Una teoria dei generi musicali. Due applicazioni. della teoria degli insiemi: il genere vuoto, ......

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Una teoria dei generi musicali. Due applicazioni. Relazione presentata alla Prima Conferenza Internazionale della Iaspm, Amsterdam, 1981 (versione originale italiana) 0. Struttura di questo lavoro. Questo lavoro si compone di tre parti. Nella prima viene enunciata e commentata una definizione di “genere musicale”; a partire da questa vengono fatte osserva- zioni ed esempi sui tipi di norme che concorrono alla definizione di un genere e sulle modalità della loro accettazione da parte di diverse collettività. Nella seconda parte vengono analizzati i ge- neri che oggi, in Italia, sono caratterizzati dalla forma “canzone”, nell’accezione larga che le è riconosciuta: questa analisi sincro- nica è volta a delineare la struttura di una parte consistente dell’attuale sistema musicale italiano, e ad esemplificare la possi- bilità di distinguere tra loro generi simili, normalmente confusi nella definizione comune di “musica leggera”. Nella terza parte, uno di questi generi, la “canzone d’autore”, viene analizzato nel suo decorso temporale: questa analisi diacronica è volta a inda- gare le modalità attraverso le quali un genere viene codificato, e le sue possibili trasformazioni. 1.1. Definizione. Un genere musicale è “un insieme di fatti musicali, reali e possibili, il cui svolgimento è governato da un in- sieme definito di norme socialmente accettate.” La nozione di in- sieme, per il genere come per il suo apparato definitorio, implica

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Una teoria dei generi musicali. Due applicazioni.

Relazione presentata alla Prima Conferenza Internazionale della Iaspm, Amsterdam, 1981 (versione originale italiana)

0. Struttura di questo lavoro. Questo lavoro si compone di treparti. Nella prima viene enunciata e commentata una definizionedi “genere musicale”; a partire da questa vengono fatte osserva-zioni ed esempi sui tipi di norme che concorrono alla definizionedi un genere e sulle modalità della loro accettazione da parte didiverse collettività. Nella seconda parte vengono analizzati i ge-neri che oggi, in Italia, sono caratterizzati dalla forma “canzone”,nell’accezione larga che le è riconosciuta: questa analisi sincro-nica è volta a delineare la struttura di una parte consistentedell’attuale sistema musicale italiano, e ad esemplificare la possi-bilità di distinguere tra loro generi simili, normalmente confusinella definizione comune di “musica leggera”. Nella terza parte,uno di questi generi, la “canzone d’autore”, viene analizzato nelsuo decorso temporale: questa analisi diacronica è volta a inda-gare le modalità attraverso le quali un genere viene codificato, ele sue possibili trasformazioni.

1.1. Definizione. Un genere musicale è “un insieme di fattimusicali, reali e possibili, il cui svolgimento è governato da un in-sieme definito di norme socialmente accettate.” La nozione di in-sieme, per il genere come per il suo apparato definitorio, implica

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che si possa parlare di sottoinsiemi come i “sottogeneri”, nonchédi tutte le operazioni previste dalla teoria degli insiemi: in parti-colare un certo “fatto musicale” può trovarsi nell’intersezione tradue o più generi, e quindi appartenere contemporaneamente atutti questi. Per “fatto musicale” può valere la definzione di “mu-sica” data dal semiologo italiano Gino Stefani (Stefani, 1978:112): “qualunque tipo di attività intorno a qualunque tipo dieventi sonori”. Questa definizione è controversa, ma ciò che l’hafatta mettere in questione è proprio quello che serve in questocaso, e cioè il fatto di essere semmai troppo ampia: chi non è d’ac-cordo, insomma, può rifarsi a un insieme di norme che definiscaun insieme più ristretto, ma non può impedire che una colletti-vità, pur ristretta e screditata, consideri “fatto musicale” ciò cheper lui musica non è. L’ampiezza eccessiva è un difetto anche diquesta mia definizione di genere, che consente di chiamare ge-nere qualsiasi insieme di generi, e quindi anche entità che abi-tualmente vanno sotto altri nomi: i sistemi musicali, le musicheetniche, al limite la “musica terrestre” (unione di tutti i tipi diproduzione e consumo musicale sul pianeta) o “galattica”. Aquesto difetto non ho saputo trovare rimedio, se non quello didecidere volta per volta se di un certo insieme di fatti musicali cisi sta occupando in relazione ad altri insiemi ad esso contrapposti– e allora lo chiameremo genere – o in relazione a suoi sottoin-siemi – e allora lo chiameremo sistema: in ogni caso questo di-fetto è preferibile al rischio opposto, quello di non riconoscerecome genere qualcosa di cui magari milioni di uomini parlanocome tale. L’accenno alla realtà o alla possibilità dei fatti musicalipuò apparire ridondante: non si riferisce solo alla caratteristicapropria dei generi di raccogliere opere esistenti e nello stessotempo di invitare alla realizzazione di opere future, ma alla que-stione se, ad esempio, una partitura sia un’opera “reale” o “vir-tuale”, questione che mi sembra già implicita nella definizione difatto musicale scelta. Tuttavia questo accenno permette di evitareuna forzatura che potrebbe derivare da un’applicazione mecca-nica della teoria degli insiemi: il genere vuoto, corrispondenteall’insieme vuoto. Un genere simile implicherebbe, secondo ladefinizione, che una collettività si fosse accordata su un certo in-sieme di norme relative allo svolgimento di fatti musicali (reali o

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possibili), e che poi questi fatti non esistessero: il che non è soloun paradosso dal punto di vista logico, ma lo è soprattutto dalpunto di vista sociologico (e da molti altri). La situazione realepiù simile a questa è quella che corrisponde all’enunciazione diun manifesto, di un programma estetico: in questo caso, però, ilgenere non è vuoto, ma è costituito almeno dai fatti musicali pos-sibili che si possono realizzare secondo le norme di quel pro-gramma. Ecco allora che il genere vuoto può essere ridotto alpuro ruolo di astrazione topologica, per garantire l’eseguibilitàdelle operazioni con gli insiemi, senza che sia messa in questionela sua realtà. La nozione di “svolgimento” è anche questa legataalla definizione di Stefani e al concetto di “attività” che vi è con-tenuto, ma questo è un fatto secondario. La natura di codicedelle norme generiche è associata a un intervento regolativo sulrapporto tra piano dell’espressione e piano del contenuto (Corti,1976: 157): ora, sia per l’aspetto del tutto particolare che assumeogni questione semantica in musica, sia per la natura performa-tiva di quest’arte, sia, come conseguenza combinata di questi duefattori, per il rilievo che a questo riguardo assumono il contesto,la circostanza, la rete di rapporti tra tutti i partecipanti al fattomusicale, è assolutamente vano cercare di individuare un punto,un momento preciso agendo sul quale o nel quale le norme gene-riche svolgano il loro compito regolatore. La definizione, perciò,doveva contenere un termine polifunzionale, in grado di allu-dere, a seconda delle norme e del genere, alle scelte formali di uncompositore dell’Ottocento come alle risposte canore dei fans inun concerto rock, alle condizioni acustiche di un jazz club comeal cerimoniale di ringraziamento di un autore contemporaneo auna “prima”: “svolgimento” mi è sembrato un termine adatto;toccherà alle norme di precisare i sensi in cui va inteso. Che l’in-sieme di norme sia “definito” mi è sembrata una condizione suf-ficiente per annoverare tra i generi anche le poetiche non scritte(v. Poggioli, 1965: 343-345) e soprattutto i generi che si basanosu una tradizione orale, e necessaria per evitare una prolifera-zione all’infinito di varianti. Non ho posto limiti, invece, alla col-lettività sul cui accordo si basa la definzione di un genere; la suaestensione non è un problema (sarà una questione di interessiparticolari decidere se occuparsi del melodramma verdiano o

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della canzone politica nel 1972 nel Movimento Studentesco dellaStatale di Milano) né lo è la sua composizione: un genere nelquale si intrecciano relazioni complesse tra autori, esecutori,pubblico, critici, organizzatori, ciascuno con sue norme partico-lari, può non essere più meritevole di attenzione e analisi di ungenere basato sull’accordo arbitrario di dodici giornalisti e un di-scografico, che vi includono fatti musicali apparentemente etero-genei secondo norme idiosincratiche poco decifrabili. Infine,sulla modalità di questa accettazione sociale, quindi sui principidella codificazione: è ovvio che qui risiede il nocciolo dello svi-luppo diacronico dei generi, del loro costituirsi in sistemi dove isingoli generi assumono di volta in volta funzioni diverse, e in essii fatti musicali. Questo aspetto sarà trattato più avanti, ed esem-plificato nell’ultima parte di questo studio. Prima mi sembra op-portuno esaminare i diversi tipi di norme che concorrono alla de-finizione di un genere.

1.2. Tipi di norme generiche. È necessario precisare che, perquanto aspiri alla completezza, l’elenco che segue non pretendedi esaurire la tipologia delle norme che possono essere coinvoltenella definizione di un genere. Non si tratta, insomma, di co-struire delle categorie fuori dalla storia, ma di ricercare quelleche oggi sembrano effettivamente operanti: non si tratta di risol-vere una volta per tutte il problema dell’analisi dei generi, ma diindicare la sua complessità. Ciò che dovrebbe emergere daquesto panorama è la necessità di un approccio interdisciplinare,in modo che ogni consuetudine, musicale e non, tra quelle checostituiscono un genere, sia esaminata con gli strumenti teoricipiù appropriati. Questo non impedisce che, identificato un in-sieme di norme che sembrino particolarmente rilevanti, un si-stema musicale o una sua parte possa essere analizzato soltantoalla luce di quelle: un sistema apparirebbe così come una matrice,ordinata per generi e norme, nella quale ogni singolo elemento aijindicherebbe il valore della norma i per il genere j. È inutile direche una simile matrice non pretenderebbe di essere altro che unaiuto per la memoria del ricercatore. L’ordine nel quale i diversitipi di norme saranno qui di seguito presentati non corrispondead alcuna gerarchia: d’altra parte nella definizione di ogni singolo

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genere alcune norme sono importanti, e alcune molto più impor-tanti di altre, al punto che queste altre possono essere conside-rate talvolta marginali e trascurate. In questo caso si può anchepostulare l’esistenza di una sorta di “ipernorma” che stabiliscaquesta gerarchia, ipernorma alla quale, senza forzature, possiamoattribuire il nome di “ideologia” di quel genere. In altri casi sitratterà di differenze nella forza di codificazione.

1.2.1. Norme di tipo tecnico-formale. Le considerazioni ap-pena fatte sull’ideologia di un genere e sulle gerarchie che questaistituisce si applicano senza dubbio alle norme tecnico-formali.In gran parte della letteratura musicologica che ha affrontato ilproblema dei generi, a partire da quella positivista per giungerefino a esempi molto recenti, le norme tecnico-formali sembranoessere le uniche prese in considerazione, al punto che genere,stile e forma diventano sinonimi. In mezzo a tanta confusionescientifica non si può pretendere che il senso comune sia più pre-ciso, e infatti anche nell’uso quotidiano i termini vengono facil-mente scambiati: bisogna dire, però, che un adolescente acqui-rente di dischi oggi ha le idee più chiare su cosa sia un genere mu-sicale di gran parte dei musicologi che vi hanno polemizzatoattorno. È indubbio, comunque, che i generi abbiano le loroforme canoniche, anche se non è vero il contrario, e cioè che unaforma sia sufficiente a definire un genere. Ed è altrettanto asso-dato che esistano stili di genere; ma la pratica della citazione sti-listica è divenuta così familiare che nessuno è più disposto ad ac-cettare uno stile di genere come documento di identità. In ognicaso le norme tecnico-formali, al livello compositivo, hanno unruolo notevole in tutti i generi musicali, non solo in quelli cosid-detti “colti”. Ci sono norme che vengono codificate per iscritto,nei trattati teorici o nei manuali di insegnamento, e altre, nonmeno importanti, che si trasmettono per tradizione orale o attra-verso opere modello. Questo vale anche per le norme che si rife-riscono a tecniche di esecuzione, a caratteristiche degli stru-menti, a capacità richieste ai musicisti. Il suonatore di tromba diun’orchestra classica e quello di una big band sono certamente suuno stesso piano dal punto di vista della capacità di lettura e dimemoria, ma sull’imboccatura, sull’estensione, sull’improvvisa-

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zione non vanno d’accordo, e la stessa interpretazione di una bat-tuta come questa:

li trova discordi. Il chitarrista di un complesso punk e AndrèsSegovia hanno idee diverse sul concetto di accordatura, e anchesu quello di memoria, e su tutto il resto. La banalità stessa diquesti esempi mostra quanto le norme di genere a cui si riferi-scono siano radicate nella nostra cultura musicale. Ma, tornandoal livello della struttura compositiva, non si può fare a meno diosservare quante siano le convenzioni sottaciute, i codici che re-golano questi aspetti della musica in modo talmente radicato daapparire banali, e che però mostrano la loro importanza al con-fronto con altre culture musicali, o nei momenti in cui vengonomessi in discussione dallo sviluppo storico, o anche, come inquesto caso, quando si cerca di coglierne le sfumature. È il casodella selezione tra “suoni musicali” e “rumori”, dei sistemi notali,della concezione del tempo musicale, dell’importanza da asse-gnare a vari elementi (melodici, armonici, ritmici), del livello dicomplessità che un intero sistema musicale, o un singolo genere,è disposto ad ammettere. Vi è un dato comune a questi aspetti,ed è che ogni istante di un fatto sonoro contiene una quantità diinformazione enorme rispetto a quella umanamente elaborabile:i codici musicali riducono questa quantità indicando cosa è signi-ficativo e cosa no, cosa merita di essere posto in relazione conaltri fatti e cosa va considerato rumore di fondo (come nellastessa definizione di silenzio). Il disagio tipico di chi affronta perla prima volta un genere o un sistema musicale sconosciuto con-siste proprio nel fatto che “non si sa che cosa ascoltare”; il dannoche deriva alla musica nuova dalle cattive esecuzioni è riconduci-bile in questo quadro. Affrontando generi musicali caratterizzatidalla presenza di un testo, vanno prese in considerazione, natu-ralmente, anche le norme tecnico-formali che ad esso si riferi-scono. L’uso della sintassi, della metrica, le scelte lessicali contri-buiscono a identificare un genere non meno di quanto indivi-duino lo stile di un singolo autore; più in generale, la concezione

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del rapporto testo-musica e le soluzioni formali attraverso lequali questo è affrontato, nonché la stessa ideologia attorno aquesto argomento, sono estremamente diverse da genere a ge-nere.

1.2.2. Norme di tipo semiotico. Naturalmente tutte le norme digenere sono di tipo semiotico, trattandosi di codici che istitui-scono una qualche relazione tra il piano dell’espressione di unfatto musicale e il suo contenuto. Ma in una classificazione dellenorme mi è sembrato più opportuno chiamare con questo nomequelle più vicine ai tradizionali campi di ricerca di questa disci-plina o di alcune sue branche. Visto che è stato appena citato ilcaso dei generi con testo, si può aggiungere che non solo un testoper musica può essere studiato dal punto di vista delle strategienarrative, oggetto della semiotica testuale, e del valore dei mondipossibili creati da testi di tipo narrativo, ma che su questi argo-menti esistono delle regole di genere, molto circostanziate anchese non scritte. La stessa narratività in alcuni generi è in discus-sione, sia nel testo che, in particolare, nella musica: il fatto che inquest’ultimo campo le ricerche sul controllo dell’attenzione esugli accorgimenti retorici non siano ancora molto sviluppatenon toglie che certe differenze nel concetto di svolgimento musi-cale tra epoche e generi diversi appaiano lampanti e assai codifi-cate. Vi sono poi norme che riguardano le funzioni comunicative,quelle indicate da Roman Jakobson nei suoi studi linguistici(Jakobson, 1978: 189): referenziale, emotiva, imperativa, fàtica,metalinguistica, poetica. Jakobson precisa che in ogni messaggiopiù o meno tutte sono contemporaneamente presenti, salvo cheuna sola di esse prevale sulle altre. Le norme di genere orientanosu questa prevalenza: una musica prevalentemente fàtica è la“musica di sottofondo” (caso interessante di genere che può rac-cogliere opere concepite originariamente per un altro contesto),mentre l’attenzione al fattore estetico, poetico, in diversi gradi econ diverse pretese, distingue la musica “d’arte” dalle altre, comedistingue il “rock progressivo” dallo “hard rock”, la “canzoned’autore” dalla “canzonetta”. La funzione metalinguistica è fon-damentale nel definire le “avanguardie” (che non stabilisconoconfini tra il “parlare di musica” – anche in musica – e il “fare

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musica”), così come quella imperativa predomina nella musicada ballo e quella emotiva nella musica da film e nei jingles pub-blicitari. Si tratta di norme di genere, beninteso: esiste un tacitoaccordo, ad esempio, sul livello di sollecitazione emotiva che èconsentito nella musica contemporanea, superato il quale si cadenel “pompierismo” o nel “neoromanticismo”. Non necessaria-mente le norme di tipo semiotico riguardano il testo musicale (oquello verbale che vi è connesso) in senso stretto: proprio la de-finizione di “fatto musicale” scelta, con la sua ampiezza, invita aconsiderare codici paralleli o riferiti al contesto. Quest’ultimo èil caso delle norme prossemiche, che riguardano cioè la disposi-zione spaziale dei partecipanti al fatto musicale. Ogni genere haun suo spazio strutturato in modo particolare, e non sarebbe ilcaso di parlarne qui se questa caratteristica non contribuisse alladefinizione del significato del fatto musicale: la relazione traquesto spazio, la comunità che lo occupa, l’intensità del suono ela “forza sintetica” della musica è stata affrontata, prima che dalgiornalismo attuale a proposito dei grandi festival rock, da PaulBekker nel suo studio sulla sinfonia e ripresa da Adorno nel suosaggio sull’impiego musicale della radio (Adorno, 1975: 252-253). Le distanze tra musicisti e pubblico, tra spettatore e spetta-tore, le dimensioni complessive del fatto sono elementi spessofondamentali nel definire un genere, e non di rado orientano ipartecipanti, in modo giusto o sbagliato, sulle aspettative relativead altre norme di genere: spesso “come ci si siede” dice di piùsulla musica che ci sarà di un manifesto. Codici paralleli a quellimusicali in senso stretto, invece, sono ad esempio quelli mimico-gestuali: non solo quelli ovvii e fortemente codificati delle varieforme di danza, ma anche quelli che si riferiscono agli atteggia-menti e ai movimenti di cantanti, strumentisti, naturalmente deidirettori d’orchestra, ma anche degli stessi ascoltatori e, perchéno, dei critici. Simili nel loro effetto principale, che consiste nelrassicurare sull’identità del fatto musicale che si sta svolgendo, equindi nell’orientare sulla scelta di altri codici, sono le norme cheriguardano l’abbigliamento. Ma con la moda ci spostiamo ai con-fini tra il campo abituale della semiotica e quelli delle scienze delcomportamento e della sociologia.

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1.2.3. Norme comportamentali. I metodi di approccio a questotipo di norme possono essere i più diversi, da quelli delle variescuole psicologiche a quelli della cosiddetta “microsociologia”:ma è indubbio che molti degli studi di questo tipo indirizzati incampo musicale hanno riscontrato, anche quando non le ricerca-vano, delle regolarità all’interno di uno stesso genere. Buonaparte di questi studi hanno come oggetto la psicologia dei musi-cisti, in particolare concertisti e professori d’orchestra o ses-sionmen, dei quali sono state analizzate le reazioni di fronte alpubblico o ad una partitura sconosciuta: ma anche per quello cheriguarda il pubblico ci sono reazioni psicologico-comportamen-tali codificate da genere a genere. Vediamo, ad esempio, che la“sincerità” dell’artista è diversamente percepita e valutata in ge-neri differenti. Inoltre è noto a chiunque abbia consuetudine conpiù di un genere che ogni genere è caratterizzato da regole diconversazione, piccoli e grandi rituali, che forse più di ogni altranorma contribuiscono a fare di un genere una cerchia esclusiva ea rivelare, in brevissimo tempo, il non adepto intruso.

1.2.4. Norme di tipo sociale. Norme ideologiche. Ogni genere èdefinito da una comunità, variamente strutturata, che ne accettale norme e che partecipa, in forme diverse, allo svolgimento deifatti musicali. La distinzione tra generi a seconda delle loro fun-zioni sociali, della loro struttura sociale interna, o delle classi ogruppi o generazioni che li preferiscono, però, non è compito diquesto paragrafo: è noto che questa è stata per molto tempo laprospettiva privilegiata dello studio sui generi, fin dai primi au-torevoli studi di sociologia della musica. Ma ci sono casi in cuiquesti dati sociologici entrano a far parte del repertorio di normedi un genere: casi, del resto frequenti, nei quali l’analisi del socio-logo è anticipata dalla precisa consapevolezza dei partecipanti alfatto musicale del significato e della struttura sociale di ciò a cuipartecipano. Ad esempio, la divisione del lavoro tipica di un ge-nere è anche una norma; e ancora, il legame di un genere con de-terminati gruppi di età, strati o classi sociali può diventare unanorma, al punto che singoli individui possono essere portati a ne-gare il proprio gruppo o classe di appartenenza proprio attra-verso l’adozione di un particolare genere. Un discorso analogo a

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quello delle norme di tipo sociale può essere fatto a propositodelle norme ideologiche. Ma, ricordando quanto si è detto sullecosiddette “ipernorme” che istituiscono gerarchie tra le altrenorme di genere, sembra più interessante ricondurre l’ideologiaal suo significato originario di “falsa coscienza”, piuttosto che li-mitarsi a osservare le connotazioni ideologiche o politiche diquesto o quel genere. In questo senso va notato che la coscienzadelle norme di genere da parte di un suo partecipante è quasisempre di natura ideologica, e questo tra l’altro ha impedito amolta critica militante (militante, spesso, in un solo genere) di af-frontare senza pregiudizi uno studio scientifico sui sistemi musi-cali e sui generi. L’ideologia, infatti, non solo può mettere in ri-lievo certe norme rispetto ad altre, ma addirittura occultarne al-cune, quando queste si trovino a contrastare con altre ritenutepiù “nobili”. È da sottolineare, comunque – ancora una volta –che una gerarchia di norme può anche non essere di natura ide-ologica, e dipendere dalla forza della codificazione di ciascuna diquelle (ammetto che questa possa essere considerata un’”ideo-logia scientifica”).

1.2.5. Norme economiche e giuridiche. Tra le norme di generequeste, per quanto più facilmente accessibili all’analisi critica,sono spesso le più soggette all’oscuramento ideologico: non ci siaspetta da un musicista o anche da un ascoltatore di un certo ge-nere di conoscere i retroscena economici o giuridici che ne ga-rantiscono la sopravvivenza e la prosperità, ma piuttosto da uncritico accanito di quel genere. Questo è anche un esempio moltorappresentativo della differenza tra gerarchie ideologiche e ge-rarchie dovute alla forza della codificazione: queste norme, la cuiforza e importanza è addirittura trascritta in leggi dello Stato,possono restare occultate dietro l’”indipendenza dell’artista” o la“rabbia generazionale”. Naturalmente può avvenire anche il con-trario: è il caso di certe indagini pseudosociologiche o pseudopo-litiche nelle quali l’importanza della struttura economica vieneaccresciuta a dismisura, e gli altri elementi vengono dichiarati ac-cessori non in base a un’analisi scientifica, ma perché non in-fluenzino le conclusioni già tratte a priori.

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1.3. La collettivitá musicale. Un fatto musicale può coinvol-gere collettività variamente strutturate. Grazie al tipo di defini-zione di genere e di fatto musicale che abbiamo accettato, la col-lettività che ne è coinvolta non coincide necessariamente conquella fisicamente presente nel momento in cui si possono ascol-tare i suoni. Ciò è banale, ma indica chiaramente che uno studiodei generi non può coincidere con una sociologia del consumomusicale (con la quale viene spesso confuso in ambito giornali-stico), anche se la può includere; a conferma di quanto ho ap-pena detto, si può osservare che non necessariamente un genere,per essere tale, deve avere quello che comunemente si intendecome un pubblico. Quest’ultima precisazione è opportuna. Lastruttura della collettività musicale è tipica di un genere, al puntoda entrare a far parte, piuttosto spesso, del repertorio delle suenorme (come abbiamo visto al paragrafo 1.2.4.). Ma si deve tenerconto della storicità delle categorie attraverso le quali analiz-ziamo questa struttura e, a maggior ragione, di quelle che entranofra le norme di genere. Le nozioni comuni di autore, esecutore,impresario, ascoltatore, critico, eccetera, sono fin troppo eviden-temente legate ad un periodo e a un’area culturale definita: pos-siamo usarle per studiare fenomeni che avvengono al di fuori diquell’area, ma solo per comodità e precisando le condizioni diquell’uso. Non è necessario allontanarsi troppo, cercando riferi-menti alla storia antica o all’etnomusicologia, per trovare esempidi inadeguatezza di queste categorie: basta vedere quanti di-stinguo occorrano per usare la stessa categoria di interprete o diesecutore per Arthur Rubinstein o per Keith Emerson, o per idue suonatori di tromba citati come esempio al paragrafo 1.2.1..La soluzione migliore di questo problema mi sembra quella di ri-ferirsi sempre con la maggior precisione possibile alla funzionesvolta dal singolo partecipante al fatto musicale, anche se questopuò spingere a qualche pedanteria eccessiva. Oltre alle funzionilegate alla divisione dei compiti all’interno di un genere, vi sonole funzioni caratteristiche dei diversi generi all’interno di un si-stema musicale. A che scopo si formano le collettività musicali?Esistono nessi di qualche tipo tra queste collettività e quelle nellequali la società è suddivisa rispetto ad altri scopi o in base ad altricriteri di analisi? Mi sembra evidente che la sociologia della mu-

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sica non possa rispondere a queste domande “classiche” se nontenendo conto di tutte le componenti che entrano a far partedella definizione di un genere, rifiutando la contrapposizione fragli strumenti di analisi basati sull’inchiesta e quelli di natura er-meneutica. Si tratta, credo, di riconoscere la validità di procedi-menti diversi in campi di indagine diversi. Dovrebbe essere noto,ormai, che le differenze profonde di funzione sociale e differenzenella partecipazione di strati o classi sociali si possono riscontrareanche tra generi che i primi studi di sociologia della musicaavrebbero confuso sotto un’unica etichetta: il contributo dato aquesti risultati dai diversi metodi di analisi è indistinguibile. Ciòche invece ha danneggiato in varia misura gli studi a carattere so-ciologico è quel tipo di sociologismo che attribuisce all’oggettodell’analisi la stessa consapevolezza dell’analista: secondo questaprospettiva le classi, i gruppi, le generazioni agirebbero semprenella realtà musicale con una coscienza del proprio ruolo che sa-rebbe veramente difficile attribuire loro in altri campi. Questo,però, è un rischio ben presente anche a questo studio, e alla no-zione di collettività musicale che ne sta alla base: in che modovengono codificate le norme di genere? Che coscienza ha la col-lettività musicale di questa codificazione? Questa coscienza èuniforme per tutti i membri della collettività? Cerchiamo di chia-rire immediatamente questi interrogativi.

1.3.1. Le condizioni di codificazione. Un genere nuovo nonnasce nel vuoto, ma all’interno di un sistema musicale già strut-turato. Una parte considerevole delle norme che lo definiscono,perciò, è comune ad altri generi esistenti nel sistema, mentresono relativamente poche, una specie di nocciolo, quelle che loindividuano. In questo quadro è comprensibile che il nocciolo dinorme caratteristiche nasca in seguito alla codifica di quelle cheinizialmente non sono che trasgressioni a norme di altri generi.La natura di queste trasgressioni può essere molto varia, a se-conda delle norme implicate e, di conseguenza, a seconda dell’in-tenzionalità: si va dall’applicazione di una tecnica nuova, resapossibile dallo sviluppo tecnologico, all’enunciazione di una po-etica (e cioè alla trasgressione che contiene in sé la sua codifica),passando per infiniti punti intermedi. Quello che conta è che –

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quasi sempre in seguito al successo di un singolo fatto musicale –queste innovazioni vengano prese a modello ed erette a norma.Ma non bisogna incorrere nell’errore di pensare che la codifica diun genere consista semplicemente nella ratifica di un successo.Secondo questa interpretazione prima vengono fatte delle tra-sgressioni a norme inviolabili, il risultato viene messo in una sca-tola nera della quale non si conosce il funzionamento, e se questascatola indica “successo”, poi le trasgressioni vengono codificate.Il modello più attendibile, invece, è che, presso alcuni compo-nenti della collettività musicale, alcune norme di genere comin-cino a dare segni di usura, nonostante continuino ad essere ri-spettate. Si crea così un’aspettativa, che configura ancora inmodo vago le nuove norme. Il “successo” non è altro che l’attodi codifica di quelle norme, attraverso l’esemplificazione che neè data e da parte della collettività che lo decreta. Come dice illuogo comune, quindi, il successo – che non ha nulla a che vederecon il valore estetico – consiste nella risposta a delle aspettative.In certi momenti queste aspettative coincidono con il rispetto dinorme già codificate, altre volte con l’attesa di una nuova codi-fica. Ciò che è misterioso, o meglio, ciò che vale la pena di stu-diare, non è quindi il successo, ma il suo contrario: il motivo percui fatti musicali che sembrano avere tutte le caratteristiche perfunzionare (soddisfacendo le norme di genere) vanno incontroall’insuccesso. Insomma, perché le norme si deteriorano?

1.3.2. La coscienza della codificazione. Come è noto, la compe-tenza analitica di un codice non è necessaria al suo uso: tutti im-pariamo a parlare prima che ci venga insegnato a formalizzare lanostra conoscenza delle regole grammaticali, sintattiche, reto-riche e semantiche. Lo stesso si può dire, ovviamente, per il co-dice di un genere. Nel caso di codici come quelli linguisticil’esperienza ci dice che la competenza analitica costituisce un ar-ricchimento, un mezzo per penetrare più a fondo nell’infinita va-rietà dei messaggi che si possono realizzare in quel codice. Ma lostesso non si può dire a proposito di tutte le norme di genere. Cisono codici musicali che, al pari e forse più di quelli linguistici,offrono una tale varietà di combinazioni che la stessa competenzaanalitica completa non è alla portata della vita di un uomo. Ma ci

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sono altri codici che hanno possibilità combinatorie estrema-mente ridotte, al punto che non solo la competenza analitica, maaddirittura la conoscenza di tutti i messaggi possibili è accessibilein un tempo relativamente breve. Sembra esserci, quindi, una so-glia che divide i codici “ricchi” da quelli “poveri”: al di sopra diquesta soglia la competenza analitica permette – per ricorrere adun termine abusato – di ridurre l’eccesso di informazione, equindi aumenta l’interesse per i messaggi; al di sotto di questa so-glia la competenza analitica rende tutti i messaggi prevedibili equindi molto poco interessanti. Il deterioramento delle norme digenere, quindi, può essere interpretato come legato al processodi apprendimento analitico di codici “poveri”: non appena unaparte consistente della collettività musicale è in grado di preve-dere con grande approssimazione ciò che fino a poco prima eraoggetto di un’aspettativa orientata, ma non analitica, il fatto mu-sicale che verifica quella previsione perde di interesse, e si creainvece un’attesa per qualcosa che la smentisca. Un fatto che sipuò collegare a questa interpretazione è il seguente: quanto piùun genere si regge su un insieme di norme complesso, quanto piùtra esse prevalgono codici “ricchi”, e tanto maggiore è la duratadelle norme di genere. Viceversa, nei generi o nei sistemi neiquali sono presenti in maniera preponderante codici “poveri”, ilricambio delle norme è molto più accelerato. Tuttavia questofatto, assolutamente famigliare agli osservatori del succedersidelle mode musicali nell’occidente capitalistico, non è generaliz-zabile ad altre aree culturali o ad altri periodi storici. Ma il feno-meno è spiegabile, se consideriamo che ciò che abbiamo definitocome “interesse”, o meglio l’opposizione “interesse/disinte-resse”, è un’unità culturale che rientra nelle motivazioni dell’at-tività musicale di alcune collettività, non di altre: per fare degliesempi, di quelle che mettono in risalto l’aspetto comunicativo,non di quelle per le quali la musica è un rituale. Questa è una di-mostrazione del fatto che alcune norme di genere (perché diquesto si tratta) condizionano non solo l’uso di altre norme, mail loro stesso processo di codificazione e l’influenza che su questoha la competenza analitica. Il livello di interdipendenza tra tuttiquesti fattori, poi, è accresciuto dal fatto, già accennato, che iltipo di competenza delle norme di genere non è lo stesso, in uno

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stesso momento, per i diversi componenti della collettività musi-cale.

1.3.3. Le diverse competenze. Come è stato osservato fin dallacelebre “tipologia dell’ascolto” di Adorno, la competenza dei co-dici non varia solo da un genere all’altro, ma addirittura all’in-terno di una sola componente, il pubblico, di un certo genere. Èscontato, quindi, che la competenza sia diversa per componenticome gli autori, gli esecutori, i critici, gli organizzatori e così via.Ciò che è problematico, invece, è come inquadrare questa diver-sità alla luce di quanto si è detto finora. Quello che sembra piùevidente è che a variare, da una componente all’altra, sia quellache abbiamo definito come l’ideologia del genere. Vi sarebbero,cioè, norme considerate più importanti da una componente emeno importanti da un’altra. Ma il riferimento all’ideologia nonpuò essere separato da quello all’opposizione competenza d’uso/competenza analitica. La competenza d’uso, cioè, può assumereun carattere ideologico, nel momento in cui il codice cui si rife-risce venga negato come tale (come convenzione) e venga presen-tato come un dato “naturale” (v. Fiori, 1980). D’altra partesembra plausibile che un’opposizione competenza d’uso/compe-tenza analitica tra componenti diverse della collettività musicalepossa essere legata alla particolare funzione di queste compo-nenti anche in modo non ideologico. La conseguenza principaledi queste disparità, comunque, è la possibilità di decodifica aber-rante, cioè di ricorso a codici diversi da quelli dell’emittente: mapiù che una sventura scientifica, questa sembra essere una tra lecause principali del movimento storico e della ricchezza della vitamusicale. Supponiamo, infatti, che si presenti all’attenzione unfatto musicale nuovo; una parte della collettività musicale, po-niamo la critica, può, in base alla sua competenza analitica dei co-dici, considerarlo una variante consentita in un genere già noto:ma un’altra parte, diciamo il pubblico, può ritenere una partico-lare combinazione di norme alle quali il fatto si conforma tal-mente insolita da urtare significativamente contro l’ideologiaconsolidata, rendendo necessaria la creazione di un generenuovo. Viceversa la critica può non riconoscere, per deforma-zione ideologica, gli elemnti di regolarità che collocano un fatto

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nuovo in un genere già accettato. Se estendiamo questi esempi atutte le relazioni possibili all’interno di una collettività musicale,vediamo che la vita dei generi non è per niente simile ad un teu-tonico rispetto di regolamenti, ma che si alimenta proprio delrapporto tra diverse leggi, della loro trasgressione e, soprattutto,dell’equivoco.

2. Il sistema della canzone oggi in Italia. L’uso del termine“canzone” implica che si definisca un insieme di norme di ge-nere. Per fare questo, però, non è necessario che si enuncinotutte le norme una per una: la teoria degli insiemi permette al-cune operazioni che ci consentono di abbreviare questo pro-cesso, altrimenti lunghissimo, a condizione che siamo in grado diaccettare come già definiti alcuni particolari insiemi. Questo è ciòche avviene normalmente per qualsiasi unità culturale, anche perevitare un regresso infinito. La definizione che segue esemplificaquesta possibilità.

2.1. La canzone. La canzone è un fatto musicale di breve du-rata (in media intorno ai 3-4 minuti) fornito di un testo. Il si-stema-canzone fa proprie le convenzioni selettive, notali e strut-turali del sistema musicale della tradizione europea scritta, inclu-dendo le varianti che derivano dalla contaminazione con lamusica afro-americana e latino-americana e con lo stesso folkloreeuropeo. All’interno di questo sistema, le cui caratteristiche prin-cipali per brevità diamo per conosciute, la canzone può esseredefinita come una breve composizione strofica (intendendoquesto termine nel senso più vasto che allude a una ripetizione diparti simili) consistente in una melodia fortemente influenzatadalla scansione ritmica del linguaggio parlato, normalmente ac-compagnata. Il carattere melodico, armonico, ritmico, timbricodella canzone può variare liberamente all’interno del sistema de-scritto (con differenze da genere a genere), ma con la precisaesclusione della polifonia e delle tecniche della cosiddetta“nuova musica” del secondo dopoguerra. Le norme di tipo tec-nico-formale non sono sufficienti da sole a isolare il sottosistema-canzone: appare evidente che quanto si è detto finora può valereanche per alcune forme o generi della musica colta – all’interno

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del sistema musicale considerato – che nessuno accetterebbe diannoverare tra le canzoni, pur riconoscendo la relazione storicae culturale che esiste, ad esempio, tra la canzone e l’aria, la ro-manza o il Lied. Dato che lo scopo di questo studio sulla canzonenon è quello di enunciare tutte le norme in base alle quali si puòdistinguere il sistema della musica colta da quello della musicapopolare, o leggera, o di massa – distinzione che in questo con-testo si può ritenere nota, o oggetto di approfondimenti specifici– credo che si possa accettare, in base a quello che ho detto nellasezione precedente, una definizione che restringa l’insieme dinorme tecnico-formali che si sono enunciate al solo campo dellamusica popolare. L’operazione è scientificamente corretta, e ciòè quello che interessa in questa sede: non è necessario, come ab-biamo visto, dare un elenco completo delle norme del sottosi-stema “canzone”, ma mostrare 1) che è possibile definire la can-zone nei termini teorici visti finora e 2) che alcune cautele sononecessarie. A dimostrazione di quest’ultimo punto, basti il fattoche mentre in italiano il termine “canzone”, ad eccezione del ri-ferimento a forme vocali o strumentali rinascimentali, è senzadubbio circoscritto all’area popolare, lo stesso non si può certodire del suo equivalente in altre lingue. Il fatto stesso che Liednon sia traducibile con “canzone”, a meno di tutta una serie diprecisazioni, prova che già solo in una discussione tra italiani e te-deschi una definizione moderatamente pignola come quella ap-pena data è necessaria.

2.2. I generi della canzone. Nel sistema musicale italiano at-tuale sono presenti i generi principali seguenti: la canzone ita-liana tradizionale, la canzone pop, la canzone “sofisticata”, lacanzone d’autore, la canzone politica, la canzone rock, la can-zone infantile. Questo non esclude che possano esistere altri ge-neri, che però vengono attualmente considerati come sottogeneridi quelli elencati; è anche frequente il caso di fatti musicali chevengono riferiti a più generi contemporaneamente: canzoned’autore e canzone rock, canzone d’autore e canzone politica, ecosì via. Le differenze tra un genere e l’altro verranno analizzatequi di seguito in riferimento ai tipi di norme generiche elencatinella prima parte di questo studio.

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2.2.1. Norme di tipo tecnico-formale. Dal punto di vista dellastruttura formale complessiva, solo per la canzone tradizionaleesiste una norma che orienta verso l’uso di una forma particolare,derivata dalla romanza: per gli altri generi non esistono formespecifiche. Tuttavia la forma è influenzata da norme tecniche cheinvestono anche altri aspetti strutturali, e che sono legate allenorme semiotiche: si tratta di norme che riguardano il livello dicomplessità strutturale dei singoli generi. Si va da un massimo disemplicità – quantificabile attraverso il numero e la regolarità diripetizione di elementi simili – per la canzone infantile e la can-zone pop, al massimo di complessità della canzone sofisticata. Sideve tener conto che lo stesso criterio non vale sempre per iltesto: in questo caso è la canzone d’autore che si trova al massimolivello di complessità, per ricchezza lessicale, sintattica e retorica.Sia nella musica che nel testo i diversi livelli di complessità siesplicitano anche proprio nella sintassi, intesa nell’accezione piùvasta di relazione tra parti: paratattiche sono la canzone infantile,pop, rock, sintattiche la canzone tradizionale e sofisticata, mentrela canzone politica e quella d’autore lo sono rispetto al testo manon necessariamente rispetto alla musica. Dal punto di vista me-lodico e armonico il riferimento più esemplare per la canzonetradizionale è Puccini, metre sono esclusi risolutamente tutti gliapporti stilistici posteriori agli anni ‘50: in questo senso la can-zone tradizionale è, anche solo sotto il profilo musicale, conser-vatrice e nazionalista. La canzone sofisticata, invece, è cosmopo-lita, e fa immediatamente propri gli stilemi musicali più di modaanche in altri generi, così come la canzone pop: rispetto aquest’ultima, però, la canzone sofisticata è decisamente più ricca,specialmente dal punto di vista armonico. La canzone infantile equella rock rispettano, nella scelta dei materiali musicali, lenorme internazionali di genere: nel primo caso, l’uso delle fun-zioni tonali elementari con incisi melodici basati su arpeggi eframmenti della scala maggiore, nel secondo caso l’uso di blocchiaccordali in congiunzione con incisi melodici spesso modali, in-fluenzati dal blues. Bisogna dire, però, che queste norme formaliriferite alla canzone rock, già vaghe in sé, sono anche deboli ri-spetto a quelle piuttosto rigide della canzone tradizionale: il ge-

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nere rock, insomma, può ammettere addirittura canzoni che ri-spettino lo schema formale della canzone tradizionale, ma nonpuò avvenire il contrario. Lo stesso grado di tolleranza formale,sotto il profilo melodico-armonico, è proprio della canzone d’au-tore e di quella politica: in entrambi i casi, comunque, oggi si puòparlare di una preferenza per l’uso di blocchi accordali e di incisimelodici mediati da varie tradizioni folkloristiche europee, oltreche dal country blues americano. Dal punto di vista ritmico, lamaggior varietà di tempi e metri si riscontra nella canzone sofisti-cata e in quella tradizionale: quest’ultima però rifugge dall’ab-bondanza di sincopi che si trovano nella canzone sofisticata, laquale accoglie più di ogni altra le influenze jazzistiche. La ten-denza a rispettare gli accenti forti è massima nella canzone infan-tile, mentre la canzone pop e la canzone rock sono quelle dove lapulsazione ritmica di base deve risultare sempre evidente. Lacanzone d’autore è piuttosto aperta su questo punto, mentre lacanzone politica è generalmente ben ritmata. Con uno stretto le-game con queste convenzioni ritmiche, e passando alla strumen-tazione, si osserva che la canzone pop, la canzone rock e quellainfantile affidano la scansione ritmica alla batteria, così come lacanzone sofisticata (ma con una distribuzione degli accenti piùvaria); la canzone politica tende a farne a meno, accettando in-vece percussioni legate al folklore (violazioni a queste normesono molto recenti); la canzone d’autore oscilla tra le norme dialtri generi, mentre la canzone tradizionale tande ad accettare labatteria solo se sommersa dai violini. La canzone tradizionalenon è quasi pensabile senza un organico parasinfonico: fino almomento in cui si è trasformato in una passerella di canzoni divari generi, ad uso promozionale dell’industria discografica, ilFestival di Sanremo, culla della canzone tradizionale, avevaun’orchestra con quintetto d’archi, legni, ottoni, più una sezioneritmica moderna. Le canzoni venivano anche ripetute da un pic-colo complesso da night club, per mostrare la loro riproducibilitàda piccole formazioni, ma nella versione su disco non mancavamai la grande orchestra. Anche la canzone sofisticata ha un orga-nico strumentale ricco, ma sarebbe meglio dire lussuoso: il con-cetto “musicale” che deve trasparire è che nell’arrangiamentonon si è badato a spese. La canzone pop non ha norme specifiche,

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se non che rifiuta un’eccessiva povertà così come un eccesso divirtuosismo strumentale, accettato invece nella canzone rock. Lacanzone rock ha una timbrica molto caratteristica, e anche quellainfantile. La canzone d’autore, oggi, accetta principalmente l’or-ganico strumentale del rock (batteria, basso, chitarra elettrica, ta-stiere) in aggiunta alla chitarra acustica, che è lo strumento pre-ferito dalla maggior parte degli attuali cantautori. Nella canzonepolitica si riscontra un dominio assoluto della chitarra acustica,eventualmente accompagnata da strumenti della tradizione po-polare; l’elettrificazione è ancora considerata una violazione. Lecapacità tecniche degli strumentisti sono appropriate agli orga-nici strumentali: per le sezioni di archi e legni e per i corni, sianella canzone tradizionale che in quella sofisticata, si usano ele-menti di orchestre sinfoniche, in attività o in pensione; gli altri ot-toni, i sassofoni e la sezione ritmica hanno una formazione jazzi-stica o provengono dalle orchestre da ballo. Nella canzone pop ein quella infantile, nel rock, nella canzone d’autore predominanogli autodidatti. Come negli altri paesi dove esiste un’industriamusicale sviluppata, il lavoro di incisione dei dischi, che in-fluenza poi anche le esecuzioni dal vivo, è affidato a una cerchiapiuttosto ristretta di sessionmen, per i quali è un vanto il fatto disaper affrontare generi diversi. Le competenze tecniche sonoquindi standardizzate. Va da sé che, lasciati liberi di suonarequello che gli piace, questi musicisti tendano a quella che un po’dappertutto si conosce con il nome di fusion music. Per le nume-rose parti non scritte, il produttore, il cui compito è di organiz-zare il rispetto o la violazione delle norme di genere, comunicacon questi sessionmen per mezzo di citazioni di genere, adesempio: “Questa è una canzone pop: non fare quel basso allaJaco Pastorius!” Lo statuto dilettantistico della canzone politicasepara nettamente le competenze tecniche dei suoi strumentisti(e anche il feticismo per lo strumento di marca) da quelle dei ses-sionmen; il cantautore (non i suoi accompagnatori) può anche es-sere un modestissimo suonatore del suo strumento. Gli autori dicanzoni tradizionali o sofisticate lavorano generalmente al piano-forte, gli altri più spesso alla chitarra: per gli altri generi il piano-forte non è escluso, salvo che nella canzone politica (dove l’au-tore è spesso anche esecutore) per ovvii motivi di reperibilità. Lo

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strumento connota, in tutti questi casi, la maggiore o minore co-noscenza delle tecniche di composizione classiche. Differenzemolto marcate si riscontrano dal punto di vista della vocalità.Nella canzone tradizionale i requisiti di intonazione, estensione,potenza della voce sono vicini a quelli dell’operetta, specialmenteper le voci maschili, mentre nella canzone sofisticata si aggiungela competenza di tecniche di emissione di derivazione jazzistica etipicamente femminili: il cantante “bravo” maschio è un teno-rino, e canta canzoni tradizionali, la cantante “brava” femmina èuna star del musical (che però in Italia non esiste), e canta can-zoni sofisticate. La canzone infantile è cantata da bambini o dacantanti di altri generi che imitano la voce che secondo moltigrandi bisognerebbe usare quando si parla a dei bambini. La can-zone pop non richiede doti vocali particolari, mentre la canzonerock prevede un’estensione notevole verso gli acuti, e una ma-schera vocale molto accentuata timbricamente. Nella canzonepolitica c’è un’attenzione ideologica verso i modi di emissionedella tradizione folklorica, ma la pratica tende al modello operi-stico, pur accettandone una deformazione popolaresca. Nellacanzone d’autore, quelli che in altri generi verrebbero conside-rati errori di intonazione, di emissione, difetti di pronuncia, sonoinvece accettati come caratterizzazioni della personalità indivi-duale, che in questo genere è di primaria importanza. Venendo,in conclusione di questo paragrafo, alle norme che riguardano iltesto, possiamo osservare che la tendenza della canzone d’autorealla caratterizzazione individuale si manifesta soprattutto nel les-sico, che è più ricco e più aperto ad accogliere suggestioni lette-rarie. Negli altri generi, un lessico ricco si riscontra anche nellacanzone sofisticata e in quella politica, dove è pure evidente l’in-fluenza della lingua scritta, ma, ovviamente, di altri tipi di lette-ratura. Certi espedienti che connotano una poeticità di bassalega, come la collocazione dell’aggettivo prima del sostantivo, ol’apocope (amor invece di amore) sono, però, più tipici della can-zone tradizionale, e costituiscono nella canzone d’autore solo va-rianti individuali. La poeticità della canzone d’autore si basa piùche altro su un uso preferenziale della metafora, mentre non sipuò dire che il verso subisca un trattamento particolare, diversodagli altri generi. Un problema che affligge tutti i generi della

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canzone italiana è quello delle tronche, tanto più forte là dove sisente l’influenza della musica inglese e americana. L’ideologia delgenere della canzone rock, ad esempio, è che l’Italiano non siaadatto a questa musica, e che si canti in Italiano solo per unadubbia convenienza commerciale: il cantante rock italiano nonvede l’ora di convincere i suoi discografici a lasciargli conquistareil mercato mondiale cantando in inglese. Molti compositori dicanzoni rock, pop, e forse qualche cantautore compongono leloro melodie cantando in un falso inglese, e poi “traducono” initaliano. Il risultato è un’infinità di parole tronche: dato chequeste in italiano sono molto limitate di numero, le ripetizioni el’impoverimento del lessico sono automatici.

2.2.2. Norme di tipo semiotico. Le strategie testuali dei diversigeneri di canzone sono differenti. Per la canzone politica, nondeve esistere dubbio che il mondo delineato nel testo è il mondoreale, così come si presenta ora o come si è presentato in un par-ticolare momento storico. La canzone tradizionale, la canzonepop, la canzone rock, la canzone sofisticata delineano un mondopossibile che è una variante elementare del mondo reale, una sce-neggiatura nella quale l’ascoltatore può entrare sostituendosi alprotagonista della canzone. Cambiano, tra questi generi, le con-notazioni generazionali e sociologiche del mondo possibile, nonil meccanismo di identificazione. Questo, del resto, vale ancheper la canzone infantile, dove il mondo possibile coincide inmodo più chiaro con l’immaginario infantile, al quale non si puònegare uno statuto di realtà paragonabile al mondo reale di unadulto. Diverso è il caso della canzone d’autore: l’ascoltatoredeve sempre tener presente che il soggetto della canzone è unaltro, e l’identificazione, se scatta, è direttamente con il cantau-tore, non con il soggetto della singola canzone. Il cantautore è unpoeta, col quale l’ascoltatore si confronta: si vedrà più avanti chequesta è una norma relativamente recente. A questa si può colle-gare la funzione estetica, e anche metalinguistica, che predominanella canzone d’autore; anche la canzone tradizionale e quella so-fisticata sono oggetto di attenzione estetica, ma la funzione co-municativa principale è quella emotiva, come nella canzone pop,in quella infantile e in quella rock; nel rock vi è una grossa com-

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ponente imperativa, mentre la canzone politica ha spesso fun-zione referenziale ed emotiva, e si sottrae di regola al giudizioestetico. Dato che la canzone è un sistema di segni complesso, lediverse funzioni comunicative sono sostenute in misura diversadai segni componenti: nel fatto musicale costituito da una singolacanzone, l’attenzione estetica è concentrata principalmente sultesto di una canzone d’autore (oggi), sull’interpretazione vocaledi una canzone tradizionale, sulla musica di una canzone sofisti-cata (anche col concorso di altri elementi, naturalmente). Èovvio, poi, che di qualsiasi canzone si può dire che è “bella”, maciò che si è voluto sottolineare è che in alcuni generi la ricerca diuna particolare autoriflessività è indispensabile perché una certacanzone vi possa appartenere. Alle funzioni comunicative citatesi adeguano anche i codici iconografici delle copertine dei dischie delle foto dei cantanti. I codici prossemici sono legati alla strut-tura spaziale dei luoghi in cui si svolgono prevalentemente i fattimusicali di diversi generi: ma che si tratti di codici dello spazio,e non di semplici derivati dell’economia di un genere, lo si puòcapire osservando che certe distanze tipiche vengono mantenuteanche in luoghi diversi da quelli deputati. Così un tipico assettoteatrale, col pubblico seduto in poltrone, si ritroverà in un con-certo di canzone tradizionale o sofisticata anche all’aperto,mentre il fatto che il pubblico stia in piedi o seduto per terrasegna un margine convenzionale tra uno spettacolo di canzonepolitica e il recital di un cantautore, mostrando che questi codicinon sono legati solo all’età media del pubblico. La canzone infan-tile è un genere esclusivamente discografico e televisivo, mentreil concerto rock tende a proporre un rapporto spaziale tra musi-cisti e pubblico di tipo dittatoriale. Un aspetto interessante dellenorme prossemiche nella canzone italiana è che in Italia le strut-ture adatte a spettacoli musicali sono molto poche, così che i di-versi generi vengono presentati spesso negli stessi luoghi: questonon impedisce che le violazioni delle norme vengano colte, a di-mostrazione del fatto che una norma di genere non si stabiliscecome un dato statistico, ma attraverso l’opposizione con altrenorme e la relazione con tutto il sistema. Ad esempio, è opinionecomune di tutta la collettività della canzone d’autore che la sedepiù opportuna per un recital sia un teatro con un’acustica poco

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risonante, in cui il pubblico possa stare vicino al palco, dominan-dolo dall’alto piuttosto che essendone dominato, e senza unagran dispersione del pubblico stesso. Un teatro così, in Italia, nonesiste. Uno dei motivi per cui alcuni cantautori, negli anni più re-centi, hanno adottato una forma di concerto più simile a quelladel rock, è stata proprio l’inadeguatezza degli spazi disponibili:non si può intrattenere il pubblico tra una canzone e l’altra, nonsi può contare sull’effetto di una smorfia di sofferenza quando siè ridotti ad un puntino nel centro di uno stadio. Si vede, quindi,come ai codici prossemici si colleghino anche quelli gestuali e mi-mico facciali. In mancanza di uno studio approfondito su questi,al quale le numerosissime fotografie esistenti dovrebbero forniremateriale abbondante, l’argomento viene trattato qui nella se-zione successiva, dedicata ai codici comportamentali.

2.2.3. Norme comportamentali. Lo strumento che rivela inmodo più dettagliato questi codici è la telecamera, anche per lasua capacità di entrare nella sfera della “distanza privata” delcantante. Il cantante tradizionale e la cantante sofisticata sonoperfettamente a loro agio in televisione; la loro gestualità non èdiversa da quella dei presentatori (che spesso sostituiscono).Anche il cantante pop è a suo agio, ma tende ad un eccesso di sor-risi e di inarcamenti sopraccigliari, che rivelano la sua ansia dipiacere, di essere simpatico. Il cantante rock e il cantautore sonoa disagio: il primo perché la televisione è troppo borghese e co-munque offre uno spazio troppo piccolo per la sua gestualità esa-gerata, il secondo perché è troppo stupida; il cantautore, co-munque, deve sempre avere l’aspetto di affrontare il pubblicocon disagio, essendo il privato la sua “vera” dimensione. In en-trambi casi i tic sono ben accetti. Il cantante infantile non ha unvolto specifico: in qualche caso è un cantautore che decide discrivere canzoni per bambini, ma nella maggiornaza dei casi è uncantante anonimo che incide la sigla di una trasmissione televi-siva del pomeriggio, e non appare mai in pubblico, nemmeno intelevisione. Il cantante politico non appare praticamente mai allatelevisione, e la mimica che ci si aspetta da lui è quella di un co-miziante, al quale sono consentite escursioni nel privato “da can-tautore”. Per ogni genere di canzone esistono regole di conversa-

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zione ed etichette codificate. Ci sono, ad esempio, quelle che re-golano il comportamento dei partecipanti a un’intervista, quelleche stabiliscono cosa succede ai cantanti dopo un concerto,quelle che si riferiscono agli atteggiamenti del pubblico, o ai rap-porti tra i critici o gli organizzatori quando si incontrano. Affron-tarle tutte qui richiederebbe uno spazio superiore a quello ditutto questo studio: ci si può limitare solo a dei casi di violazionepatente. Umberto Eco ha osservato che la distinzione tra comicoe tragico consiste nel fatto che, mentre in entrambi i casi si trattadi violazioni di norme di comportamento, nella tragedia la normaviolata è enunciata più volte, mentre nella commedia è taciuta,supponendosi che tutti la conoscano (tranne, naturalmente, coluidel quale si ride). Questo, sempre secondo Eco, è il motivo percui le tragedie greche ci colpiscono ancora, mentre gran partedella comicità delle commedie (quella che non dipende da normesopravvissute ai secoli) va persa. Se questa teoria è valida, quindi,il riso è una spia rivelatrice della trasgressione ad una norma co-nosciuta da chi ride, e quindi della norma stessa. In Italia si ride,ad esempio, se durante la conferenza stampa di un cantautorequalcuno gli chiede se ha intenzione di sposarsi, domanda nor-malissima per cantanti tradizionali, pop e sofisticati (anche se consignificati diversi per gli uni e per gli altri), e proibitissima per uncantante rock (anche se il cantante rock italiano non riesce ad es-sere rissoso come i suoi modelli angloamericani, e di fronte aigiornalisti fa il bravo ragazzo come un cantante pop o l’intellet-tuale accessibile e ironico come il cantautore). Un esempio dicome le norme comportamentali si intreccino con l’ideologia diun genere, e con le altre norme, è fornito proprio dalla canzoned’autore. In reazione ad un periodo nel quale la canzone d’autoreera stata oggetto di un’attenzione critica molto pesante, ideolo-gizzata, e in cui il cantautore aveva dovuto imparare a compor-tarsi come un politico e un filosofo, si diffuse l’opinione che infondo si trattava solo di canzoni. La frase di un cantautore “Trat-tasi di canzonette”, echeggiata in canzoni, interviste, articoli, ad-dirittura nel titolo di un disco, ha sancito l’esistenza di una normain base alla quale un cantautore non deve rilasciare dichiarazioniseriose più lunghe di una frase, e poi deve scherzarci sopra;sempre per questa norma un intervistatore che citasse Adorno

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verrebbe deriso né più né meno che se parlasse di nozze immi-nenti. Ma il carattere ideologico di questa norma si nota dal fattoche nessun cantautore rinuncia a seguire tutte le altre norme chelo distinguono dai veri produttori e cantanti di canzonette, quelliche lavorano nella canzone tradizionale e pop. Nessun cantau-tore, prima di tutto, rinuncia a qualificarsi per la propria since-rità. Nella canzone tradizionale e nella canzone pop la sinceritànon è un problema: a nessuno interessa se il cantante soffra o gio-isca come il protagonista della canzone, purché la finzione reggae non disturbi l’identificazione dell’ascoltatore con la situazionestandard descritta. Ma nessuno sopporterebbe un cantautore oun cantante politico che esprimesse idee e sentimenti non suoi. Icasi del rock e della canzone sofisticata sono leggermente diversi:in questi due generi il carattere sociologico dell’identificazione èpiù marcato, e quindi si richiede non una vera sincerità intesacome apertura d’animo, ma un grado più alto di credibilità gene-razionale o sociale.

2.2.4. Norme di tipo sociale. Norme ideologiche. Come si è giàdetto nella prima parte, queste norme, a livello macro-sociale,non hanno nulla a che vedere con i dati statistici di consumo. Laclasse operaia, ad esempio, consuma prevalentemente canzonipop, ma per “canzone del proletariato”, in senso fortemente con-notativo, si intendeva fino a pochi anni fa la canzone politica, eoggi semmai la canzone tradizionale. Il consumo del rock con-nota l’appartenenza all’area sociale dei giovani disoccupati edemarginati, anche se la maggiornaza dei frequentatori di concertirock sono studenti della piccola e media borghesia. La canzonesofisticata non è meno ideologica da questo punto di vista, cer-cando sempre (con i testi, gli arrangiamenti, le copertine dei di-schi) una connotazione sociale superiore a quella degli effettiviconsumatori. Meno facile affrontare la canzone infantile: è legit-timo il sospetto che parte dei dischi di questo genere che salgonole classifiche di vendita siano comprati da adulti, per regalarli abambini ai quali vengono ritenuti adatti; ma il successo è tal-mente grande, costituendo una fetta consistente del mercato dei45 giri, da far pensare che la forte connotazione generazionalecorrisponda ad un consumo reale. La canzone d’autore, invece,

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sembra avere un’immagine sociale che corrispinde all’area diconsumo reale: la piccola e media borghesia intellettuale, gli stu-denti, l’Italia della scolarizzazione di massa, dell’università apertaa tutti, della disoccupazione intellettuale. A livello della colletti-vità musicale, la canzone d’autore si distingue dalle altre perl’identificazione tra il cantante e l’autore, sia del testo che dellamusica. Questo – è da notarsi – nonostante numerosi tentativi,nella sua storia, di qualificarla semplicemente come canzoned’arte, come canzone di qualità. È probabile che questa norma,alla quale sono tollerate pochissime eccezioni che la confermano,sia dovuta alla particolare valutazione della sincerità alla quale siè accennato: non è pensabile che il cantante possa essere sincerocantando una musica o, peggio, un testo non suo. Per fare unesempio astratto, una canzone come You’ve got to hide your loveaway, che secondo una celebre intervista a John Lennon segna ilsuo passaggio dalla canzone pop a quella che in Italia si defini-rebbe canzone d’autore, non avrebbe potuto essere consideratauna canzone d’autore se non dopo aver accertato che Paul McCartney non ci aveva messo le mani. Ma, naturalmente, Lennonavrebbe dovuto cantarla da solo o con un gruppo di accompa-gnatori, non nei Beatles. I due o tre gruppi musicali italiani cherispetto a molte altre norme di genere potrebbero essere inclusinella canzone d’autore, proprio per questo sono accettati con fa-tica, e quando ciò avviene si tenta di accreditare che uno dei com-ponenti sia un cantautore e gli altri i suoi accompagnatori, anchese ciò è flagrantemente falso. Sotto altri aspetti la collettività mu-sicale dei diversi generi della canzone è piuttosto omogenea, se sieccettua il caso della canzone politica, nella quale il cantante è dinorma manager, produttore e discografico di se stesso: questasintesi di ruoli, ma con accenni più marcati ad una divisione dellavoro, si riscontra anche in altri generi, ma non come regola.

2.2.5. Norme economiche e giuridiche. Con la sola eccezione diquelli politici, tutti i cantanti fanno parte dello stesso sistema eco-nomico, caratterizzato dalla presenza delle grandi case discogra-fiche e dell’impresariato. Ma esistono differenze tra un genere el’altro: il cantautore, grazie ai diritti d’autore, incassa circa ildoppio di un altro cantante sulle vendite dei dischi e, dato che in

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Italia non esiste un vero e proprio riconoscimento del diritto diesecuzione, è l’unico a guadagnare sulla diffusione radiofonica etelevisiva. Questo fa sì che i cantautori siano meno dipendentieconomicamente dalla possibilità di apparire in concerti dal vivo;per di più fino a qualche anno fa era norma che i cantautori si esi-bissero da soli: i loro concerti, quindi, non avevano altre speseche la pubblicità, il noleggio della sala, l’amplificazione e i dirittid’autore (poi recuperati dallo stesso cantautore). Oggi la tournéedi un cantautore implica spese più alte, ed ha tutto sommato ca-rattere promozionale. Lo stesso vale per i cantanti e i gruppirock, che però subiscono in proprio spese molto più alte, divi-dono le royalties e gli eventuali diritti d’autore tra più persone, epossono contare su un mercato discografico piccolo in propor-zione a questi costi. Se si tiene conto che il prezzo medio del bi-glietto per un concerto di canzone d’autore o di rock è inferiorealla metà di quello di altri paesi europei si può capire come il fe-nomeno dei gruppi rock in Italia non possa assumere un vero ca-rattere professionale: anche i gruppi più noti e presenti nelle clas-sifiche discografiche si mantengono con altri lavori, principal-mente quello di sessionmen. I soli cantanti rock che possonoraggiungere un certo benessere (o la ricchezza) con il loro lavorosono, in realtà, cantautori. I cantanti pop, tradizionali e sofisticaticontano soprattutto sugli spettacoli nelle sale da ballo, che pos-sono pagare ingaggi piuttosto alti, per tutto l’anno, anche perchénon ci sono particolari limitazioni nei prezzi dei biglietti. Perquesti cantanti, in sostanza, è il disco ad essere un veicolo promo-zionale. La canzone infantile, come si è detto, è un prodottoesclusivamente discografico. Fino a qualche anno fa i concerti dicanzone politica erano offerti gratuitamente dai partiti e da altreorganizzazioni di massa, ed era frequente il caso che ai cantanti oai gruppi venisse commissionata una serie di spettacoli, a voltedietro il pagamento di un vero e proprio stipendio. Poi la can-zone politica è stata equiparata alla canzone d’autore, il che haportato a una sua evidentissima crisi economica, prima ancorache artistico-ideologica, visto che tutte le altre condizioni econo-miche sono diverse e inferiori. Anche a questo proposito, ciò chesembra più caratteristico della situazione italiana rispetto allenorme economiche, è la rigidità nello stabilire il prezzo dei bi-

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glietti per i concerti. All’interno di uno stesso gruppo di generi(canzone d’autore, rock, canzone politica da una parte, canzonetradizionale, pop e sofisticata dall’altra) l’oscillazione minima emassima è la stessa, 500 lire. Arrischiare un aumento o una dimi-nuzione superiore può comportare disordini o la diserzione (secosta troppo poco, deve valere poco); ma anche l’aumento mi-nimo è un rischio. C’è una coscienza precisa, nella collettivitàmusicale, di quanto un concerto può costare: non è infrequenteche la stessa persona sia disposta a spendere 7000 lire in una di-scoteca e protesti poi per un concerto rock a 4000 lire. Ereditatadalle componenti più economiciste del movimento politico tra il‘68 e il ‘77, questa norma economico-ideologica affligge soprat-tutto quegli stessi generi musicali che più si sono identificati conquel movimento. E visto che ormai la storia è entrata tra gli og-getti di questo studio, possiamo passare ad inquadrarla in primopiano.

3. Breve storia del genere “canzone d’autore”. La canzone d’au-tore appare, alla fine degli anni ‘50, all’interno di un sistema dellacanzone molto diverso da quello attuale. I generi della canzoneitaliana di quel periodo sono, principalmente: la canzone napole-tana o comunque dialettale, ancora molto diffusa, la canzone leg-gera tradizionale, la canzone da rivista (un genere che oggi èscomparso), la canzone da night club (un genere che si è trasfor-mato frammentandosi); le ricerche sul folklore iniziano proprioin quegli anni, e non esiste una vera canzone politica come genere(è noto che la sua rinascita in Italia è legata alla riscoperta deicanti della Resistenza, all’interno delle ricerche sul folklore); nonesiste una canzone infantile come genere; le canzoni rock prove-nienti dall’America vengono consumate in contesti non specifici,e non si può ancora parlare di una produzione intesa specifica-mente per il consumo contemporaneo di massa. La canzoned’autore nasce in questo sistema, da un accumulo di trasgressionialle norme dei generi che lo costituiscono. Dato che la norma digenere più forte nel definire la canzone d’autore è, come ab-biamo visto, l’unione delle figure dell’autore e del cantante (dacui il termine “cantautore”), può essere utile prendere in esamealcuni cantautori ante litteram: cantanti e autori che negli anni

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immediatamente precedenti alla nascita del genere avevanosvolto un lavoro simile, senza che fosse messa in discussione laloro appartenenza ai generi già noti. Tra questi la figura più notaanche fuori dall’Italia è Domenico Modugno. La carriera di Mo-dugno è segnata, fin dall’inizio, dalla ricerca pertinace di una ca-ratteristica che poi diventerà una norma di genere per la canzoned’autore: il fatto di essere un “personaggio”, identificabile con ilsoggetto della canzone. Modugno persegue questa ricerca primacome cantante dialettale (pugliese, la sua prima canzone è sici-liana, poi passa alla canzone napoletana), con una forte caratte-rizzazione vocale che accentua il carattere popolaresco dei testi edelle musiche; poi, dopo un’esperienza di cabaret a Roma, entranell’area di produzione e consumo della canzone italiana tradi-zionale, giocandovi il ruolo di estroverso innovatore: il testo dellasua canzone Vecchio frac, del ‘55, può apparire oggi come unametafora neanche troppo coperta dell’addio al vecchio modo diconcepire lo spettacolo e la canzone. Paradossalmente, però, ilsuccesso del personaggio Modugno, decretato dal trionfo mon-diale di Nel blu dipinto di blu, mette in secondo piano le sue ca-ratteristiche di creatore autonomo: Volare, anziché essere laprima canzone di un nuovo genere, diventa l’ultimo grande suc-cesso mondiale della canzone tradizionale italiana, un’edizioneaggiornata di ‘O sole mio . Il personaggio Modugno, da allora inpoi, sarà più utile alla televisione, al cinema, al teatro, che allacanzone d’autore. Di provenienza diversa sono Renato Carosonee Fred Buscaglione. Nessuno dei due, a dire la verità, è autoreesclusivo delle proprie canzoni (questo vale, del resto, anche permolte canzoni di Modugno), nessuno dei due è un solista (sonoentrambi leaders di complessini da night-club) e il loro perso-naggio è più simile a quello dell’intrattenitore da varietà che aquello letterario del cantautore. Ciò che li avvicina alla nascentecanzone d’autore è il fatto di cogliere il deterioramento dei generiesistenti, di esprimere la volontà di rinnovare gli schemi consuntidella canzone italiana: in Carosone e Buscaglione questo avvieneattraverso la satira o la parodia, sia nel testo che nella musica. Trai due ci sono differenze notevoli: se Carosone mescola elementinapoletani e americani, in una satira talvolta moralistica della di-pendenza degli Italiani da modelli culturali stranieri, o nella pa-

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rodia della canzone tradizionale più lacrimosa, Buscaglione ac-cetta il ruolo dell’Humphrey Bogart di periferia, stravolgendo ilcliché americano proprio nel modo in cui lo fa proprio e italiano.Ma nonostante il grande successo, nonostante la modernità e ilrealismo delle loro canzoni, dopo Carosone e Buscaglione nonnasce un genere: per quanto innovativa, la loro proposta è legataa meccanismi di consumo in decadenza (il night-club), mentresono ancora lontani nel tempo quelli che potrebbero far rendereal massimo il loro impatto scenico. È significativo che oggi i di-schi di Carosone e Buscaglione siano oggetto di culto da parte diun pubblico, pur ristretto, che li considera inconsapevoli antici-patori non della canzone d’autore ma di Frank Zappa e del rock-cabaret. La canzone d’autore nasce in un momento in cui l’imma-gine visuale di un cantante è fornita prevalentemente dalle rivistea rotocalco, parzialmente dalle copertine dei dischi (molti 45 girivengono venduti in busta standard, senza foto), mentre le ore ditrasmissione dell’unico canale televisivo nazionale dedicate allamusica leggera sono occupate da spettacoli di rivista o da inter-venti di ospiti già famosi. I media attraverso i quali l’industriapuò raggiungere il pubblico per un intervento promozionalesono principalmente due: la radio e il juke box. La radio, salda-mente nelle mani del potere democristiano, ha una “commis-sione di ascolto” che esercita (e lo farà ancora per molti anni) unavera e propria censura, principalmente dei testi ma anche dellamusica (con pretesti tecnico-esecutivi). Questo fa sì che il mezzoattraverso il quale il pubblico, e in particolare quello giovanile,può venire a conoscenza di proposte nuove sia il juke box, oltreal negozio di dischi, dove esiste ancora l’abitudine di far ascoltareal cliente un’ampia selezione dei dischi appena usciti senza parti-colari obblighi di acquisto. Data questa situazione, è più facileche raggiunga una diffusione di massa un prodotto che non si di-stacchi troppo dagli standard esistenti, che non abbia connota-zioni troppo vincolanti con una situazione di consumo ben deter-minata, e che, se è diverso, abbia elementi di diversità facilmentepercepibili attraverso i media più importanti in quel momento.La prima canzone di un cantautore ad avere successo è Arrive-derci, di Umberto Bindi, ma non nell’interpretazione dell’autore,bensì in quella di Marino Barreto jr., un cantante da night di ori-

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gine brasiliana. Oltre alla musica, molto ben costruita e ad un li-vello molto più alto della produzione canzonettistica corrente, cisono due elementi che contribuiscono al successo della canzonee che istituiscono due norme di genere: 1) il testo, che sdramma-tizza la situazione classica dell’abbandono di due innamorati, so-stituendo emblematicamente l’addio melodrammatico con un sa-luto molto più quotidiano; 2) la voce: anche se non è la vocedell’autore, proprio per certe durezze di pronuncia – e per l’afo-nicità di Barreto – rompe con la tradizione tenorile, facendo in-tuire che la sincerità dell’interpretazione è un valore che puòmettere in secondo piano la correttezza dell’impostazione vocale.Se le parodie di Carosone dei drammoni all’italiana (vedi E labarca tornò sola) avevano definito solo in negativo ciò che si po-teva fare, se Modugno aveva solo aggiornato la bella vocalità ita-liana classica, senza rinunciarvi, il successo di Arrivederci mostra,in modo esemplare, due varianti nuove, in positivo, al modellodella canzone, per di più all’interno del tema più diffuso, quelloamoroso. Ad Arrivederci segue Il nostro concerto, interpretata daBindi stesso, che mette in rilievo un’altra delle caratteristichedella canzone d’autore, ma in questo caso solo del primo periodoche stiamo esaminando: la ricerca di una grande qualità musicale,e comunque di una notevole alterità rispetto alla produzione dialtri generi. C’è, nell’ideologia del genere nascente, una consape-volezza del compito di sottrarre la canzone italiana alla stupiditàe alla standardizzazione alle quali la routine editoriale l’ha con-dotta: non a caso in questo fermento sono coinvolti dei letterati– come Italo Calvino, autore di testi per il collettivo dei Canta-cronache – o degli autori disposti a cantarsi le proprie canzoni,come in fondo sono i cantautori, per mostrare all’editoria pococoraggiosa che possono avere successo. La nascita della canzoned’autore avviene in un momento di grandi trasformazioni perl’industria musicale: l’editoria, che fino a pochi anni prima aveval’obiettivo di fornire canzoni ai più divesri interpreti, ottenendotanto maggiore successo quanto più alto era il numero di inter-pretazioni della stessa canzone, tende ad integrarsi con l’indu-stria discografica. È questo il riconoscimento del fatto che il suc-cesso di una canzone tende sempre più ad essere legato ad uno eun solo interprete, anzi, ad una sola interpretazione, in conse-

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guenza della diffusione del disco e dei media elettronici rispettoalla esecuzione dal vivo. Entro pochi anni l’editoria diventeràquello che è sostanzialmente oggi: il mezzo attraverso il qualel’industria discografica recupera, eventualmente guadagnandoci,i costi promozionali per radio e televisione. Il fatto che con lacanzone d’autore autore e interprete vengano a integrarsi (e lostesso accadrà con i Beatles qualche anno dopo), non può esserequindi preso come una pura e semplice coincidenza. Il cantau-tore, magari non molto intonato, ma con una bella canzone e unbuon arrangiamento, vale di più per l’industria produttrice di di-schi di uno spartito, ben accetto solo alle centinaia di orchestrineda ballo destinate alla fine. È comprensibile, allora, il sostanzialefallimento dell’ipotesi di rinnovamento radicale dei Cantacro-nache, legata all’idea vecchia della canzone come testo, con unvalore indipendente dalla sua realizzazione sonora, e quindi affi-data a dischi realizzati in economia (del resto forzata): è altret-tanto comprensibile che l’esito principale del Cantacronache siastato quello della rifondazione della canzone politica. Non è,però, che l’industria capitalistica fosse più lungimirante. In unprimo tempo la Ricordi, la casa discografica che aveva scritturatoi primi cantautori genovesi (come Bindi, Paoli, Tenco) e milanesi(Jannacci, Gaber), non mostra di puntare molto sul fenomeno,ritenendolo forse limitato ad un pubblico borghese intellettuale,per di più ristretto ai frequentatori dei cabaret. È vero che l’oriz-zonte culturale dei cantautori, come individui, è letterario, coninfluenze dall’esistenzialismo francese – dedotto attraverso glichansonniers – o dai mondi del jazz e del rock (riservati in Italiaa pochi conoscitori, e quindi intellettualizzati), ma è anche veroche esiste ormai un vasto pubblico studentesco, pronto a ricono-scere in questi valori d’importazione un’alternativa alla produ-zione corrente. Questo pubblico non abita in soffitte da bohé-mien, non si innamora perché non ha niente da fare, non fre-quenta osterie scalcinate (sono tutte situazioni descritte incanzoni di quel periodo), ma è più disponibile a confrontarsi conquesto modello di vita in realtà seguito da pochi, o da nessuno,che con le mamme o i cuori infranti della canzone tradizionale.Quello che conta non è, insomma, una particolare concezione delmondo, ma un generico anticonformismo, legato a un rinnova-

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mento anche musicale: sta nascendo anche in Italia un pubblicodi giovani consumatori, e la caratteristica di questo consumo èanche la contrapposizione ai modelli di consumo delle altre ge-nerazioni. Non è un caso, quindi, che la vera spinta alla diffu-sione della canzone d’autore, oltre che l’invenzione del nome“cantautore” (nel 1960), venga dalla multinazionale Rca. I primicantautori di punta della Rca italiana (Meccia, Vianello, Fidenco,tutti romani) sono molto più “giovanilisti” di quelli milanesi e ge-novesi, e il loro anticonformismo è molto meno letterario (unadelle canzoni si intitola Odio tutte le vecchie signore). Anche lamusica risulta nuova più per l’uso di tecniche particolari di arran-giamento e di registrazione che per la struttura compositiva, ed èmolto più legata di quella genovese o milanese ai modelli ameri-cani: se la pronuncia di Paul Anka e Neil Sedaka non fosse cata-strofica, i loro dischi in Italiano, che hanno un grande successo,potrebbero essere confusi con quelli dei primi cantautori romani.Infatti in breve tempo proprio quelli per i quali è stato coniato ilnome cessano di essere dei veri cantautori, contribuendo a farnascere la moderna canzone pop italiana: alla moda, orecchia-bile, realistica. Ma il genere canzone d’autore è ormai consoli-dato, e la Rca lo copre scritturandone alcuni fra i migliori espo-nenti (Paoli, Endrigo), affidandoli ai migliori arrangiatori e lan-ciandoli sul più vasto mercato, in un momento in cui la casaamericana monopolizza la situazione italiana. Da un sistema mu-sicale logoro, bisognoso di rinnovamento, si arriva così alla na-scita di generi nuovi: la canzone pop di influenza sostanzialmenteamericana, che riconduce in un alveo di genere le anomalie costi-tuite negli anni precedenti dal rock di Adriano Celentano o deicosiddetti “urlatori”, e che ripropone con poche ma sostanzialiintegrazioni le norme della vecchia canzone tradizionale; e la can-zone d’autore, che in questo momento può essere anche definitacome “canzone di qualità”: le interpreti di quella che oggi si puòchiamare “canzone sofisticata” iniziano a distinguersi, a emer-gere dal mare della canzonetta proprio cantando le canzoni deicantautori. Per quanto i giornalisti musicali dell’epoca polemiz-zino sul carattere “più difficile” della canzone d’autore, contrap-ponendolo a quello “di evasione” di altri generi, il cantautore èancora “uno che fa canzoni”, non un “poeta”: questa osserva-

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zione vale sia sul piano dell’ideologia del genere, che su quellodell’obiettiva importanza del testo rispetto alla musica. Ma acca-dono molte cose nuove: il successo mondiale dei Beatles spostain un’altra direzione l’attenzione per il rinnovamento musicale,mentre gli autori di professione sembrano avere capito che si puòfare una canzone di qualità senza ricorrere ai vecchi schemi, eavendo a disposizione nuove interpreti. Il cantautore, quindi, ve-dendosi sottratta una parte consistente dello stesso pubblico gio-vanile e di quello borghese, si trova ad avere un’autonomia di ge-nere limitata, e a dover concorrere con il fenomeno beat da unaparte e con generi di canzone più commerciali dall’altra, nel lorostesso contesto. Il suicidio di Luigi Tenco al Festival di Sanremodel ‘67, dopo che la sua canzone non è stata ammessa in finale, èemblematico, mentre il successo mondiale di Bob Dylan ha giàindicato una strada nuova: una canzone più vicina alla ballata po-polare che al modello melodrammatico, più povera melodica-mente ma per questo più libera metricamente, più ricca di sillabeper la possibilità di ribattere note e, al limite, di declamare. Ilprimo a seguire questo modello è Francesco Guccini: il suoprimo disco esce proprio nel ‘67, ma alcune sue canzoni sono gièstate portate al successo negli anni precedenti da gruppi rock.Guccini traduce in italiano i toni del Dylan protestatario e apo-calittico e dei poeti della beat generation, ed il carattere anar-coide e visionario dei suoi primi testi lo fa imporre nei confrontidella protesta rigorosa della rinata canzone politica e della pro-testa addomesticata di altri generi (tutta la canzone italiana, inquel periodo, protesta per qualcosa). L’attenzione del pubblicostudentesco della canzone d’autore ai rivolgimenti sociali e poli-tici spinge a una concentrazione sempre maggiore sul testo, con-siderato il solo in grado di portare i contenuti che qualificano lacanzone. Si crea, addirittura, una specializzazione di genere, cosìche nel rock – che si adegua ai modelli del rock progressivo in-glese – il testo è un’occasione per la presenza della voce, o al piùun’illustrazione fantastica della musica, mentre nella canzoned’autore, e in quella politica, la musica fa semplicemente dasfondo, solo a volte illustrativo, del testo. Nei primissimi anni ‘70,mentre la canzone politica sembra aver ricoperto tutta l’areadella canzone d’autore, uno dei cantautori della prima genera-

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zione, Giorgio Gaber, debutta in teatro con uno spettacolo dicanzoni e monologhi, dimostrando di voler mantenere una spe-cificità al suo genere, e d’altra parte confermando il rilievo pre-dominante ormai assunto dal testo. È puntando decisamente sultesto, e su una funzione poetica contrapposta a quella principal-mente referenziale della canzone politica, che la canzone d’au-tore ha il suo rilancio definitivo. Per un breve periodo i nuovi ca-natutori, Francesco De Gregori e Antonello Venditti tra i primi,vengono presentati come esponenti della “nuova canzone” (peranalogia con la Nueva Canción cilena legata a Unidad Popular),ma presto questa connotazione politica è superata, e special-mente di De Gregori si comincia a parlare come di un “poeta”.È dal 1974 che il genere ritrova una costituzione ufficiale, con laPrima Rassegna della Canzone d’Autore, organizzata dal ClubTenco proprio a Sanremo, rassegna che continua tuttora essendostata affiancata, fino al 1980, da quattro congressi sulla “nuovacanzone”. La rinata autonomia del genere incontra qualche osta-colo: enorme impressione desta il “processo politico” al qualeFrancesco De Gregori viene sottoposto durante uno spettacoloal Palalido di Milano, processo che si conclude con l’invito a DeGregori a “suicidarsi come Majakowskij”. Si rimprovera, sostan-zialmente, a quello che si è ritenuto un cantante politico di nonseguire le norme del genere, non di essere un cantautore “pocopolitico”. Ma l’equazione cantautore = poeta si afferma rapida-mente (la formula della condanna, del resto, lo implicava), mani-festandosi nei modi più disparati, dalla poeticità rivendicata dagliimitatori dilettanti, alla collaborazione di un cantautore, LucioDalla, con un “vero” poeta, Roversi; a questa affermazione non èestraneo, naturalmente, il riflusso delle esperienze politiche deiprimi anni ‘70, perché nella cultura dell’Italiano medio la poesiaè strettamente legata alla vita privata, alla soggettività. In questaconcentrazione dell’attenzione estetica non sfugge il progressivoimpoverimento musicale delle canzoni: la risposta – anche allaconcorrenza straniera – è affidata ad un arricchimento degli ar-rangiamenti. È il momento del trionfo della disco-music, e moltigruppi rock sono in crisi: Fabrizio De André, uno dei cantautoridegli anni ‘60, va in tournée con la PFM, il gruppo rock più noto,ed è un successo. “Finalmente” – è il luogo comune – “la canzone

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d’autore ha una dimensione musicale.” Ma questa tournée dimo-stra, piuttosto, qualcos’altro: nonostante i grandi concerti rocksiano stati per anni, in Italia, teatri di incidenti, al punto che igruppi e i cantanti stranieri hanno evitato questo paese fino al‘79, i cantautori possono riempire questo spazio, conservandoancora qualcosa del meeting politico ma integrandolo con i ri-tuali del concerto rock. L’apice del successo dei cantautori, così,coincide con la colossale tournée di Dalla e De Gregori, nel ‘79,dove i due compaiono in stadi come rockstar, e come rockstarvengono salutati dall’accensione di migliaia di fiammiferi; laprima rockstar straniera che arriva di nuovo in Italia, prima diuna lunghissima serie, è Patti Smith, presentata come una can-tautrice, “la poetessa del rock”. L’anno successivo, nonostante isuccessi delle tournées di Edoardo Bennato e Angelo Brandu-ardi, è un anno di crisi per la canzone d’autore, almeno secondoi soci del Club Tenco, che intitolano il dibattito al loro congresso:“rock versus canzone”. La canzone d’autore è stata spinta inun’area tanto vicina a quella del rock che in termini economici nesubisce pesantemente la concorrenza (nell’anno del grande ri-lancio mondiale del rock), e in termini teorici sente il bisogno diridefinire i confini e l’ideologia del genere. Non è una questioneche riguarda solo la critica, ma tutta la collettività della canzoned’autore: così, mentre gli addetti ai lavori discutono di una riva-lutazione musicale, che respinga i connotati rock e le soluzioni inpuri termini di arrangiamento, il pubblico più fedele al genere(ma coinvolgendo anche altre aree) riconosce definitivamente ilsuccesso di Enzo Jannacci e di Paolo Conte. Il primo è, tra i can-tautori della prima generazione, quello decisamente meno lette-rario e più tendente al comico, con un personaggio arricchitodalla collaborazione con Dario Fo e da un’attività televisiva (oltreche da un tentativo cinematografico, anche quello “d’autore”); ilsecondo, dopo essere stato autore di canzoni leggere di successo,ha iniziato a incidere solo nel ‘75. Jannacci è medico, Conte av-vocato, entrambi hanno più di 40 anni, entrambi cantano inmodo trascurato e con un certo imbarazzo gestuale, entrambihanno una solida preparazione musicale, anche se dilettantistica;l’uno e l’altro ricorrono a un lessico particolarmente ricco, emolto caratterizzato per estrazione sociale o per collocazione ge-

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ografica, mescolano sapientemente il tono poetico con quelloprosastico, si servono della metrica senza incorrere in tronchebanali. Se le canzoni sono musicalmente piuttosto caratterizzate(con citazioni stilistiche frequenti da generi o periodi diversi), gliarrangiamenti appaiono deliberatamente anonimi e demodé. Idue, insomma, accumulano una serie di violazioni alle normecorrenti della canzone d’autore, in parte ripristinando i caratteridelle origini, in parte mostrando di rispondere alle attese di rin-novamento, pur rispettando molte delle norme fondamentali. Èpossibile che uno studio futuro sulla canzone d’autore ci indi-cherà come norme di un periodo successivo all’attuale quelle chein questi due cantautori ci appaiono come caratteristiche indivi-duali.

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