010 ancora medio con un valore di 95.

Figura 1. BCI e GEI 2010 per il Brasile Fonte: www.socialwatch.org

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Il GEI (Gender Equity Index) studia invece il gap tra uomini e donne per

quanto riguarda l’empowerment educativo, sociale ed economico. Mentre nel 2007

era di 73, nel 2009 era di 68 con un progresso significativo e nel 2010 di 72.

In conclusione, mentre il PIL ci mostra un paese in forte crescita, in alcuni

casi migliore delle grandi potenze economiche di sempre, che corre dritto verso lo

status di centro nel sistema globale, se si riesce a leggere tra le righe si può notare

che questo paese-continente, per la sua grandezza e varietà di esperienze, presenta

delle anime che sembrano in contraddizione; da una parte un BRIC che si affaccia

sul mondo globale come un treno a grande velocità e dall’altra un paese che propone

al mondo intero pratiche di produzione e di consumo legate all’economia solidale,

che sono lontanissime dalle proposte neoliberiste globali e che sono necessarie alla

sostenibilità economica di gran parte della popolazione. Da una parte un PIL che

cresce, dall’altra una popolazione a cui viene negato il diritto ad una vita sana tutte le

volte che le grandi multinazionali la sfruttano come mano d’opera per portare avanti

progetti insostenibili dal punto di vista sociale e ambientale.

L’identità del Brasile è messa a dura prova; ci sono differenti lenti attraverso

cui guardare questo paese, che è alla ricerca di uno sviluppo, ma che non riesce ad

incontrarne uno che sia democratico e paritario.

3.1.2. Periferizzazione del Brasile

I contesti nei quali sono nate le esperienze solidali in America Latina sono

essenzialmente contesti poveri, nei quali si avverte la mancanza delle risorse

materiali indispensabili alla vita. Le origini dell’economia solidale in America Latina

rispondono ad un forte vincolo con l’economia popolare, ma anche con i movimenti

sociali.

L’economia popolare include le diverse forme di auto-organizzazione socio

produttive che si incontrano nelle comunità e che per Dzmira (1999) sono il naturale

sviluppo dei legami di solidarietà esistenti. Alimenta pratiche di reciprocità tacite nel

quotidiano dei gruppi popolari, specificatamente nei quartieri poveri e marginali

delle metropoli latino-americane.

<<Essa genera lavoro per quelli che stanno ai margini dei circuiti formali dell’economia costituita principalmente dallo Stato e dal Mercato. Per questo i livelli di reddito sono abbastanza fragili e garantiscono la

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sopravvivenza dei gruppi implicati nei progetti. La sfida principale di questa economia popolare consiste nella possibilità di ultra passare la “riproduzione semplice” delle condizioni di vita, verso una direzione di una “riproduzione ampliata”>> (França Filho 2006:58)

La riproduzione ampliata è quando queste imprese riescono ad impattare anche

sul territorio circostante, come il miglioramento delle infrastrutture, ad esempio.

Razeto definisce economia popolare come:

<<Attivazione e mobilitazione economica del mondo popolare>> (Razeto 2003:26)

Il “mondo dei poveri” si organizza e si attiva economicamente combinando

risorse e capacità lavorative, tecnologiche, organizzative, e commerciali di carattere

tradizionale orientate ad assicurare la sussistenza. In Razeto, per realtà come quelle

dei paesi in via di sviluppo come Africa e America latina, il termine di economia

popolare è un settore costituito dall’unità delle attività economiche i cui attori fanno

parte della popolazione più povera della città. Essa è composta da diverse forme:

- Il lavoro in proprio dei lavoratori indipendenti che producono beni,

prestano servizi o commerciano in scala ridotta.

- Le microimprese familiari.

- Le organizzazioni economiche popolari, cioè piccoli gruppi o famiglie

che si uniscono e gestiscono in comune i mezzi di produzione scarsi per

soddisfare i propri bisogni.

Queste realtà costituiscono il sapere locale su cui si costruiscono i progetti di

sviluppo; sono la condizione data, il terreno fertile in cui interrare il seme delle

pratiche di economia solidale a livello più istituzionalizzato come le banche del

popolo, la moneta sociale, le associazioni culturali, etc.

<<La cultura dei gruppi sociali più poveri è naturalmente più solidale di quella dei gruppi sociali con entrate maggiori. L’esperienza della povertà, del bisogno, vissuta come urgenza quotidiana di garantire la sussistenza porta molti a sperimentare di persona l’importanza di condividere il poco che si ha, di formare comunità e gruppi di mutuo aiuto e di reciproco sostegno. Il mondo popolare costretto a fare economia la fa “a suo modo”, con i suoi valori, con i suoi modi di pensare, di sentire, di rapportarsi e di agire>> (Razeto 2003:33)

Benché in Razeto non sia esplicita questa distinzione, l’economia popolare

nell’autore França Filho (2004) è distinta dalla più ampia definizione di economia

informale proprio per il suo carattere di cooperazione; mentre l’economia informale

assume nella maggior parte dei casi una forma di microprogetti individuali,

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riproponendo in piccolo i meccanismi del mercato e non un’articolazione di un

preciso sapere sociale locale, l’economia popolare ha radici profonde nelle iniziative

popolari che presentano importanti elementi di solidarietà.

<<Negli ultimi anni i popoli indigeni hanno visto accentuarsi la loro emarginazione economica, sociale e culturale, come conseguenza della ristrutturazione delle economie nazionali nell’ambito dei processi di modernizzazione e dei concomitanti sforzi tendenti a reinserire le economie latinoamericane nei mercati mondiali. L’esperienza dell’emarginazione sta risvegliando in alcuni di loro una certa tendenza a rivalutare i propri modi tradizionali di fare economia, sia in reazione a un modello economico che li esclude, sia per la semplice necessità di sopravvivere in un contesto avverso>> (Razeto 2003:143)

Per un continente così vasto è difficile determinare una sola identità. La storia del

Brasile a partire dalla colonizzazione, è fatta di dipendenze da centri (Europa,

America) che non garantiscono l’eguaglianza sul territorio. Le identità del Brasile

costruite in questo tempo sono state create dal rapporto di dipendenza col centro e

non hanno mai rispecchiato la molteplicità del Brasile. L’identità del Brasile Bric

non rende giustizia alla vastità del Brasile ma dialoga solo con una parte della

popolazione, quella più ricca, la parte più piccola del continente, avendo tuttavia

conseguenze disastrose sull’altra parte di popolazione. L’identità di un Brasile

bianco, unito, disinteressato delle risorse ambientali, viene messa in discussione dai

movimenti sociali ed indigeni che hanno visto nel passato della colonizzazione

un’oppressione dell’Europa, più che un incontro, e non riconoscono il Brasile così

come strutturato. Essi chiedono quindi di mettere in discussione questa identità anche

a partire dalle pratiche di economia solidale.

3.2. Povertà mondiale e movimenti sociali: verso un’alternativa

I movimenti sociali che si sono sviluppati dagli anni Ottanta in poi in America

Latina hanno contribuito a portare in auge il pensiero economico di prossimità e di

relazioni che è quello definito come economia solidale. Mance (2002) scrive infatti

che già col primo accenno di forum sociale mondiale nel 2000 a Padova e poi nel

2001 con Porto Alegre e con gli altri a seguire, diverse organizzazioni asserirono

collettivamente di lavorare congiuntamente contro la globalizzazione capitalista in

corso in cerca di una maggiore democrazia economica e politica, combattendo le

multinazionali. In America Latina in maniera particolare a nostro avviso influirono i

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cambiamenti politici di un continente sotto l’egida del populismo o delle dittature e

che si ritrova quasi in contemporanea negli anni Novanta a rivendicare i propri diritti.

In Ecuador e in Bolivia questo tipo di economia ha portato alla trascrizione

nella costituzione di principi ispirati all’economia solidale. Troviamo questo concetto

citato ben quindici volte nella recente costituzione dell’Ecuador (2008) e una in

quella della Bolivia. Il processo di costituzione in Ecuador fu molto partecipato da

parte di movimenti sociali per portare a discussione pratiche di scambio economico e

di preservazione dell’ambiente antiche e radicate nelle comunità.

Come partecipanti ai forum sociali abbiamo diversi movimenti che

raccolgono le reti a livello nazionale, come la GRESP (Gruppo rete di economia

solidale del Perù), alleanza sociale continentale, alleanza per un mondo plurale

responsabile e unito, movimenti che si uniscono in lotte politiche, che spingono

affinché l’ALCA (Area di Libero Commercio delle Americhe) sia un trattato equo

per tutti i paesi.

In Argentina furono molto forti esperienze come quelle degli operai della

fabbrica di ceramica Fasinpat (Fabbrica Senza Padroni) che hanno conseguito il

diritto di proprietà sulla fabbrica ex Zanon; oppure le molteplici forme di agricoltura

sviluppatesi in contrapposizione alla crisi globale o le monete alternative sociali

diffusesi dopo la crisi monetaria. Al di là dei risultati di ciascuna iniziativa queste

esperienze riflettono l’emergere di una volontà di cooperazione a livello democratico

e politico da parte della popolazione, l’inspessirsi di legami solidali nelle comunità

che si ergono a protagoniste del territorio.

Nei Forum sociali mondiali che si sono tenuti in Brasile a partire dal 2001 è

stato molto forte la partecipazione dei movimenti sociali e di comunità nel proporre

soluzioni alternative alle soluzioni economiche adottate dai dirigenti politici ed

economici delle maggiori potenze economiche del mondo negli incontri di Davos in

Svizzera contemporanei ai forum. Moltissimi esponenti di associazioni e di

movimenti alternativi al capitalismo si sono incontrati nei forum sociali per discutere

di nuove forme di scambi economici a livello internazionale tenendo sempre come

riferimento i contesti locali.

Nel primo Forum Mondiale nel 2001 ci fu una numerosissima partecipazione da

parte di sindacati, associazioni, ONG, enti locali, ai seminari sull’economia popolare

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e sociale. Da questo incontro venne a crearsi una rete di soggetti locali che si occupò

nei mesi successivi di elaborare i principi e gli obiettivi dell’economia solidale.

Questo lavoro venne presentato al forum del 2002 durante il quale nacque il forum

brasiliano per l’economia solidale. Questo servì da nodo focale della rete di

esperienze anche locali che si produssero, insieme ad un’ampia sensibilizzazione al

tema.6 Successivamente nel 2003, in occasione del terzo forum all’interno del

ministero del lavoro e dell’impiego del governo federale brasiliano nacque la

segreteria nazionale sull’economia solidale. Una sinergia comprovata anche dal

sostegno istituzionale profuso dal governatore Lula, presidente dal 2003 al 2010.

Le pratiche diffusesi nei forum furono espressione di una nuova pratica di

partecipazione democratica alla agenda politica nazionale, una nuova forma di

dialogo tra istituzioni e società civile, visto la molteplicità dei soggetti presenti e

visto i temi affrontati. In particolare si lavorò su cinque piani: la finanza etica, il

quadro legislativo, le cellule di produzione, di commercializzazione e consumo, la

democratizzazione dei saperi e delle tecnologie e le tipologie di organizzazioni di

economia solidale.

I forum sono stati occasione importantissima di confronto e di dialogo per portare

avanti pratiche economiche rinnovate, sostenibili e solidali. Di anno in anno la

partecipazione è aumentata insieme alla gamma di associazioni affiliate. Questo

favorì la costruzione di una rete molto densa di scambi di esperienze, promotrice di

buone pratiche all’interno dei diversi stati.

Questo tipo di cooperazione è la prospettiva solidale con forti radici popolari che

si è venuta a sviluppare in America latina a partire da questo periodo e che è andata

sempre più rafforzandosi in reti nazionali e statali.

3.3. Dipendenza del Brasile

Con Mance (1995) apprendiamo che la questione dell’identità latino-

americana fu presa in seria considerazione a partire dal processo di lotte per

l’indipendenza coloniale. In particolare nel 1991 la costituzione del Mercosul

(Mercato comune dell’America meridionale) portò alla luce non solo una forte critica

6 Il forum tutt’ora è un laboratorio di innovazione e promozione grazie anche alla diffusione sui portali http://www.fbes.org.br/ - http://cirandas.net/.

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contro le idee neoliberiste, ispiratrici di questa integrazione, ma soprattutto

l’importanza di puntare all’integrazione culturale e non solo economica dei popoli

latini. Si concretizzò il bisogno di configurare una cittadinanza attiva e piena che

garantisse i diritti umani di tutti, una qualità dignitosa della vita nella piena

realizzazione delle singolarità umane e nell’esercizio etico della loro libertà.

La libertà è un tema ricorrente nella storia della filosofia dell’America Latina

e in Brasile è legato proprio alla Filosofia della Liberazione ed al pedagogo Paolo

Freire. Per Mance la ricerca dell’identità latino-americana parte dal bisogno di

affermazione e di riconoscimento della popolazione; una rottura quindi con la

situazione di dipendenza e colonizzazione imposta. Il cammino recente e ancora in

atto di costruzione dell’identità mira a cancellare il passato di colonialismo e

dipendenza che ha subito nel processo di costruzione dell’economia capitalista.

Utilizzando questi termini facciamo riferimento al concetto di periferia

introdotto dall’argentino Raul Prebish, poi approfondito dai teorici della dipendenza

negli anni sessanta. Il filone marxista, di cui il maggior esponente fu il tedesco Andre

Gunder Frank, più che quello strutturalista, attribuisce alla teoria della

modernizzazione la teorizzazione di un processo di sviluppo lineare e sempre

crescente, nel quale le periferie diventano dipendenti dal centro, i paesi in cui si

concentra il potere decisionale ed economico. Le periferie soffrono un rapporto di

subordinazione col centro, che instaura un rapporto di dominio per il quale egli si

sviluppa a spese della periferia, creando un circolo vizioso di non sviluppo. Per

questo il centro gode del privilegio di ricevere dai paesi periferia manodopera e

materie prime a basso costo, grazie ai quali, utilizzando tecnologie avanzatissime,

produce prodotti ad alta rendita di profitto. Il sistema di scambi nei quali sono inseriti

il centro e la periferia è quello capitalista che mira ad un’accumulazione del profitto

servendosi dell’egemonia economica, politica e militare dei centri lungo tutto il corso

della storia. In questo <<scambio ineguale>> (A. Emmanuel) alle periferie non

resta che acquistare i beni finiti ad un prezzo alto, producendo in cambio prodotti e

vendendo materie prime a basso costo. Le energie prodotte sono quindi tutte

canalizzate verso il centro, il solo che abbia potere decisionale, rendendo le periferie,

proprio perché dipendenti, incapaci di resistenza.

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La teoria della dipendenza elaborata ulteriormente è entrata nel modello

teorico del sistema-mondo teorizzato da Wallerstein sempre negli stessi anni al

Fernard Braudel Center of study of Economies, Historical Systems and Civilization

dell’università di New York7. Wallerstein, interessato all’analisi della storia politica

e culturale a livello globale e di lungo periodo, teorizza un modello di sistema-

mondo nel quale i paesi sono inseriti come centro, periferia o semi-periferia, in un

sistema di scambio ineguale. Il sottosviluppo quindi è storicamente creato e non è

una determinazione naturale come affermato dai teorici della modernizzazione.

Lo scambio ineguale come abbiamo detto non fa altro che espropriare della

ricchezza i paesi dipendenti, rubando loro la possibilità di uno sviluppo

autodeterminato ed originale. A questo punto forse non è una coincidenza che lo

svelamento di questo scambio ineguale sia stato molto forte in America latina. Nel

processo di costruzione dell’identità infatti conta moltissimo la determinante di

oppressione dalla quale questi popoli vogliono riscattarsi.

La proposta dell’economia solidale, come vedremo meglio nei casi studio del

terzo capitolo, punta a valorizzare e rispettare l’identità di ogni territorio e a

riprendere proprio quello che Razeto definisce come modo tradizionale di fare

economia, estremamente diffuso all’interno delle imprese solidali.

Nel contesto brasiliano infatti, all’interno del quale convivono moltissime

culture, con passati e tradizioni millenarie, in un miscuglio di religioni e modi di

vivere, uno stile omologante che punta solo ad un’economia del profitto non riesce a

render giustizia a questo panorama e rischia solo di rendere periferia quello che in

una logica solidale potrebbe essere centro e motore di sviluppo.

7 Per riferimenti Wallerstein, I. (2003). Alla scoperta del sistema mondo. Roma: Manifestolibri

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Quarto Capitolo

ECONOMIA SOLIDALE:

L’ESPERIENZA DEL BRASILE

4.1. Il Sud America: i movimenti sociali

Enrique Dussel, a cui Mance fa spesso riferimento, assume che il continente

latino-americano è un continente oppresso dalla volontà di potere che ha esercitato

l’Europa nel tempo. Un’oppressione talmente assorbita che anche nella costruzione

dell’indipendenza l’obiettivo finale dello sviluppo rimaneva sempre essere come

l’Europa. L’obiettivo di molti era infatti proprio quello di diventare i bianchi del sud.

Questa tendenza è chiaramente definita dalla distribuzione della popolazione

all’interno del Brasile. Al sud incontriamo stati con una qualità di vita molto alta e

che sono a maggioranza discendenti europei, in maggioranza tedeschi, portoghesi,

italiani, francesi e spagnoli. Mentre nel nord del paese, nel quale la colonizzazione si

è data in tempi recenti ed era legata molto di più al lavoro schiavo, la popolazione

presenta un alto tasso di discendenti indigeni o afro-discendenti. Questa è la parte

meno sviluppata del paese, nel senso che è quella meno interessata dalle politiche

pubbliche e verte in condizioni di abbandono.

Guardando alla situazione di crisi globale e di riassestamento del sistema

economico capitalista le esperienze di economia solidale propongono una soluzione

locale e potrebbero rappresentare una forte resistenza a questo stato di cose, e

soprattutto un grosso incentivo ad una costruzione di un’identità sganciata dalla

dipendenza.

Una delle forze espresse nella costruzione dell’identità è la necessità concreta

di libertà espressa dagli oppressi, a cui è stato negato il riconoscimento. Proprio

questa condizione di negazione li mette insieme, non come bianchi del sud, ma come

afrodiscendenti, indigeni, amarelos, negros, brancos, prettos, pardos8. È chiaro quindi

che la costituzione di una nuova identità può esserci solo dopo la consapevolezza di

una coscienza storica. In questo i filosofi storici hanno avuto un ruolo importante nel

8 Fonte per le identità: IBGE, Diretoria de Pesquisas, Coordenação de População e Indicadores Sociais, Pesquisa das Características Étnico-raciais da População 2008.

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proporre una nuova riflessione sulla coscienza latino-americana, sulle radici e i valori

comuni.

In generale in America latina si richiede una trasformazione sociale, che è la

sola capace di garantire la liberazione dei popoli latini e forse la lotta per

l’indipendenza sta creandone i presupposti forti radicati nella popolazione. In Brasile

in particolare, forse proprio per le forti contraddizioni di classe e il profondo divario

tra ricchi e poveri, nel processo di indipendenza ci si è concentrati maggiormente

sulla liberazione degli oppressi. A proposito di questo la Filosofia della Liberazione

animò e anima tutt’ora i territori sulla questione dell’ingiustizia sociale di cui

soffrono la maggior parte dei brasiliani. Se ne può avere un assaggio nei movimenti

sociali che confluirono nei forum sociali mondiali a partire dagli anni novanta.

Possiamo sintetizzare alcune caratteristiche che a nostro parere si

contaminano in tutto il continente americano attraverso i movimenti sociali

sviluppatisi e che contribuiscono alla creazione dell’identità brasiliana.

In molti articoli della costituzione ecuadoriana ad esempio traspare un

pensiero collettivo, cioè il mondo è inteso a partire da un noi invece che dall’io. Un

noi che non parla solo di solidarietà tra le persone ma che unisce persone e natura. Il

legame con l’ecosistema è molto forte e legato alle popolazioni indigene. Le

popolazioni quechua infatti propongono una nuova visione della vita: in

contrapposizione alla visione lineare del tempo e della vita, una prospettiva circolare

in cui il futuro è dietro di noi poichè non possiamo vederlo o conoscerlo. Il passato lo

abbiamo davanti agli occhi, ci costituisce e con lui camminiamo. Gli articoli fanno

riferimento alla sensibilità nel percepire l’ecosistema in cui siamo inseriti piuttosto

che del possedere delle cose materiali. Questo fa si che l’obiettivo non sia la crescita

economica ma la costruzione di una società del bem viver.

Queste caratteristiche le percepiamo come molto vicine a quelle che

muovono, almeno nella teoria, l’economia solidale in Brasile e in modo specifico

nello Stato della Bahia. La percezione di un mondo al cui centro non vi è il profitto,

ma l’uomo. Azioni che hanno come obiettivo quello di migliorare la qualità della

vita, cercando di inglobare tutti in questa aspirazione del futuro ridistribuendo la

ricchezza, costruendo un’economia al servizio della vita e non viceversa, che punti al

valore d’uso invece che a quello di scambio. Soprattutto un mondo in cui tutti questi

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meccanismi siano animati dalla partecipazione di tutti alla cosa pubblica,

promuovendo quindi la libertà dalla condizione di povertà e di bisogno che sarebbe

altrimenti da ostacolo alla stessa partecipazione.

Questo tema della povertà è molto forte specialmente nell’entroterra. Le

azioni solidali infatti spesso non nascono da una forte presa di coscienza politica, ma

da un reale bisogno delle persone di unirsi per affrontare la condizione di povertà nel

quale sono imprigionati. L’economia solidale diventa quindi motivo di unione e di

collaborazione per combattere l’esclusione sociale e la disoccupazione nel quale il

sistema odierno li sta nascondendo. Essa diventa una seconda chance di vita

dignitosa per molti senza tetto, madri e mogli, giovani disoccupati, contadini,

artigiani e produttori. In questo senso si propone come un’azione politica che mira a

trasformare il territorio e le persone che le occupano rispettandone l’identità.

L’identità di un territorio quindi potrebbe darsi dalle esperienze locali di

economia solidale che ripropongono la diversità dei luoghi, la specialità delle

tradizioni e la forza di meccanismi economici che non sono fatti solo da numeri ma

che coinvolgono la persona in quanto essere partecipante del mondo culturale,

sociale e politico.

Quello che si riscontra leggendo i risultati di progetti realizzati nei quartieri

poveri del Brasile9 è che la gente riscopre di poter fare qualcosa rispetto alle

condizioni di povertà in cui è messa, e questo è il punto di partenza per l’inizio della

pratica dello sviluppo. Mance ci tiene a sottolineare che è importante che le persone

si riscoprano capaci di far fronte alla crisi, mettendo in comune i bisogni. In questi

contesti più poveri si ha la sensazione che l’accumulazione di denaro passi in

secondo piano e che il denaro riassuma la funzione di mezzo di scambio.

4.2 La scelta politica del Brasile

In Brasile col governo Lula (2003;2010) abbiamo una precisa scelta politica che

è quella di istituzionalizzare le pratiche di economia solidale che stavano nascendo

sul territorio, strutturandole e favorendone il radicamento sul territorio tramite

proposte governative interministeriali di finanziamento.

9 Fonte: relazione del gennaio 2011 sulla comunità di Matarandiba; Tesi di Elisa Numerati www.ipsia-acli.it

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Furono finanziati diversi programmi governativi con esplicito indirizzo solidale.

Il programma più importate fu quello di “Fame Zero”, un insieme di politiche

federali, statali e municipali riguardanti trasferimenti di reddito alle famiglie

brasiliane più povere. Esso fu sotto la responsabilità del MESA (Ministero

Straordinario della Sicurezza Alimentare e Lotta alla Fame) che venne sciolto nel

2004 in quanto le sue funzioni furono assunte dal MDS (Ministero dello Sviluppo

Sociale e Lotta alla Fame) che ancora oggi cura i programmi federali di Fame Zero.

Gli interventi sono stati pianificati considerando le differenze tra aree rurali, città

piccole e medie e metropoli. Nelle aree rurali sono stati privilegiati aiuti

all’agricoltura familiare, mentre nelle città si è favorita la ricerca di un nuovo

rapporto con la rete dei supermercati e la promozione dell’agricoltura urbana. Nelle

metropoli sono state progettate l’organizzazione di ristoranti popolari.

Nell’implementazione di tutto ciò fondamentale è il ruolo svolto dai governi

municipali.

Le politiche del programma Fame Zero si dividono in due principali interventi

(Mance 2006): i primi riguardano interventi diretti alle famiglie prive di sicurezza

alimentare (Carta-Alimentazione, Ceste Basiche di Emergenza, Riserve di Sicurezza,

Sicurezza e Qualità degli Alimenti, Ampliamento del Programma di Alimentazione

del Lavoratore, Nutrizione Materno Infantile, Educazione al Consumo Alimentare,

Ampliamento dell’Alimentazione Scolastica, Servizio alle Comunità Indigene dei

Quilombos), i secondi invece rivolti ad affrontare le cause strutturali della fame

(Generazione e Occupazione, Lavoro e Reddito, Previdenza Sociale per Tutti,

Incentivo all’Agricoltura Familiare, Costruzione di Cisterne, Intensificazione della

Riforma Agraria, Borsa Scuola, Programmi di Distribuzione di Reddito, Offerte di

Microcredito, Consorzi Sicurezza Alimentare e Sviluppo Locale).

Oggi di tutti questi programmi è in funzione ancora il programma Borsa Famiglia

che raggruppa insieme la Borsa Scuola, la Carta Alimentazione, la Borsa

Alimentazione e Aiuto Gás, insieme a nuovi programmi come Brasile Carinhoso

nella prospettiva di costituire un unico programma di trasferimento di reddito per

l’insieme delle famiglie povere brasiliane.

Il programma “Fame Zero” è stato l’inizio della rivoluzione delle politiche

pubbliche, perché non solo si trattava di trasferire denaro alle famiglie più povere,

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ma si prevedeva il coinvolgimento attivo delle persone nel migliorare la propria

condizione di povertà. L’obbligo ad esempio della frequenza scolastica e della

vaccinazione regolare dei bambini, insieme ad azioni strutturate per l’inserimento in

attività produttive della popolazione, avevano l’obiettivo di rendere autonome le

famiglie per non dipendere in eterno dai programmi di trasferimento di reddito.

Prima del programma “Fame Zero” i poveri in condizioni di insicurezza

alimentare erano circa 11 milioni. Col programma ci sono state iniziative importanti

che hanno portato alla diminuzione di questa soglia. Molte famiglie hanno raggiunto

un dignitoso potere di acquisto così da poter comprare cibo, medicinali, etc. È nato

inoltre il Consorzio di sicurezza alimentare e sviluppo locale per incentivare la

produzione e le varie possibilità di sviluppo territoriale. Il programma nazionale di

alimentazione scolare (PNAE) inoltre favorì l’acquisizione di prodotti direttamente

dall’agricoltura familiare per rifornire le mense di ospedali e scuole, garantendo la

sicurezza alimentare delle persone e la loro sovranità.

L’economia solidale in questi contesti riveste il ruolo di strumento economico

che le comunità utilizzano per promuovere la nascita di iniziative economiche

produttive che abbiano l’intento di sviluppare le qualità endogene del territorio.

Questo conferma l’idea iniziale di un profondo legame con le esperienze

dell’economia popolare.

Insieme a questi importanti interventi fu creata una struttura istituzionale

importante all’interno della quale finanziare e sostenere le pratiche di economia

solidale.

La struttura generale dell’economia solidale è fatta da una fitta collaborazione tra

diversi ministeri e dalla coordinazione generale della SENEAS (Segreteria Nazionale

di Economia Solidale) ed ha il preciso intento di favorire e sostenere la formazione e

l’espansione di numerose pratiche solidali sul territorio. La segreteria, nata nel 2003

e vincolata al MTE (Ministero del Lavoro e dell’Impiego), fu creata:

<<Con l’intento di valorizzare la cooperazione e l’autogestione, contribuire per combattere la povertà e la diseguaglianza sociale e promuovere processi di sviluppo più giusti e solidali>> (www.mte.gov.br/ecosolidaria/secretaria_nacional.asp)

Il FBES (forum brasiliano di economia solidale) poi è un’istanza nazionale di

articolazione, dibattito ed elaborazione di strategie dei movimenti di economia

solidale.

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La logica con cui si articolano tutte queste esperienze è quella della rete sia nel

senso che moltissimi coordinamenti sono gestiti attraverso la rete e sia perché tutte le

esperienze si costituiscono come nodi orizzontali, cioè con lo stesso potere

decisionale, all’interno di una rete di scambio e di relazione.

La segreteria nazionale ha moltissime partnership con i ministeri brasiliani

con cui condivide progetti di svariato tipo. Con il MDA (Ministero dello Sviluppo

Rurale) e attraverso la SDT (Segreteria di Sviluppo Territoriale) e la SAF (Segreteria

di Agricoltura Familiare) si finanziano progetti di sviluppo locale e di distretti

territoriali, oppure progetti di riforma agraria su concessione dei terreni, come il

Pronaf (Programma Nazionale di Potenziamento dell’Agricoltura Familiare). La

segreteria ha inoltre relazioni col MCT (Ministero della Scienza e della Tecnologia)

attraverso la FINEP (Finanziatrice di Studi e Progetti). Col MinC (Ministero della

Cultura) e col MEC (Ministero dell’Educazione) si relaziona per quanto riguarda i

progetti di educazione giovani adulti e molti altri. Col MDS (Ministero dello

Sviluppo Sociale e della Lotta alla Fame) attraverso la SESAN (Segreteria di

Sicurezza Alimentare e Nutrizionale) si promuovono progetti importanti, tra gli altri

quelli di mappatura dei territori e aiuto all’agricoltura familiare.

A partire dal 1998 inoltre si favorì la realizzazione della rete universitaria di

incubatori tecnologici di cooperative popolari, che incubano progetti di economia

solidale sul territorio attraverso collaborazioni istituzionali; l’associazione nazionale

dei lavoratori di imprese autogestite; e la rete brasiliana di socioeconomia solidale

nel 2000 che riunisce in una sola piattaforma tutte le esperienze di economia solidale

presenti sul territorio e che organizza periodicamente meeting, formazione e scambi

di esperienze tra nord e sud del paese. il forum brasiliano di economia solidale;

l’agenzia di sviluppo solidale della CUT (Centrale Unica dei Lavoratori),

organizzazione sindacale.

4.3 Mappa delle esperienze e intervento istituzionale

L´economia solidale brasiliana nella pratica si struttura in diversi tipi di

organizzazioni solidali, le imprese economico-solidali e le loro pratiche in rete (le

cooperative, le associazioni, i gruppi informali che realizzano lavori collettivi nel

campo della produzione e dei servizi, dello sviluppo culturale, della preservazione

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ambientale, della commercializzazione e del consumo). Essi si organizzano nella

prospettiva di generare lavoro e reddito, di formare cittadini, rafforzando le relazioni

comunitarie e partecipative e cercando di migliorare la qualità di vita.

Le caratteristiche comuni di queste esperienze sono innanzitutto (Singer 2002):

- la solidarietà, che si dice democratica nel momento in cui è aiuto mutuo

basato sull’eguaglianza dei diritti delle persone e sforzo per incontrare

soluzioni concrete a problemi comuni;

- l’associazionismo e la cooperazione per cui le realtà si sforzano di lavorare

simultaneamente per il bene pubblico.

- l’autogestione, per la quale le persone sono prioritarie in un’organizzazione.

- infine la multidimensionalità, cioè l’opportunità di costruire relazioni

stimolando pratiche collettive che non riguardano solo l’aspetto economico,

ma anche quello sociale, ambientale e culturale.

Mappando l’esperienza dell’economia popolare e solidale in Brasile França Filho

distingue tra tre tipi di organizzazioni:

1. Imprese economico-solidali (EES)

2. Entità di sostegno e fomento (EAF)

3. Auto-organizzazioni politiche.

Le prime riguardano quattro differenti pratiche che sono quelle del commercio

giusto, della finanza solidale, dell’economia non monetaria e delle imprese sociali.

Tra le esperienze di finanza solidale incontriamo le banche del popolo, cioè delle

cooperative di credito che generalizzano le pratiche di microcredito nelle

organizzazioni popolari. Queste iniziative prevedono il sostegno pubblico e

istituzionale, oppure quello della società civile tramite l’azione di Ong. Le iniziative

solidali possono essere quelle del microcredito orientato, dei fondi rotativi solidali e

delle banche del popolo.

Tra le esperienze di economia monetaria troviamo ad esempio i gruppi di

scambio. Essi consistono in una associazione di persone, produttori e consumatori la

cui finalità è quella di scambiare beni e servizi senza ricorrere ad una logica

mercantile e adottando nella maggior parte dei casi monete sociali. La logica in

queste imprese è quella del dono nel senso che lo scambio rafforza i vincoli sociali

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tra le persone. Le esperienze più numerose in Brasile sono quelle del cooperativismo

popolare, sia di produzione che di consumo.

Gli EAF invece sono strutture di aiuto alla formazione di imprese economiche

solidali. Singer (cit. in Franca Filho, 2006:64) riporta che molti progetti comunitari

furono finanziati dalla Caritas. Ci sono inoltre gli incubatori tecnologici di

cooperative popolari che sono entità universitarie destinate all’incubazione di

cooperative e gruppi di produzione associata.

I terzi invece rappresentano il desiderio di alcuni attori di essere riconosciuti

istituzionalmente. I movimenti politici generati spingono affinché ci sia un

rinnovamento nelle politiche pubbliche.

4.4 Incubatori tecnologici di cooperative popolari e concetto di estensione

Quasi tutte le esperienze solidali sopravvivono grazie all’elargizione di

finanziamenti pubblici, altre anche di finanziamenti privati e mentre alcune ne

godono solo in un primo momento altre continuano ad avere un appoggio continuo.

Il COEP (Comitato di Entità Pubbliche nella Lotta contro la Fame e per la

Vita) iniziò a Rio de Janeiro nel 1993 una grande lavoro di incentivo ad azioni

riguardanti la produzione di lavoro e reddito per le popolazioni ai margini della

società. All’interno di queste politiche nacque la proposta da parte degli incubatori,

che prima nell’ambito accademico erano famosi solo per occuparsi di imprese, di

incubare cooperative popolari; nascono così gli incubatori tecnologici di cooperative

popolari (ITCPs). Il primo nacque nel 1994 all’interno del programma post-laurea

della facoltà ingegneria di Rio con l’obiettivo di insegnare il cooperativismo di

maniera organizzata.

Questa esperienza si estese ad altre università e nacque il programma

nazionale di incubatori di cooperative popolari (PRONINC) con il FINEP

(Finanziatrice di Studi e Progetti), la banca del Brasile, la Fondazione della banca del

Brasile e il COEP (Comitato di Entità Pubbliche nella Lotta contro la Fame e per la

Vita), con l’obiettivo di fomentare la nascita di attività economico-solidali offrendo

assistenza tecnica, spazi di studio, ricerca e sviluppo di tecnologie sociali volte

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all’organizzazione del lavoro autogestito, rafforzando di molto il processo di

incubazione e della nascita degli stessi incubatori.

La documentazione finale del programma nazionale degli incubatori afferma

che il 74,1% (AA.VV. 2010:34) degli incubatori è nato grazie al suo appoggio, altri

grazie alla SENEAS (Segreteria Nazionale di Economia Solidale) e dal MTE

(Ministero del Lavoro e dell’Impiego) che la ospita. Già in sette anni più di 60

incubatori hanno avuto l’appoggio del programma di incubatori.

Col tempo a livello nazionale si formarono la rete “UNITRABALHO”, nata

nel 1996, e la ITCPs (Rete universitaria di incubatori tecnologici di cooperative

popolari). La UNITRABALHO è una rete universitaria nazionale di incubatori che

aggrega 92 università insieme a scuole superiori. La ITCPs integra 50 incubatori.

Secondo un lavoro di valutazione sul lavoro del programma degli incubatori,

essi sono:

Tabella 2: Dati a cura del PRONINC. Aggiornati al 2011

NUMERO DI INCUBATORI PER REGIONE

REGIONE NUMERO %

NORD-EST 15 27,8 NORD 3 5,6 SUD 14 25,9 SUD-EST 16 29,6 CENTRO-OVEST 6 11,1 TOTALE 54 100

Fonte: Relazione finale PRONINC 2011

Sono registrati 61 incubatori, ma in questa ricerca ne risultano solo 54 che sono

stati quelli raggiunti dallo studio del Proninc.

Gli incubatori non hanno come obiettivo quello di incubare una sola impresa

per renderla capace di competere sul mercato; al contrario cercano di fomentare

attività economiche che riuniscano persone che sono state escluse dal mercato, per

stabilire relazioni democratiche dove tutti hanno gli stessi diritti. In questo modo i

lavoratori cercano insieme le risorse per inserirsi nel mondo del lavoro, per prendere

coscienza insieme di come funziona il sistema. I principi ispiratori sono quindi quelli

dell’autogestione e dei procedimenti democratici.

Gli incubatori offrono assistenza e tecnici qualificati al territorio durante il

periodo di incubazione. Nella maggior parte essi sono vincolati alle università, sia

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pubbliche che private, e hanno come obiettivo quello di formare docenti e discenti

sulla tematica dell’economia solidale. Essi sono uno strumento importante in mano

agli esclusi dal mercato del lavoro che possono così organizzarsi in attività

produttive necessarie al locale e inserirsi nel panorama economico esterno come

esperienze socio-economiche. Questa denominazione sociale è molto importante

perché determina la qualità dell’azione delle attività che vengono a crearsi; attività

produttive che non tengono conto solo dell’aspetto economico, ma che nascono

all’interno di un territorio specifico e che quindi cercando di preservarne anche gli

aspetti sociali, culturali ed ambientali. Le attività non si pongono come un congegno

strategico per il soddisfacimento degli interessi di uno solo, ma sono il naturale

sbocco della comunità riunita in associazioni che con la collaborazione tecnica

dell’incubatore prende coscienza di sé e si riorganizza dal punto di vista economico,

sociale, ambientale e culturale.

Le università in questo modo si formulano come strutture che fomentano

iniziative solidali e creano gruppi di ricerca ed estensione che aggregano persone in

questi contesti. Il processo di incubazione quindi è visto come un progetto di

estensione universitaria, una tecnologia sociale, un processo indissociabile tra

insegnamento, ricerca ed estensione, che produce innovazione sociale.

L’estensione è un concetto molto caro all’accademia brasiliana. Secondo il

forum di estensione delle università federali pubbliche l’estensione è:

<<Un processo educativo, culturale e scientifico che articola l’insegnamento e la ricerca di forma indissociabile e realizza una relazione trasformatrice tra l’università e la società >> (www. mec.gov.br)

Il processo di interazione tra il sapere accademico e quello popolare sembra

essere la migliore strategia per rispondere a domande di gruppi sociali rispettandone

il territorio. Queste azioni si ispirano ai principi di economia solidale, prevedendo

un’interazione con l’insegnamento e la ricerca. Secondo i suoi sostenitori, attitudini

importanti sono la creatività nell’incontrare soluzioni a problemi collettivi e la

capacità di ascoltare i problemi del territorio per poterli razionalizzare, presentarli

alla comunità e rendere la stessa capace di affrontarli con soluzioni economico-

solidali.

In questo modo è un’attività che permette all’università di creare una

conoscenza che è accessibile a molti ed è direttamente collegata alla realtà, ai

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problemi locali. Il sapere prodotto è intriso quindi di esperienza e soprattutto è reso

disponibile per la comunità che prende coscienza di sé. Il percorso universitario si

definisce anche come un’azione pedagogica che realizzando interventi nella realtà

incide anche nella vita degli studenti coinvolti negli incubatori che vivono

l’esperienza universitaria come una preziosa fase della vita per prendere coscienza

della realtà che li circonda.

La metodologia di ogni incubatore è molto specifica. In generale possiamo

dire che in un primo momento c’è un lavoro di presa di coscienza della comunità che

si vuole incubare, concetto tipico freiriano, che include una serie di tematiche come il

cooperativismo, l’economia solidale, il lavoro solidario, l’autogestione, la giustizia

sociale e la democrazia. I fruitori sono persone che fanno parte delle associazioni o

delle attività produttive presenti nella comunità. A differenza degli incubatori

tecnologici di impresa che incubano solo un’attività, essi cercano di incubare il

territorio come luogo privilegiato nel quale ricercare logiche e meccanismi di

sviluppo locale. In questa prospettiva quindi gli aspetti culturali, ambientali e sociali

non sono esclusi, ma anzi concorrono allo sviluppo in maniera determinante.

Dal momento che l’incubatore molte volte è ubicato nelle università al suo

interno collaborano studenti di corsi di laurea triennale, specialistica e dottorato.

Essendo questo processo relativamente nuovo uno degli obiettivi dell’incubatore è

quello di produrre conoscenza sulle metodologie inerenti al processo di incubazione

per consolidarle e più in generale per far fronte alle sfide quotidiane dell’economia

solidale. L’obiettivo successivo è quello di ri-consegnare il tutto non solo al discorso

accademico ma soprattutto alla comunità protagonista delle azioni. Quindi

l’estensione non presuppone una ricerca solo teorica, ma ispirata dall’esperienza di

campo e che ritorna al campo per produrre un processo infinito di crescita di

conoscenza.

L’estensione è un processo di un rapporto continuo tra università e territorio.

Si produce infatti conoscenza sui problemi reali e si stimola la produzione di nuovi

progetti di ricerca.

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4.5 Reti di produzione e consumo

Consumare è da molti considerato un atto rivoluzionario perché da ogni piccola

azione di cui è composto, potrebbe dipendere la sostenibilità del’ambiente, la

promozione di un lavoro dignitoso e giusto, le pratiche di commercio giuste e

solidali. Il solo atto di scegliere un prodotto può determinare un’azione non solidale,

finanche la produzione di spazzatura.

Il consumo responsabile si attua quando il consumatore, che si rende conto

che le sue scelte quotidiane impattano sulla sua qualità di vita, sulla società e sulla

natura, cerca alternative di consumo. L’obiettivo di un gruppo di consumo

responsabile è infatti quello di costruire una catena di produzione,

commercializzazione e consumo che sia responsabile, cosciente, giusta, solidaria e

sostenibile. Questo movimento cerca di mettere insieme i verbi comprare e vendere e

cerca di interrogarsi sulla qualità, sulla provenienza e sul valore dei prodotti. Esso

cerca di dirigere il consumo verso prodotti necessari alla sopravvivenza cercando

così di limitare il consumo forzoso (Mance 2010). I principi ricalcano quelli

dell’economia solidale e cioè rafforzamento della democrazia e dell’autogestione,

equità di genere, rispetto delle relazioni di lavoro, giusta determinazione di prezzo,

sviluppo sostenibile, rispetto per l’ambiente, diritti delle donne, dei bambini, dei

gruppi etnici, garanzia di informazione ai consumatori e integrazione di tutti nella

catena produttiva. Consumare significa avere la possibilità di incidere sul proprio

territorio in maniera positiva e favorire l’accesso ad una produzione di alta qualità e

con un prezzo giusto.

Il consumo responsabile punta a mutare la relazione capitale-lavoro, così da

sfavorire l’accumulazione di profitto favorendo una ricostruzione del

cooperativismo. La relazione con l’ambiente poi punta ad approfondire i meccanismi

di lotta contro le monoculture che utilizzano agrotossici che non solo distruggono

l’ambiente, ma producono prodotti che non rispondono all’identità del territorio.

Il commercio equo e solidale nasce in Brasile nel 2000 cercando risposte

creative alle difficoltà di commercializzazione dei prodotti e dei servizi delle attività

economiche solidali brasiliane. “O faces do Brasil” è una piattaforma costituita da

attori del movimento del commercio equo e solidale brasiliano nata nel 2001 che ha

come missione quella di promuovere il consumo come uno strumento per

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un’economia inclusiva, solidale e sostenibile. Questa piattaforma è in partnership con

la segreteria nazionale e la fondazione del banco del Brasile.

In questi anni ha coinvolto più di 2000 lavoratori in 25 corsi di formazione e

visite di campo, cinque seminari regionali e uno nazionale. Faces è un progetto sia

politico che economico perché spinge al riconoscimento da parte dello stato

brasiliano del commercio equo e solidale e fomenta politiche sociali di lotta contro le

disuguaglianze sociali e la precarizzazione delle relazioni di lavoro.

Del commercio equo e solidale fanno parte le attività economico-solidali di

produzione, commercializzazione e consumo, entità e reti nazionali di aiuto, partner

commerciali e organismi di valutazione di conformità. Questo tipo di commercio è

differente dal commercio equo e solidale europeo che prevede imprese nei paesi ad

un più alto tasso di sviluppo che lavorano affinché produttori e lavoratori dei paesi in

via di sviluppo abbiano una relazione commerciale dignitosa e giusta. In Brasile si

vuole incentivare la diffusione di prodotti di imprese solidali, che svolgono

un’azione quanto più equa dal punto di vista socio-ambientale sul territorio.

Per partecipare del sistema nazionale di commercio equo e solidale (SNCJS)

bisogna essere un’attività economico-solidale con un marchio specifico che

rappresenti la relazione di fiducia col sistema nazionale di commercio, che dimostri

l’identità dell’iniziativa economica e la volontà della stessa nel praticare una nuova

economia, preoccupata con l’ambiente e il mondo nel quale si inserisce. Un altro

modo è partecipare come un’attività di tipo “prodotto-servizio”, con un marchio che

attesti questo.

Per ottenere questi marchi il sistema del commercio equo e solidale prevede

tre forme di valutazione: la valutazione di un organismo esterno, il sistema

partecipativo di garanzia e la dichiarazione chiamata “EED-CJS” fatta dal

consumatore o fornitore. Tuttavia nel Brasile non ci sono ancora esperienze concrete

di sistemi partecipativi di garanzia fatti dalla comunità, territorio o regione e

l’impresa si rivolge ad un attore esterno per avere la certificazione.

Il sistema del commercio equo e solidale punta anche a potenziare la

commercializzazione solidaria nel brasile praticando una sorta di protezionismo. Ad

esempio si favoriscono politiche di prezzo più alto per i produttori locali, in modo da

favorirne la sostenibilità economica, tasse più alte sui prodotti che sono venduti fuori

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dal Brasile rispetto a quelli venduti all’interno. Si organizzano poi moltissime fiere

settimanali, si dà assistenza tecnica per softwares che gestiscono le vendite on-line, si

incoraggiano anche azioni di pressione presso i governi municipali affinché siano

concessi finanziamenti, sostegno tecnico e riduzione delle tasse.

L’istituto Kairos che ha monitorato le esperienze di gruppi di consumo

responsabile ne ha censiti nel Brasile 22 fino al 2011. Esso teorizza che per esercitare

il consumo responsabile è fondamentale intendere per intervenire. Per intendere c’è

bisogno che la pratica migliori e si costruisca nel tempo, costruendo così un circolo

di conoscenza. Intendere significa sviluppare la riflessione critica sulle conseguenze

sociali e ambientali degli attuali modelli di produzione e consumo e intervenire

significa contribuire nella pratica alle trasformazioni e alla ricerca di una migliore

qualità di vita, sostenibile socialmente, economicamente e ecologicamente.

Città, paese, mondo

Immagine a cura dell’Istituto Kairos

L’obiettivo di un gruppo di acquisto responsabile è quello di facilitare

l’accesso dei consumatori ai prodotti e ai servizi dell’agricoltura familiare, dell’agro-

ecologia e dell’economia solidaria ad un prezzo giusto. Allo stesso tempo esso cerca

di costruire con i produttori una remunerazione più giusta e migliori condizioni di

lavoro.

Per questo il consumo responsabile ha a che fare con prodotti di agricoltura

familiare che possono o no essere organici, cioè senza agro tossici, e iniziative

agroecologiche che coniugano aspetti ambientali, sociali, economico e culturali oltre

alla produzione organica. Le reti di consumatori cercano di seguire questa linea

anche se non tutte ci riescono; ad esempio alla RedeMoinho sono affiliate delle

cooperative che non sono né agro-ecologiche e né organiche ma che fanno parte

dell’economia solidale in quanto cooperative che promuovono nuove relazioni di

lavoro.

Famiglia comunità

Intendere

Intervenire

Fonte:Istituto Kairos

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Le sfide che queste esperienze cercano di affrontare riguardano molto spesso

la logistica e quindi la realizzazione dei pagamenti, il trasporto e la gestione delle

richieste, la ricerca di una sostenibilità economica delle realtà coinvolte e della rete

stessa. Un obiettivo altrettanto importante è la mobilitazione dei consumatori come

gruppi organizzati in reti solidali, cooperando nella produzione e nella

commercializzazione. Come vedremo nel prossimo capitolo infatti nella realtà baiana

incontrare gruppi di acquisto responsabile è molto raro. Una necessità condivisa da

tutti i gruppi è quella di coinvolgere di più i consumatori per potenziare le azioni di

gruppo. Gran parte d’essi infatti non conosce la catena produttiva e non si preoccupa

col produttore. La preoccupazione più grande è in relazione alla salute e

all’organicità dei prodotti. Dato confermato anche dalla ricerca sulla RedeMoinho.

Mappando le esperienze nel Brasile l’istituto Kairos individua due tipi di reti

che vengono a crearsi; la rete singolare che sono gruppi formati per un insieme di

consumatori che decidono di centralizzare la gestione e la distribuzione dei prodotti.

In questo caso ci si relaziona direttamente con i produttori. Un secondo tipo è quello

capillare per cui i gruppi sono formati da differenti nuclei di consumatori che

dipendono dal gruppo. Il modello capillare è definito molto più adeguato per le città

metropoli, luogo in cui è infatti più esteso.

Un altro obiettivo importante è quello di avere la possibilità di accedere a

prodotti di qualità con prezzi accessibili e appoggiare i gruppi di produzione nella

commercializzazione dei prodotti. Per quanto riguarda il servizio del trasporto la

maggior parte offre quello a domicilio in un giorno stabilito. Per quanto riguarda gli

ordini si preferisce valorizzare l’abitudine del pagamento anticipato per garantire ai

produttori la garanzia della vendita.

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Quinto capitolo

ECONOMIA SOLIDALE NELLA BAHIA.

UN CASO DI INCUBATORE TECNOLOGICO DI ECONOMIA

SOLIDALE

5.1. Periferia nella periferia: Bahia

Tratteremo qui di seguito le esperienze dell’incubatore tecnologico di

economia solidale (ITES) che è un’entità all’interno dell’università federale della

Bahia (UFBA) e che si struttura sul territorio in una rete nazionale, quella degli

incubatori tecnologici di cooperative popolari.

I progetti di Matarandiba e Santa Luzia che saranno analizzati sono per noi

un’esperienza concreta di come lavora un incubatore sul territorio e quali sfide

incontra. All’interno del discorso più generale le esperienze di comunità possono

rappresentare un esempio di economia plurale come abbiamo descritto nel primo

capitolo, nel senso di congiunzione tra diverse forme economiche; mercato, stato e

dono.

Figura 2 Mappa del Brasile e dello stato della Bahia

Il Brasile presenta differenze enormi tra gli stati del nord e del sud. Tenere

conto dello Stato della Bahia significa tener conto di un paese che è stato periferia

nella periferia, non solo perché presenta indici di povertà altissimi, ma perché nella

storia è sempre stato riferimento per l’acquisizione di materie prime da parte degli

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stati del Sud a maggioranza di discendenza di colonizzatori, ma non per

l’implementazione di infrastrutture atte a migliorarne la qualità di vita.

Situato insieme ad altri nove stati nella regione povera del Nord-est, Bahia

infatti presenta diversi indici statistici di povertà. Tra questi stati: Alagoas, Bahia,

Ceará, Maranhão, Paraíba, Pernambuco, Piaiuí, Rio Grande do Norte, Sergipe, ci

sono i tre più poveri del Brasile: Maranhão, Piaiuí e Pernambuco. Tuttavia lo stato

della Bahia è il primo, in quanto a qualità di vita, di tutti gli stati del nord e nord-est.

Salvador, capitale della Bahia è stata la prima capitale brasiliana, ed era il

porto principale del Brasile, simbolo quindi della colonialismo europeo. È la città

con la maggiore presenza di popolazione africana, proprio per la presenza degli

schiavi deportati dall’Africa e di presenza di indigeni.

Lo Stato della Bahia si distingue per un forte carattere produttivo determinato

soprattutto dal tessuto produttivo dell’entroterra che fornisce moltissimi prodotti di

qualità e che fa della Bahia il terzo stato con numero maggiore di esperienze di

economia solidale sul territorio e il primo in presenza di agricoltori familiari.

Tuttavia presenta una estesa carenza di infrastrutture, necessarie ad esempio per

combattere i grandi periodi di siccità che lo affliggono e che determinano la povertà

di moltissimi produttori dell’entroterra.

Secondo i dati della segreteria nazionale di economia solidale la distribuzione

delle esperienze solidali nel Brasile intero è la seguente:

Tabella 3: Numero di imprese solidali nel Brasile, divisi per regioni.

Periodo: 2007

Regione Quantità

TOTAL E 21.859

Regione Nord 2.656

Regione Nord-est 9.498

Regione Sud-est 3.912

Regione Sud 3.583

Regione Centro-Ovest 2.210 Fonte: Seneas www.mte.gov.br/ecosolidaria/secretaria_nacional.asp

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Nella Bahia ci sono 1611 imprese solidali, suddivise così nel tempo:

Tabella 4: Quantità di imprese solidali suddivisi per anno.

1900 a

1950 1951 a

1970 1971 a

1980 1981 a

1990 1991 a

2000 2001 a

2007 TOTALE

1 1 14 183 714 665 1578

Fonte: Seneas www.mte.gov.br/ecosolidaria/secretaria_nacional.asp

La maggior parte sono associazioni che dichiarano di essere nate per garantire

una fonte di reddito complementare per gli associati o come alternativa alla

disoccupazione. Il lavoro più realizzato di forma collettiva è quello di produzione

relazionato all’agricoltura, seguito dalla commercializzazione, benché la maggior

parte affermi di operare in almeno tre aree differenti, ad esempio produzione,

commercializzazione e prestazione di servizi. La maggior parte è tutt’ora attiva, in

maggioranza nella zona rurale. Le attività produttive di sole donne sono le più

numerose, ma sul totale generale gli uomini sono in maggioranza, e questo rispetta il

dato nazionale. Il fatturato medio mensile della maggioranza è di 2500 reais.

Un dato allarmante riguarda il fatto che solo 1800 attività sono organiche e

che le materie prime più utilizzate sono il fertilizzante, le sementi e gli imballaggi.

Questo conferma che un’impresa solidale non è necessariamente legata ad una

concezione sostenibile della produzione, ad una scelta politica, ma più spesso ad una

condizione di sopravvivenza economica delle persone coinvolte. Il 65% delle materie

prime è venduto da un’impresa privata e molto spesso sono le grandi multinazionali

che vendono i pacchetti verdi completi di fertilizzante e sementi progettate per

produrre solo un anno e non essere riprodotte o scambiate. Questi dati10 ricalcano la

difficile e sempre più estesa realtà dell’agrotossico in Brasile, che è il paese

campione in questo tipo di produzione. Il 38% delle attività tuttavia afferma che

l’origine delle materie prime sono gli associati stessi, quindi la forza lavoro è

valorizzata come uno degli aspetti principali.

I locali presso i quali si situa l’attività produttiva possono essere o di proprietà

o ceduti, mentre quasi tutti dichiarano di possedere gli strumenti di lavoro. Quasi il

10 Fonte: Seneas (segreteria nazionale di economia solidale)

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90%11 dei prodotti è creato per la vendita direttamente al consumatore o a rivenditori.

Il raggio di commercializzazione è molto ristretto perché per molti si conclude nella

comunità, al mercato o al commercio municipale. La forma più estesa di

commercializzazione sono le fiere oppure la consegna a domicilio al consumatore.

Il 62% afferma di non far parte di nessuna rete o articolazione a livello

nazionale. Il 40% invece afferma di partecipare del forum di economia solidale e di

movimenti sociali come i movimenti comunitari, quelli urbani e quelli per la terra.

Una realtà quindi quella della Bahia che è molto complessa, che fa i conti con

un rurale molto esteso e una difficoltà delle politiche pubbliche ad arrivare in tutti i

luoghi. Moltissimi municipi mancano di infrastrutture basiche e la concentrazione

demografica ne aggrava la situazione. La scuola e la salute pubbliche sono carenti in

infrastrutture e finanziamenti e di conseguenza c’è un forte stimolo alla

privatizzazione dei servizi basici. Il divario tra ricchi e poveri è sempre più

accentuato peggiorato dalle scelte economico-politiche prese a livello internazionale.

Tuttavia i lavori comunitari e i lavori di reti potrebbero contribuire, in termini

freiriani, alla presa di coscienza da parte dei territori delle loro qualità. Questo

favorirebbe da un lato meccanismi di sviluppo legati al locale, protagonista del

proprio processo di sviluppo e miglior tecnico per se stesso e dall’altro politiche

pubbliche voltate alle necessità specifiche di ogni territorio. Promuovendo quindi

uno sviluppo minimo del territorio si potrebbero favorire pratiche di organizzazione

cittadine che combattano le povertà locali e costruiscano meccanismi economici,

politici e sociali completamente slegati dall’economia di mercato capitalista.

Migliorare le politiche, il livello di istruzione, la copertura igienico-sanitaria

potrebbe favorire meccanismi liberatori dalla condizione di oppressi nella quale oggi

moltissimi abitanti dello stato della Bahia sono costretti a vivere.

La comunità di Santa Luzia dista 5 km dal centro del municipio di Simões

Filho che si trova a circa 40 km da Salvador. Ospita 100 famiglie e

approssimativamente 500 individui, la maggior parte con un reddito molto basso e

con difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro. La comunità di Matarandiba

11 Idem

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70

invece si situa nella meravigliosa isola di Itaparica, nel municipio di Vera Cruz che

ha 40.000 abitanti. Matarandiba è una comunità di pescatori con circa 200 famiglie.

Fonte: Google maps

5.2. Lavorare con le comunità attraverso la metodologia dell’incubatore

I dati di tipo qualitativo qui riportati si avvalgono di alcune interviste fatte al

direttore dell’incubatore, Professor Genauto França Filho, a tre tecnici

dell’incubatore operanti nelle comunità, e ad alcuni abitanti coinvolti nelle attività

sul territorio. Sono stati analizzati inoltre i rapporti dell’incubatore sulle attività. La

ricerca è durata da Aprile ad Agosto 2012.

I progetti nelle comunità coinvolgono gli interventi degli incubatori e dei

programmi di politica pubblica e intercettano sia finanziamenti pubblici che privati.

Figura 3 Mappa della comunità di Matarandiba

Figura 4 Mappa di Simões Filho

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Come abbiamo visto nel secondo capitolo, gli incubatori sono una realtà molto estesa

nel Brasile. L’incubatore tecnologico di economia solidale (Ites) dell’UFBA

(Universidade Federal Bahia) svolge un lavoro sul territorio da dieci anni con

successi e non, costruendo un’esperienza sul campo che diventa preziosa per tutti gli

incubatori, specialmente per quelli della regione Nord-est.

La metodologia Ites intende il territorio come comunità, nel senso che gli

interventi non sono mai solo iniziative socio-economiche, ma anche socio-culturali,

politiche e ambientali.

<<La costruzione di una dinamica associativa nel locale si rivela di fondamentale importanza nel senso di costruire spazio pubblico>> (Laville; Dacheux, 2003 cit in Filho; Cunha 2009:731)

<<Lo spazio pubblico costruito è di fondamentale importanza per il fatto che le reti sono cucite all’interno di un tessuto di relazioni sociali, economiche, politiche e culturali che sono pre-esistenti>> (Filho; Cunha 2009:731)

Il tecnico Ites che lavora nella comunità di Matarandiba infatti ci dice che:

<<Un’ equipe di tecnici quando arriva su un territorio non può pensare di cambiare tutto e di portare novità. Le persone sono lì da un secolo e tu arrivi e dici che c’è bisogno di cambiare? La cosa principale è tentare di creare modelli a partire dall’esperienza di vita delle persone, dalla loro cultura. Mostrare che è possibile anche in quella realtà creare una cosa nuova basata nelle capacità delle persone. Coinvolgere la comunità, questo è importante!>>

La metodologia Ites infatti lavora principalmente con quattro assi: la

formazione, la ricerca, la pianificazione della rete e l’implementazione.

La formazione è una fase che non ha mai un termine, perché il cambiamento è

visto come un lungo processo di formazione delle capacità degli abitanti della

comunità e degli abitanti che scelgono di essere i tecnici che opereranno nelle

iniziative sul territorio come la banca del popolo, le associazioni culturali e le attività

economiche, e dei tecnici dell’incubatore stesso. La formazione è tanto più

importante perché molto spesso le comunità nelle quali si lavora sono povere, con un

alto tasso di abbandono scolastico o di analfabetismo. Essa quindi è sia tecnica per

quanto riguarda le iniziative di economia solidale, ma anche professionale per

capacitare le persone che decidono di mettere in piedi le attività di cui la rete ha

bisogno e soprattutto è generale, cioè in cittadinanza, associazionismo e economia

solidale. La prima fase quindi di ogni progetto incubato da Ites ha sempre inizio con

una serie di corsi che coinvolgono le associazioni comunitarie. Questo è importante

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anche per un primo contatto con la realtà, per poter cominciare a sondarne le

caratteristiche e individuare le persone che possono lavorare da più vicino al progetto

sostenendo i tecnici di Ites nel processo di incubazione.

Il secondo asse è quello della ricerca. Se la formazione è completamente

gestita da Ites, la ricerca coinvolge le persone della comunità. Essa di divide in due

parti; la mappa sulla produzione locale, una mappatura socio-economica che mette in

luce cosa le persone consumano, dal cibo, ai vestiti, ai prodotti d’igiene e una mappa

socio-culturale della comunità. La prima parte dura più o meno 6 mesi durante i quali

un gruppo della comunità mappa casa per casa la produzione e il consumo degli

abitanti. Questa fase, ci confessa il tecnico, è la più difficile, perché coinvolge le

relazioni e la vita quotidiana delle persone:

<<Prova a chiedere al tuo vicino quante magliette usa in un mese, o quanti chili di riso consuma, vedi che imbarazzo ti provoca. Entri nella sua intimità senza che te lo chiede>>

Nel caso di Matarandiba è stato un gruppo di dodici giovani che collaborò

alla formazione del questionario, alla sua somministrazione e alla distribuzione.

Questo è anche un modo per rendere cosciente la comunità delle sue capacità e

potenzialità.

La seconda mappa lavora a ricostruire la storia culturale della comunità

evidenziandone valori e tradizioni e cercando anche di individuare i leader

comunitari. Nel caso di Matarandiba è stata fatta un’intervista a dieci donne anziane

della comunità. Si è cercato quindi di raccogliere la tradizione orale della comunità e

di metterla nero su bianco.

I risultati di entrambe le ricerche sono stati presentati alle comunità e le

reazioni degli abitanti sono sempre state di entusiasmo e di sorpresa. Questa è una

fase molto importante nella metodologia perché punta a rafforzare i legami

comunitari intorno all’identità culturale e socio-politica della comunità.

Con le due mappe in mano è possibile passare al terzo asse, cioè al momento

in cui la comunità si organizza intorno a cosa manca sul territorio e a cosa è

necessario migliorare. Si identificano le iniziative che bisogna realizzare e ogni

richiesta diventa un progetto che con l’aiuto di Ites accede ai finanziamenti pubblici

o privati, dipendendo dagli stakeholders coinvolti. Si cerca quindi di riorganizzare

l’economia locale in una forma solidale. Si costruiscono dei piani di sviluppo locale,

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di sviluppo comunitario (PEDECO) oppure territoriale (PEDETE). La domanda e

l’offerta si ricostruiscono nell’ottica di una rete locale di cui ci parlano Mance (2010)

e França Filho (2009).

La quarta fase è quella della creazione della rete vera e propria così come

pianificata. La metodologia Ites prevede solitamente la creazione di un centro

associativo di economia solidale, che è una struttura punto di congiunzione per

l’info-centro comunitario, l’iniziativa finanziaria, le associazioni presenti sul

territorio e i nuclei produttivi.

È chiaro da subito che le relazioni tra l’incubatore e la comunità non si

costruiscono in maniera gerarchica, di chi sa su chi ha bisogno di essere incubato;

l’esperienza, ci spiega il professore Genauto França Filho, responsabile didattico

dell’incubatore, ci dice che incubare significa costruire insieme al territorio e

l’incubatore si colloca come un’attività paritaria a quelle presenti sul territorio

sebbene col ruolo specifico di accompagnare da un punto di vista tecnico i processi

in una relazione orizzontale. Se la relazione tra l’incubatore e l’attività è di

collaborazione, di costruzione congiunta e collettiva non incontra mai un termine

finale, ma continua sempre, rafforzando l’apprendimento collettivo, della comunità

insieme all’incubatore. In questo senso si può dire che non esiste un vero e proprio

processo di dis-incubazione. Questo concetto è recente nella discussione brasiliana

tra gli incubatori e presuppone una metodologia suddivisa in pre-incubazione,

incubazione e dis-incubazione. L’obiettivo dell’incubatore è fare in modo che queste

attività si rafforzino e l’economia solidale possa espandersi, perciò il legame di

collaborazione incontra sempre nuove sfide. Anche nella storia del mercato

capitalista incontriamo episodi per cui sono state create istituzioni di appoggio per la

sua esistenza. Per esempio in Brasile il Sebrae (Agência de Apoio ao Empreendedor

e Pequeno Empresário) offre una serie di aiuti affinché queste attività possano

continuare ad esistere e possono essere longeve. In questo senso il sostegno

dell’incubatore alle attività solidali trova spazio come motore per l’espansione delle

reti di collaborazione solidale.

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5.3. L’esperienza dell’incubatore a Matarandiba e Santa Luzia

A Matarandiba ci sono attualmente cinque progetti finanziati da enti

differenti, con la partecipazione anche di un’impresa privata, la multinazionale Dow

Chemical, che ha un’installazione di salgemma nel comune di Matarandiba dalla

quale estrae sale minerale che poi lavora industrialmente. Nel 2006 la comunità con

la prefettura e Dow chiesero l’intervento dell’incubatore per iniziare un processo di

incubazione con l’intenzione di sviluppare il territorio in modo da garantire una

qualità di vita migliore. Fu creato il programma “Ecosmar”. Nacque la banca che

finanziò la nascita di un piccolo supermercato, un ristorante e la gestione dei

trasporti.

Oggi la rete locale a Matarandiba è articolata in due associazioni territoriali,

un forum di sviluppo della comunità, un infocentro, una radio comunitaria, la banca

del popolo, un sistema di trasporti, un mercato, una panetteria e il gruppo di estrattori

di ostriche.

Fonte: Projeto Ecosmar economia solidária e sustentável de matarandiba – ITES/UFBA gennaio

2011

Il forum di sviluppo della comunità è il centro delle attività; organizza sempre

incontri di formazione (ex. sulla salute) in forma didattica. La Asomat lavora più che

altro con eventi che riscattino antiche manifestazioni popolari e finanzia anche

progetti di educazione come quello dell’educazione giovani e adulti, un progetto a

livello federale. Poi c’è l’info-centro, il gruppo di produzione agro-ecologica di

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alimenti che, legato al programma di alimentazione scolare, collabora

all’approvvigionamento delle mense nelle scuole. Il gruppo di cultura dell’ostrica è

composto da tredici famiglie che si sono organizzate in rete per commercializzare il

prodotto insieme ad altre dodici comunità di ostro-cultura della Bahia. Lo sbocco

principale tuttavia è il mercato, perché la comunità non è abituata a consumare

questo prodotto. La banca del popolo “Ilhamar” è una dei nodi più attivi; esso

utilizza moneta sociale e procede al finanziamento con microcredito alle persone

della comunità sia per consumo che per iniziative produttive. I dati riportano che già

in aprile 2008 il 100% delle famiglie avevano chiesto e ottenuto il credito al

consumo e che la circolazione della moneta locale, “Concha”, ha arricchito il

mercato locale e velocizzato gli scambi.

Seguendo l’iter metodologico il lavoro dell’incubatore fu quello innanzitutto

di proporre sul territorio dei momenti di formazione. In un secondo momento ci fu

l’implementazione della ricerca socio-economica e quella storico-culturale.

La ricerca socio-economica a Matarandiba è stata condotta grazie all’aiuto di

quindici giovani della comunità che mapparono le abitudini di consumo di tutti gli

abitanti. I risultati furono che il 14% delle persone ha solo il II grado scolare, che il

70% lavora con pesca e molluschi, il 50% della comunità12 riceva la borsa famiglia

dal governo. Il quadro generale della comunità è quindi molto utile, ma è comunque

importante al fine di strutturare domanda e offerta in modo che le zone povere non

siano sfruttate dalle multinazionali, ma prendano coscienza delle proprie possibilità.

Ad esempio ci si rese conto che tutto il salario era diretto verso il centro politico di

Mare Grande, centro del municipio. Una delle spese maggiori era quella di pane,

quindi si decise di finanziare una panetteria nella comunità; allo stesso modo si

finanziarono un mercatino e una rosticceria. È importante sottolineare che questi

finanziamenti furono fatti con moneta sociale della banca del popolo, che mise così

in moto uno sviluppo locale.

La ricerca storico-culturale fu fatta intervistando dieci donne anziane. I

risultati furono molto positivi; Matarandiba infatti dal punto di vista antropologico è

molto interessante perché è un concentrato di tradizioni popolari baiane, come quella

12 Dalla relazione del gennaio 2011 sul progetto di Matarandiba

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dello Zé du Vale che è una tradizione teatrale antichissima che si tramanda come

tradizione orale e che è conservata in pochissime comunità13.

Il materiale di entrambe le ricerche fu pubblicato e distribuito nella comunità.

Questo contribuì a formare una comunità i cui lacci relazionali ad oggi sono ancora

molto forti e più è forte la comunità più si possono chiedere interventi di politiche

pubbliche perché è in grado di organizzarsi intorno a progetti definiti.

A Santa Luzia l’iter fu lo stesso; 12 giovani aiutarono l’equipe dell’incubatore

nella mappatura del territorio. In questa comunità dall’inizio le cose furono più

complicate perché, come scrive il professor Genauto (2009), i rappresentanti

comunitari sono da sempre stati molto forti e chiusi in sé stessi, non favorendo quindi

l’apertura della comunità a nuovi progetti; la bassa scolarizzazione di gran parte della

popolazione poi ha reso il processo molto lento e difficile.

Sul territorio esisteva già un’associazione ma col progetto ne nacque un’altra,

il centro di sviluppo, che aveva il ruolo di essere il centro che riuniva le altre

associazioni che già c’erano, le iniziative economiche, la banca del popolo e il

mercato.

5.4. Rapporti tra le comunità e le imprese private finanziatrici

I progetti in comunità oltre ai finanziamenti pubblici fanno riferimento ad

investimenti di imprese private. La contraddizione più grande riscontrata è quella

della presenza di alcune multinazionali, come la Dow nel progetto Matarandiba, che

colgono queste occasioni per espletare la loro responsabilità sociale.

Il progetto di Matarandiba nacque dalla richiesta della Dow Chemical,

multinazionale del settore agro-chimico e dei semi che insieme a Monsanto, Novartis

e Dupont controlla il 75% delle vendite degli Stati Uniti del mais, il 60% della soia, e

dei prodotti chimici usati in agricoltura. Insieme alla comunità nel 2008 chiese

consulenza tecnica all’incubatore. La Dow ha un’area di estrazione di salgemma

nella comunità ed è proprietaria di una grande parte del territorio.

13 Fonte: risultati della mappatura socio-culturale eseguita attraverso le interviste

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Figura 5 Estrazione di salgemma della Dow a Matarandiba. Fonte: archivio foto Dow

I tecnici Dow

contribuiscono al progetto

definendo questo

un’espletazione della

responsabilità sociale

dell’impresa, o di

“successo comunitario”

come loro stessi lo

definiscono, definendo

questo progetto come finanziamento di azioni sociali. È chiaro che l’intervento della

Dow ricade nella sfera della beneficienza e non presuppone una relazione orizzontale

di lavoro con la comunità. A nostro avviso quest’azione della Dow presuppone una

volontà di controllo sociale sulla comunità che si sente debitrice nei suoi confronti

per le erogazioni elargite. Viene de-costruita la possibilità di resistenza contro il

colosso multinazionale. La contropartita delle donazioni Dow potrebbe essere

proprio il benestare della comunità per lo sfruttamento del territorio. Gli abitanti

infatti ormai non sanno più dove costruire perché tutti i terreni sono stati comprati

dalla Dow e per ogni nuova costruzione devono chiederle la concessione. Un modo

quindi di privatizzare il territorio che è tipico delle imprese private e che contrasta

con gli interessi della comunità. Questo ci dice che non è possibile per una comunità

riuscire a mediare gli interessi di un’impresa che non ha interessi nello sviluppo di un

territorio, ma che ha ogni azione voltata al profitto. Questo non significa che l’indole

della Dow è particolarmente cattiva, ma solamente che l’obiettivo di un’impresa è

incrementare ad ogni investimento il profitto senza avere nessun legame col

territorio. Cosa che non succede con la comunità che è protagonista di una serie di

processi e che ha come obiettivo quello di uno sviluppo socio-economico equilibrato

del territorio e dell’ambiente.

Dalle esperienze dei progetti i tecnici dell’incubatore ci tengono a sottolineare

che emerge il fatto che le imprese private hanno una caratteristica importante che è

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quella di poter rinnovare con facilità i finanziamenti ai progetti avendo una maggiore

disponibilità finanziaria. Ad esempio se il progetto sta terminando con l’impresa

privata si ha la possibilità di rinnovarlo in due mesi, mentre con il partenariato

pubblico passa molto tempo dall’approvazione del progetto alla consegna dei soldi.

Questo tempo molte volte disarticola le comunità che sono deboli e non riescono a

funzionare senza finanziamenti.

Più o meno tutte le interviste in merito in difesa ci dicono che questa

collaborazione non è un’azione top-down, non è una prestazione di servizi alla Dow,

ma è un progetto costruito a partire da una necessità e dibattuto dalla comunità e

portato avanti insieme al supporto tecnico e metodologico dell’incubatore. Il progetto

ad oggi è riuscito a mobilizzare nuove risorse pubbliche per garantire continuità del

progetto e non si basa solo sui finanziamenti della Dow. Inoltre per l’incubatore non

c’è nessun tipo di incongruenza nelle azioni perché la Dow non interferisce nella

pratica negando i finanziamenti. Benché i tecnici dell’incubatore non riferiscono

azioni di ostacolo o mobbing da parte della Dow a nostro avviso questo crea una

forte dipendenza della comunità e rallenta il processo di sostenibilità economica della

comunità. Questa relazione infine può ostacolare la crescita della comunità in rete

con altre in modo da creare una rete con una forza tale da imporre proposte di

sviluppo forti, partecipative e coerenti alle istituzioni.

Queste risposte comunque non risolvono il punto secondo cui la comunità non ha

possibilità di intaccare e di indagare sulle pratiche della Dow. La sfida è riuscire,

quando si è creata una rete abbastanza forte, a determinare uno sviluppo autonomo

sganciato da finanziamenti privati come quelli della Dow che sono a nostro avviso

fortemente pregiudicanti per un sano sviluppo della comunità.

Il caso di Santa Luzia è molto simile a quello di Matarandiba. Il progetto

iniziale di Santa Luzia nacque con l’appoggio della Petrobras (multinazionale

petrolifera brasiliana), del governo della Bahia e dell’associazione comunitaria

presente sul territorio. L’origine del progetto fu quando le tubazioni della Petrobras,

che passano di basso della comunità e di tutta la regione, ebbero una fuoriuscita. Essa

si denunciò al ministero pubblico che decise una compensazione al danno nella

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costruzione di 23 abitazioni per il valore di 300 mila reais. La valutazione mise in

risalto che questo non sarebbe stato necessario e che sarebbe stata migliore un’azione

che riguardasse la generazione di lavoro e reddito. Si coinvolse quindi l’incubatore

che svolse durante tutto un anno delle riunioni insieme ai rappresentanti della

comunità e con cui si iniziò il procedimento di incubazione del territorio del progetto

“Eco-Luzia”.

Il progetto durò quattro anni, dal 2005 al 2009. Nel 2009 la Petrobras uscì dal

progetto per i molti conflitti sorti nella comunità che non garantivano la continuità

del progetto e per gli attriti con la comunità che pretendeva che Petrobras fosse

disponibile a finanziare tutto nella comunità. Il gruppo tecnico dell’incubatore non

era ancora radicato nel territorio e il gruppo giovani di Santa Luzia non abbastanza

forte per auto-sostenersi. Benché la banca del popolo14 non smise mai l’attività passò

per momenti di grave difficoltà perché le persone non si sentirono più obbligate a

ripagare i debiti contratti pensando che senza i finanziamenti della Petrobras la banca

non potesse più funzionare e in questo modo la fiducia nell’istituzione andò

scomparendo. Le persone smisero di pagare perché non avevano abbastanza chiaro il

concetto del ritorno, del fatto che ripagare un debito fosse la condizione principale

perché se ne potesse concedere un altro ad altre attività.

Il mercatino comunitario anche con difficoltà continuò a funzionare, ma il

progetto in generale e i rappresentanti comunitari cominciarono ad indebolirsi.

Due anni fa sono ricominciati i lavori con la partecipazione ad alcuni progetti

pubblici statali e federali e si cercò di appoggiare progetti specifici come l’aiuto alla

gestione del mercatino, l’acquisto di strutture, il sostegno alla banca. Solo oggi, dopo

due anni di lavoro, l’equipe dell’incubatore ha come prospettiva quella di ritornare a

costruire una rete locale partendo dal mercatino e dalla banca che hanno iniziato a

funzionare relativamente bene.

In questa seconda fase non sono coinvolte imprese private, ma solo

finanziamenti pubblici come il “Nord-este banca del popolo”15 che in generale

sostiene la nascita di nuove banche del popolo e il loro mantenimento come ad

esempio finanziamenti per retribuire i tecnici che vi lavorano. Ci sono inoltre alcuni

14 istituzione finanziaria di microcredito che corrisponde denaro a gruppi solidali o persone della comunità. 15 Programma federale di sostegno alle banche comunitarie della regione nord-est

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progetti federali di appoggio alla associazione comunitaria, all’orto comunitario e per

l’acquisto di attrezzatura telematica per l’Info-centro. Ad oggi l’orto è già attivo da 4

mesi e l’info-centro da due, quindi si ha di nuovo una prospettiva di rete in quanto

sono già attive sei organizzazioni; due associazioni, il mercato, la banca, l’orto e

l’info-centro.

È chiaro anche qui che l’intento della Petrobras non è quello di stimolare lo

sviluppo di un’economia alternativa, benché le sue risorse potrebbero aiutare in

questa direzione stimolando la nascita di nuove esperienze. Il rischio è sempre che le

esperienze crescano deboli e dipendenti da questi finanziamenti. Nella seconda parte

del progetto quando la Petrobras decise di non partecipare più al progetto la comunità

ebbe dei problemi nel trovare velocemente dei finanziamenti, tuttavia a due anni

dall’inizio della seconda fase le attività stanno riprendendo con un grande

coinvolgimento del consiglio comunitario, con base forte nella banca del popolo e

nelle iniziative di agroecologia. Benché ancora il processo sia debole ha prospettiva

di sostenibilità poggiandosi solo su finanziamenti pubblici e sul reddito creato dalle

attività sul territorio.

5.5. Il problema della sostenibilità

La sostenibilità dei progetti comunitari è una sfida importante. Discutendo

con i tecnici e con il Professore Genauto è risultato chiaro che, benché la prospettiva

sia quella del sostentamento, in nessun progetto è stato possibile fare questo

dall’inizio. A loro parere per gli investimenti iniziali è sempre necessario un sostegno

economico forte che sostenga la formazione delle associazioni comunitarie e della

banca del popolo. Nessuna delle due banche del popolo infatti si sostenta da sola; le

persone che lavorano e le spese per il materiale sono in tutti e due i casi coperti da

spese pubbliche captate tramite progetti pubblici. La prospettiva quindi del

sostentamento è un orizzonte a cui mirare, ma non è considerato vicino e possibile.

Dalla mappa socio-economica di Matarandiba ad esempio è uscito fuori che

tutto il salario veniva speso fuori dalla comunità anche per i beni necessari. In una

concezione di rete c’è bisogno che le cellule di produzione e consumo si organizzino

in modo che le risorse della comunità non vadano fuori, ma rimangano sul territorio.

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Per questo si ritiene importante investire in produzione e consumo tramite la banca

del popolo. Tuttavia questo lavoro che punta alla sostenibilità della comunità non è

un lavoro a breve termine;

<<C’è bisogno di molto tempo affinché la comunità abbia un livello di sostenibilità alta e riesca a produrre beni alimentari, igienici, e tutto quello di cui ha bisogno. Inoltre i finanziamenti sono importanti perché senza non è possibile pensare di organizzare e produrre eventi o attività socioculturali. Ad esempio un cinema di quartiere si potrebbe costruire con autofinanziamento ma la maggiore difficoltà è che tutte le comunità in cui si lavora hanno un reddito basso ed esigere da loro il denaro non è pensabile, soprattutto perché la comunità non nasce già con una coscienza forte e strutturata tale da vedere questo come futuro perché i risultato non sono di breve termine. I livelli di scolarizzazione e di esclusione delle comunità in cui si lavora quindi rimangono sempre un ostacolo molto grande da saltare>> (dall’intervista del tecnico dell’incubatore per Santa Luzia)

Quindi la sostenibilità economica di una comunità non passa solo per la

ristrutturazione della rete di produzione e consumo, ma anche e soprattutto per il

sostegno dei finanziamenti che si riescono ad ottenere. Soprattutto perché le

iniziative si caratterizzano per natura diversa e non sono solo iniziative produttive,

ma anche associative e culturali e mentre alcune, quelle più produttive, possono

partecipare di una logica di autofinanziamento, altre partecipano invece di una logica

di sovvenzione per la loro realizzazione. Quelle che sono produttive naturalmente

richiedono un periodo di maturazione.

Alla domanda del perché c’era bisogno di finanziamenti nella comunità,

Simoni, abitante di Santa Luzia e Marzia di Matarandiba, entrambe tecniche della

banca del popolo, ci rispondono:

<<Forse oggi non possiamo contare molte iniziative, sia nello stato che nel mercato, che non abbiano un sostegno importante di risorse pubbliche per il loro sviluppo. Per questo non è possibile analizzare un’attività di economia solidale solo per la logica di autofinanziamento. Anzi io dico che moltissime imprese sono state aiutate dallo stato non capisco perché ci si debba sorprendere se anche le nostre lo sono>>

<<Matarandiba è un esempio di come ci sono diverse forme di sostenibilità di un territorio, dalle iniziative culturali che dipendono da sovvenzioni pubbliche e private a quelle prettamente economiche che prevedono anche solo il microcredito della banca. A Matarandiba abbiamo esempio di un’attività culturale che riceve risorse specialmente pubbliche, nello specifico sono circa 120 donne della comunità che realizzano un lavoro di riscatto e preservazione del patrimonio materiale e che partecipano di diversi progetti pubblici per sostenere le loro azioni, cioè per finanziare gli investimenti che sono piccoli ma necessari per la realizzazione di un calendario annuale di azioni culturali e manutenzione di queste attività nella comunità, ad esempio per pagare la struttura del suono per un evento di

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Samba de Roda, oppure per pagare le stesse donne della nostra comunità che hanno cucito i vestiti. Le attività hanno un’importanza simbolica di riaffermazione culturale e di valorizzazione dell’identità di queste popolazioni e dall’altro lato hanno un’importanza educazionale, perché si valorizza una cultura che non è legata solo alla violenza e alla povertà, ma alla comunità stessa>> (dall’intervista di Mariza, abitante e donna di Asomat)

La sostenibilità economica quindi passa anche per la circolazione di risorse

economiche all’interno della comunità, ma questo non prevede che sia tutto

sostenibile perché una sola comunità non ha la forza per creare questo. Si potrebbero

favorire reti tra diverse comunità in modo da poter condividere spese, eventi, lavoro.

Essendo queste esperienze in formazione non è possibile prevederne l’esito, ma

potrebbe essere un utile esperimento.

La banca del popolo poi è un caso emblematico di questa contraddizione

perché è un’attività che all’inizio ebbe bisogno di risorse finanziare e che oggi

continua ad averne bisogno per la retribuzione delle persone che vi lavorano, ma che

allo stesso tempo è riuscito a realizzare azioni di microcredito per il 100% delle

persone della comunità. Nella logica del mercato queste persone non avrebbero mai

avuto accesso a questo servizio anche solo per il consumo, o investimenti in piccoli

affari o per ristrutturare piccole attività.

Le attività, come quelle della produzione di ostrica, dimostrano un potenziale

di attività della comunità, nel breve e lungo periodo, capace di incidere sul territorio.

Per un altro lato però queste attività hanno bisogno di un sopporto tecnico e della

remunerazione dei tecnici che formano e accompagnano le attività. La realizzazione

di un lavoro autogestito quindi che genera lavoro e reddito per le persone coinvolte e

che migliora la qualità di vita della comunità solo nel lungo periodo può essere

sostenibile economicamente. Secondo la metodologia dell’incubatore quindi non si

può monitorare e verificare un progetto comunitario solo dal punto di vista

dell’autogestione e della sostenibilità economica soprattutto perché le persone

coinvolte hanno maturato un deficit storico di educazione e di esclusione sociale, o

che in realtà non furono mai incluse, e che vivono da generazioni questa condizione

di carenza. Le iniziative solidali vogliono rompere questo circolo di povertà

organizzando attività economiche sostenibili e coerenti col territorio.

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Queste due comunità, entrambe molto povere, lottano quotidianamente per

soddisfare i bisogni basici, ma anche quelli strutturali come un sistema di trasporti,

cultura, sport.

Entrambe stanno creando attività che possono generare reddito per gli abitanti

del territorio. A Santa Luzia ad esempio i prodotti dell’orto saranno comprati dal

programma nazionale per l’alimentazione scolare, quindi in un certo senso la

sostenibilità sarà già assicurata e produrrà beneficio per le scuole della rete pubblica

e per le persone della comunità che riceveranno il salario.

Il caso dei gruppi di ostro-cultura di Matarandiba invece è diverso perché la

vendita è direzionata per il commercio sul mercato. Questo racchiude il circolo

solidale all’interno delle comunità e non permette di incidere sui meccanismi di

spesa di mercato, di scardinare dinamiche economiche alienanti. Un’iniziativa

solidale dovrebbe creare nuovi circoli di sviluppo e non rimanere all’interno dei

limiti del mercato e in questo modo creare reti di economia alternativa. Tuttavia la

condizione estremamente povera delle comunità spinge i partecipanti a mirare

soprattutto alla sostenibilità economica.

Come abbiamo visto in una rete di economia solidale non c’è solo un circuito

locale, ma c’è anche l’accesso al mercato e alle risorse pubbliche, un’ibridazione di

forme differenti. Oltre al mercato l’articolazione delle esperienze con il potere

pubblico è essenziale per la sostenibilità delle esperienze. Con i progetti si

mobilizzano risorse per la comunità, ma se queste per qualsiasi motivo non possono

più essere erogate che fine fanno i progetti? Ci ritroviamo di fronte lo stesso rischio

che si corre con i finanziamenti privati. La sfida sarebbe proprio quella di favorire

processi di autorganizzazione.

A nostro avviso una delle fragilità nel processo di autorganizzazione

comunitaria, associativa, e cooperativa, è di non riuscire a costruire un processo di

reale appropriazione di conoscenza delle cose da parte della comunità. Nella misura

in cui le persone favoriscono processi di autorganizzazione ed autogestione non è

facile che realmente conseguono emanciparsi assumendo la capacità di realizzare le

cose; è importante stimolare questo perché anche se la comunità non riesce a

mobilizzare risorse da una fonte può cercarne altre e non solo monetarie ma anche

politiche o associative e finanziarie, essenziali in un’attività economica. Il rischio più

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grande è quello di non riuscire a mobilizzare queste risorse quindi la cosa più

importante da stimolare in una comunità è la capacità di mobilizzare risorse umane.

Questa appropriazione è quella che maggiormente viene stimolata con la

metodologia dell’incubatore, che stimola la capacità delle persone nel costruire reti

locali; dal punto di vista pragmatico significa fomentare reti locali di economia

solidale quando in uno stesso territorio e nella stessa comunità si stimola

l’organizzazione di attività produttive ambientali, associative e culturali, pensando

allo sviluppo locale di forma più integrale. Quindi ci sono organizzazioni diverse a

partire da uno stesso territorio e queste sorgono a partire da un dibattito pubblico

locale che identifica i problemi locali tramite la mappatura e le iniziative che sono

necessarie a risolverli e che possono essere realizzate a partire di un processo di

autorganizzazione.

Questo processo di autonomia della comunità potrebbe essere messo a rischio

anche quando l’incubatore non entra in un processo di dis-incubazione con la

comunità perché non stimola la rete comunitaria a camminare da sola nella

produzione di sviluppo locale. Tuttavia la collaborazione tecnica dell’incubatore non

interferisce con le dinamiche di sviluppo della comunità, semmai le rafforza e dopo

un primo momento di lavoro più intenso, favorisce l’incubazione di altre attività.

È successo tuttavia che se l’incubatore non procede alla dis-incubazione

potrebbe non avere risorse per incubare altre attività e rischiare che gli interventi

siano ridotti. Molte volte infatti sia i tecnici che il professore hanno lamentato che

l’incubatore soffre di mancanza di organizzazione e di risorse per poter incubare

ancora altri progetti. Si spera perciò che le figure lavorative in questo campo non

vadano a diminuire, ma che il sostegno finanziario della stato continui a fomentare

questo tipo di attività permettendo di ingrandirne il raggio di azione e di formare

sempre nuovo personale.

Se ne possono trarre alcune conclusioni; benché la relazione con la Dow

renda dipendente la comunità, la velocità dei finanziamenti e l’approvazione dei

progetti fa apparire questa cooperazione come l’unico modo per far camminare la

comunità. In una comunità dove la disoccupazione e l’analfabetismo sono molto alti,

il denaro elargito dalla Dow crea enormi aspettative a cui è difficile rinunciare per

implementare progetti realizzati solo con progetti pubblici o con fondi creati da

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attività sul territorio, che richiedono maggiore tempo. La condizione economica

precaria delle persone coinvolte spinge all’urgenza della realizzazione dei progetti e

impedisce di pensare ad un processo a lungo termine.

A Santa Luzia, nella quale c’è stato un rapporto diverso con l’ente privato, la

comunità sta facendo più difficoltà a ripartire e tuttavia sta creando rete con altri

territori per quanto riguarda la commercializzazione ad esempio dei prodotti organici

all’interno del progetto pubblico di sostegno dell’agricoltura familiare.

Un’altra questione molto importante è che benché sia positivo il fatto che le

comunità non abbiano solo finanziamenti privati ma anche pubblici, come abbiamo

visto i progetti della comunità risultano comunque in un rapporto di dipendenza dai

finanziamenti. In questo senso le comunità sono indebolite e i progetti sono sempre

in una condizione precaria di sperare che ogni anno si riconfermi il finanziamento del

progetto. Inoltre la comunità non si sente obbligatoriamente coinvolta nel progetto

perché rimanda tutto ai finanziamenti dell’istituzione esterna come è stato nel caso

della Petrobras a Santa Luzia.

C’è bisogno quindi che le comunità insieme all’incubatore elaborino

metodologie per garantire e rafforzare la sostenibilità economica delle esperienze del

territorio per evitare che, come accadde nella prima parte del progetto di Santa Luzia,

ci sia un arresto di tutte le attività.

5.6. Prospettive delle esperienze

Le esperienze di economia solidale creando sviluppo nelle zone rurali creano

anche una motivazione per rimanere. A lungo termine questo potrebbe causare una

diminuzione della concentrazione demografica delle periferie delle grandi città

favorendo possibilità di sviluppo anche per giovani nell’entroterra. Le esperienze

nella Bahia ad esempio sono presenti in numero maggiore nell’entroterra perché

benché l’economia solidale può funzionare in qualsiasi luogo, nei centri urbani le

relazioni interpersonali sono più difficili da creare. Nelle piccole comunità c’è una

realtà locale che facilita relazioni di solidarietà, fiducia e prossimità, o comunque di

controllo reciproco. Inoltre le comunità dell’entroterra hanno un potenziale di

produzione alimentare molto grande che è un elemento fondamentale nella

sostenibilità del territorio perché non si può discutere di sviluppo locale senza

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discutere di alimentazione. Ad esempio dalla mappatura di Matarandiba il 50% del

reddito era per alimentazione. Per essere sostenibile quindi bisogna produrre alimenti

e nei centri urbani questa condizione è molto più difficile perché non c’è lo spazio

necessario per produrre alimenti per tutte le persone presenti nel centro urbano o

peggio negli agglomerati urbani delle periferie. La relazione col territorio è molto

differente.

Un rischio ulteriore dei progetti comunitari è che si possano creare delle

comunità della felicità chiuse in sé stesse che hanno poco o nessun impatto

sull’ambiente esterno. La rete di ostro-coltura lavora per commercializzare, quindi

competere, sul mercato. Non c’è intenzione di creare un mercato intercomunitario.

Questo chiude le esperienze in loro stesse e non permette la creazione di lacci

economici solidali che possano promuovere il cambiamento di paradigma a lungo

termine.

Nella prospettiva di economia plurale, in auge nei filoni teorici che

appoggiano i progetti comunitari, si assume che ciò che si valorizza nella costruzione

di una rete locale di economia solidale (França Filho 2009) è la possibilità che in

quelle esperienze partecipino relazioni economiche di differente tipo e non solo

legate alla reciprocità delle persone locali, volte a risolvere problemi locali, ma anche

iniziative che dialogano col mercato; l’economia quindi si compone di azioni di

reciprocità, ma anche di mercato. La differenza è che queste esperienze non

commercializzano sul mercato per riprodurre un capitale investito, ma lo fanno con

scopo la riproduzione della vita di quelle persone, di manutenzione della famiglia.

Entrare nel mercato non significa entrare nel mercato capitalista, ma

nell’organizzazione dello scambio mercantile. Queste esperienze non hanno

intenzione di contabilizzare un capitale investito basato su una relazione di

sfruttamento capitale-lavoro, ma sono realizzate in una relazione orizzontale di

ripartizione del valore prodotto tra le persone coinvolte, pensando ad una

riproduzione delle persone della famiglia e della comunità coinvolte.

In ogni caso la costruzione di isole non è considerata sostenibile anche perché

un territorio non ha la capacità di produrre tutto quello di cui ha bisogno; ha bisogno

di scambiare beni, valori, prodotti, servizi, cultura, conoscenza con altre persone e

territori per poter svilupparsi. Quindi l’economia solidale, come espressione più

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grande di economia plurale, è un’ibridazione di differenti comportamenti economici

in un’esperienza di sviluppo di un territorio, di un quartiere, di un municipio.

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Sesto Capitolo

ECONOMIA SOLIDALE NELLA BAHIA

IL CASO DELLA REDEMOINHO

6.1. Introduzione

Tratteremo qui si seguito l’esperienza della RedeMoinho, una cooperativa che fa

parte della sistema del commercio equo e solidale della Bahia. Essa si struttura a

livello nazionale nella rete del commercio equo e solidale, una piattaforma di

sostegno alla commercializzazione dei prodotti degli agricoltori familiari.

Questo secondo caso studio si avvale di un’esperienza diretta come consumatrice

della rete. Essa rappresenta un esempio di esperienza solidale che si struttura in rete

sul territorio e che ha come obiettivo quello di promuovere una forma nuova di

produzione e consumo con referenza i valori democratici, partecipativi e sostenibili

del commercio equo e solidale. All’interno del discorso più generale la RedeMoinho

rappresenta un esempio di una pratica in potenza post-capitalista, che lavora per

creare un nuovo ordine economico.

Discutendo con i soci della cooperativa è emersa la necessità di indagare le

cause della difficoltà della rete ad espandersi ulteriormente e di alcuni soci che si

erano allontanati. Per evidenziare e mettere in risalto le criticità dell’esperienza della

RedeMoinho, come strumento di analisi è stato somministrato un questionario ai suoi

consumatori, in collaborazione con i soci della cooperativa, da cui sono stati rilevati i

dati trattati in questo paragrafo.

6.2. Le misure istituzionali per la sicurezza alimentare

La Bahia è il primo stato in quanto a numero di agricoltori familiari e sono

principalmente due i programmi che finanziano progetti in questa direzione; il PAA

(Programma di Acquisizione Alimenti) che è finanziato dal MDS (Ministero dello

Sviluppo Sociale e Lotta alla Fame), MDA (Ministero dello Sviluppo Rurale) e dal

Mapa (ministero dell’agricoltura, bestiame e approvvigionamento) e il PNAE

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(programma nazionale di alimentazione scolare) finanziato dal fondo nazionale per

lo sviluppo dell’educazione (FNDE/MEC).

L’agricoltore familiare o l’imprenditore familiare rurale è, secondo la legge

n°11.326/2006, un produttore che lavora nel rurale e che possiede un’area minore di

quattro moduli fiscali, una misura agraria brasiliana che corrisponde ad un’area

minima necessaria ad una proprietà rurale affinché sia sostenibile e che varia a

seconda del municipio da 5 a 110 ettari. Inoltre la mano d’opera deve provenire dalla

famiglia e il reddito ricevuto interamente speso per l’autoconsumo. In questa

categoria rientrano anche i selvicoltori, acquacoltori, estrattori, pescatori, indigeni e

Quilombi. L’agricoltore familiare può essere inserito nei programmi federali sopra

citati se è identificato per la DAP (dichiarazione di idoneità).

I principi che guidano il programma di alimentazione scolare riguardano

l’offerta di un’alimentazione sana e adeguata, come è stabilito dalla risoluzione del

consiglio deliberativo del fondo nazionale (FNDE), n°38 del 16/07/2009. Questo

programma è uno dei più antichi programmi sociali, infatti risale alla politica di

sicurezza alimentare e nutrizionale di 50 anni fa. L’obiettivo del programma è

contribuire alla costruzione di una sicurezza alimentare e nutrizionale delle scuole

della rete pubblica, promuovendo nelle scuole l’adozione di pratiche alimentari sane.

Ad oggi sono attesi quasi cinquanta milioni di studenti di 190 mila scuole pubbliche

di tutto il paese. La legge n°11.947/2009 stabilisce che minimo il 30% delle risorse

finanziarie dal fondo nazionale per l’alimentazione scolare devono essere utilizzate

dalle scuole per l’acquisto di generi alimentari direttamente da produttori censiti

come agricoltori familiare o imprenditori familiari rurali. Questo diminuisce il

rischio di aumento illecito di prezzo dovuto a passaggi intermediari, favorisce

meccanismi di riforma agraria, valorizza il ruolo delle comunità tradizionali indigene

e quelle Quilombola e promuove stili di vita sani nelle scuole. Dall’altra parte questo

programma spinge affinché gli agricoltori escano dalla condizione di informalità e

siano censiti. Rappresenta un’alternativa per questi produttori nella lotta contro la

povertà rurale, per la sicurezza e la sovranità alimentare e nella generazione di

reddito in un modello di sviluppo che è sostenibile.

Un altro programma importante che sostiene l’agricoltura familiare è il

programma di acquisizione di alimenti (PAA) implementato dal governo federale

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Lula, nelle politiche federali dell’intervento “Fame Zero”. Questo programma fa si

che il governo compri i prodotti da distribuire alle persone non abbienti dagli

agricoltori familiari, con dispensa di licitazione. L’agricoltore familiare ha in questo

senso la sicurezza che il governo comprerà la sua produzione ed è stimolato a

conformarsi a pratiche di agricoltura strutturate e non solo per l’autoconsumo.

Secondo inoltre dati del ministero, gli alimenti consumati dai brasiliani

quotidianamente provengono per il 70% da agricoltura familiare. Benché questo non

significhi che il prodotto è organico questo programma ha riscosso molto successo

per il ruolo importante che ha rivestito nella valorizzazione di questi produttori.

6.3. L’esperienza della RedeMoinho

La RedeMoinho è una cooperativa della piattaforma del commercio equo e

solidale brasiliano. I suoi obiettivi sono quelli di favorire l’incontro tra produttori e

consumatori, di avvantaggiare la commercializzazione dei produttori solidali che

altrimenti avrebbero poco spazio sul mercato e di garantire e diffondere uno stile di

consumo sostenibile, solidale ed equo. Le sue relazioni quindi sono principalmente

con le reti di agricoltori familiari dello stato della Bahia a lei associati, i consumatori

e alcuni supermercati della città di Salvador.

Essa è una rete che unisce consumatori e produttori della Bahia. È l’unica rete in

questo senso della regione Nord-est, oltre a quelle del Ciarà. Unisce 15 produttori a

una cerchia di 80 consumatori, di cui 25 associati fissi. Questa rete propone una via

di sviluppo locale e un modo per garantire la sostenibilità economica agli agricoltori

familiari dello Stato della Bahia.

La storia della RedeMoinho nasce nel gennaio del 2008 quando i partecipanti del

BanSol (Associazione di Finanza Solidale) un’entità studentesca dell’UFBA

(Università Federale della Bahia), insieme a Colivre, un’organizzazione autogestita

che si occupa di diffondere le idee del software libero, decisero insieme di fornire

sostegno tecnologico a diversi settori della società. Già dal 2007 Colivre prestava

assistenza tecnica ai computer della BanSol e da questa relazione nacque l’idea di un

gruppo di consumatori.

All’inizio era una cooperativa che vedeva principalmente i membri della

BanSol come fondatori. Il desiderio che guidava questo gruppo era quello di

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praticare il consumo responsabile senza dover per forza pagare un prezzo esagerato

come nei luoghi adibiti a questo a Salvador. L’idea nacque anche a partire dalla

coscienza del forte carattere produttivo dell’entroterra baiano.

All’inizio la lista contatti consisteva nella lista di amici dei fondatori, ma con

la partecipazione alle fiere aderirono sempre nuove persone. La rete cominciò ad

organizzare delle fiere che all’inizio erano mensili e che cominciarono presto ad

essere settimanali. Questa cooperativa di consumo diventò la ReteMoinho nel 2008,

una cooperativa di servizio nell’area del commercio giusto e solidario.

Si decise dall’inizio che si sarebbero comprati i prodotti dall’agricoltura

familiare, agro-ecologici e fatti da attività solidali. L’azione quindi si divise in due

assi: il primo che riguardava la ricerca di prodotti coltivati con criteri di commercio

giusto e l’altro che riguardava la ricerca di prodotti non troppo costosi per i

consumatori.

<<La cooperativa ha come finalità la costituzione, il consolidamento e l’espansione di una rete di collaborazione solidale, mediante la cui prestazione di servizi ai suoi associati, con base nella partecipazione, cooperazione e aiuto mutuo degli stesso, combatte l’instabilità economica e promuove il benestare di tutti>> (Statuto della ReteMoinho)

La rete è composta da consumatori e produttori, da un direttore generale, un

consiglio fiscale e da un organo gestore. L’assemblea generale ha luogo mensilmente

con la presenza degli associati. Ci sono quattro persone inoltre che lavorano

direttamente per la rete e che sono definite come segreteria esecutiva.

Le richieste alla rete si attuano on-line tramite un software specifico. La

compravendita virtuale si attuò a seguito del fatto che le compere nell’anno 2010

erano molto poche e non si conseguiva mandare avanti la cooperativa e soprattutto

perché la vendita dei cestini settimanali non riscosse molto successo visto che le

persone preferivano scegliere i prodotti e le quantità.

Nel 2011 si decise quindi di creare uno scaffale on-line e fu inaugurato il sito

(redemoinho.coop.br) con l’esposizione dei prodotti e la possibilità per i consumatori

di richiederne nella quantità desiderata.

La rete offre frutta e verdura, alcuni processati, alcune bibite e alcuni prodotti

per l’igiene. Tuttavia le richieste dei consumatori sono molto più vaste. Questo

metodo sembra funzionare visto che sempre più persone cominciano ad unirsi alla

rete. La rete inoltre fa parte di alcune reti nazionali come la rete dei collettivi di

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consumo responsabile, della piattaforma Faces del Brasile e della coordinazione

esecutiva del Forum brasiliano di economia solidaria.

Produttori e consumatori possono associarsi alla rete e anche i produttori

possono essere consumatori. Ogni settimana gli associati ricevono una mail il lunedì

e un’altra il giovedì riguardante la richiesta settimanale. Ogni persona può riempire il

suo cestino online entro il giovedì di ogni settimana e ritirare i prodotti sabato presso

la sede della cooperativa o scegliere di pagare per il servizio a domicilio.

La RedeMoinho contatta quindi i produttori che forniscono i prodotti nelle

quantità richieste, senza problema di scarti.

6.4. I consumatori

Il nove luglio è stato inviato un questionario alla lista dei contatti della rete

per investigare i motivi dell’allontanamento di alcuni soci e sondare le possibilità di

miglioramento del servizio.

Il questionario è stato somministrato a 626 persone tramite mail col software

Mailchimp con termine stabiliti il 20 luglio. Come soggetti sono state scelte le

persone iscritte alla mailing list generale della rete che contiene anche contatti che

sono stati inseriti perché incontrati in eventi e fiere, ma che in realtà non fanno parte

della rete. Venticinque sono i consumatori associati mentre i restanti sono

consumatori o semplici contatti. In questa mailing list non sono presenti gli undici

associati produttori e i supermercati che la RedeMoinho settimanalmente rifornisce.

Essere associato significa che si versa una quota una tantum all’entrata nella rete e

che si può partecipare alle riunioni dell’assemblea generale.

In un secondo momento, giorno 16 luglio, sono state mandate alcune mail

personalizzate alle persone che avevano comprato nei mesi precedenti ma che ora

non compravano da tempo, in totale 15. Questa scelta è stata data dal fatto che la

relazione già esistente non era più forte ed era interesse della rete riqualificarla.

Nelle domande è stato usato la forma del tu con l’intento di parlare al

consumatore di forma diretta rendendolo protagonista da subito dalla costruzione di

una rete più vicina alle sue esigenze, nel senso che ognuno è chiamato a collaborare

per rendere il tutto ancora più efficiente, in una forma di autogestione e

collaborazione.

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MailChimp dà la possibilità di controllare quante persone aprono le mail,

quanti click effettuano e su quali pagine. Per la nostra ricerca su 626 mail 85 persone

hanno aperto la mail. Diogo, il coordinatore generale della RedeMoinho, ci spiega

che settimanalmente la media è di 60 mails aperte. Una somma contingente di

associati cestina direttamente le mail in quanto sono persone che non hanno

direttamente contatto con la rete, ma che fanno parte esclusivamente della mailing-

list.

Delle 85 persone che hanno aperto la mail hanno risposto 28 persone. Una

percentuale molto bassa se si guarda il totale delle mail inviate, ma che

rappresentano le persone che in

media settimanalmente

effettuano la richiesta online. I

consumatori associati poi sono

25, quindi la quantità di risposte

in relazione a questo dato può

essere considerata rilevante anche perché di queste risposte solo il 29% sono sia

associati che consumatori, il resto sono solo consumatori che comprano i prodotti

della rete almeno una volta al mese. Dal questionario infatti risulta che il 74% ha

comprato nelle ultime tre

settimane.

La maggior parte sono donne, in una fascia di età tra i 26-35 anni e la maggior

parte divide casa con una sola persona. La famiglia tipo è quindi una famiglia

giovane di nucleo ristretto. La quasi totalità, il 93%, possiede almeno una laurea, solo

il 7% degli intervistati possiede solo il diploma. Questo conferma l’alto tasso di

influenza del grado di istruzione quando si parla di attività che riguardano il consumo

responsabile. La quasi totalità poi si dice facente parte di una realtà afferente alla

sfera dell’economia solidale, quindi iniziative economiche solidali, agricoltura

familiare, turismo solidale, cooperativismo, software libero, movimento

1 al mese

18 64%

2 al mese

4 14%

3 al mese

2 7%

Tutte le settimane

3 11%

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ambientalista e per la terra. Un dato interessante che risalta subito agli occhi è che la

partecipazione a partiti politici o ad associazioni sindacali è bassissima. Questo

sembra confermare che un attivista della rete è tipicamente una persona che è alla

ricerca di nuove forme di partecipazione politica, che trascendano quelle tradizionali

di raggruppamento politico e soprattutto di spazio pubblico.

Una delle caratteristiche principali della RedeMoinho è che è possibile scegliere

la consegna a domicilio che è fatta nella giornata di sabato con un costo aggiuntivo di

nove Reais. In questo modo l’equipe della rete vuole favorire gli acquisti fornendo

un servizio comodo. In questo modo si va incontro a quelle persone che non

comprano solo perché l’acquisto afferisce ad un valore politico, culturale, ma anche

perché è comodo è pratico, cercando di accattivare così il maggior numero di

persone. Tuttavia una delle risposte più usuali fatte dalle persone che non comprano

da almeno tre mesi è che il costo del trasporto è troppo alto e che non favorisce le

compere abituali.

Inoltre questo tipo di relazione on-line non favorisce l’incontro con i produttori, e

l’istaurarsi di reti e relazioni. Il 93% infatti afferma che compra almeno una volta al

mese al mercatino del quartiere, esplicitando così un bisogno grande di relazione col

prodotto e col produttore, oltre al fatto che i prezzi al mercatino sono a volte più

bassi della media. Acquistare al mercatino non significa sempre acquistare dal

produttore direttamente, ma tra le persone si instaura una relazione di fiducia per cui

l’atto di comprare è probabilmente molto di più di un solo atto di spesa.

Domiciliando i prodotti in casa o facendo la cesta online il consumatore non ha

relazione né col prodotto e né col produttore, tanto che il 30% non conosce i

produttori e il 40 solo alcuni. Degli intervistati metà conosce qualche produttore

anche perché sul sito sono presenti solo alcuni contatti dei produttori e solo il 25%

conosce i produttori direttamente o almeno hanno avuto a che fare con le cooperative

che li raggruppano. La maggior parte dei consumatori quindi non ha interesse a

conoscere i valori e i modi di produrre degli agricoltori e questo potrebbe influire

molto sulla loro partecipazione alla rete.

Inoltre il 30% afferma che non ha mai usufruito del servizio di trasporto e

solo il 5% ha cliccato sul servizio del trasporto come motivo per cui scegliere la

RedeMoinho.

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I consumatori della Rete non riescono a soddisfare i bisogni di una settimana

comprando solo nella rete per diverse motivazioni; innanzitutto perché i prodotti

comprati in maggioranza sono frutta e verdura quindi per tutte le altre tipologie

bisogna riferirsi ad altre fonti, ma soprattutto perché lamentano una non

corrispondenza con la richiesta fatta e con i prodotti che effettivamente ricevono o

con la loro qualità. Ad esempio in tempo di secca i pomodori non era possibile

produrli e quindi succedeva che le richieste non venivano soddisfatte oppure

arrivavano pomodori di scarsa qualità o del tutto verdi. La percentuale più alta

riguarda poi quelli che giudicano più comodo comprare tutto in un solo posto,

specialmente quando incontrano prodotti meno costosi rispetto a quelli venduti nella

rete.

6.5. Produttori

Lo schema qui riportato è un’elaborazione di dati prelevati dalle interviste a

produttori facenti parte della RedeMoinho e al coordinatore generale della rete,

Diogo Rego.

Come si può vedere dallo schema i produttori che fanno parte della

RedeMoinho sono quattordici grandi cooperative che raccolgono al loro interno

realtà agricole associate da tutto lo Stato della Bahia.

Non tutti producono organico e pochi producono agro ecologico.

L’agroecologia è intesa come una produzione che non solo è sostenibile dal punto di

vista ambientale e agricolo ma soprattutto dal punto di vista della relazioni di lavoro.

Questo evidenzia il fatto che le cooperative sul territorio nascano per far fronte ad

una condizione di povertà più che ad una scelta politica di costruire un nuovo

paradigma economico. Inoltre la difficoltà di mappare le esperienze risiede nel fatto

che ogni cooperativa racchiude in sé stessa moltissimi agricoltori familiari e non

riesce a dare una direttiva comune da far seguire loro, come potrebbe essere quella

della coltivazione organica.

I programmi a cui si fa riferimento sono quelli governativi per far fronte al

problema di sovranità alimentare diffuso specialmente nell’entroterra baiano. Come

possiamo vedere la sostenibilità delle imprese è data in ogni caso dalla

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partecipazione a questi programmi, benché molti vendano i prodotti anche nelle fiere

settimanali, forniscano la RedeMoinho o vendano direttamente ai supermercati a loro

affiliati.

Le relazioni lavorative all’interno della cooperativa sono in maggioranza

retribuite, se si tiene conto soprattutto della APAEB che conta più di 600 associati.

Questo vuol dire che moltissime delle persone coinvolte nel lavoro di coordinazione

delle micro imprese agricole familiari fanno questo come scelta politica di ovviare

alla condizione di povertà baiana, ma anche come fonte di reddito. Le altre sono

realtà nate da poco o ancora troppo piccole per ottenere una sostenibilità e per questo

si avvalgono in maggioranza di lavoro volontario.

Inoltre ultimamente la RedeMoinho si sta proponendo come coordinatrice di

un’azione che unifichi le etichette e diminuisca gli sprechi di imballaggi e proponga

un unico marchio biologico. Benché questa azione sia a lungo termine vista la scarsa

politicizzazione delle associazioni coinvolte nella rete, essa ha un enorme valore

aggiunto se si considera il fatto che in questo modo si crea coscienza politica e si

estende l’operato della rete a nuovi produttori.

Figura 3: Distribuzione geografica produttori

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Figura n 4: Composizione produttori rete

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6.6. Relazione tra consumatori e produttori

Uno dei criteri che più viene utilizzato nella scelta dei prodotti nel mercato è

la garanzia dell’organicità del prodotto. Tuttavia come abbiamo visto nella

RedeMoinho non tutti gli associati producono organico visto che le cooperative

associate nascono innanzitutto con l’obiettivo di raggruppare i produttori di

agricoltura familiare nelle diverse regioni. La condizione povera dei produttori e il

basso livello di istruzione non permette loro di avvicinarsi con fiducia alla

produzione organica sia perché non sempre assicura il raccolto e sia perché non si ha

fiducia in questo tipo di coltivazione.

Un obiettivo della rete è quello di avvicinare produttori e consumatori in una

relazione politico-sociale. L’intento è quello di creare uno spazio pubblico nuovo e

partecipativo all’interno del quale si produca una nuova politica e una nuova

democrazia. Tuttavia non tutti i consumatori conoscono i produttori e la maggioranza

dei produttori non segue regole biologiche arrivando ad usare anche molti pesticidi.

L’intento quindi della rete non è raggiunto visto che non c’è una relazione tra

produttori e consumatori. Nelle risposte aperte si richiama spesso alla creazione di

eventi che vedano coinvolte le due categorie insieme per creare reti di conoscenza e

fiducia. Invece il sabato, specialmente per chi riceve la cesta a casa, non c’è nessuna

relazione e a volte i prodotti non sono nemmeno organici.

Alla domanda se sarebbero interessati a partecipare a riunioni mensili su temi

democraticamente scelti la maggior parte risponde di si e l’altra vorrebbe ma non ha

tempo. Questo renderebbe i consumatori meno isolati e darebbe la possibilità di

creare relazioni tra di loro e con i produttori. Solo il 15% si ritiene del tutto

disinteressato. Questa fascia potrebbe rappresentare la fascia di soli consumatori che

non hanno volontà di partecipare della rete per creare un movimento economico

differente, ma solo per usufruire dei prodotti messi a disposizione. Infatti il 55%

afferma che partecipa della rete per consumare prodotti più sani.

Un motivo per cui i consumatori sono disinteressati ai produttori a nostro

avviso potrebbe essere data dal fatto che essi non si sentono parte del processo. La

proposta di una certificazione partecipativa come sta succedendo “Nell’isola che

c’è” della città di Como e nei distretti di economia solidale di Varese e di Monza-

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Brianza potrebbe essere un esperimento interessante che favorirebbe anche

l’estensione delle esperienze dei gruppi come la RedeMoinho sul territorio. Un’altra

importante implementazione sarebbe quella di rafforzare la relazione già presente tra

i produttori e consumatori della RedeMoinho. I produttori infatti sono anche

consumatori e questo fa si che si crei una relazione di scambio di prodotti tra di loro.

Il circuito di scambio viene regolato dalla moneta sociale “Moinhos”. Gli scambi di

lavoro all’interno della rete vengono pagati in moneta sociale per cui chi presta il

servizio ha credito o presso la rete o presso il produttore sotto forma di prodotti. Una

forma di scambio di tempo ripagato con crediti che crea un circuito di solidarietà tra

le persone coinvolte.

6.7. Il rapporto con il territorio

Consumare in molti casi è inteso un atto rivoluzionario perché le scelte di un

consumatore possono influenzare la catena produttiva e le filiere in cui è inserito.

Tuttavia è anche un atto necessario che comprende fattori di gusto, di qualità e di

prezzo. Leggendo questi dati sembra che queste variabili influenzino molto le azioni

dei consumatori in questione. I consumatori in questione rappresentano una parte

inconsistente rispetto a tutto il potenziale che la rete potrebbe raggiungere anche solo

nel quartiere di Sant’Antonio dove ha sede e dove ha intenzione di promuovere

azioni di mobilizzazione in unione con le altre associazioni sul territorio. Le persone

che tutti i giorni fanno la spesa infatti non arrivano alla rete. Questo può dipendere da

tantissimi fattori, ma forse quello più evidente è il contesto socio-economico del

quartiere dove la cooperativa è radicata e che soffre alti tassi di marginalizzazione e

di povertà.

Tra gli stessi consumatori comunque sembra emergere una caratteristica sopra

tutte le altre che è proprio quella del consumismo. Se consumismo significa la

comodità di comprare tutto in uno stesso posto, il bisogno di comprare anche quando

un prodotto è fuori stagione perché non si ha possibilità di fare altrimenti, la ricerca

delle offerte tra i vari supermercati per comprare al prezzo più basso, allora anche i

consumatori della rete sono affetti da questa malattia. Quelli un po’ più lontani

affermano infatti di non aver più consumato perché hanno incontrato prodotti più

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economici in altri luoghi, perché preferiscono comprare tutto nello stesso luogo,

senza dover parcellizzare le compere e che comprano quello che più incontra i loro

gusti, anche se preferibilmente organico.

Come conferma di ciò il criterio che secondo il questionario spinge in primo

luogo a comprare nel mercato è la comodità di trovare tutto in un solo luogo, e in un

secondo momento la certificazione organica e l’alta qualità anche se d’importazione.

Visto che la questione della qualità del prodotto è molto importante non hanno

comprato più nella rete non solo perché il prezzo era più alto di altri luoghi, ma

perché hanno giudicato per quella qualità di prodotti il prezzo troppo alto e quindi

hanno deciso di comprare in altri luoghi. Un altro criterio di scelta è infatti il costo

basso, quindi i consumatori ricercano anche il risparmio. Questa condizione per i

prodotti freschi potrebbe realizzarsi anche nella rete mentre per altri prodotti

processati sarebbe più difficile, benché i due prodotti potrebbero completarsi. La

stagionalità, la minimizzazione degli imballaggi, la filiera corta e la localizzazione

dei prodotti sono agli ultimi posti dei criteri. Consumare quindi non è solo una scelta

politica, ma incontra anche i gusti delle persone e il consumo quotidiano. Una rete

come quella della RedeMoinho dovrebbe proporre percorsi formativi su questioni di

fondamentale importanza come la produzione dei prodotti, le filiere corte, il consumo

critico, giustizia sociale, questione ambientale.

Questa situazione è in linea con gli altri tipi di associazione presenti all’interno

dello stato della Bahia.

Il concetto di Mance di consumo solidale non è sempre quello proposto

all’interno dei gruppi. Esso rimane una meta da raggiungere, ma la condizione

economica precaria spesso prevale e molti agricoltori familiari non producono

completamente organico e agro-ecologico. Ciò non toglie che i gruppi hanno un

ruolo importantissimo di diffusione di questo tipo di cultura. Potrebbe darsi in un

futuro che la produzione organica e agro-ecologica possa avere la priorità come in

alcuni agricoltori che già da oggi ne fanno una costituzione imprescindibile.

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CONCLUSIONI

Il tempo necessario a valutare l’impatto sul territorio delle esperienze solidali

è molto lungo. Non è stato possibile quantificarlo in maniera univoca dal momento

che gli indicatori utilizzati, come ad esempio il Pil, non riescono a cogliere le realtà

del solidale per valorizzarle. Tuttavia dal 2003 ad oggi, salito al governo Lula,

possiamo registrare, grazie ai dati forniti dalla fondazione Vargas, una diminuzione

della povertà in termini percentuali di circa 12 punti, dal 28,5% nel 2003 al 16% nel

2008. Il governo Lula fu definito da tutti molto attento alle politiche sociali, e di fatto

fu molto attivo in questo campo istituendo diverse azioni di vicinanza ai poveri e alle

esperienze di economia solidale. Questo ci costruisce l’orizzonte entro cui pensare

queste esperienze solidali e entro cui valorizzare l’impegno di ognuno: un contesto

molto povero. Le persone si sentono coinvolte direttamente perché dipende dal loro

agire la promozione e diffusione di una pratica migliore. Le pratiche di economia

solidale infatti cercano di promuovere l’identità di ogni territorio valorizzandone le

peculiarità e includendo i cittadini a protagonisti dell’azione.

I casi studio in questione sono stati presi in considerazione proprio perché utili

campioni per analizzare alcune tra le più numerose esperienze di economia solidale

presenti nella Bahia. In essi infatti si intrecciano prospettive sia di economia plurale

che post-capitalista, di fruitori sia di aiuti statali che privati, di tipo organizzativo sia

cittadino che istituzionale.

Ci sono molte sfide da affrontare perché non tutti i territori sono uguali e perciò

ospitano esperienze differenti. A nostro avviso è importante sottolineare che nello

stato della Bahia le esperienze sono più numerose perché la popolazione si organizza

secondo metodi tradizionali di fare economia che non sono quelli proposti dalle

grandi multinazionali o dalle monocolture che si distribuiscono sul territorio. Essi

sono segmenti di popolazione esclusi da questi circuiti che cercano una via

alternativa per poter produrre e consumare. Questo potrebbe significare che la nascita

di imprese solidali è favorita lì dove non c’è altro modo di fare economia; le persone

incontrano naturalmente un nuovo modo di fare economia lì dove le logiche del

mercato hanno distrutto e danneggiato; in questo senso si crea sviluppo in coerenza

con il territorio. Moltissime attività infatti affermano di iniziare un’attività per

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sfuggire alla disoccupazione, che è un problema reale, una forma di esclusione dalle

logiche economiche del mercato capitalista.

Inoltre è interessante vedere come queste esperienze sopperiscono ad esigenze

della comunità rendendola attivamente protagonista del processo. Moltissime

comunità mancano di infrastrutture basiche proprio per la condizione di povertà nella

quale vertono; ad esempio a Santa Luzia l’associazione dei cittadini si è organizzata

per costruire delle case ed è riuscita a trovare i finanziamenti e a coinvolgere la

comunità.

Le comunità promuovono attività produttive che rispecchiano le tradizioni e le

esigenze del territorio; ogni attività è decisa nel consiglio comunitario e ha la voce di

tutti i partecipanti. L’identità globale quindi è costituita dalle tantissime prospettive

costruite nei progetti e che hanno come protagonisti i movimenti di persone che si

sentono brasiliane e vogliono contribuire alla crescita del paese.

Benché l’esperienza del commercio equo e solidale sia molto diversa da quella

dei progetti comunitari, essa comunque promuove un’identità brasiliana che è

espressione della libertà degli oppressi, così come quella proposta dai progetti

comunitari; un’identità che è fatta dalle persone coinvolte che si sentono protagoniste

dei processi economici e di cambiamento. Inoltre la RedeMoinho essendo un punto

di incontro e di relazione tra consumatori e produttori raggruppa al suo interno

moltissime esperienze di economia solidale, agricoltura familiare, agroecologia,

attività di donne, così come l’incubatore lavora con diverse attività solidali.

La RedeMoinho inoltre promuove prodotti tipici della regione che non sono

presenti altrove, stimolando e promuovendo l’agricoltura familiare che produce e

vende in territori specifici e prodotti peculiari. Queste esperienze così messe

favoriscono l’inclusione di moltissime persone che altrimenti sarebbero escluse dal

processo di costruzione dello sviluppo. In questo senso promuovono l’identità del

paese, perché non producono logiche omologanti, ma specifiche.

Sebbene quindi queste esperienze rispecchiano pienamente l’identità del

territorio e sono promotrici della libertà degli oppressi (Freire cit. in Mance 2003) nel

senso che promuovono modelli socio-economici di sviluppo inclusivi e che

permettono nel locale di produrre ricchezza, nel caso delle iniziative delle comunità

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la dipendenza da fondi privati indebolisce la prospettiva di uno sviluppo sostenibile e

alternativo a conclusione dell’erogazione dei fondi stessi.

I progetti in comunità hanno come fine quello di innanzitutto ovviare alla

condizione di estrema povertà nella quale vertono; la RedeMoinho lavora con

produttori di agricoltura familiare che altrimenti non saprebbero dove vendere,

quindi che vertono anche essi in condizioni di povertà. Tuttavia la RedeMoinho si

prefigge come obiettivo quello di promuovere l’organizzazione di un nuovo

paradigma economico, costruendo presupposti di scambi economici differenti e che

seguono logiche nuove. Il livello da cui parte la rete sembra essere differente, tuttavia

essa ha a che fare benché la RedeMoinho cerchi di creare dei circoli di sviluppo,

tenta di far girare l’economia secondo nuove logiche.

Mentre la RedeMoinho fa riferimento solo a finanziamenti pubblici i progetti in

comunità anche a quelli privati. A nostro avviso concorrere a bandi pubblici non

rappresenta un ostacolo alla formazione di un nuovo ordine economico, anzi è da

stimolo alla creazione di nuova relazione con lo Stato. Soprattutto perché lo stato

della Bahia è esempio di come il governo non riesca ad arrivare in tutti i luoghi, ma

che abbia bisogno di nuovi strumenti partecipativi. La RedeMoinho infatti è

protagonista di meccanismi autonomi rispetto allo Stato e che producono democrazia

e partecipazione. Per evitare il rischio che diventi solo una stampella dello Stato e

non una realtà effettivamente autonoma è importante che siano impiegate delle

energie per la costruzione di un nuovo rapporto con lo Stato che preveda la

partecipazione dei territori in maniera attiva, che distribuisca i fondi in maniera

oculata e sia capace di monitorarne le azioni e valutarne gli esiti.

Per quanto riguarda la sostenibilità economica della RedeMoinho bisogna

sottolineare che i gruppi di consumatori nello stato della Bahia sono ancora poco

strutturati e l’esperienza della rete è ancora troppo piccola per avere un’incidenza

grande sul territorio; è per questo che il lavoro risulta a volte molto pesante e difficile

per i soci coinvolti. Nella RedeMoinho il fine è anche quello di produrre reddito per

le persone coinvolte e per promuovere la sostenibilità della cooperativa; essa si

inserisce quindi in un segmento pienamente economico. Tuttavia la questione della

sostenibilità economica sta portando la cooperativa ad introdursi in circuiti di

supermercati, benché solo con alcuni scelti che abbiano condotte positive. Questo

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legame mentre indebolisce la proposta iniziale, sembra essere l’unico modo per

garantire la sostenibilità economica della cooperativa e dei lavoratori.

Le comunità dovrebbero apprendere dall’esperienza della RedeMoinho a fare

maggior rete sul territorio. In questo senso esse potrebbero farsi forza l’una con

l’altra e sfuggire a meccanismi di finanziamento privato che non fanno altro che

riprodurre dipendenza dei territori perché sono espressione piena di un’economia

neoliberale. Ad esempio l’esperienza dell’ostro-coltura prima citata rimane a livello

delle comunità e ha come obiettivo lo sbocco sul mercato. L’economia solidale

presuppone invece scambi che riguardano anche la sfera della reciprocità e del dono.

Se la solidarietà è dono (Mauss) queste forme di scambio hanno la possibilità di

creare nuove relazioni. Nelle comunità si corre invece il rischio di rimanere

soggiogati alle logiche di mercato e di non costruire un’alternativa. Le relazioni di

scambio rimangono solo all’interno delle comunità e non hanno impatto sul territorio

circostante, se non a lungo termine, forse troppo lungo.

L’obiettivo potrebbe essere quello di costruire reti più integrate tra consumatori e

produttori per non ricreare situazioni frammentarie che rinvigoriscono solo alcuni

territori ma che non propongono uno sviluppo a lungo termine per tutto il territorio.

Le comunità sembrano quindi essere un esperimento dove si valorizzano le tradizioni

e le manifestazioni culturali ma non si riesce ad incidere sul territorio in maniera

decisiva. Infatti le persone coinvolte riescono ad ovviare alla disoccupazione, ma

rimangono sempre legate a progetti, quasi interamente finanziati dal governo, che

difficilmente riescono ad essere autonomi.

Libertà degli oppressi in queste esperienze significa anche promozione umana

delle persone coinvolte. Nelle banche del popolo ad esempio il presupposto cardine è

creare la relazione con chi chiede il credito. L’insolvenza è ridotta al minimo perché

il problema è quasi sempre discusso nel consiglio di comunità che cerca di incontrare

una soluzione e spingere il debitore ad attivamente risolvere la propria condizione di

insolvenza. La banca del popolo di Matarandiba è particolare e affronta esperienze

che sono uniche perché riguardano persone specifiche. Questo significa che è capace

di affrontare problemi in maniera diretta e appropriata. Il denaro poi di ogni

comunità è differente, perché già nel processo di creazione viene coinvolta tutta la

comunità per definirne il disegno ed il nome, inoltre circolando nel locale stimola

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enormemente la produzione e il consumo locali e unisce la comunità intorno al

valore dell’identità rafforzandola.

<<Molto spesso queste comunità sono rese fragili dal fatto che non conoscono le loro potenzialità>> (intervista del Prof. Genauto França Filho)

Nel Banco Palmas ad esempio, che è un’esperienza di banca del popolo dello

stato del Ciarà, l’impresa che produce pannolini vende i suoi prodotti ad una famiglia

che produce pasti d’asporto, che l’impresa di pannolini compra per i suoi dipendenti.

La crescita economica quindi diventa una questione moto vicina alle persone

coinvolte, un destino che si può governare, legato alla realtà. Il denaro che circola

non è impiegato per fini sconosciuti come ad esempio finanziamenti di guerre o altro,

ma tutto è gestito democraticamente dal consiglio della comunità che rappresenta

tutte le associazioni presenti. Questo non è un processo né semplice, né scontato.

Molte comunità incontrano problemi perché questo esercizio di democrazia

presuppone un lavoro delicato sugli equilibri delle vite degli abitanti della comunità.

La partecipazione dei cittadini è infatti un nodo cruciale per la buona riuscita di

un’esperienza. Mentre nelle comunità le persone sono inserite all’interno di forti

legami comunitari che influenzano moltissimo le loro azioni, nella RedeMoinho le

persone scelgono di far parte di quella relazione e costruiscono una solidarietà che è

responsabilità individuale in un primo momento ma che è volta alla costruzione di un

ordine economico nuovo come in questo caso. La persona emerge e non viene

sottomessa dai legami sociali perché sceglie di farne parte, anche se in un secondo

momento vi è obbligata per il mantenimento del sistema.

Benché quindi queste esperienze possono rappresentare una via di sviluppo

interessante, le sfide rimangono importanti; è difficile stabilire quali di queste due

esperienze ha maggiore impatto sul territorio in base a caratteristiche di economia

solidale. Per analizzare questa caratteristica faremo riferimento alla categoria di

autonomia e cercheremo di analizzare come queste esperienze si relazionano col

territorio e che raggio di autonomia hanno rispetto ad un progetto di sviluppo a lungo

termine di economia solidale.

I processi comunitari hanno bisogno di rafforzare nuove dinamiche

economiche che non per forza devono sfociare nelle logiche economiche di mercato.

Liberare la comunità dall’obbligatorietà di ricevere fondi di finanziamento inoltre

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permetterebbe una maggiore indipendenza. Rafforzare le reti di consumatori per

incentivare il consumo solidale e diminuire quello forzoso (Mance). Sarebbe

importante infine trovare nuovi indicatori di benessere che possano quantificare

quanto le esperienze solidali in realtà stiano incidendo sul territorio. Questo darebbe

estremamente forza e visibilità e aiuterebbe nel processo di presa di coscienza delle

comunità stesse.

Nella concretezza la differenza tra l’esperienza degli incubatori e quella della rete

è data dagli effetti che esse producono sul territorio rispetto ad una proposta di

sviluppo.

Le comunità, benché l’analisi si riferisce a progetti che hanno solo otto anni di

vita in media, hanno effetti sul territorio della comunità. Essi hanno contribuito a

migliorare le condizioni di povertà delle comunità offrendo un’alternativa di

sviluppo, contro l’esclusione a cui erano condannate secondo le logiche di mercato

capitalista. I progetti hanno contribuito ad un mutamento nelle relazioni sociali della

comunità promuovendo procedimenti democratici e paritari nella scelta dei progetti

da finanziare, valorizzando le persone come pieni protagonisti dei processi di

cambiamento.

La RedeMoinho produce effetti su un territorio che è quello afferente alla rete. I

produttori infatti fanno parte di tutto lo stato della Bahia. Inoltre la partecipazione a

fiere o ad eventi nazionali di economia solidale rende possibile la visibilità anche a

persone non coinvolte.

La RedeMoinho benché faccia riferimento a progetti pubblici è

un’organizzazione di soci che hanno come intento quello di promuovere una

condizione dignitosa per gli agricoltori familiari. Il limite è che visti i prezzi non

competitivi e visto che moltissime persone vivono di autoconsumo, la proposta del

consumo solidale riesce ad interessare solo una fetta di popolazione, quella con un

livello di istruzione alto che riesce a valorizzare queste esperienze, e con un reddito

medio-alto che permette la scelta di prodotti non solo in base alla competitività sul

mercato, ma anche in base alla qualità e ad una scelta valoriale di consumo

responsabile.

Rispetto ai progetti in comunità le reti sembrano avere più autonomia di gestione,

mentre le comunità rimangono legate a procedimenti che si legano alle decisioni del

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consiglio comunitario. Ancora non si è visto un’espansione al di fuori del territorio

della comunità e non si registrano attività autonome degli abitanti rispetto ai progetti

finanziati con il sostegno dell’incubatore. Non sono infatti stati attivati ancora

procedimenti di dis-incubazione. Una volta l’incubatore fuori dal territorio si

potrebbe vedere se la comunità è capace di autodeterminare uno sviluppo in senso

solidale e autonomo, e di innescare processi di economia solidale che si auto

sviluppano.

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