Università della Calabria
Facoltà di Economia
_____________________________________________
Corso di Laurea Magistrale in Discipline Economiche e
Sociali per lo Sviluppo e la Cooperazione
TESI DI LAUREA
PRATICHE E POLITICHE DI ECONOMIA SOLIDALE:
ESPERIENZA NELLO STATO DI BAHIA, BRASILE
Relatrice: Candidata:
Annamaria Vitale Carmela Guarascio
145150
Anno Accademico 2011/2012
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3
INDICE
Introduzione. Economia solidale, riflessi di arcobaleno 8
1. ECONOMIA SOLIDALE, DEFINIZIONE E FILONI
TEORICI 11
1.1. Introduzione all’economia solidale 11
1.2. Dall’economia sociale all’economia
solidale 13
1.3. Verso una definizione di economia
solidale 16
1.4. Economia solidale: il dibattito
contemporaneo 20
2. ELEMENTI COSTITUTIVI DELL’ECONOMIA SOLIDALE NEL DIBATTITO TEORICO
24
2.1. Lavoro e redistribuzione 24
2.2. Democrazia e rapporti col potere pubblico 26
2.3. Reti 29
2.4. Consumo solidale 33
2.5. Liberazione degli oppressi 35
3. BRASILE, ANIME A CONFRONTO 37
3.1. Neoliberismo e povertà mondiale 37
3.1.1. Un paese, molteplici anime 41
4
3.1.2. Periferizzazione del Brasile 44
3.2. Povertà mondiale e movimenti sociali:
verso un’alternativa 46
3.3. Dipendenza del Brasile 48
4. ECONOMIA SOLIDALE: L’ESPERIENZA DEL
BRASILE 51
4.1. Il Sud America: i movimenti sociali 51
4.2. La scelta politica del Brasile 53
4.3. Mappa delle esperienze e intervento
istituzionale 56
4.4. Incubatori tecnologici di cooperative
popolari e concetto di estensione 58
4.5. Reti di produzione e consumo 62
5. ECONOMIA SOLIDALE NELLA BAHIA. UN CASO
DI INCUBATORE TECNOLOGICO DI ECONOMIA
SOLIDALE
66
5.1. Periferia nella periferia: Bahia 66
5.2. Lavorare con le comunità attraverso la
metodologia dell’incubatore 70
5.3. L’esperienza dell’incubatore a Matarandiba
e Santa Luzia 74
5
5.4. Rapporti tra le comunità e le imprese private
finanziatrici 76
5.5. Il problema della sostenibilità 80
5.6. Prospettive delle esperienze 85
6. ECONOMIA SOLIDALE NELLA BAHIA. IL CASO
DELLA REDEMOINHO 88
6.1. Introduzione 88
6.2. Le misure istituzionali per la sicurezza
alimentare 88
6.3. L’esperienza della RedeMoinho 90
6.4. I consumatori 92
6.5. I Produttori 95
6.6. Relazione tra consumatori e produttori 98
6.7. Il rapporto con il territorio 99
7. Conclusioni 101
8. Bibliografia 108
6
ABSTRACT
Il presente lavoro si propone di ripercorrere il dibattito sull’economia
solidale, analizzandone la natura e studiandone le pratiche nel Brasile e nello Stato
della Bahia attraverso l’analisi qualitativa e quantitativa di due casi studio:
l’esperienza degli incubatori tecnologici di economia solidale e quella delle reti di
commercio equo e solidale.
Il primo presupposto da cui si parte è che il Brasile ha una condizione socio-
economica particolare e si afferma sulla scena politica come attore istituzionale delle
pratiche solidali, attuando negli anni precise scelte politiche.
Il secondo presupposto è che le scelte solidali rappresentano una seconda
opportunità per chi verte in condizioni di estrema povertà.
A partire da questi presupposti abbiamo cercato di verificare se le esperienze
solidali sul territorio baiano producono uno sviluppo sostenibile e auspicabile,
migliore di quello neoliberista e se possono rappresentare un’alternativa dal punto di
vista economico e culturale.
I due casi studio analizzati sono l’Incubatore tecnologico di economia
solidale dell’Università Federale della Bahia e il caso della RedeMoinho: essi sono
per noi esempio di pratiche di economia solidale rispettivamente di economia plurale
e di pratiche post-capitaliste.
La ricerca ha mostrato che mentre da una parte le esperienze soffrono di
dipendenza nei confronti di finanziamenti privati e fondi pubblici, indebolendo la
proposta di un’alternativa economica, dall’altra, a livello territoriale locale,
rappresentano un’uscita dalla condizione di oppressi.
La sfida è stimolare la forza di queste esperienze così da potersi estendere sul
territorio intero e valorizzarne l’autonomia rispetto ai meccanismi di finanziamento
usuali.
7
ABSTRACT
The main purpose of this work is to analyze the nature and the role of
solidarity economy in Brasil, in the State of Bahia, through a qualitative and
quantitative survey about two case studies.
The first assumption is that Brasil has a particular socio-economic condition
and on the international political scene, is an important institutional actor in the
implementation of solidarity economy, doing through years important political
choices.
The second assumption is that choosing solidarity economy is a possible
chance and opportunity for those oppressed by hunger and poverty.
Since these assumptions we tried to verify if solidarity practices, into Bahia,
can produce a sustainable development, better than that neoliberal, and if they can
produce an alternative from the economic and cultural point the view.
The two case studies are the Tecnologic incubator of solidarity economy from
the Federal University of Bahia and the RedeMoinho. They are two example of
solidarity practices respectively of plural economy and post-capitalistic practices.
The research showed that in one hand experiences are dependent from private
financing and public funds, and this weaken a possible alternative economy, and
from the other hand on a local level they can represent an economic alternative for
the oppressed.
The challenge is to strengthen these experiences so they could extend their
selves on the territory, and to value their autonomy far from the normal financial
mechanism.
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INTRODUZIONE
Economia solidale: riflessi di arcobaleno
Questo lavoro si sforza di proporre una sintesi di una realtà che appare molto
complessa, che vive in questo momento il suo pieno processo di strutturazione. Il
campo dell’economia solidale deve essere considerato soprattutto per le sue diversità
e complessità, legate soprattutto alle differenza di contesto, di origine, di
organizzazione, ai diversi livelli di istituzionalizzazione, di organizzazione politica.
La proposta è quella di indagare le pratiche di economia solidale brasiliane
per capire se questo tipo di economia può rappresentare una via percorribile di
sviluppo contribuendo alla formazione di un’identità brasiliana che meglio si addice
alla molteplicità di culture e popoli presenti nel Brasile, stimolando uno sviluppo
sostenibile e inclusivo.
La nostra tesi è che l’economia solidale può rappresentare una via di sviluppo
sostenibile dal punto di vista socio-economico e ambientale attuabile per il Brasile,
se propone nuovi meccanismi riqualificanti l’economia.
Nel primo capitolo si propone una definizione di economia solidale. Nel secondo
capitolo si analizza il dibattito teorico europeo e sud-americano. Nel terzo si propone
una lettura socio-economica del Brasile attuale, mentre nei capitoli quattro e cinque
si tratta la tematica delle pratiche di economia solidale per mezzo di due casi studio.
I due casi studio riguardano l’intervento dell’incubatore tecnologico di economia
solidale nelle comunità di Matarandiba e Santa Luzia e l’esperienza della
RedeMoinho. Analizzeremo i casi studio come esempio di proposte concrete operanti
sul territorio, per evidenziarne le criticità.
Nelle conclusioni cercheremo di capire se i due casi studio, sebbene rispondendo
a logiche differenti, possono rappresentare una via di sviluppo percorribile e coerente
con la storia e la cultura del territorio che le ospita. Nella comparazione vedremo
quali possono essere le sfide e le contraddizioni che esperienze del genere affrontano
esplicitandosi nel reale.
9
Il neologismo “economia solidale” è nato negli ultimi decenni per intendere
delle pratiche economiche innovatrici che inscrivono comportamenti di solidarietà in
campo economico, sociale e culturale. Esso insiste nell’identificare come economico
non solo il luogo nel quale circolano il denaro e il profitto, ma il luogo dello scambio
e del dono.
Con questo neologismo si vogliono intendere moltissime pratiche tra loro
differenti, tuttavia che presentano un obiettivo comune. È ben noto che la luce solare
si scompone in sette colori che danno vita all’arcobaleno. Esso in molte civiltà è
simbolo di un’era nuova, di cambiamento sociale, di speranza; in molte filosofie e
religioni è simbolo di pace, di rinnovamento e cooperazione, di diversità. Così come
l’arcobaleno racconta ad ogni persona la diversità e la speranza, l’economia solidale
ha la pretesa di costruire una nuova era. Così come l’arcobaleno è composto da
diversi colori che in realtà sono la scomposizione di una sola luce, così l’economia
solidale sembra essere un insieme di differenti prospettive, che unite ripropongono
una immagine nuova dell’economia, un nuovo agire, uno sguardo diverso verso il
futuro che parli alle generazioni future di sostenibilità, democrazia, solidarietà,
eguaglianza, collaborazione, creatività, educazione, giustizia, libertà. Le esperienze
che la compongono assumono forme diverse in relazione ai contesti che le
accolgono.
La questione dello sviluppo è molto importante in un paese che sta
conoscendo alti tassi di incremento del PIL e che si sta affacciando con forza sulla
scena mondiale.
Vedremo come emergono in modo chiaro almeno due anime del continente:
quella del capitalismo - lepre e quella dell’economia solidale - tartaruga. Una delle
contraddizioni più rilevanti infatti per il nostro studio è che se da una parte, nei
forum sociali, nelle comunità, nelle banche del popolo, nelle imprese solidali, nelle
economie locali, prende forma l’anima speranzosa dell’economia solidale, dall’altra
cresce e si rafforza l’anima della potenza economica del Bric che mira a rivestire la
posizione di centro nel sistema-mondo. Due anime, in perfetta antitesi, che hanno
ognuna una proposta di sviluppo per il paese.
10
Come nella celebre favola di Esopo ancora una volta la lepre e la tartaruga si
sfidano alla solita gara di corsa, proponendo questa volta un’ipotesi di sviluppo per il
paese completamente diversa ed opposta. Che sia la tartaruga del solidale anche in
questo caso la più furba e la soluzione migliore per lo sviluppo paritario e
democratico del paese? che valga anche stavolta dire <<non importa correre,
l’importante è partire per tempo?>>
L’interesse per questo tema sorse in seguito ad alcuni seminari
extracurriculari del corso di laurea sulla tematica interessata. Il lavoro inoltre si è
avvalorato di un periodo all’estero, reso possibile grazie ad una borsa di studio
presso l’università federale della Bahia che ospita l’incubatore tecnologico di
economia solidale.
Sono stati scelti il Brasile prima e lo stato della Bahia poi, come luogo di
ricerca, per la vastità di esperienze inerenti al tema del lavoro di tesi. Soprattutto
perché presente un struttura istituzionale interessante all’interno della quale è
incastonata l’economia solidale.
La scelta di trattare i casi studio nasce innanzitutto dalla conoscenza diretta delle
esperienze. Il periodo si studio presso l’incubatore ha infatti favorito l’incontro con le
comunità di Matarandiba e di Santa Luzia.
La permanenza si è inoltre arricchita della partecipazione all’evento mondiale del
“Summit dei Popoli” che si è tenuto a Rio de Janeiro, dal 19 al 23 Giugno in
concomitanza al vertice ONU “RIO+20”. In questo modo è stato possibile toccare
con mano e conoscere le realtà solidali di altri stati brasiliani, conoscere la realtà del
forum nazionale dell’economia solidale e venire a contatto con i movimenti sociali
riunitisi nei giorni dell’evento.
11
Primo Capitolo
ECONOMIA SOLIDALE, DEFINIZIONE E FILONI TEORICI
1.1. Introduzione all’economia solidale
Il termine solidale è l’aggettivo del nome “solidarietà”, che il dizionario
etimologico Bonomi definisce come derivante da “solido”, dal latino solidus: intero,
consistente. La terminazione idus indica qualcosa di durevole, perciò potremmo
definire solido un corpo le cui molecole abbiano una forte e durevole coesione.
L’espressione a noi comune è quella di corpo sociale solido, nel senso che è solidale
nelle sue parti, l’una a difesa dell’altra.
<<Vincolo di assistenza reciproca nel bisogno che unisce degli individui tra loro; l’insieme dei legami affettivi e morali che uniscono l’uomo singolo alla comunità di cui fa parte, e questa a lui>> (Dizionario Garzanti)
Nel tempo tuttavia la solidarietà ha assunto diversi significati. Il termine nato in
ambito giuridico, precisamente nel diritto romano, solo alla fine del 1700 è stato
applicato anche all’ambito politico e sociale affiancando e sostituendo il concetto di
fraternità della rivoluzione francese. Normalmente infatti si tende ad identificare la
solidarietà con l’altruismo, relegandola in un atteggiamento morale di partecipazione
alle sofferenze altrui, un atteggiamento unilaterale di farsi carico delle sofferenze
altrui tipicamente cristiano, di beneficienza e di trasferimento di denaro. Mentre la
solidarietà come corpo solido che crea legami interpersonali orizzontali tra le persone
che partecipano attivamente e per scelta all’azione, è proprio dell’economia solidale.
Pur consci che la riflessione sulla solidarietà potrebbe portare ad importanti
riflessioni sul senso di comunità, ai fini della nostra riflessione vorremmo
concentrarci su tre caratteristiche della definizione di solidarietà a nostro parere
fondamentali; il vincolo sociale, la responsabilità collettiva e la coesione sociale.
La prima caratteristica è definita da Mauss dono (cit. in Godbout 1999) nel suo
“Saggio sul dono”. Mauss, antropologo, impiegò la sua vita nello studio delle società
arcaiche dove concettualizzò il dono come un sistema di scambio fondato su tre
momenti; il dare, il ricevere, il retribuire. Il primo fonda il sistema nel senso che dà
inizio all’azione; il secondo riguarda il destinatario dell’azione; l’ultimo, che in realtà
riprende la prima azione, rappresenta il vincolo di un gesto ad un altro svolto in un
12
passato recente. Questo sistema è volto a costituire il vincolo, la relazione tra i
soggetti partecipanti all’azione. La mancata retribuzione non è punita ai sensi della
legge, perché non è un’obbligazione regolata da norme giuridiche, bensì da norme
sociali. In questo senso si spiega perché il dono è a servizio del vincolo sociale, nel
senso che lo arricchisce di senso. Può succedere che non ci sia alcun ritorno o che al
contrario ce ne sia uno maggiore di quello ricevuto, la cosa importante da
sottolineare a nostro parere è che questo tipo di relazioni sociali vanno oltre quelle
realizzate per interesse ma riprendono tutta una forma di socializzazione che riguarda
il quotidiano e che comunque prevede lo scambio e la retribuzione di beni. Mauss
(cit. in Godbout 1999) afferma quindi che queste forme di scambio e di esistenza
abitavano le comunità prima del nascere di qualsiasi scambio di tipo economico e
che erano la realtà quotidiana delle relazioni. Nelle pratiche di economia solidale
come vedremo si cerca di puntare molto a questo aspetto costruendo relazioni delle
quali l’individuo si senta responsabile.
La seconda caratteristica definisce l’azione solidale come soggettiva, nel senso
che ognuno è chiamato a mettersi in opera. Essa pone l’accento sull’intera società e
sulla responsabilità di ciascun individuo, distribuita quindi in maniera orizzontale.
La terza infine fa riferimento al’obiettivo finale di queste azioni che riguarda la
creazione di forti vincoli sociali che producono una forte coesione.
Bayertz (cit. in Ambrosini 2005) nel definire il nucleo della solidarietà riprende
tre elementi:
- Un legame reciproco non solo oggettivo, ma percepito e vissuto come
soggettivamente significativo dai partecipanti, che si sentono emotivamente
legati l’un l’altro e formano quindi una comunità.
- Una dimensione di mutuo aiuto in caso di bisogno.
- La legittimità della comunità in questione e dei suoi obiettivi che istituisce la
fondatezza della tutela degli interessi dei membri.
Mentre il primo aspetto ci parla di una condizione soggettiva per cui ci si sente
affiliati ad un corpo solido che ci spinge ad agire di conseguenza, la terza definizione
riprende la questione della coesione dal momento in cui la stessa solidarietà legittima
la comunità di cui facciamo parte. Possiamo dedurre che non per forza devono
esserci delle persone di uguali condizioni materiali, ci sarà infatti chi ha di più e chi
13
di meno, tuttavia si esplicita chiaramente che le persone si reputano nelle stesse
condizioni e lavorano per raggiungere degli obiettivi comuni di coesione sociale.
Così la solidarietà declina un modo di porsi nella società che è diverso da quello
proposto dai canoni individualisti capitalistici, e che è molto più antico. Essa
permette di inscriversi in un nuovo immaginario che è lontano dall’individualismo a
fini egoistici di cui parla Bauman nel “La solitudine del cittadino globale” (2000),
che ci rende insicuri e fragili.
1.2. Dall’economia sociale all’economia solidale
Spesso, riferendosi alle pratiche solidali, le si identifica quasi in maniera
equivalente col nome di economia sociale o solidale. Tuttavia queste definizioni
presentano delle differenze importanti che ne definiscono i margini in maniera
chiara.
In Europa il termine di economia solidale è spesso accostato oltre che a quello
di economia sociale a quello di terzo settore, facendo riferimento sia a quelle azioni
che occupano lo spazio lasciato libero dallo Stato e dal mercato e i cui soggetti
principali sono le cooperative, le mutue, le Ong, le associazioni e fondazioni, e sia
alle esperienze dei GAS (gruppi di acquisto solidale), e dei DES (distretti di
economia solidale), pratiche di democrazia partecipativa, scambi relazionali e
sostenibilità.
Il termine di economia sociale come quello di terzo settore individua quel
complesso di istituzioni private che si collocano tra lo Stato e il mercato e che
producono però beni e servizi di destinazione pubblica. I soggetti di questo settore
sono diversi perché la domanda da soddisfare è molto variegata, non hanno quindi
una forma giuridica consolidata.
Laville (cit. in França Filho 2002:9) assume che in Europa l’economia sociale
riveste un ruolo importante nella generazione di nuovi modi di regolazione sociale
perché capace di generare forme inedite di azione pubblica. Le azioni di economia
solidale sono inserite in un quadro più ampio di economia sociale che si struttura a
partire dalla seconda metà dell’Ottocento e che coinvolge esperienza di
cooperativismo e di mutualismo all’interno di contesti informali, di resistenza
14
rispetto alle logiche del mercato. Con i movimenti cooperativi infatti, i movimenti
operai della seconda metà dell’800, ci si pose in un’ottica di organizzazione civile lì
dove lo Stato sociale o il mercato non erano efficienti. Il loro obiettivo era quello di
difendere il valore reale del salario, combattere la disoccupazione, dimostrare che era
possibile lavorare senza padrone, migliorare le condizioni familiari dei soci. Furono
queste esperienze associative che per primo concepirono una idea di protezione
sociale. Questi movimenti inoltre si riunivano in cooperative per gestire i mezzi di
produzione, (latterie, mulini), dei veri e proprio nuclei di resistenza quindi. In
Germania nacquero anche le prime cooperative di credito per lottare contro l’usura e
difendere quindi i piccoli artigiani e agricoltori. Andavano costituendosi anche le
cooperative di consumo per garantire l’approvvigionamento di beni di consumo di
qualità e con un prezzo accessibile; questo dava lo stimolo per costituire anche
cooperative di produzione cooperativa.
In Italia in modo specifico nella seconda metà dell’Ottocento si delineò un
movimento operaio moderno che trova nelle società operaie di mutuo soccorso una
prima forma di aggregazione sindacale. Tali società erano fondate sulla mutualità e la
solidarietà tra i soci e su un forte legame col territorio. Lo strumento più forte che
avevano in mano per promuovere il miglioramento della loro condizione economico-
sociale era la presa di coscienza da parte dei lavoratori in merito alla propria
condizione di sfruttamento. Esistevano inoltre forme organizzate di redistribuzione
dei tributi; ogni socio infatti versava settimanalmente un contributo che gli dava il
diritto ad un’assistenza reciproca, alla mutua. Forme di previdenza auto-organizzate
insomma che miravano a colmare lì dove lo Stato non agiva e che rifiutavano le
forme proposte dal principio economico dominante, cioè quello del lavoro salariato.
Si parlava quindi di forme di economia alternativa a quelle proposte dal mercato che
miravano a proteggere le persone partecipanti al circuito economico e non solamente
alla produzione di profitto.
Laville (França Filho, Laville 2004) dice che questi movimenti furono molto
forti in Europa proprio perché fronteggiavano l’esclusione sociale di fette di
popolazione dai servizi che lo Stato doveva garantire. Si fortificarono infatti in
seguito ad una forte assenza di meccanismi di regolazione economica e politica della
società, cioè il cambiamento alla condizione salariata.
15
França Filho (França Filho, Laville 2004:177) sottolinea come la
rivendicazione del diritto al lavoro che cominciava a non essere assicurato fosse il
motore di queste azioni. Questi movimenti rappresentano quindi una resistenza
popolare che si declina in diverse forme come il cooperativismo, l’associazionismo,
il mutualismo. Quando in questo momento storico si cominciò ad adulare l’utopia di
un mercato auto regolato la società si organizzò in associazioni e generò un dibattito
politico molto forte che rifiutava la divisione dell’aspetto economico da quello
sociale, politico e culturale. Un germe molto importante questo, alla luce di quello
che rappresenta oggi l’economia solidale, ma che tuttavia non la rappresenta in
pienezza.
La concezione dell’economia solidale è più ampia di quella del settore non
profit. Alle associazioni senza fini di lucro essa include un tipo di impresa, la
cooperativa, che incarna la ricerca di una terza via tra capitalismo e centralismo dello
Stato. Il fine della cooperativa è anche quello di produrre reddito per le persone
coinvolte e per promuovere la sostenibilità della cooperativa. Si inserisce quindi in
un segmento pienamente economico che cerca di costruire l’alternativa tramite la
costruzione di processi partecipativi democratici, nuovi modi di produzione,
consumo e commercializzazione volti al locale e al sostenibile.
Per França e Laville (2004) l’economia solidale in Europa è una
attualizzazione e innovazione dell’economia sociale, attraverso l’affermazione della
dimensione politica delle sue azioni. Questo bisogno di attualizzazione prende piede
dal momento in cui le forme di cooperazione prima esplicitate cominciarono ad
istituzionalizzarsi; i militanti politici furono sostituiti da professionisti che
trasformarono queste azioni in forme politiche e in questa prospettiva la solidarietà
scomparve e l’economia sociale diventò uno strumento dello Stato.
Per Laville questo processo di rinnovazione implica una:
<<Democratizzazione dell’economia a partire dagli impegni cittadini>> (cit.in França Filho, 2002:13)
Quindi una acquisizione nuova del ruolo di protagonista da parte della società
civile. Nel dizionario dell’altra economia la definizione di economia sociale è
appunto definita come:
<<Quelle attività legate ad associazioni di persone che cercano democrazia economica, associata ad utilità sociale>> (Cattani; Laville; 2006)
16
Anche in questa descrizione si fa risalire la storia dell’economia sociale alle
forme di associazionismo umano non gestito da qualche potere, ma definito come
libero. Le numerose iniziative di cooperativismo e mutualismo all’inizio infatti
incarnarono questa libertà socioeconomica. I tratti comuni delle organizzazioni che la
compongono vengono così raggruppati per finalità:
- Prestazioni di servizi rivolte ai membri del gruppo o della collettività avendo
il lucro come fine secondario. In questo senso eventuali eccedenti sono un
mezzo per realizzare il servizio e non la motivazione principale dell’attività.
- Autonomia di gestione rispetto ai poteri pubblici.
- Controllo democratico attraverso i suoi soci membri
- Nella ripartizione degli utili primato delle persone e dell’oggetto sociale
rispetto al capitale.
Il segmento di azione dell’economia solidale oggi è compreso in tutte quelle
attività di sviluppo di servizi di prossimità, riabilitazione dei quartieri poveri,
commercio giusto, finanza etica, agricoltura sostenibile, gestione dei rifiuti, che
prevedono un’organizzazione della società civile per fini comuni e condivisi. Inoltre
esse oggi non prescindono mai da un’attenzione alla sostenibilità ambientale.
1.3. Verso una definizione di economia solidale
Vediamo adesso quali sono le caratteristiche che gli autori definiscono come
fondamentali per identificare le esperienze solidali. Innanzitutto per chiarire il
concetto di economia solidale, bisogna rivalutare quello di economia, pulendolo
degli appellativi e degli stereotipi che gli sono stati costruiti intorno.
Marcos Arruda, direttore dell’istituto Politiche Alternative per il Cono Sud di Rio
de Janeiro, riporta (2006:39) un pensiero di Albert Tévoédjreè e Arno Peters che
invitano il lettore a viaggiare nella Grecia classica attraverso uno scritto di Aristotele
che fa la differenza tra economia, da oikos + nomia, che significa gestione della casa,
e crematistica che sta invece solamente per arricchimento, descritta come un uso
innaturale delle abilità dell’uomo, un disordine economico.
<<L’economia è il nome che viene dato all’arte dell’acquisizione la cui attitudine è la creazione dei mezzi necessari alla sussistenza della famiglia e dello Stato. […] il secondo tipo di arte dell’acquisizione, al contrario del primo non risponde ai bisogni della natura, ma al contrario a ciò che le è
17
stato artificialmente aggiunto. Questa non appartiene all’economia ma rappresenta un fenomeno a parte, la crematistica>> (Albert Tévoédjreè e Arno Peters cit in Arruda 2006:39)
L’economia quindi non è descritta come un’attitudine passiva, ma come
un’azione della gestione, del prendersi cura della casa. Questa definizione
presuppone un movimento da parte del soggetto e soprattutto un’assunzione di
responsabilità.
Arruda descrive l’economia di mercato capitalista come una relazione del
vinci-perdi (2006:67), sia tra capitale e lavoro, che tra i capitalisti, che tra i
lavoratori, che tra i produttori e i consumatori. Qualcuno ha sempre la meglio su di
un altro, una dimostrazione di forza basata sul possedimento del denaro. Una
“cultura della morte” (2006:69) che vede tutto – natura, beni comuni, esseri umani,
educazione, salute, tempo libero, fede – come uno strumento per l’accumulazione
privata della ricchezza, anche a costo di distruzione e degrado. L’economia della
solidarietà è descritta invece come una relazione vinci-vinci, in cui la forma
dell’associazionismo autogestito afferma la possibilità per l’uomo di ritornare
soggetto dell’economia, e non più marionetta in mano ad altri o alle sue stesse
creazioni: il capitale, il denaro, la ricchezza, la tecnologia, le macchine.
Mentre in quella che abbiamo descritto come crematistica il denaro è potere
anche sulla vita delle persone, nella rete solidale il denaro ha potere solo se viene
esteso tra i partecipanti e viene usato al fine di soddisfarne i bisogni, organizzando
anche una diminuzione dell’orario di lavoro per permettere una miglior fruizione
dell’aspetto sociale e culturale di cui la rete è promotrice.
Nel 1994 Laville definiva l’economia solidale come:
<<Un’unione di attività economiche la cui logica è distinta sia dalla logica di mercato che da quello dello Stato. Al contrario dell’economia capitalista, centrata sul carattere accumulato, che funziona a partire da relazioni competitive il cui obiettivo sono gli interessi individuali, l’economia solidale si organizza a partire dai fattori umani favorendo relazioni nelle quali è valorizzato il legame sociale attraverso la reciprocità e adotta forme comunitarie di proprietà. Si distingue anche dall’economia statale che suppone un’autorità centrale e forme di proprietà istituzionali >> (Laville, 1994:211)
Con Laville apprendiamo dunque che l’economia solidale è una pratica che
non afferisce né alle logiche di mercato, né a quelle dello Stato, ma che punta alla
costruzione di un corpo solido che costruisca relazioni orizzontali tra gli individui
18
che decidono autonomamente di collaborare e di mettere insieme le forze riuscire in
un’azione politica.
Il comportamento economico proprio dell’economia solidale è molto vicino ai
concetti di reciprocità (Polanyi 2000) e di dono (Mauss cit in Godbout 1999). In
questi autori la reciprocità è ripresa nel senso di mutuo aiuto, ma anche in quello di
vincolo sociale come nel concetto di dono di Mauss. Reciprocità e dono vengono
analizzate da Polanyi (2000) nel libro “La grande trasformazione”.
- Mercato autoregolato
- Redistribuzione
- Reciprocità
- Economia domestica
Questi comportamenti economici sono raggruppati in tre forme di economia:
- Un’economia mercantile. Fondata sul mercato autoregolato, dall’utilitarismo,
dallo scambio basato sull’equivalenza di moneta
- Un’economia non mercantile. Fondata sul principio della redistribuzione. Una
istituzione centrale che gestisce e ridistribuisce le risorse alla collettività.
- Un’economia non monetaria. Fondata sui principi di reciprocità ed economia
domestica. Il concetto chiave è quello di dono di M. Mauss per cui i beni
circolano di maniera orizzontale.
L’economia solidale quindi si avvale delle caratteristiche di un’economia non
monetaria, ma non solo. Essa infatti produce relazioni nuove anche nei segmenti
economici, riprendendo però lo scambio benché economico non come relazione
sociale iniqua, ma come costruzione di relazione, basato quindi su reciprocità e dono.
Nelle pratiche di economia solidale inoltre si cerca di articolare la dimensione
economica con quella sociale, politica e ambientale.
<<L’insieme delle attività economiche sottomesse alla volontà di un agire democratico dove i rapporti sociali di solidarietà vincono sull’interesse individuale o sul profitto materiale; contribuisce dunque alla democratizzazione dell’economia partendo dall’impegno dei cittadini>> (Laville 1998:108)
Da questa descrizioni traspare chiaramente che un progetto solidale non solo è
economico ma anche politico e sociale, nel senso che prevede un’integrazione tra
individui preoccupati di costruire insieme, partendo da attività economiche governate
in modo democratico. L’attenzione a questioni di ingiustizia o di ineguaglianza è
19
sempre crescente tra i cittadini e gli attivisti a partire dagli anni Novanta quando ci fu
l’esplosione della partecipazione. I presupposti infatti dell’agire solidale sono proprio
quelli che nascono dal basso e che mettono la persona al centro dell’agire, che
costruiscono reticoli solidali all’interno dei quali circola liberamente l’informazione.
Il presupposto poi delle pratiche di economia solidale è chiarito da Mance
quando assume che:
<<L’esercizio concreto della libertà democratica presuppone necessariamente mediazioni materiali, politiche, informativo-educative ed etiche, che devono essere garantite a tutte le persone in vista di uno sviluppo migliore delle loro rispettive qualità umane. A partire da questo presupposto la pratica economica della collaborazione solidale, così come quella politica e culturale, è concepita come mediazione per l’ampliamento dell’esercizio della libertà di quanti partecipano alle reti, poiché la finalità della vita umana non si riduce alla politica o all’economia, ma è la realizzazione del bem-viver libero, personale e sociale, che presuppone la garanzia delle mediazioni menzionate.>> (Mance 2003:16)
<<L’obiettivo del bem viver è una vita buona, che è buona se lo è anche per gli altri. Una vita buona che liberi dalla miseria e dallo sfruttamento, che garantisca a tutti di che vivere, ma nel dialogo e nella ricchezza di relazioni. Il concetto di bem-viver ha la sua radice nel concetto di “prossimità” di Emmanuel Levinas e Enrique Dussel, come “realizzazione di un rapporto etico, di un incontro delle persone che si riconoscono nelle loro differenze; un rapporto che, attraverso il dialogo, cerca una relazione di giustizia, che vede il dialogo come possibilità di incontro con gli altri>> (Mance 2010:20)
Mance (2003; 2010) assume che le pratiche solidali costruiscono un’economia
che favorisce l’esercizio della libertà delle persone, la cui vita è inserita nella cultura
del bem viver sociale ed umano, che rivaluta soprattutto il rapporto con la natura. In
questo discorso prende forma per Mance la dimensione democratico-partecipativa
delle azioni solidali.
La questione poi dello sviluppo del territorio e dalla sua emancipazione dalla
povertà non può essere rimandata solo ad una questione di denaro, ma anche e
soprattutto ad una relazione di contesto, una relazione degli aspetti sociali,
economici, politici e ambientali, relazionati in una prospettiva di “rete economica di
collaborazione solidale”.
<<Possono essere considerate da tre punti di vista: economico, politico e culturale. In questo modo vogliamo affermare che non si tratta di tre reti che si sovrappongono, ma di un’unica rete che contemporaneamente canalizza flussi le cui proprietà possono essere considerate da tre punti di vista, ed effettua azioni che concretizzano, in maggiore o minore misura, alcuni di questi elementi. Infatti, se è impossibile sviluppare qualsiasi politica senza la mediazione vincolante di elementi economici e culturali, ugualmente
20
ogni azione economica suppone una certa organizzazione collettiva del potere e un insieme di mediazioni simboliche. Infine, le azioni culturali, allo stesso modo, sono intrinsecamente condizionate da elementi economici e politici>> (Mance 2001:51)
Le pratiche di economia solidale sono molteplici e profondamente influenzate
dal contesto storico in cui sono inserite.
<<L’economia solidale è un modo di organizzare la produzione, la distribuzione, il consumo e la finanza nel quale tutte le unità economiche sono possedute collettivamente dai lavoratori (nel caso delle cooperative di lavoro) o dai consumatori (nel caso del credito cooperativo o delle cooperative di abitazione).[---] Tutto è autogestito: le decisioni vengono prese insieme e ogni membro ha a disposizione un voto>> 1
Infine in questa definizione Singer ci aiuta a capire l’aspetto democratico delle
relazioni solidali che si costruiscono in maniera collettiva e orizzontale tra i membri
partecipanti. L’economia solidale quindi è un’economia che presuppone relazioni
che puntano alla coscienza di forza e alla co-costruzione della libertà.
1.4 Economia solidale: il dibattito contemporaneo
In maniera generale possiamo dire che in tutta la letteratura che la riguarda,
l’economia solidale è intesa come una forte potenza trasformatrice la realtà.
La differenza più evidente tra i vari filoni teorici è legata al ruolo che essa
riveste rispetto al sistema economico di mercato odierno e alle finalità che si
prefigge. Alcune realtà presentano un percorso all’avanguardia puntando a costruire
un’alternativa post-capitalista attraverso una struttura economica nuova, mentre altre
lavorano alla ristrutturazione dello Stato sociale inserendovi esperienze solidali
extra-economiche, culturali, ambientali. Caillé (2009) sintetizza questa differenza
utilizzando due nomi: l’approccio sostitutivo e quello complementare rispetto al
sistema economico odierno, un’economia solidale e popolare ed una sociale e
solidale. Questa distinzione può fare riferimento a diversi territori, sia quelli europei
che quelli latini e all’interno dello stesso territorio le realtà si mischiano e si
sovrappongono creando sempre nuove prospettive e sfumature.
1 Singer, direttore della Seneas, nel discorso sull’economia solidale a Rio+20
21
L’approccio complementare è portato avanti dal filone teorico legato agli
studi di Polanyi (2000) e al concetto di economia plurale, e a quelli di Marcel Mauss
(cit. in França Filho 2007) e al concetto di dono. Esso include quei teorici e quelle
esperienze più vicine ad una visione improntata sulla attualizzazione dell’economia
sociale europea e sul ruolo complementare dell’economia solidale. Essa è vista
quindi come un nuovo modo di fare economia che ristruttura dall’interno l’economia
attuale. Incontriamo in questa letteratura studiosi come Paul Singer, Jean Louis
Laville, André Caillé, Genauto França Filho.
L’approccio sostitutivo è legato all’idea di un progetto politico post-
capitalista. Il ruolo che riveste l’economia solidale è quello di alternativa al
paradigma economico attuale. La comunità si auto-organizza politicamente seguendo
modelli come le reti e i forum sociali. Un gruppo di lavoro trainante questo filone è
quello dell’Istituto di Filosofia della Liberazione, di cui Euclides Mance fu uno dei
fondatori. Questo filone reputa gli argomenti solidali una rivoluzione degli oppressi
contro il capitalismo, verso una nuova via socialmente costruita attraverso una
consistente movimentazione civile. Protagonisti ulteriori di queste tesi sono autori
come Marcos Arruda, Luis Razeto, Davide Biolghini.
<<Costruzione quotidiana di nuove relazioni e di nuove società da cui sia bandita ogni forma di oppressione economica, politica e culturale>> (Mance, 2010:11)
<<Essa costituisce un tentativo di problematizzare pratiche sociali che sono messe in opera, il più delle volte localmente, per rispondere a problemi sociali. Si tratta di dimostrare che la società sperimenta e inventa qua e là, negli interstizi lasciati dalle grandi logiche dominanti o in spazi conquistati a spese delle sfere funzionali (Laville, 1998:65)
Queste due citazioni esprimono bene i molteplici orizzonti dell’economia
solidale. La prima infatti, che ci propone una visione sostitutiva rispetto al modello
economico odierno, definisce l’economia solidale come un modo per costruire nuove
relazioni non su logiche di oppressione ma su nuove logiche. È evidente quindi il
contrasto con le logiche economiche dominanti.
La seconda affermazione invece lascia trasparire la visione plurale del pensiero di
Laville che vede l’economia solidale solo una forma dell’economia, che costruisce
negli spazi lasciati liberi dalle logiche dominanti, specialmente a livello locale e che
interessa il territorio e il cittadino da più vicino in una logica di ricostruzione delle
relazioni economiche e sociali.
22
Distinguere tra questi due filoni ha fini di studio perché nella realtà queste
esperienze si confondono e si mescolano in diversi modi dando luogo ad esperienze
sempre nuove, in accordo con la creatività del territorio che le concepisce. Questo è
tanto più valido quando si guarda a queste esperienze dal punto di vista della
metodologia; esse infatti si avvalgono di strumenti più o meno uguali.
Il filone teorico dell’economia solidale che considera maggiormente l’aspetto
antropologico e sociale delle esperienze pone una prospettiva trasversale nel senso
che propone una divisione tra diverse forme di economia e che l’economia solidale le
abbracci tutte. La definizione appropriata è proprio quella di economia plurale di cui
ci parla Laville. Essa è quella forma di economia che prende in considerazione la
pluralità delle forme di produzione e distribuzione della ricchezza. In altre parole,
riprendendo Polanyi, l’economia plurale vedrebbe la collaborazione dell’economia
mercantile, quella non mercantile e quella non monetaria.
L’economia non monetaria è quella che per il filone socio economico è il
grembo nel quale coltivare le esperienze solidali. Queste pratiche infatti nella realtà
si avvalgono di tutte queste esperienze insieme, di mercato, di redistribuzione e di
logiche di dono, combinandole di maniera differente per costruire la base di un’altra
economia.
<<Servizi solidali in Francia, cooperative sociali in Italia, ma anche movimento popolare in America Latina, movimento comunitario nell’America del Nord, […] queste microazioni collettive diversificate […] propongono di reinserire la solidarietà nel cuore dell’economia invece di correggerne gli effetti secondo i metodi propri dello Stato sociale […] tutte microazioni collettive […] che propongono di ritessere la solidarietà nel cuore dell’economia invece di correggerne gli effetti secondo i metodi propri dello Stato sociale >> (Laville, 1998:140)
In questa descrizione è chiara la differenza con l’approccio post-capitalista che
assume le esperienze solidali come l’alternativa all’economia capitalista.
La prospettiva post-capitalista invece propone pratiche che organizzino sistemi
economici su basi nuove, inclusive e democratiche, diverse dall’economia di
mercato. Per cogliere ancora più chiaramente questa distinzione concludiamo con un
pezzo tratto dal libro di Mance:
<<Se da un lato la produzione capitalistica ha bisogno di una quantità minore di lavoratori stipendiati per produrre una quantità sempre maggiore di merci ad un costo sempre più basso, dall’altro gli esclusi iniziano il processo di gestazione di nuovi rapporti di produzione centrati sulla
23
collaborazione solidale, proponendosi di soddisfare le proprie necessità>> (Mance 2001:32)
Mance demanda quindi il potere di cambiamento alle fasce più deboli, agli
esclusi, al mondo dei poveri come direbbe Razeto (2003), che possono sopravvivere
al capitale solo promuovendo il consumo solidale. Una volta che saranno integrati
nel sistema di reti saranno capaci di produrre alternativa nella prospettiva del bem
viver.
24
Secondo Capitolo
ELEMENTI COSTITUTIVI DELL’ECONOMIA SOLIDALE NEL
DIBATTITO TEORICO
Una pratica di economia solidale presenta in maniera concomitante alcune
importanti caratteristiche. Innanzitutto una particolare concezione del lavoro e della
relazione sociale, all’interno della quale si cercano di costruire procedimenti
democratici e partecipativi, con il potere parallelamente distribuito tra le persone
partecipanti. Questa nuova forma di partecipazione implica una nuova relazione con
lo Stato e con i meccanismi di fruizione dei servizi sul territorio.
2.1. Lavoro e redistribuzione
Alcuni autori (Mance, Arruda, Razeto) assumono che non possono esserci delle
trasformazioni sociali senza trasformazioni economiche e soprattutto culturali, ma
sono soprattutto propositori dell’idea secondo cui il cambiamento di prospettiva
rispetto al lavoro è l’unica soluzione che porta ad un cambiamento di paradigma
reale.
Nella cultura dell’economia della solidarietà per Arruda c’è “un’etica
costruttiva” (2006:68) per cui è buono tutto ciò che ci aiuta a condividere i mezzi
della sopravvivenza e la ricchezza con gli altri.
Una vita, come afferma Mance (2010) volta al bem viver che attraverso la
collaborazione solidale costruisce l’alternativa alla globalizzazione capitalistica,
puntando alla distribuzione della ricchezza invece della concentrazione dei capitali.
Egli scrive che:
<<Il capitalista per indurre gli individui a consumare forzosamente o in modo alienato, in funzione del proprio interesse privato, è costretto a ridurre il prezzo delle merci che vende per conquistare il mercato o a produrre soggettività che consumino i suoi prodotti. Con l’innovazione tecnologica e la crescita della disoccupazione, le industrie distribuiscono sempre meno risorse in forma di salario e aumentano l’accumulazione delle eccedenze, visto che c’è la concentrazione del capitale. In senso completamente opposto la rete solidale per crescere continuamente ha bisogno di distribuire sempre più la ricchezza prodotta, incorporando un numero progressivamente maggiore di lavoratori riducendo a poco a poco l’orario di lavoro>>
25
Secondo Razeto, filosofo e sociologo cileno, per il settore privato il fattore
organizzativo è il capitale, per il settore pubblico è l’amministrazione pubblica, e per
l’economia solidale è il lavoro. La concezione del lavoro è uno degli aspetti peculiari
dell’economia solidale perché cerca di riproporre la figura dell’uomo al centro e di
contrastare gli effetti dannosi dell’economia capitalista, considerando l’economia
solidale come un’alternativa economia del lavoro, in opposizione all’economia
capitalista.
Com’è noto il capitalismo è un modo di produzione che si basa
sull’accumulazione privata del profitto da parte dei capitalisti. Il capitale è pluslavoro
accumulato all’interno di un determinato rapporto sociale, tra proprietari dei mezzi di
produzione e salariati. Esso viene immesso in un processo di produzione per
ricavarne un profitto che è l’appropriazione privata da parte del capitalista di un
pluslavoro e quindi plusvalore generato dal lavoro.
Riconoscendo nel capitale la ragione dell’esasperazione del sistema economico
odierno le esperienze solidali propongono una tipologia di redistribuzione del valore
e del lavoro all’interno della comunità stessa.
<<L’obiettivo principale di una rete solidale è creare lavoro e reddito per persone disoccupate e marginalizzate o che desiderino costruire nuove relazioni produttive, migliorando i modelli di consumo di tutti i componenti la rete stessa, proteggere l’ambiente e costruire una nuova società in cui non ci sia sfruttamento degli esseri umani e distruzione dell’equilibrio ecologico>> (Mance, 2003:131)
<<Nella distribuzione dei prodotti economici tra i vari membri della comunità e le diverse famiglie e comunità che costituiscono un popolo economicamente integrato, non predominano i rapporti commerciali, ma piuttosto rapporti di scambio reciproco, che mirano a un’equilibrata soddisfazione dei bisogni fondamentali di tutti, riconosciuti come ugualmente necessari per la vita, la conservazione e la riproduzione della comunità nel tempo>>(Razeto 2003:148)
Nelle prospettive teoriche di Mance una rete ha diverse possibilità per
sostenersi. Una delle forme più utilizzate per l’autofinanziamento è quella del
found raising, che può essere impiegato poi nella costruzione di centri
comunitari, asili, orfanotrofi, ospedali, etc,. Inoltre ogni cellula della rete,
proporzionalmente alle eccedenze realizzate, partecipa alla costruzione di un
fondo locale che ha come fine primario l’espansione della rete nel suo insieme.
Le eccedenze quindi non sono accumulate ma ridistribuite nella rete col fine di
rafforzarla con nuove iniziative che diversificano la produzione per ridurre i
26
prodotti comprati dal mercato capitalista favorendone l’accumulazione. In
sequenza questa forma di finanziamento genera nuove cellule. Mance riporta
come caso pratico le esperienze delle banche del popolo, cioè delle istituzioni
finanziarie di microcredito che corrispondono denaro a gruppi solidali o
persone della comunità. In Italia possiamo parlare di Banca Etica, in Svizzera
di Alternative Bank Schweiz, delle Ökobank in Germania, di Triodosbank nei
Paesi Bassi, di Cre$ol in Brasile.
È interessante notare che il microcredito delle banche del popolo non è
corrisposto alle persone in una condizione di unilateralità, ma piuttosto è un sostegno
affinché le popolazioni locali prendano in consegna la loro condizione e lavorino per
migliorarla. Le banche del popolo infatti non funzionano come le banche normali,
ma hanno delle linee di finanziamento particolari che presuppongono innanzitutto la
costruzione di una relazione tra il tecnico che concede il credito e la persona, per
ridurre al minimo le inadempienze. Le linee di finanziamento possono essere per il
consumo o per la produzione. In questo modo si ha una distribuzione del reddito
nella comunità che si organizza per costruire attività nei settori dove mancano e
sostenere comunque il consumo e la circolazione di moneta sociale all’interno della
comunità.
2.2. Democrazia e rapporti col potere pubblico
Le esperienze di cooperativismo e di movimenti operai della seconda metà
dell’800 per França Filho (2004) sono un embrione della concezione di solidarietà
insita nella funzione redistributiva dello Stato. Molte forme da loro utilizzate infatti
saranno poi integrate dallo Stato.
Parafrasando Laville la democratizzazione della società è il prodotto di azioni
collettive, dell’auto-organizzazione e del movimento sociale. Essa suppone una
parità di diritto tra le persone che sono coinvolte partendo dalla libertà di accesso per
tutti i cittadini allo spazio pubblico, e si sforza di aumentare la democrazia politica
attraverso quella economica e sociale. Questo tipo di democrazia è quello che rende
solidale l’economia.
Alla base della solidarietà delineata da Laville, ritroviamo quella valenza
politica che si riferisce all’esercizio della cittadinanza, alla responsabilità e alla
27
libertà propria dei movimenti solidali, legati ad un contesto di resistenza al
capitalismo e alla finanziarizzazione. Essa nega l’assunto secondo cui i meccanismi e
i servizi del mercato concorrenziale siano superiori rispetto ai servizi pubblici, che
tendono quindi ad essere privatizzati in nome dell’efficienza economica. La
protezione sociale è mercificata e questo mette a rischio moltissime persone visto
l’aggravamento delle disuguaglianze. I meno capaci di sopravvivere vengono espulsi
dai meccanismi di protezione, e non viene garantito il diritto alla salute,
all’educazione per chi non può competere sul mercato comprando i servizi.
L’economia sembra quindi sganciarsi dal campo sociale e politico che prima
l’avevano inquadrata e va integrandosi sempre più come unico strumento di
regolazione sociale, disembeddedment (Polanyi, 1983:53-54).
In questo contesto magmatico assume notevole importanza il valore che
l’economia solidale attribuisce al lavoro che nell’economia odierna è considerato
come una variabile flessibile.
Un altro valore importante è quello legato alla presa di coscienza civile,
riguardo l’ambiente e i rischi legati alla sopravvivenza della sua popolazione. In un
contesto di mercificazione delle vita sociale e di indebolimento delle regolazioni
statali, l’economia solidale costituisce una riappropriazione delle questioni
economiche da parte della cittadinanza. Ne sono esperienze evidenti quelle dei Gas e
Res italiani, delle esperienze solidali di produzione e consumo in Francia, i servizi
comunitari di quartiere; esperienze che realizzano un nuovo modo di vivere, che
mettono l’accento su una nuova qualità di vita.
Esperienze come quelle dei Gas mirano a costruire un’economia alternativa
che possa sostituirsi all’economia attuale creando filiere di autogestione e di giustizia
per quanto riguarda il prezzo e la qualità dei prodotti commerciati. Queste esperienze
dei Gas sono molto impregnate di una visione che presenta l’economia solidale come
una concezione di doposviluppo, cioè come azione de-globalizzante che parli di a-
crescita, come afferma Latouche.
<<Più che di de-crescita bisognerebbe parlare di a-crescita, così come parliamo di a-teismo, poiché si tratta di abbandonare una fede e una religione: quella dell’economia, della crescita, del progresso e dello sviluppo. Decrescita è semplicemente uno slogan che raccoglie gruppi e individui che hanno formulato una critica radicale dello sviluppo e sono interessati a individuare gli elementi di un progetto alternativo per una politica del dopo sviluppo. È dunque una proposta per riaprire lo spazio dell’inventiva e della
28
creatività dell’immaginario, bloccato dal totalitarismo economicista, sviluppista e progressista>> (Latouche 2009:11)
L’economia solidale in generale come paradigma economico propone un
modello di sviluppo alternativo a quello capitalista che tiene conto della dignità dei
lavoratori, della parità di genere, della sostenibilità ambientale, economica e sociale
di ogni azione.
In un contesto di dopo sviluppo è molto importante determinare che posto
riveste lo Stato. Mance, rispetto alla collaborazione tra cittadini e Stato, sottolinea
che è importante ricordare sempre che lo Stato è formato dai cittadini che
interagiscono democraticamente. Egli definisce questo spazio settore pubblico non
statale:
<<Una sfera di relazioni nella società civile in cui si realizzano innumerevoli azioni volte a garantire i supporti materiali, politici e culturali indispensabili all’affermazione delle libertà pubbliche e private, mediante la promozione del bene comune>>(Mance, 2003:22)
Mance quindi afferma che ci deve essere collaborazione con lo Stato, proprio
perché è formato da cittadini. La presenza di un’entità pubblica è importante perché è
possibile spendere per il pubblico, per mettere a disposizione servizi pubblici.
Facendo così aumenta anche il reddito dello Stato e le persone possono essere capaci
di spendere. Chi non è inserito nei circoli di economia solidale deve comunque avere
un sostentamento. Anche le pensioni aiutano le piccole imprenditorie nel senso che
sono di sostegno alle persone.
Differente è la prospettiva dell’economia plurale che vede le tre forme di
stato, mercato e reciprocità e domesticità in equilibrio.
La presenza dello Stato pone l’accento su un altro importante tema che è
quello della gestione dello spazio pubblico. Quello che occupa l’economia solidale è
molto variegato, coprendo una serie di funzioni in campi come quello della salute,
dell’educazione, e della preservazione ambientale. Essa diventa un campo di azione
nel quale attori diversi inventano alternative economiche e politiche innovative per la
risoluzione di problemi quotidiani del territorio con il quale si relazionano.
Questo fenomeno fa si che si realizzi una democratizzazione delle relazioni di
produzione e si favoriscano processi di autogestione; si affermi quindi un nuovo
spazio pubblico all’interno del quale queste esperienze crescono e si confrontano. In
questo senso l’economia solidale propone nuove strade alla formazione di nuove
29
esperienze che abbiano un nuovo rapporto con il lavoro e che preveda una fruizione
dello spazio pubblico da parte di tutti come protagonisti responsabili.
Una così determinata caratterizzazione della solidarietà non fa trasparire una
relazione caritatevole unilaterale tra chi ha di più e chi ha di meno, ma una
condizione politica di costruzione dello spazio pubblico. Questa differenza è
fondamentale perché le esperienze non diventino stampella del terzo settore cercando
di sopperire solo dove lo Stato non funziona creando dei servizi alternativi.
2.3. Reti
Le reti sono le forme di organizzazione per eccellenza dei movimenti oggi e si
estendono a diversi livelli: locale, regionale, nazionale e internazionale. I movimenti
solidali si avvalgono di questo strumento anche per lo scambio e la diffusione di
esperienze. L’economia solidale come definizione prende forma nei forum sociali
mondiali, soprattutto in quello tenutosi a Porto Alegre nel 2002 che fu un insieme di
reti di movimenti. Venne intesa come una forza capace di richiamare all’ordine tutte
le forze della società sbrindellate e affaticate dal potere economico capitalista e per
questo capace di costruire il nuovo che consta proprio dei legami solidali in reti
all’interno del mondo economico2. In una parola costruire rete significa abolire la
divisione tra mondo economico e sociale, politico e ambientale, ma anche significa
costruire movimenti sociali forti ed estesi.
La solidarietà che si realizza in queste reti ha come fine quello di tenere insieme i
membri della società; il concetto di solidus, cioè di un corpo che lavora unito per
perseguire un fine, è l’obiettivo reale che si dirama tra i nodi della rete. Questo si
capisce dal sentimento di solidarietà che si respira nelle piccole comunità che
sviluppano realtà solidali; esse tendono a coinvolgere grosse fette di popolazione a
lavorare insieme per un unico obiettivo cercando di cooperare insieme per la vita
dell’insieme sociale da cui dipendono. Questo non deve lasciare intendere che i
rapporti tra le persone siano utopici perché altrimenti si rischia di proporre un
modello inesistente. Si vuole intendere piuttosto che il presupposto è quello di
generare solidarietà nei legami. La relazione inscritta nell’economia solidale mette in
2 Dal forum sociale mondiale al forum brasiliano di economia solidale. Relazione della plenaria brasiliana di economia solidale. Gtbes-Fsm (2002) San Paolo
30
rete non solo le attitudini e le aspettative di ognuno rispetto al futuro, ma producendo
proprio il legame costituisce un flusso continuo di riflessione che è il concime
necessario al cambiamento. Tutto questo quindi si riassume nel concetto di rete, cioè
di una messa in relazione di diversi nodi integrati tra di loro, che produce
innovazione.
Il concetto di rete è molto utilizzato dalle organizzazioni oggi giorno come
strumento capace di mettere insieme le diverse organizzazioni all’interno di forum e
coordinamenti impegnati in precise azioni di produzione, consumo e commercio.
Con la rivoluzione di internet degli anni Novanta poi il concetto di rete ha assunto
una declinazione particolare nel senso di strumento di comunicazione informatica
atta a sviluppare forme di collegamento sempre più articolate. Essa descrive:
<<Un’articolazione fra diverse unità che, attraverso alcuni contatti, scambiano elementi fra di loro, rafforzandosi reciprocamente, e che si possono moltiplicare in nuove unità le quali, a loro volta, rafforzano tutto l’insieme nella misura in cui sono rafforzate da esso, permettendogli di espandersi in nuove unità o di mantenersi in un equilibrio sostenibile>> (Mance 2001:24)
Per Mance la rete è un sistema autopoietico, cioè che si auto-riproduce. Proprio
il collegamento tra i diversi nodi fa si che essi si rafforzino l’uno con l’altro e
favoriscano la nascita di nuovi. Questo succede quando ad esempio i movimenti si
estendono ad altre città; questo permette di ampliare e consolidare le lotte in cui
ciascun movimento è impegnato e al tempo stesso potenziare la lotta comune verso
un cambiamento di paradigma. Il secondo principio è l’intensità che definisce il
grado di coinvolgimento delle persone in un luogo specifico. Infatti più la rete riesce
a coinvolgere le persone nel luogo in cui opera più è coesa e forte, capace di dar vita
ad altri nodi. Il principio di estensione intende proprio quel processo per cui la rete
tende a creare nuovi nodi in territori nuovi. La crescita della rete è condizionata
soprattutto in modo particolare dai principi di diversità, integralità e alimentazione.
<<Ciascun nodo della rete rappresenta un’unità e ciascun filo un canale, per cui queste unità si articolano attraverso i diversi flussi >> (Mance 2001:24)
Essa si costruisce in maniera tale da favorire la connessione solidale tra i
diversi movimenti che la compongono e questi sono chiamati quindi a collaborare
alla distribuzione delle risorse mantenendo un costante flusso tra di essi. In questo
31
senso integralità significa che i diversi obiettivi sono riconosciuti dall’insieme della
rete. Così le rivendicazioni dei diversi movimenti si intersecano nell’obiettivo
comune e nessuna è marginale o debole, ma assume la stessa importanza.
Alimentazione infine è proprio quel processo per cui si generano nuovi nodi
connessi.
Come si può notare il concetto del rafforzarsi reciprocamente è centrale,
presente anche nel concetto di solidarietà. È interessante rilevare come la rete sia uno
strumento di connessione tra le organizzazioni di produzione e consumo e che
produce innovazione creando connessioni sempre più articolate anche in altri campi
sganciati dalle logiche dell’economia capitalista. In questo senso si può produrre un
immaginario innovativo e alternativo.
Il concetto di rete è un concetto chiave dell’economia popolare. In essa infatti
le reti di legami solidali tessute all’interno di gruppi primari comunitari sono molto
forti. França Filho ce ne presenta un esempio molto forte, quello del mutirão.
<<Il Mutirão è una forma di auto-organizzazione popolare e comunitaria per la concretizzazione di progetti o per la risoluzione di problemi pubblici concreti vissuti dalle persone nel loro quotidiano. Consiste nell’associare l’insieme degli abitanti di una comunità nella realizzazione di propri progetti collettivi. Un esempio può essere la costruzione delle abitazioni. Si tratta di attività che sono indissociabili dalla vita sociale del quartiere. Alla fine del giorno è abitudine che esso termini in una grande festa collettiva popolare, marcata in generale dalla feijoada (fagiolata)>> (França Filho, 2006:59)
Questa ultima definizione introduce un elemento nuovo che è la concezione
non-monetaria degli scambi, tipica dell’economia popolare. È un elemento che
caratterizza alcune esperienza, ma non tutte. Infatti esiste un’idea di rete che ha come
obiettivo quello di collegare imprese produttive che possano produrre denaro e
sviluppo per il territorio, presente nelle descrizioni delle cellule produttive costituite
in reti di cui parla Mance.
Un altro aspetto importante delle reti è quello sottolineato da Laville (1998)
che parla di libertà positiva; l’individuo impegnato in un’esperienza solidale crea
capitale sociale e partecipa volontariamente alla costruzione cooperativa di una rete
di relazioni. Questa libertà è un impulso alla reciprocità che valorizza il legame
sociale. Questo capitale sociale genera un riconoscimento reciproco e una fiducia tra
le parti. Nella rete infatti vengono rafforzate le energie di ogni nodo, in modo da
32
permettere una connessione tale da rendere reale e alla portata di tutti la diffusione
delle informazioni e delle buone pratiche.
2.4. Consumo solidale
Mance (2001) descrive un modello di produzione e consumo innovativo, la
rete economica della collaborazione solidale, nel quale le masse impoverite dalle
politiche neoliberali trovano una possibile via d’azione. La concezione di rete in
Mance è molto importante, perché viene articolata in tutta la sua diversità e
estensione.
L’unità di base della rete è la cellula e ciò che permette di creare rete è il
collegamento tra queste attraverso movimenti di consumo e produzione. Ogni cellula
produttiva infatti è innanzitutto una cellula di consumo. Questa è una differenza con
il mercato capitalistico perché mentre lì è la produzione che produce la domanda per
soddisfare un bisogno di produzione legato al profitto, nella cellula sono presenti sia
consumo finale, cioè le domande del consumatore finale, e sia quello produttivo, vale
a dire relativo alle risorse produttive. Questo meccanismo permette che la rete di
estenda e si generino altre cellule, in sintesi si permette l’auto-poiesi della rete.
Riportiamo un esempio tratto dal libro di Mance con l’intento di chiarire
quest’idea:
<<Il consumo di un piatto di pasta durante un pranzo è consumo finale, mentre il consumo di farina, uova, olio, sale, energia elettrica, prodotti per le pulizie, etc, richiesto dalla cellula che produce pasta è consumo produttivo, poiché questi elementi vengono consumati nell’elaborazione di un nuovo bene o prodotto. Il medesimo prodotto, a determinate condizioni, può soddisfare sia un consumo finale che un consumo produttivo, come accade con le uova, l’olio, i prodotti per la pulizia dell’esempio citato, che potrebbero servire anche al consumo finale>> Mance (2001:53)
I principi poi della rete descritti sopra ci ricordano che affinché la rete si
rafforzi c’è bisogno che le cellule si differenzino e interessino il soddisfacimento di
consumi sempre più diversificati sul territorio.
In questa prospettiva il consumo è inteso come soddisfacimento di necessità
naturali e biologiche, ma anche culturali, che ciascuna società produce secondo il
proprio modello di vita. Non bisogna quindi intendere per consumo quello inteso
all’interno delle economie capitaliste. La delocalizzazione infatti e la produzione
33
industriale non riportano nulla del territorio in cui sono iscritte ma producono solo al
fine di vendere.
Il consumo inteso nelle cellule è quindi detto solidale. Mance distingue infatti
tra tre diverse modalità di consumo: alienante, forzoso, come mediazione del bem
viver. Il consumo solidale è una specificazione della terza modalità. Analizzandole
nel dettaglio possiamo vedere come il consumo alienante sia quello dell’attuale
sistema economico. Mance definisce questo tipo di merci come capaci di una
<<mediazione semiotica>> (Mance 2001:26) nel senso che le persone riconoscono
nelle merci qualcosa in più delle qualità oggettive; riversano nel consumo
insoddisfazioni legate alla vita e sperano che comprando una determinata merce
possano comprare anche la felicità, il successo professionale e il prestigio. Alcune
merci vengono comprate più di altre non perché più utili ma perché più capaci di
essere mediatrici di messaggi pubblicitari coercitivi rispetto all’acquisto. Il consumo
forzoso riguarda i poveri e i marginali che non dispongono di risorse da poter
consumare. Essi tendono a comprare generi quantitativamente sufficienti e della
migliore qualità in relazione alle risorse che dispongono, acquistando quindi beni
non sempre salutari, come l’economico junk food, né molto educativi come le varie
telenovelas, fiacca anime. Essi comprano prodotti non utili ma che emulano le classi
più agiate, che raffigurano l’appartenenza di classe.
Infine la terza modalità è quella che pone al primo posto la conservazione
della salute e del benessere personale piuttosto che il soddisfacimento di immaginari
collettivi. Soprattutto non è un consumo omologato perché ciò che può essere
importante per qualcuno può non esserlo per un altro. I soggetti coinvolti sono spinti
ad approfondire una certa criticità per affinare i criteri di valutazione in base ai quali
selezionare gli oggetti da consumare approfondendo l’attenzione al benessere della
vita.
Una particolare specifica ne è il consumo solidale, quando cioè ci si riferisce
al bem viver non solo personale ma collettivo. L’intento diviene quello di preservare
l’ambiente e non favorire lo sfruttamento dei lavoratori, rispetto all’ecosistema e alla
società in genere. Benché a volte la scelta non cada sul prodotto di qualità migliore,
ciò che rimane più importante è che la persona che l’ha prodotto abbia la possibilità
di continuare a vivere del proprio lavoro con dignità e che non si abbiano impatti
34
sull’ambiente. Questo tipo di consumo è ciò che muove i Gas (Gruppi di Acquisto
Solidale) ad esempio, ma anche tantissime organizzazioni in Brasile in cui si
fabbricano prodotti di prima necessità in regime di cooperazione.
2.5. Liberazione degli oppressi
In tutti i filoni teorici del Sud America, affiancato al tema della costruzione della
cittadinanza è sempre presente il tema della liberazione degli oppressi (Freire 2011),
che trova le sue basi filosofiche e concettuali anche nella Teologia della Liberazione.
All’interno di questo filone prende forma il termine bem viver che sintetizza la
relazione che intercorre sia tra le persone, che tra le persone e l’ambiente e che
Mance intesse all’interno della più ampia riflessione della Filosofia della
Liberazione. Un concetto chiave della Filosofia della Liberazione dice che
<<nessuno libera nessuno, nessuno si libera da solo, ma tutti si liberano insieme>>.
La Teologia della Liberazione è una corrente di pensiero cristiano-cattolica
sviluppatasi in America latina negli anni ‘70, che valorizza i valori di emancipazione
politica e sociale interni al messaggio cristiano. Approcciando questa riflessione
Mance e altri studiosi brasiliani fondano l’istituto di Filosofia della Liberazione, un
istituto di ricerca pedagogica e filosofica brasiliano che si occupa di divulgare le
riflessioni sulla liberazione degli oppressi dal capitale. Così si può meglio
comprendere il significato dell’espressione bem viver all’interno della cornice
dell’economia solidale. Esso traduce il principio chiave della Filosofia della
Liberazione che è la liberazione degli oppressi, la sola etica possibile in un processo
di costruzione di una nuova identità. Egli (2003) assume che per parlare di bem viver
è necessario nominare la dimensione collettiva della libertà, nel senso che se si vuole
parlare di vita in pienezza si deve realizzare la piena libertà di tutti e di ciascuno
coniugandone la dimensione pubblica e privata.
<<La collaborazione solidale è sia un’attitudine etica che orienta la nostra vita, sia una posizione politica di fronte alla società in cui siamo inseriti>> (Mance, 2003)
Della costruzione del bem viver infatti per Mance ognuno è responsabile e la
solidarietà nasce dall’incontro umano tra le persone che realizzano il bem viver nella
vita di tutti i giorni.
35
Gli oppressi sono identificati da Razeto (2003) come quella fetta di popolazione
che non è riuscita ad integrarsi nella vita moderna con le infrastrutture urbane e
produttive tipiche dell’epoca industriale. Tale emarginazione è causata dalla
riorganizzazione dell’economia e della struttura sociale in seguito all’espansione
industriale che ha emarginato le tradizionali attività di produzione, distribuzione e
consumo, disarticolando il tessuto sociale. Razeto individua nelle organizzazioni
economiche popolari una forma di resistenza a tutto questo e ne evidenzia dieci
caratteristiche: si sviluppano nei settori poveri; sono esperienze associative di piccoli
gruppi e comunità; sono forme di organizzazione proprio perché organizzano
puntualmente le risorse e i mezzi; sono entità economiche, benché indirizzino le loro
attività verso altre dimensioni della vita sociale; la loro azione è diretta, cioè cercano
di soddisfare i propri bisogni utilizzando le proprie risorse; le loro azioni implicano
relazioni e valori solidali; sono organizzazioni partecipative, democratiche,
autogestite e autonome; sono integrali nel senso che non si dedicano ad una sola
attività; sono diverse e alternative rispetto alle forme organizzative predominanti;
cercano di superare l’emarginazione e l’isolamento tramite ordinamenti e reti.
Queste realtà quindi creano strumenti necessari per un processo pedagogico di
uscita dalle trame dell’economia con riferimento unico all’economia capitalista che
accumula privatamente marginalizzando la maggior parte della popolazione,
costringendola allo stremo.
Euclides Mance (2010) considera una tappa fondamentale del processo di
cambiamento di paradigma quella dell’educazione solidale, che è proprio una delle
condizioni necessarie all’esercizio della libertà umana. Definendo quindi questo
progetto pedagogico stabilisce l’economia solidale come progetto innanzitutto
politico e poi economico. È così importante questo aspetto pedagogico che nel suo
libro, “Organizzare reti solidali: strategie e strumenti per un altro sviluppo” egli
dedica il primo capitolo alla questione pedagogico educativa, come primo passo
possibile per il cambiamento.
<<Un movimento che abbia una forte capacità di mobilitazione per lotte specifiche, ma che conquistato l’obiettivo immediato non abbia una base organizzativa e non promuova la coscientizzazione dei suoi partecipanti, risulterà inefficiente nell’asse strategico della sua azione: costruire l’egemonia della cittadinanza>> (Mance, 2003:29)
36
Questo concetto di educazione come valore pedagogico è molto forte anche
perché riguarda il discorso dell’ambiente, della solidarietà, del bem viver. La
liberazione dall’oppressione passa quindi anche e soprattutto per la coscientizzazione
di cui egli parla, che si costruisce di un approccio multidisciplinare della vita.
<<La costruzione di un mondo nuovo in cui ognuno può contribuire al bem viver di tutti e di tutte per mezzo di pratiche economiche e sociali solidali rappresenta l’affermazione della libertà umana>> (Mance, 2003)
37
Terzo Capitolo
BRASILE, ANIME A CONFRONTO
3.1. Neoliberismo e povertà mondiale
Il contesto storico ed economico ha prodotto nella realtà moltissime differenze tra
le esperienze solidali in Europa ed in America Latina. Se è vero che la svolta prende
piede sempre in condizioni inaspettate, è proprio il contesto neoliberale che in
Brasile favorisce l’emergere ed il rafforzarsi delle pratiche di economia solidale che
cominciano a strutturarsi come forme di resistenza alle condizioni dettate dal
neoliberalismo. Negli anni Ottanta infatti emergono importanti protagonisti a livello
globale, i movimenti sociali, che in Brasile si strutturano in maniera importante e
capillare, come i movimenti contadini, quelli operai che occupano le fabbriche, dei
Sem Terra, ambientalisti, studenteschi, femministi e per la parità di genere.
Mentre in Europa non abbiamo riscontrato una diretta relazione tra le
conseguenze dell’impoverimento causate dalle politiche neoliberiste attuate a livello
internazionale e la nascita e il rafforzamento delle pratiche solidali, in America
Latina e in Brasile riscontriamo moltissime correlazioni soprattutto nella
strutturazione sempre più definita dei movimenti sociali che fanno sentire la loro
voce contro l’esclusione dei meccanismi di mercato capitalisti e per il
riconoscimento dell’identità del Brasile a partire dai movimenti indigeni e dalle
tradizioni del paese.
L’economia solidale rappresenta una forma di sviluppo delle comunità più
povere brasiliane che non ottenendo spazi nei circuiti dei mercati globali, se non di
sfruttamento, creano circuiti locali di sviluppo, all’interno di forme di
democratizzazione del lavoro e della vita sociale.
A partire dagli anni Settanta ci fu una ristrutturazione economica e politica del
sistema-mondo. Negli anni Ottanta cominciò ad evolversi un sistema politico ed
economico neoliberista. A livello internazionale si crearono condizioni di estrema
povertà in quanto questo sistema comportò un irrigidimento della spesa pubblica. La
forte propensione a liberalizzare inoltre pregiudicò l’accesso ai servizi di assistenza e
38
previdenza pubblica che smisero quindi di crescere portandosi giù anche la stabilità
economica delle famiglie e il loro reddito.
Questo equilibrio globale mutò definitivamente negli anni Novanta;
simbolicamente il 1989, col crollo del muro di Berlino, ci trasporta in una nuova
epoca segnata da una serie di conflitti riguardanti il controllo delle fonti energetiche.
Il pensiero neoliberista aggredì gli assunti keynesiani che prevedono
l’intervento statale, identificando in questi la causa del deficit. Il mercato, libero da
interferenze quali i sindacati e il welfare state in generale, può garantire il massimo
sviluppo delle condizioni date favorendo le imprese, riducendo i salari,
ridimensionando il welfare state, privatizzando i servizi pubblici.
Aggiunta a queste politiche inoltre la forte innovazione tecnologica accelerò
di molto i tempi del cambiamento. I cambiamenti si sono prodotti in maniera più
veloce e integrata, producendo trasformazioni con effetti in tutti i campi della vita
umana; l’automazione ha sconvolto la vita negli uffici, il toyotismo (Fiocco 1998) ha
impattato sull’organizzazione del processo lavorativo nelle fabbriche, le
comunicazioni a grande distanza sono aumentate.
Dagli anni Ottanta si è poi assistito ad una forte integrazione del sistema
economico globale e il mercato finanziario ne è la creatura più importante; egli ha
accresciuto le possibilità di pochi di arricchirsi allargando sempre il più il gap tra
economia reale e economia fittizia finanziaria. Il capitale finanziario dà il via al
processo che molti economisti chiamano finanziarizzazione dell’economia o sistema
“post-fordista” (Laville 1998; Fiocco 1998): un progressivo sganciamento
dell’economia dalla realtà. Protagoniste di questo cambiamento sono le
multinazionali che mirarono a generare profitti attraverso due importanti processi: la
delocalizzazione della produzione nelle zone nel Sud del mondo col fine di
massimizzare il profitto visto la debole difesa dei diritti umani e dell’ecosistema e la
sua razionalizzazione, con la conseguente flessibilizzazione del mercato del lavoro.
Cambiamenti questi indissolubilmente legati a quelli attuati in campo politico in
senso neo-liberale. Infine troviamo le diverse organizzazioni internazionali che
imbrigliano il commercio globale nelle logiche del profitto. Questa integrazione
globale ha variegato ancora di più il bisogno di consumismo, costruendo il mondo
come un grande centro commerciale.
39
Sicuramente questo periodo è significato un evidente avanzo scientifico e un
progresso umano nell’utilizzo della tecnologia. Tuttavia lo sprigionamento di queste
libertà, di movimento e di comunicazione, non ha però riguardato tutte le fasce di
popolazione ma solo chi era capace di entrare nel mercato. Si è andata sviluppando
dunque una popolazione ai margini del mercato, disoccupata, che ha visto peggiorare
le condizioni di vita e calpestati i propri diritti, insieme ai propri conti in banca,
deteriorati a causa di un serio processo di indebitamento. Questo processo non ha
lasciato indifferente lo Stato che ha visto crescere sempre più le casse del debito.
In sintesi a livello globale questo processo di ristrutturazione capitalista ha
prodotto una sempre più vasta accumulazione di profitto presso i centri di potere e un
dilagare della disoccupazione e delle condizioni precarie di vita nelle periferie del
mondo.
Già Polanyi (2000) descrive questo periodo come sganciamento dei
comportamenti economici dalla realtà sociale, dal momento in cui la produzione
diventò in senso relativo meno rilevante messa a confronto con il profitto generato
dalle speculazioni finanziarie. Questo processo di divisione tra economia, società e
politica è quello che Polanyi definisce disembeddement. Il mercato disloca il più
possibile per raggiungere il maggior numero di vendite possibili. Viene incentivato
quindi il consumo che diventa essenziale insieme alla veloce circolazione delle
merci. Questo dà ossigeno ad un sistema corroso dalla speculazione che ricerca
sempre più l’over-profitto. Si spinge quindi sempre di più verso uno stile di vita
consumistico.
Se prendiamo alcuni dati sulla povertà, nello specifico quelli sulla
denutrizione elaborati dalla Fao3, vediamo che nonostante la diminuzione dovuta alla
caduta dei prezzi alimentari interni ed esterni avutasi nel 2008, la prima in quindici
anni, nel 2010 il numero di persone sottonutrite nel mondo rimane vicino alla soglia
del miliardo. Per poveri si intende quelli che guadagnano, a parità di potere
d’acquisto, meno di 1,25 dollari al giorno. Ben il sedici per cento di questa
popolazione vive in paesi in via di sviluppo e questa soglia è superiore a quella che
avevano davanti i leader mondiali quando al vertice mondiale sull’alimentazione del
3 Rapporto FAO sulla fame nel mondo 2011. “The state of food insecurity in the world” (SOFI 2011)
40
1996 convennero sull’obiettivo di ridurre della metà il numero degli affamati nel
mondo, o quando nel 2000 stabilirono nella “Dichiarazione del millennio” che il
primo obiettivo di sviluppo fosse quello di ridurre questa percentuale.
A nostro avviso trattare così l’argomento pone i poveri in una condizione
irreversibile di richiedenti aiuto, come se gli aiuti dei leader mondiali fossero l’unica
soluzione. Eppure i dati ci dicono che pure con il loro intervento è impossibile
invertire questa tendenza d’impoverimento.
Se vogliamo analizzare il complesso fenomeno della povertà mondiale
possiamo presentare i dati usciti nel rapporto sullo sviluppo umano del 2010
dell’Undp (United Nations Development programs). I ricercatori dell’OPHI (Oxford
Poverty & Human Development Iniziative) utilizzando il Mpi (Multidimensional
Poverty Index) da loro elaborato, per il report sullo sviluppo umano 20104 hanno
analizzato dati relativi a 104 paesi con una popolazione di 5,2 miliardi di persone (il
78% della popolazione mondiale) indicando che 1,7 miliardi di queste sono
interessate da povertà multidimensionale, cioè che tiene conto di tre dimensioni:
salute, istruzione e standard di vita. 1,3 miliardi di persone invece sono quelle che
vivono sulla soglia del 1,25 dollaro al giorno. Questo ci dice che i dati presi in
considerazione ai vertici mondiali sulla fame tenevano conto della povertà legata
solo al reddito e non di tutte le altre dimensioni che in caso di statistiche negative
affliggono e in caso di statistiche positive arricchiscono la dignità dei poveri.
A nostro avviso i dati sulla povertà ci dimostrano come innanzitutto non si
riesce a invertire la tendenza, ma soprattutto che in alcuni casi la questione non viene
presa seriamente in considerazione e che gli aiuti finanziari non solo sono lenti nel
diminuire le statistiche sul reddito, ma non intaccano quelle riguardanti la
multidimensionalità della povertà.
Oltre a tutto questo, dagli anni Ottanta in poi le povertà si sono radicalizzate
anche lì dove fino ad ora la ricchezza era uno stile di vita. La precarietà ha
cominciato a bussare alla porta anche dei medio borghesi riducendo sempre di più
questa fascia di mezzo ed esasperando il divario tra i ricchissimi e i poverissimi. In
questo contesto di precarizzazione anche le forme della vita sociale si sono
polverizzate tendendo verso una coesione sociale sempre più eterea.
4 Human development report 2010 of UNDP (United nations development programme)
41
Tuttavia fu nei paesi in via di sviluppo, di cui fa parte il Brasile, che si
inasprirono le condizioni di povertà e di esclusione, causando altissimi indici di
mortalità e violenza.
3.1.1. Un paese, molteplici anime
Dal sito ufficiale della repubblica federale del Brasile scopriamo che la sua
superficie è grande come quella del continente Europa e che accoglie una vasta
ricchezza naturale: 275 cascate, il Rio della Amazzoni, la Foresta dell’Amazzonia
polmone della terra, sei diversi tipi climatici, due fusi orari e 190 milioni di persone.
In questo ambiente magmatico convivono molteplici anime e contraddizioni
tipiche di un territorio vastissimo. Si riescono a distinguere almeno due anime, quella
della potenza Bric e quella delle pratiche di economia solidale. Sono molteplici i
segnali di questa contrapposizione; la compresenza ad esempio di due ministeri,
quello dell’agricoltura, bestiame e forniture e quello dello sviluppo rurale; essi
rappresentano le inconciliabili posizioni degli esponenti dell’agribusiness con quelle
degli agricoltori contadini e delle pratiche di resistenza dei Sem Terra. Realtà che
riescono a convivere proprio perché in un territorio come questo gli interessi sono
compositi e di difficile identificazione e unione, ma che in uno spazio limitato creano
contraddizioni enormi.
Da un punto di vista geopolitico, secondo il modello di analisi del sistema-
mondo, non è difficile identificare il Brasile come periferia dell’economia mondo.
Tuttavia da un decennio a questa parte la costante crescita del Pil brasiliano lascia
pensare ad una grande rimonta; sesta potenza al mondo ad oggi con 2,48 bilioni di
dollari di Pil.
Tabella 1 Fonte: Banca Mondiale - Aggiornato fino al 13 luglio 2012 in miliardi di dollari
Country 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
Brasile 587 645 554 504 552 664 882 1,089
bil
1, 37
bil
1,65
bil
1,62
bil
2,14
bil
2,48
bil
Fonte: www.worldbank.org
42
Tra il 2003 e il 2008 il tasso di aumento medio annuo del Pil è stato del 4,2%;
dopo che nel 2009 le cose, a causa della crisi, erano andate abbastanza male, la
crescita si è fortemente ripresa nel 2010, anno nel quale essa è stata del 7,5%. Per
l’anno 2011 invece l’aumento è stato solo del 2,7% contro la previsione del governo
del 3,5%, a dimostrazione del fatto che la crescita economica non è illimitata e che
incontra sempre delle fasi di stallo. A prezzi di mercato il Pil del paese ha superato
nel 2010 quello dell’Italia, mentre, usando il criterio della parità dei poteri di
acquisto, esso si colloca ormai anche davanti a Francia e Gran Bretagna. Secondo
uno studio della Getulio Vargas Foundation negli ultimi dieci anni il reddito pro-
capite in termini reali del 50% più povero della popolazione è cresciuto del 68%,
mentre quello del 10% più ricco è aumentato del 10%. Il livello del reddito è
aumentato più velocemente, tra l’altro, tra i gruppi collocati tradizionalmente ai
margini della società, nonché quelli che vivono nelle regioni più povere del paese e
nelle favelas5.
Dal 2008 il Brasile ha smesso di essere un paese debitore nei confronti della
comunità internazionale, e anzi ne è diventato creditore, e fa parte dei quattro paesi
BRIC, quindi si delinea come una potenza mondiale in cammino. Tuttavia se si
guarda alla condizione reale del paese ci si accorge di quanto sia difficile rimediare
ad un passato di debito educazionale e socio-economico. Benché i dati economici ci
presentino un Brasile in forte crescita economica, quanto questo possa farne un paese
realmente in crescita sociale e politica è cosa difficile da comprendere; questo
dipende non solo dallo scarto tra gli indicatori statistici e la reale condizione del
paese, ma anche dal fatto che lo sviluppo abbraccia così tante realtà che è difficile
con un solo indicatore economico constatare le condizioni reali del paese.
Un esempio di questa contraddizione può essere la larga diffusione delle
anonime favelas come effetto negativo dell’onda delle politiche neo-liberiste che
hanno investito il mondo dagli anni ’80, nelle quali vivono persone che per le
statistiche e i documenti istituzionali non esistono. Milioni di bambini senza tetto che
muoiono nell’anonimato, che lavorano in nero, che soffrono abusi sessuali, sono una
delle grandi zavorre del Brasile.
5 Fonte: “Il brasile tra rottura e continuità” 18/05/2011 di Vincenzo Comito www.sbilanciamoci.it
43
A livello internazionale inoltre assistiamo ad una forte connessione con la
Cina, che si comporta in questo caso da centro poiché vende prodotti industriali a
forte valore aggiunto e acquista materie prime a basso costo. L’ago della bilancia
quindi a livello internazionale non sembra puntare completamente sul Brasile.
I dati che ci fornisce la delegazione del Social Watch (rapporto Brasile 2012)
in relazione allo sviluppo del Brasile sono infatti molto diversi. Essi mettono in luce
come in realtà questo modello economico stia concentrando il potere e il reddito
nelle mani dei grandi capitalisti agro-industriali e finanziari e che la monocoltura di
soia e di canna per la produzione di zucchero ed etanolo, e le grandi infrastrutture,
stiano portando alla distruzione la varietà naturale del paese. Il recente studio del
Social Watch sugli stati e municipi brasiliani, che ha preso in considerazione l’indice
di capacità di base (BCI), da loro formulato per misurare l’indice di sviluppo di una
nazione, riporta dati che identificano stati come Parà, Acre e Amazonas come i più
sfruttati dalle grandi multinazionali; questi stati infatti detengono i tre peggiori BCI
del paese. L’indice di capacità formula dati in grado di valutare i paesi in base ai loro
progressi nello sviluppo sociale in termini di capacità basiche. Esso infatti prende in
considerazione il numero di parti assistiti da personale qualificato, mortalità dei
bambini sotto i cinque anni e continuazione della scuola sopra i cinque anni. Esso ha
subito un enorme incremento dagli anni novanta in poi quando l’indice di capacità
era basso con un valore di 83, mentre nel 2000 era medio con un valore di 92 e nel
2010 ancora medio con un valore di 95.
Figura 1. BCI e GEI 2010 per il Brasile Fonte: www.socialwatch.org
44
Il GEI (Gender Equity Index) studia invece il gap tra uomini e donne per
quanto riguarda l’empowerment educativo, sociale ed economico. Mentre nel 2007
era di 73, nel 2009 era di 68 con un progresso significativo e nel 2010 di 72.
In conclusione, mentre il PIL ci mostra un paese in forte crescita, in alcuni
casi migliore delle grandi potenze economiche di sempre, che corre dritto verso lo
status di centro nel sistema globale, se si riesce a leggere tra le righe si può notare
che questo paese-continente, per la sua grandezza e varietà di esperienze, presenta
delle anime che sembrano in contraddizione; da una parte un BRIC che si affaccia
sul mondo globale come un treno a grande velocità e dall’altra un paese che propone
al mondo intero pratiche di produzione e di consumo legate all’economia solidale,
che sono lontanissime dalle proposte neoliberiste globali e che sono necessarie alla
sostenibilità economica di gran parte della popolazione. Da una parte un PIL che
cresce, dall’altra una popolazione a cui viene negato il diritto ad una vita sana tutte le
volte che le grandi multinazionali la sfruttano come mano d’opera per portare avanti
progetti insostenibili dal punto di vista sociale e ambientale.
L’identità del Brasile è messa a dura prova; ci sono differenti lenti attraverso
cui guardare questo paese, che è alla ricerca di uno sviluppo, ma che non riesce ad
incontrarne uno che sia democratico e paritario.
3.1.2. Periferizzazione del Brasile
I contesti nei quali sono nate le esperienze solidali in America Latina sono
essenzialmente contesti poveri, nei quali si avverte la mancanza delle risorse
materiali indispensabili alla vita. Le origini dell’economia solidale in America Latina
rispondono ad un forte vincolo con l’economia popolare, ma anche con i movimenti
sociali.
L’economia popolare include le diverse forme di auto-organizzazione socio
produttive che si incontrano nelle comunità e che per Dzmira (1999) sono il naturale
sviluppo dei legami di solidarietà esistenti. Alimenta pratiche di reciprocità tacite nel
quotidiano dei gruppi popolari, specificatamente nei quartieri poveri e marginali
delle metropoli latino-americane.
<<Essa genera lavoro per quelli che stanno ai margini dei circuiti formali dell’economia costituita principalmente dallo Stato e dal Mercato. Per questo i livelli di reddito sono abbastanza fragili e garantiscono la
45
sopravvivenza dei gruppi implicati nei progetti. La sfida principale di questa economia popolare consiste nella possibilità di ultra passare la “riproduzione semplice” delle condizioni di vita, verso una direzione di una “riproduzione ampliata”>> (França Filho 2006:58)
La riproduzione ampliata è quando queste imprese riescono ad impattare anche
sul territorio circostante, come il miglioramento delle infrastrutture, ad esempio.
Razeto definisce economia popolare come:
<<Attivazione e mobilitazione economica del mondo popolare>> (Razeto 2003:26)
Il “mondo dei poveri” si organizza e si attiva economicamente combinando
risorse e capacità lavorative, tecnologiche, organizzative, e commerciali di carattere
tradizionale orientate ad assicurare la sussistenza. In Razeto, per realtà come quelle
dei paesi in via di sviluppo come Africa e America latina, il termine di economia
popolare è un settore costituito dall’unità delle attività economiche i cui attori fanno
parte della popolazione più povera della città. Essa è composta da diverse forme:
- Il lavoro in proprio dei lavoratori indipendenti che producono beni,
prestano servizi o commerciano in scala ridotta.
- Le microimprese familiari.
- Le organizzazioni economiche popolari, cioè piccoli gruppi o famiglie
che si uniscono e gestiscono in comune i mezzi di produzione scarsi per
soddisfare i propri bisogni.
Queste realtà costituiscono il sapere locale su cui si costruiscono i progetti di
sviluppo; sono la condizione data, il terreno fertile in cui interrare il seme delle
pratiche di economia solidale a livello più istituzionalizzato come le banche del
popolo, la moneta sociale, le associazioni culturali, etc.
<<La cultura dei gruppi sociali più poveri è naturalmente più solidale di quella dei gruppi sociali con entrate maggiori. L’esperienza della povertà, del bisogno, vissuta come urgenza quotidiana di garantire la sussistenza porta molti a sperimentare di persona l’importanza di condividere il poco che si ha, di formare comunità e gruppi di mutuo aiuto e di reciproco sostegno. Il mondo popolare costretto a fare economia la fa “a suo modo”, con i suoi valori, con i suoi modi di pensare, di sentire, di rapportarsi e di agire>> (Razeto 2003:33)
Benché in Razeto non sia esplicita questa distinzione, l’economia popolare
nell’autore França Filho (2004) è distinta dalla più ampia definizione di economia
informale proprio per il suo carattere di cooperazione; mentre l’economia informale
assume nella maggior parte dei casi una forma di microprogetti individuali,
46
riproponendo in piccolo i meccanismi del mercato e non un’articolazione di un
preciso sapere sociale locale, l’economia popolare ha radici profonde nelle iniziative
popolari che presentano importanti elementi di solidarietà.
<<Negli ultimi anni i popoli indigeni hanno visto accentuarsi la loro emarginazione economica, sociale e culturale, come conseguenza della ristrutturazione delle economie nazionali nell’ambito dei processi di modernizzazione e dei concomitanti sforzi tendenti a reinserire le economie latinoamericane nei mercati mondiali. L’esperienza dell’emarginazione sta risvegliando in alcuni di loro una certa tendenza a rivalutare i propri modi tradizionali di fare economia, sia in reazione a un modello economico che li esclude, sia per la semplice necessità di sopravvivere in un contesto avverso>> (Razeto 2003:143)
Per un continente così vasto è difficile determinare una sola identità. La storia del
Brasile a partire dalla colonizzazione, è fatta di dipendenze da centri (Europa,
America) che non garantiscono l’eguaglianza sul territorio. Le identità del Brasile
costruite in questo tempo sono state create dal rapporto di dipendenza col centro e
non hanno mai rispecchiato la molteplicità del Brasile. L’identità del Brasile Bric
non rende giustizia alla vastità del Brasile ma dialoga solo con una parte della
popolazione, quella più ricca, la parte più piccola del continente, avendo tuttavia
conseguenze disastrose sull’altra parte di popolazione. L’identità di un Brasile
bianco, unito, disinteressato delle risorse ambientali, viene messa in discussione dai
movimenti sociali ed indigeni che hanno visto nel passato della colonizzazione
un’oppressione dell’Europa, più che un incontro, e non riconoscono il Brasile così
come strutturato. Essi chiedono quindi di mettere in discussione questa identità anche
a partire dalle pratiche di economia solidale.
3.2. Povertà mondiale e movimenti sociali: verso un’alternativa
I movimenti sociali che si sono sviluppati dagli anni Ottanta in poi in America
Latina hanno contribuito a portare in auge il pensiero economico di prossimità e di
relazioni che è quello definito come economia solidale. Mance (2002) scrive infatti
che già col primo accenno di forum sociale mondiale nel 2000 a Padova e poi nel
2001 con Porto Alegre e con gli altri a seguire, diverse organizzazioni asserirono
collettivamente di lavorare congiuntamente contro la globalizzazione capitalista in
corso in cerca di una maggiore democrazia economica e politica, combattendo le
multinazionali. In America Latina in maniera particolare a nostro avviso influirono i
47
cambiamenti politici di un continente sotto l’egida del populismo o delle dittature e
che si ritrova quasi in contemporanea negli anni Novanta a rivendicare i propri diritti.
In Ecuador e in Bolivia questo tipo di economia ha portato alla trascrizione
nella costituzione di principi ispirati all’economia solidale. Troviamo questo concetto
citato ben quindici volte nella recente costituzione dell’Ecuador (2008) e una in
quella della Bolivia. Il processo di costituzione in Ecuador fu molto partecipato da
parte di movimenti sociali per portare a discussione pratiche di scambio economico e
di preservazione dell’ambiente antiche e radicate nelle comunità.
Come partecipanti ai forum sociali abbiamo diversi movimenti che
raccolgono le reti a livello nazionale, come la GRESP (Gruppo rete di economia
solidale del Perù), alleanza sociale continentale, alleanza per un mondo plurale
responsabile e unito, movimenti che si uniscono in lotte politiche, che spingono
affinché l’ALCA (Area di Libero Commercio delle Americhe) sia un trattato equo
per tutti i paesi.
In Argentina furono molto forti esperienze come quelle degli operai della
fabbrica di ceramica Fasinpat (Fabbrica Senza Padroni) che hanno conseguito il
diritto di proprietà sulla fabbrica ex Zanon; oppure le molteplici forme di agricoltura
sviluppatesi in contrapposizione alla crisi globale o le monete alternative sociali
diffusesi dopo la crisi monetaria. Al di là dei risultati di ciascuna iniziativa queste
esperienze riflettono l’emergere di una volontà di cooperazione a livello democratico
e politico da parte della popolazione, l’inspessirsi di legami solidali nelle comunità
che si ergono a protagoniste del territorio.
Nei Forum sociali mondiali che si sono tenuti in Brasile a partire dal 2001 è
stato molto forte la partecipazione dei movimenti sociali e di comunità nel proporre
soluzioni alternative alle soluzioni economiche adottate dai dirigenti politici ed
economici delle maggiori potenze economiche del mondo negli incontri di Davos in
Svizzera contemporanei ai forum. Moltissimi esponenti di associazioni e di
movimenti alternativi al capitalismo si sono incontrati nei forum sociali per discutere
di nuove forme di scambi economici a livello internazionale tenendo sempre come
riferimento i contesti locali.
Nel primo Forum Mondiale nel 2001 ci fu una numerosissima partecipazione da
parte di sindacati, associazioni, ONG, enti locali, ai seminari sull’economia popolare
48
e sociale. Da questo incontro venne a crearsi una rete di soggetti locali che si occupò
nei mesi successivi di elaborare i principi e gli obiettivi dell’economia solidale.
Questo lavoro venne presentato al forum del 2002 durante il quale nacque il forum
brasiliano per l’economia solidale. Questo servì da nodo focale della rete di
esperienze anche locali che si produssero, insieme ad un’ampia sensibilizzazione al
tema.6 Successivamente nel 2003, in occasione del terzo forum all’interno del
ministero del lavoro e dell’impiego del governo federale brasiliano nacque la
segreteria nazionale sull’economia solidale. Una sinergia comprovata anche dal
sostegno istituzionale profuso dal governatore Lula, presidente dal 2003 al 2010.
Le pratiche diffusesi nei forum furono espressione di una nuova pratica di
partecipazione democratica alla agenda politica nazionale, una nuova forma di
dialogo tra istituzioni e società civile, visto la molteplicità dei soggetti presenti e
visto i temi affrontati. In particolare si lavorò su cinque piani: la finanza etica, il
quadro legislativo, le cellule di produzione, di commercializzazione e consumo, la
democratizzazione dei saperi e delle tecnologie e le tipologie di organizzazioni di
economia solidale.
I forum sono stati occasione importantissima di confronto e di dialogo per portare
avanti pratiche economiche rinnovate, sostenibili e solidali. Di anno in anno la
partecipazione è aumentata insieme alla gamma di associazioni affiliate. Questo
favorì la costruzione di una rete molto densa di scambi di esperienze, promotrice di
buone pratiche all’interno dei diversi stati.
Questo tipo di cooperazione è la prospettiva solidale con forti radici popolari che
si è venuta a sviluppare in America latina a partire da questo periodo e che è andata
sempre più rafforzandosi in reti nazionali e statali.
3.3. Dipendenza del Brasile
Con Mance (1995) apprendiamo che la questione dell’identità latino-
americana fu presa in seria considerazione a partire dal processo di lotte per
l’indipendenza coloniale. In particolare nel 1991 la costituzione del Mercosul
(Mercato comune dell’America meridionale) portò alla luce non solo una forte critica
6 Il forum tutt’ora è un laboratorio di innovazione e promozione grazie anche alla diffusione sui portali http://www.fbes.org.br/ - http://cirandas.net/.
49
contro le idee neoliberiste, ispiratrici di questa integrazione, ma soprattutto
l’importanza di puntare all’integrazione culturale e non solo economica dei popoli
latini. Si concretizzò il bisogno di configurare una cittadinanza attiva e piena che
garantisse i diritti umani di tutti, una qualità dignitosa della vita nella piena
realizzazione delle singolarità umane e nell’esercizio etico della loro libertà.
La libertà è un tema ricorrente nella storia della filosofia dell’America Latina
e in Brasile è legato proprio alla Filosofia della Liberazione ed al pedagogo Paolo
Freire. Per Mance la ricerca dell’identità latino-americana parte dal bisogno di
affermazione e di riconoscimento della popolazione; una rottura quindi con la
situazione di dipendenza e colonizzazione imposta. Il cammino recente e ancora in
atto di costruzione dell’identità mira a cancellare il passato di colonialismo e
dipendenza che ha subito nel processo di costruzione dell’economia capitalista.
Utilizzando questi termini facciamo riferimento al concetto di periferia
introdotto dall’argentino Raul Prebish, poi approfondito dai teorici della dipendenza
negli anni sessanta. Il filone marxista, di cui il maggior esponente fu il tedesco Andre
Gunder Frank, più che quello strutturalista, attribuisce alla teoria della
modernizzazione la teorizzazione di un processo di sviluppo lineare e sempre
crescente, nel quale le periferie diventano dipendenti dal centro, i paesi in cui si
concentra il potere decisionale ed economico. Le periferie soffrono un rapporto di
subordinazione col centro, che instaura un rapporto di dominio per il quale egli si
sviluppa a spese della periferia, creando un circolo vizioso di non sviluppo. Per
questo il centro gode del privilegio di ricevere dai paesi periferia manodopera e
materie prime a basso costo, grazie ai quali, utilizzando tecnologie avanzatissime,
produce prodotti ad alta rendita di profitto. Il sistema di scambi nei quali sono inseriti
il centro e la periferia è quello capitalista che mira ad un’accumulazione del profitto
servendosi dell’egemonia economica, politica e militare dei centri lungo tutto il corso
della storia. In questo <<scambio ineguale>> (A. Emmanuel) alle periferie non
resta che acquistare i beni finiti ad un prezzo alto, producendo in cambio prodotti e
vendendo materie prime a basso costo. Le energie prodotte sono quindi tutte
canalizzate verso il centro, il solo che abbia potere decisionale, rendendo le periferie,
proprio perché dipendenti, incapaci di resistenza.
50
La teoria della dipendenza elaborata ulteriormente è entrata nel modello
teorico del sistema-mondo teorizzato da Wallerstein sempre negli stessi anni al
Fernard Braudel Center of study of Economies, Historical Systems and Civilization
dell’università di New York7. Wallerstein, interessato all’analisi della storia politica
e culturale a livello globale e di lungo periodo, teorizza un modello di sistema-
mondo nel quale i paesi sono inseriti come centro, periferia o semi-periferia, in un
sistema di scambio ineguale. Il sottosviluppo quindi è storicamente creato e non è
una determinazione naturale come affermato dai teorici della modernizzazione.
Lo scambio ineguale come abbiamo detto non fa altro che espropriare della
ricchezza i paesi dipendenti, rubando loro la possibilità di uno sviluppo
autodeterminato ed originale. A questo punto forse non è una coincidenza che lo
svelamento di questo scambio ineguale sia stato molto forte in America latina. Nel
processo di costruzione dell’identità infatti conta moltissimo la determinante di
oppressione dalla quale questi popoli vogliono riscattarsi.
La proposta dell’economia solidale, come vedremo meglio nei casi studio del
terzo capitolo, punta a valorizzare e rispettare l’identità di ogni territorio e a
riprendere proprio quello che Razeto definisce come modo tradizionale di fare
economia, estremamente diffuso all’interno delle imprese solidali.
Nel contesto brasiliano infatti, all’interno del quale convivono moltissime
culture, con passati e tradizioni millenarie, in un miscuglio di religioni e modi di
vivere, uno stile omologante che punta solo ad un’economia del profitto non riesce a
render giustizia a questo panorama e rischia solo di rendere periferia quello che in
una logica solidale potrebbe essere centro e motore di sviluppo.
7 Per riferimenti Wallerstein, I. (2003). Alla scoperta del sistema mondo. Roma: Manifestolibri
51
Quarto Capitolo
ECONOMIA SOLIDALE:
L’ESPERIENZA DEL BRASILE
4.1. Il Sud America: i movimenti sociali
Enrique Dussel, a cui Mance fa spesso riferimento, assume che il continente
latino-americano è un continente oppresso dalla volontà di potere che ha esercitato
l’Europa nel tempo. Un’oppressione talmente assorbita che anche nella costruzione
dell’indipendenza l’obiettivo finale dello sviluppo rimaneva sempre essere come
l’Europa. L’obiettivo di molti era infatti proprio quello di diventare i bianchi del sud.
Questa tendenza è chiaramente definita dalla distribuzione della popolazione
all’interno del Brasile. Al sud incontriamo stati con una qualità di vita molto alta e
che sono a maggioranza discendenti europei, in maggioranza tedeschi, portoghesi,
italiani, francesi e spagnoli. Mentre nel nord del paese, nel quale la colonizzazione si
è data in tempi recenti ed era legata molto di più al lavoro schiavo, la popolazione
presenta un alto tasso di discendenti indigeni o afro-discendenti. Questa è la parte
meno sviluppata del paese, nel senso che è quella meno interessata dalle politiche
pubbliche e verte in condizioni di abbandono.
Guardando alla situazione di crisi globale e di riassestamento del sistema
economico capitalista le esperienze di economia solidale propongono una soluzione
locale e potrebbero rappresentare una forte resistenza a questo stato di cose, e
soprattutto un grosso incentivo ad una costruzione di un’identità sganciata dalla
dipendenza.
Una delle forze espresse nella costruzione dell’identità è la necessità concreta
di libertà espressa dagli oppressi, a cui è stato negato il riconoscimento. Proprio
questa condizione di negazione li mette insieme, non come bianchi del sud, ma come
afrodiscendenti, indigeni, amarelos, negros, brancos, prettos, pardos8. È chiaro quindi
che la costituzione di una nuova identità può esserci solo dopo la consapevolezza di
una coscienza storica. In questo i filosofi storici hanno avuto un ruolo importante nel
8 Fonte per le identità: IBGE, Diretoria de Pesquisas, Coordenação de População e Indicadores Sociais, Pesquisa das Características Étnico-raciais da População 2008.
52
proporre una nuova riflessione sulla coscienza latino-americana, sulle radici e i valori
comuni.
In generale in America latina si richiede una trasformazione sociale, che è la
sola capace di garantire la liberazione dei popoli latini e forse la lotta per
l’indipendenza sta creandone i presupposti forti radicati nella popolazione. In Brasile
in particolare, forse proprio per le forti contraddizioni di classe e il profondo divario
tra ricchi e poveri, nel processo di indipendenza ci si è concentrati maggiormente
sulla liberazione degli oppressi. A proposito di questo la Filosofia della Liberazione
animò e anima tutt’ora i territori sulla questione dell’ingiustizia sociale di cui
soffrono la maggior parte dei brasiliani. Se ne può avere un assaggio nei movimenti
sociali che confluirono nei forum sociali mondiali a partire dagli anni novanta.
Possiamo sintetizzare alcune caratteristiche che a nostro parere si
contaminano in tutto il continente americano attraverso i movimenti sociali
sviluppatisi e che contribuiscono alla creazione dell’identità brasiliana.
In molti articoli della costituzione ecuadoriana ad esempio traspare un
pensiero collettivo, cioè il mondo è inteso a partire da un noi invece che dall’io. Un
noi che non parla solo di solidarietà tra le persone ma che unisce persone e natura. Il
legame con l’ecosistema è molto forte e legato alle popolazioni indigene. Le
popolazioni quechua infatti propongono una nuova visione della vita: in
contrapposizione alla visione lineare del tempo e della vita, una prospettiva circolare
in cui il futuro è dietro di noi poichè non possiamo vederlo o conoscerlo. Il passato lo
abbiamo davanti agli occhi, ci costituisce e con lui camminiamo. Gli articoli fanno
riferimento alla sensibilità nel percepire l’ecosistema in cui siamo inseriti piuttosto
che del possedere delle cose materiali. Questo fa si che l’obiettivo non sia la crescita
economica ma la costruzione di una società del bem viver.
Queste caratteristiche le percepiamo come molto vicine a quelle che
muovono, almeno nella teoria, l’economia solidale in Brasile e in modo specifico
nello Stato della Bahia. La percezione di un mondo al cui centro non vi è il profitto,
ma l’uomo. Azioni che hanno come obiettivo quello di migliorare la qualità della
vita, cercando di inglobare tutti in questa aspirazione del futuro ridistribuendo la
ricchezza, costruendo un’economia al servizio della vita e non viceversa, che punti al
valore d’uso invece che a quello di scambio. Soprattutto un mondo in cui tutti questi
53
meccanismi siano animati dalla partecipazione di tutti alla cosa pubblica,
promuovendo quindi la libertà dalla condizione di povertà e di bisogno che sarebbe
altrimenti da ostacolo alla stessa partecipazione.
Questo tema della povertà è molto forte specialmente nell’entroterra. Le
azioni solidali infatti spesso non nascono da una forte presa di coscienza politica, ma
da un reale bisogno delle persone di unirsi per affrontare la condizione di povertà nel
quale sono imprigionati. L’economia solidale diventa quindi motivo di unione e di
collaborazione per combattere l’esclusione sociale e la disoccupazione nel quale il
sistema odierno li sta nascondendo. Essa diventa una seconda chance di vita
dignitosa per molti senza tetto, madri e mogli, giovani disoccupati, contadini,
artigiani e produttori. In questo senso si propone come un’azione politica che mira a
trasformare il territorio e le persone che le occupano rispettandone l’identità.
L’identità di un territorio quindi potrebbe darsi dalle esperienze locali di
economia solidale che ripropongono la diversità dei luoghi, la specialità delle
tradizioni e la forza di meccanismi economici che non sono fatti solo da numeri ma
che coinvolgono la persona in quanto essere partecipante del mondo culturale,
sociale e politico.
Quello che si riscontra leggendo i risultati di progetti realizzati nei quartieri
poveri del Brasile9 è che la gente riscopre di poter fare qualcosa rispetto alle
condizioni di povertà in cui è messa, e questo è il punto di partenza per l’inizio della
pratica dello sviluppo. Mance ci tiene a sottolineare che è importante che le persone
si riscoprano capaci di far fronte alla crisi, mettendo in comune i bisogni. In questi
contesti più poveri si ha la sensazione che l’accumulazione di denaro passi in
secondo piano e che il denaro riassuma la funzione di mezzo di scambio.
4.2 La scelta politica del Brasile
In Brasile col governo Lula (2003;2010) abbiamo una precisa scelta politica che
è quella di istituzionalizzare le pratiche di economia solidale che stavano nascendo
sul territorio, strutturandole e favorendone il radicamento sul territorio tramite
proposte governative interministeriali di finanziamento.
9 Fonte: relazione del gennaio 2011 sulla comunità di Matarandiba; Tesi di Elisa Numerati www.ipsia-acli.it
54
Furono finanziati diversi programmi governativi con esplicito indirizzo solidale.
Il programma più importate fu quello di “Fame Zero”, un insieme di politiche
federali, statali e municipali riguardanti trasferimenti di reddito alle famiglie
brasiliane più povere. Esso fu sotto la responsabilità del MESA (Ministero
Straordinario della Sicurezza Alimentare e Lotta alla Fame) che venne sciolto nel
2004 in quanto le sue funzioni furono assunte dal MDS (Ministero dello Sviluppo
Sociale e Lotta alla Fame) che ancora oggi cura i programmi federali di Fame Zero.
Gli interventi sono stati pianificati considerando le differenze tra aree rurali, città
piccole e medie e metropoli. Nelle aree rurali sono stati privilegiati aiuti
all’agricoltura familiare, mentre nelle città si è favorita la ricerca di un nuovo
rapporto con la rete dei supermercati e la promozione dell’agricoltura urbana. Nelle
metropoli sono state progettate l’organizzazione di ristoranti popolari.
Nell’implementazione di tutto ciò fondamentale è il ruolo svolto dai governi
municipali.
Le politiche del programma Fame Zero si dividono in due principali interventi
(Mance 2006): i primi riguardano interventi diretti alle famiglie prive di sicurezza
alimentare (Carta-Alimentazione, Ceste Basiche di Emergenza, Riserve di Sicurezza,
Sicurezza e Qualità degli Alimenti, Ampliamento del Programma di Alimentazione
del Lavoratore, Nutrizione Materno Infantile, Educazione al Consumo Alimentare,
Ampliamento dell’Alimentazione Scolastica, Servizio alle Comunità Indigene dei
Quilombos), i secondi invece rivolti ad affrontare le cause strutturali della fame
(Generazione e Occupazione, Lavoro e Reddito, Previdenza Sociale per Tutti,
Incentivo all’Agricoltura Familiare, Costruzione di Cisterne, Intensificazione della
Riforma Agraria, Borsa Scuola, Programmi di Distribuzione di Reddito, Offerte di
Microcredito, Consorzi Sicurezza Alimentare e Sviluppo Locale).
Oggi di tutti questi programmi è in funzione ancora il programma Borsa Famiglia
che raggruppa insieme la Borsa Scuola, la Carta Alimentazione, la Borsa
Alimentazione e Aiuto Gás, insieme a nuovi programmi come Brasile Carinhoso
nella prospettiva di costituire un unico programma di trasferimento di reddito per
l’insieme delle famiglie povere brasiliane.
Il programma “Fame Zero” è stato l’inizio della rivoluzione delle politiche
pubbliche, perché non solo si trattava di trasferire denaro alle famiglie più povere,
55
ma si prevedeva il coinvolgimento attivo delle persone nel migliorare la propria
condizione di povertà. L’obbligo ad esempio della frequenza scolastica e della
vaccinazione regolare dei bambini, insieme ad azioni strutturate per l’inserimento in
attività produttive della popolazione, avevano l’obiettivo di rendere autonome le
famiglie per non dipendere in eterno dai programmi di trasferimento di reddito.
Prima del programma “Fame Zero” i poveri in condizioni di insicurezza
alimentare erano circa 11 milioni. Col programma ci sono state iniziative importanti
che hanno portato alla diminuzione di questa soglia. Molte famiglie hanno raggiunto
un dignitoso potere di acquisto così da poter comprare cibo, medicinali, etc. È nato
inoltre il Consorzio di sicurezza alimentare e sviluppo locale per incentivare la
produzione e le varie possibilità di sviluppo territoriale. Il programma nazionale di
alimentazione scolare (PNAE) inoltre favorì l’acquisizione di prodotti direttamente
dall’agricoltura familiare per rifornire le mense di ospedali e scuole, garantendo la
sicurezza alimentare delle persone e la loro sovranità.
L’economia solidale in questi contesti riveste il ruolo di strumento economico
che le comunità utilizzano per promuovere la nascita di iniziative economiche
produttive che abbiano l’intento di sviluppare le qualità endogene del territorio.
Questo conferma l’idea iniziale di un profondo legame con le esperienze
dell’economia popolare.
Insieme a questi importanti interventi fu creata una struttura istituzionale
importante all’interno della quale finanziare e sostenere le pratiche di economia
solidale.
La struttura generale dell’economia solidale è fatta da una fitta collaborazione tra
diversi ministeri e dalla coordinazione generale della SENEAS (Segreteria Nazionale
di Economia Solidale) ed ha il preciso intento di favorire e sostenere la formazione e
l’espansione di numerose pratiche solidali sul territorio. La segreteria, nata nel 2003
e vincolata al MTE (Ministero del Lavoro e dell’Impiego), fu creata:
<<Con l’intento di valorizzare la cooperazione e l’autogestione, contribuire per combattere la povertà e la diseguaglianza sociale e promuovere processi di sviluppo più giusti e solidali>> (www.mte.gov.br/ecosolidaria/secretaria_nacional.asp)
Il FBES (forum brasiliano di economia solidale) poi è un’istanza nazionale di
articolazione, dibattito ed elaborazione di strategie dei movimenti di economia
solidale.
56
La logica con cui si articolano tutte queste esperienze è quella della rete sia nel
senso che moltissimi coordinamenti sono gestiti attraverso la rete e sia perché tutte le
esperienze si costituiscono come nodi orizzontali, cioè con lo stesso potere
decisionale, all’interno di una rete di scambio e di relazione.
La segreteria nazionale ha moltissime partnership con i ministeri brasiliani
con cui condivide progetti di svariato tipo. Con il MDA (Ministero dello Sviluppo
Rurale) e attraverso la SDT (Segreteria di Sviluppo Territoriale) e la SAF (Segreteria
di Agricoltura Familiare) si finanziano progetti di sviluppo locale e di distretti
territoriali, oppure progetti di riforma agraria su concessione dei terreni, come il
Pronaf (Programma Nazionale di Potenziamento dell’Agricoltura Familiare). La
segreteria ha inoltre relazioni col MCT (Ministero della Scienza e della Tecnologia)
attraverso la FINEP (Finanziatrice di Studi e Progetti). Col MinC (Ministero della
Cultura) e col MEC (Ministero dell’Educazione) si relaziona per quanto riguarda i
progetti di educazione giovani adulti e molti altri. Col MDS (Ministero dello
Sviluppo Sociale e della Lotta alla Fame) attraverso la SESAN (Segreteria di
Sicurezza Alimentare e Nutrizionale) si promuovono progetti importanti, tra gli altri
quelli di mappatura dei territori e aiuto all’agricoltura familiare.
A partire dal 1998 inoltre si favorì la realizzazione della rete universitaria di
incubatori tecnologici di cooperative popolari, che incubano progetti di economia
solidale sul territorio attraverso collaborazioni istituzionali; l’associazione nazionale
dei lavoratori di imprese autogestite; e la rete brasiliana di socioeconomia solidale
nel 2000 che riunisce in una sola piattaforma tutte le esperienze di economia solidale
presenti sul territorio e che organizza periodicamente meeting, formazione e scambi
di esperienze tra nord e sud del paese. il forum brasiliano di economia solidale;
l’agenzia di sviluppo solidale della CUT (Centrale Unica dei Lavoratori),
organizzazione sindacale.
4.3 Mappa delle esperienze e intervento istituzionale
L´economia solidale brasiliana nella pratica si struttura in diversi tipi di
organizzazioni solidali, le imprese economico-solidali e le loro pratiche in rete (le
cooperative, le associazioni, i gruppi informali che realizzano lavori collettivi nel
campo della produzione e dei servizi, dello sviluppo culturale, della preservazione
57
ambientale, della commercializzazione e del consumo). Essi si organizzano nella
prospettiva di generare lavoro e reddito, di formare cittadini, rafforzando le relazioni
comunitarie e partecipative e cercando di migliorare la qualità di vita.
Le caratteristiche comuni di queste esperienze sono innanzitutto (Singer 2002):
- la solidarietà, che si dice democratica nel momento in cui è aiuto mutuo
basato sull’eguaglianza dei diritti delle persone e sforzo per incontrare
soluzioni concrete a problemi comuni;
- l’associazionismo e la cooperazione per cui le realtà si sforzano di lavorare
simultaneamente per il bene pubblico.
- l’autogestione, per la quale le persone sono prioritarie in un’organizzazione.
- infine la multidimensionalità, cioè l’opportunità di costruire relazioni
stimolando pratiche collettive che non riguardano solo l’aspetto economico,
ma anche quello sociale, ambientale e culturale.
Mappando l’esperienza dell’economia popolare e solidale in Brasile França Filho
distingue tra tre tipi di organizzazioni:
1. Imprese economico-solidali (EES)
2. Entità di sostegno e fomento (EAF)
3. Auto-organizzazioni politiche.
Le prime riguardano quattro differenti pratiche che sono quelle del commercio
giusto, della finanza solidale, dell’economia non monetaria e delle imprese sociali.
Tra le esperienze di finanza solidale incontriamo le banche del popolo, cioè delle
cooperative di credito che generalizzano le pratiche di microcredito nelle
organizzazioni popolari. Queste iniziative prevedono il sostegno pubblico e
istituzionale, oppure quello della società civile tramite l’azione di Ong. Le iniziative
solidali possono essere quelle del microcredito orientato, dei fondi rotativi solidali e
delle banche del popolo.
Tra le esperienze di economia monetaria troviamo ad esempio i gruppi di
scambio. Essi consistono in una associazione di persone, produttori e consumatori la
cui finalità è quella di scambiare beni e servizi senza ricorrere ad una logica
mercantile e adottando nella maggior parte dei casi monete sociali. La logica in
queste imprese è quella del dono nel senso che lo scambio rafforza i vincoli sociali
58
tra le persone. Le esperienze più numerose in Brasile sono quelle del cooperativismo
popolare, sia di produzione che di consumo.
Gli EAF invece sono strutture di aiuto alla formazione di imprese economiche
solidali. Singer (cit. in Franca Filho, 2006:64) riporta che molti progetti comunitari
furono finanziati dalla Caritas. Ci sono inoltre gli incubatori tecnologici di
cooperative popolari che sono entità universitarie destinate all’incubazione di
cooperative e gruppi di produzione associata.
I terzi invece rappresentano il desiderio di alcuni attori di essere riconosciuti
istituzionalmente. I movimenti politici generati spingono affinché ci sia un
rinnovamento nelle politiche pubbliche.
4.4 Incubatori tecnologici di cooperative popolari e concetto di estensione
Quasi tutte le esperienze solidali sopravvivono grazie all’elargizione di
finanziamenti pubblici, altre anche di finanziamenti privati e mentre alcune ne
godono solo in un primo momento altre continuano ad avere un appoggio continuo.
Il COEP (Comitato di Entità Pubbliche nella Lotta contro la Fame e per la
Vita) iniziò a Rio de Janeiro nel 1993 una grande lavoro di incentivo ad azioni
riguardanti la produzione di lavoro e reddito per le popolazioni ai margini della
società. All’interno di queste politiche nacque la proposta da parte degli incubatori,
che prima nell’ambito accademico erano famosi solo per occuparsi di imprese, di
incubare cooperative popolari; nascono così gli incubatori tecnologici di cooperative
popolari (ITCPs). Il primo nacque nel 1994 all’interno del programma post-laurea
della facoltà ingegneria di Rio con l’obiettivo di insegnare il cooperativismo di
maniera organizzata.
Questa esperienza si estese ad altre università e nacque il programma
nazionale di incubatori di cooperative popolari (PRONINC) con il FINEP
(Finanziatrice di Studi e Progetti), la banca del Brasile, la Fondazione della banca del
Brasile e il COEP (Comitato di Entità Pubbliche nella Lotta contro la Fame e per la
Vita), con l’obiettivo di fomentare la nascita di attività economico-solidali offrendo
assistenza tecnica, spazi di studio, ricerca e sviluppo di tecnologie sociali volte
59
all’organizzazione del lavoro autogestito, rafforzando di molto il processo di
incubazione e della nascita degli stessi incubatori.
La documentazione finale del programma nazionale degli incubatori afferma
che il 74,1% (AA.VV. 2010:34) degli incubatori è nato grazie al suo appoggio, altri
grazie alla SENEAS (Segreteria Nazionale di Economia Solidale) e dal MTE
(Ministero del Lavoro e dell’Impiego) che la ospita. Già in sette anni più di 60
incubatori hanno avuto l’appoggio del programma di incubatori.
Col tempo a livello nazionale si formarono la rete “UNITRABALHO”, nata
nel 1996, e la ITCPs (Rete universitaria di incubatori tecnologici di cooperative
popolari). La UNITRABALHO è una rete universitaria nazionale di incubatori che
aggrega 92 università insieme a scuole superiori. La ITCPs integra 50 incubatori.
Secondo un lavoro di valutazione sul lavoro del programma degli incubatori,
essi sono:
Tabella 2: Dati a cura del PRONINC. Aggiornati al 2011
NUMERO DI INCUBATORI PER REGIONE
REGIONE NUMERO %
NORD-EST 15 27,8 NORD 3 5,6 SUD 14 25,9 SUD-EST 16 29,6 CENTRO-OVEST 6 11,1 TOTALE 54 100
Fonte: Relazione finale PRONINC 2011
Sono registrati 61 incubatori, ma in questa ricerca ne risultano solo 54 che sono
stati quelli raggiunti dallo studio del Proninc.
Gli incubatori non hanno come obiettivo quello di incubare una sola impresa
per renderla capace di competere sul mercato; al contrario cercano di fomentare
attività economiche che riuniscano persone che sono state escluse dal mercato, per
stabilire relazioni democratiche dove tutti hanno gli stessi diritti. In questo modo i
lavoratori cercano insieme le risorse per inserirsi nel mondo del lavoro, per prendere
coscienza insieme di come funziona il sistema. I principi ispiratori sono quindi quelli
dell’autogestione e dei procedimenti democratici.
Gli incubatori offrono assistenza e tecnici qualificati al territorio durante il
periodo di incubazione. Nella maggior parte essi sono vincolati alle università, sia
60
pubbliche che private, e hanno come obiettivo quello di formare docenti e discenti
sulla tematica dell’economia solidale. Essi sono uno strumento importante in mano
agli esclusi dal mercato del lavoro che possono così organizzarsi in attività
produttive necessarie al locale e inserirsi nel panorama economico esterno come
esperienze socio-economiche. Questa denominazione sociale è molto importante
perché determina la qualità dell’azione delle attività che vengono a crearsi; attività
produttive che non tengono conto solo dell’aspetto economico, ma che nascono
all’interno di un territorio specifico e che quindi cercando di preservarne anche gli
aspetti sociali, culturali ed ambientali. Le attività non si pongono come un congegno
strategico per il soddisfacimento degli interessi di uno solo, ma sono il naturale
sbocco della comunità riunita in associazioni che con la collaborazione tecnica
dell’incubatore prende coscienza di sé e si riorganizza dal punto di vista economico,
sociale, ambientale e culturale.
Le università in questo modo si formulano come strutture che fomentano
iniziative solidali e creano gruppi di ricerca ed estensione che aggregano persone in
questi contesti. Il processo di incubazione quindi è visto come un progetto di
estensione universitaria, una tecnologia sociale, un processo indissociabile tra
insegnamento, ricerca ed estensione, che produce innovazione sociale.
L’estensione è un concetto molto caro all’accademia brasiliana. Secondo il
forum di estensione delle università federali pubbliche l’estensione è:
<<Un processo educativo, culturale e scientifico che articola l’insegnamento e la ricerca di forma indissociabile e realizza una relazione trasformatrice tra l’università e la società >> (www. mec.gov.br)
Il processo di interazione tra il sapere accademico e quello popolare sembra
essere la migliore strategia per rispondere a domande di gruppi sociali rispettandone
il territorio. Queste azioni si ispirano ai principi di economia solidale, prevedendo
un’interazione con l’insegnamento e la ricerca. Secondo i suoi sostenitori, attitudini
importanti sono la creatività nell’incontrare soluzioni a problemi collettivi e la
capacità di ascoltare i problemi del territorio per poterli razionalizzare, presentarli
alla comunità e rendere la stessa capace di affrontarli con soluzioni economico-
solidali.
In questo modo è un’attività che permette all’università di creare una
conoscenza che è accessibile a molti ed è direttamente collegata alla realtà, ai
61
problemi locali. Il sapere prodotto è intriso quindi di esperienza e soprattutto è reso
disponibile per la comunità che prende coscienza di sé. Il percorso universitario si
definisce anche come un’azione pedagogica che realizzando interventi nella realtà
incide anche nella vita degli studenti coinvolti negli incubatori che vivono
l’esperienza universitaria come una preziosa fase della vita per prendere coscienza
della realtà che li circonda.
La metodologia di ogni incubatore è molto specifica. In generale possiamo
dire che in un primo momento c’è un lavoro di presa di coscienza della comunità che
si vuole incubare, concetto tipico freiriano, che include una serie di tematiche come il
cooperativismo, l’economia solidale, il lavoro solidario, l’autogestione, la giustizia
sociale e la democrazia. I fruitori sono persone che fanno parte delle associazioni o
delle attività produttive presenti nella comunità. A differenza degli incubatori
tecnologici di impresa che incubano solo un’attività, essi cercano di incubare il
territorio come luogo privilegiato nel quale ricercare logiche e meccanismi di
sviluppo locale. In questa prospettiva quindi gli aspetti culturali, ambientali e sociali
non sono esclusi, ma anzi concorrono allo sviluppo in maniera determinante.
Dal momento che l’incubatore molte volte è ubicato nelle università al suo
interno collaborano studenti di corsi di laurea triennale, specialistica e dottorato.
Essendo questo processo relativamente nuovo uno degli obiettivi dell’incubatore è
quello di produrre conoscenza sulle metodologie inerenti al processo di incubazione
per consolidarle e più in generale per far fronte alle sfide quotidiane dell’economia
solidale. L’obiettivo successivo è quello di ri-consegnare il tutto non solo al discorso
accademico ma soprattutto alla comunità protagonista delle azioni. Quindi
l’estensione non presuppone una ricerca solo teorica, ma ispirata dall’esperienza di
campo e che ritorna al campo per produrre un processo infinito di crescita di
conoscenza.
L’estensione è un processo di un rapporto continuo tra università e territorio.
Si produce infatti conoscenza sui problemi reali e si stimola la produzione di nuovi
progetti di ricerca.
62
4.5 Reti di produzione e consumo
Consumare è da molti considerato un atto rivoluzionario perché da ogni piccola
azione di cui è composto, potrebbe dipendere la sostenibilità del’ambiente, la
promozione di un lavoro dignitoso e giusto, le pratiche di commercio giuste e
solidali. Il solo atto di scegliere un prodotto può determinare un’azione non solidale,
finanche la produzione di spazzatura.
Il consumo responsabile si attua quando il consumatore, che si rende conto
che le sue scelte quotidiane impattano sulla sua qualità di vita, sulla società e sulla
natura, cerca alternative di consumo. L’obiettivo di un gruppo di consumo
responsabile è infatti quello di costruire una catena di produzione,
commercializzazione e consumo che sia responsabile, cosciente, giusta, solidaria e
sostenibile. Questo movimento cerca di mettere insieme i verbi comprare e vendere e
cerca di interrogarsi sulla qualità, sulla provenienza e sul valore dei prodotti. Esso
cerca di dirigere il consumo verso prodotti necessari alla sopravvivenza cercando
così di limitare il consumo forzoso (Mance 2010). I principi ricalcano quelli
dell’economia solidale e cioè rafforzamento della democrazia e dell’autogestione,
equità di genere, rispetto delle relazioni di lavoro, giusta determinazione di prezzo,
sviluppo sostenibile, rispetto per l’ambiente, diritti delle donne, dei bambini, dei
gruppi etnici, garanzia di informazione ai consumatori e integrazione di tutti nella
catena produttiva. Consumare significa avere la possibilità di incidere sul proprio
territorio in maniera positiva e favorire l’accesso ad una produzione di alta qualità e
con un prezzo giusto.
Il consumo responsabile punta a mutare la relazione capitale-lavoro, così da
sfavorire l’accumulazione di profitto favorendo una ricostruzione del
cooperativismo. La relazione con l’ambiente poi punta ad approfondire i meccanismi
di lotta contro le monoculture che utilizzano agrotossici che non solo distruggono
l’ambiente, ma producono prodotti che non rispondono all’identità del territorio.
Il commercio equo e solidale nasce in Brasile nel 2000 cercando risposte
creative alle difficoltà di commercializzazione dei prodotti e dei servizi delle attività
economiche solidali brasiliane. “O faces do Brasil” è una piattaforma costituita da
attori del movimento del commercio equo e solidale brasiliano nata nel 2001 che ha
come missione quella di promuovere il consumo come uno strumento per
63
un’economia inclusiva, solidale e sostenibile. Questa piattaforma è in partnership con
la segreteria nazionale e la fondazione del banco del Brasile.
In questi anni ha coinvolto più di 2000 lavoratori in 25 corsi di formazione e
visite di campo, cinque seminari regionali e uno nazionale. Faces è un progetto sia
politico che economico perché spinge al riconoscimento da parte dello stato
brasiliano del commercio equo e solidale e fomenta politiche sociali di lotta contro le
disuguaglianze sociali e la precarizzazione delle relazioni di lavoro.
Del commercio equo e solidale fanno parte le attività economico-solidali di
produzione, commercializzazione e consumo, entità e reti nazionali di aiuto, partner
commerciali e organismi di valutazione di conformità. Questo tipo di commercio è
differente dal commercio equo e solidale europeo che prevede imprese nei paesi ad
un più alto tasso di sviluppo che lavorano affinché produttori e lavoratori dei paesi in
via di sviluppo abbiano una relazione commerciale dignitosa e giusta. In Brasile si
vuole incentivare la diffusione di prodotti di imprese solidali, che svolgono
un’azione quanto più equa dal punto di vista socio-ambientale sul territorio.
Per partecipare del sistema nazionale di commercio equo e solidale (SNCJS)
bisogna essere un’attività economico-solidale con un marchio specifico che
rappresenti la relazione di fiducia col sistema nazionale di commercio, che dimostri
l’identità dell’iniziativa economica e la volontà della stessa nel praticare una nuova
economia, preoccupata con l’ambiente e il mondo nel quale si inserisce. Un altro
modo è partecipare come un’attività di tipo “prodotto-servizio”, con un marchio che
attesti questo.
Per ottenere questi marchi il sistema del commercio equo e solidale prevede
tre forme di valutazione: la valutazione di un organismo esterno, il sistema
partecipativo di garanzia e la dichiarazione chiamata “EED-CJS” fatta dal
consumatore o fornitore. Tuttavia nel Brasile non ci sono ancora esperienze concrete
di sistemi partecipativi di garanzia fatti dalla comunità, territorio o regione e
l’impresa si rivolge ad un attore esterno per avere la certificazione.
Il sistema del commercio equo e solidale punta anche a potenziare la
commercializzazione solidaria nel brasile praticando una sorta di protezionismo. Ad
esempio si favoriscono politiche di prezzo più alto per i produttori locali, in modo da
favorirne la sostenibilità economica, tasse più alte sui prodotti che sono venduti fuori
64
dal Brasile rispetto a quelli venduti all’interno. Si organizzano poi moltissime fiere
settimanali, si dà assistenza tecnica per softwares che gestiscono le vendite on-line, si
incoraggiano anche azioni di pressione presso i governi municipali affinché siano
concessi finanziamenti, sostegno tecnico e riduzione delle tasse.
L’istituto Kairos che ha monitorato le esperienze di gruppi di consumo
responsabile ne ha censiti nel Brasile 22 fino al 2011. Esso teorizza che per esercitare
il consumo responsabile è fondamentale intendere per intervenire. Per intendere c’è
bisogno che la pratica migliori e si costruisca nel tempo, costruendo così un circolo
di conoscenza. Intendere significa sviluppare la riflessione critica sulle conseguenze
sociali e ambientali degli attuali modelli di produzione e consumo e intervenire
significa contribuire nella pratica alle trasformazioni e alla ricerca di una migliore
qualità di vita, sostenibile socialmente, economicamente e ecologicamente.
Città, paese, mondo
Immagine a cura dell’Istituto Kairos
L’obiettivo di un gruppo di acquisto responsabile è quello di facilitare
l’accesso dei consumatori ai prodotti e ai servizi dell’agricoltura familiare, dell’agro-
ecologia e dell’economia solidaria ad un prezzo giusto. Allo stesso tempo esso cerca
di costruire con i produttori una remunerazione più giusta e migliori condizioni di
lavoro.
Per questo il consumo responsabile ha a che fare con prodotti di agricoltura
familiare che possono o no essere organici, cioè senza agro tossici, e iniziative
agroecologiche che coniugano aspetti ambientali, sociali, economico e culturali oltre
alla produzione organica. Le reti di consumatori cercano di seguire questa linea
anche se non tutte ci riescono; ad esempio alla RedeMoinho sono affiliate delle
cooperative che non sono né agro-ecologiche e né organiche ma che fanno parte
dell’economia solidale in quanto cooperative che promuovono nuove relazioni di
lavoro.
Famiglia comunità
Intendere
Intervenire
Fonte:Istituto Kairos
65
Le sfide che queste esperienze cercano di affrontare riguardano molto spesso
la logistica e quindi la realizzazione dei pagamenti, il trasporto e la gestione delle
richieste, la ricerca di una sostenibilità economica delle realtà coinvolte e della rete
stessa. Un obiettivo altrettanto importante è la mobilitazione dei consumatori come
gruppi organizzati in reti solidali, cooperando nella produzione e nella
commercializzazione. Come vedremo nel prossimo capitolo infatti nella realtà baiana
incontrare gruppi di acquisto responsabile è molto raro. Una necessità condivisa da
tutti i gruppi è quella di coinvolgere di più i consumatori per potenziare le azioni di
gruppo. Gran parte d’essi infatti non conosce la catena produttiva e non si preoccupa
col produttore. La preoccupazione più grande è in relazione alla salute e
all’organicità dei prodotti. Dato confermato anche dalla ricerca sulla RedeMoinho.
Mappando le esperienze nel Brasile l’istituto Kairos individua due tipi di reti
che vengono a crearsi; la rete singolare che sono gruppi formati per un insieme di
consumatori che decidono di centralizzare la gestione e la distribuzione dei prodotti.
In questo caso ci si relaziona direttamente con i produttori. Un secondo tipo è quello
capillare per cui i gruppi sono formati da differenti nuclei di consumatori che
dipendono dal gruppo. Il modello capillare è definito molto più adeguato per le città
metropoli, luogo in cui è infatti più esteso.
Un altro obiettivo importante è quello di avere la possibilità di accedere a
prodotti di qualità con prezzi accessibili e appoggiare i gruppi di produzione nella
commercializzazione dei prodotti. Per quanto riguarda il servizio del trasporto la
maggior parte offre quello a domicilio in un giorno stabilito. Per quanto riguarda gli
ordini si preferisce valorizzare l’abitudine del pagamento anticipato per garantire ai
produttori la garanzia della vendita.
66
Quinto capitolo
ECONOMIA SOLIDALE NELLA BAHIA.
UN CASO DI INCUBATORE TECNOLOGICO DI ECONOMIA
SOLIDALE
5.1. Periferia nella periferia: Bahia
Tratteremo qui di seguito le esperienze dell’incubatore tecnologico di
economia solidale (ITES) che è un’entità all’interno dell’università federale della
Bahia (UFBA) e che si struttura sul territorio in una rete nazionale, quella degli
incubatori tecnologici di cooperative popolari.
I progetti di Matarandiba e Santa Luzia che saranno analizzati sono per noi
un’esperienza concreta di come lavora un incubatore sul territorio e quali sfide
incontra. All’interno del discorso più generale le esperienze di comunità possono
rappresentare un esempio di economia plurale come abbiamo descritto nel primo
capitolo, nel senso di congiunzione tra diverse forme economiche; mercato, stato e
dono.
Figura 2 Mappa del Brasile e dello stato della Bahia
Il Brasile presenta differenze enormi tra gli stati del nord e del sud. Tenere
conto dello Stato della Bahia significa tener conto di un paese che è stato periferia
nella periferia, non solo perché presenta indici di povertà altissimi, ma perché nella
storia è sempre stato riferimento per l’acquisizione di materie prime da parte degli
67
stati del Sud a maggioranza di discendenza di colonizzatori, ma non per
l’implementazione di infrastrutture atte a migliorarne la qualità di vita.
Situato insieme ad altri nove stati nella regione povera del Nord-est, Bahia
infatti presenta diversi indici statistici di povertà. Tra questi stati: Alagoas, Bahia,
Ceará, Maranhão, Paraíba, Pernambuco, Piaiuí, Rio Grande do Norte, Sergipe, ci
sono i tre più poveri del Brasile: Maranhão, Piaiuí e Pernambuco. Tuttavia lo stato
della Bahia è il primo, in quanto a qualità di vita, di tutti gli stati del nord e nord-est.
Salvador, capitale della Bahia è stata la prima capitale brasiliana, ed era il
porto principale del Brasile, simbolo quindi della colonialismo europeo. È la città
con la maggiore presenza di popolazione africana, proprio per la presenza degli
schiavi deportati dall’Africa e di presenza di indigeni.
Lo Stato della Bahia si distingue per un forte carattere produttivo determinato
soprattutto dal tessuto produttivo dell’entroterra che fornisce moltissimi prodotti di
qualità e che fa della Bahia il terzo stato con numero maggiore di esperienze di
economia solidale sul territorio e il primo in presenza di agricoltori familiari.
Tuttavia presenta una estesa carenza di infrastrutture, necessarie ad esempio per
combattere i grandi periodi di siccità che lo affliggono e che determinano la povertà
di moltissimi produttori dell’entroterra.
Secondo i dati della segreteria nazionale di economia solidale la distribuzione
delle esperienze solidali nel Brasile intero è la seguente:
Tabella 3: Numero di imprese solidali nel Brasile, divisi per regioni.
Periodo: 2007
Regione Quantità
TOTAL E 21.859
Regione Nord 2.656
Regione Nord-est 9.498
Regione Sud-est 3.912
Regione Sud 3.583
Regione Centro-Ovest 2.210 Fonte: Seneas www.mte.gov.br/ecosolidaria/secretaria_nacional.asp
68
Nella Bahia ci sono 1611 imprese solidali, suddivise così nel tempo:
Tabella 4: Quantità di imprese solidali suddivisi per anno.
1900 a
1950 1951 a
1970 1971 a
1980 1981 a
1990 1991 a
2000 2001 a
2007 TOTALE
1 1 14 183 714 665 1578
Fonte: Seneas www.mte.gov.br/ecosolidaria/secretaria_nacional.asp
La maggior parte sono associazioni che dichiarano di essere nate per garantire
una fonte di reddito complementare per gli associati o come alternativa alla
disoccupazione. Il lavoro più realizzato di forma collettiva è quello di produzione
relazionato all’agricoltura, seguito dalla commercializzazione, benché la maggior
parte affermi di operare in almeno tre aree differenti, ad esempio produzione,
commercializzazione e prestazione di servizi. La maggior parte è tutt’ora attiva, in
maggioranza nella zona rurale. Le attività produttive di sole donne sono le più
numerose, ma sul totale generale gli uomini sono in maggioranza, e questo rispetta il
dato nazionale. Il fatturato medio mensile della maggioranza è di 2500 reais.
Un dato allarmante riguarda il fatto che solo 1800 attività sono organiche e
che le materie prime più utilizzate sono il fertilizzante, le sementi e gli imballaggi.
Questo conferma che un’impresa solidale non è necessariamente legata ad una
concezione sostenibile della produzione, ad una scelta politica, ma più spesso ad una
condizione di sopravvivenza economica delle persone coinvolte. Il 65% delle materie
prime è venduto da un’impresa privata e molto spesso sono le grandi multinazionali
che vendono i pacchetti verdi completi di fertilizzante e sementi progettate per
produrre solo un anno e non essere riprodotte o scambiate. Questi dati10 ricalcano la
difficile e sempre più estesa realtà dell’agrotossico in Brasile, che è il paese
campione in questo tipo di produzione. Il 38% delle attività tuttavia afferma che
l’origine delle materie prime sono gli associati stessi, quindi la forza lavoro è
valorizzata come uno degli aspetti principali.
I locali presso i quali si situa l’attività produttiva possono essere o di proprietà
o ceduti, mentre quasi tutti dichiarano di possedere gli strumenti di lavoro. Quasi il
10 Fonte: Seneas (segreteria nazionale di economia solidale)
69
90%11 dei prodotti è creato per la vendita direttamente al consumatore o a rivenditori.
Il raggio di commercializzazione è molto ristretto perché per molti si conclude nella
comunità, al mercato o al commercio municipale. La forma più estesa di
commercializzazione sono le fiere oppure la consegna a domicilio al consumatore.
Il 62% afferma di non far parte di nessuna rete o articolazione a livello
nazionale. Il 40% invece afferma di partecipare del forum di economia solidale e di
movimenti sociali come i movimenti comunitari, quelli urbani e quelli per la terra.
Una realtà quindi quella della Bahia che è molto complessa, che fa i conti con
un rurale molto esteso e una difficoltà delle politiche pubbliche ad arrivare in tutti i
luoghi. Moltissimi municipi mancano di infrastrutture basiche e la concentrazione
demografica ne aggrava la situazione. La scuola e la salute pubbliche sono carenti in
infrastrutture e finanziamenti e di conseguenza c’è un forte stimolo alla
privatizzazione dei servizi basici. Il divario tra ricchi e poveri è sempre più
accentuato peggiorato dalle scelte economico-politiche prese a livello internazionale.
Tuttavia i lavori comunitari e i lavori di reti potrebbero contribuire, in termini
freiriani, alla presa di coscienza da parte dei territori delle loro qualità. Questo
favorirebbe da un lato meccanismi di sviluppo legati al locale, protagonista del
proprio processo di sviluppo e miglior tecnico per se stesso e dall’altro politiche
pubbliche voltate alle necessità specifiche di ogni territorio. Promuovendo quindi
uno sviluppo minimo del territorio si potrebbero favorire pratiche di organizzazione
cittadine che combattano le povertà locali e costruiscano meccanismi economici,
politici e sociali completamente slegati dall’economia di mercato capitalista.
Migliorare le politiche, il livello di istruzione, la copertura igienico-sanitaria
potrebbe favorire meccanismi liberatori dalla condizione di oppressi nella quale oggi
moltissimi abitanti dello stato della Bahia sono costretti a vivere.
La comunità di Santa Luzia dista 5 km dal centro del municipio di Simões
Filho che si trova a circa 40 km da Salvador. Ospita 100 famiglie e
approssimativamente 500 individui, la maggior parte con un reddito molto basso e
con difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro. La comunità di Matarandiba
11 Idem
70
invece si situa nella meravigliosa isola di Itaparica, nel municipio di Vera Cruz che
ha 40.000 abitanti. Matarandiba è una comunità di pescatori con circa 200 famiglie.
Fonte: Google maps
5.2. Lavorare con le comunità attraverso la metodologia dell’incubatore
I dati di tipo qualitativo qui riportati si avvalgono di alcune interviste fatte al
direttore dell’incubatore, Professor Genauto França Filho, a tre tecnici
dell’incubatore operanti nelle comunità, e ad alcuni abitanti coinvolti nelle attività
sul territorio. Sono stati analizzati inoltre i rapporti dell’incubatore sulle attività. La
ricerca è durata da Aprile ad Agosto 2012.
I progetti nelle comunità coinvolgono gli interventi degli incubatori e dei
programmi di politica pubblica e intercettano sia finanziamenti pubblici che privati.
Figura 3 Mappa della comunità di Matarandiba
Figura 4 Mappa di Simões Filho
71
Come abbiamo visto nel secondo capitolo, gli incubatori sono una realtà molto estesa
nel Brasile. L’incubatore tecnologico di economia solidale (Ites) dell’UFBA
(Universidade Federal Bahia) svolge un lavoro sul territorio da dieci anni con
successi e non, costruendo un’esperienza sul campo che diventa preziosa per tutti gli
incubatori, specialmente per quelli della regione Nord-est.
La metodologia Ites intende il territorio come comunità, nel senso che gli
interventi non sono mai solo iniziative socio-economiche, ma anche socio-culturali,
politiche e ambientali.
<<La costruzione di una dinamica associativa nel locale si rivela di fondamentale importanza nel senso di costruire spazio pubblico>> (Laville; Dacheux, 2003 cit in Filho; Cunha 2009:731)
<<Lo spazio pubblico costruito è di fondamentale importanza per il fatto che le reti sono cucite all’interno di un tessuto di relazioni sociali, economiche, politiche e culturali che sono pre-esistenti>> (Filho; Cunha 2009:731)
Il tecnico Ites che lavora nella comunità di Matarandiba infatti ci dice che:
<<Un’ equipe di tecnici quando arriva su un territorio non può pensare di cambiare tutto e di portare novità. Le persone sono lì da un secolo e tu arrivi e dici che c’è bisogno di cambiare? La cosa principale è tentare di creare modelli a partire dall’esperienza di vita delle persone, dalla loro cultura. Mostrare che è possibile anche in quella realtà creare una cosa nuova basata nelle capacità delle persone. Coinvolgere la comunità, questo è importante!>>
La metodologia Ites infatti lavora principalmente con quattro assi: la
formazione, la ricerca, la pianificazione della rete e l’implementazione.
La formazione è una fase che non ha mai un termine, perché il cambiamento è
visto come un lungo processo di formazione delle capacità degli abitanti della
comunità e degli abitanti che scelgono di essere i tecnici che opereranno nelle
iniziative sul territorio come la banca del popolo, le associazioni culturali e le attività
economiche, e dei tecnici dell’incubatore stesso. La formazione è tanto più
importante perché molto spesso le comunità nelle quali si lavora sono povere, con un
alto tasso di abbandono scolastico o di analfabetismo. Essa quindi è sia tecnica per
quanto riguarda le iniziative di economia solidale, ma anche professionale per
capacitare le persone che decidono di mettere in piedi le attività di cui la rete ha
bisogno e soprattutto è generale, cioè in cittadinanza, associazionismo e economia
solidale. La prima fase quindi di ogni progetto incubato da Ites ha sempre inizio con
una serie di corsi che coinvolgono le associazioni comunitarie. Questo è importante
72
anche per un primo contatto con la realtà, per poter cominciare a sondarne le
caratteristiche e individuare le persone che possono lavorare da più vicino al progetto
sostenendo i tecnici di Ites nel processo di incubazione.
Il secondo asse è quello della ricerca. Se la formazione è completamente
gestita da Ites, la ricerca coinvolge le persone della comunità. Essa di divide in due
parti; la mappa sulla produzione locale, una mappatura socio-economica che mette in
luce cosa le persone consumano, dal cibo, ai vestiti, ai prodotti d’igiene e una mappa
socio-culturale della comunità. La prima parte dura più o meno 6 mesi durante i quali
un gruppo della comunità mappa casa per casa la produzione e il consumo degli
abitanti. Questa fase, ci confessa il tecnico, è la più difficile, perché coinvolge le
relazioni e la vita quotidiana delle persone:
<<Prova a chiedere al tuo vicino quante magliette usa in un mese, o quanti chili di riso consuma, vedi che imbarazzo ti provoca. Entri nella sua intimità senza che te lo chiede>>
Nel caso di Matarandiba è stato un gruppo di dodici giovani che collaborò
alla formazione del questionario, alla sua somministrazione e alla distribuzione.
Questo è anche un modo per rendere cosciente la comunità delle sue capacità e
potenzialità.
La seconda mappa lavora a ricostruire la storia culturale della comunità
evidenziandone valori e tradizioni e cercando anche di individuare i leader
comunitari. Nel caso di Matarandiba è stata fatta un’intervista a dieci donne anziane
della comunità. Si è cercato quindi di raccogliere la tradizione orale della comunità e
di metterla nero su bianco.
I risultati di entrambe le ricerche sono stati presentati alle comunità e le
reazioni degli abitanti sono sempre state di entusiasmo e di sorpresa. Questa è una
fase molto importante nella metodologia perché punta a rafforzare i legami
comunitari intorno all’identità culturale e socio-politica della comunità.
Con le due mappe in mano è possibile passare al terzo asse, cioè al momento
in cui la comunità si organizza intorno a cosa manca sul territorio e a cosa è
necessario migliorare. Si identificano le iniziative che bisogna realizzare e ogni
richiesta diventa un progetto che con l’aiuto di Ites accede ai finanziamenti pubblici
o privati, dipendendo dagli stakeholders coinvolti. Si cerca quindi di riorganizzare
l’economia locale in una forma solidale. Si costruiscono dei piani di sviluppo locale,
73
di sviluppo comunitario (PEDECO) oppure territoriale (PEDETE). La domanda e
l’offerta si ricostruiscono nell’ottica di una rete locale di cui ci parlano Mance (2010)
e França Filho (2009).
La quarta fase è quella della creazione della rete vera e propria così come
pianificata. La metodologia Ites prevede solitamente la creazione di un centro
associativo di economia solidale, che è una struttura punto di congiunzione per
l’info-centro comunitario, l’iniziativa finanziaria, le associazioni presenti sul
territorio e i nuclei produttivi.
È chiaro da subito che le relazioni tra l’incubatore e la comunità non si
costruiscono in maniera gerarchica, di chi sa su chi ha bisogno di essere incubato;
l’esperienza, ci spiega il professore Genauto França Filho, responsabile didattico
dell’incubatore, ci dice che incubare significa costruire insieme al territorio e
l’incubatore si colloca come un’attività paritaria a quelle presenti sul territorio
sebbene col ruolo specifico di accompagnare da un punto di vista tecnico i processi
in una relazione orizzontale. Se la relazione tra l’incubatore e l’attività è di
collaborazione, di costruzione congiunta e collettiva non incontra mai un termine
finale, ma continua sempre, rafforzando l’apprendimento collettivo, della comunità
insieme all’incubatore. In questo senso si può dire che non esiste un vero e proprio
processo di dis-incubazione. Questo concetto è recente nella discussione brasiliana
tra gli incubatori e presuppone una metodologia suddivisa in pre-incubazione,
incubazione e dis-incubazione. L’obiettivo dell’incubatore è fare in modo che queste
attività si rafforzino e l’economia solidale possa espandersi, perciò il legame di
collaborazione incontra sempre nuove sfide. Anche nella storia del mercato
capitalista incontriamo episodi per cui sono state create istituzioni di appoggio per la
sua esistenza. Per esempio in Brasile il Sebrae (Agência de Apoio ao Empreendedor
e Pequeno Empresário) offre una serie di aiuti affinché queste attività possano
continuare ad esistere e possono essere longeve. In questo senso il sostegno
dell’incubatore alle attività solidali trova spazio come motore per l’espansione delle
reti di collaborazione solidale.
74
5.3. L’esperienza dell’incubatore a Matarandiba e Santa Luzia
A Matarandiba ci sono attualmente cinque progetti finanziati da enti
differenti, con la partecipazione anche di un’impresa privata, la multinazionale Dow
Chemical, che ha un’installazione di salgemma nel comune di Matarandiba dalla
quale estrae sale minerale che poi lavora industrialmente. Nel 2006 la comunità con
la prefettura e Dow chiesero l’intervento dell’incubatore per iniziare un processo di
incubazione con l’intenzione di sviluppare il territorio in modo da garantire una
qualità di vita migliore. Fu creato il programma “Ecosmar”. Nacque la banca che
finanziò la nascita di un piccolo supermercato, un ristorante e la gestione dei
trasporti.
Oggi la rete locale a Matarandiba è articolata in due associazioni territoriali,
un forum di sviluppo della comunità, un infocentro, una radio comunitaria, la banca
del popolo, un sistema di trasporti, un mercato, una panetteria e il gruppo di estrattori
di ostriche.
Fonte: Projeto Ecosmar economia solidária e sustentável de matarandiba – ITES/UFBA gennaio
2011
Il forum di sviluppo della comunità è il centro delle attività; organizza sempre
incontri di formazione (ex. sulla salute) in forma didattica. La Asomat lavora più che
altro con eventi che riscattino antiche manifestazioni popolari e finanzia anche
progetti di educazione come quello dell’educazione giovani e adulti, un progetto a
livello federale. Poi c’è l’info-centro, il gruppo di produzione agro-ecologica di
75
alimenti che, legato al programma di alimentazione scolare, collabora
all’approvvigionamento delle mense nelle scuole. Il gruppo di cultura dell’ostrica è
composto da tredici famiglie che si sono organizzate in rete per commercializzare il
prodotto insieme ad altre dodici comunità di ostro-cultura della Bahia. Lo sbocco
principale tuttavia è il mercato, perché la comunità non è abituata a consumare
questo prodotto. La banca del popolo “Ilhamar” è una dei nodi più attivi; esso
utilizza moneta sociale e procede al finanziamento con microcredito alle persone
della comunità sia per consumo che per iniziative produttive. I dati riportano che già
in aprile 2008 il 100% delle famiglie avevano chiesto e ottenuto il credito al
consumo e che la circolazione della moneta locale, “Concha”, ha arricchito il
mercato locale e velocizzato gli scambi.
Seguendo l’iter metodologico il lavoro dell’incubatore fu quello innanzitutto
di proporre sul territorio dei momenti di formazione. In un secondo momento ci fu
l’implementazione della ricerca socio-economica e quella storico-culturale.
La ricerca socio-economica a Matarandiba è stata condotta grazie all’aiuto di
quindici giovani della comunità che mapparono le abitudini di consumo di tutti gli
abitanti. I risultati furono che il 14% delle persone ha solo il II grado scolare, che il
70% lavora con pesca e molluschi, il 50% della comunità12 riceva la borsa famiglia
dal governo. Il quadro generale della comunità è quindi molto utile, ma è comunque
importante al fine di strutturare domanda e offerta in modo che le zone povere non
siano sfruttate dalle multinazionali, ma prendano coscienza delle proprie possibilità.
Ad esempio ci si rese conto che tutto il salario era diretto verso il centro politico di
Mare Grande, centro del municipio. Una delle spese maggiori era quella di pane,
quindi si decise di finanziare una panetteria nella comunità; allo stesso modo si
finanziarono un mercatino e una rosticceria. È importante sottolineare che questi
finanziamenti furono fatti con moneta sociale della banca del popolo, che mise così
in moto uno sviluppo locale.
La ricerca storico-culturale fu fatta intervistando dieci donne anziane. I
risultati furono molto positivi; Matarandiba infatti dal punto di vista antropologico è
molto interessante perché è un concentrato di tradizioni popolari baiane, come quella
12 Dalla relazione del gennaio 2011 sul progetto di Matarandiba
76
dello Zé du Vale che è una tradizione teatrale antichissima che si tramanda come
tradizione orale e che è conservata in pochissime comunità13.
Il materiale di entrambe le ricerche fu pubblicato e distribuito nella comunità.
Questo contribuì a formare una comunità i cui lacci relazionali ad oggi sono ancora
molto forti e più è forte la comunità più si possono chiedere interventi di politiche
pubbliche perché è in grado di organizzarsi intorno a progetti definiti.
A Santa Luzia l’iter fu lo stesso; 12 giovani aiutarono l’equipe dell’incubatore
nella mappatura del territorio. In questa comunità dall’inizio le cose furono più
complicate perché, come scrive il professor Genauto (2009), i rappresentanti
comunitari sono da sempre stati molto forti e chiusi in sé stessi, non favorendo quindi
l’apertura della comunità a nuovi progetti; la bassa scolarizzazione di gran parte della
popolazione poi ha reso il processo molto lento e difficile.
Sul territorio esisteva già un’associazione ma col progetto ne nacque un’altra,
il centro di sviluppo, che aveva il ruolo di essere il centro che riuniva le altre
associazioni che già c’erano, le iniziative economiche, la banca del popolo e il
mercato.
5.4. Rapporti tra le comunità e le imprese private finanziatrici
I progetti in comunità oltre ai finanziamenti pubblici fanno riferimento ad
investimenti di imprese private. La contraddizione più grande riscontrata è quella
della presenza di alcune multinazionali, come la Dow nel progetto Matarandiba, che
colgono queste occasioni per espletare la loro responsabilità sociale.
Il progetto di Matarandiba nacque dalla richiesta della Dow Chemical,
multinazionale del settore agro-chimico e dei semi che insieme a Monsanto, Novartis
e Dupont controlla il 75% delle vendite degli Stati Uniti del mais, il 60% della soia, e
dei prodotti chimici usati in agricoltura. Insieme alla comunità nel 2008 chiese
consulenza tecnica all’incubatore. La Dow ha un’area di estrazione di salgemma
nella comunità ed è proprietaria di una grande parte del territorio.
13 Fonte: risultati della mappatura socio-culturale eseguita attraverso le interviste
77
Figura 5 Estrazione di salgemma della Dow a Matarandiba. Fonte: archivio foto Dow
I tecnici Dow
contribuiscono al progetto
definendo questo
un’espletazione della
responsabilità sociale
dell’impresa, o di
“successo comunitario”
come loro stessi lo
definiscono, definendo
questo progetto come finanziamento di azioni sociali. È chiaro che l’intervento della
Dow ricade nella sfera della beneficienza e non presuppone una relazione orizzontale
di lavoro con la comunità. A nostro avviso quest’azione della Dow presuppone una
volontà di controllo sociale sulla comunità che si sente debitrice nei suoi confronti
per le erogazioni elargite. Viene de-costruita la possibilità di resistenza contro il
colosso multinazionale. La contropartita delle donazioni Dow potrebbe essere
proprio il benestare della comunità per lo sfruttamento del territorio. Gli abitanti
infatti ormai non sanno più dove costruire perché tutti i terreni sono stati comprati
dalla Dow e per ogni nuova costruzione devono chiederle la concessione. Un modo
quindi di privatizzare il territorio che è tipico delle imprese private e che contrasta
con gli interessi della comunità. Questo ci dice che non è possibile per una comunità
riuscire a mediare gli interessi di un’impresa che non ha interessi nello sviluppo di un
territorio, ma che ha ogni azione voltata al profitto. Questo non significa che l’indole
della Dow è particolarmente cattiva, ma solamente che l’obiettivo di un’impresa è
incrementare ad ogni investimento il profitto senza avere nessun legame col
territorio. Cosa che non succede con la comunità che è protagonista di una serie di
processi e che ha come obiettivo quello di uno sviluppo socio-economico equilibrato
del territorio e dell’ambiente.
Dalle esperienze dei progetti i tecnici dell’incubatore ci tengono a sottolineare
che emerge il fatto che le imprese private hanno una caratteristica importante che è
78
quella di poter rinnovare con facilità i finanziamenti ai progetti avendo una maggiore
disponibilità finanziaria. Ad esempio se il progetto sta terminando con l’impresa
privata si ha la possibilità di rinnovarlo in due mesi, mentre con il partenariato
pubblico passa molto tempo dall’approvazione del progetto alla consegna dei soldi.
Questo tempo molte volte disarticola le comunità che sono deboli e non riescono a
funzionare senza finanziamenti.
Più o meno tutte le interviste in merito in difesa ci dicono che questa
collaborazione non è un’azione top-down, non è una prestazione di servizi alla Dow,
ma è un progetto costruito a partire da una necessità e dibattuto dalla comunità e
portato avanti insieme al supporto tecnico e metodologico dell’incubatore. Il progetto
ad oggi è riuscito a mobilizzare nuove risorse pubbliche per garantire continuità del
progetto e non si basa solo sui finanziamenti della Dow. Inoltre per l’incubatore non
c’è nessun tipo di incongruenza nelle azioni perché la Dow non interferisce nella
pratica negando i finanziamenti. Benché i tecnici dell’incubatore non riferiscono
azioni di ostacolo o mobbing da parte della Dow a nostro avviso questo crea una
forte dipendenza della comunità e rallenta il processo di sostenibilità economica della
comunità. Questa relazione infine può ostacolare la crescita della comunità in rete
con altre in modo da creare una rete con una forza tale da imporre proposte di
sviluppo forti, partecipative e coerenti alle istituzioni.
Queste risposte comunque non risolvono il punto secondo cui la comunità non ha
possibilità di intaccare e di indagare sulle pratiche della Dow. La sfida è riuscire,
quando si è creata una rete abbastanza forte, a determinare uno sviluppo autonomo
sganciato da finanziamenti privati come quelli della Dow che sono a nostro avviso
fortemente pregiudicanti per un sano sviluppo della comunità.
Il caso di Santa Luzia è molto simile a quello di Matarandiba. Il progetto
iniziale di Santa Luzia nacque con l’appoggio della Petrobras (multinazionale
petrolifera brasiliana), del governo della Bahia e dell’associazione comunitaria
presente sul territorio. L’origine del progetto fu quando le tubazioni della Petrobras,
che passano di basso della comunità e di tutta la regione, ebbero una fuoriuscita. Essa
si denunciò al ministero pubblico che decise una compensazione al danno nella
79
costruzione di 23 abitazioni per il valore di 300 mila reais. La valutazione mise in
risalto che questo non sarebbe stato necessario e che sarebbe stata migliore un’azione
che riguardasse la generazione di lavoro e reddito. Si coinvolse quindi l’incubatore
che svolse durante tutto un anno delle riunioni insieme ai rappresentanti della
comunità e con cui si iniziò il procedimento di incubazione del territorio del progetto
“Eco-Luzia”.
Il progetto durò quattro anni, dal 2005 al 2009. Nel 2009 la Petrobras uscì dal
progetto per i molti conflitti sorti nella comunità che non garantivano la continuità
del progetto e per gli attriti con la comunità che pretendeva che Petrobras fosse
disponibile a finanziare tutto nella comunità. Il gruppo tecnico dell’incubatore non
era ancora radicato nel territorio e il gruppo giovani di Santa Luzia non abbastanza
forte per auto-sostenersi. Benché la banca del popolo14 non smise mai l’attività passò
per momenti di grave difficoltà perché le persone non si sentirono più obbligate a
ripagare i debiti contratti pensando che senza i finanziamenti della Petrobras la banca
non potesse più funzionare e in questo modo la fiducia nell’istituzione andò
scomparendo. Le persone smisero di pagare perché non avevano abbastanza chiaro il
concetto del ritorno, del fatto che ripagare un debito fosse la condizione principale
perché se ne potesse concedere un altro ad altre attività.
Il mercatino comunitario anche con difficoltà continuò a funzionare, ma il
progetto in generale e i rappresentanti comunitari cominciarono ad indebolirsi.
Due anni fa sono ricominciati i lavori con la partecipazione ad alcuni progetti
pubblici statali e federali e si cercò di appoggiare progetti specifici come l’aiuto alla
gestione del mercatino, l’acquisto di strutture, il sostegno alla banca. Solo oggi, dopo
due anni di lavoro, l’equipe dell’incubatore ha come prospettiva quella di ritornare a
costruire una rete locale partendo dal mercatino e dalla banca che hanno iniziato a
funzionare relativamente bene.
In questa seconda fase non sono coinvolte imprese private, ma solo
finanziamenti pubblici come il “Nord-este banca del popolo”15 che in generale
sostiene la nascita di nuove banche del popolo e il loro mantenimento come ad
esempio finanziamenti per retribuire i tecnici che vi lavorano. Ci sono inoltre alcuni
14 istituzione finanziaria di microcredito che corrisponde denaro a gruppi solidali o persone della comunità. 15 Programma federale di sostegno alle banche comunitarie della regione nord-est
80
progetti federali di appoggio alla associazione comunitaria, all’orto comunitario e per
l’acquisto di attrezzatura telematica per l’Info-centro. Ad oggi l’orto è già attivo da 4
mesi e l’info-centro da due, quindi si ha di nuovo una prospettiva di rete in quanto
sono già attive sei organizzazioni; due associazioni, il mercato, la banca, l’orto e
l’info-centro.
È chiaro anche qui che l’intento della Petrobras non è quello di stimolare lo
sviluppo di un’economia alternativa, benché le sue risorse potrebbero aiutare in
questa direzione stimolando la nascita di nuove esperienze. Il rischio è sempre che le
esperienze crescano deboli e dipendenti da questi finanziamenti. Nella seconda parte
del progetto quando la Petrobras decise di non partecipare più al progetto la comunità
ebbe dei problemi nel trovare velocemente dei finanziamenti, tuttavia a due anni
dall’inizio della seconda fase le attività stanno riprendendo con un grande
coinvolgimento del consiglio comunitario, con base forte nella banca del popolo e
nelle iniziative di agroecologia. Benché ancora il processo sia debole ha prospettiva
di sostenibilità poggiandosi solo su finanziamenti pubblici e sul reddito creato dalle
attività sul territorio.
5.5. Il problema della sostenibilità
La sostenibilità dei progetti comunitari è una sfida importante. Discutendo
con i tecnici e con il Professore Genauto è risultato chiaro che, benché la prospettiva
sia quella del sostentamento, in nessun progetto è stato possibile fare questo
dall’inizio. A loro parere per gli investimenti iniziali è sempre necessario un sostegno
economico forte che sostenga la formazione delle associazioni comunitarie e della
banca del popolo. Nessuna delle due banche del popolo infatti si sostenta da sola; le
persone che lavorano e le spese per il materiale sono in tutti e due i casi coperti da
spese pubbliche captate tramite progetti pubblici. La prospettiva quindi del
sostentamento è un orizzonte a cui mirare, ma non è considerato vicino e possibile.
Dalla mappa socio-economica di Matarandiba ad esempio è uscito fuori che
tutto il salario veniva speso fuori dalla comunità anche per i beni necessari. In una
concezione di rete c’è bisogno che le cellule di produzione e consumo si organizzino
in modo che le risorse della comunità non vadano fuori, ma rimangano sul territorio.
81
Per questo si ritiene importante investire in produzione e consumo tramite la banca
del popolo. Tuttavia questo lavoro che punta alla sostenibilità della comunità non è
un lavoro a breve termine;
<<C’è bisogno di molto tempo affinché la comunità abbia un livello di sostenibilità alta e riesca a produrre beni alimentari, igienici, e tutto quello di cui ha bisogno. Inoltre i finanziamenti sono importanti perché senza non è possibile pensare di organizzare e produrre eventi o attività socioculturali. Ad esempio un cinema di quartiere si potrebbe costruire con autofinanziamento ma la maggiore difficoltà è che tutte le comunità in cui si lavora hanno un reddito basso ed esigere da loro il denaro non è pensabile, soprattutto perché la comunità non nasce già con una coscienza forte e strutturata tale da vedere questo come futuro perché i risultato non sono di breve termine. I livelli di scolarizzazione e di esclusione delle comunità in cui si lavora quindi rimangono sempre un ostacolo molto grande da saltare>> (dall’intervista del tecnico dell’incubatore per Santa Luzia)
Quindi la sostenibilità economica di una comunità non passa solo per la
ristrutturazione della rete di produzione e consumo, ma anche e soprattutto per il
sostegno dei finanziamenti che si riescono ad ottenere. Soprattutto perché le
iniziative si caratterizzano per natura diversa e non sono solo iniziative produttive,
ma anche associative e culturali e mentre alcune, quelle più produttive, possono
partecipare di una logica di autofinanziamento, altre partecipano invece di una logica
di sovvenzione per la loro realizzazione. Quelle che sono produttive naturalmente
richiedono un periodo di maturazione.
Alla domanda del perché c’era bisogno di finanziamenti nella comunità,
Simoni, abitante di Santa Luzia e Marzia di Matarandiba, entrambe tecniche della
banca del popolo, ci rispondono:
<<Forse oggi non possiamo contare molte iniziative, sia nello stato che nel mercato, che non abbiano un sostegno importante di risorse pubbliche per il loro sviluppo. Per questo non è possibile analizzare un’attività di economia solidale solo per la logica di autofinanziamento. Anzi io dico che moltissime imprese sono state aiutate dallo stato non capisco perché ci si debba sorprendere se anche le nostre lo sono>>
<<Matarandiba è un esempio di come ci sono diverse forme di sostenibilità di un territorio, dalle iniziative culturali che dipendono da sovvenzioni pubbliche e private a quelle prettamente economiche che prevedono anche solo il microcredito della banca. A Matarandiba abbiamo esempio di un’attività culturale che riceve risorse specialmente pubbliche, nello specifico sono circa 120 donne della comunità che realizzano un lavoro di riscatto e preservazione del patrimonio materiale e che partecipano di diversi progetti pubblici per sostenere le loro azioni, cioè per finanziare gli investimenti che sono piccoli ma necessari per la realizzazione di un calendario annuale di azioni culturali e manutenzione di queste attività nella comunità, ad esempio per pagare la struttura del suono per un evento di
82
Samba de Roda, oppure per pagare le stesse donne della nostra comunità che hanno cucito i vestiti. Le attività hanno un’importanza simbolica di riaffermazione culturale e di valorizzazione dell’identità di queste popolazioni e dall’altro lato hanno un’importanza educazionale, perché si valorizza una cultura che non è legata solo alla violenza e alla povertà, ma alla comunità stessa>> (dall’intervista di Mariza, abitante e donna di Asomat)
La sostenibilità economica quindi passa anche per la circolazione di risorse
economiche all’interno della comunità, ma questo non prevede che sia tutto
sostenibile perché una sola comunità non ha la forza per creare questo. Si potrebbero
favorire reti tra diverse comunità in modo da poter condividere spese, eventi, lavoro.
Essendo queste esperienze in formazione non è possibile prevederne l’esito, ma
potrebbe essere un utile esperimento.
La banca del popolo poi è un caso emblematico di questa contraddizione
perché è un’attività che all’inizio ebbe bisogno di risorse finanziare e che oggi
continua ad averne bisogno per la retribuzione delle persone che vi lavorano, ma che
allo stesso tempo è riuscito a realizzare azioni di microcredito per il 100% delle
persone della comunità. Nella logica del mercato queste persone non avrebbero mai
avuto accesso a questo servizio anche solo per il consumo, o investimenti in piccoli
affari o per ristrutturare piccole attività.
Le attività, come quelle della produzione di ostrica, dimostrano un potenziale
di attività della comunità, nel breve e lungo periodo, capace di incidere sul territorio.
Per un altro lato però queste attività hanno bisogno di un sopporto tecnico e della
remunerazione dei tecnici che formano e accompagnano le attività. La realizzazione
di un lavoro autogestito quindi che genera lavoro e reddito per le persone coinvolte e
che migliora la qualità di vita della comunità solo nel lungo periodo può essere
sostenibile economicamente. Secondo la metodologia dell’incubatore quindi non si
può monitorare e verificare un progetto comunitario solo dal punto di vista
dell’autogestione e della sostenibilità economica soprattutto perché le persone
coinvolte hanno maturato un deficit storico di educazione e di esclusione sociale, o
che in realtà non furono mai incluse, e che vivono da generazioni questa condizione
di carenza. Le iniziative solidali vogliono rompere questo circolo di povertà
organizzando attività economiche sostenibili e coerenti col territorio.
83
Queste due comunità, entrambe molto povere, lottano quotidianamente per
soddisfare i bisogni basici, ma anche quelli strutturali come un sistema di trasporti,
cultura, sport.
Entrambe stanno creando attività che possono generare reddito per gli abitanti
del territorio. A Santa Luzia ad esempio i prodotti dell’orto saranno comprati dal
programma nazionale per l’alimentazione scolare, quindi in un certo senso la
sostenibilità sarà già assicurata e produrrà beneficio per le scuole della rete pubblica
e per le persone della comunità che riceveranno il salario.
Il caso dei gruppi di ostro-cultura di Matarandiba invece è diverso perché la
vendita è direzionata per il commercio sul mercato. Questo racchiude il circolo
solidale all’interno delle comunità e non permette di incidere sui meccanismi di
spesa di mercato, di scardinare dinamiche economiche alienanti. Un’iniziativa
solidale dovrebbe creare nuovi circoli di sviluppo e non rimanere all’interno dei
limiti del mercato e in questo modo creare reti di economia alternativa. Tuttavia la
condizione estremamente povera delle comunità spinge i partecipanti a mirare
soprattutto alla sostenibilità economica.
Come abbiamo visto in una rete di economia solidale non c’è solo un circuito
locale, ma c’è anche l’accesso al mercato e alle risorse pubbliche, un’ibridazione di
forme differenti. Oltre al mercato l’articolazione delle esperienze con il potere
pubblico è essenziale per la sostenibilità delle esperienze. Con i progetti si
mobilizzano risorse per la comunità, ma se queste per qualsiasi motivo non possono
più essere erogate che fine fanno i progetti? Ci ritroviamo di fronte lo stesso rischio
che si corre con i finanziamenti privati. La sfida sarebbe proprio quella di favorire
processi di autorganizzazione.
A nostro avviso una delle fragilità nel processo di autorganizzazione
comunitaria, associativa, e cooperativa, è di non riuscire a costruire un processo di
reale appropriazione di conoscenza delle cose da parte della comunità. Nella misura
in cui le persone favoriscono processi di autorganizzazione ed autogestione non è
facile che realmente conseguono emanciparsi assumendo la capacità di realizzare le
cose; è importante stimolare questo perché anche se la comunità non riesce a
mobilizzare risorse da una fonte può cercarne altre e non solo monetarie ma anche
politiche o associative e finanziarie, essenziali in un’attività economica. Il rischio più
84
grande è quello di non riuscire a mobilizzare queste risorse quindi la cosa più
importante da stimolare in una comunità è la capacità di mobilizzare risorse umane.
Questa appropriazione è quella che maggiormente viene stimolata con la
metodologia dell’incubatore, che stimola la capacità delle persone nel costruire reti
locali; dal punto di vista pragmatico significa fomentare reti locali di economia
solidale quando in uno stesso territorio e nella stessa comunità si stimola
l’organizzazione di attività produttive ambientali, associative e culturali, pensando
allo sviluppo locale di forma più integrale. Quindi ci sono organizzazioni diverse a
partire da uno stesso territorio e queste sorgono a partire da un dibattito pubblico
locale che identifica i problemi locali tramite la mappatura e le iniziative che sono
necessarie a risolverli e che possono essere realizzate a partire di un processo di
autorganizzazione.
Questo processo di autonomia della comunità potrebbe essere messo a rischio
anche quando l’incubatore non entra in un processo di dis-incubazione con la
comunità perché non stimola la rete comunitaria a camminare da sola nella
produzione di sviluppo locale. Tuttavia la collaborazione tecnica dell’incubatore non
interferisce con le dinamiche di sviluppo della comunità, semmai le rafforza e dopo
un primo momento di lavoro più intenso, favorisce l’incubazione di altre attività.
È successo tuttavia che se l’incubatore non procede alla dis-incubazione
potrebbe non avere risorse per incubare altre attività e rischiare che gli interventi
siano ridotti. Molte volte infatti sia i tecnici che il professore hanno lamentato che
l’incubatore soffre di mancanza di organizzazione e di risorse per poter incubare
ancora altri progetti. Si spera perciò che le figure lavorative in questo campo non
vadano a diminuire, ma che il sostegno finanziario della stato continui a fomentare
questo tipo di attività permettendo di ingrandirne il raggio di azione e di formare
sempre nuovo personale.
Se ne possono trarre alcune conclusioni; benché la relazione con la Dow
renda dipendente la comunità, la velocità dei finanziamenti e l’approvazione dei
progetti fa apparire questa cooperazione come l’unico modo per far camminare la
comunità. In una comunità dove la disoccupazione e l’analfabetismo sono molto alti,
il denaro elargito dalla Dow crea enormi aspettative a cui è difficile rinunciare per
implementare progetti realizzati solo con progetti pubblici o con fondi creati da
85
attività sul territorio, che richiedono maggiore tempo. La condizione economica
precaria delle persone coinvolte spinge all’urgenza della realizzazione dei progetti e
impedisce di pensare ad un processo a lungo termine.
A Santa Luzia, nella quale c’è stato un rapporto diverso con l’ente privato, la
comunità sta facendo più difficoltà a ripartire e tuttavia sta creando rete con altri
territori per quanto riguarda la commercializzazione ad esempio dei prodotti organici
all’interno del progetto pubblico di sostegno dell’agricoltura familiare.
Un’altra questione molto importante è che benché sia positivo il fatto che le
comunità non abbiano solo finanziamenti privati ma anche pubblici, come abbiamo
visto i progetti della comunità risultano comunque in un rapporto di dipendenza dai
finanziamenti. In questo senso le comunità sono indebolite e i progetti sono sempre
in una condizione precaria di sperare che ogni anno si riconfermi il finanziamento del
progetto. Inoltre la comunità non si sente obbligatoriamente coinvolta nel progetto
perché rimanda tutto ai finanziamenti dell’istituzione esterna come è stato nel caso
della Petrobras a Santa Luzia.
C’è bisogno quindi che le comunità insieme all’incubatore elaborino
metodologie per garantire e rafforzare la sostenibilità economica delle esperienze del
territorio per evitare che, come accadde nella prima parte del progetto di Santa Luzia,
ci sia un arresto di tutte le attività.
5.6. Prospettive delle esperienze
Le esperienze di economia solidale creando sviluppo nelle zone rurali creano
anche una motivazione per rimanere. A lungo termine questo potrebbe causare una
diminuzione della concentrazione demografica delle periferie delle grandi città
favorendo possibilità di sviluppo anche per giovani nell’entroterra. Le esperienze
nella Bahia ad esempio sono presenti in numero maggiore nell’entroterra perché
benché l’economia solidale può funzionare in qualsiasi luogo, nei centri urbani le
relazioni interpersonali sono più difficili da creare. Nelle piccole comunità c’è una
realtà locale che facilita relazioni di solidarietà, fiducia e prossimità, o comunque di
controllo reciproco. Inoltre le comunità dell’entroterra hanno un potenziale di
produzione alimentare molto grande che è un elemento fondamentale nella
sostenibilità del territorio perché non si può discutere di sviluppo locale senza
86
discutere di alimentazione. Ad esempio dalla mappatura di Matarandiba il 50% del
reddito era per alimentazione. Per essere sostenibile quindi bisogna produrre alimenti
e nei centri urbani questa condizione è molto più difficile perché non c’è lo spazio
necessario per produrre alimenti per tutte le persone presenti nel centro urbano o
peggio negli agglomerati urbani delle periferie. La relazione col territorio è molto
differente.
Un rischio ulteriore dei progetti comunitari è che si possano creare delle
comunità della felicità chiuse in sé stesse che hanno poco o nessun impatto
sull’ambiente esterno. La rete di ostro-coltura lavora per commercializzare, quindi
competere, sul mercato. Non c’è intenzione di creare un mercato intercomunitario.
Questo chiude le esperienze in loro stesse e non permette la creazione di lacci
economici solidali che possano promuovere il cambiamento di paradigma a lungo
termine.
Nella prospettiva di economia plurale, in auge nei filoni teorici che
appoggiano i progetti comunitari, si assume che ciò che si valorizza nella costruzione
di una rete locale di economia solidale (França Filho 2009) è la possibilità che in
quelle esperienze partecipino relazioni economiche di differente tipo e non solo
legate alla reciprocità delle persone locali, volte a risolvere problemi locali, ma anche
iniziative che dialogano col mercato; l’economia quindi si compone di azioni di
reciprocità, ma anche di mercato. La differenza è che queste esperienze non
commercializzano sul mercato per riprodurre un capitale investito, ma lo fanno con
scopo la riproduzione della vita di quelle persone, di manutenzione della famiglia.
Entrare nel mercato non significa entrare nel mercato capitalista, ma
nell’organizzazione dello scambio mercantile. Queste esperienze non hanno
intenzione di contabilizzare un capitale investito basato su una relazione di
sfruttamento capitale-lavoro, ma sono realizzate in una relazione orizzontale di
ripartizione del valore prodotto tra le persone coinvolte, pensando ad una
riproduzione delle persone della famiglia e della comunità coinvolte.
In ogni caso la costruzione di isole non è considerata sostenibile anche perché
un territorio non ha la capacità di produrre tutto quello di cui ha bisogno; ha bisogno
di scambiare beni, valori, prodotti, servizi, cultura, conoscenza con altre persone e
territori per poter svilupparsi. Quindi l’economia solidale, come espressione più
87
grande di economia plurale, è un’ibridazione di differenti comportamenti economici
in un’esperienza di sviluppo di un territorio, di un quartiere, di un municipio.
88
Sesto Capitolo
ECONOMIA SOLIDALE NELLA BAHIA
IL CASO DELLA REDEMOINHO
6.1. Introduzione
Tratteremo qui si seguito l’esperienza della RedeMoinho, una cooperativa che fa
parte della sistema del commercio equo e solidale della Bahia. Essa si struttura a
livello nazionale nella rete del commercio equo e solidale, una piattaforma di
sostegno alla commercializzazione dei prodotti degli agricoltori familiari.
Questo secondo caso studio si avvale di un’esperienza diretta come consumatrice
della rete. Essa rappresenta un esempio di esperienza solidale che si struttura in rete
sul territorio e che ha come obiettivo quello di promuovere una forma nuova di
produzione e consumo con referenza i valori democratici, partecipativi e sostenibili
del commercio equo e solidale. All’interno del discorso più generale la RedeMoinho
rappresenta un esempio di una pratica in potenza post-capitalista, che lavora per
creare un nuovo ordine economico.
Discutendo con i soci della cooperativa è emersa la necessità di indagare le
cause della difficoltà della rete ad espandersi ulteriormente e di alcuni soci che si
erano allontanati. Per evidenziare e mettere in risalto le criticità dell’esperienza della
RedeMoinho, come strumento di analisi è stato somministrato un questionario ai suoi
consumatori, in collaborazione con i soci della cooperativa, da cui sono stati rilevati i
dati trattati in questo paragrafo.
6.2. Le misure istituzionali per la sicurezza alimentare
La Bahia è il primo stato in quanto a numero di agricoltori familiari e sono
principalmente due i programmi che finanziano progetti in questa direzione; il PAA
(Programma di Acquisizione Alimenti) che è finanziato dal MDS (Ministero dello
Sviluppo Sociale e Lotta alla Fame), MDA (Ministero dello Sviluppo Rurale) e dal
Mapa (ministero dell’agricoltura, bestiame e approvvigionamento) e il PNAE
89
(programma nazionale di alimentazione scolare) finanziato dal fondo nazionale per
lo sviluppo dell’educazione (FNDE/MEC).
L’agricoltore familiare o l’imprenditore familiare rurale è, secondo la legge
n°11.326/2006, un produttore che lavora nel rurale e che possiede un’area minore di
quattro moduli fiscali, una misura agraria brasiliana che corrisponde ad un’area
minima necessaria ad una proprietà rurale affinché sia sostenibile e che varia a
seconda del municipio da 5 a 110 ettari. Inoltre la mano d’opera deve provenire dalla
famiglia e il reddito ricevuto interamente speso per l’autoconsumo. In questa
categoria rientrano anche i selvicoltori, acquacoltori, estrattori, pescatori, indigeni e
Quilombi. L’agricoltore familiare può essere inserito nei programmi federali sopra
citati se è identificato per la DAP (dichiarazione di idoneità).
I principi che guidano il programma di alimentazione scolare riguardano
l’offerta di un’alimentazione sana e adeguata, come è stabilito dalla risoluzione del
consiglio deliberativo del fondo nazionale (FNDE), n°38 del 16/07/2009. Questo
programma è uno dei più antichi programmi sociali, infatti risale alla politica di
sicurezza alimentare e nutrizionale di 50 anni fa. L’obiettivo del programma è
contribuire alla costruzione di una sicurezza alimentare e nutrizionale delle scuole
della rete pubblica, promuovendo nelle scuole l’adozione di pratiche alimentari sane.
Ad oggi sono attesi quasi cinquanta milioni di studenti di 190 mila scuole pubbliche
di tutto il paese. La legge n°11.947/2009 stabilisce che minimo il 30% delle risorse
finanziarie dal fondo nazionale per l’alimentazione scolare devono essere utilizzate
dalle scuole per l’acquisto di generi alimentari direttamente da produttori censiti
come agricoltori familiare o imprenditori familiari rurali. Questo diminuisce il
rischio di aumento illecito di prezzo dovuto a passaggi intermediari, favorisce
meccanismi di riforma agraria, valorizza il ruolo delle comunità tradizionali indigene
e quelle Quilombola e promuove stili di vita sani nelle scuole. Dall’altra parte questo
programma spinge affinché gli agricoltori escano dalla condizione di informalità e
siano censiti. Rappresenta un’alternativa per questi produttori nella lotta contro la
povertà rurale, per la sicurezza e la sovranità alimentare e nella generazione di
reddito in un modello di sviluppo che è sostenibile.
Un altro programma importante che sostiene l’agricoltura familiare è il
programma di acquisizione di alimenti (PAA) implementato dal governo federale
90
Lula, nelle politiche federali dell’intervento “Fame Zero”. Questo programma fa si
che il governo compri i prodotti da distribuire alle persone non abbienti dagli
agricoltori familiari, con dispensa di licitazione. L’agricoltore familiare ha in questo
senso la sicurezza che il governo comprerà la sua produzione ed è stimolato a
conformarsi a pratiche di agricoltura strutturate e non solo per l’autoconsumo.
Secondo inoltre dati del ministero, gli alimenti consumati dai brasiliani
quotidianamente provengono per il 70% da agricoltura familiare. Benché questo non
significhi che il prodotto è organico questo programma ha riscosso molto successo
per il ruolo importante che ha rivestito nella valorizzazione di questi produttori.
6.3. L’esperienza della RedeMoinho
La RedeMoinho è una cooperativa della piattaforma del commercio equo e
solidale brasiliano. I suoi obiettivi sono quelli di favorire l’incontro tra produttori e
consumatori, di avvantaggiare la commercializzazione dei produttori solidali che
altrimenti avrebbero poco spazio sul mercato e di garantire e diffondere uno stile di
consumo sostenibile, solidale ed equo. Le sue relazioni quindi sono principalmente
con le reti di agricoltori familiari dello stato della Bahia a lei associati, i consumatori
e alcuni supermercati della città di Salvador.
Essa è una rete che unisce consumatori e produttori della Bahia. È l’unica rete in
questo senso della regione Nord-est, oltre a quelle del Ciarà. Unisce 15 produttori a
una cerchia di 80 consumatori, di cui 25 associati fissi. Questa rete propone una via
di sviluppo locale e un modo per garantire la sostenibilità economica agli agricoltori
familiari dello Stato della Bahia.
La storia della RedeMoinho nasce nel gennaio del 2008 quando i partecipanti del
BanSol (Associazione di Finanza Solidale) un’entità studentesca dell’UFBA
(Università Federale della Bahia), insieme a Colivre, un’organizzazione autogestita
che si occupa di diffondere le idee del software libero, decisero insieme di fornire
sostegno tecnologico a diversi settori della società. Già dal 2007 Colivre prestava
assistenza tecnica ai computer della BanSol e da questa relazione nacque l’idea di un
gruppo di consumatori.
All’inizio era una cooperativa che vedeva principalmente i membri della
BanSol come fondatori. Il desiderio che guidava questo gruppo era quello di
91
praticare il consumo responsabile senza dover per forza pagare un prezzo esagerato
come nei luoghi adibiti a questo a Salvador. L’idea nacque anche a partire dalla
coscienza del forte carattere produttivo dell’entroterra baiano.
All’inizio la lista contatti consisteva nella lista di amici dei fondatori, ma con
la partecipazione alle fiere aderirono sempre nuove persone. La rete cominciò ad
organizzare delle fiere che all’inizio erano mensili e che cominciarono presto ad
essere settimanali. Questa cooperativa di consumo diventò la ReteMoinho nel 2008,
una cooperativa di servizio nell’area del commercio giusto e solidario.
Si decise dall’inizio che si sarebbero comprati i prodotti dall’agricoltura
familiare, agro-ecologici e fatti da attività solidali. L’azione quindi si divise in due
assi: il primo che riguardava la ricerca di prodotti coltivati con criteri di commercio
giusto e l’altro che riguardava la ricerca di prodotti non troppo costosi per i
consumatori.
<<La cooperativa ha come finalità la costituzione, il consolidamento e l’espansione di una rete di collaborazione solidale, mediante la cui prestazione di servizi ai suoi associati, con base nella partecipazione, cooperazione e aiuto mutuo degli stesso, combatte l’instabilità economica e promuove il benestare di tutti>> (Statuto della ReteMoinho)
La rete è composta da consumatori e produttori, da un direttore generale, un
consiglio fiscale e da un organo gestore. L’assemblea generale ha luogo mensilmente
con la presenza degli associati. Ci sono quattro persone inoltre che lavorano
direttamente per la rete e che sono definite come segreteria esecutiva.
Le richieste alla rete si attuano on-line tramite un software specifico. La
compravendita virtuale si attuò a seguito del fatto che le compere nell’anno 2010
erano molto poche e non si conseguiva mandare avanti la cooperativa e soprattutto
perché la vendita dei cestini settimanali non riscosse molto successo visto che le
persone preferivano scegliere i prodotti e le quantità.
Nel 2011 si decise quindi di creare uno scaffale on-line e fu inaugurato il sito
(redemoinho.coop.br) con l’esposizione dei prodotti e la possibilità per i consumatori
di richiederne nella quantità desiderata.
La rete offre frutta e verdura, alcuni processati, alcune bibite e alcuni prodotti
per l’igiene. Tuttavia le richieste dei consumatori sono molto più vaste. Questo
metodo sembra funzionare visto che sempre più persone cominciano ad unirsi alla
rete. La rete inoltre fa parte di alcune reti nazionali come la rete dei collettivi di
92
consumo responsabile, della piattaforma Faces del Brasile e della coordinazione
esecutiva del Forum brasiliano di economia solidaria.
Produttori e consumatori possono associarsi alla rete e anche i produttori
possono essere consumatori. Ogni settimana gli associati ricevono una mail il lunedì
e un’altra il giovedì riguardante la richiesta settimanale. Ogni persona può riempire il
suo cestino online entro il giovedì di ogni settimana e ritirare i prodotti sabato presso
la sede della cooperativa o scegliere di pagare per il servizio a domicilio.
La RedeMoinho contatta quindi i produttori che forniscono i prodotti nelle
quantità richieste, senza problema di scarti.
6.4. I consumatori
Il nove luglio è stato inviato un questionario alla lista dei contatti della rete
per investigare i motivi dell’allontanamento di alcuni soci e sondare le possibilità di
miglioramento del servizio.
Il questionario è stato somministrato a 626 persone tramite mail col software
Mailchimp con termine stabiliti il 20 luglio. Come soggetti sono state scelte le
persone iscritte alla mailing list generale della rete che contiene anche contatti che
sono stati inseriti perché incontrati in eventi e fiere, ma che in realtà non fanno parte
della rete. Venticinque sono i consumatori associati mentre i restanti sono
consumatori o semplici contatti. In questa mailing list non sono presenti gli undici
associati produttori e i supermercati che la RedeMoinho settimanalmente rifornisce.
Essere associato significa che si versa una quota una tantum all’entrata nella rete e
che si può partecipare alle riunioni dell’assemblea generale.
In un secondo momento, giorno 16 luglio, sono state mandate alcune mail
personalizzate alle persone che avevano comprato nei mesi precedenti ma che ora
non compravano da tempo, in totale 15. Questa scelta è stata data dal fatto che la
relazione già esistente non era più forte ed era interesse della rete riqualificarla.
Nelle domande è stato usato la forma del tu con l’intento di parlare al
consumatore di forma diretta rendendolo protagonista da subito dalla costruzione di
una rete più vicina alle sue esigenze, nel senso che ognuno è chiamato a collaborare
per rendere il tutto ancora più efficiente, in una forma di autogestione e
collaborazione.
93
MailChimp dà la possibilità di controllare quante persone aprono le mail,
quanti click effettuano e su quali pagine. Per la nostra ricerca su 626 mail 85 persone
hanno aperto la mail. Diogo, il coordinatore generale della RedeMoinho, ci spiega
che settimanalmente la media è di 60 mails aperte. Una somma contingente di
associati cestina direttamente le mail in quanto sono persone che non hanno
direttamente contatto con la rete, ma che fanno parte esclusivamente della mailing-
list.
Delle 85 persone che hanno aperto la mail hanno risposto 28 persone. Una
percentuale molto bassa se si guarda il totale delle mail inviate, ma che
rappresentano le persone che in
media settimanalmente
effettuano la richiesta online. I
consumatori associati poi sono
25, quindi la quantità di risposte
in relazione a questo dato può
essere considerata rilevante anche perché di queste risposte solo il 29% sono sia
associati che consumatori, il resto sono solo consumatori che comprano i prodotti
della rete almeno una volta al mese. Dal questionario infatti risulta che il 74% ha
comprato nelle ultime tre
settimane.
La maggior parte sono donne, in una fascia di età tra i 26-35 anni e la maggior
parte divide casa con una sola persona. La famiglia tipo è quindi una famiglia
giovane di nucleo ristretto. La quasi totalità, il 93%, possiede almeno una laurea, solo
il 7% degli intervistati possiede solo il diploma. Questo conferma l’alto tasso di
influenza del grado di istruzione quando si parla di attività che riguardano il consumo
responsabile. La quasi totalità poi si dice facente parte di una realtà afferente alla
sfera dell’economia solidale, quindi iniziative economiche solidali, agricoltura
familiare, turismo solidale, cooperativismo, software libero, movimento
1 al mese
18 64%
2 al mese
4 14%
3 al mese
2 7%
Tutte le settimane
3 11%
94
ambientalista e per la terra. Un dato interessante che risalta subito agli occhi è che la
partecipazione a partiti politici o ad associazioni sindacali è bassissima. Questo
sembra confermare che un attivista della rete è tipicamente una persona che è alla
ricerca di nuove forme di partecipazione politica, che trascendano quelle tradizionali
di raggruppamento politico e soprattutto di spazio pubblico.
Una delle caratteristiche principali della RedeMoinho è che è possibile scegliere
la consegna a domicilio che è fatta nella giornata di sabato con un costo aggiuntivo di
nove Reais. In questo modo l’equipe della rete vuole favorire gli acquisti fornendo
un servizio comodo. In questo modo si va incontro a quelle persone che non
comprano solo perché l’acquisto afferisce ad un valore politico, culturale, ma anche
perché è comodo è pratico, cercando di accattivare così il maggior numero di
persone. Tuttavia una delle risposte più usuali fatte dalle persone che non comprano
da almeno tre mesi è che il costo del trasporto è troppo alto e che non favorisce le
compere abituali.
Inoltre questo tipo di relazione on-line non favorisce l’incontro con i produttori, e
l’istaurarsi di reti e relazioni. Il 93% infatti afferma che compra almeno una volta al
mese al mercatino del quartiere, esplicitando così un bisogno grande di relazione col
prodotto e col produttore, oltre al fatto che i prezzi al mercatino sono a volte più
bassi della media. Acquistare al mercatino non significa sempre acquistare dal
produttore direttamente, ma tra le persone si instaura una relazione di fiducia per cui
l’atto di comprare è probabilmente molto di più di un solo atto di spesa.
Domiciliando i prodotti in casa o facendo la cesta online il consumatore non ha
relazione né col prodotto e né col produttore, tanto che il 30% non conosce i
produttori e il 40 solo alcuni. Degli intervistati metà conosce qualche produttore
anche perché sul sito sono presenti solo alcuni contatti dei produttori e solo il 25%
conosce i produttori direttamente o almeno hanno avuto a che fare con le cooperative
che li raggruppano. La maggior parte dei consumatori quindi non ha interesse a
conoscere i valori e i modi di produrre degli agricoltori e questo potrebbe influire
molto sulla loro partecipazione alla rete.
Inoltre il 30% afferma che non ha mai usufruito del servizio di trasporto e
solo il 5% ha cliccato sul servizio del trasporto come motivo per cui scegliere la
RedeMoinho.
95
I consumatori della Rete non riescono a soddisfare i bisogni di una settimana
comprando solo nella rete per diverse motivazioni; innanzitutto perché i prodotti
comprati in maggioranza sono frutta e verdura quindi per tutte le altre tipologie
bisogna riferirsi ad altre fonti, ma soprattutto perché lamentano una non
corrispondenza con la richiesta fatta e con i prodotti che effettivamente ricevono o
con la loro qualità. Ad esempio in tempo di secca i pomodori non era possibile
produrli e quindi succedeva che le richieste non venivano soddisfatte oppure
arrivavano pomodori di scarsa qualità o del tutto verdi. La percentuale più alta
riguarda poi quelli che giudicano più comodo comprare tutto in un solo posto,
specialmente quando incontrano prodotti meno costosi rispetto a quelli venduti nella
rete.
6.5. Produttori
Lo schema qui riportato è un’elaborazione di dati prelevati dalle interviste a
produttori facenti parte della RedeMoinho e al coordinatore generale della rete,
Diogo Rego.
Come si può vedere dallo schema i produttori che fanno parte della
RedeMoinho sono quattordici grandi cooperative che raccolgono al loro interno
realtà agricole associate da tutto lo Stato della Bahia.
Non tutti producono organico e pochi producono agro ecologico.
L’agroecologia è intesa come una produzione che non solo è sostenibile dal punto di
vista ambientale e agricolo ma soprattutto dal punto di vista della relazioni di lavoro.
Questo evidenzia il fatto che le cooperative sul territorio nascano per far fronte ad
una condizione di povertà più che ad una scelta politica di costruire un nuovo
paradigma economico. Inoltre la difficoltà di mappare le esperienze risiede nel fatto
che ogni cooperativa racchiude in sé stessa moltissimi agricoltori familiari e non
riesce a dare una direttiva comune da far seguire loro, come potrebbe essere quella
della coltivazione organica.
I programmi a cui si fa riferimento sono quelli governativi per far fronte al
problema di sovranità alimentare diffuso specialmente nell’entroterra baiano. Come
possiamo vedere la sostenibilità delle imprese è data in ogni caso dalla
96
partecipazione a questi programmi, benché molti vendano i prodotti anche nelle fiere
settimanali, forniscano la RedeMoinho o vendano direttamente ai supermercati a loro
affiliati.
Le relazioni lavorative all’interno della cooperativa sono in maggioranza
retribuite, se si tiene conto soprattutto della APAEB che conta più di 600 associati.
Questo vuol dire che moltissime delle persone coinvolte nel lavoro di coordinazione
delle micro imprese agricole familiari fanno questo come scelta politica di ovviare
alla condizione di povertà baiana, ma anche come fonte di reddito. Le altre sono
realtà nate da poco o ancora troppo piccole per ottenere una sostenibilità e per questo
si avvalgono in maggioranza di lavoro volontario.
Inoltre ultimamente la RedeMoinho si sta proponendo come coordinatrice di
un’azione che unifichi le etichette e diminuisca gli sprechi di imballaggi e proponga
un unico marchio biologico. Benché questa azione sia a lungo termine vista la scarsa
politicizzazione delle associazioni coinvolte nella rete, essa ha un enorme valore
aggiunto se si considera il fatto che in questo modo si crea coscienza politica e si
estende l’operato della rete a nuovi produttori.
Figura 3: Distribuzione geografica produttori
97
Figura n 4: Composizione produttori rete
98
6.6. Relazione tra consumatori e produttori
Uno dei criteri che più viene utilizzato nella scelta dei prodotti nel mercato è
la garanzia dell’organicità del prodotto. Tuttavia come abbiamo visto nella
RedeMoinho non tutti gli associati producono organico visto che le cooperative
associate nascono innanzitutto con l’obiettivo di raggruppare i produttori di
agricoltura familiare nelle diverse regioni. La condizione povera dei produttori e il
basso livello di istruzione non permette loro di avvicinarsi con fiducia alla
produzione organica sia perché non sempre assicura il raccolto e sia perché non si ha
fiducia in questo tipo di coltivazione.
Un obiettivo della rete è quello di avvicinare produttori e consumatori in una
relazione politico-sociale. L’intento è quello di creare uno spazio pubblico nuovo e
partecipativo all’interno del quale si produca una nuova politica e una nuova
democrazia. Tuttavia non tutti i consumatori conoscono i produttori e la maggioranza
dei produttori non segue regole biologiche arrivando ad usare anche molti pesticidi.
L’intento quindi della rete non è raggiunto visto che non c’è una relazione tra
produttori e consumatori. Nelle risposte aperte si richiama spesso alla creazione di
eventi che vedano coinvolte le due categorie insieme per creare reti di conoscenza e
fiducia. Invece il sabato, specialmente per chi riceve la cesta a casa, non c’è nessuna
relazione e a volte i prodotti non sono nemmeno organici.
Alla domanda se sarebbero interessati a partecipare a riunioni mensili su temi
democraticamente scelti la maggior parte risponde di si e l’altra vorrebbe ma non ha
tempo. Questo renderebbe i consumatori meno isolati e darebbe la possibilità di
creare relazioni tra di loro e con i produttori. Solo il 15% si ritiene del tutto
disinteressato. Questa fascia potrebbe rappresentare la fascia di soli consumatori che
non hanno volontà di partecipare della rete per creare un movimento economico
differente, ma solo per usufruire dei prodotti messi a disposizione. Infatti il 55%
afferma che partecipa della rete per consumare prodotti più sani.
Un motivo per cui i consumatori sono disinteressati ai produttori a nostro
avviso potrebbe essere data dal fatto che essi non si sentono parte del processo. La
proposta di una certificazione partecipativa come sta succedendo “Nell’isola che
c’è” della città di Como e nei distretti di economia solidale di Varese e di Monza-
99
Brianza potrebbe essere un esperimento interessante che favorirebbe anche
l’estensione delle esperienze dei gruppi come la RedeMoinho sul territorio. Un’altra
importante implementazione sarebbe quella di rafforzare la relazione già presente tra
i produttori e consumatori della RedeMoinho. I produttori infatti sono anche
consumatori e questo fa si che si crei una relazione di scambio di prodotti tra di loro.
Il circuito di scambio viene regolato dalla moneta sociale “Moinhos”. Gli scambi di
lavoro all’interno della rete vengono pagati in moneta sociale per cui chi presta il
servizio ha credito o presso la rete o presso il produttore sotto forma di prodotti. Una
forma di scambio di tempo ripagato con crediti che crea un circuito di solidarietà tra
le persone coinvolte.
6.7. Il rapporto con il territorio
Consumare in molti casi è inteso un atto rivoluzionario perché le scelte di un
consumatore possono influenzare la catena produttiva e le filiere in cui è inserito.
Tuttavia è anche un atto necessario che comprende fattori di gusto, di qualità e di
prezzo. Leggendo questi dati sembra che queste variabili influenzino molto le azioni
dei consumatori in questione. I consumatori in questione rappresentano una parte
inconsistente rispetto a tutto il potenziale che la rete potrebbe raggiungere anche solo
nel quartiere di Sant’Antonio dove ha sede e dove ha intenzione di promuovere
azioni di mobilizzazione in unione con le altre associazioni sul territorio. Le persone
che tutti i giorni fanno la spesa infatti non arrivano alla rete. Questo può dipendere da
tantissimi fattori, ma forse quello più evidente è il contesto socio-economico del
quartiere dove la cooperativa è radicata e che soffre alti tassi di marginalizzazione e
di povertà.
Tra gli stessi consumatori comunque sembra emergere una caratteristica sopra
tutte le altre che è proprio quella del consumismo. Se consumismo significa la
comodità di comprare tutto in uno stesso posto, il bisogno di comprare anche quando
un prodotto è fuori stagione perché non si ha possibilità di fare altrimenti, la ricerca
delle offerte tra i vari supermercati per comprare al prezzo più basso, allora anche i
consumatori della rete sono affetti da questa malattia. Quelli un po’ più lontani
affermano infatti di non aver più consumato perché hanno incontrato prodotti più
100
economici in altri luoghi, perché preferiscono comprare tutto nello stesso luogo,
senza dover parcellizzare le compere e che comprano quello che più incontra i loro
gusti, anche se preferibilmente organico.
Come conferma di ciò il criterio che secondo il questionario spinge in primo
luogo a comprare nel mercato è la comodità di trovare tutto in un solo luogo, e in un
secondo momento la certificazione organica e l’alta qualità anche se d’importazione.
Visto che la questione della qualità del prodotto è molto importante non hanno
comprato più nella rete non solo perché il prezzo era più alto di altri luoghi, ma
perché hanno giudicato per quella qualità di prodotti il prezzo troppo alto e quindi
hanno deciso di comprare in altri luoghi. Un altro criterio di scelta è infatti il costo
basso, quindi i consumatori ricercano anche il risparmio. Questa condizione per i
prodotti freschi potrebbe realizzarsi anche nella rete mentre per altri prodotti
processati sarebbe più difficile, benché i due prodotti potrebbero completarsi. La
stagionalità, la minimizzazione degli imballaggi, la filiera corta e la localizzazione
dei prodotti sono agli ultimi posti dei criteri. Consumare quindi non è solo una scelta
politica, ma incontra anche i gusti delle persone e il consumo quotidiano. Una rete
come quella della RedeMoinho dovrebbe proporre percorsi formativi su questioni di
fondamentale importanza come la produzione dei prodotti, le filiere corte, il consumo
critico, giustizia sociale, questione ambientale.
Questa situazione è in linea con gli altri tipi di associazione presenti all’interno
dello stato della Bahia.
Il concetto di Mance di consumo solidale non è sempre quello proposto
all’interno dei gruppi. Esso rimane una meta da raggiungere, ma la condizione
economica precaria spesso prevale e molti agricoltori familiari non producono
completamente organico e agro-ecologico. Ciò non toglie che i gruppi hanno un
ruolo importantissimo di diffusione di questo tipo di cultura. Potrebbe darsi in un
futuro che la produzione organica e agro-ecologica possa avere la priorità come in
alcuni agricoltori che già da oggi ne fanno una costituzione imprescindibile.
101
CONCLUSIONI
Il tempo necessario a valutare l’impatto sul territorio delle esperienze solidali
è molto lungo. Non è stato possibile quantificarlo in maniera univoca dal momento
che gli indicatori utilizzati, come ad esempio il Pil, non riescono a cogliere le realtà
del solidale per valorizzarle. Tuttavia dal 2003 ad oggi, salito al governo Lula,
possiamo registrare, grazie ai dati forniti dalla fondazione Vargas, una diminuzione
della povertà in termini percentuali di circa 12 punti, dal 28,5% nel 2003 al 16% nel
2008. Il governo Lula fu definito da tutti molto attento alle politiche sociali, e di fatto
fu molto attivo in questo campo istituendo diverse azioni di vicinanza ai poveri e alle
esperienze di economia solidale. Questo ci costruisce l’orizzonte entro cui pensare
queste esperienze solidali e entro cui valorizzare l’impegno di ognuno: un contesto
molto povero. Le persone si sentono coinvolte direttamente perché dipende dal loro
agire la promozione e diffusione di una pratica migliore. Le pratiche di economia
solidale infatti cercano di promuovere l’identità di ogni territorio valorizzandone le
peculiarità e includendo i cittadini a protagonisti dell’azione.
I casi studio in questione sono stati presi in considerazione proprio perché utili
campioni per analizzare alcune tra le più numerose esperienze di economia solidale
presenti nella Bahia. In essi infatti si intrecciano prospettive sia di economia plurale
che post-capitalista, di fruitori sia di aiuti statali che privati, di tipo organizzativo sia
cittadino che istituzionale.
Ci sono molte sfide da affrontare perché non tutti i territori sono uguali e perciò
ospitano esperienze differenti. A nostro avviso è importante sottolineare che nello
stato della Bahia le esperienze sono più numerose perché la popolazione si organizza
secondo metodi tradizionali di fare economia che non sono quelli proposti dalle
grandi multinazionali o dalle monocolture che si distribuiscono sul territorio. Essi
sono segmenti di popolazione esclusi da questi circuiti che cercano una via
alternativa per poter produrre e consumare. Questo potrebbe significare che la nascita
di imprese solidali è favorita lì dove non c’è altro modo di fare economia; le persone
incontrano naturalmente un nuovo modo di fare economia lì dove le logiche del
mercato hanno distrutto e danneggiato; in questo senso si crea sviluppo in coerenza
con il territorio. Moltissime attività infatti affermano di iniziare un’attività per
102
sfuggire alla disoccupazione, che è un problema reale, una forma di esclusione dalle
logiche economiche del mercato capitalista.
Inoltre è interessante vedere come queste esperienze sopperiscono ad esigenze
della comunità rendendola attivamente protagonista del processo. Moltissime
comunità mancano di infrastrutture basiche proprio per la condizione di povertà nella
quale vertono; ad esempio a Santa Luzia l’associazione dei cittadini si è organizzata
per costruire delle case ed è riuscita a trovare i finanziamenti e a coinvolgere la
comunità.
Le comunità promuovono attività produttive che rispecchiano le tradizioni e le
esigenze del territorio; ogni attività è decisa nel consiglio comunitario e ha la voce di
tutti i partecipanti. L’identità globale quindi è costituita dalle tantissime prospettive
costruite nei progetti e che hanno come protagonisti i movimenti di persone che si
sentono brasiliane e vogliono contribuire alla crescita del paese.
Benché l’esperienza del commercio equo e solidale sia molto diversa da quella
dei progetti comunitari, essa comunque promuove un’identità brasiliana che è
espressione della libertà degli oppressi, così come quella proposta dai progetti
comunitari; un’identità che è fatta dalle persone coinvolte che si sentono protagoniste
dei processi economici e di cambiamento. Inoltre la RedeMoinho essendo un punto
di incontro e di relazione tra consumatori e produttori raggruppa al suo interno
moltissime esperienze di economia solidale, agricoltura familiare, agroecologia,
attività di donne, così come l’incubatore lavora con diverse attività solidali.
La RedeMoinho inoltre promuove prodotti tipici della regione che non sono
presenti altrove, stimolando e promuovendo l’agricoltura familiare che produce e
vende in territori specifici e prodotti peculiari. Queste esperienze così messe
favoriscono l’inclusione di moltissime persone che altrimenti sarebbero escluse dal
processo di costruzione dello sviluppo. In questo senso promuovono l’identità del
paese, perché non producono logiche omologanti, ma specifiche.
Sebbene quindi queste esperienze rispecchiano pienamente l’identità del
territorio e sono promotrici della libertà degli oppressi (Freire cit. in Mance 2003) nel
senso che promuovono modelli socio-economici di sviluppo inclusivi e che
permettono nel locale di produrre ricchezza, nel caso delle iniziative delle comunità
103
la dipendenza da fondi privati indebolisce la prospettiva di uno sviluppo sostenibile e
alternativo a conclusione dell’erogazione dei fondi stessi.
I progetti in comunità hanno come fine quello di innanzitutto ovviare alla
condizione di estrema povertà nella quale vertono; la RedeMoinho lavora con
produttori di agricoltura familiare che altrimenti non saprebbero dove vendere,
quindi che vertono anche essi in condizioni di povertà. Tuttavia la RedeMoinho si
prefigge come obiettivo quello di promuovere l’organizzazione di un nuovo
paradigma economico, costruendo presupposti di scambi economici differenti e che
seguono logiche nuove. Il livello da cui parte la rete sembra essere differente, tuttavia
essa ha a che fare benché la RedeMoinho cerchi di creare dei circoli di sviluppo,
tenta di far girare l’economia secondo nuove logiche.
Mentre la RedeMoinho fa riferimento solo a finanziamenti pubblici i progetti in
comunità anche a quelli privati. A nostro avviso concorrere a bandi pubblici non
rappresenta un ostacolo alla formazione di un nuovo ordine economico, anzi è da
stimolo alla creazione di nuova relazione con lo Stato. Soprattutto perché lo stato
della Bahia è esempio di come il governo non riesca ad arrivare in tutti i luoghi, ma
che abbia bisogno di nuovi strumenti partecipativi. La RedeMoinho infatti è
protagonista di meccanismi autonomi rispetto allo Stato e che producono democrazia
e partecipazione. Per evitare il rischio che diventi solo una stampella dello Stato e
non una realtà effettivamente autonoma è importante che siano impiegate delle
energie per la costruzione di un nuovo rapporto con lo Stato che preveda la
partecipazione dei territori in maniera attiva, che distribuisca i fondi in maniera
oculata e sia capace di monitorarne le azioni e valutarne gli esiti.
Per quanto riguarda la sostenibilità economica della RedeMoinho bisogna
sottolineare che i gruppi di consumatori nello stato della Bahia sono ancora poco
strutturati e l’esperienza della rete è ancora troppo piccola per avere un’incidenza
grande sul territorio; è per questo che il lavoro risulta a volte molto pesante e difficile
per i soci coinvolti. Nella RedeMoinho il fine è anche quello di produrre reddito per
le persone coinvolte e per promuovere la sostenibilità della cooperativa; essa si
inserisce quindi in un segmento pienamente economico. Tuttavia la questione della
sostenibilità economica sta portando la cooperativa ad introdursi in circuiti di
supermercati, benché solo con alcuni scelti che abbiano condotte positive. Questo
104
legame mentre indebolisce la proposta iniziale, sembra essere l’unico modo per
garantire la sostenibilità economica della cooperativa e dei lavoratori.
Le comunità dovrebbero apprendere dall’esperienza della RedeMoinho a fare
maggior rete sul territorio. In questo senso esse potrebbero farsi forza l’una con
l’altra e sfuggire a meccanismi di finanziamento privato che non fanno altro che
riprodurre dipendenza dei territori perché sono espressione piena di un’economia
neoliberale. Ad esempio l’esperienza dell’ostro-coltura prima citata rimane a livello
delle comunità e ha come obiettivo lo sbocco sul mercato. L’economia solidale
presuppone invece scambi che riguardano anche la sfera della reciprocità e del dono.
Se la solidarietà è dono (Mauss) queste forme di scambio hanno la possibilità di
creare nuove relazioni. Nelle comunità si corre invece il rischio di rimanere
soggiogati alle logiche di mercato e di non costruire un’alternativa. Le relazioni di
scambio rimangono solo all’interno delle comunità e non hanno impatto sul territorio
circostante, se non a lungo termine, forse troppo lungo.
L’obiettivo potrebbe essere quello di costruire reti più integrate tra consumatori e
produttori per non ricreare situazioni frammentarie che rinvigoriscono solo alcuni
territori ma che non propongono uno sviluppo a lungo termine per tutto il territorio.
Le comunità sembrano quindi essere un esperimento dove si valorizzano le tradizioni
e le manifestazioni culturali ma non si riesce ad incidere sul territorio in maniera
decisiva. Infatti le persone coinvolte riescono ad ovviare alla disoccupazione, ma
rimangono sempre legate a progetti, quasi interamente finanziati dal governo, che
difficilmente riescono ad essere autonomi.
Libertà degli oppressi in queste esperienze significa anche promozione umana
delle persone coinvolte. Nelle banche del popolo ad esempio il presupposto cardine è
creare la relazione con chi chiede il credito. L’insolvenza è ridotta al minimo perché
il problema è quasi sempre discusso nel consiglio di comunità che cerca di incontrare
una soluzione e spingere il debitore ad attivamente risolvere la propria condizione di
insolvenza. La banca del popolo di Matarandiba è particolare e affronta esperienze
che sono uniche perché riguardano persone specifiche. Questo significa che è capace
di affrontare problemi in maniera diretta e appropriata. Il denaro poi di ogni
comunità è differente, perché già nel processo di creazione viene coinvolta tutta la
comunità per definirne il disegno ed il nome, inoltre circolando nel locale stimola
105
enormemente la produzione e il consumo locali e unisce la comunità intorno al
valore dell’identità rafforzandola.
<<Molto spesso queste comunità sono rese fragili dal fatto che non conoscono le loro potenzialità>> (intervista del Prof. Genauto França Filho)
Nel Banco Palmas ad esempio, che è un’esperienza di banca del popolo dello
stato del Ciarà, l’impresa che produce pannolini vende i suoi prodotti ad una famiglia
che produce pasti d’asporto, che l’impresa di pannolini compra per i suoi dipendenti.
La crescita economica quindi diventa una questione moto vicina alle persone
coinvolte, un destino che si può governare, legato alla realtà. Il denaro che circola
non è impiegato per fini sconosciuti come ad esempio finanziamenti di guerre o altro,
ma tutto è gestito democraticamente dal consiglio della comunità che rappresenta
tutte le associazioni presenti. Questo non è un processo né semplice, né scontato.
Molte comunità incontrano problemi perché questo esercizio di democrazia
presuppone un lavoro delicato sugli equilibri delle vite degli abitanti della comunità.
La partecipazione dei cittadini è infatti un nodo cruciale per la buona riuscita di
un’esperienza. Mentre nelle comunità le persone sono inserite all’interno di forti
legami comunitari che influenzano moltissimo le loro azioni, nella RedeMoinho le
persone scelgono di far parte di quella relazione e costruiscono una solidarietà che è
responsabilità individuale in un primo momento ma che è volta alla costruzione di un
ordine economico nuovo come in questo caso. La persona emerge e non viene
sottomessa dai legami sociali perché sceglie di farne parte, anche se in un secondo
momento vi è obbligata per il mantenimento del sistema.
Benché quindi queste esperienze possono rappresentare una via di sviluppo
interessante, le sfide rimangono importanti; è difficile stabilire quali di queste due
esperienze ha maggiore impatto sul territorio in base a caratteristiche di economia
solidale. Per analizzare questa caratteristica faremo riferimento alla categoria di
autonomia e cercheremo di analizzare come queste esperienze si relazionano col
territorio e che raggio di autonomia hanno rispetto ad un progetto di sviluppo a lungo
termine di economia solidale.
I processi comunitari hanno bisogno di rafforzare nuove dinamiche
economiche che non per forza devono sfociare nelle logiche economiche di mercato.
Liberare la comunità dall’obbligatorietà di ricevere fondi di finanziamento inoltre
106
permetterebbe una maggiore indipendenza. Rafforzare le reti di consumatori per
incentivare il consumo solidale e diminuire quello forzoso (Mance). Sarebbe
importante infine trovare nuovi indicatori di benessere che possano quantificare
quanto le esperienze solidali in realtà stiano incidendo sul territorio. Questo darebbe
estremamente forza e visibilità e aiuterebbe nel processo di presa di coscienza delle
comunità stesse.
Nella concretezza la differenza tra l’esperienza degli incubatori e quella della rete
è data dagli effetti che esse producono sul territorio rispetto ad una proposta di
sviluppo.
Le comunità, benché l’analisi si riferisce a progetti che hanno solo otto anni di
vita in media, hanno effetti sul territorio della comunità. Essi hanno contribuito a
migliorare le condizioni di povertà delle comunità offrendo un’alternativa di
sviluppo, contro l’esclusione a cui erano condannate secondo le logiche di mercato
capitalista. I progetti hanno contribuito ad un mutamento nelle relazioni sociali della
comunità promuovendo procedimenti democratici e paritari nella scelta dei progetti
da finanziare, valorizzando le persone come pieni protagonisti dei processi di
cambiamento.
La RedeMoinho produce effetti su un territorio che è quello afferente alla rete. I
produttori infatti fanno parte di tutto lo stato della Bahia. Inoltre la partecipazione a
fiere o ad eventi nazionali di economia solidale rende possibile la visibilità anche a
persone non coinvolte.
La RedeMoinho benché faccia riferimento a progetti pubblici è
un’organizzazione di soci che hanno come intento quello di promuovere una
condizione dignitosa per gli agricoltori familiari. Il limite è che visti i prezzi non
competitivi e visto che moltissime persone vivono di autoconsumo, la proposta del
consumo solidale riesce ad interessare solo una fetta di popolazione, quella con un
livello di istruzione alto che riesce a valorizzare queste esperienze, e con un reddito
medio-alto che permette la scelta di prodotti non solo in base alla competitività sul
mercato, ma anche in base alla qualità e ad una scelta valoriale di consumo
responsabile.
Rispetto ai progetti in comunità le reti sembrano avere più autonomia di gestione,
mentre le comunità rimangono legate a procedimenti che si legano alle decisioni del
107
consiglio comunitario. Ancora non si è visto un’espansione al di fuori del territorio
della comunità e non si registrano attività autonome degli abitanti rispetto ai progetti
finanziati con il sostegno dell’incubatore. Non sono infatti stati attivati ancora
procedimenti di dis-incubazione. Una volta l’incubatore fuori dal territorio si
potrebbe vedere se la comunità è capace di autodeterminare uno sviluppo in senso
solidale e autonomo, e di innescare processi di economia solidale che si auto
sviluppano.
108
BIBLIOGRAFIA
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