Una Vita Un Dono

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Giornalini della Parrocchia: Padre Giuseppe Ambrosoli

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27 marzo 1987 - 27 marzo 1997: dieci anni di miracoli!

na data significativa: dieci anni in uncrescendo di ricordi, di esempi, difatti, di preghiere, che non possono

passare sotto silenzio perché hanno aiutatotutti noi a percepire la figura di P. Giuseppe,non ricordo passato, ma presenza viva.

UPresenza forte, limpida, che tocca e

risveglia la nostra fede; presenza che tieneviva la speranza della "sua" gente aKalongo e che riaccende continuamente lanostra carità, sì che diventano nostre legioie e le sofferenze dell'Ospedale e dellaMissione, in un continuo condividere, nellapreghiera, le fatiche dei missionari e dellagente, sino a tradurre in concretasolidarietà questa attenzione verso unarealtà d'Africa che, ormai, sentiamo comeparte della nostra stessa comunitàparrocchiale.

Dieci anni da ricordare, per nondimenticare un'intera esistenza fatta disemplicità, donazione, fede genuina. Tale èstata la vita di P. Giuseppe: intrisa di santitàche già assaporiamo, in attesa che vengaanche da tutta la Chiesa riconosciuta.

E per questo abbiamo voluto, perl'occasione, raccogliere lettere, ricordi,testimonianze. La forza della sua solidafede, della sua incrollabile speranza edell'instancabile e trasparente carità, inquesti dieci anni

sono state il miracolo più bello cheabbiamo visto fiorire attorno a noi e sono,in sintesi, il messaggio forte e provocatoriodi queste pagine, volute in suo ricordo.

Ci auguriamo che questo messaggiopossa diventare per tutti richiamo e invito araccogliere la sua preziosa eredità, percontinuare, sul suo esempio, a servire ilfratello che soffre, irradiando attorno a noi ilvolto di Dio Amore.

Forse P. Giuseppe non sarà moltoentusiasta di tutta questa 'attenzione' neisuoi confronti. Gli chiediamo scusa: ma -diciamolo con sincerità - non lo facciamoper lui, che, nella beatitudine del Paradisonon abbisogna di nulla!

È per noi che facciamo tutto questo:per non dimenticare, ma soprattutto perimparare cosa significhi vivere da cristiani,affinché, nella terra ancora buona diRonago - e della Chiesa tutta -, come alloraspuntò un fiore così bello, possa oggifiorire, grazie alla rugiada feconda delricordo di P. Giuseppe, qualche altro fiorepronto a farsi prendere per mano dal DioAmore al fine di portare ancora nel mondo,in Africa o altrove, il profumo contagioso delVangelo.

DON SERGIO - PARROCO DI RONAGO

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PRIMA PARTELA FIGURA DI PADRE GIUSEPPE

adre Giuseppe Ambrosoli nacque aRonago (CO) il 25 luglio 1923.Terminato il liceo, nel 1942, si

iscrisse alla facoltà di medicina e chirurgiapresso l'Università degli Studi di Milano. Laseconda guerra mondiale lo costrinse adinterrompere gli studi, ma non gli impedì didare la sua collaborazione ad ebrei eperseguitati politici per farli riparare inSvizzera.

P

Alla fine della guerra riprese gli studie nel 1949 si laureò a pieni voti.Desideroso di dedicare tutto se stesso aglialtri, decise di entrare tra i missionaricomboniani. Rinunciando alla prosperosaindustria familiare del Miele Ambrosoli,investì tutte le sue energie di medico esacerdote negli ammalati e nei poveriafricani. Partì per l'Uganda all'inizio del1956. Fu assegnato alla missione diKalongo, dove sorse e si sviluppò unospedale che ancora oggi è tra i piùapprezzati del Paese.

Con grande dedizione fondò ediresse una scuola per ostetriche. I suoi 32anni di vita missionaria furono caratterizzatida un grande amore per gli africani.Nessuno avrebbe mai immaginato che il 7febbraio 1987, durante la guerra civile,sarebbe stato forzatamente allontanatodall'ospedale di Kalongo e avrebbeassistito all'apparente distruzione del suolungo e paziente lavoro.

Provato fisicamente e moralmenteda questi avvenimenti, il 27 marzo 1987 P.Ambrosoli moriva a Lira, pronunciando unafrase che amava ripetere nei momenti piùdifficili: "Ciò che Dio vuole non è maitroppo".

Dal 1994 la sua salma riposa aKalongo tra la sua gente.

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LA FIGURA DI PADRE GIUSEPPE

il segno del passaggio di Dio

adre Giuseppe Ambrosoli è una diquelle figure di missionario chehanno lasciato il segno. Il segno del

passaggio di Dio. Tra le tantissimetestimonianze, non ce n’è una che sidiscosti dal riconoscere la genuina santitàdi questo nostro confratello.

PPerfino chi gli e vissuto accanto per 23 annidi seguito, come è capitato al sacerdote emedico don Palmiro Donini, è fermamenteconvinto dell’esercizio eroico di alcune virtùcome la povertà, la disponibilità, lo spirito diservizio, la fortezza, la carità, la purezza,l’obbedienza...da parte di Padre Giuseppe.Il segreto di tanto successo nelle vie dellospirito sta sicuramente nella grazia di Dioprima di tutto, poi nel cuore della mamma,donna piissima, e nel suo sforzo costantedi migliorarsi. Padre Giuseppe ha vissutosul serio il suo sacerdozio e con spirito diservizio la sua professione. A questoproposito, riporto la testimonianza di Mons.Renato Corti, vicario generale della diocesidi Milano.Il Cristo di P. Ambrosoli."Dobbiamo riconoscere che tuttal’esistenza di padre Giuseppe è stata unpossibile segno di un Altro, di Dio-Amore.La vocazione e la missione della Chiesaconsistono in questo: svelare il volto di Dio-amore. Le modalità fondamentali di questaoperazione sono l’incarnazione, la vitapubblica, la passione e la morte di Cristo. IlVerbo di Dio ci salva incarnandosi,facendosi uomo, abitando tra di noi,avvicinandosi a noi. E cosi svela il Dio-Amore. Padre Ambrosoli ha cominciato lasua missione ancora prima di andare in

Africa, quando ha cominciato a capire ilcristianesimo e quando ha cominciato adesiderare di mettersi a disposizione delVangelo.I tanti anni trascorsi da Padre Ambrosoli inAfrica stanno ad indicare quella importantemodalità della missione-che lo rende similea Gesù nella vita pubblica. È decisivoriconoscere che Cristo vive la missionenella passione e nella morte. Anche perPadre Ambrosoli la missione raggiunge ilculmine quando gli e domandato disacrificare tutto. La distruzionedell’ospedale non è stata, per padreAmbrosoli, un problema, perché lavoravasolo per Dio e per la sua gente. Il suoatteggiamento nei confronti di Dio è statoespresso con le parole: ”Quello che Diovuole non è mai troppo”.Se si aggiunge poi il riferimento al Combonie al suo senso della croce, ai martirid’Uganda di cui si era appena celebrato ilprimo centenario, siamo in pienonell’espressione più viva dellatestimonianza.Padre Giuseppe e una testimonianza, unsentiero percorso, una dimostrazione chele Beatitudini sono possibili, tanto è veroche egli le ha vissute.Vorrei dire ai giovani di non guardarsi allospecchio facendo di se stessi la misura, madi specchiarsi in coloro che probabilmentehanno fatto un po’ di strada più lunga osono andati più a fondo nel Vangelo percomprendere in quale maniera, come edove Dio chiama."

da un articolo di PADRE LORENZO GAIGA

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PRIMA PARTE

27 marzo 1987.l 2 aprile 1987, alcuni giorni dopo lamorte di Padre Giuseppe, SuorCaterina Marchetti scriveva:I

"Penso che siate già stati informati dellamorte di P. Ambrosoli, avvenuta dopo glieventi dolorosi dei quali pensiamo lui stessovi abbia fatto sapere. So che lui vi scriveva evoi già conoscete la sua bontà, il suo caloreumano e la donazione e disponibilitàcompleta per aiutare qualsiasi che si fossepresentato a lui. Sento il desiderio disalutarvi con la sua ultima preghiera, dettaun minuto prima di morire: "Signore, siafatta la Tua volontà".Ecco la vita di padre Giuseppe in questapreghiera. La sua morte ci ha lasciatisconvolti e in un profondo dolore, non hoparole per descrivere la sua intensità. Illasciare Kalongo in quel modo è stato moltodoloroso, ma la perdita di padre Giuseppe èstata qualcosa di indescrivibile. In una suaultima lettera del 25.3.87 diceva:"Mi sono ammalato all'improvviso ed è unanefrite peggiore di quella dell'82. Sonoaddoloratissimo di non poter venire adAngal a darvi una mano nella parteorganizzativa. Devo partire per l'Italia enon so se mi lasceranno tornare. Da questoletto prego anche per voi e spero possiateandare avanti abbastanza bene; il Signorenon mancherà di assistervi nelle vostredifficoltà e pregate anche per me".La partenza di padre Giuseppe non è stataper l'Italia, ma per il Paradiso. Credo chepadre Giuseppe abbia fatto la morte chedesiderava e secondo la sua santità: distruttal'opera da lui creata, via da casa, senzanessun dottore presente e con un dolorefisico in tutte le membra. Ma il seme

dell'Amore, Bontà e Perdono da luiseminato fiorirà nel cuore del popoloAcholi, il quale non dimenticherà maiBrugioli (Ambrosoli) così con affetto lochiamavano. Non vedete in questo un po' diGesù sulla croce, un po' di Comboni nostrofondatore?Vicino a lui ci sono state sempre le sorelledi Kalongo, Sr. Romilde sua infermiera, Sr.Annamaria e Sr. Silveria da lui conosciute eamate, con le quali aveva speso anni diattività ospedaliera, partecipando le gioie e idolori che tale opera richiedeva con ilpassare degli anni.Vicino a lui c'erano pure i confratelli e leconsorelle della comunità di Lira.Nonostante il suo dolore, continuava a farcoraggio a tutti. È morto il 27.3.87, venerdì,alle ore 13.55. Un quarto d'ora dopoarrivava l'elicottero per portarlod'emergenza a Gulu. Ma il Signore è statopiù svelto. L'assenza di un dottore al suocapezzale è stata dovuta all'insicurezza dellastrada, dato lo stato di guerriglia deldistretto dove si trovava. È stato seguito viaradio dal dottor Luciano Tacconi e dal dottorCorti, mentre suor Romilde eseguiva laterapia come dettata. Il 28 marzo in tutte lemissioni è stata celebrata una S. Messa e si èpregato per lui.Chi non conosceva Padre Ambrosoli? Unafolla immensa lo accompagnava alla suaultima dimora; "un vero trionfo perGiuseppe" disse Fr. Tarcisio. È stato sepoltonel cimitero di Ngeta Lira alle ore 15.30, il28 marzo.Le ragazze studenti qui ad Angal, nel saperedella morte, sono scoppiate in grida di

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LA FIGURA DI PADRE GIUSEPPE

lamento, attirando l'attenzione della gente diAngal che si è chiesta cosa stava succedendo,certamente qualche cosa di molto dolorosoper tutti noi. Sembra che padre Giuseppeabbia vissuto, dopo la grande tragedia delladistruzione di Kalongo, tanto tempo quanto èstato sufficiente per trapiantare l'unicogermoglio rimasto della pianta di Kalongo adAngal. Questo germoglio è la scuolaostetriche. In questa scuola rimane vival'opera di padre Giuseppe e un giorno saràripiantata a Kalongo da dove è stata sradicata.Siamo qui da un mese e oggi sono arrivati idue camion da Lira, ma senza padreAmbrosoli.Potete immaginare il rinnovarsi del dolore.Noi continuiamo a sistemare i vari locali e cirendiamo conto che i bisogni sono molti.

Abbiamo il minimo indispensabile per portareavanti l'opera, sicure che la provvidenza ciaiuterà e padre Giuseppe ci assisterà,sentiamo la sua presenza viva in mezzo a noi.Dopo aver messo in funzione l'ambiente,pensiamo di prendere un gruppo di nuoveallieve, perché la scuola non muoia, macontinui, come era desiderio di padreGiuseppe.Preghiamo per padre Giuseppe e ricordiamocia vicenda presso Gesù, nostra forza; offriamotutti insieme questo nostro grande doloreperché unito a quello di Gesù crocifissoredima e salvi tante anime e doni la pace aquesta terra.

SUOR CATERINA MARCHETTI

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PRIMA PARTE

il ritorno al suo ospedale: Kalongo

"Seppellitemi fra la gente che ho amato eper cui ho lavorato tutta la mia vita"

Domenica, 10 aprile 1994

in dal mattino presto, Kalongo è prontaad accogliere tutti. Fra poco dovrebberoarrivare il vescovo di Gulu, Mons.

Martino Luluga, e il Nunzio Apostolico. Mentreaspettiamo, padre Pazzaglia ci offre ulterioritestimonianze sull'attività dell'ospedale diKalongo, ma soprattutto sullo spirito evangelicocon cui padre Giuseppe ne ha portato avantil'attività, insieme a tutti i suoi collaboratori,promuovendo lo spirito di accoglienza e diamore verso ciascun malato, creando obiettividi lavoro e di promozione umana eprofessionale anche per la gente di qui.

F

Atterra il piccolo aereo con a bordo il Nunzio eil Vescovo. Si fa subito loro incontro padreEgidio e li accoglie a nome di tutta la comunità.Di lì a poco arriveranno anche l'ambasciatore, leautorità militari, quelle politiche e governative,tra cui la signora Betty Begombe, ministro incarica per questa zona.Come osserva giustamente suor Caterina, dallaterra e dal cielo si sono mossi tutti per lui. Etutti convergono verso il grande prato antistantela chiesa, dove la bara è stata posta. Le facorona una folla immensa di gente: le due ali,riparate da una lunga tettoia di paglia, sonoriservate agli ospiti e alle delegazionirappresentative dei vari gruppi, compresi quelliche animeranno la S. Messa, mentre tutto ilresto dello spazio è pieno di gente semplice(cattolici, protestanti, musulmani) che per benquattro ore se ne sta lì, sotto il sole. Grappoli dibambini, per poter vedere, se ne stanno

immobili sui rami degli alberi.Comincia la S. Messa, concelebrata all'apertodal Vescovo, dal Nunzio e da tutti i Sacerdotipresenti, compreso il nostro parroco, donSergio.All'omelia, il Vescovo: "La liturgia checelebriamo oggi è una liturgia pasquale: Gesùnon è più fra i morti, ma vive! Vogliamo perciòseppellire padre Ambrosoli con il pensiero diCristo Risorto. Padre Giuseppe è statobattezzato, è andato a scuola, ha studiato. Èdiventato medico per guarire i corpi, sacerdoteper salvare le anime. Voi, anziani di Kalongo,sapete meglio di me quello che lui ha fatto pervoi. Il suo lavoro, il suo servizio sonoconosciuti in ogni parte d'Uganda e anche fuoridall’Uganda. Le capacità che aveva ricevuto dalSignore le ha messe a servizio di tutti, dei piùpoveri, dei più sofferenti. E l'ha fatto congrande umiltà, senza orgoglio. Le hasemplicemente donate. Dobbiamo ringraziare ilSignore per questo dono grandissimo che ci hafatto. Un dono per noi, per la Diocesi, perl'Uganda intera. Un dono che ci ha aiutato inmodo così meraviglioso. Voi, gente di Kalongo,dovete esserne i testimoni. Ringrazio i suoigenitori, ringrazio Ronago - la gente e laparrocchia - che ha mandato il suo parroco, qui,oggi. Il loro figlio è venuto in mezzo a noi e quiha trovato la sua casa. Noi non lodimenticheremo mai e vogliamo che rimangaqui, in mezzo a noi. Qui risorgerà nell'ultimogiorno. Ringrazio i Comboniani perché hannofatto sì che padre Giuseppe venisse qui. Illavoro che lui ha cominciato non deve fermarsi,ma preghiamo affinché continui e vada avanti,non soltanto qui a Kalongo, ma in tutta laDiocesi. Ringrazio il Papa, per la testimonianza

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LA FIGURA DI PADRE GIUSEPPE

attraverso la presenza del Nunzio. Nonpensate che sia davvero una cosa grande?Il suo testimone qui, per questo evento!Questo significa l'amore che il Papa ha pervoi. Preghiamo per il Papa, preghiamo perl'Africa, perché Dio susciti tanta fede, lastessa fede con cui padre Ambrosoli èvenuto fra noi. Ringrazio padre Tocalli peressere qui a continuare l'opera di padreGiuseppe. Possa il suo lavoro portare tantifrutti, ma noi dobbiamo togliere le spinedal nostro campo, dobbiamo arare epreparare perché la semina trovi il terrenogiusto".La S. Messa continua. Dopo la Comunione,un gruppo di donne da inizio allatradizionale danza funebre acioli, la danzache viene tributata ai grandi, ai re. Intantissimi si uniscono al gruppo di donne,manifestando così, nella pienezza e nelcalore delle loro tradizioni, il proprioomaggio a padre Ambrosoli. Il corteo siavvia verso il cimitero. Per il primo trattoabbiamo avuto l'onore di portare sulle spallele spoglie mortali di padre Giuseppe. Maiavrei immaginato di poter avere questagrazia e questo onore. Impossibiledescrivere l'emozione di quel momento. Poiil feretro è portato dai sacerdoti africani edeuropei insieme. Al cimitero, tutti si sonostretti attorno alla tomba. Avevo portato dacasa una manciata di terra, simbolo epresenza di tutto Ronago, dei suoi familiari,di tutti quelli che l'hanno conosciuto eamato. Padre Ambrogio ha spiegato inlingua acholi questo gesto, mentre la terra diRonago scendeva accanto a padre Giuseppe.Un gesto che mi è stato suggerito dal cuore,ma che laggiù ha assunto un significatomolto più grande, soprattutto agli occhidella gente semplice.

La bara viene calata nella fossa e un cantodolcissimo si leva:"Dio faccia riposare latua anima per sempre nella pace". Anchequi, impossibile parlarne.Una fiumana di gente si è poi diretta versol'ospedale, dove la statua di padre Giuseppeè stata benedetta. La statua è collocata nelcortile dell'ospedale, davanti alla salaoperatoria e alla maternità, così che tutti,ammalati e medici, suore e sacerdoti, allievee infermiere lo incontrino nel loroandirivieni quotidiano: lui guarda a loro,loro guardano a lui, per trame forza edesempio. Ci siamo poi ritrovati tutti sulsagrato, dove è stata pronunciata una seriedi discorsi che hanno messo in luce legrandi doti umane, cristiane e professionalidi padre Giuseppe. Lui, così umile e schivo,è stato commemorato dalle diverse autoritàecclesiastiche e governative; lui che avrebbeteneramente disapprovato tutti questi onori,lui che ora appartiene a Dio, a Kalongo, maanche alla Chiesa e al mondo intero è statoinfine commemorato anche da noi, cheabbiamo capito lì, fino in fondo, ilmessaggio e l'eredità di questo nostroconcittadino.

ANNA BALATTI

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SECONDA PARTE

PADRE GIUSEPPE CI PARLA

e lettere che pubblichiamo ci sonostate date spontaneamente dallepersone di Ronago e dintorni alle

quali padre Giuseppe le aveva scritte.L

Le lettere di padre Giuseppe sonobelle.

Tra le righe balzano fuori tutte lesue doti: concretezza e precisione,semplicità, dedizione ai suoi impegni,gratitudine verso tutti, anche per le piccolecose, e soprattutto amore a Dio e fiducia in

Lui, docilità alla sua volontà così da esseresempre aperto alla speranza e pieno diamore e attenzione per ogni persona.

Seguono alcune circolari, cioè queiresoconti periodici che padre Giuseppeciclostilava e mandava a tutti gli amicisostenitori dell'ospedale di Kalongo.

Questi documenti riguardano glianni dal 1969 fino al 1987, annodell'evacuazione di Kalongo e della mortedi padre Giuseppe a Lira.

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PADRE GIUSEPPE CI PARLA

lettere a Renzo CortiL'amicizia tra Renzo Corti e Giuseppe

Ambrosoli inizia da ragazzi, si consolida ingioventù nell'Azione Cattolica, continua fino

al 1987 quando, a due mesi di distanza, Diochiama entrambi in Paradiso.Le prime due lettere sono di Giuseppe ancorastudente.

Milano, 11 febbraio '43

arissimo Renzo, vengo oggi a te conquesto mio scritto dopo un po' ditempo che non ti scrivo. Finalmente

l'altra domenica a Ronago ho visto tuopadre di ritorno dalla Germania e sono statomolto contento di starci un po' assieme eudire le ultime novità dell'estero.

CPenso con piacere che ora che è arrivato tuopadre presto vedremo anche te a Ronago,perché spero che una licenza, anche sebreve, non te la negheranno. Avremo così

modo di stare un po' assieme. Caro Renzo,devi perdonarmi se per l'avvenire non potròscriverti molto e qualche volta mi limiterò asemplici cartoline, perché ora devocominciare a mettermi a studiare seriamenteperché fino ad ora non ho ancora fattoniente e gli esami si avvicinano con il loroincubo strano. Io ti ricorderò sempre lostesso, anzi di più, al Signore: la miamigliore possibilità che ho per giovarti.Ora termino. Ricevi intanto il mioaffettuoso saluto in Cristo.Giuseppe

Alla fine del '43 Giuseppe, per sfuggire aitedeschi che sospettavano il suo aiuto agliebrei, si rifugia in Svizzera e viene mandato

dalle autorità elvetiche in un campo vicino aZurigo.

Uititron, 27 gennaio '44

arissimo Renzo, alla "Casa d'Italia" aLugano ho ricevuto la tua carissimalettera. Allora ero in un campo, bello, in

Lugano ed ero addetto alla cucina. Ciò perrisolvere il problema del vitto, poiché era moltomagra, sono riuscito ad andare in cucina. Ederavamo là in tre cuochi militari svizzeri (madelle nostre parti)...

C

Vi era molto da lavorare, ma mangiavamo inun modo meraviglioso, come tu neppure tiimmagini. Avevo sempre in mente dirisponderti, ma quasi mi mancava il tempo. Un

giorno mi è giunto l'ordine del miotrasferimento e sono stato mandato qui a pochichilometri da Zurigo. Ci ho messo qualchegiorno prima di sistemarmi e poi, quando avreidovuto scriverti, ho cominciato ad avere ungrande pensiero. E sai a cosa pensavo?Calcolavo tutti i pro ed i contro che favorivanoed ostacolavano il mio ritorno in patria. E ci hopensato veramente tanto e finalmente sonovenuto nella determinazione che il mio ritorno ènecessario. Così ho fatto già domanda a Bernadi essere rimpatriato, intanto che pensavo aqueste cose, non mi è stato possibile scriverti.Oggi con grande piacere ho ricevuto la tua

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SECONDA PARTE

lettere a Renzo Corti

graditissima lettera che dopo un lungo giroè giunta qui. Sono contento che tu stai benee felice che abbia potuto vedere i tuoigenitori. Ti ringrazio delle belle parole chemi dici, soprattutto del tuo incoraggiamentospirituale che mi ha fatto tanto bene. CaroRenzo, è proprio vero che nel dolore, neimomenti di sconforto si sente il valore dellanostra Fede. Quando tutto ci abbandona,quando tutti i nostri ideali umani e materialicadono, quando precipitano tutte le nostresperanze ed illusioni, quando in conclusioneci sentiamo soli, soli: allora unica la nostrafede ci conforta, ci sta vicina facendocicomprendere che tutto avviene per volontàdi Dio, facendoci sentire, anche nel dolore,tutta la gioia di fare la volontà del Padre. Ilprimo giorno che sono venuto qui, hoproprio constatato di persona questaconsolante verità. Siamo giunti con le piùbelle speranze, siamo venuti qui in unpomeriggio piovoso in un campo che ècostituito da baracche sepolte in una pineta

dove non spunta né tramonta il sole, dove viè una grande umidità. Caro Renzo, mi sonosentito crollare il morale, venire un grandenodo alla gola ed allora la mia Fede alta eforte accanto a me mi ha salvato. Sonoormai passati quindici giorni ed ora mitrovo bene, anche se la pineta toglie il sole eda umidità, non importa. La vita in baraccanon è poi del tutto brutta, anzi finisce poicol piacere. Il tempo vola perché quasi tuttoil giorno ci fanno fare mestieri interni alcampo, come tagliar legna, pulizia, pelarpatate ecc. Solo dopo cena (che è allecinque e mezza) siamo completamenteliberi. Ma spero quanto prima di potertornare a casa. Ti saluterò tanto i tuoi cari.Caro Renzo, prega per me perché hobisogno tanta luce divina. Stammi sempretanto bene e allegro. Ti lascioabbracciandoti fraternamente in Cristo.Fortis in Fide!Aff. Giuseppe

Giuseppe diventa medico e missionario, Renzo si sposa, ha la sua famiglia e fa l'elettricista. L'amicizia continua.

Kalongo, 30 agosto 70

arissimo Renzo, è finalmentearrivata da qualche settimana laspedizione partita in marzo da

Ronago. In una cassa ho trovato la batteriaper quella lampada che mi avevi regalato. Tiringrazio sinceramente. Questa lampada miserve per studiare una mezz'ora in mediaogni sera. Il nostro gruppo elettrogeno siferma alle 10.20 circa. Avevo sempre usatouna lampada a petrolio, mettendomici il piùvicino possibile. È l'unico tempo che ho per

C

studiare qualche argomento, di solito dichirurgia o maternità. Quindi ti ringrazioancora sinceramente per il regalo. Ti sperobene con la tua famigliola. Spero anche tuamamma bene, nonostante il passare deglianni. Credo che i ricordi più belli, digioventù, siano ancora quelli dei nostriritrovi, attività, gite ecc. dell'A.C. (AzioneCattolica). Così ogni tanto vi rivedo un po'tutti. Ti prego di salutarmi un po' tutti ivecchi amici, specie Evaristo, Egidio,Bruno, Cechino, Arnoldo ecc. Abbiamoperso il nostro Don Carlo Porlezza, parrocodi Ronago, morto nel 1966; ndr), però sonocerto che Don Matteo farà molto bene epunterà anche in profondità, (salutamelotanto). Qui si

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PADRE GIUSEPPE CI PARLA

va avanti tra tanto lavoro, così il tempovola. Non sappiamo cosa il Buon Dioriservi per queste missioni. Tutta l'Africa èin fermento (e le infiltrazioni di Pechino eMosca sono tremende, puntandodirettamente ai governi). Qui, lontano daicentri, abbiamo la buona gente che ci seguee lentamente sta formandosi ad unatradizione cristiana. Anche a te chiedo unricordo nella preghiera.Salutami tanto tua mamma, moglie e figlio.Tanti auguri di Bene.Tuo aff. P. Giuseppe

La corrispondenza continua fino al 1987. Ingennaio Renzo scrive l'ultima lettera all'amicomissionario, ma non ne completa l'indirizzo perchémuore improvvisamente. Padre Giuseppe lo vienesubito a sapere e l’11 febbraio, prima dell'esodo,scrive ai familiari.

Kalongo, 11 febbraio '87

ent.ma Sig.ra Corti, Carissimamamma Giulia e carissimo Carlo,ho avuto la settimana scorsa,

completamente inattesa, la dolorosa notiziadella morte di Renzo. Ne sono tantoaddolorato..

GIeri ho celebrato la S. Messa a suo suffragioe continuerò a pregare per lui e per voi. Erolegato a Renzo da forte amicizia che risaleancora ai tempi di quando eravamo ragazzie mamma Giulia sa come io ero spesso percasa, allora quando c'erano anche la ziaCarlotta ed il papa Carlin.Abbiamo lavorato poi molti anni assiemenell'Azione Cattolica. Andavamo assiemealle tre giorni diocesane, alle riunioni, aComo ecc.Non ho nessun dubbio che il Signore gli ha

dato la meritata ricompensa. Egli è nellaluce e gioia di Dio in attesa dei suoi cari.A noi di seguire i suoi esempi di fedeltà aldovere e vita cristiana. Prego per lui esoffro con voi. Spero che sia arrivata la mialettera natalizia.Qui purtroppo la situazione è moltodifficile. Siamo in piena guerra civile,proprio nella nostra zona. Ora per di piùstiamo facendo i bagagli per l'ordinemilitare di spostarci, come ospedale, a Lira.Ma è un guaio enorme. Ma ci mettiamonelle mani della Provvidenza e viviamo allagiornata.Vi chiedo tanto di pregare per noi. Vi lasciotutto con l'affetto che avevo e che ho perRenzo.Aff. P. Giuseppe

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SECONDA PARTE

lettere all'Angioletto MerloNatale 1972

ille grazie per la lettera del 20ottobre. Qui tiriamo avanti,sperando che il Buon Dio ci aiuti

a continuare. E le medicine sono ancora aRonago, ma speriamo che arrivino presto.Cercherò di mandare la pelle di pitone.

MUn carissimo augurio a tutti, anche ai clientidel Barbiere della mutua!aff. P. Giuseppe Ambrosoli

L'Angioletto è un ronaghese da tredicianni in Paradiso. Lavoravaall'Ambrosoli e, nel tempo libero, oltrea fare il barbiere, ordinava eimpacchettava il materiale per icontainers destinati all'ospedale diKalongo. P. Giuseppe aveva sempreuna grande attenzione e gratitudineverso il "barbiere della mutua" o "digran classe" come affettuosamente lo

Settembre 1977(dopo un soggiorno in Italia)

aro Angioletto, per mantenere lapromessa ti mando due righe, leprime che scrivo da Kalongo. Sono

arrivato qui giovedì mattina con ottimoviaggio. In aereo è come essere in corrieraed al mattino alle 7.40 ero già sulle rive delLago Vittoria, perché la pista dell'aeroportoè proprio in riva al grande lago (grandecome un mare). Questa mattina, come tiavevo promesso, ho celebrato la S. Messaper i tuoi cari defunti e anche per quelli

Cdella tua Maria. Qui ho trovato il solitolavoro. Siamo ancora in stagione di pioggee fa più fresco che a Ronago. L'altro ieri hocominciato subito con un'urgenza chirurgicacon una donna che ha ricevuto una cornatada un torello. Questa mattina ho fatto infretta a fare un taglio cesareo perché avevola S. Messa delle 10.30 e sono arrivato intempo. Caro Angioletto, grazie per tuttoquello che fai, per le nostre spedizioni,anche a nome di tutti i nostri malati.Tanti saluti alla tua Maria, Sandro, figlio.Tuo aff.mo P. Giuseppe

Nel novembre del '78, insieme agli auguri,anche l'attenzione per l'amico perché abbiacura della sua salute:

ingrazia tanto la tua Maria per lasua gentile lettera del 4 marzo, cheè ancora qui sul mio tavolo.R

Grazie mille per il lavoro che hai fattoanche quest'anno.Fai però solo quando stai bene e te ne sentila voglia.Poi aspetta che venga la primavera, perchéil freddo di quella stanza ti fa male.

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PADRE GIUSEPPE CI PARLA

Nel 1982 l'Angiolettoè già ammalato.Quando muore, padreGiuseppe scrive allamoglie Maria.

ara Sig.ra Maria, mio fratelloFrancesco mi ha mandato latriste notizia della morte di suo

marito. Poi mi sono ammalato ed è laquarta settimana che sono a letto peruna nefrite. Sto però già bene e comincio adalzarmi un po' nella stanza. Così l'altro ieriho potuto celebrare la S. Messa a suffragiodell'Angioletto. Prego per lui ed anche perlei e tutti i loro cari. Il Signore l'aiuti inquesto momento doloroso. Partecipo colcuore al suo dolore, anche col mio dolore,per l'amicizia che mi legava a lui e per tuttoil lavoro che aveva fatto per preparare lespedizioni dei medicinali per Kalongo. Non

Cso nessun particolare della sua morte, maspero che non abbia sofferto tanto. Ora lodeve pensare nella luce di Dio, mentreaspetta "la mia Maria". Quindi coraggio eprendiamo tutto dalle mani di Dio.La prego di estendere a suo figlio e tutti isuoi cari la mia sincera partecipazione alsuo e loro dolore.P. Giuseppe Ambrosoli

lettere a due giovani di RonagoEnrico ed Enrica si sposarono nelsettembre Idei 1973

Kalongo, 6 settembre ‘73

arissimi, le vostre partecipazioni misono giunte quando non ero più intempo a scrivervi. Così lo faccio

ora, con più calma, approfittando di unsabato pomeriggio. Spero che vi saretesposati in questo periodo... Vi sono vicinospiritualmente, con la mia povera preghiera,

C

certo che il Buon Dio vi aiuterà ad andareavanti sereni e costruttori nella vostra nuovafamiglia. Vogliatevi bene, come "compagnidi viaggio", senza perdere di vista la grandemeta. La Madonna vi accompagni col suosguardo materno. Avete da seguire gliesempi veramente grandi di un vostro Papàe di una vostra Mamma che vi benediconodal Cielo. Siate degni di loro! Vi lascioentrambi col mio fraterno sincero augurio esacerdotale benedizione.Aff.mo P. Giuseppe

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Page 15: Una Vita Un Dono

SECONDA PARTE

lettere a due giovani di Ronago

Nel 1975 Enrico si laurea in medicina. » P.Giuseppe risponde alla sua lettera,donandogli tutta la sua esperienza eindicandogli un cammino di seriaprofessionalità.

Kalongo Hospital, 27 dicembre 75

arissimo Enrico, ho ricevuto oggi latua graditissima lettera e l'ho appenaletta. Ti voglio scrivere subito

intanto che ho un po' di tempo di sabatosera. Complimenti per avere fatto non solola laurea, ma anche l'esame di stato.Capisco la tua perplessità sulle tuepossibilità e capacità pratiche come medico,ora che hai appena finito. Anch'io ho avutola stessa impressione appena laureato. Poiperò la cosa cambia. Piano piano ci si fa unpo' di pratica e si acquista una certadisinvoltura. Col farsi un po' l'occhio clinicoe nel rivedere casi simili ad altri vistiprecedentemente, ci si sa più in frettainquadrare verso una direzione diagnosticae terapeutica. Resta sempre un margine dicasi mai visti o di emergenze difficili. Inquesti casi, da voi è facile mandare ilmalato all'ospedale o chiedere il parere diuno più anziano. E poi non pensare che glialtri sappiano tutto. Anzi, quelli che tisembrano i più sicuri sono quelli che poi avolte cascano in sbaglioni tremendi. Iocredo che dobbiamo andare avantiriconoscendo i nostri limiti, cercando distudiare qualcosa tutti i giorni, mettendotutta la cura che possiamo per i nostri malatie pregando lo Spirito Santo che ci illuminial momento opportuno. Più che paura, cercadi essere sereno. Non ti illudere di guariretutti i malati, soprattutto "primum non

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nuocere" e poi avanti con serenità. Se nonfacciamo così, finiamo a farci venire dellepsicosi e poi non siamo più utili a nessuno.Io penso che probabilmente tu sei giàincanalato nel tuo lavoro cioè hai già unposto dove lavorare, magari come assistentein ospedale ecc. Se hai una inclinazioneparticolare e puoi assecondarla iscrivendotia quella specialità è ottima cosa, perchédomani chi avrà una specialità potrà andareavanti. Altrimenti ti vedrai magari soffiare ilposto da altri magari meno bravi. Non averefretta di metterti in proprio, vedendo lapossibilità di un buon guadagno subito. Titroveresti subito una buona posizione, mapoi non la migliori più e soprattutto nonprogredirai più nella scienza medica perchéti mancherà il tempo di studiare. Mi pareche mi sono lasciato prendere dalla foga didirti qualcosa e ti ho fatto una predica. Nonprenderla come tale, ma solo come consiglibuttati a caso da un tuo fratello maggiore. Inogni modo, ti auguro di trovare presto la tuastrada e di essere missionario nel tuo lavoro.Pensando soprattutto prima all'ammalato.Non riesce a me di fare sempre questo, peròè importante che ci tendiamo con un certosforzo e che non ci lasciamo prendere inprimo piano dall'aspetto economico. Alloraaddio missione medica e ne va di mezzo lavita di tanti malati. (...)Ho visto quest'anno un paio di volte suorAmelia; sta bene e lavora molto. Spero chepresto potrà venire anche lei un po' invacanza a Ronago.A te e a tutti di casa il mio più caro auguriodi bene per l'anno prossimo.Ti assicuro la mia povera preghiera mentrealla vostra pure mi raccomando.Aff.mo P. Giuseppe

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PADRE GIUSEPPE CI PARLA

lettera alle ragazze di II^ e III^ media di Ronago1978: grazie alla sensibilizzazione di unamamma catechista, le ragazze di seconda eterza media scrivono a padre Giuseppe.Ecco la sua risposta.

Kalongo, 26 dicembre 78

arissime della II e III media, millegrazie per la vostra lettera del 26.10e 7.12.78. Il pensiero che voi vi

interessiate dei vostri missionari lontani, micommuove. Quindi doppiamente grazie.Credo che anche suor Amelia sarà moltocontenta del vostro interessamento. Noisiamo a circa 350 Km di distanza e non civediamo mai; saranno forse due o tre anni.Lei poi lavora in una tribù molto piùarretrata della mia, dove sono ancora agliinizi di tutto. Qui invece c'è già un po' diprogresso e vi sono persone istruite. Unodei nostri ragazzi, che era in scuola mediaquando venni io a Kalongo, proprio quiaccanto alla missione, ora è professore diuniversità a Kampala. Mi chiedete se lagente ha capito il messaggio portato daimissionari. Io direi di sì. Ma non si puòpretendere che la religione diventi subitoradicata, come è da noi dopo duemila anni.Ci vuole il passare delle generazioni, ilformarsi di una tradizione. Non pensate chenei nostri paesi abbia fatto diverso.Guardate quante superstizioni ci sonoancora da noi, retaggio del paganesimoprima di duemila anni fa. Però è un fattoche il messaggio qui è stato accolto e

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continua a spandersi come una macchiad'olio. In questa zona i cattolici sono tra il40 e 50%, vi sono pure molti protestanti edancora un buon numero di pagani che apoco alla volta si decidono per unareligione. Anche il cambiamento della vitaavviene, ma lentamente ed è logico che siacosì. Quello che portiamo noi è tuttocontrario alle loro tradizioni. Gli stessiammalati, prima di venire all'ospedale,provano la medicina e i sortilegi dellostregone. E qui poi molti arrivanodoppiamente ammalati, perché ancheintossicati dalla medicina locale. Quantibambini, che guarirebbero con la cura dellamalattia originale, muoiono in ospedale perl'intossicazione avuta dalla medicina locale.Ma non dobbiamo meravigliarci di nulla edaspettare che i cambiamenti progrediscanopoco alla volta. Sarebbe troppo bello e nonlo meriteremmo di cambiare tutto in uncolpo. L'importante è andare avanti concostanza, seminando la buona parola efacendo il proprio dovere. Non importa se ifrutti altri li raccoglierà: questi verrannosenz'altro e tante anime si salveranno. Eccoperché vi sono tanto grato se voi pregate pernoi, perché i cuori è la grazia di Dio che licambia e noi siamo solo dei servi inutili( l'ha detto Gesù nel Vangelo). Per orachiudo. Vi faccio tanti auguri per ilprossimo anno: che sia un anno di grazia edi bene per tutti voi. Vi assicuro anche lamia povera preghiera.Aff.mo P. Giuseppe Ambrosoli.

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SECONDA PARTE

lettere ai familiari

Nel 1977 muore la signora Palmira, mammadi padre Giuseppe. Egli è a Kalongo e subitosi unisce ai suoi fratelli e sorelle con tutto ilsuo affetto, il suo dolore, la sua fede.

Kalongo, 25 novembre ‘77

arissimi fratelli e sorelle, horicevuto il telegramma il 17pomeriggio, proprio quando meno

me lo aspettavo, perché Don Donnini avevavisto la mamma la settimana prima e miaveva detto di averla trovata abbastanzabene. Così sono rimasto in un certo qualmodo ancor più addolorato. Il giornoseguente, dovevo essere a Gulu e così dallacasa Corti ho potuto telefonare a Francescoe sentire degli ultimi giorni della Mamma.In un certo senso contento che non abbiasofferto particolarmente, ma il dolore per laMamma è sempre un gran dolore, anche sein età avanzata, e convinti che tutti prima o

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poi dobbiamo morire. Vi sono molto vicinospiritualmente in questo periodo. Io pregoper la Mamma, ma la penso nella luce diDio assieme al Papà, ad Uli e Nicky, doveaspettano anche noi per riunire un giorno lafamiglia. Penso anzi che la Mamma ciprotegga dal Cielo e mi è già capitato diinvocarla una sera, al ritorno da Gulu, inuna strada che per le piogge era diventataun mare di fango. Peccato che anche Sandroper combinazione sia stato assente in Cile,così eravate a casa appena in cinque, ma insostanza noi tutti vicini e tutti presenti. LaMamma era centro di unione di tutti noi.Ora che non è più a casa, cerchiamo disentirci ancora uniti, come sempre nelcomune affetto dei nostri cari Genitori. Purelontano, sentitemi molto vicino a voi inquesta triste occasione, che deve servirciperò ad unirci ancora di più. Vi lascio conun affettuoso abbraccio.Vostro aff.mo P. Giuseppe.

Nel maggio 1978, P. Giuseppe invia una lungalettera ai suoi familiari. Si legge come si svolgevala sua vita in missione: ogni momento è vissutopienamente e con consapevolezza, così c'è il tempoper il lavoro e la preghiera, per l'aggiornamento ela corrispondenza, e "riposo", anche.

Kalongo, 19 maggio ‘78

a un po' di tempo il lavoro èpossibile, mentre nei mesiprecedenti era veramente troppo.

Siamo sempre impegnati, ma si vive.Adesso poi abbiamo anche il venerdì che è

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festa, fissato dal nostro Presidente perché imusulmani possano avere la loro giornata dipreghiera. C'è il vantaggio che al venerdì,pur guardando un po' i malati, abbiamo unbuon tempo libero, però c'è l'inconvenientedi dover concentrare tutto il lavoro, speciela chirurgia, dal martedì al giovedì edarriviamo al giovedì sera veramente stanchi.Siamo l'unico Stato al mondo con duegiorni e mezzo di festa alla settimana. Ametà aprile andai a Gulu a prendere ladott.ssa Calzia di Genova. Così si è presasubito il reparto di pediatria e noi ci siamosentiti un po' sollevati.

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PADRE GIUSEPPE CI PARLA

Dr. Donnini è ora sempre in giro a curare i suoimalati di lebbra, nei posti più disparati, dovevisita 50-100 malati sotto una pianta per andarea rifugiarsi alla sera in qualche missione e poiricominciare il giorno dopo. Poi torna a passarecon noi il week-end. Così si rifa un po'.Verso il 20 aprile sono andato a Kampala ad unmeeting. Dovevo andare poi a Gulu per gliannuali esercizi spirituali, mi sono fermato duegiorni ad Aber, ospite del P. Tocalli, medico, diMorbegno. Così ho fatto riposo ed ho scritto unpo' di lettere...Al sabato 29 aprile sono tornato a casa perriprendere il solito lavoro.Ora devo terminare, ma vi sono sempre vicinocol pensiero, anche se la corrispondenza è

piuttosto povera, da parte mia.Vi lascio con un caro abbraccio.Aff.mo P. Giuseppe

Aprile 1986: la situazione nel nord Ugandaè difficilissima a causa della guerra.Padre Giuseppe ne è consapevole,ma nello stesso tempo impegnatutte le sue forze per la vita,fa progetti che danno speranza a tutti.

Lira, 13 aprile '86

arissimo Francesco e Tutti, il 4 aprile,con la macchina che tornava daKampala, abbiamo finalmente ricevuto

la posta, dopo ottanta giorni in cui non abbiamopotuto né ricevere né spedire. Ho così ricevutole tue lettere del 9.1 e 10.3 ed altre lettere dacasa. Mi spiace che voi siate stati in pensieroper me. Io non ho mai avuto alcun pericolo.Questo era per gli altri, tutti quelli che inospedale non erano della tribù Acholi. È statauna guerra sofferta. Abbiamo avuto momenti diemergenza e forte tensione. Verso la fine siamoriusciti a mettere sette persone in ospedale colmitra giorno e notte per difendere i non-acholi el'ospedale stesso dai ladri e così siamo stati più

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in pace. Non bastando la guerra, abbiamoavuto, appena dopo la liberazione, nella zonaterribili incursioni di Karimojong, che hannoseminato terrore e morte nella popolazione,rubando animali e tutto ciò che trovavano dirubabile. L'ospedale straripava di genterifugiata e ne è risultato che tanta gente haperso tutto. Nel loro ritorno, i Karimojong sonopassati vicino a Kalongo (lunedì di Pasqua). Inuovi soldati hanno ingaggiato battaglia conloro, sono riusciti a riprendere del bestiame e nehanno uccisi parecchi. La gente comincia ora atirare un po' il fiato ed a pensare a coltivare, maa tanti hanno rubato anche le zappe. Comevedete, quest'anno c'è stato parecchiomovimento. Ora speriamo di avere un po' dipace. Scrivo da Lira; sono venuto qui per unasettimana per un po' di relax, dopo tantatensione. Giovedì 18 torno a Kalongo edinsisterò che anche altri prendano qualchegiorno di relax, dopo tanta tensione. Da partemia, vi sono molto vicino con la preghiera.Vi lascio con un forte abbraccio.P. Giuseppe.

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SECONDA PARTE

lettere a Suor Augusta Della NoceSuor Augusta era infermiera all'ospedaleSant'Anna di Como, caposala al settimo

piano. Attualmente è a Milano

25 novembre 79

ev. suor Augusta, perdoni serispondo solo ora alla sua lettera diPasqua (che arrivò poi in luglio a

causa della guerra). Le mando la circolarecon le notizie di Kalongo.

RLa prego di farla leggere alle suore ed

infermiere che si interessano a raccoglieremateriale e medicine. Qui intanto andiamoavanti e speriamo che il Buon Dio ci aiuti acontinuare. Vedo che anche da voi ledifficoltà non mancano. Dobbiamo staresempre col cuore diritto a Dio e lapossibilità di fare del bene allora c'èsempre. A lei, alla sua superiora, a tutte lesue consorelle un pensiero riconoscente etanti auguri natalizi nella preghiera.Dev.mo P. Giuseppe Ambrosoli

26 dicembre '81

ev. suor Augusta, non so propriocome chiedere scusa per tantosilenzio. È da tanti mesi che le

dovevo scrivere... Ho qui ancora la sualettera del 15.3.81. Mille grazie per quantomi scrive. Sono certo che lei continua asacrificarsi per Kalongo. Le garze (quelleche lei lava e ci impacca) sonopreziosissime e ci servono molto. Non sose è ancora all'ultimo piano, dai pazientiprivati. Spero che il lavoro le dia un po' disoddisfazione. Io penso che qualunquelavoro si faccia, se si fa con amore ededizione, oltre ad essere meritorio, vi sitrovano sempre delle soddisfazioni. Illavoro qui va avanti abbastanza bene. Alledifficoltà ci si abitua. Il cielo è ancora

Rpieno di nubi, ma al momento siamo calmi.Io continuo il mio cammino nello studio emisera ricerca di avvicinarmi un po' al DeFoucauld. Misera perché lui è troppo inalto ed io sono un povero peccatore. Mipare solo di pregare un po' di più e diessere più contento quando c'è un piccolosacrificio da portare. Lei preghi perchénonostante il mio tirare indietro, la graziadi Dio riesca a fare qualcosa in questopezzo di sughero. Spero che la suacomunità vada avanti, soprattutto nellospirito. Io sono loro vicino con la miapovera preghiera. Tanti auguri di BuonNatale e Nuovo Anno. Gesù sia semprevicino a loro, presente a loro,continuamente.Dev.mo P. Giuseppe Ambrosoli

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PADRE GIUSEPPE ci PARLA

24 febbraio '84

(...) Per Natale ero a letto ammalato.Poteva venire un'altra nefrite, invece, graziea Dio, tutto si è risolto per il meglio. Ma èstato ugualmente un Bel Natale, basta cheuno si convinca che fare la volontà di Dio,predicando o stando a letto, è esattamente lastessa cosa. Ora sto di nuovo bene e mi sentoin forma, salvo che vedo che i renifunzionano poco, perché alla sera, ancheavendo fatto poco, sono parecchio stanco.

Sarei però già molto contento di poter andareavanti così. In questo mese infatti ho tiratoavanti io il reparto chirurgico, perché ilchirurgo veneziano è andato ad aiutare unaltro ospedale, dove c'era un solo medico eche non fa chirurgia. (...) Vi sono tantovicino con la mia povera preghiera. Anchealla vostra raccomando questo ospedale e noitutti. Gesù ci aiuti ad essere sempre generosie a dare a Lui non quello che vogliamo noi,ma quello che Lui vuoi prenderci.Dev. P. Giuseppe

20 gennaio '85

ev. suor Augusta, è arrivato qui ilsignor Cavalieri e con tanto piacereho avuto notizie sue, di Como ed

anche dei lettini che sono stati spediti. Mi haportato anche il porta aghi per il qualeringrazio tanto. Così mi è arrivata unaventata di Como e di casa. Sento che lei hafatto tanto e oltre ai letti ha ottenuto i portabottiglie flebo ed un piano inclinato pertrazioni gamba, che ci sarà prezioso.Abbiamo cominciato un anno nuovo, "un

Ranno da vivere con un amore nuovo perLui". In questo senso le faccio tanti auguri.Lui ci aiuti a realizzare un anno così. Quindipreghiamo insieme per questo scopo. IlNatale è passato calmo e bene. Sto facendodelle belle sciatalgie. In dicembre una mi èvenuta e mi è passata in pochi giorni. Ora ètornata e stenta ad andarsene. Almeno cosìc'è qualcosa da offrire. Ringrazi la suasuperiora, le Consorelle per il loro aiuto. Atutte chiedo una preghiera. Ancora grazie ditutto. La Madonna la benedica.P. Giuseppe Ambrosoli

Suor Augusta viene trasferita in provincia di Benevento. Padre Giuseppe, con grande delicatezza e umanità, vuole sostenerlain questo nuovo ambiente.

27 novembre '85

ev. suor Augusta, (...) Ho pensato alei in questo periodo, perché so che ènella sua nuova "missione". Prego

per lei, perché tutti gli inizi hanno le lorodifficoltà. Coraggio però sempre. Selavoriamo per il Signore non c'è mai nulla di

R

male. Tutto può servire a gloria sua e benenostro. Ricordo con riconoscenza tutto ilbene che ha fatto per Kalongo, cominciandodall'assistenza che ha avuto per me, daquando ero suo paziente al Sant'Anna. Anchelei preghi e faccia pregare per noi, perl'Uganda, perché qui la situazione è tutt'altroche rosea. Gesù le sia vicino e le facciasentire la gioia di lavorare solo per Lui. Èquesto l'augurio che le faccio assieme allamia povera preghiera.Dev.mo P. Giuseppe Ambrosoli

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SECONDA PARTE

lettere a Suor Augusta Della Noce

In calce alla circolare inviata a tutti gli amici, nell'anno "il più difficile in trent'anni a Kalongo" scrive di suo pugno per l'ultima volta a suor Augusta:

25 novembre '86

ede quanti guai abbiamo avuto! E nonne siamo ancora fuori. Chieda anchealle sue suore di pregare tanto per

noi. A loro tutte auguro ogni bene. GesùBambino la benedica.

VP. Giuseppe Ambrosoli

lettere al GAM GAM. è la sigla del Gruppo AppoggioMissionario di Ronago, nato nel 1970

proprio per essere vicini, come comunità, spiritualmente ed economicamente,ai missionari locali: suor Amelia Ghielmetti

e Padre Giuseppe Ambrosoli.

Kalongo, 18 maggio '82

arissimi del GAM, perdonate se nonvi scrivo mai. So da mio fratelloFrancesco che tra la fine dello scorso

anno e l'inizio di quest'anno gli avete versato£ 150.000 e un milione per Kalongo.

CNon ho parole per ringraziarvi di questogrande aiuto. Vi ringrazio anche del pensierocostante che avete per i vostri missionari.Veramente siamo pochi, solo due, e c'è unproverbio agricolo che dice che quando ilraccolto è misero è cattiva anche la qualità.Questo purtroppo è vero nel mio caso. E

spero che Sr. Amelia non me ne avrà a male,perché lei fa l'eccezione, mentre io faccio laregola. Son certo che andate avanti a trovarviogni tanto per una preghiera per i missionarie ve ne ringrazio di cuore.Questa è la cosa più importante. Abbiamogran bisogno che il Signore della messe ciaiuti specialmente in questo periodo.L'Uganda sta attraversando un periodocritico di assestamento, un periodo di dopo-guerra. E tutte le guerre favoriscono levendette, la delinquenza, la malavita. Lagrande ferita della guerra del '79 è stata quila coscienza di tutti. È una ferita che non sirimargina da sola e per la quale ci vuolemolto tempo. Quindi voi pregate e questosarà il più grande aiuto che potete darci.Termino assicurandovi che anch'io vi ricordonella mia povera preghiera. Vi mando la miabenedizione, anche se di povero prete.Vostro aff.mo P. Giuseppe

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PADRE GIUSEPPE ci PARLA

L'anno seguente, il 1983, padre Giuseppe è a Ronago e, per esaudire una richiesta, scrive al GAM ciò che ha nel cuore.

arissimi del GAM, sono a casa perun breve periodo. Dovendo ilciclostilato del GAM uscire a

giorni, mi hanno chiesto di rivolgervi unpensiero.

CComincio col ringraziarvi per quello chefate per i vostri missionari, soprattutto per ivostri incontri di preghiera. Abbiamo tantobisogno di aiuto di Dio, più che di mezzimateriali.I missionari che vanno ad annunciare ilVangelo e piantare la Chiesa, sentono oggipiù che mai la provvisorietà della loropermanenza nei paesi in cui lavorano.Basta una ragione politica, l'adesione aduna ideologia atea o semplicementel'improvviso e irragionevole gesto di undittatore per trovarsi a fare le valigie inpoche ore. Questo non riduce néinfiacchisce il lavoro dei missionari, cheanzi proprio per questo sentono il bisognodi intensificare ed affrettarel'evangelizzazione e capiscono megliol'importanza di lavorare cercando solo lagloria di Dio, senza attaccarsi a persone,cose o a posizioni di favore.Per tutto questo però occorre fortemente laloro e nostra costante preghiera. Solo Dio,datore di ogni bene, può compiere ilmiracolo di far continuare e fecondare illoro apostolato in terra di Missione.Per la cronaca: a Kalongo in questi ultimianni il lavoro è andato avanti abbastanzaregolarmente. L'ospedale ha lavorato apieno ritmo, la sua zona di influenza efiducia si è andata estendendo. Nonostantela crisi economica del paese, grazie a Diole medicine essenziali non ci sono mai

mancate. Speriamo che anche l'influenzaspirituale dell'ospedale missionario nonvenga mai meno.Non mancano le quotidiane difficoltà ed èacuta la necessità di medici (al momentosolo tre, con 280 posti letto ed unambulatorio per esterni molto affollato),ma si lavora in un clima abbastanza serenoe di fiducia nell'aiuto di Dio.Termino ringraziandovi ancora edassicurando che quello che fate inpreghiera e opere per i vostri missionari ele nostre missioni non è a fondo perso:dall'Africa c'è un ritorno di grazia a voi, dirimbalzo, via satellite divino ed eterno, unarestituzione naturale, ma centuplicata,come fu promesso dal Signore Gesù. LaMadonna, Regina Africae, vi benedica!Vostro P. Giuseppe Ambrosoli

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SECONDA PARTE

lettera a Don Antonio

Nel 1986, a causa della guerra, lamissione è bloccata per quasi tre mesi.Appena possibile, in aprile scrive aifamiliari, agli amici e al nostro Parrocodi allora, Don Antonio Fraquelli.

Kalongo, 15 aprile '86

arissimo Don Antonio, (...) ora pareche tutto sia finito, ma c'è tantasofferenza e miseria intorno a noi. È

l'esercito della nostra tribù che ha perso.Prima avevano il comando del paese(ingiusto!), ora hanno perso tutto. Abbiamoavuto tanti feriti da curare in questi mesi.Ora speriamo di riprendere un lavororegolare, ma abbiamo tanto bisogno dall'altoe chiedo a te ed alla parrocchia uno specialericordo nella preghiera.

C

Ho avuto la notizia della morte di Don CarloGhielmetti. Si dovrebbe dire che è andato inParadiso colle scarpe. Credo che Ronago ePonte Chiasso abbiano un nuovo protettore.Spero che tu sia stato bene in questi primimesi dell'anno, periodo di intenso lavoropastorale. La Pasqua conclude un periodoforte. Noi a Pasqua eravamo completamente"per aria" tra l'occupazione dei nuovi militarie le incursioni Karimojong. La gente, che erasbattuta di qua e di là, ha ugualmentepartecipato in massa alla festa religiosa. Inquei giorni, a ondate l'ospedale si riempivadi gente che veniva a rifugiarsi. Ad ognimodo siamo vivi e ne ringraziamo il Signore.Questo dovrebbe farci pensare alla fragilitàdella nostra vita e quanto dobbiamo stareuniti al Signore e lavorare per lui, il che èl'unica cosa che conta!Con questo pensiero ti lascio fraternamente.P. Giuseppe Ambrosoli

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PADRE GIUSEPPE ci PARLA

lettera ad Angelo BedettiAngelo Bedetti di Albiolo, un amico di gioventù, del Cenacolo,catechista in parrocchia.

Kalongo, 2 luglio '85

arissimo Angelo, perdonami serispondo solo ora al tuo scritto diNatale. Mille grazie per il tuo

fraterno pensiero. Mi parli di acciacchi.Dobbiamo andare avanti dando gloria aDio anche con i nostri acciacchi. Io ho ireni che funzionano poco, dopo la nefritedi tre anni fa. Riesco però ancora alavorare discretamente. Sarò nel mese disettembre a Ronago per fare un po' diesami sulla funzionalità renale e vederequello che mi permetteranno di fare. Speroanche di vederti. Intanto teniamoci unitinella preghiera. Ti prego di salutarmi tantoFelice e tutti gli altri vecchi amici. LaMadonna benedica te con i tuoi ragazzi dicatechismo.

C

Aff.mo P. Giuseppe

L'anno seguente, pur in mezzo alla guerra, non perde la speranza nella Pace che solo Dio può concedere.

Kalongo, 4 marzo '86

(...) Qui siamo in piena guerra da quasi duemesi. Il fronte sta venendo dalle nostreparti, ma qui siamo così fuori mano chesperiamo non verranno a combattere.

Ad ogni modo, abbiamo tanti soldati feritiin ospedale. Abbiamo tempi molto duri.Speriamo che il Buon Dio ci aiuti ad averepresto la pace. A te e ai tuoi ragazzi chiedodi pregare per questa povera Ugandatravagliata. Si avvicina la Pasqua. A te,(anche a Felice e ai vecchi amici) e a tutti ituoi ragazzi faccio tanti auguri. GesùRisorto vi benedica e vi aiuti nella vostrastrada. Con molto affetto, P. Giuseppe

Per la S. Pasqua:(...) Ieri sono finalmente arrivati i

"liberatori". Ora speriamo nella pace.

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SECONDA PARTE

lettera a Elisabetta Bernasconi PastoriPadre Giuseppe le rivolge un pensieroriconoscente, sempre ricordando quello chelei ha fatto per lui nel periodo dellamalattia, nel 1982 e la mette al corrente dicome va la salute.

Kalongo, 8 settembre '84

arissima Elisabetta, è da tempo chepensavo di scriverle e risponderealla sua lettera del 2.12.83. Mi

perdoni il tanto ritardo. Grazie per quelloche mi ha scritto allora. Ma se ha tantoincenso, non lo usi per me, ma lo porti inchiesa, a gloria di Dio! (...) Io sono quiormai da poco più di un anno. Sto bene,senza essere brillante. Posso però faremeno di una volta. Ogni tanto mi saltaaddosso qualche male e devo fare qualchegiorno a letto. Considero però una grande

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grazia già il fatto di poter essere qui etenere le redini di questo ospedaletto, contutti i suoi problemi. Per il mangiare, lasuora della cucina ha molta attenzione perme. Mi manda 1a minestra senza sale, poisempre un po' di patate bollite, a ciòaggiungo io un po' di cipolla cruda perdarci un po' di sapore. Prendo un pezzettodi carne a mezzogiorno ed un uovo più omeno sodo alla sera. Così le ho detto tuttoil mio menù. Grazie della torta che miavrebbe volentieri mandato e io la gradiscocome se l'avessi già ricevuta. Spero ancheAngelo bene. Me lo saluti tanto. Quandolei si ricorda, le chiedo una preghiera perme e Kalongo.Anch'io le assicuro di pregare per lei.Aff.mo P. Giuseppe

lettera a SerafinoSerafino Cavalieri è un falegname diPrestino.Questa breve lettera è una delle ultimescritte da Kalongo, occupata già daimilitari.

arissimi Serafino e Pietro, hoappena sentito alla radio chearriverete fra due giorni a Kampala.C

Sono tanto contento di sapervi presto vicinia Gulu. Quest'anno però non ci potremovedere. Noi siamo praticamente bloccatiqui dalla guerriglia. Spero che abbiatericevuto la mia lettera natalizia. Se no,dovreste trovarla da leggere a Lacor. Vispero bene, voi e le vostre famiglie.Teniamoci uniti nella preghiera.Con affetto.Vostro P. Giuseppe Ambrosoli

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PADRE GIUSEPPE ci PARLA

corrispondenze con Suor MatildeSuor Matilde era assegnata al reparto ditraumatologia. Continua, dopo la partenzadi Suor Augusta, i rapporti con l'ospedale diKalongo a nome delle suore e delleinfermiere dell'ospedale di Sant'Anna aComo.A lei P. Giuseppe spedisce le circolari con lenotizie di Kalongo nell'86 e 87, e purnell'emergenza della guerra aggiunge dì suopugno ciò che può interessarla, chiedendocon insistenza di pregare.

25 novembre '86

lla la Madre Superiora e a tutte lesuore. Abbiamo tanto bisognodelle vostre preghiere. Vi auguro

ogni bene nell'amore di Gesù Bambino.A

20 dicembre 1986

l Dott. Carlo Marino è tornatoportandoci la sua gradita lettera. Millegrazie. Ringrazio in particolare per il

loro aiuto di raccolta.I20 dicembre 1986

bbiamo ottenuto ospitalità per lascuola convitto all'ospedalemissionario di Angal nel nord-

ovest dell'Uganda. Cercheremo di mandareavanti questa scuola nell'attesa di tornare aKalongo! A lei, alla Madre Superiora, atutte chiedo di pregare tanto per noi. Conriconoscenza.

A

P. Giuseppe Ambrosoli

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SECONDA PARTE

lettere circolariOgni anno, per gli auguri di buon Natale,Giuseppe scriveva una lettera circolareche mandava a tutti gli amici e sostenitori,con le notizie riguardanti l'andamentodell'ospedale, le necessità piccole e grandie, negli ultimi anni, la difficile e tragica

situazione politica e militare.Fa eccezione la lettera circolare del luglio

1980, scritta dopo un periodo di carestia,che causò nell'Uganda fame e morte.

20 luglio '80

arissimi, sono già passati diecigiorni dal mio ritorno a Kalongo.Penso a tutto quello che avete fatto

per me e vi ringrazio di cuore. Qui c'èmolta più calma, ma non certo il pensierodi riposarsi, perché c'è il lavoro cheincalza. Al momento siamo praticamente indue medici, ancora per una settimana, poisaremo almeno in tre.

C

Ho trovato una situazione molto pesante difame e di colera. Qui si aspettano i raccoltifra qualche settimana, e quindi lasituazione si risolverà. Ma intanto si èaccentuata in modo tragico. Gente sparuta,che sta in piedi a malapena e che arriva allamissione chiedendo qualcosa da mangiare.Quando arrivai, il nostro camion era fermoper un guasto alla frizione: ma a Kampalami avevano dato i pezzi da cambiare (nonnuovi). Così hanno subito rimesso a postoil motore e questa settimana il camion hafatto tre viaggi a Gulu a prendere farina edun po' di olio. Così oggi si sono potutidistribuire più di 100 quintali di farina digranoturco nella zona dove la fame è piùterribile. Ma abbiamo intorno a noi, nelgiro di 30 km, una popolazione di 30.000abitanti. A Gulu è arrivata tanta farina, manon hanno i mezzi di trasporto per

mandarla qui e nelle zone vicine a noi,perché c'è un'area vasta di 100.000 personenegli Acioli con gran fame. In tutto ilKaramoja poi, muoiono di fame. Làdovrebbero arrivare aiuti per altra via, masiamo poco al corrente.Mercoledì scorso sono stato a 30 km daqua a vedere i bambini e ne ho portati acasa 35 con la Land Rover. Ma avreipotuto portarne più di cento. Le loro costepotrebbero servire da corde di violino.Faceva impressione vedere le mamme chesupplicavano di portarli via, perché sannoche qui diamo loro da mangiare ed in unpo' di tempo ritornano a parvenze umane.Di questi bambini ne abbiamo portati ascaglioni 200. Vorremmo cercare di faredei turni per riportarli a casa loro incondizioni di poter resistere ancora qualchesettimana e così prendiamo gli altri piùbrutti. Certo che è una cosa molto penosa.E vederli con che avidità prendono i primipasti di polenta.Su tutto questo quadro già triste imperversail colera. Qui sono state distribuite in unpaio di giorni circa 200.000 capsule ditetraciclina, ed il male si è quasi fermato,per poi riprendere con più calma, mainesorabile. Abbiamo adibito un repartinodi 20 letti con una tela cerata sulla retemetallica ed un lenzuolo sopra l'ammalato.Li ho visti arrivare con un filo di vita,disidratati al massimo, con gli occhiinfossati che pare vogliano uscire dietro latesta. Basta mettere un ago in una vena egettare dentro un litro di acqua e sali a granvelocità, e si vede il polso tornare e la vitariprendere. Poi, cura con tetraciclina ed intre giorni molti sono già in grado dilasciare l'ospedale. Su 150 di questiricoverati, ne

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PADRE GIUSEPPE ci PARLA

abbiamo persi tre, morti proprio mentreentravano, e tre per complicazioni. Ieri unadonna è morta lungo la strada e ci hannoportato il suo bambino di quattro mesi datenere qua. Vari casi si sentono di malatimorti nei loro villaggi. Moltissimi malatiarrivano in ospedale per diarrea, che inquesto caso sarebbe una forma frusta dicolera. Le epidemie di colera tendono adesaurirsi da sole. Speriamo che il buon Dioaiuti questa nostra gente ad uscire fuori dauna prova così pesante.In verità bisogna dire che le organizzazioni

mondiali stanno lavorando per questaemergenza.Il difficile è fare arrivare il cibo sul posto.A Kampala un italiano della CEE mi avevaassicurato di mandare un camion con 90quintali di biscotti-gallette, prodotti 15 annifa in Olanda, ma ancora buoni. Purtroppoquesto camion non è ancora arrivato, ma cisarà molto utile. Così pure io penso che èquesto il momento per noi di essere il piùutile possibile a questa nostra gente, cosìprovata.P. Giuseppe Ambrosoli.

Le circolari dell'84 e 85 ci mostranoi molteplici aspetti della vita dell'ospedaledi Kalongo, a cui P. Giuseppe dovevapensareoltre alla cura dei malati:l'avvicendamentodei medici, gli apparecchi e il materialesanitario, i lavori per l'ampliamentodell'ospedale,i rapporti con le autorità e gli organismi

25 novembre '84

’ospedale di Kalongo, senza tanto rumore,ha fatto un altro anno di cammino,lavorando per queste nostre popolazioni

africane del nord Uganda. Molti hanno trovatoqui la salute, molti sono tornati alle loro capannemigliorati nella loro malattia, alcuni purtropposono morti in ospedale, nonostante le cure: tuttiperò vorremmo che avessero lasciato l'ospedalecon il ricordo della nostra fraterna comprensionee simpatia e ... amore. È questo il lato umano,tanto importante ovunque, ma soprattutto in unospedale missionario. Purtroppo dobbiamoriconoscere i nostri limiti e le nostre mancanzeanche in questo campo.

L

... In marzo abbiamo ricevuto due containers conmateriale ospedaliero e medicine. Altri duecontainers sono arrivati in settembre dopo ben

sei mesi di viaggio e tante difficoltà, qui, per losdoganamento. Così parecchio materiale emedicine raccolte a casa mia sono già in uso. Unaltro container è in viaggio e ci porta, tra l'altro,un apparecchio radiologico portatile,amplificatore di brillanza, che ci è stato cedutodi seconda mano dall'ospedale San Paolo diMilano. Ci sarà di notevole aiuto in salaoperatoria, soprattutto per la chirurgiaortopedica. Durante quest'anno i lavori percostruzioni sono andati un po' a rilento. Il repartobambini malnutriti è già a buon punto e potràentrare in funzione a gennaio. Siamo in difficoltàper trovare cemento ed altri materiali di primanecessità per le costruzioni, impianti idrici, ecc.Gli impianti elettrici, invece, ci sono staticompletamente rinnovati e messi in ordine dalsignor Mario Mazzoleni di Ardesie (BG), che èvenuto qui a lavorare tre volte per un mese e ciha procurato molto materiale elettrico.... Io ringrazio il buon Dio di aver potuto fareanche quest'anno la mia parte di lavoro, sia pureridotta, a causa della insufficienza renale. Cercodi mantenermi nei giusti limiti, mentre considerogià una grande grazia il poter essere ancora inmissione e fare qualcosa per questi nostriammalati.A tutti i miei migliori auguri di buon Natale,assicurandovi della mia preghiera, perché ilSignore benedica voi, le vostre famiglie ed ilvostro lavoro.Aff.mo P. Giuseppe.

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SECONDA PARTE

lettere e circolari

25 novembre '85

arissimo Serafino, siamo partitiall'inizio dell'anno con moltiprogrammi e molte speranze. Ora

siamo alla fine di questi dodici mesi erileviamo una volta ancora come i progettiumani patiscano il gioco di avvenimentiimprevedibili. Così è stato per i programmi dilavoro e sviluppo dell'ospedale di Kalongo.

C

In luglio è cominciata l'emergenza politico-militare che ha portato alla caduta del governodi Obote. È stato un mese di incertezze,tensioni, impossibilità di muoversi a causadelle strade pericolose o bloccate. Ci è stata dinotevole aiuto la radio interna tra i nostriospedali, la Procura dei Comboniani el'Ambasciata Italiana di Kampala. Questiimpianti radio sono stati realizzati dal governoitaliano dopo l'esperienza della guerra diliberazione da Amin del 1979.In agosto sembrava che tutto potesseriprendere per il meglio, ma i partigiani cheoccupano una buona parte del sud-ovestdell'Uganda non hanno accettato la nuovasituazione, volendo anche loro avere parteattiva nel nuovo governo. I primi tentativi ditrattative sono falliti. Ora stanno discutendo,ma non c'è ancora un accordo e non sappiamoa quali conclusioni approderanno. Abbiamocosì avuto un periodo di incertezze con alcunifatti di guerriglia al sud e un paesepraticamente paralizzato. Sentiamo il dovere didare il nostro apporto perché il paese che ciospita approdi alla pace; non vediamocontributo migliore che chiederne l'interventoal Buon Dio.Di conseguenza abbiamo avuto un lungoperiodo con mancanza quasi assoluta di malatiche vengono da lontano. Molta chirurgia diguerra per soldati feriti. Anche il lavoro fuoridall'ospedale ha subito forti rallentamenti.Abbiamo potuto fare solo due giri completi di

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PADRE GIUSEPPE ci PARLA

vaccinazioni invece di tre.L'assistenza ambulatoriale che prestiamo adAlekan (70 km da Kalongo, vicino al Sudan),zona completamente priva di assistenzasanitaria, ha subito varie interruzioni.Nonostante queste difficoltà, l'attività è semprecontinuata. Per quella edilizia: degli 11appartamenti per 20 infermiere qualificate, 5sono finiti ed abitati; gli altri 6 sono già in fasedi avanzata costruzione.Ha dovuto invece segnare il passo lacostruzione del reparto bambini malnutriti. Perlungo tempo infatti il cemento era introvabile;alla fine si è dovuto ricorrere a quello moltopiù costoso proveniente da 1400 km(Mombasa, Kenya). Tuttavia questo piccoloreparto è stato realizzato temporaneamentenella corsia già adibita al morbillo. Questa,con 10 lettini, era praticamente chiusa dato chele vaccinazioni a tappeto nella zona avevanoridotto quasi a zero l'incidenza della malattiache in passato era la prima causa di mortalitàinfantile. Per quanto riguarda le attrezzature,abbiamo ricevuto in febbraio due apparecchiproduttori di ossigeno. Ci resta ancora ilproblema di poter immagazzinare questoprezioso gas per usarlo nelle ore (circa 18 algiorno) in cui non abbiamo la correnteelettrica. Ci sono grosse difficoltà tecniche, maspero che ci venga incontro la Vestal ChimicaItaliana di Trieste. È arrivato anchel'apparecchio radiologico con televisore che hagià permesso di eseguire con immediatocontrollo operazioni ortopediche e riduzioni difratture. Da maggio è in funzione il secondoanemometro (misuratore del vento), perstudiare la possibilità di sfruttare questaenergia per corrente elettrica. Occorronododici mesi per una valutazione globalecorretta.Nel corso dell'anno sono arrivati tre containercon quasi 100 quintali di carico ognuno. Anchese non è tutta mercé per Kalongo, sono ognivolta un forte apporto di materiale, medicine,

ecc. per l'ospedale.Nei primi quattro mesi dell'anno sono partiti, afine del loro contratto, i Dott. Blè, Cosulich eSquillaci. Sono arrivati per uguale contratto iDott. Carlo Marino (ortopedico), GiulianoRizzardini e Romano Linguerri con le loromogli. I medici invece che sono venuti a dareun aiuto per un mese circa sono stati pochi acausa della situazione politica del Paese. Io hopotuto fare un periodo in Italia, da metà agostoa fine ottobre. Mi sono sottoposto a vari esamisulla funzionalità renale. Ne è risultata unainsufficienza moderata, non peggiorata, chedovrebbe permettermi di continuare a lavorare,purché con discrezione. Non sono inveceriuscito a contattare tutte quelle persone chedesideravo e dovevo, perché il tempo mi èsfuggito di mano rapidamente. Ho potuto inogni modo risolvere problemi e combinareacquisti per l'ospedale, trovando anche aiutieconomici da amici e conoscenti.Gli altri medici, Dott. don Donini, Dott.Tacconi, Dott. Angelucci; le SuoreComboniane (di cui una da poco arrivata,messicana, dentista), le Suore ugandesi ed ilpersonale infermieristico continuano il lorolavoro con la dedizione di sempre.Vorremmo che questo ospedale fosse il centrodove i malati possano ricuperare salute fisica,trovare un pensiero cristiano e serenitàspirituale.Ci sta molto a cuore pure la ripresa morale edeconomica del Paese: ma queste sono impreseche sfuggono alle nostre possibilità; pertantochiediamo la vostra collaborazione di richiestaal Buon Dio. Anche a nome dei nostriammalati e di tutto il personale, ringrazio tutticoloro che hanno cooperato a raccoglieremateriale ed aiuti per l'ospedale. A tuttiinviamo il nostro più sincero augurio di buonNatale: Gesù che rinnova la sua venuta inmezzo a noi, ci faccia accogliere i suoidesideri di bene e ci aiuti a realizzarli.Fraternamente, P. Giuseppe.

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SECONDA PARTE

esodo da Kalongo20 febbraio '87

stata chiusa la missione di Kalongo dopo53 anni di lavoro missionario dievangelizzazione, di promozione umana

a tutti i livelli, in particolare in campoeducativo, sanitario e nella preparazione diostetriche qualificate.

ÈFu questo l'epilogo di lotte politiche e socialiche hanno travagliato il nord Uganda e tutto ilPaese dal luglio 1985, quando le truppe di TitoOkello occupavano la capitale. Il suo governodurava solo sei mesi, fino al 27.1.86, quandol'esercito di Resistenza Nazionale (N.R.A.) cona capo Museveni, attuale presidente,conquistava il potere e dava inizio a questanuova pagina della storia d'Uganda.A Kalongo le truppe N.R.A. arrivarono allavigilia di Pasqua 1986, accolte dallapopolazione con timore e speranza.Noi continuavamo a mantenerci neutrali e agarantire aiuto sanitario umano a tutti, secondolo spirito missionario.All'inizio la loro presenza ed i loro rapporticon il popolo Acioli sembravano dimostrareche un cammino assieme era possibile al disopra del tribalismo. Invece, nei mesi seguenti,focolai di guerriglia cominciavano a sorgerequa e là nella nostra zona. Il 28 agosto letruppe N.R.A. lasciavano Kalongo. Il giornodopo arrivavano i guerriglieri, ai quali pure perdue mesi abbiamo dato il nostro servizio conlo stesso spirito e la stessa disponibilità disempre. È stato questo un periodo difficile pertutti noi, perché avevamo il fronte nella vicinaPatongo: molti erano i feriti che arrivavano,molte le voci allarmanti, molta la tensione el'incertezza.Il 21 ottobre 1986, alla notizia che il fronte diPatongo era crollato e che le truppe N.R.A.stavano ritornando, in pochi minuti, pazienti ecivili hanno lasciato l'ospedale e il villaggio,rifugiandosi nella savana. Il giorno seguente

dette truppe entravano di nuovo a Kalongo.Abbiamo subito notato come il loroatteggiamento nei nostri confronti fossecambiato. Appena arrivati ci hanno tolto laradio trasmittente. In seguito, diverse sonostate le accuse spesso infondate ed assurderivolteci, due le minuziose perquisizioni inospedale e in tutte le nostre case, costante ildisturbo ai pazienti dell'ospedale e la presenzaarmata dei soldati nelle corsie. Nonostante ilclima di tensione, il nostro atteggiamento èsempre stato improntato alla ricerca di undialogo.Il 7.2.87 alle ore 18.00 tutti noi europeivenivamo invitati a presentarci entro setteminuti ad un incontro con il comandante dibrigata. In poche parole ci ha detto chedovevamo lasciare Kalongo e trasferirci a Liraportando via tutto il possibile. Per qualcheminuto nessuno di noi è riuscito a trovareparole. Ancora increduli, ci siamo ritrovatiqualche minuto dopo per la messa vespertinadel sabato. Alla preghiera dei fedeli c'è statoun unico grido: "Signore aumenta in noi lafede, donaci forza per compiere la tua volontà,proteggi il nostro popolo, donaci la pace". Lanotte stessa abbiamo cominciato a preparare inostri bagagli.Lunedì 9.2.87 partiva un primo convoglio diquattro camion, due suore, un padre ed il Dott.Tacconi e famiglia. Dopo cinque ore di stradaa passo d'uomo veniva l'ordine di rientrare aKalongo: i guerriglieri si erano appostati nelvillaggio di Patongo per impedire che ilconvoglio proseguisse per la sua strada.L'ordine di evacuazione però non venivacambiato e ci invitavano a continuare ipreparativi. Per quattro giorni siamo rimasticon il dubbio di quale sarebbe stato il nostrodestino. Volevano che preparassimospecialmente cibo e medicinali, che, se lasciatiin loco, avrebbero aiutato i guerriglieri.Il 13.2.87 alle 4.00 del mattino arrivavano

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PADRE GIUSEPPE ci PARLA

sedici camion ed un battaglione di soldati. Civeniva ordinato di caricare immediatamentequanto avevamo preparato, poiché subito doposaremmo partiti. Abbiamo lavoratoininterrottamente fino alle 3.00 pomeridiane inmezzo ad una confusione indescrivibile, tra lelacrime e la profonda tristezza nel vedere ilpreludio di quella che poteva essere ladistruzione di Kalongo. Verso le 15.00 sullastrada che da Kalongo porta a Patongocominciava a formarsi una lunga fila diautomezzi pronti a partire (34 autovetture ecamion, 1500 tra soldati e civili). Mentre ilconvoglio lungo due km incominciava amuoversi, alle nostre spalle vedevamo salireuna colonna di fumo nero; erano sacchi dimiglio e granoturco, fagioli, ecc., comperati invista della fame e rimasti là per mancanza dimezzi di trasporto, che bruciavano neimagazzini e contenitori. E così pure lemedicine rimaste. Era l'ultima "operazione"dei soldati prima di lasciare Kalongo.Lentamente, a singhiozzo, la carovana aserpente si snodava sulle difficili strade dellasavana. In noi c'era il nodo alla gola insiemealla tensione e paura per eventuali imboscateda parte dei guerriglieri. Questa tensione eraaccresciuta dal fatto che le nostre macchineerano alternate ai camion militari carichi disoldati e dalle sparatorie che qua e là venivanofatte dai soldati stessi con lo scopo dispaventare i guerriglieri. Saremmo poi venuti asapere che un forte gruppo di questi, appostatia Patongo, non avevano attaccato il convoglioper non fare del male a noi. Dopo dieci orearrivammo a Patongo; si sperava di poter fareuna breve sosta per dissetarci, ma questo ci funegato. I Padri di Patongo, che dovevanoaggregarsi al nostro convoglio, venivanolasciati nella loro missione: sarebbero partiti ilgiorno dopo.Alle 3.30 del mattino, sotto il cielo illuminatodalla luna piena, mentre eravamo fermi a causa

di un camion carico di donne e bambini cherischiava di rovesciarsi, ci furono degli spariverso di noi dalla savana. Nell'infernalerumore della risposta difensiva, molti di noi sisono buttati a terra sperando di salvarsi e dipotersi rialzare. Un soldato veniva colpito persbaglio da un suo compagno e moriva in pochiminuti. Dopo circa mezz'ora, ancora impauriti,ricominciavamo a muoverci. Venivamo asapere che sotto a un camion una donna, cheaveva già incominciato il suo travaglio aKalongo, partoriva una bella bambina cheveniva chiamata "Caterina Convoglio". Vita emorte continuavano anche in questo viaggio.Dopo ventuno ore di polvere, sete, angoscia,paura e tanta stanchezza, finalmentearrivavamo a Lira. Non era però ancora finita:dovevamo preoccuparci di recuperare i camioncon medicine e materiale, che qualche soldatoaveva tentato di dirottare, dovevamopreoccuparci degli ammalati che avevamoportato con noi, pensare a scaricare eriordinare tutto. Quello che ci consolava e ciaiutava a continuare era il vedere la grandebontà e carità di tutti nell'accoglierci edaiutarci.Dopo una notte di riposo, il mattino venivadedicato a degli incontri per decidere il futurodi ognuno di noi. Molti missionari venivanorimpatriati per qualche mese di vacanza, alcunidi noi venivano invece mandati ad aiutare inaltre missioni ed ospedali.Per il momento il nostro problema prioritario èdi poter continuare la scuola ostetriche, pernon interrompere i corsi. Pensiamo ditrasferirla in un ospedale missionario che ciospiti, probabilmente Angal, nel nord-ovestdell'Uganda (West Nile).Preghiamo e speriamo che la pace torni prestoin Uganda, perché solo così il popolo ugandesetroverà la sua libertà di vita ed il benesserefisico e morale cui ha diritto.P. Giuseppe.

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SECONDA PARTE

fax all'A.V.S.I. (organismo di aiuto di Cesena)

P. Giuseppe alla fine di febbraio riesce asistemare ad Angal la scuola ostetriche e neda notizia con un fax agli organismi cheaiutavano l'ospedale. È l'ultimo viaggio interra d'Africa prima di ritornare in aereo epoi in camion a Lira. È l'estrema "fatica" diP. Giuseppe che permette alla scuolaostetriche di continuare, anche oggi, lapromozione umana e sociale della donnaafricana.

tt.ne: Sig. Dall'Ara. Grazie pertelefonata di ieri. Angal Hospital(West Nile, Distretto Nebi, 100

km a sud di Arua) ospita temporaneamentela scuola ostetriche di Kalongo, chemantiene la sua identità e continua i corsiregolari. Questo trasferimento èriconosciuto dal Ministry of Realth. Ci è

A

stato offerto il centro catechistico nonancora ultimato. Mancano: impianto luce,mobilio (tavoli, sedie, ecc.), recinzione conrete metallica e accessori vari. Il personaleinsegnante deve seguire la scuola:comprende il medico (io) due suore e dueostetriche. Le studenti sono ora 42.Presumo che il costo di mantenimentodelle studenti e personale (46 persone) siadi Lit. 1.500 a testa. Occorrerà anchemateriale didattico.Le spese di trasferimento dell'ospedale daKalongo a Lira e della scuola da Lira aKampala ed Angal sono rilevanti. Siaggirano a circa Lit. 1.500.000.Segue lettera.Ringrazio e saluto.P. G. Ambrosoli.

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PADRE GIUSEPPE ci PARLA

"testimoni della Resurrezione di Gesù"

Nel 1983 a Pasqua P. Giuseppe fu tra noi,a Ronago. All'omelia ci ha "donato" questariflessione che spiega la sua vita di fede

S. Pasqua 1983

due fatti più importanti su cui siimpernia la nostra religione sono lapassione di Gesù e la sua resurrezione.

Due fatti che sono così collegati per cui unonon può stare senza l'altro. Gesù ha dato lasua vita per noi e attraverso la sua morte èarrivato alla resurrezione.

IUna delle tante applicazioni pratiche chepossiamo fare è questa: se vogliamorisorgere con Cristo dobbiamo prima morirecon Lui, cioè accettare le nostre sofferenze, idispiaceri, le malattie, le incomprensioni: inuna parola, la croce. Dobbiamo portare lanostra croce dietro a Gesù, accanto a Lui edallora saremo sicuri che con Lui divideremola gioia di risorgere ad una vita nuova, la vitadi Dio. Quante volte ci sentiamo stanchi perle troppe contrarietà, sofferenze ecc.; lacroce ci sembra troppo pesante, ci pare cheGesù ci chieda troppo e vorremmo voltarglile spalle e lasciarlo solo nella sua via delCalvario. È il momento di fissare il nostrosguardo su Gesù in croce, nella sofferenzafisica e spirituale, la più grande che si possapensare. Allora vedremo che la nostra crocediventa piccola cosa in confronto alla sua eper di più con la differenza che noi siamo lacausa di molte delle nostre croci, mentre Luiinvece ha sofferto tutto solamente per noi,per pagare per i nostri peccati. Proprio nellaSua morte ha vinto la morte e ci ha ottenutola vita. La Pasqua ci porta ad essere felicicon Gesù, anche qui, nonostante le croci. Laresurrezione di Gesù è il punto fondamentale

della nostra fede. Gli Apostoli lo avevanocapito pienamente e la loro predicazione eraimperniata sulla resurrezione di Gesù.Possiamo dire che non hanno predicato altro.Hanno battuto sul punto che loro erano itestimoni della resurrezione e l'accettare laloro testimonianza significava diventareseguaci di Gesù.Anche la nostra fede deve rifarsi allatestimonianza degli Apostoli, che ci è statatrasmessa integralmente dalla Tradizionecristiana. A nostra volta la nostra vita, conl'esempio di una gioiosità serena, perchéviviamo uniti a Gesù e sicuri di risorgere conLui, deve diventare una testimonianzavivente della resurrezione di Gesù.Se hanno fatto così gli Apostoli, devono farecosì anche i missionari: portare l'annunciodella resurrezione con la testimonianza che,non potendo essere diretta, deve esserequella della loro vita, che ne dimostra tutta lafede. Proprio anche la gente più semplice habisogno di una testimonianza viva percredere. Una nostra Pasqua quindi, se vuoleessere anche missionaria, non può tralasciareuna preghiera particolare, perché Gesù aiuti isuoi missionari ad essere veramente deitestimoni della Sua resurrezione.Ricordo la Pasqua del 1979. Ero andato almattino a dire la S. Messa a Wol, unvillaggio a 20 km da Kalongo. La gente eraancora spaventata, perché la sera delmercoledì santo i soldati di Amin eranopassati, in ritirata, ed avevano sparatoraffiche di mitra vicino alle loro capanne.Tutta la gente era scappata a rifugiarsi nellasavana per quella notte. Ora i cattolicivenivano alla messa sentendo il bisogno chela fede nella resurrezione di Gesù lisostenesse in tutte le situazioni, anche le piùdifficili.

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TERZA PARTECI PARLANO DI PADRE GIUSEPPE

Ronago lo ricorda così

Il ricordo di P. Giuseppe, nel commosso evivace racconto di Cherubina Galli, classe1915, spazia dagli anni dell'infanzia a quellioltre la morte.

io fratello Olivio è del '23,quindi coscritto di P. Giuseppe egiocavano spesso insieme. Per

questo ho dei ricordi anche della suafanciullezza. Era un ragazzo semplice, cheamava unirsi alla compagnia dei suoicoetanei e che cercava di familiarizzarecon tutti. Portava le caramelle, perché glialtri lo accettassero come uno di loro e nonlo escludessero solo per il fatto che era difamiglia benestante. Era sempre ordinato epulito, ma vestiva in modo molto semplice.

M

Circa otto anni fa, Olivio ha dovuto essereoperato al cuore. L'intervento era uno diquelli a rischio altissimo e le probabilità disuccesso erano molto ridotte. Mi sonoallora privata della "mia" fotografia di P.Giuseppe e l'ho data a mia cognata,raccomandandole di metterla sotto ilguanciale di Olivio. Subito egli sentì comeuna specie di sollievo morale ed affrontòsereno l'operazione, superandola benemalgrado le nere previsioni.Quando P. Giuseppe tornava dallamissione, la Irma, donna di servizio,rientrava solitamente per un breve periodoa casa sua, vicino a Udine. In quei giorni lasostituivo io. Mi ricordo che P. Giuseppe siarrangiava da solo a prepararsi lacolazione, per non farmi perdere tempo. Mi

diceva: "Tu pensa alla mamma, che qui miarrangio io". Appena finito, ritirava la suatazza e ripuliva la tavola. Metteva lestoviglie nel lavello, lasciando scorrere unpo' d'acqua per risparmiare fatica a chidoveva lavarle.Per me stare a contatto con P. Giuseppe eracome essere in Paradiso. Aveva una grandeumiltà in tutto quello che faceva. Cercavadi risparmiarmi lavoro per mandarmi acasa più presto dalle mie bambine. Ioabitavo al Serafino e lui si preoccupava peril lungo tratto di strada solitaria che dovevopercorrere. Gli rispondevo che non avevopaura perché mi sembrava che lui stesso miaccompagnasse. Ed era vero, perchésentivo la sua vicinanza e io, la Cherubina-Serafina-Teresina come lui scherzosamentemi chiamava, non mi sono mai sentita solasul sentiero verso casa.Al mattino, quando si alzava mi diceva:"Non entrare a fare niente nella miacamera: ci penso io". E infatti: mettevapersino "a mollo" la biancheria personale oaddirittura la lavava e la stendeva, perchégli sembrava che fosse umiliante, per ladonna di servizio, dovergliela lavare.Ogni volta che tornava dalla missione mimandava a chiamare. Sono stata a trovarloanche quando era ammalato, portandogliun pacchetto di biscotti. Lui non li voleva"perché non me li merito" ma, alla fine, perfarmi contenta mi disse che li avrebbemangiati volentieri con il té. Anch'io,quattro anni fa, quando sono

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Ci PARLANO DI PADRE GIUSEPPE

caduta durante la camminata del GAMfratturandomi bacino e costole, ho pensatoa lui e l'ho pregato. Ed è stato sicuramenteil suo aiuto a darmi la forza di guarire benee presto. Mi ha aiutato a camminare...come sul sentiero del Serafino.Ronago, 8 febbraio'97

Le parole di Maria, classe 1921,rispecchiano frammenti di vita che,seppur rapidamente, ci aiutanoa riflettere sui piccoli, grandi passi cheP. Giuseppe ha compiutoper giungere al suo ideale.

iuseppe voleva bene ai poveri.Malgrado la sua posizione sociale eradesideroso di avvicinarsi alle famiglie

più povere, di aiutare i contadini, dicondividere la vita dei semplici. Era moltoattento ai disagi del prossimo e alle situazionidi bisogno. Aveva saputo della situazione della

G

signora Giulia Corti, il cui marito era sotto learmi e che quindi doveva portare avanti dasola la casa, l'orto ed il piccolo campicello.Inoltre, doveva accudire alla cognata Carlotta,inferma. Ecco che allora arrivava lui, a mietereil frumento e a zappare le patate.La sua cotta era grigiastra e consunta. Lescarpe coi buchi (perché quelle nuove le avevaregalate) si erano viste solo quando si eraprostrato davanti all'altare per l'ordinazionesacerdotale.Un fatto molto significativo è quello del suo"patto segreto" con il Santino Bernaschina diFaloppio, operaio Ambrosoli e barbiereufficiale della famiglia. Forse proprio per ilfatto di averlo conosciuto più da vicino,Giuseppe era arrivato ad uno strano accordocon lui. A quel tempo, Giuseppe aveva giàconseguito la laurea in medicina, maproseguiva indefesso i suoi studi per conoscerele malattie tropicali. La sua mamma nonvedeva di buon grado che egli si alzasse dimattino presto per studiare, perché avrebbepreferito lasciarlo riposare un po' di più. Eccoallora a quale accorgimento era ricorso lui: siera legato una corda al piede, lasciandonepenzolare il capo dalla finestra della suacamera. Il Santino, che arrivava per il turnodelle 5.00 alla mattina, senza farsi accorgereda nessuno dava uno strattone alla corda. Luientrava in fabbrica e Giuseppe, all'insaputa ditutti, si alzava per studiare. La MariaAmbrosina e io eravamo a quei tempi addettealla pulizia della chiesa. Ogni volta che ciandavamo, lo trovavamo là, in ginocchio, dasolo, a fare la Via Crucis. Quando si rialzava,ripuliva accuratamente i pantaloni, per noncreare lavoro in più alle persone di servizio.Un altro piccolo particolare è quello che mi hariferito la sua stessa mamma. P. Giuseppe,giovane missionario, si era tagliato la barbaperché, quando visitava i bambini, faceva loroil solletico.Ronago, 26 gennaio '97

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TREZA PARTE

Ronago lo ricorda così

Dalla testimonianza di Bruno Quadranti,classe 1923, emerge in prevalenza il ritrattogiovanile di P. Giuseppe. Un ritrattopartecipe e anche molto concreto, masoprattutto ricco di quei risvolti chel'amicizia riesce sempre a cogliere.

iuseppe non vedeva il male, erasempre fiducioso e contento.Anche se veniva da una famiglia

in vista, non lo faceva pesare. Era comeuno di noi.

GNegli anni '40, a suo padre venne proposto,da parte delle autorità, il titolo di conte. Dapersona riservata qual'era, inquell'occasione scortò nel suo giardino gliemissari della Prefettura, che erano venutia notificargli la notizia e, indicando loro unragazzo (Giuseppe) tutto intento a"regolare" i conigli, giustificò il suodiniego con una semplice frase: "Vi sembrache quel ragazzo sia il figlio di un conte?".Giuseppe non fece il militare perché giàdue suoi fratelli erano sotto le armi. L'8settembre 1943 lui era in Svizzera e laRepubblica di Salò richiamò quelli del1923 con la minaccia che, se non si fosseropresentati, avrebbero deportato i lorogenitori. Giuseppe tornò immediatamente,pensando però che lo avrebbero fatto usciredal confine di Novazzano. Invece, ilpassaggio avvenne in una località fra PonteTresa e Luino, da una specie di cunicolosotterraneo. Proprio nei pressi dell'uscitac'era la caserma della Milizia e Giuseppevenne preso, insieme ad un altro giovane diAlbiolo, Mattiroli. Proprio quest'ultimo,dal convoglio in partenza per Fossoli(centro di smistamento per la successivadeportazione in Germania) riuscì a vergareun biglietto: "Avvertite la mia mamma cheio e l'amico Giuseppe stiamo andando inGermania". Una ragazza raccolse il

messaggio e in bicicletta lo portò fino adAlbiolo. Subito si mobilitò CarloAmbrosoli, intervenendo presso ilcomando tedesco e precipitandosi aFossoli, dove riuscì a riprendere suofratello Giuseppe. Mattiroli purtroppo eragià stato fatto partire per la Germania e nonne avrebbe più fatto ritorno.Per salvare suo padre e sua madre dalladeportazione, Giuseppe si arruolò e vennedestinato alla Sanità. Il 26 aprile 1945 feceritorno a casa.Era religiosissimo, ma semplice, nonfanatico. Molto cordiale, sempre pronto adare una mano. Un uomo profondamentebuono e caritatevole.Noi coetanei siamo rimasti colpiti dalla suascelta: un figlio di industriali, un medicoche aveva davanti a sé una brillantecarriera, sceglieva la via del servizio totale.Ma avevamo comunque intuito che il suoobiettivo, il suo ideale di vita era già dentrodi lui, da sempre.Negli anni 50-60, in occasione di qualchesuo rientro da Kalongo si pronunciò così:"Laggiù sono all'età della pietra, eccoperché è necessario andare a vivere inmezzo a loro. Non è sufficiente mandare leofferte, bisogna proprio condividere la lorovita e donare la propria esperienza. Nonpuoi limitarti ad annunciare il Vangeloquando non hanno di che sfamarsi e comecurarsi. Gli Acioli sono di animo buono ese tu gli insegni, ti seguono e ti ascoltano."L'idea del Comboni: salvare l'Africa conl'Africa. Da Ronago intanto, partiva tutto ilmateriale di cui Kalongo aveva bisogno.Anche l'ondulato, anche le lamiere, anche ipezzi più strani che P. Giuseppe chiedevaper far nascere il suo ospedale, dal niente.Anche noi coscritti lo chiamavamo PadreGiuseppe, ma lui si scherniva: "Ma va,siamo della stessa età. Giuseppe va bene, edatemi del tu".

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Ci PARLANO DI PADRE GIUSEPPE

Medico e missionario. Grande in tutte edue le cose.Suo padre, di idee liberali, ha semprerispettato le scelte dei figli e, anche nelcaso di Giuseppe, si pronunciò con un"Non discuto la tua scelta, basta però chetu la segua fino in fondo".Sua madre era una donna di saldissimiprincipi religiosi e di grandissima fede. Iofui assunto in Ditta Ambrosoli nel 1937 enel '38 venni assegnato all'ufficio. Miricordo che le paghe degli operai venivanosempre distribuite alla presenza dellasignora Palmira che intendeva con questosottolineare la dignità del lavoro evalorizzare l'operato dei dipendenti. Persuo desiderio, alle 15.00 del Venerdì Santo,bisognava fermare il lavoro per dare spazioa una meditazione.La vocazione di Giuseppe era come giàconnaturata in lui e cresceva insieme a lui,ma non ce l'ha mai fatta pesare. Noi

pensavamo alla "morosa" e lui eraresponsabile dell'Azione Cattolica.Scherzava, parlava, rideva, ma quandoarrivava ad esprimere un giudizio, eramolto profondo.Dopo la guerra gli venne proposto dientrare in politica, perché era un giovanepromettente. Lui rifiutò, accettando solo -perché ne fu quasi costretto - di fare il viceSindaco per un breve periodo. Ma lui nonera un politico. Il suo mondo era giàaltrove, molto oltre.Non disdegnava però le discussioni e ilconfronto con gli amici, e ne aveva tantianche fuori paese: Evaristo Corti, CasimiroScacchi, le famiglie Peduzzi e Roncoronidi Olgiate.Dopo la malattia renale che l'aveva colpito,il suo amico Dott. Teruzzi gli aveva detto:"Tu, tornando in Africa, rischi la vita". Neebbe questa risposta: "La mia casa èlaggiù, non è più qui".

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TERZA PARTE

Ronago lo ricorda così

La sua santità se l'è guadagnata sul campo.Dalla vita poteva avere tutto, ma lui hascelto il Tutto.Il 27 marzo 1987 ero in ufficio e, quel telexdall'Uganda, l'ho visto arrivare. Subito hochiamato il signor Paolo ed insiemeabbiamo letto il messaggio man mano chele parole scorrevano sul foglio: "Sicomunica che oggi il caro Padre Giuseppeha cessato di vivere...".Colui per il quale aveva vissuto, l'avevaripreso con sé.Ronago, 7 febbraio '97

Ancora un coetaneo, Francesco Grisoni, cioffre la bellissima immagine di un'amiciziaprofonda. Spontanea fin dai tempi dellascuola, complice nei giochi e nei piccoliimpegni, solidale in tempo di guerra,presente nei momenti importanti. Semprenutrita, anche solo attraverso le lettere. Conl'ultima di esse, P. Giuseppe ritornerà aFrancesco quegli attimi che entrambi nonhanno mai dimenticato.

ravamo compagni di classe ai tempidelle elementari. Malgrado il miocarattere piuttosto riservato, abbiamo

sempre "legato". Giuseppe venivaabitualmente a casa mia e spesso si fermava acena da noi, condividendo polenta e latte.Talvolta ci trovavamo a casa sua, andavamo ingiardino e lì giocavamo fino a tardi. La suamamma era molto attenta a che non sudassetroppo o non si esponesse a pericoli.

E

Il mio papa aveva un asino che, a secondadelle circostanze, attaccava al carretto o alcalessino. L'asino aveva un nome singolare. Sichiamava "maestro" ed è facile immaginarechi glielo avesse affibbiato. Giuseppe,

naturalmente, e senz'altro con l'intento diriscattare la condizione umile di questoanimale, capovolgendone completamente ilsenso che generalmente gli veniva attribuito.L'amore per gli animali è sempre stata una suacaratteristica. Entrambi condividevamo lapassione per i conigli. Nel giardino di casa suac'era un bellissimo allevamento, con elementianche di razza pregiata. Io lo aiutavo adaccudirli e, quando lui doveva assentarsi perperiodi di studio, me ne affidava la cura.Quand'era già studente di medicina esuccedeva che qualche coniglio morisse,faceva personalmente l'autopsia, per capire,per scoprire, per poter poi curare.Era una persona di assoluta semplicità e digrande umiltà. Quando Chiara ed io ci siamosposati, l'abbiamo chiamato ad esseretestimone alle nostre nozze. Lui ha accettato,non senza esprimere però con unimprevedibile e disarmante "È un incaricomolto importante. Ne sarò degno?" tutta laricchezza della sua anima.È capitato che un paio di volte l'abbiamotrattenuto a cena, scusandoci se il menù eratroppo semplice. Lui condivideva tutto congioia, come ai tempi della polenta e latte.A scuola cercava di aiutare un po' tutti. Amavaconfondersi con i compagni, con tutti gli altri,con semplicità e naturalezza.I suoi amici non li ha mai dimenticati, anchequand'era soldato in Germania. Un giorno misono visto arrivare un pacco e quale fu la miasorpresa nel vederne il contenuto: era pieno disigarette, (di quelle che gli passavano al campomilitare e che lui metteva da parte, anche per isuoi camerati). Preziosissima merce discambio per pane e beni di prima necessità intempo di guerra. Chissà quanto ne avrebbeavuto bisogno anche lui per poterci barattareun po' di cibo in più. Ma me le aveva spediteperché sapeva che anche a noi avrebberopotuto essere utili. E fu così,

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perché le sue sigarette, in quei tempidifficilissimi, si trasformarono anche pernoi e per gli amici in pane e cure sanitarie.Non si è mai espresso esplicitamente sullasua vocazione. La nostra amicizia era fattadi poche parole, però si capiva che luiaveva un qualcosa in più.Da Kalongo ha continuato a scrivermi conregolarità. Nel dicembre 1986 ricevetti lasua ultima lettera, con accluse alcune fotodella nostra giovinezza: quella sulcalessino trainato dal "maestro", quella inbarca con don Carlo Porlezza, quella deicoscritti, quella della prima messa con afianco don Costantino e don CarloGhielmetti. Me le ritornava adesso,accompagnandole con una piccolissimafrase in fondo alla lettera: "Ho trovato unavecchia foto". Aggiungeva la suabenedizione per le nostre famiglie e ilnostro lavoro, insieme agli auguri diNatale. Il suo ultimo quaggiù.Ronago, 8 febbraio '97

Antonietta Somaini, classe 1932. Hapotuto e saputo "cogliere" i momentipiù alti e più intensi nella vita di P.Giuseppe. Quelli del colloquio con Dio.

o ricordo giovane studente, .quando tornava dall'università alle2.00 o alle 3.00 del pomeriggio:

andava in chiesa, accendeva le candele edon Carlo Porlezza gli dava la Comunione(e a quei tempi bisognava essere digiunidalla mezzanotte).

LSempre, prima di inginocchiarsi, estraevaun fazzoletto che metteva sotto leginocchia, una sua delicatezza per nonessere di peso.Mi ha sempre colpito il suo modo dipregare che, nel raccoglimento, esprimevatutta la sua vita interiore. Un episodio chemi ha fatto molto riflettere avvenne inoccasione del suo rientro in Italia peressere operato di ernia al disco: era sera,subito dopo il turno di lavoro, verso le18.00. Mi sentivo stanca e mi sono sedutanell'ultimo banco. Dall'altra parte sentoentrare una persona, capisco che siinginocchia. Dopo circa un quarto d'ora -non sentendo il più piccolo rumore -guardo e... vedo P. Giuseppe inginocchiatoin profondo raccoglimento. Sapevo che eratornato dall'ospedale lo stesso pomeriggioe che aveva il tronco dritto perchéingessato. Per me fu come unafolgorazione: ho sentito tutta la miapochezza davanti al suo grande amore perGesù, un amore che lo spingeva a tantosacrificio. Un esempio che è valso moltopiù di una predica, un modo di pregare chetrascina e coinvolge.Era innamorato di Dio e del prossimo, peròera anche un tipo allegro, sempre prontoalla battuta scherzosa. So per certo, perchélui stesso me l'ha

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TERZA PARTE

Ronago lo ricorda così

detto, che da quando è stato ordinatosacerdote non ha più assaggiato unacaramella. Me ne sono chiesta il perché esono giunta a questa conclusione: era il suo"fioretto" per sottolineare il distacco da tuttociò che aveva deciso di lasciare, il suo mododi dare un taglio netto fra la vita a cui avevarinunciato e quella che aveva scelto.Ronago, 8 febbraio '97

Dalle parole di Celestina, classe 1925,affiora tutta la riconoscenza per un piccologesto, delicatamentee ripetutamente offerto.

ià mio padre Antonio, detto Talin,era alle dipendenze della famigliaAmbrosoli, come uomo tuttofare e

noi figli siamo nati e cresciuti lì.GQuando il vecchio stabile adiacente allafabbrica fu demolito, ci siamo trasferiti nel

piccolo appartamentino sottostante i nuoviuffici della Ditta. Eravamo lì come custodi e,quando qualcuno doveva passare con lamacchina, cercavamo di essere pronti adaprire e chiudere il cancello. P. Giuseppe nonvoleva assolutamente che ci scomodassimoper lui. Se cercavamo di prevenirlo, cisarebbe rimasto male. Non voleva crearcidisturbo.Riusciva perfino ad eluderci, già quand'eraun giovanotto e aveva la moto per i suoispostamenti di Azione Cattolica. Spingeva lamoto fuori dal cancello, richiudeva e soloallora accendeva il motore. Così anchequando rientrava, specialmente se era tardi,per non svegliare nessuno.Anche dopo, che aveva la macchina, ci hasempre raccomandato di non stare adisturbarci. Al cancello ci avrebbe pensatolui.Ronago, 26 febbraio '97

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I ricordi di Sandro Merlo, classe 1941, sonolegati all'ospedale, alla malattia,alla sofferenza. Il "terreno" a cuiP. Giuseppe ha dedicato la sua vita.

el luglio 1972 venni ricoveratoall'ospedale S. Anna per una colicarenale e lì rimasi per venti giorni.

Proprio in quel periodo P. Giuseppe,durante una delle sue famose "vacanze" daKalongo, frequentava regolarmente ilreparto di ortopedia (diretto mi pare dalProf. Fiorani) per acquisire tecniche emetodologie di cura in questo campo. Tuttele volte, prima di andare a casa, passava avedere come stavo dicendomi: "Va che ituoi colleghi in ditta ti aspettano di ritornopresto, Merlett". Si interessava del miostato di salute e, poiché non mi era statoancora detto niente di preciso, si era recatolui stesso da una diplomata del reparto persaperne di più. Conoscendolo, non avràcertamente "imposto dall'alto" la suaposizione di chirurgo, primario e guida diun intero ospedale e il suo abitosacerdotale, così dimesso, non gli avràcertamente accattivato le simpatiedell'infermiera. Sta di fatto che lei deveaverlo preso per una persona del tuttoincompetente in materia, accennandoglisolo bruscamente che dai miei esamirisultava qualcosa di scuro e che comunquela cosa non lo riguardava. È poi venuta alamentarsi da me per il fatto che "mifacevo raccomandare dai preti" e, a quelpunto, le ho chiarito chi fosse e cosariuscisse a fare "quel" prete. P. Giuseppedal canto suo non ne ha neanche parlato,preoccupandosi solo di rassicurarmi sulmio stato di salute. Al mio accennoall'incidente con l'infermiera, ha subito"smontato" tutto con un sorriso.

N

Negli ultimi giorni di quella mia degenza è

stato lì ricoverato, in pediatria, anche miofiglio Tiziano, idrocefalo, di sedici mesi,ma non hanno potuto risolvere il suoproblema. Ci hanno mandati al Policlinicodi Milano dove, dopo averlo visitato, ilDott. Cabrini mi disse che era necessarioun intervento, delicato e difficile, chepoteva essere effettuato solo lì a Milano oBologna. Chiesi consiglio a P. Giuseppe ilquale mi rispose: "In Africa no, nonsarebbe nemmeno pensabile, ma qui, inItalia, con l'esperienza e le tecniche che cisono, ci sono anche buone probabilità disuccesso. Del resto, se non lo fai operare,non ha speranza. Devi tentare, se vuoisalvarlo". Sulla base di queste sue parolemia moglie e io prendemmo quelladecisione per cui, ancora oggi, ogni giorno,dobbiamo ringraziarlo. Tiziano fu operato aMilano e, solo verso gli otto anni, si resenecessario un secondo intervento perrimuovere un'ostruzione che si era formatacon la crescita. Oggi ha 26 anni, devesottoporsi a dei controlli periodici, ma stabene.Nel 1982, P. Giuseppe era a casa per la suamalattia renale. Io affiancavo mio zioAngioletto nella sua attività di barbiere.Avrebbe avuto tutti i motivi perconvocarmi a casa sua quando dovevatagliare i capelli. Ma, per non crearedisturbo né in casa né a me, veniva lui inbottega, approfittando magari del fatto diessere per un'altra volta riuscito ad andarein chiesa a celebrare la Messa perché sisentiva un po' meglio e... allora, dato cheera già per strada...Ronago, 26 febbraio '97

Ha sempre voluto bene ai bambini, a tutti ibambini, in Africa li ha in braccioe qui, per mano. Sentiamo OnorinoBalatti Pintonello, 1932.

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TERZA PARTE

Ronago lo ricorda così

o lavorato per vent'anni in DittaAmbrosoli. Mi ricordo che P.Giuseppe era sempre cordiale e

gentile con noi operai.HDurante i suoi rientri dalla missione, erasempre circondato da bambini e ragazzi.Erano i primi anni '70, quando i miei duefigli Luca e Francesco facevano ichierichetti e lo incontravano a messa. P.Giuseppe trovava il modo di coinvolgerli,insieme ai loro amici: il Paolo Gandola,l'Eligio Lupis, ecc. All'uscita di scuola onel tempo libero andavano giù in Ditta, dalui, per aiutarlo a confezionare le medicineda mandare a Kalongo.Mi ricordo anche della sua disponibilità ecompetenza come medico, quel giorno del1972, quando lo "bloccai" in sacrestia permio figlio Lorenzo, che aveva un serioproblema alle unghie delle mani, poifelicemente risolto.Ronago, 27 febbraio 97

Elisabetta Bemasconi-Pastori. Il graziebellissimo che le nasce dal cuore per averpotuto accudire P. Giuseppe durante lamalattia, ci dice già tutto.

evo dire che ero moltopreoccupata quando, a fine 1982,mi chiesero di dare una mano in

casa perché doveva arrivare P. Giuseppedall'Uganda ed era molto malato. Pensavodi non essere all'altezza di accudire ad unpersonaggio così speciale, come logiudicavo io per averlo visto in altreoccasioni. Ma tutto si appianò in pochigiorni. Non già perché io fossi alla suaaltezza, ma era lui così alla mano da farmisentire a mio agio: tutto andava sempre

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bene, anche il cibo che doveva sapere dipoco, senza sale per via della suainsufficienza renale. Anzi, diceva che erabuonissimo. Mi diceva sempre "Basta,basta", facevo sempre troppo, per lui.Quante volte al giorno mi diceva "Grazie"per ogni cosa che gli facessi! E non solo,trovava anche il modo di darmi una mano,specialmente quando qualche persona cheera venuta a trovarlo si fermava anche apranzo. Dopo che gli ospiti erano ripartiti,lui mi aiutava ad asciugare i piatti, quasiscusandosi per il lavoro supplementare. Percomodità, la sua camera era al primopiano, ma mi accorgevo che lui ogni tanto"spariva" al piano di sopra, nella suacameretta da giovanotto, dove c'era il suoinginocchiatoio...È rimasto a casa nove mesi, fino al luglio1983 e lo stato dei suoi reni non eracertamente risolto, però ha voluto ripartirelo stesso per la sua missione.Nel 1985 è rientrato di nuovo per controllie cure sanitarie, fermandosi giusto il temponecessario, circa un paio di mesi. Inquell'occasione, so che era pronto per luiun abito nuovo e anche un paio di scarpe,acquistate nel negozio del Sergio Bagatt.Ma, al momento di ripartire, ha volutoindossare il vestito che aveva quand'eraarrivato e... per quanto riguarda le scarpe,naturalmente quelle vecchie, che mi avevaraccomandato di far riparare. L'AndreaTalett aveva senz'altro fatto un buonlavoro, ma non fu certamente quello ilmotivo per cui P. Giuseppe lasciò Ronagoindossando i suoi vecchi indumenti.Pareva che il solo pensiero di ritornare aKalongo gli mettesse le ali ai piedi, anchese sapeva benissimo di non illudereneanche se stesso. "Laggiù

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hanno bisogno. Vuoi dire che la prossimavolta che tornerò a casa sarà per fare ladialisi". Ma non è più tornato.Carissimo P. Giuseppe, devo ringraziarlaper avermi dato l'opportunità e la grazia diviverle accanto, per aver potuto apprezzarela sua infinita bontà, così semplice eppurecosì grande.Ronago, 25 febbraio '97

Dopo aver appreso telefonicamente dallaCherubina quanto ci apprestavamo a fareper commemorare il decimo anniversariodella morte di P. Giuseppe, la signora IrmaDomenis, di 83 anni, residente a Bassanodel Grappa, ci ha scritto la suatestimonianza. Ecco i brani più significatividella sua lettera del 6 febbraio 1997.

on molto piacere sentii la tua lungatelefonata con la bella notizia su P.Giuseppe. Sono molto contenta che

lo fanno santo. Sarebbero tantissime coseda dire, ma è difficile descriverle. Erasempre felice e contento. Sembrava già unsanto che camminava per la casa. La suaamata mamma, signora Palmira, diceva cheP. Giuseppe andrà, anche con gli scarponi,in paradiso. Ci raccontava, a noi in cucina,anche le barzellette per tenerci allegre. Eramolto umile e non ci dava soggezione,tutto gli andava bene, anzi più che bene,diceva sempre. Si alzava per primo datavola, poi sparecchiava e ci portava lamela più grossa. Io sono orgogliosissima diessere stata per trent'anni nella suafamiglia, dove tutti mi volevano e mivogliono ancora bene.

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TERZA PARTE

il ricordo di un amico

onobbi Giuseppe negli anni 39-43;avevo allora 14-18 anni, ero iscrittoall'Azione Cattolica ed ero

responsabile nella conduzione delle sezionigiovanili maschili della mia parrocchia.Organizzavo, con l'aiuto di altri giovani, leadunanze, le presiedevo e ne animavo lediverse iniziative esterne. Allora non c'eral'oratorio per cui ci si arrangiava in chiesa, insacrestia, presso qualche casa privata o , comemi è capitato, in mezzo a qualche prato, a farelezione di catechismo (dottrina, si dicevaallora). Non c'erano campi da gioco ( adeccezione di quello comunale riservato aibalilla e agli avanguardisti). Io nacqui da padrecontadino che, per sbarcare il lunario, avevaassunto l'incarico di custode giardiniere in unavilla del paese. Si viveva con poco, anche sedignitosamente, e la mentalità che andaiacquisendo era quella di sottomissione alpadrone. Tutto questo l'ho detto per far capirel'ambiente di allora e anche per far capire cosasia stato per me l'incontro con Giuseppe. Io eroil figlio del servitore degli A..(i nostri padroni),Giuseppe invece era il figlio dell'industrialeAmbrosoli, quello delle caramelle, di Ronagoe il nostro accostamento non mi permetteva didargli del tu.

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Per sua scelta, l'apostolato tra i ragazzi e igiovani, di Azione Cattolica o no, ebbe unapriorità assoluta. Lasciate le comodità dellacasa paterna, percorreva tutta la zona,spingendosi fino a Saltrio (allora pieve diUggiate) per parlare di Gesù e dei valorireligiosi a tutti i ragazzi che incontrava. Spessole sue visite e i suoi incontri finivano in partiteal pallone o in intrattenimenti vari. Arrivava suuna moto Guzzi 500 e creava subito un alonedi curiosità tra i vari ragazzi che, attirati dalla

novità (allora le moto erano molto rare)accorrevano numerosi. Poi l'adunanza:Giuseppe non era un grande oratore, parlavasemplice, un po' arruffato, però le sue paroleerano sempre ben .ascoltate. La sua ansietà dibene e di far conoscere Gesù lo spingeva adandare sempre più spesso dove potevaincontrare dei ragazzi. Penso oggi che era lostesso spirito che lo avrebbe portato, in annifuturi, tra i più derelitti e bisognosi dell'Africa.Questi ragazzi li trovava a Caversaccio,Bizzarone, Concagno: quando arrivava, pertutti era sempre una festa. Nel tempo, essendoimpegnato negli studi mi pregò di sostituirlo:lo feci, per soggezione a lui (non era possibiledirgli di no). In bicicletta ( non avevo altrimezzi) percorsi le sue stesse strade e così micapitava di incontrarlo. Capitava anche ditrovarci assieme nello stesso posto e alloravedevi i ragazzi andargli incontrofestosamente, lasciando me in disparte, connon malcelato disappunto. Ma tra noi si eraformata un'amicizia vera, sicura e sincera,anche se lo scambio di esperienze si limitavaai progressi della nostra sezione aspiranti.L'unica volta che entrai a casa sua fu sei mesiprima che morisse e una sola volta lui venne acasa mia, per una fugace visita a mio figlioCarlo, studente comboniano.Quando nel 1943 si formò la RepubblicaSociale Italiana, egli, studente in medicina, siarruolò nella Divisione Monterosa d'Italia.Dicono i suoi commilitoni che lui lavassespesso le gavette dei suoi compagni, lui,studente in medicina... ma la sua modestia, lasua disponibilità non potevano nonpermetterglielo. Nel 1946 don Silvio Rivaistituisce, nell'ambito dell'Azione Cattolica,

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il Cenacolo, un gruppo di giovani con lo scopodi animare di più l'organizzazione. Viaderiamo una ventina come inizio, tra questianche Giuseppe. Laureatosi in medicina, eccola grande scelta: sarà missionario e saràmedico chirurgo missionario. Portare Cristoalle anime attraverso la cura dei corpi erealizzare il suo sogno tra i più derelitti ediseredati. E il suo sogno, attraverso l'operapersuasiva di don Silvio, si fa realtà. Entranell'ordine dei Comboniani, studia e sispecializza, a Londra, in malattie tropicali.Nel frattempo io mi sono sposato e, tra i figliche il Signore mi ha donato, Carlo ha scelto didiventare missionario comboniano come padreGiuseppe. Si sono incontrati più volte, ma disicuro un filo conduttore invisibile collegacerte scelte. Pensandoci: mio figlio Carlonasce il 9 dicembre 1955; padre Giuseppeviene ordinato sacerdote il 17 dicembre 1955...come non ci può essere un filo conduttore?Durante il noviziato, lo incontrai più volte aVenegono, scambiando con lui ricordi edesperienze. Lo trovai sempre sereno, sempredeciso nella sua scelta, schivo, sempre, adelogi e costatazioni per lui ovvie e inutili.Ritornò dall'Uganda anni dopo, perun'operazione di ernia al disco. Si ricoverò alS. Anna, in camera comune, rifiutando laprivata, come desideravano i familiari. Miamoglie con Carlo andarono a trovarlo:rimasero colpiti dalla sua serenità.Congedandosi, augurò a Carlo di ritrovarlopresto in Africa. Quando nell'86 venne a casaper curare la nefrite, andai più volte a trovarlo.Lo implorai di rimanere in Italia, dicendogliche qui un ammalato trova sempre un ospedaleper le cure, in Uganda invece non è così. Mirispose che chi comanda è Quello lassù e inLui egli poneva la sua fiducia. Così ripartì esei mesi dopo mio figlio Carlo mi telefona daThiene che padre Giuseppe è morto. In quelmomento ho avuto l'impressione che fossevenuto a mancare qualcuno che cominciai apensare come santo.Sei anni dopo, il 23 marzo 1993, arrivavo con

mia moglie a Lusaka, nello Zambia.Andavamo a trovare nostro figlio; era la primavolta che vedevamo l'Africa. L'impatto è statosconvolgente. Appena ho visto l'ambiente hodetto a mio figlio:" Carlo, ma chi te lo fa faredi rimanere qui?". Quattro giorni dopo, il 27,ricorreva l'anniversario della morte di padreGiuseppe. L'abbiamo ricordato nella S. Messacelebrata da Carlo; l'abbiamo ricordato inAfrica, nella sua terra, tra la sua gente che hatanto amato. Egli è sepolto nella sua Uganda,nella sua Kalongo, tra i suoi Acholi. Medicochirurgo, una famiglia solida e sicura, unambiente di stima, un avvenire brillante, lasciatutto e va dove il Signore lo chiama e làrealizzerà la sua vita e concretizzerà la suasantità. Si avvererà così il suo sogno diragazzo: far conoscere Gesù e farlo amare,dando tutto, anche la vita.E tutto questo l'ho capito dopo aver costatatoche cos'è l'Africa.

FELICE CASTELLI(nato ad Albiolo il 13.3.1925,un amico del Cenacolo)

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1955-1980: ricordo dei 25 anni di sacerdozio

adre Giuseppe è a Ronago quando,nel 1980, ricorre il 25° anniversariodella sua ordinazione sacerdotale.

La nostra comunità aveva organizzato untriduo di preparazione alla S. Messasolenne di domenica 25 maggio 1980. Latre-sere prevedeva incontri con i sacerdotironaghesi don Costantino Stefanetti, donAlbino Bernasconi e padre Giuseppe."Abbiamo pregato e trepidato per padreGiuseppe soprattutto lo scorso anno,quando in Uganda era in corso la guerra.Ora siamo contenti di averlo un po' ditempo tra noi e vogliamo assicurarlo chegli saremo sempre vicini con la nostrapreghiera ed il nostro aiuto " (dalgiornalino parrocchiale).

P

Anche suor Amelia ha fatto pervenire unasua lettera proprio per questa occasione."Voglio dirvi la mia unione in questotempo in cui padre Giuseppe è con voi.Sapete meglio di me che quest'anno ricorre

il suo 25° di sacerdozio... ho sentito che inParrocchia farete qualcosa per lui ed io nonvoglio essere assente. Se non altro, vimando il mio sostegno e il mio contributoper tutto ciò che vorrete fare, tramite il miovivo ricordo nella preghiera per voi e perlui. Voi conoscete l'umiltà di padreGiuseppe perciò innanzitutto doveteorganizzare una bella festa spirituale cheriuscirà tanto bene quanto più sarà la vostrapartecipazione viva e sentita. Sonoconvinta che questo sarà il regalo chegradirà di più. Poi, siccome sapete quantosi da e ami la sua gente, penso sia giustoche pensiate pure a loro. Sono certa avretegià sentito dell'attuale situazioneugandese... vi chiedo tanta preghiera perpadre Giuseppe e per tutti i missionariperché sappiano superare questi duriperiodi con quella Fede che è luce per loroe per coloro che avvicinano".Kacheliba, 11 maggio '80

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uniti nello spirito della missioneella vita di ognuno di noi ci sonodegli incontri che ci hannosegnato, o nel bene o nel male.

Anche l'Evangelista Giovanni si ricorderàper sempre quel pomeriggio in cui incontròCristo e ne fu incantato. Vide Gesù chepassava e gli chiese: "Maestro, dove abiti?Vieni e vedi. Lo seguì e passò quelpomeriggio in casa sua. Erano circa lequattro pomeridiane". (Gv 1,38).

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Anch'io ricordo il pomeriggio del 1959 incui incontrai la prima volta P. Giuseppe.Ero studente seminarista di seconda liceo aCarraia (Lucca) presso i padri Combonianie quel giorno P. Giuseppe, di ritorno daLondra e in viaggio per l'Uganda, fece unabreve visita al nostro Seminario.Con poche parole - era di fretta perprendere l'aereo a Pisa - ci tracciò il quadrodella sua vita di missionario medico inUganda.Presenti al suo incontro eravamo 140seminaristi delle tre classi di liceo, e allafine del suo colloquio uno dei mieicompagni gli chiese: "Senta, P. Giuseppe,se uno di noi volesse un giorno farsimedico come lei, che cosa ci suggerisce?"."Vi consiglio - disse - di finire gli studi diteologia e poi di chiedere il permesso aiSuperiori di studiare medicina".Quelle parole entrarono nel mio cuorecome un piccolo seme e sparirono fino al1967. Durante il quarto anno di teologia aVerona, non so come, riaffiorarono e mifecero pensare molto. Decisi di parlarnecoi Superiori. Ci furono molte settimane diattesa e poi giunse la risposta: "Dopol'ordinazione sacerdotale potrai studiaremedicina". Ho saputo solo dopo vari anni

che, durante quell'importante delibera deisuperiori, fu appunto il gruppo dei Padriprovenienti dall'Uganda, testimoniquotidiani del suo servizio di amore con imalati e del bene immenso che stavacompiendo, che pesarono positivamentesulla decisione. Altri missionari inveceerano del parere che un missionario debbaessere o prete o medico, ma non vedevanoassolutamente possibile conciliare questedue vocazioni così totalizzanti.Dopo la laurea e un anno presso unospedale a Londra, mi recai a Kalongo nelmarzo 1976 e rimasi nove mesi assieme aP. Giuseppe per imparare da lui la chirurgiatropicale.Fu la base della nostra amicizia spirituale,che crebbe specialmente nei mesi della suamalattia. Imparai a conoscere la suagiovialità e mitezza, il suo abbandono aDio e alla Vergine Maria, il suo spirito dipreghiera. Alla sua morte, avvenuta il 27marzo 1987, -nelle circostanze tragiche cheben conosciamo - fummo in tanti a pensareche anche per Kalongo Hospital erasuonata la campana morte.E invece era solo una pausa che Dioconcede alle opere dei suoi santi, prima difarle rifiorire. Gesù morto abbandonato daisuoi sul Calvario, nel più totale insuccessoesterno, inaugurò questa legge divina: "Seil grano di frumento caduto in terra nonmuore, non porta frutto alcuno. Ma semuore porta molto frutto...".Quando nel maggio del 1989 i mieiSuperiori in Uganda mi dissero di andare aKalongo per riaprirlo ebbi paura per leenormi difficoltà che sapevo ciò avrebbe

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TERZA PARTE

uniti nello spirito della missione

implicato: insicurezza della guerriglia,mancanza di medici, mancanza di mezzifinanziari, assenza delle SuoreComboniane, assenza della Scuola diOstetricia portata da P. Giuseppe al di làdel Nilo a 300 km. Tentai di rifiutare. Poiintervenne P. Giuseppe con un fattostraordinario che qui non vi racconto... Ecosì dissi al mio Superiore: "Va bene. Oraaccetto perché ho capito che P. Giuseppesarà sempre con me a Kalongo, nelle gioiee nei dolori, a portare avanti assiemequest'Opera frutto del suo

amore e dell'amore di tanti figli e figlie diDaniele Comboni e di tantissimibenefattori".Mi commuovo sempre a ripensare allagioia indescrivibile del popolo di Kalongo,a cui va il merito meraviglioso di aversalvato la Missione e l'Ospedale per bendue anni e mezzo contro gli attacchi dei"Ribelli" che volevano fare terra bruciata...Nella santa Messa il loro rappresentantedisse: "Quando sentimmo che il nostro P.Giuseppe, il nostro medico di Dio, eramorto a Lira, (una cittadina a 120 km)abbiamo pianto lacrime amare, sentendocicome abbandonati da Dio nella nostrasventura. Ma subito abbiamo sentito unaforza nuova e cominciammo a pregare laMadonna di avere pietà di noi. Oggiricevendo te, P. Egidio, sacerdote e medicocome il nostro caro P. Giuseppe, ci sembradi sognare e cantiamo di gioia e capiamoche Dio ama Kalongo più di tutti gli altriOspedali Missionari qui in Uganda, perchétu sei stato mandato da noi, ad essere unaltro medico di Dio..."Concludo con questa preghiera che includeme e tutti voi:Grazie o Signore per il tuo amore per noitutti. Grazie per il dono della vita di P.Giuseppe fatto alla sua famiglia, alla nostraCongregazione, a Como e all'Uganda tutta.Fa che le sue parole del testamento scrittesulla sua tomba siano vissute anche da noioggi là dove hai collocato ognuno di noi:"Dio è amore e io sono il suo servo per ifigli che soffrono. Amen".

P. EGIDIO TOCALLIMissionario del Beato Daniele Combonie Confratello di P. GiuseppeRegoledo di Cosio (SO), 16 febbraio '97

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QUARTA PARTE

UNA PRESENZA VIVA

algrado la guerra e ciò che èsuccesso, si può dire che è quasiun miracolo che l'ospedale di

Kalongo sia rimasto parzialmente in piedi: lasala operatoria e tutte le altre attrezzaturesono intatte.

MDopo tre anni salta fuori la speranza

di vedere questo ospedale rinascere. IComboniani, con P. Egidio Tocalli, pensanodi riaprire all'inizio del 1990, gradualmente,dando tempo alla gente di riabituarsi. Primala maternità, poi, con un paio di medici, farele operazioni più urgenti.

Ci sono molte persone che fornisconoaiuti. Noi a Ronago mandiamo dei containerscon tanta roba, non solo per l'ospedale diKalongo.

Una buona parte va per la ScuolaOstetriche, fondata da nostro fratello eportata avanti da suor Caterina Marchetti. Igovernanti attuali dell'Uganda hannoriconosciuto che è stato veramente un delittola chiusura forzata dell'ospedale, che era unservizio per tutta la popolazione del nord.

Io sono andato tre volte in Uganda:l'ultima volta, percorrendo la strada daKampala a Kalongo (abitualmente occorrevauna giornata di tempo) abbiamo incontratodieci posti di blocco.

Bastava una carretta in mezzo alla

strada. Mio fratello frenava, diceva: "C'è unposto di blocco". Noi eravamo sul chi va là,pensando: chissà cosa succede? Saltavanofuori gli ugandesi, 15 anni, col mitra, ciguardavano, leggevano sulla jeep: KalongoHospital e allora cominciavano a parlarenella loro lingua con mio fratello e a un certomomento si vedevano i loro visi aprirsi eandavano a chiamare la gente nascosta nellasavana. La jeep veniva accerchiata da tuttiperché avevano scoperto che il guidatore eraP. Ambrosoli. Si ripartiva.

Dopo sette o otto volte dissi: "Senti,falla un po' più breve, altrimenti nonarriviamo più a Kalongo!" Ogni volta simettevano a parlare per un quarto d'ora, poinoi chiedevamo a mio fratello: che cosa tihanno raccontato? Rispondeva: "Sai, lamamma di quel ragazzo li mi ha raccontatoche l'ho operata io, che stava bene... l'altroera lo zio, l'altro era il nonno che è ancora invita..." Era tutta gente che era passata, intanti anni, nell'ospedale di Kalongo, meta ditanti per la sua efficienza, per l'attenzione ela cura che avevano.

Ancora oggi noi siamo a disposizioneper dare l'aiuto, in memoria di nostrofratello".

PAOLO AMBROSOLI

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QUARTA PARTE

Kalongo oggi

Dr. Ambrosolimemorial Hospital

Finché P. Giuseppe visse, l'Ospedale erachiamato Kalongo Hospital. Nel momentodi riaprirlo, nel 1989, fu naturale intitolarloalla sua memoria. Anche la sua salma èstata riportata nel cimitero di Kalongo (10aprile 1994), accolta da un trionfo di gioia,di canti e danze tipiche della culturaafricana.Oggi nell'Ospedale, di fronte alla salaoperatoria - dove P. Ambrosoli passò granparte del suo tempo - c'è anche una statuadi bronzo: ritrae P. Giuseppe mentresorregge con tenerezza un bambino malato,salutato da un saggio africano che loguarda con venerazione. Tra i reparti piùimportanti dell'Ospedale ricordiamo:- il reparto di malnutrizione:la fame, dovuta a povertà e a guerre, oltreche alle scarse piogge, colpisce ogni annocentinaia di bambini. Essi vengono raccoltiin un reparto specializzato per cureintensive e dieta appropriata.- il reparto di maternità:ogni anno si registrano circa duemila parti.A motivo delle grandi distanze, la maggiorparte delle mamme non riesce ancora araggiungere l'Ospedale. E così un numeroelevato di esse muoiono a causa diemorragie e infezioni varie.Inoltre, da non dimenticare il reparto per imalati di AIDS; la pediatria e il sempreaffollato dispensario.

Campagna di vaccinazioni

Oltre all'attività "curativa" dentrol'ospedale, Kalongo promuove la medicinadi base sul territorio, vasto quanto laValtellina e abitato da circa 150.000abitanti. Grazie a campagne capillari divaccinazioni, sono state debellate epidemiedi morbillo e meningite che hanno mietutomigliaia di vittime nel passato.

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KALONGO OGGI E... DOMANI?

la scuoladi Ostetricia

È una scuola professionale della durata di treanni. Fu voluta e fondata da P. Giuseppe nel1967 con l'aiuto delle suore comboniane. Essacontribuisce in modo validissimo allaformazione ed elevazione della donna africana,assicurando una adeguata assistenza allemamme africane, prima, durante e dopo ilparto.Già più di seicento ragazze, provenienti datutta l'Uganda, appartenenti per lo più afamiglie povere, si sono diplomate a Kalongo.Tali ostetriche, oltre che assicurare il serviziodentro l'Ospedale, rendono possibile il servizioalle mamme nelle zone più isolate eperiferiche.Tre anni fa è ricominciato anche il corsoaggiuntivo di diciotto mesi per ostetriche capo-sala.

...e non solo:KALONGO È..

- la missione (case dei Padri e delle SuoreComboniane), la chiesa, i laboratori e leofficine....

- la "Ambrosoli Memorial School" gestitadalle Suore Africane e i loro bambini dalledivise gialle-blu...

- è infine il piccolo cimitero dove riposa e"veglia" la salma di Padre Giuseppe: sullalapide della tomba vi sono scolpite le paroleche lo hanno ispirato e sorretto in tutta la suavita: "Dio è Amore e io sono il suo servo per lagente che soffre".

È questo il messaggio che P. Giuseppe, ilMedico di Dio, ci ha consegnato come il suotestamento più prezioso.

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QUARTA PARTE

anche tu, insieme!

gni anno spendiamo più di300.000.000 di lire per mandareavanti questo Ospedale dotato di

350 posti letto e della sua Scuola diOstetricia con più di 80 studenti divise in treanni di corso...

OTutto questo con offerte che sono dono dellaProvvidenza...Anche quest'anno 1996 è stato moltodifficile a motivo dell'insicurezza dellestrade: bande armate hanno continuato acreare imboscate e a mettere mine nellanotte.Con tanta pazienza e fede in Dio, la vitadell'Ospedale è continuata e di questodesidero ringraziare il Signore e P. Giuseppe,assieme a tutti voi. Trovare medici, Ugandesie non, diventa sempre più difficile proprio acausa dell'isolamento che si produce attorno

a noi. Nei momenti di gioia e in quelli didolore sono ormai abituato a fare la miavisita al Cimitero, presso la tomba di P.Giuseppe. La sua foto sorridente ispirafiducia. Ci guardiamo negli occhi, ciparliamo...A Lui - ormai felice con Dio - affido tutte ledifficoltà che mi pesano sul cuore, certissimoche poi lui troverà una soluzione.Ogni giorno io affido a Dio tutti voi che cisostenete con la preghiera e le vostre offerte.Grazie ancora per quanto ci avete donatoe ci potrete ancora donare, per mantenereaperto questo Ospedale e questa Scuola diOstetricia, che grazie al vostro dono,diventano anche "vostri".

Vostro aff.mo P. Egidio Tocalli(lettera per il Natale 1996)

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invito alla lettura27 marzo 1987 - 27 marzo 1997:dieci anni di miracoli! pag. 2

1. LA FIGURA DI PADRE GIUSEPPE- il segno del passaggio di Dio pag. 4- 27 marzo 1987 pag. 5- il ritorno al suo ospedale: Kalongo pag. 7

2. PADRE GIUSEPPE CI PARLA- lettere a Renzo Corti pag. 10- lettere all'Angioletto Merlo pag. 13- lettere a due giovani di Ronago pag. 14- lettere alle ragazze di II e III media pag. 16- lettere ai familiari pag. 17- lettere a suor Augusta Della Noce pag. 19- lettere al G.A.M. pag. 21- lettera a don Antonio pag. 23- lettera ad Angelo Sedetti pag. 24- lettera a Bernasconi Elisabetta Pastori pag. 25- lettera a Serafino pag. 25- corrispondenze con suor Matilde pag. 26- lettere circolari pag. 27- esodo da Kalongo pag. 31- fax all'A.V.S.I. pag. 33- "testimoni della resurrezione di Gesù" pag. 34

3. CI PARLANO DI PADRE GIUSEPPE- Ronago lo ricorda così pag. 35- il ricordo di un amico pag. 45- ricordo dei 25 anni di sacerdozio pag. 47- uniti nello spirito della missione pag. 48

4. UNA PRESENZA VIVA- Kalongo oggi pag. 51- Anche tu, insieme! pag. 53

La comunità parrocchialedi Ronago ringrazia tutticoloro che in forme diversehanno collaborato rendendopossibile la realizzazione diqueste pagine

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